Nicolina Deledda Maria Elvira Ciusa Carol Rama Egle Oddo Karim El Maktafi Aldo Rossi non finito Maria Lassnig Nathalia Djurberg Silvia Pisani Laura Zeni Ivana Salis Pietrina Atzori Roberta Congiu Mara Damiani Laura Saddi Rosaria Straffalaci AsTerAs Salvatore Dedola Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Aprile 2021
Foto andreaskull
S’ARTI NOSTRA La Lolla ad Arzana
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S’Arti Nostra
Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di
Demetra Puddu
Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com
Vittorio E. Pisu Redattore Capo
Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari ccoci di nuovo qui. vittorio.e.pisu@email.it Pronti ad affrontare http://www.facebook.com/ insieme una nuova sardonia italia avventura. https://vimeo.com/groups/ Domani #8aprile sardonia alle ore 11 in diretta su https://vimeo.com/chan- questa pagina presenterenels/cagliarijetaime mo la XXXIV edizione di
TIMEINJAZZ E
#timeinjazz.
SARDONIA Anche quest’anno sarà Pubblicazione complicato. dell’associazione omonima Forse più dello scorso
Supplemento al numero del Maggio 2020 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA
Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com&unisvers Commission Paritaire
ISSN en cours Diffusion digitale
anno. Ma ci saremo. Ci vedremo. Condivideremo insieme, rispettando tutte le regole, la musica, l’arte, la cultura e la passione per la vita. Si parte quindi il #7agosto con un Festival ricco e fitto di appuntamenti che, come sempre, ci faranno vedere luoghi magici della nostra #Sardegna e ridaranno emozioni alle nostre anime così provate da questo periodo. Tutti i concerti saranno a prenotazione obbligatoria. Anche, e soprattutto, quelli gratuiti per garantire la contingentazione. Siete pronti? Ci vediamo domani. facebook.com/timeinjazz/
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uesto numero di S’Arti Nostra é un sopravissuto, uno scampato al naufragio, un affogato risuscitato. Purtroppo la tecnologia attuale che offre tante facilità di archivio, di consultazione, di manipolazione comporta anche delle terribili debolezze spesso irrimediabili. Mi capita spesso di pensare a Cinquetti, nel deserto del Mali, dove manuscritti ed altri libri sono custoditi dal XVIsimo secolo e grazie alla temperatura del luogo, si conservano secolo dopo secolo, quando i nostri hard disk rendono l’anima facilmente e senza preavviso, distruggendo così archivi che avevamo creduto, a torto di poter conservare. Naturalmente i soliti esperti mi hanno consigliato di fare più copie di un solo file, che ridere, come se i diversi dvd di films che ho acquistato a caro prezzo nel commercio legale fossero encora leggibili benché spesso utilizzati una sola volta. Ma vi ricordate i floppy disk ed altre dischette da 1,44 kb, a parte che non ci sono neanche più gli strumenti per leggerli, non sono sicuro che siano ancora utilizzabili. Comunque a parte questo sfogo ho ritrovato l’energia per parlarvi di quello che succede, sperando sempre che vi interessi, anche se ho scoperto con piacere che anche degli sconosciuti leggevano queste pagine. Così riprendo dopo due mesi di assenza (anche se non dispero di recuperare i numeri di febbraio/marzo a cui tenevo molto anche per la famosa disputa tra i collezionisti (anche se era uno solo) e gli artisti sardi, che ho cercato di riportare fedelmente. Per animare il mondo dell’Arte, fortunatamente gli eredi degli artisti ormai assenti ma possibilmente bankabili, si svegliano per cercare di recuperare qualche cosa anche se invidiano il mercato internazionale dove i galleristi che li crearono non ebbero l’audacia di promuoverli, ignari forse di tanta necessità da parte di personaggi comparsi solo al momento in cui il tiretto della cassa cominciava finalmente a fare ding, anche