SARDONIA Ottobre 2019

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SARDONIA Ventiseiesimo Anno / Vingt Sixième Annèe

Ottobre 2019 /Octobre2019

Foto Sardegna News

Cagliari Je t’aime

Pecora Nera di Arbus Aritzo in Ottobre Claudia Aru Pietrina Atzori Lanificio BelloNero La Balena Casa del Mantegna Con la cultura non si mangia Stanis Dessy Rosanna Rossi Anfiteatro Romano Domus e Pratzas a Villermosa Ipazia par Silvia Sbardella Sa domu ‘e s’orcu Rosaria Straffalaci Diario Vittoriano par Rosanna Corti Donne in Miniera L’Attore Lucido La scrittura Sottile di Tiziana Troja Women Artists con Isa Sator https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia


Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@ gmail.com https://vimeo.com/channels/icilabasetailleurs Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/cagliarijetaime

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SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale

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ome era d’usanza, il solstizio d’autunno, era celebrato in alcuni pozzi sacri della Sardegna,come per sottolineare l’inizio di un nuovo ciclo. Dopo la pausa d’agosto, ed il copioso numero di Luglio, eccoci qui a proporvi alcune idée, per scoprire o ritrovare artisti, manifestazioni, situazioni già conosciute o chiaramente nuove. Come al solito la nostra scelta è sempre molto arbitraria e soggettiva, nella speranza di suscitare comunque la vostra curiosità. Ma se oggi abbiamo voluto mettere l’accento sulla pecora nera di Arbus e sugli eventuali sviluppi che l’utilizzo della sua lana potrebbe avere, é perché siamo stati particolarmente colpiti dall’azione artistica e sociale, sviluppata da Pietrina Atzori, artista tessile a San Sperate. Siamo anche particolarmente lieti di apprendere che il capello di cui abbiamo pubblicato la fotografia nel numero di Settembre, realizzato da Pietrina con la lana della pecora nera di Arbus, é stato premiato al «Cosa mi metto in testa» 16° Concorso Internazionale di Opere a Telaio e Fiber Art (Rocca di Sala Baganza PR) al quale aveva partecipato e la preghiamo di accettare tutte le nostre felicitazioni e complimenti. L’azione artistica di Pietrina Atzori, che quest’estate ha percorso, insieme al marito Umberto Petrini ed alla sua «fidanzata» artistica Rosaria Straffalaci (come la nomina Pietrina) più di 3500 chilometri, visitando 42 città per portare il filo di lana di Arbus, mi é apparso non solo come un gesto terribilmente importante sia per la sua apparente semplicità ma sopratutto per la maniera con la quale questa azione é stata realizzata. In questo stesso momento assistiamo ad un incredibile coro di critiche, a proposito della signorina Greta Thunberg, giovane attivista svedese che aveva incominciato a sedersi per terra davanti al Parlamento della sua nazione con un cartello dove c’era scritto a mano «SKOLSTREJKE FOR CLIMATET , e che ultimamente si é espressa alla tribuna dell’O.N.U. a New York City. Vi risparmio qui le diverse fantasiose, velenose ed insultanti bugie che potete facilmente ascoltare alla televisione, la radio o leggere sui social media e nelle riviste e giornali di ogni bordo. Quello che ni interessa sottolineare é il fatto che un’idea può essere portata avanti con volonta e anche con pochi mezzi o senza alcun mezzo. Faccio un parallelo tra l’azione di Pietrina Atzori e quella di Greta Thunberg, pensando naturalmente anche a Maria Lai ed al villaggio legato alla montagna con un nastro azzurro. Mi sembra che l’Arte é quella situazione nella quale ciascuno di noi può realizzare i propri sogni, le proprie sensazioni, le proprie idée spesso con degli attrezzi e dei mezzi abbastanza limitati e nello stesso tempo coinvolgere un pubblico, che se abbastanza attento e capace di prendere la responsabilità di guardare l’opera d’Arte e di farsene contaminare, può effettivamente trasformare il mondo e la percezione che ne abbiamo. Questa è la buona notizia, la cattiva notizia é che, nonostante i dinieghi e gli insulti menzogneri di cui parlavo prima, numerosi scienziati ci avvertono che se la fine della specie unmana era prevista per il 2100, questo limite si sta avvicinando pericolosamente e si parla oggi piuttosto del 2050 se non del 2030, cioé domani. Possa l’Arte aiutarci a non dover assistere in prima persona a questo disastro ed a evitarlo Vittorio E. Pisu

Foto La Nuova Sardegna

Cagliari JeT’aime

PECORA NERA ARBUS T

recento pecore nere (di Arbus) con un guardiano bianco: è lui, Babà, di professione cane pastore, a sovvertire i ruoli e costituire nel gregge di cui è protettore la proverbiale “pecora nera della famiglia”. Un diverso fra le diverse, non solo per questioni cromatiche, ma soprattutto perché il fido Babà, meticcio di chissà quali e quante razze canine, non costituisce una biodiversità. Come sono invece le 300 pecore nere del gregge a cui lui, nel pascolo brado dell’entroterra di Funtanazza, sulla costa arburese, fa una guardia spietata e gelosa, quasi sapesse qual è il grande valore scientifico in campo animale che oggi rivestono le sue pecorelle. Il gregge è quello dei fratelli Mauro e Sandro Lampis, diventati un po’ l’emblema della riscoperta di una rarità, quella della “pecora nera di Arbus”. Una specificità che si stava perdendo nel tempo e che solo da una ventina d’anni è stata rivalutata e recuperata, e che adesso viene riconosciuta come un’assoluta biodiversità: la “pecora nera di Arbus” è un capo ovino che si può trovare in quantità ridotta anche in altri territori dell’isola, ma la cui razza – spiegano gli studiosi – deve essere riconducibile al territorio dell’Arburese, dove venne importata nei secoli scorsi dall’originario nord Africa. Nessuna mutazione genetica è stata apportata, si tratterebbe di una selezione naturale che nei pascoli di Arbus si è conservata nel

tempo, tanto da poter essere considerata razza autoctona. Studi condotti dal dipartimento di veterinaria della università di Sassari hanno portato poi a riscontrare in questa specie animale una sua biodiversità. La pecora nera si presenta con un mantello caratteristico di colore scuro, con sfumature tendenti talvolta al rosso cupo e al grigio piombo a seconda del periodo e della lunghezza del vello. È di dimensioni inferiori rispetto alle bianche e, contrariamente a esse, ha le corna e i padiglioni auricolari molto piccoli, se non del tutto assenti. Molto docili e particolarmente “mammone” con i loro agnellini, queste pecore soffrono terribilmente (lo si evince dalla produzione del latte) gli spazi limitati. Sono animali rustici che amano nutrirsi, oltre che di erba fresca, di foglie e di germogli, un po’ come le capre. Dall’alimentazione trae giovamento la produzione del latte, sicuramente meno di quello dato dalle bianche, ma riconosciuto dai vari analizzatori, primo fra tutti l’autorevole Istituto zootecnico caseario della Sardegna, di qualità superiore. Va da sé che anche i derivati come il formaggio e la ricotta abbiano un conseguente riscontro alimentare, con sapori particolari difficilmente presenti in altri prodotti caseari. Ma non è solo a tavola che la pecora nera di

Arbus porta la sua specificità. Il mantello naturale è fatto di una lana che, grezza o sapientemente lavorata, sta trovando applicazione in diversi campi: dalla fibra ai tessuti, dalla cosmesi all’isolamento termico e acustico. Della pecora nera si stavano perdendo le tracce e gli esemplari, ma poi qualcuno, fra gli allevatori di nuova generazione, ha capito di avere greggi composti da capi ovini del tutto particolari, altrove presenti solo per caso o perché importati. E hanno cominciato così a selezionare il proprio gregge, fino ad averlo completamente e rigorosamente nero. Attualmente si contano nell’Arburese circa 2mila esemplari (complessivamente e in ordine sparso sarebbero nell’isola poco più del doppio), con una quindicina di allevatori che nel territorio arburese vedono ormai prevalentemente il nero per i loro greggi. Al loro fianco, costituitisi in associazione, si sono schierati l’amministrazione comunale e l’agenzia Laore che stanno portando avanti un progetto di valorizzazione con una filiera del prodotto interamente locale. Il Comune depositerà a breve la richiesta di un marchio specifico “Pecora nera di Arbus”, mentre proprio nei giorni scorsi il ministero delle Politiche agricole ha riconosciuto ai derivati di questa biodiversità animale l’inserimento nell’elenco nazionale Pat dei prodotti agroalimentari tradizionali. http://www.lanuovasardegna.it/

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ARITZOinOTTOBRE CLAUDIA ARU

è presente nelle sagre e nelle feste più importanti dell’Isola, insieme alla produzione di deliziosi dolci tradizionali. ll grazioso centro storico conserva le tipiche case in scisto e fango con i lunghi balconi in legno, opera di abili artigiani locali che hanno fatto dell’intaglio una vera e propria arte. Le vecchie carceri spagnole, un edificio settecentesco realizzato nello stile tradizionale e caratterizzato da un sottopassaggio a sesto acuto chiamato “sa bovida” (la volta) da cui deriva il nome delle prigioni. Altri importanti strutture del centro sono l’affascinante Casa Devilla, risalente al XVII secolo, appartenuta a una famiglia di possidenti della zona, e il Castello Arangino, costruito ai primi del Novecento con riferimenti all’epoca medievale, seguendo la tendenza architettonica dell’epoca per le abitazioni signorili. Di grande interesse il Museo della montagna sarda o del Gennargentu che ospita una raccolta etnografica di oltre tremila reperti. Le ricostruzioni degli ambienti tipici della civiltà contadina e pastorale forniscono una rilevante documentazione delle attività artigianali: oltre agli antichi strumenti per la preparazione della carapigna è custodita una rara collezione di antiche cassapanche in legno intagliato note nell’Isola come “cassa di Aritzo” o “barbaricina”. Le iniziative in programma ad Aritzo avranno inizio sabato 29 Ottobre dalle ore 9.00 sino a tutta la giornata di domenica 30 Ottobre. https://www.sardegnainblog.it/14517/

49° sagra delle castagne e delle nocciole Due giorni di gastronomia, arte, cultura, divertimento

SABATO 26 OTTOBRE 2019 DOMENICA 27 OTTOBRE 2019 DA VISITARE

Eco Museo della montagna sarda e del Gennargentu. - Parco Comunale Pastissu. La chiesa di San Michele Arcangelo con la torre campanaria. Casa padronale Devilla del XVII secolo. Carceri spagnole.