se rispetto ad altri artisti mondialmente conosciuti si tratta di elemosine. E con ritardo che pubblico, e spero che non me ne vorrà per lo spazio un po esiguo che gli dedico, qualche testo del signor Dedola, che come spesso capita, descrive con lucidità non solo una situazione ma anche quello che non dovrebbe essere più soggetto a discussione. Ma l’archeologia é una scienza estremamente recente, nata quasi per caso, in seguito alla caduta di un contadino in una buca del napolitano dove si trovò in presenza di relique talmente ben conservate dalle ceneri del vulcano che gli affreschi erano ancora visibili, anche se la scoperta della casa di Nerone ci aveva già dato il famoso grottesco. Naturalmente il romanticismo che promovueva contemporaneamnete l’idea di nazione, specialmente in Germania ed in Italia, grazie ai suoi numerosi intellettuali (lo so che oggi é diventato un termine quasi dispregiativo) ma anche amatori illuminati (vedi Heinrich Schliemann scopritore non solo di Troia ed anche del tesoro degli Agamennoni) inventò l’interesse per le rovine delle civilizzazioni antiche che fino ad allora erano utilizzate unicamente come cave quando le piettre stesse non venivano bruciate per farne calce (sopratutto al Foro Romano a Roma). Non insisto sulla sorte delle rovine in Sardegna. Trecento cinquanta anni o quasi di dominazione spagnola hanno instaurato un cinismo che non é ancora pronto a sparire, tra parentis dovunque al mondo le regioni che furono colonizzate dai Francesi, gli Inglesi, gli Olandesi appresero la loro lingua, vedi Marocco, Tunisia, Algeria, Cameroun, Senegal, Kenya, India, eccetera mentre in Sardegna se conosciamo quattro parole di spagnuolo é già molto. Una vendetta postuma immagino. Mi rincuora solamente la vivacità della produzione artistica che nonostante la situazione particolarmente catastrofica e nonostante tutto ridicola nella quale, dopo più di un anno, ci debattiamo, non impedisce le manifestazioni, i progetti, le opere proposte ed altre invenzioni di maniere di far vivere l’Arte e ne sono veramente riconoscente a tutti questi artisti tra cui numerosissime donne che si rivelano forse le più inventive, tenacemente attive e capaci di creare anche l’invresamblabile. Mi sono reso conto all’improvviso che i teatri sono scomparsi a Cagliari, a parte qualche superstite vuoto ed inutilizzato, senza parlare dei ruderi di quelli che furono i palcoscenichi o, a difetto, gli schermi di proiezione di tanti film, ma sembra che lo spettacolo oggi si svolga nelle strade, anche quelle deserte, vogliamo crederci? Augurandovi un’uscita rapida da quest’incubo ormai più che settimino vi aspetto in maggio. V.E.Pisu
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er rinnovarci si ricomincia da noi, dal territorio che vivi️. Ad Arzana è stata inaugurata la “Lolla” una pensilina moderna e sostenibile per l’attesa dei Bus; quattro primi esemplari di cui uno donato al comune dove in un pannello si parla di territorio attraverso codici identitari grafici. Per crearlo ho studiato ed analizzato il comune di appartenenza e ciò che lo circonda, soprattutto la storia delle sue origini che affondano le radici sin dai tempi del nuragico. Infatti abbiamo il bellissimo nuraghe trilobato Ruinas posizionato nel punto più alto della Sardegna su una delle vette del Gennargentu, circondato da oltre 200 capanne che hanno visto la vita sino all’anno 1000. Causa pandemia le genti abbandonarono il villaggio e vennero accolti da un altro nucleo abitativo che divenne Àrthana in italico Arzana. Parliamo di uno splendido paesaggio ricco di fonti d’acqua e cascate con una vista mozzafiato ed un terreno rigoglioso dal punto di vista naturalistico; da qui ne consegue un’economia centrata principalmente sull’agricoltura e sulla pastorizia, con un occhio attento all’artigianato e al turismo.