Informazioni tel. 0784 628205 corso Umberto I Aritzo https://www.sardegnainblog.it/14517/

FINALMENTE IN LINEA IL NUOVO VIDEO

ARROSCIA E PUDESCIA

https://youtu.be/y4DA89CExMk senza dimenticare

Oi Mi Scidu Chitzi https://youtu.be/T9crWZSXxyg

Grazie alla mia nuova fortissima band, a Nicola Cassanello e Daniela Matta (per “cose giapponesi” ), Roberto Farace per il montaggio... Realizzato durante il viaggio in Osaka accolti dall’Istituto Italiano di Cultura lo scorso Novembre 2016

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Photo Radio X

a felice posizione sui rilievi che circondano il massiccio del Gennargentu ha reso Aritzo un apprezzato centro di villeggiatura, già scelto nella preistoria come punto strategico dalle antiche civiltà sarde. L’area abbonda di boschi di noccioli e di castagni dal cui legno si producono i rinomati manufatti dell’artigianato locale che rappresenta ancora oggi un’importante attività economica. Lungo i suggestivi sentieri del territorio si incontrano bellezze naturali come Su Texile e le antiche neviere. Il tacco di Su Texile è una roccia di formazione calcarea che spunta da un rilievo come un cocuzzolo isolato e presenta pareti verticali molto ripide. Testimone dell’era mesozoica che si staglia solitario nel panorama, il tacco è divenuto un simbolo identificativo dell’intera zona. Le domus de janas di Is Forros sono testimoni di una storia che risale fin dal Neolitico per continuare poi con la grande epopea nuragica dell’età del Bronzo di cui rimangono le straordinarie tombe dei giganti in località Su Carragione. Tra le attività produttive che segnarono la storia del paese vi è quella del commercio della neve raccolta dai niargios e conservata nelle domos de su nie, le “case della neve”. Molti di questi pozzi erano ancora utilizzati fino alla prima metà del Novecento per la produzione del tipico dolce di Aritzo: sa Carapigna, un delicato sorbetto al limone confezionato lavorando limone, zucchero e acqua nelle apposite sorbettiere refrigerate con la neve raccolta dalle domos de su nie. Ancora oggi questo prodotto della gastronomia locale

laudia si laurea in Storia dell’Arte a Bologna col massimo dei voti per poi trasferirsi 3 anni a Barcellona dove, oltre a proseguire gli studi universitari, studia jazz nella scuola “Taller de Musics”. Vive una intensa esperienza a New York, città in cui studia canto e partecipa alle jam session più prestigiose. Si trasferirsce a Roma dove frequenta un master sull’organizzazione di eventi culturali all’Università “La Sapienza” e, parallelamente, studia ancora canto e gestisce diverse jam session della capitale. Torna in Sardegna e da vita a svariate collaborazioni musicali con artisti sardi di spicco, per poi arrivare alla realizzazione del suo primo lavoro discografico da solista dal titolo “Aici” a cui seguirà “A Giru , a Giru” e “Momoti”. Con una intensa attività concertistica in Sardegna e in Italia, Claudia ha portato il suo progetto in diverse capitali europee e, a novembre 2016 a Osaka in Giappone per l’Istituto italiano di Cultura e lo scorso novembre presso l’istituto di cultura di Pechino e Shangai. Attualmente frequenta il triennio di Canto Jazz al Conservatorio di Cagliari e lavora all’uscita del nuovo disco da solista, il quarto in 5 anni. Questa è la biografia che si poteva trovare ancora qualche giorno fa sul web,

osa vuol dire “Oi mi scidu chitzi”? A parte “oggi mi sveglio presto” , è un gioco che, sulla scia del sardo inteso come lingua “limitante”, vuole ironizzare su diverse espressioni della variante campidanese che , effettivamente, “suonano “ un po giapponesi. Tutto ruota intorno alla preparazione de sa “pudda a sukitu“ , dalla ricerca degli ingredienti, alla cottura, anche se il fine della canzone non è certo culinario. Un’operazione, quindi, che ancora una volta, vuole dare dignità alla nostra lingua in maniera ironica e divertente. A seguito del nostro concerto per l’Istituto Italiano di Cultura a Osaka lo scorso Novembre, abbiamo girato questo video che mostra come, solo se si vuole, si riesce ad essere “internazionalmente sardi”. Sardamente mondiali, quindi , accanto all’inglese, il nostro sardo, ovunque, non sfigura mai. Questa la mia opinione. Se ti piace, condividilo! Grazie alla mia nuova fortissima band, a Nicola Cassanello e Daniela Matta (per “cose giapponesi” ), Roberto Farace per il montaggio... E al Giappone, che è una meraviglia. “Oi mi scidu chitzi “ is the answer to all the people who think that singing in sardinian limits the horizon of my music. I’m totally sure that it is not like that, that’s why i used several sardinian words that “sounds like japanese” to create this funny song that wants to show how can we be “sardinian” and “international” at the same time. We made this video during our trip in Japan for our gig in Osaka hosted by the “Istituto italiano di cultura” last November 2016.

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PIETRINA ATZORI LANIFICIOBELLONERO zioso Bisso marino anche questo, guarda caso, preservato in Sardegna nell’isola di San’Antioco. Esclusivi e prelibati sono la ricotta e i formaggi che si ottengono dal suo latte dal gusto connotato dal pascolo selvaggio in cui, e di cui, si ciba. Al progetto hanno collaborato anche Umberto Petrini alla guida dello scooter, l’artista Rosaria Straffalaci, consulente artistica e l’Associazione Pecora nera di Arbus. Il venerdi 13 settembre la manifestazione “Racconto di un’azione di Arte Sociale”svoltasi nello Spazio Antas presentata da Giacomo Casti ha permesso a Pietrina Atzori, Rosaria Strafalacci, Umberto Petrini ma anche Pietro Atzeri dell’associazione Pecora Nera di Arbus ed a Francesco Sanna di Laore Sardegna, di spiegare il senso e la portata di questa avventura che ha portato il filo di lana della pecora nera di Arbus in giro per l’Italia ma non solo. Mi sembra essenziale di sottolineare come questa azione, in apparenza cosi semplice e cosi facilmente, in apparenza, eseguita, costituisce ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la prova che le più importanti e spettacolari azioni artistiche sono semplicemente l’espressione di una volontà e di un pensiero estremamente preciso nella sua ideazione e nella sua realizzazione. Certo il parallelo che ci viene subito in

mente é quello dell’azione di Maria Lai che legò i suoi compaesani e la montagna tutti insieme in una dimostrazione di una forza e di una bellezza terribili. Cosi anche Pietrina ma anche Rosaria e Umberto ci dimostrano come non abbiamo altra scelta che di vivere insieme in armonia e che dobbiamo volerlo assolutamente. Questo sottile filo di lana della pecora nera di Arbus, minorità zoologica specificatamente sarda con origini d’Africa del Nord, che è stata mantenuta e curata grazie all’amore dei pastori e della popolazione di Arbus e del circondario è un segno del legame che ci unisce, noi tutti abitanti di questo pianeta e che la nostra sopravvivenza non sarà possibile che nel rispetto di tutti gli elementi che lo abitano, che si tratti di uomini e donne, animali vegetali, oceani, ghiacciai, barriere coralline, giungle africane o foreste amazzoniane come montagne rocciose o alpi bavaresi, e che solamente a questa condizione potremo continuare a giorne tutti insieme. Forse non misuriamo ancora perfettamente la validità, lo spessore, la grandezza di questa azione simbolica e nello stesso tempo così efficacemente e materialmente eseguita, ma sono sicuro che questo filo di lana saprà indicarci il cammino da seguire per non perderci nelle vicissitudine di un epoca particolarmente travagliata. V.E. Pisu vedi anche https://vimeo.com/360012316

SARDONIA ITALIA sta costituendo un raggruppamento di associazioni e di volontà individuali allo scopo di creare un lanificio ad Arbus per fabbricare a partire dalla lana della pecora nera di Arbus un tessuto speciale il Nero di Arbus Se volete partecipare scrivete a Pietrina Atzori

Via E. d’Arborea n. 48 09026 San Sperate

pietra64@yahoo.it http://pietrina-atzori.blogspot.it/

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Photo Radio X

Photo Unione Sarda

l “Progetto di Arte Sociale” si compone di un viaggio che l’artista di San Sperate ha compiuto dal 17 agosto al 2 settembre girando l’Italia in scooter e percorrendo circa 3.500 chilometri per recapitare il filo di lana ai sindaci. Cagliari poi Palermo, Catania, Taormina, Messina, Villa San Giovanni, Matera, Ginosa, Alberobello, Benevento, Calvi dell’Umbria, Foligno, Valtopina, Assisi, Jesi, Roncofreddo, Cesena, Ravenna, Ferrara, Padova, Verona, Brescia, Collegno, Asti, Torino, Noli, Albenga, Onzo, Genova, Sassari, Nuoro, Mamoiada, Oristano e infine Arbus sono i Comuni toccati. L’obiettivo dell’artista e quindi la sua “opera” è stata quella di connettere, srotolando un lungo filo di lana, luoghi e persone intorno alla conoscenza di questa biodiversità, del suo speciale colore naturale, nonché del fatto che questa lana oggi è trattata come un rifiuto speciale. Con questo progetto è stato messo in evidenza un aspetto sociale legato alle minoranze. Proteggere questa razza, dal vello corvino unico al mondo, salva una biodiversità che conta circa 3000 esemplari tutti concentrati in Sardegna con impatti positivi sul territorio in cui vive. La pecora nera di Arbus appartiene al suo territorio ma è anche un bene prezioso per tutto il mondo. Non è azzardato accomunare la sua lana al pre-

l’occasione della presentazione del Progetto di Arte Sociale a cura di Pietrina Atzori, e successivamente durante la cena che ha seguito la cerimonia allo Spazio Antas, é nata l’dea di creare un lanificio che lavorerebbe la lana della pecora nera di Arbus. Questa idea era stata comunque già evocata, anche se in forma diversa, all’occasione della riunione pubblica dell’aprile scorso, svoltasi nella sala conciliare con la partecipazione di numerose personalità pubbliche e private inggagiate da diverso tempo nella valorizzazione della pecora nera di Arbus. Il tema che comunque é emerso dalla discussione del venerdi 13 settembre é che la valorizzazione dell’eccezione zoologica arburese passa necessariamente da una valorizzazione del territorio e dei suoi abitanti. Questo progetto di Lanificio vuole appunto creare un’opportunità e per gli abitanti e per il territorio in modo da permettere a tutti di creare delle attività non solamente economicamente valide ma anche culturalmente ricche e capaci di sviluppare non solo una specificità legata all’unicità della pecora nera arburese ma nello stesso tempo la possibilità di mantenere sul territorio tutte le attività economiche culturali ed artistiche che ne derivano. Un progetto ambizioso e possibile attraverso la partecipazione di tutte le volontà sia locali che regionali senza dimenticare la vostra . Vittorio E: Pisu

enerdi 5 aprile 2019 ha avuto luogo in Arbus un incontro pubblico nell’Aula Consiliare del Comune in Via Pietro Leo. Il tema della tavola rotonda era : Progetto di valorizzazione della biodiversità identitaria - “Pecora nera di Arbus” - Stato di attuazione e prospettive. L’incontro, coordinato da Francesco Sanna, di Laore sardegna, ha discusso intorno ai seguenti temi: Stato attuazione delle azioni previste dal progetto di valorizzazione pecora nera di Arbus. Formaggi e ricotta di pecora nera di Arbus, prodotti agricoli tradizionali. I risultati del corso sulla lavorazione della Lana di pecora nera di Arbus Il percorso per realizzare un marchio collettivo territoriale sulla pecora nera. L’esperienza dell’azienda TESSART di Villamassargia nella valorizzazione della Lana di pecora sarda Confronto aperto sulle prospettive del progetto di valorizzazione della Biodiversità identitaria “ Sono intervenuti Antonello Ecca, Sindaco comune di Arbus Michele Schirru, Vice Sindaco comune di Arbus Annita Tatti, Consigliera comunale comune di Arbus Antonio Maccioni, Laore Sardegna Elettra Godani, TecnoFor Giuseppe Serra, Sardegna Ricerche Antonio Marrocu, GAL Linas Campidano insieme a Michele Schirru, Francesco Sanna, Pietrina Atzori, Anna De Col, Michele Schirru, Annita Tatti, Rita e Salvatore Cogoni. http://www.comunediarbus.

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Foto La Balena

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LA BALENA CASA DEL MANTEGNA

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a tradizione gastronomica cagliaritana é antichissima e più che una tradizione é una vera religione, anche se pochi sono purtroppo i celebranti in un’epoca di fast food ed altre sushisterie. Per nostra fortuna esiste La Balena, quindi approffitiamone finchè siamo ancora qui. Ricordo con emozione Sa cardiga e su schironi degli anni sessanta ed oggi varcare la soglia de La Balena é come fare un viaggio nel tempo, quando la plastica non ci aveva ancora invaso e le nostre nonne sorvegliavano attentamente la cottura del pesce insegnandoci il modo di condirlo in un piatto riempito d’acqua salata, aglio e prezzemolo tritati, dove immergevamo il pesce appena arrostito. Non posso dirvi altro che invitarvi a correre in via Santa Gilla al più presto, senza dimenticare di telefonare prima. Mi ringrazierete sicuramente. Buon appettito. V. E. Pisu

Astratto-Realista

Lorenza Sannai e Lucio Pozzi 14 settembre 2019 13 ottobre 2019

La Balena

Re del Pesce e dell’Aragosta Frutti di mare Arrosto e Fritto Via Santa Gilla 123 09122 Cagliari Tel. 070 288415

CASA DEL MANTEGNA via Acerbi 47- 46100 Mantova 0376 360506 info@casadelmantegna.it 0376 224887 - 0376 357529 casadelmantegna@ provincia.mantova.it

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n evergreen. Una delle trattorie storiche della Cagliari verace e vorace. Uno di quei posti dove non si pignoleggia. Non si discute, non si osserva. La storia del ristorante è datata. Lo storico propietario scopro essere stato socio di altro noto ristoratore (Sa Cardiga e Su Schironi) poi avventuratosi più di 50 anni fa in autonoma esperienza. Oggi il ristorante La Balena è un cult. Un posto senza fronzoli. Una trattoria sincera. Pesce fresco e basta. E, dunque, profittiamo degli antipasti freschissimi. Ottimo il polpo, con giusta cottura. Patate non forti. Bocconi maschi (prediligo, invece, le femmine...), comunque nella norma. Poi cozze in verde, davvero buone. Anche il tonno con la cipolla bianca è delicatissimo. Benché, storicamente, la trattoria non faccia primi, da qualche anno è stata introdotta la fregola di mare. Ne chiediamo un assaggio e merita. Dunque: mezza porzione. Saporita e piccantina. Seguiamo con il piatto forte: fritto misto. Ottimo. Ghiozzetti piccoli, sarde, calamari, gamberetti. A distanza di ore non accuso le pesantezze dei fritti che solitamente devastano. Ci glorifichiamo con un muggine da mezzo chilo che così preparato, servito su salamoia alla cagliaritana si è dimostrato il re della serata. Davvero squisito! Accompagnamo con vino bianco della casa e chiudiamo il pasto con un rosolio di foglie di ulivo (novità assoluta: molto morbido) e con una grappa netta di vinacce (fil’e ferru). Ottimo davvero. Il prezzo (25 euro a testa) è coerente con il luogo ed è buono con riferimento alla qualità del cibo. Suggerisco assolutamente una gita. No menu, no fronzoli. Cucina, pesce fresco e ambiente semplice, ma estremamente tranquillo.Personale attento e simpatico. Bagni veramente puliti e nuovi. Mangiare in Viaggio

piccoli quadri su tavola di geometria policroma di Lorenza Sannai sono alternati alle grandi carte di figurazioni dipinte da Lucio Pozzi in nero su bianco. Nell’ambito di un ciclo di mostre “astrazione e realismo- dialoghi fra generazioni di artisti “, che ha l’intento di mettere in discussione una certa concezione meccanica del progresso artistico come abbandono definitivo di istanze realistiche a favore di quelle astratte e di riprendere la dialettica anche contenutistica fa i due momenti, attraverso dialoghi, a coppie, di artisti di generazioni differenti (già affermati o in corso di affermazione), la Casa del Mantegna ospita, dal 14 settembre al 13 ottobre 2019 la mostra “astratto-realista: Lorenza Sannai e Lucio Pozzi”; con inaugurazione sabato 14 settembre alle ore 16.00. Comunicato stampa.

Lorenza Sannai e Lucio Pozzi si dividono, se si può dire così, tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America dove abitano forse la maggior parte del tempo. Ma visitano spesso l’Italia accompagnati dalle loro opere che sfoggiano sia nel Mantovano che in Sardegna, di cui la Sannai é originaria. Al loro incontro una piacevole sensazione di armonia traspare dalla loro coppia e le loro opere sono assolutamente solari e piene di ottimismo. Si intuisce che il loro confrontarsi artisticamente sia una sorgente di ispirazione per entrambi e forse anche di emulazione anche se è difficile immaginarli in competizione l’uno rispetto all’altro. Ricordo una mostra a Cagliari alla Spazio E_MME di Anna Oggianu, dove il dialogo delle loro opere si arrichiva della luce mediterramea della città di Cagliari, un vero piacere per gli occhi e per lo spirito. Grazie.