Tutti questi elementi diventano dei simboli che armoniosamente si uniscono per creare un disegno che si imprime nel metallo. La “Lolla” è un progetto di arredo urbano che va oltre la classica funzione, aperto a svariete possibilità di utilizzo con un occhio proiettato verso un futuro. Ringrazio Luca Poerio designer della pensilina che mi ha coinvolta in questo progetto studiato insieme ad Opera. bio di Marco Bittuleri anche lui giovane imprenditore che ha deciso di dedicarsi anima e corpo a lavorare e reinventarsi per la sua terra. Ringrazio il Comune di Arzana ed il primo cittadino con la sua giunta per l’accoglienza, ed infine ringrazio Nicola Nick Tixi che ha saputo supportare il nostro lavoro al meglio per raccontarlo. Qui sotto il link per informazioni legate al progetto e qualche foto per mostrarvi come si è evoluto il tutto. C’è una foto in particolare che mi ricorda uno degli omini che Pinuccio Sciola creava con l’argilla, non potevo non metterla fa parte del nostro immaginario collettivo. https://simplebooklet.com/lolla#page=0
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ara Damiani insieme a Marco Bittuleri hanno creato la Lolla, una pensilina moderna e sostenibile che racconta il territorio. Mara Damiani. artista, designer e Art Director, nasce a Cagliari e consegue il diploma-laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, cui segue un Master in illustrazione all’Accademia Disney di Milano. Lavora nei campi del pubblishing, licensing e merchandising, collaborando da circa venti anni con The Walt Disney Company. Ha una vasta esperienza di design e illustrazione a livello internazionale e collabora inoltre con Milan Calcio, Mondadori, Egmont, Mattel, Bormioli, Clementoni, Cartorama, Leolandia, Expo 2015. Nella sua pratica di ricerca artistica personale, Mara Damiani re-investiga alcuni tratti caratteristici della Sardegna e li connette a nuovi design contemporanei da lei ideati, sperimentando anche nel settore dell’artigianto artistico. Mara è sempre alla ricerca di nuove, fresche e stimolanti consulenze per i clienti. www.maradamiani.com
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Foto MARADAMIANI
LA LOLLA ARZANA
arco Bittuleri nasce ad Arzana, dove ancora oggi risiede, dopo aver conseguito gli studi della scuola dell’obbligo nel paese nativo si iscrive e ottiene il diploma di geometra presso l’Istituto Tecnico e per Geometri di Lanusei. La sua formazione professionale inizia con la collaborazione presso lo studio di progettazione B&C di Lanusei, capitanato dall’Ing. Valter Bortolin, che fu sino a poco tempo prima il suo insegnate di costruzioni e topografia, la sua esperienza lavorativa termina dopo 3 anni per passare nel 2004 alla Serit Lavori, azienda con sede a Roma ma operante in Sardegna nel settore dell’edilizia pubblica. In 4 anni ricopre il ruolo prima di preposto di cantiere, poi direttore tecnico di cantiere per il mercato sardo. Opera nasce dalla sua passione innata per le costruzioni di edifici, caratterizzati da salubrità e sicurezza. Ispiratosi alla visione della BausHaus, famosa scuola d’arte e Architettura fondata dall’architetto Walter Gropius nel 1919 Opera di rifà ai principi della bioedilizia e del design artigiano. Progetta, costruisce e ristruttura edifici e abitazioni in grado di favorire alti standard qualitativi di benessere della persona, e in completa sintonia con il contesto naturale in cui questi risiedono. Le case salubri e sicure prendono presto il nome di Bluehouse, diventando segno distintivo di genuinità e passione per la vita di cui la casa diviene espressione. Si ispira allo stile di vita improntato sul benessere fisico e spirituale che contraddistingue l’Ogliastra, una delle aree della Sardegna, individuata tra le quattro zone blu del mondo, per la straordinaria longevità dei suoi abitanti. I risultati non si fanno attendere, nel 2012 arriva il primo riconoscimento nazionale: Premio Ecoluoghi, promosso dal Ministero dell’Ambiente, per la Casa Panoramica, una Bluehouse progettata dall’Arch. Marinella Cogodda di Arzana (compagna di classe di Marco) premiata e esposta al museo MAXXI di Roma. L’operato di Opera desta interesse e curiosità sui social media, testate giornalistiche e programmi tv fin da subito, un po’ per la celerità nella costruzione delle case e soprattutto per la qualità abitativa unica nel suo genere.(segue pag. 4)