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CULTURA & ECONOMIA STANIS DESSY affacciarsi verso mercati internazionali, con un approccio innovativo che utilizza la cultura come il cavallo di Troia per l’accesso ai mercati e il posizionamento dei prodotti. Un team di giovani sardi: Maura Fancello, sinologa e manager culturale, Alessandro Pettazzi, economista e Francesco Nanu, chef, hanno deciso di sfatare il mito secondo cui con la cultura non si mangia. L’idea è quella di approfittare di eventi culturali per farle diventare occasioni di promozione del patrimonio isolano, in particolare quello eno-gastronomico, artigianale e della moda. Il progetto si è sviluppato all’interno del programma regionale creato dall’ Aspal e coordinato dalla Fondazione Brodolini per la creazione di impresa: Talent Up Entrepreneurship and back. E presto 1+1=3 testerà la sua validità sul mercato Giapponese. Accompagnano l’esperimento anche altri due collaboratori

nuoresi: Claudio Piga e Simone Manca. Si é iniziato il 23 Settembre a Toga, in Giappone, dove nel corso delle Olimpiadi del Teatro a rappresentare l’Italia era presente il Macbettu, il Macbeth in lingua sarda premio UBU 2017, produzione di Sardegna Teatro. Il team 1+1=3 accompagna l’opera culturale con le eccellenze dell’isola. Accanto all’evento artistico-culturale una delegazione di sapori con la presentazione delle ricette della tradizione e alcune fra le eccellenze eno-gastronomiche isolane. 1+1=3 continuerà il suo viaggio a Okinawa, isola dei centenari, e Tokyo, dove in collaborazione con l’associazione ISOLA, saranno presentati gli scatti di Laura Mele e la mostra Chentannos, a cura di Manca Spazio. Il 4 Ottobre al Seadas Flower Cafe di Tokyo si terrà un evento di networking legato alla Sardegna, ai prodotti della tradizione e alla cultura dell’isola. Ospiti speciali dell’evento saranno i Tenores de Tokyo con le musiche dall’Isola. Francesco Nanu chef del Rifugio a Nuoro e del progetto 1+1=3 presenterà per l’occasione il Filindeu, prezioso piatto della tradizione nuorese nonché la pasta più rara al mondo.

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tanis Dessy nacque ad Arzana, in provincia di Nuoro, il 24 agosto del 1900. Durante l’adolescenza frequentò il liceo classico a Cagliari e nel 1917, grazie a una borsa di studio del Comune, si trasferì a Roma e cominciò la sua formazione artistica dedicandosi maggiormente allo studio del disegno e dell’acquerello. Nel 1921, fatto ritorno nel capoluogo sardo, Stanis Dessy iniziò ad avvicinarsi all’ambiente artistico isolano e conobbe lo scultore Francesco Ciusa e il pittore Filippo Figari; sotto la guida di Ciusa sperimentò la scultura e per qualche tempo insegnò disegno presso la scuola di Rieducazione per Mutilati. Nello stesso anno debuttò nella Mostra del Circolo Universitario Cattolico e nel 1922 realizzò le decorazioni per il Teatro all’aperto del Lido Cagliaritano. Nel 1923 espose una scultura alla Quadriennale di Torino e iniziò a collaborare come illustratore alla rivista “Il Nuraghe”. Nel 1924, Stanis Dessy fece la conoscenza di Ada Dessì e si trasferì a Sassari. Durante il corso della vita ebbe modo di frequentare artisti come Mario Delitala ed Eugenio Tavolara. Nel 1928 partecipò alla Prima Biennale d’Arte Sarda e un paio di anni più tardi alla II Mostra Internazionale di Incisione di Chicago e alla

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on la cultura non si mangia. Va bene, ormai l’infelice uscita dell’allora ministro Giulio Tremonti l’abbiamo commentata mille volte, perché tornarci ancora? Perché stavolta farete fatica a credere chi possa – 4 anni dopo – averla ribadita, con tutti i crismi dell’ufficialità. Parliamo nientemeno che del presidente USA Barack Obama, politico a suo tempo salutato con tripudio dall’intellighentzia culturale americana ma anche globale, un personaggio che avrebbe messo fine agli anni bui del volgare materialismo dei vari Bush. E invece le cose sono andate – e vanno – in maniera un po’ diversa. Questa in oggetto può essere solo la più classica delle gaffes, ma si iscrive in un contesto che ne fa solo la classica “ultima goccia”. Cosa si è lasciato sfuggire, insomma, Obama? Invitato nel Wisconsin per un incontro con i giovani, li ha incoraggiati a prendere in considerazione di ottenere qualifiche in settori che li porterebbero a guadagnare di più “di quello che potrebbero con una laurea in storia dell’arte”. Tradotto: con l’arte non si mangia. Pare che poi il presidente si sia reso conto dell’arditezza della tesi, cercando – inutilmente – di smorzarla con una battuta: “ora mi inonderete di email di protesta…”. Per fortuna delle iniziative reali dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno al giorno d’oggi, che con la Cultura si mangia eccome! Si chiama “1+1=3” ed é un progetto di 3 giovani sardi che mira a supportare le piccole e medie imprese sarde che intendono

Biennale di Venezia. Stanis Dessy fu considerato dalla critica uno dei protagonisti più rappresentativi della scuola sarda di xilografia. Nel 1934 divenne fiduciario del Sindacato Regionale Fascista Belle Arti. Nello stesso anno realizzò le decorazioni della Cattedrale di Alghero, della scuola di San Giuseppe a Sassari e lavorò alla tela San Francesco predica agli uccelli per la chiesa di Orani. Nel 1935, Stanis Dessy vinse il premio per la xilografia in ex aequo con Mario Delitala. Grazie al successo della scuola di incisione da lui fondata, venne istituita a Sassari una scuola d’arte con direttore Filippo Figari e lo stesso Dessy come insegnante. Continuò ad esporre le sue opere e vincere numerosi premi fino agli anni Settanta. Nel 1975 venne ricoverato per un ictus nell’ospedale sassarese. Stanis Dessy morì, undici anni più tardi, nella sua casa di Sassari il 21 ottobre del 1986; in via Largo Cavallotti è affissa una targa in suo onore. “Lo hanno definito il più nazionale degli artisti sardi. Eppure, ancora oggi, la sua estesa produzione non ha trovato casa. Non a Sassari, dove papà ha vissuto e lavorato, non ad Arzana, dove è nato, non a Cagliari, il capoluogo a vocazione turistica. Dapprima mancavano i fondi, poi

gli spazi, adesso chissà…”. “Lo hanno definito il più nazionale degli artisti sardi. Eppure, ancora oggi, la sua estesa produzione non ha trovato casa. Non a Sassari, dove papà ha vissuto e lavorato, non ad Arzana, dove è nato, non a Cagliari, il capoluogo a vocazione turistica. Dapprima mancavano i fondi, poi gli spazi, adesso chissà…”. La voce di Paola Dessy, figlia di uno dei grandi protagonisti dell’arte novecentesca, non nasconde una nota di amarezza. L’abbiamo incontrata a Oristano, dove alla Pinacoteca Carlo Contini, é stata inaugurata una personale su suo padre, Stanis Dessy, retrospettiva che con 120 opere e per numero di inediti e scelte dei curatori, si annuncia come la più significativa nella produzione espositiva del grande artista. La Sardegna non è stata generosa con suo padre. Né con lui né con Giuseppe Biasi. Ma non sono convinta si tratti di ingratitudine. In fondo, il desiderio di dedicare uno spazio adeguato a questi due grandi artisti c’è sempre stato, anche se il progetto non è mai partito. Troppe beghe politiche, troppi intoppi burocratici. E pensare che mia sorella Laura Amelia, nel caso trovassero un luogo adeguato, avrebbe intenzione di regalare un centinaio dei suoi lavori, compreso il famoso autoritratto. Io stessa ho raccolto tutte le incisioni, più di 500, ed è un mio profondo desiderio poter vedere tutta la sua opera sparsa in giro per il mondo finalmente raccolta in un bel museo. A Sassari, in Largo Cavallotti, hanno messo una targa commemorativa… Non è esattamente il tipo di riconoscimento a cui pensiamo. Donatella Percivale La mostra è stata curata da Giannella Demuro; Paola Dessy, Ivo Serafino Fenu e Caterina Limentani Virdis ed è accompagnata da un catalogo a colori, con testi critici di Caterina Limentani Virdis, edito da Ilisso edizionin.(2013) https://www.sardiniapost.it/senza-categoria/stanis-dessy/

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ne al creare opere di grande misura una caratteristica prettamente maschile. Di tutt’altro avviso Rossi che vede il quadro grande come un suggerimento alla mancanza di limiti: si sa dove entra ma non dove finisce. In breve dalla ricerca delle forme figurative passò ad un perduto innamoramento per una forma più intellettualizzata e soprattutto per il colore. In realtà il gioco forza stava e sta tuttora nell’impadronirsi del colore come forma plastica. Ad ispirarla, senza dubbio, tanto l’amore dei tubetti quanto quello per la natura. Riesce a generare un ricco glossario del colore capace di riempire gli occhi e l’anima di chi osserva le sue opere. Un altro elemento centrale della sua opera è senza dubbio la geometria, parte essenziale della nostra esistenza. Riferendosi alla successione di Fibonacci, Rossi utilizza un preciso sistema per elaborare le composizioni di colori e aumentare cromaticamente le sue righe. «Se la prima riga è blu, la seconda è blu più un carato di arancio, la terza è blu più due carati di arancio e così via, fino a raggiungere un colore che è la somma dei precedenti e allo stesso tempo altro da essi, e dove la superficie non è piatta, ma vibrante perché riflette l’idea del movimento dato dalla scala cromatica». Rosanna Rossi non si è mai sottomessa alle leggi di mercato. Il suo punto fermo è stato di non svendere mai neanche nei periodi più difficili. E ne ha vissuti numerosi. Questo la portò ben presto ad inventarsi qualcosa di nuovo: inizia a rendere uniche magliette e maglioni. Per Via della Spiga prima, per la boutique Seventy Five di Cagliari poi e infine per un negozio in Piazza di Spagna. Dovunque un successone! Però non resta ancora oggi nulla di più interessante per lei che «giungere nel mio studio, preparare i co-