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Opera Bio Viale Europa 21 08040. Arzana, Sardaigne Tel.: +39 0782 37565 info@opera.bio https://www.opera.bio/ https://www.facebook.com/ OperaBluehouse/ Scarica la brochure de Bluehouse h t t p s : / / w w w. o p e r a . b i o / wp-content/uploads/2018/02/ Brochure-Opera-bluehouse. pdf Scarica l’infografica di Bluehouse h t t p s : / / w w w. o p e r a . b i o / wp-content/uploads/2018/02/ Info-Opera-Bluehouse.pdf
NICOLINA DELEDDA
Foto robertoziranu
(seugue dalla pagina 3) Persino l’Università si accorge dell’operato di Marco Bittuleri, infatti dalla collaborazione con il Prof. Antonello Monsù nasce l’accordo quadro con il quale azienda e università sono da tempo impegnati in attività di collaborazione e ricerca, oltre che di diffusione, formazione ed informazione nel campo della sostenibilità, della qualità costruttiva e del benessere indoor del settore delle costruzioni e della cantieristica edile e alla ricerca di possibili margini di innovazione tecnologica di settore. Ma è nell’estate del 2017 che Marco Bittuleri rivoluziona le Bluehouse. Infatti dalla partecipazione alla Social School Innovation di Rumundu nasce il Progetto Bluehouse e al progetto si uniscono due giovani urbanisti Annalisa Sanna e GianMario Secchi. La Bluehouse salubre e sicura da oggi è super tecnologica e comunica con l’uomo attraverso dei sensori che analizzano la qualità di ambiente Indoor la presenza di gas nocivi e addirittura la presenza di un sisma. Il Progetto è stato presentato già in Canada nel 2018 grazie a un bando per la selezione di progetti italiani validi per l’export internazionale, promosso dall’ente governativo ICE dove il progetto Bluehouse ha riscosso un grande interesse davanti a un pool di investitori.
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icolina – detta anche Nicoletta, Coletta, Nicoccola, Cola, Allina – era la settima e ultima figlia nella numerosa famiglia di Giovanni Antonio Deledda e Francesca Cambosu. Otto anni la separavano dall’adorata sorella Grazia, nata nel 1871, che proprio con lei instaurò un rapporto cementato dagli interessi culturali comuni e da una complicità destinata a divenire sodalizio artistico. Come la scrittrice, anche lei fu completamente autodidatta: tutto ciò che apprese in materia di pittura, illustrazione e arti applicate (questi i suoi campi d’elezione) lo dovette a uno studio autonomo e appassionato, e soprattutto alla frequentazione diretta dei migliori artisti della Belle Époque sarda e italiana, e dei rappresentanti a livello nazionale del movimento Arts and Crafts. Tutte amicizie comuni a lei e alla sorella, coltivate sia negli anni nuoresi sia in quelli ro#distrettoculturaledelnuorese mani e durante le lunghe vilConsulta la biografia e la leggiature estive in Versilia e scheda completa dedicata a in Romagna. Nicolina Deledda sul sito: Nicolina visse a Nuoro fino al www.distrettoculturaledel- 1913: fino a quando, cioè, non nuorese.it vendette la dimora paterna e