lori, prendere i pennelli e sfidare ogni giorno la mia creatività». Una grande donna, un’esemplare artista che siamo lieti di presentare nuovamente a Torino, dopo l’importante lavoro del compianto Giancarlo Salzano! Hanno scritto di lei moltissimi critici italiani, ne ricordiamo alcuni: Lea Vergine: per la personale “Arcipelaghi. Opere 1995-1996”; “Trash. Quando i rifiuti diventano arte” del 1997-1998 e “D’Ombra” Marisa Volpi Orlandini: per l’esposizione “L’incontro” del 1973 Gillo Dorfles: per le mostre “Bon à tirer” e “Il segno” del 1974 Per leggere i testi critici, guardare le opere e conoscere il suo percorso espositivo visitate l’Archivio Multimediale d’Artista. Alessandro Cacciola ottobre 2017 Dopo Mare di Ferro al MACC Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta, presentato da Efisio Carbone e Legittima Difesa a Cagliari alla Rassegna d’Arte Contemporanea del Centro Scuola Pirandello, mostra curata da Raffaella Venturi che così commentò l’esposizione dei lavori di Rosanna Rossi che inaugurava il suo ciclo Legittima Difesa : Come ti difendi? Difendo il mio fare mutando le dimensioni. Da cosa ti difendi? Mi difendo dall’inutilità del mio esistere senza la pittura. Sostiene Calvino che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. La pittura di Rosanna Rossi è un classico. Non ha mai finito di dipingere quel che ha da dipingere. Un calcolatissimo fronte di variazioni su colore, forme, segni, formati – ma anche su materiali, i più inimmaginabili, i guanti gialli da cucina, per esempio – assimilabili alle variazioni in musica, Lully, Bach, Handel. È dare ordine, ritmo, poesia al suo racconto interiore, che interessa a questa artista contemporanea e classica, racconto che custodisce e domina dentro di sé col suo compassato stare sulla vita quotidiana, non rivolta ai ricordi, semmai concentrata nella difesa dall’opprimente presente, in una resistenza che diventa modello per un vivere femminile con la fierezza di essere femminile: coraggioso, autoironico, generoso. Rossi transustanzia il suo racconto interiore in colta pittura, che attraversa i cieli di Tiepolo e arriva alla luce dei neon di Dan Flavin. Capace, anche, di un rigore assoluto, da mare e teatri di Hiroshi Sugimoto. Da teatri e biblioteche di Candida Höfer. Ad un certo punto della sua storia personale

FotoRosanna Rossi

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ono tre gli aggettivi che descrivono in breve un’artista fuori dal comune come Rossi: impegnata, libera e pura. Incontrata per caso, tramite un prezioso collezionista della galleria, è divenuta in pochissimo tempo uno dei motivi per cui tirare su la saracinesca. Ci riferiamo dunque a una saracinesca metaforica, legata più al morale: in Italia, ma forse più in generale nel mondo, è sempre più difficile proporre qualcosa che sorprenda e che ci spinga a soffermarci. Non una sosta fisica ma mentale, fermarci ad apprezzare e a capire l’arte di Rossi è più che necessario. Facciamo un passo indietro: cerchiamo di conoscere più da vicino l’artista, questo ci aiuterà a comprendere meglio la sua arte. Rosanna Rossi nasce a Cagliari nel 1937, figlia di due toscani militanti. Il padre, suo grande sostenitore, lavorava per la ICET, installava linee elettriche e telefoniche. Non smetteva di ricordarle che era un artista come lei, infatti anche lui portava la luce. Una luce che Rossi inizia a cercare già in tenerissima età in un modo un po’ folle: per raccogliere quella del sole, ingoiava ingenuamente i sassolini bianchi levigati. La passione per la pittura nasce a tre anni quando, dovendo trascorrere lunghi periodi a letto per via delle adenoidi infiammate, suo papà le portava album e matite colorate per tenerle compagnia. Anche la madre sostenne con forza la sua passione pittorica, proponendo mostre della figlia a chiunque. La sua prima personale, organizzata alla Galleria Fontanella di Roma – città in cui Rossi si era trasferita per studiare – fu organizzata proprio dalla mamma. Qui si firmò come R. Rossi per lasciare il dubbio che potesse trattarsi di un uomo a dipingere. Nascondere il genere le diede grandi soddisfazioni, la madre le riportava i commenti dei presenti che tenevano a sottolineare quanto fossero maschili i lavori alle pareti. La critica considerava la propensio-

ROSANNA ROSSI Vibrazioni Sottili fino al 5 Novembre 2019

Proseguendo e sistematizzando il processo di riscoperta dell’artista sarda e della sua opera prodotta nel corso di una carriera creativa di oltre sessant’anni improntata alla sperimentazione continua. Titolo suggerito da Alfredo Cramerotti, che interviene ad accompagnare la mostra con un testo critico, per proporre una lettura ispirata all’idea di ritmo come la sempre viva e necessaria contraddizione tra il rigore delle strutture e il flusso della vita.

Prometeogallery di Ida Pisani Via Giovanni Ventura 6 Milano

www.prometeogallery.

- una grande, alta narrazione a parte – Rossi lascia definitivamente le ampie dimensioni e si difende con una lunga teoria di tele ad olio 40 per 40 centimetri. La sua difesa, i suoi pedoni, in una scacchiera che li conta a multipli di tre, non di otto. Le inedite “Sonatine”, presentate allo Spazio Pirandello di Cagliari, che apre con questa mostra ad una nuova stagione espositiva, mantengono intatti, pur in un formato ridotto, potenza e dinamismo dei grandi formati. È ancora una conferma della pittura come trascendenza. Piccole tele che sortiscono quel particolare stupore subitaneo tipico delle tavole delle annunciazioni. Fremito di vita dirompente, là, pervasivo, qui. Rossi, col suo lavorio condotto “con ardore da mistica”, come ha scritto Lea Vergine, domina tutto quel fluido scambio di toni e forme morbide, migrando da una tela all’altra, ingannando l’occhio di chi guarda, che, credendo di essere in quella prima, è già in quella dopo.

È già in quella successiva, la sua mano, la sua conoscenza, il suo dominio cromatico. E noi, spettatori incantati, siamo ancora lì, in quella prima, a chiederci come faccia, questa artista, ad essere, allo stesso tempo, così imperturbabile nel micro-gesto e così capace di dominio della materia colore, che carica o depotenzia a seconda della rotta che ha deciso. Sono tele aperte, che accolgono quello che viene prima e che viene dopo. Ed ecco Vibrazioni Sottili che a Milano ci presenta ancora un altro aspetto della sua opera poliedrica e estremamente libera nella sua espressione che ha esplorato i più diversi metodi plastici, inventandone sovente alcuni e sfruttando fino in fondo non solo le capacità aggregative e significanti dei più svariati materiali, utensili ed oggetti del quotidiano, ma spingendo fino al parossismo le possibilità pittoriche, cromatiche e spaziali di una semplicissima tavola. Da non perdere. V.E. Pisu

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Foto Dietrich Steinmetz

ANFITEATRO ROMANO A CAGLIARI I

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n principio fu la propaganda elettorale: “riapriamo l’anfiteatro chiuso” era uno dei punti del programma del centrodestra per le elezioni comunali del 16 giugno a Cagliari. E noi a rispondere: l’anfiteatro è aperto e visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 19, non è vero che è chiuso. Adesso che il centrodestra ha vinto le elezioni la scusa della propaganda non vale più. Perché dunque mentire? La consigliera Antonella Scarfò del Psd’Az ha rilasciato due giorni fa un’intervista a un quotidiano locale sostenendo che “La più grande sconfitta per la nostra città è la chiusura di diversi musei e siti di elevata importanza culturale come l’Anfiteatro romano, la grotta della Vipera, la Villa di Tigellio, la torre di San Pancrazio“. La grotta della Vipera è stata appena restaurata e riaprirà a giorni, la torre di San Pancrazio (e quella dell’Elefante) sono in restauro, la villa di Tigellio è aperta. E l’Anfiteatro è sempre lì, aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19. Tra i commenti all’articolo vari cittadini sdegnati, pochissimi hanno invece sottolineato l’errore. A questo punto ci chiediamo se qualcuno sia ancora in campagna

elettorale, se sia solo disinformato o se invece, cosa più probabile, abbia assorbito da tempo un’informazione errata senza poi verificare. Insomma, attorno a questa storia dell’Anfiteatro c’è molto molto caos. E però, siccome sono consigliera comunale anche io, siccome in Consiglio faccio parte della commissione Cultura, siccome sono pure archeologa, e siccome sono anche una cittadina che ama la propria città, mi piacerebbe raccontare la storia dell’Anfiteatro. Quella vera, senza propaganda, opinioni personali e distorsioni. Mi ha aiutato l’incontro, ieri durante la terza seduta della commissione Cultura, con Luisa Mulliri, architetta del Comune di Cagliari, che ci ha presentato tutti i dettagli di questa vicenda. Io ci provo a riassumerli, prometto che sarò breve per quanto potrò. Tutte queste informazioni sono reperibili sul sito del Comune di Cagliari e sulla stampa. Molti dettagli anche qui sul sito del Gruppo di Intervento Giuridico. E’ il 1998, l’Anfiteatro romano ospita spettacoli e concerti. Il Consiglio comunale (il sindaco era Mariano Delogu, centrodestra) approva un progetto da sei miliardi e mezzo di lire per ricoprire il

monumento con gradinate di legno e metallo con l’obiettivo di moltiplicare i posti per gli spettatori. Il progetto prevede strutture amovibili e leggere e da smontare alla fine dell’estate, e la Soprintendenza archeologica e la Regione Sardegna danno il consenso, contro il parere di migliaia di cittadini (tra cui Giovanni Lilliu e Antonio Romagnino che hanno paura per i danni al monumento). Nonostante ciò i lavori procedono, la struttura viene piazzata sopra la pietra antica. Ma alla fine della stagione la “legnaia” (così entra nel lessico cagliaritano) non viene smantellata e resta lì. Ci resta per 14 anni, nonostante le richieste della Soprintendenza archeologica e una sentenza del Tar contro il Comune di Cagliari. Togliere la legnaia nel frattempo è diventato un costo enorme, aggiungiamo che il legno marcisce, i buchi sulla pietra creano infiltrazioni d’acqua, alcuni punti diventano pericolanti. Nel 2012 in Comune c’è il centrosinistra. La Giunta comunale con il sindaco Massimo Zedda mette mano all’Anfiteatro: vengono recuperati 230 mila euro per smontare subito una parte della legnaia. Nel 2014 viene approvato un progetto per togliere definitivamente legno e acciaio (qui tutti i documenti): 677 mila euro per i lavori, affidati nel 2016 all’impresa Ser.Lu (qui l’affidamento); 90 mila servono per la sicurezza. Tra i lavori ci sono la verifica e messa in sicurezza tramite mappatura dei percorsi sicuri, l’installazione delle gru e avvio dello smontaggio, indagini, rilievi geologici e botanici, scavi archeologici (che mettono in luce pittu-

re e affreschi), redazione del progetto esecutivo per il restauro. Il monumento viene anche mappato con un laser scanner che permetterà una ricostruzione virtuale del sito. Il progetto esecutivo per il restauro viene mandato alla Soprintendenza archeologica (che, non dimentichiamo, è responsabile per la tutela del del bene come tutti i beni archeologici in Italia ai sensi del Codice per i beni culturali e del paesaggio) e nel gennaio 2017 è approvato. Complessivamente si calcola che per tutto il restauro serviranno oltre un milione di euro; la prima fase, già finanziata, è iniziata nel 2018 e non si è conclusa, seguiranno le altre fasi. In totale per il restauro mancano ancora 700 – 900 mila euro (forse anche di più) perché il monumento possa essere riconsegnato alla città. Il restauro, non ci stancheremo mai di dirlo, è indispensabile dopo la rimozione della legnaia. Cosa succede adesso? Il sito è aperto, ma il vecchio ingresso di viale Fra Ignazio è impraticabile perché porta a una rampa troppo ripida e si accede da viale Buoncammino; si visita parzialmente camminando su una passerella. E’ un cantiere aperto (con restauratori e operai all’opera), zone non in sicurezza, zone pericolanti, zone dove mancano passaggi e passerelle. Come in qualsiasi cantiere i visitatori non possono camminare dove vogliono, non possono arrampicarsi per le gradinate, non possono entrare nei cunicoli perché tutto questo è pericoloso. Cosa succederà? Se questi 700-900 mila, che oggi non ci sono nelle casse comunali, dovessero arrivare domani, il restauro potrebbe

concludersi entro sei mesi. A lavori ultimati avremo un percorso di visita (sempre nel rispetto del monumento) completo con cui ammirare tutta la grandezza di una simile opera. Cosa non succederà mai: il vecchio accesso non si potrà più usare ed è impensabile far entrare i visitatori senza vie di fuga sicure, l’unico accesso può essere dall’Orto botanico come già si legge nel Piano particolareggiato del centro storico approvato nel 2016 dalla precedente amministrazione, che prevede il collegamento di tutto il parco archeologico tra Orto botanico, Orto dei Cappuccini e Anfiteatro. Non si potrà più poggiare sulle gradinate in pietra una struttura di legno e metallo come la vecchia “legnaia”. Neanche “se scendesse Sant’Efisio in terra”, come ha suggerito qualcuno. E finalmente, la domanda delle domande: potremo assistere nuovamente a spettacoli e concerti? Non lo sappiamo: una volta terminato il restauro l’Amministrazione comunale preparerà un progetto nuovo, da finanziare con nuovi soldi, per usare il monumento come arena, la Soprintendenza valuterà. E’ sicuro che gli spettatori non potranno stare sulle gradinate (pericoloso), è sicuro che non avremo lì den-

tro diecimila persone, ma forse neanche duemila. Si potrà forse usare la gradinata come sfondo, con strutture metalliche e sedute amovibili nella parte bassa, ma sarà la Soprintendenza a stabilire quanti spettatori potranno accedere. Forse 500, 1000? Il Comune può proporre ma è il Ministero dei Beni culturali, tramite il suo ufficio periferico della Soprintenenza, a dare il parere ultimo su cosa si può o non si può. Ce lo ricorda il Codice dei beni culturali e del paesaggio all’articolo 20: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. Insomma, chi dice che il monumento è chiuso mente, chi dice che torneranno i grandi eventi mente, chi dice che è chiuso per incompetenza dell’Amministrazione precedente mente Quello che è certo è che abbiamo un monumento prezioso e delicatissimo, che è prima di tutto un bene archeologico da tutelare e valorizzare e solo in ultimo uno spazio per spettacoli. Più breve e sintetico di così non si può. Francesca Mulas https://progressisticagliari.home/

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Foto Go Were

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l’amavo”, la quarta e ultima parte del Diario vittoriano di Laura Costantini, e io mi chiedo perché una storia così meravigliosa, con personaggi così incredibili, non sia prima in classifica. Ma so che è una domanda inutile. Voi che leggete questo post, però, compratelo, lasciatevi conquistare da Kiran e Robert. È il miglior regalo che potrete fare a voi stessi. Lucia Guglielminetti Tutti i volumi della serie sono disponibili in formato cartaceo e digitale. “Il ragazzo ombra” (anche in audiolibro letto dall’autrice) https://www.amazon.it/ragazzo-ombra-Laura-Costantini/ dp/8867978004/ “Lord Kiran di Lennox” h t t p s : / / w w w. a m a z o n . i t / Lord-Kiran-Lennox-Laura-Costantini/dp/8867979094/ “Miss Adele Dickinson” https://www.amazon.it/Miss-Adele-Dickinson-Laura-Costantini/dp/8833631125/

Anteprima Nazionale di “Voi mi chiedete se l’amavo”

Laura Costantini

Sabato 5 ottobre 2019 dalle 17:00 alle 19:30 Organisé par Un diario vittoriano e altri progetti Rossana Corti L’evento è Libero e Gratuito È gradita la partecipazione del pubblico in costume vittoriano.

Mediateca del Mediterraneo Sala Eventi via Mameli 164, 09123 Cagliari

Tel. +33 070 677 3865 mem@comune.cagliari.it

Foto Doriana Goracci

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n Anteprima Nazionale, a Cagliari verrà presentato il quarto e conclusivo romanzo delle serie storica di DIARIO VITTORIANO: “Voi mi chiedete se l’amavo” di Laura Costantini per goWare Edizioni con le Danys (Daniela Orrù e Daniela Serri ), illustratrici delle copertine originali. Sarà un evento teatralizzato, che darà modo di entrare dentro le vicissitudini e i sentimenti dei protagonisti, ideato e curato da Rossana Corti. Trama: “La serie di “Diario Vittoriano” racconta la storia di Kiran di Lennox, nato dallo scandaloso amore tra un principe indiano e una giovane nobildonna inglese che, per colpa dell’odio e dell’avidità umana, si ritrova ad attraversare un inferno in terra, nella propria terra natale, l’India. Riuscirà a sfuggirne grazie all’aiuto di un nobile ragazzo scozzese, Robert Montcliff, e della di lui famiglia, che lo restituiranno ai suoi privilegi di nascita, conducendolo in Inghilterra fino al cospetto della Regina Vittoria. Ma nella terra di sua madre, Kiran troverà ad attenderlo il pregiudizio, la solitudine e gli orrori della corruzione dei potenti. E sceglierà di combattere quella violenza, per difendere i più poveri e indifesi, soprattutto i bambini e i ragazzini. A qualunque costo. Mettendo a rischio la propria vita.” Raramente ho letto un pezzo di tale intensità e poesia. Raramente ho rabbrividito fino a questo punto di partecipazione, di pena e di amore leggendo qualcosa. Queste pagine sono riuscite a fare tutto questo, anche se non era la prima volta che le leggevo. Questo è “Voi mi chiedete se

DONNE IN MINIERA E

ra il pomeriggio del 4 maggio 1871. Al cantiere di Atzuni, nella miniera di Montevecchio, un gruppo di donne e di bambine camminavano verso un capannone con lo sguardo a terra, annichilite dalla stanchezza. Avevano spaccato e insaccato pietre per tutto il giorno con mani ormai ruvide e callose. L’avevano fatto, come sempre, sin dall’alba, in rigoroso silenzio. Il “caporale” non tollerava che si chiacchierasse e la punizione sarebbe costata l’intera paga di una giornata. Il ricatto del pane. Un costo troppo caro per chi lavora per sopravvivere. Trascinavano le loro esistenze dentro abiti ruvidi e consunti, svuotate da una fatica che annientava ogni slancio di vita. La strada per tornare a casa era molto lunga. Ogni giorno arrivavano da Arbus e Guspini a piedi. Erano donne disperate. Vedove di minatori, mogli con troppi figli da sfamare lasciati a casa ad accudirsi tra loro, bambine di famiglie in cui l’infanzia finisce il giorno in cui si è in grado di rispondere agli ordini dei capiservizio». «Se dopo le otto, dieci ore la stanchezza impediva di tornare a casa, si poteva restare al

cantiere e riposare sulle brande, dentro dormitori senza servizi igienici né alcun tipo di confort.» Racconta Iride Peis Concas che nel suo libro “Donne e Bambine nella miniera di Montevecchio” (Pezzini editore) ha ridato un nome e un volto a quelle donne che la storia e la memoria popolare aveva cancellato troppo presto, relegando all’oblio le loro esistenze come se i fatti accaduti fossero routine. «Quel pomeriggio erano trenta le donne e le bambine che rimasero nel cantiere a riposare sui giacigli. Sopra il dormitorio c’era una grossa vasca d’acqua che serviva per lavare i minerali, si ruppe e fece crollare il tetto. Morirono 11 donne. La più anziana, Rosa, aveva cinquant’anni e la più giovane era una bambina di undici, Anna». na miniera di donne dimenticate: le cernitrici di Montevecchio. L’Archivio Storico Minerario IGEA, attraverso i suoi 25.897 faldoni, 2.500 immagini, 2.582 documenti, migliaia di cartografie, disegni e un numero incalcolabile di materiale cartaceo, racconta questa e centinaia di altre storie delle vite che hanno gravitato attorno alle miniere, rivelando una presenza femminile poco nota, ma così forte da ridisegnare l’immaginario collettivo che vuole le minie-

re un luogo popolato solo da uomini. «In effetti le prime donne minatrici si sono avute solo vent’anni fa e la ragione per cui prima non lo facevano era anche legata alla superstizione – racconta l’archivista e ricercatore dell’IGEA Roberto Caddeo, attorniato dai faldoni di un archivio che, per la mole del materiale conservato, è considerato la raccolta di documenti di carattere minerario e industriale tra i più importanti in Italia e tra i più consistenti in ambito internazionale. Così come nelle navi, in miniera si riteneva non potessero lavorare né le donne né i preti. Tuttavia erano presenti molte donne che svolgevano l’attività di cernitrici, bardellavano, vagonavano, spaccavano, grigliavano e insaccavano il minerale pulito. Un’attività che svolgevano anche le bambine». Ho anche letto di un’ altra miniera, talco e lavoro delle donne: «Nella lavorazione del talco le troviamo nel trasporto dei sacchi con la slitta di un tempo, nella cernita a S. Sebastiano ai mulini, in alcune fasi del lavoro ai mulini (vecchio insaccamento), nelle pulizie, in cucina e fra gli impiegati.Una figura importante è la padrona, Ada Villa, la Madama di ferro che costringeva a mesi di lotta i minatori». C. Muntoni https://www. agoravox.it/Una-minie ra-di-donne-dimenticate.html

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Associazione Turistica Pro Loco di Vallermosa, vi invita alla terza edizione di Sapori d’Autunno a Vallermosa, paese fatto di antiche case dai mattoni d’argilla e bellissimi storici portoni in legno, tipici delle case campidanesi. Ai piedi del monte Cuccurdoni Mannu si apre la vallata che gli spagnoli battezzarono Valle Hermosa, ossia Bella Valle, dal quale deriva appunto il nome attuale del paese. Un territorio ricco di siti archeologici tra i quali Matzanni con i suoi pozzi sacri e i resti di un tempio punico oltre che di un piccolo insediamente di circa 13 capanne, e Fanaris con il suo Nuraghe dal quale si può

ammirare gran parte della vallata e del campidano. Tante anche le aree di interesse naturalistico, una su tutti è quella di Gutturu Mannu, a circa 5 km dal paese, nella quale trovano dimora diverse specie animali e floristiche a rischio estinzione, e nel quale è possibile fermarsi a banchettare grazie ai tavoloni presenti nel parco. Sapori d’Autunno è sicuramente una bellissima occasione per visitare il paese del Sud Sardegna, riscoprire le antiche tradizioni e degustare i prodotti tipici locali e non solo, grazie ad una serie di eventi organizzati per l’occasione e per questa due giorni del 19 e 20 Ottobre. https://www.facebook.com/ events/473219703521845/

Sapori d’Autunno “Domus e Pratzas” a Vallermosa Quinta Edizione Sabato 19 e domenica 20 ottobre 2019 Domus e pratzas apertas, arti e mestieri, tradizioni, artigianato, enogastronomia, musica e promozione del territorio. Comune di Vallermosa (Biddaramosa) Provincia del Sud Sardegna Via Adua n. 2 09010 Vallermosa (SU) Tel. 3923212083

pazia d’Alessandria (in latino Hypatia), scienziata e filosofa greca, è ancora oggi un simbolo della libertà di pensiero, a 1600 anni dalla sua uccisione per mano di fanatici religiosi. Nata fra il 355 e il 370 (c’è incertezza sulla data esatta) presso Alessandria d’Egitto, fu una importantissima matematica, filosofa ed astronoma. Figlia del noto filosofo Teone, studiò fin da giovanissima nella enorme biblioteca d’Alessandria, e ben presto fu a capo della Scuola Alessandrina. Donna di enorme cultura, di lei non sono rimasti scritti probabilmente a causa di uno dei tanti incendi che distrusse la biblioteca (c’è incertezza fra gli storici ma la distruzione della Biblioteca Alessandrina potrebbe essere avvenuta proprio durante la vita di Ipazia, nel 400). Nonostante l’assenza di suoi scritti, altri filosofi del tempo ne parlano come una delle menti più avanzate esistenti allora. Arrivò a formulare anche ipotesi sul movimento della Terra, ed è molto probabile che cercò di superare la teoria tolemaica secondo la quale la Terra era al centro dell’universo. Ipazia viene ricordata anche come inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, strumento con il quale si può misurare il diverso peso specifico dei liquidi. In filosofia aderì alla scuola neoplatonica, anche se secondo le fonti storiche lo fece in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo (uno degli elementi che la condannò a morte). Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci (è grazie a lei ed al padre se le opere di Euclide, Archimede e Diofanto presero la via dell’Oriente tornado poi in Occidente moltissimi secoli dopo), insegnò e divulgò fra i suoi discepoli le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche all’interno del Museo di Alessandria, che a quel tempo era la più importante istituzione culturale esistente. In un clima di fanatismo, di ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana, Ipazia venne trucidata nel marzo del 415, lapidata in una chiesa da una folla di fanatici.

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Foto Fabrizio Bibi Pinna

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SA DOMU’E S’ORCU sa (circa 2 m.). Le grandi dimensioni della tomba colpiscono tanto all’esterno che all’interno della camera funeraria, che oltre ad essere lunga circa 15 m., raggiunge l’ altezza eccezionale di circa 2,5 m. e si presenta intatta. Esternamente la camera termina con un abside. Alcuni menhir si trovano a qualche decina di metri di distanza dall’ingresso. “No, non è una testa di toro ma una donna partoriente” questa la tesi dell’antropologa culturale Luisa Orrù condivisa dall’archeobiologa Ornella Fonzo studiosa dei depositi funerari della Marmilla e sostenuta da Ubaldo Badas curatore onorario del Museo di Villanovaforru: non un simbolo maschile, una testa taurina, ma una donna supina all’atto di partorire. Questa, una recente e affascinante teoria per le tombe dei giganti, forme di sepoltura collettive dell’epoca nuragica, 800 in Sardegna. Quella di Siddi, edificata su un leggero rialzo del terreno sull’omonima Giara nel versante Nord-O-

vest a circa 6 km dal paese, è uno tra i più straordinari esempi di architettura funeraria nuragica che si distingue per l’eccezionale monumentalità e stato di conservazione. Gli scavi hanno portato alla luce resti frammentari di corredi funerari, prevalentemente reperti ceramici attribuibili al Bronzo Medio (XVI secolo a.C. ). Negli scavi di questa e di altre tombe dei giganti non sono stati mai rinvenuti frammenti ossei ma s’ipotizza che la camera funeraria potesse contenere fino a trecento deposizioni accumulate progressivamente nel tempo dopo la costruzione. Sa Domu ‘e S’Orcu ha restituito frammenti di ciotola con scritta neopunica, ceramiche fini da mensa di epoca repubblicana e romana, monete sabaude del XVIII secolo. Evidentemente benché la sepoltura collettiva abbia avuto termine all’inizio del I millennio a.C., la tomba è stata utilizzata impropriamente fino a tempi recenti. Insieme alla vicina tomba a stele di Lunamatrona, quella di Siddi rappresenta uno splendido spaccato delle sepolture nuragiche, a pochi chilometri l’una dall’altra. Comune di Siddi Coordinate: 39°40′00″N 8°53′00″E Abitanti: 665 Superfìcie: 11,02 km²

Foto Rosaria Straffalaci

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a tomba di giganti di Sa Domu e S’orcu è un monumento archeologico situato ad un’altezza di circa 260 metri nell’altipiano della giara di Siddi, area interessata dalla presenza di quattordici nuraghi. Databile al Bronzo medio (15001300 a.C.), la tomba dei giganti Sa Domu è S’Orcu è realizzata con grossi blocchi di basalto estratti dall’altopiano sul quale sorge. La tomba ha una struttura quasi completamente intatta e ben conservata. I blocchi di basalto sono finemente scolpiti e lavorati lungo tutta la struttura, formando un corpo tombale della lunghezza di 15,20 metri disposto lungo l’asse sud-est nord-ovest. L’esedra, area antistante la tomba nella quale presumibilmente si svolgevano rituali legati al culto dei morti, ha un’ampiezza di 18 metri. La sepoltura ha la classica forma di protome taurina (tipica del periodo preistorico sardo) chiusa a semicerchio nella parte posteriore. La camera funeraria di pianta rettangolare ha una lunghezza di circa 10 metri; sul lato sinistro è presente una nicchia forse utilizzata per contenere le offerte funerarie e/o votive. La coperture è caratterizzata da lastre piatte di granito di grandi dimensioni poggiate alla struttura mentre il pavimento era cosparso di ciottoli di fiume nella quale veniva adagiati i defunti. All’interno sono stati rinvenuti frammenti di ceramica dell’età del Bronzo medio e dell’Età del rame. La tipologia “a filari” è tipica delle tombe dei giganti del centro-sud della Sardegna del periodo più arcaico, che non presentano in facciata la stele unica con terminazione centinata. L’esedra è costituita da una muraglia di pietre particolarmente spes-

ROSARIA STRAFFALACI PERSONAL EXHIBITION OF MOBILE ART

Art Historian Giulia Baita Presents

ROSARIA STRAFFALACI Saturday September 14 2019

18 holes stb 2 cat SHOT GUN 10:30 A.M.

PRIZEGIVING With a Buffet 1:30 P.M.

GOLF CLUB LA MORA BIANCA S.P. 2 KM 1,5 ASSEMINI (CAGLIARI)

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asce a Villa San Giovanni, frequenta nella vicina Reggio Calabria il Liceo Artistico Statale Mattia Preti, dopo la maturità conclude il suo percorso di studi alla Scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti reggina. I primi approci col colore e la pittura ed olio avvengono in tenera età, Rosaria porta avanti la sua ricerca tra lirismo cromatico e superfici materiche, guarda ai grandi del passato spazia dall’espressionismo astratto all’arte concettuale. I suoi insegnanti sono stati grandi maestri della pittura informale italiana a loro ha guardato con grande attenzione ottenendo il prestigioso riconoscimento di esporre al loro fianco nella V edizione del premio Kiwanis di Villa San Giovanni dove la giuria ha ritenuto la sua opera meritevole di segnalazione. Ha rappresentato inoltre la scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Regggio Calabria alla XXVI edizione della Biennale d’Arte di Alatri (FR). E stata selezionata al concorso nazionale di Pittura Rocchetta Città d’Arte nel 1992. Tante le mostre ed i concorsi artistici nel corso degli anni che hanno visto le sue opere muoversi sia nel territorio nazionale che in quello estero. In Sardegna dove vive dal 2000, si suoi di-

pinti sono stati esposti a Berchidda in occasione del Time Jazz Festival, a Cagliari al Lazzaretto ed a Palazzo Regio in Castello. Il Paese Museo di San Sperate in Via San Sebastiano ha accolto dietro invito diretto del Maestro Pinuccio Sciola il suo murales “Gloria”. Ad Assemini (Provincia di Cagliari) il suo murales “Fabula”, lungo 65 metri, è tra i più lunghi di tutta la Sardegna, edé stata premiata in questa occasione dal Club UNESCO di Scilla (Reggio Calabria). A Forza d’Agrò al Museo del Cioccolato, una sua opera pittorica, realizzata con il cioccolato di Modica, è esposta en maniera permanente. All’occasione della manifestazione Sant’Arte, creata in omaggio al Maestro Pinuccio Sciola, ha creato la performance “Sintesi”. Un’altra delle sue opere di Arte condivisa e partecipata, l’opera moralistica “PuntoGamMa” è stata realizzata a Villa San Giovanni (Reggio Calabria) Impegnata ultimamente nella realizzazione di opere d’Arte condivisa e partecipata, collabora con l’artista Pietrina Atzori, insieme alla quale ha ideato e realizzato le opere dal titolo “Poseidonia”, “Sintesi” ed “Aqequanox”, collabora inoltre con lo scultore e restauratore Giorgio Schepis. Ha partecipato inoltre alla mostra di Monica Gorza “Ceratonia” ed alla mostra “MinimAldo” di Aldo Larosa insieme ad Alessandra Cecchetto allestite nel LAB Home Gallery di Pietrina Atzori. Ultimamente ha partecipato in qualità di Direttrice Artistica all’opera di Arte sociale “Il viaggio di un filo di Lana”, periplo che a portato durante 3500 chilometri e quarantadue città, un filo di lana della pecora nera di Arbus in giro per l’Italia.Direttore Artistico presso il Comune di Assemini (CA) per il quale ha realizzato l’opera “Stesso Cielo” in collaborazione con gli studenti del Liceo Artistico Foiso Fois di Cagliari.In qualità di direttiore artistico coordina gli interventi moralistici di Fille Bertha e Manu Invisible con gli studemnti del Liceo artistico Foiso Fois in alternanza scuola lavoro per il murale “Moorhens”. Per gentile concessione dell’artista.

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WOMEN ARTISTS ART EXHIBITION Gaëlle Hintzy-Marcel, scultrice Carole Jury, pittrice astratta Isa Sator, pittrice figurativa Rachel Scharly, fotografa

TIZIANA TROJA ISA SATOR L’attore Lucido - La Scrittura Sottile EX ART Piazza G. M. Dettori 9 - Cagliari Cercare, trovare e creare il personaggio per arrivare alla scrittura “del pezzo”, sotto l’attenta guida di Tiziana Troja.

VENERDÌ 18 OTTOBRE DALLE 19:00 ALLE 21:30

SABATO 19 OTTOBRE DALLE 10:00 ALLE 18:00

DOMENICA 20 OTTOBRE DALLE 10:00 ALLE 18:00 QUANTO COSTA: 100€ LIMITE MASSIMO PARTECIPANTI: 20

Per iscriverti al corso ti basta fare un accredito di € 100 tramite PayPal a questo link: paypal.me/lucidosottile e inviare una mail a lucidosottile@gmail.com lucidosottile@gmail.com www.lucidosottile.com

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Foto Isa Sator

Foto Lucido Sottile

al 2003, Michela Sale Musio e Tiziana Troja sono direttrici artistiche della compagnia LucidoSottile. Conosciute come “Le Lucide”, sono attrici, coreografe, cantanti, registe con un’esperienza ventennale alle spalle. Anticonformiste, istrioniche e dissacranti, il loro intervento nell’arte è trasversale e non convenzionale, spesso osteggiato dalla politica e dalla censura dei benpensanti e oggetto di discussione per l’opinione pubblica. Le Lucide non sono delle artiste ordinarie, il loro lavoro spazia tra il teatro, la danza, il cinema, la fotografia e la musica, tra la comicità più sagace e satirica e il dramma contemporaneo, senza dimenticare il loro impegno sociale e di politica culturale. Sono considerate in Sardegna un punto di riferimento non solo artisticamente ma anche a livello organizzativo e promozionale, per i giovani artisti. Il loro lavoro è fortemente caratterizzato dalla capacità di proporre, attraverso l’utilizzo e la mescolanza dei linguaggi dell’arte, un prodotto di qualità, contemporaneo, mai statico, contraddistinto dall’audacia e dalla poliedricità, che mira e scommette: sulle capacità di una comunicazione talvolta irriverente e fuori dai canonici schemi, sull’unicità del genere e sull’elevato livello di professionalità degli artisti coinvolti nelle produzioni, ma soprattutto sulla capacità di generare emozioni nel pubblico. Il loro è un modo di performare, a tratti dissacrante, che fa della realtà il suo luogo di immaginazione e che è sempre capace di far parlare degli spettacoli portati in scena. Tiziana Troja Regista. Autrice, Coreografa, Sceneggiatrice, Attrice Dopo una carriera da danzatrice e coreografa in produzioni nazionali ed internazionali, diventa direttrice artistica di LucidoSottile, insieme a Michela Sale Musio.

Con sede nel cuore creativo della East Coast degli Stati Uniti, il gruppo Women Artists è nato dall’amicizia tra artisti francesi che volevano condividere la propria arte attraverso mostre d’arte e offrire ai visitatori un’esperienza artistica coinvolgente. L’idea è di organizzare mostre d’arte in tutto il mondo. Per realizzare questi obiettivi, hanno siglato partnership con curatori d’arte professionisti. La prima mostra, a maggio 2019, si è svolta in un luogo prestigioso a Parigi ed è stata un successo. Il prossimo, a ottobre 2019, si svolgerà a New Hope, PA, luogo famoso e storico per l’arte e New York. Molti altri progetti sono in fase di elaborazione!

opo aver gestito gallerie a Montreuil vicino a Parigi e Tolone nel sud della Francia, la nativa parigina Nicole Bonifay ha aperto nel 2018 la galleria d’arte più curata della Contea di Bucks. Presenta dipinti e sculture originali di artisti famosi provenienti da Francia, Stati Uniti, Belgio e Israele che possono essere trovati in famose gallerie e case d’aste in Francia e in Europa ... e ora proprio a New Hope, Pennsylvania! La Galleria JPHT offre l’opportunità sia agli artisti emergenti che a quelli confermati di presentare il loro lavoro attraverso cicli espositivi monografici e collettivi, esperienze di installazione ed eventi in situ, oltre che fuori 69, Bridge Street dagli schemi. NEWYORK NY 10002 Idealmente situata nel cuore del Marais a Parigi, la Galerie JPHT accoglie i suoi visitatori su appuntamento, in OCTOBER 24th-25th 2019 uno spazio espositivo intimo, caldo e originale. 2pm - 9pm Queste due gallerie, insieme al gruppo formato da Gael4 rue de Saintonge le Hintzy- Marcel, Carole Jury, Isa Sator e Rachel Shar75003 Paris ly, dopo aver organizzato una prima mostra a Parigi, nel France quadro dell’iniziativa Women Artists Art Exhibition, propongono in questo mese di ottobre, due esposizioni https://www.galeriejpht.com/ 06 08 25 45 97 negli Stati Uniti, una a New Hope, cittadina della Pensilvania, con un ricco passato artistico e New York. Cerchiamo di attirare la loro attenzione, proponendogli di venire a Cagliari ed anche in altre località della Sardegna, al fine di organizzare delle mostre e degli eventi, ai quali gli artisti sardi saranno lieti di partecipare e scambiarsi impressioni, ricette, consigli e trucchi del mestiere. www.womenartistsfromfrance.com

GallerydesArtistes 20W, Bridge Street NEWHOPE PA 18938 OCTOBER 5th-22th 2019 2pm - 9pm 20 West Bridge Street 18938, New Hope United States gallerydesartistes@gmail.com (917) 328-7978

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