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decise di trasferirsi nella Capitale per raggiungere la sorella scrittrice, che già vi risiedeva dal 1900, poco dopo le nozze (pare che proprio questa compravendita sia stata motivo di uno screzio passeggero tra le due). Per tutti gli anni Dieci, ogni estate Nicolina aveva atteso trepidante il ritorno di Grazia in città, per accompagnarsi con lei a quella élite colta che animava l’Atene della Sardegna, e che fu la sua prima vera “scuola”: se nei dipinti di matrice divisionista è certamente evidente il tramite del pittore Antonio Ballero (a sua volta influenzato dai dipinti di Giuseppe Pellizza da Volpedo), la frequentazione dello scultore Francesco Ciusa, futuro fondatore della SPICA (Società per l’Industria Ceramica Artistica, nel 1919) e poi direttore della Scuola d’Arte Applicate di Oristano (dal 1925), dovette suggestionarla non poco relativamente all’interesse per l’artigianato, nel quale a propria volta si sarebbe cimentata realizzando giocattoli, arazzi colorati e vasi decorati. Nicolina fu però, soprattutto, un’illustratrice, un campo in cui all’inizio del XX secolo gli artisti sardi – Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Melkiorre
Melis tra gli altri – avevano dato prova d’eccellenza; un settore che nell’Isola avrebbe avuto anche alcune valide esponenti femminili, quali la sassarese Edina Altara, la cagliaritana Anna Marongiu e le sorelle Giuseppina e Albina Coroneo. Proprio come i più affermati nomi del campo della grafica, anche Nicolina ebbe occasione di curare le immagini per alcune novelle della sorella, pubblicate su riviste nazionali: dopo il disegno di accompagnamento alla poesia di Grazia dal titolo “Vita Sarda”, edita su “La Vita Italiana” di Angelo De Gubernatis (era il 1894: Nicolina non aveva che quindici anni), la piccola di casa Deledda illustrò, tra le altre, “Il fazzoletto con la cifra” (su “Tutto”, 1919), “Il muflone” (su “Regina”, 1920), “L’anellino d’argento” e “Il mio padrino” (sul “Corriere dei Piccoli”del 1922 e 1923). Intorno al 1920 si concentra anche la produzione di dipinti a tempera, prevalentemente di soggetto folkloristico, nei quali appare evidente proprio il debito nei confronti dell’illustrazione, ma non mancheranno dipinti di ispirazione espressionista influenzati dalle correnti avanguardistiche
europee; nel 1923, inoltre, insieme con Melkiorre Melis, Mario Mossa de Murtas e Giovanni Ciusa Romagna, Nicolina sarà presente alla Mostra degli Amatori e Cultori di Roma. Legatissima alla sorella, sua fedele compagna e complice (a Roma le loro case erano divise appena da un cortile) Nicolina fu con lei anche nelle villeggiature a Viareggio nel corso degli anni Dieci e poi, dal 1920, a Cervia; e se nella Capitale era solita frequentare lo studio di Vincenzo Jerace (autore della statua del Redentore posta sul monte Ortobene di Nuoro) durante i soggiorni estivi, sempre da ospite di Grazia, ebbe occasione di conoscere scrittori di prestigio, amici della sorella (come Marino Moretti) e alcuni tra i più importanti artisti italiani, alcuni dei quali ne avrebbero influenzato l’orientamento in favore delle arti applicate; in particolare l’eclettico Galileo Chini (pittore, ceramista, illustratore, architetto e scenografo) e l’illustratore Aleardo Terzi, senza dimenticare gli scultori Giovanni Prini e Arturo Dazzi e pittori quali Camillo Innocenti, Giulio Aristide Sartorio, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Moses Levy e
Filippo De Pisis. Nicolina era probabilmente la più aggraziata tra le sorelle Deledda, nonché la più suscettibile alle lusinghe della moda: nel 1920, in occasione della sua (prima e unica) mostra personale al Lyceum di Roma, l’amico Melkiorre Melis la ritrarrà in un’affettuosa caricatura dalla quale si evince una (costosa) passione per i cappellini vezzosi. Tuttavia, anche per gli strascichi di un’operazione chirurgica subita nel 1917, preferì ritirarsi progressivamente a vita privata. Fino alla tarda maturità continuerà a dedicarsi alle sue passioni confortata da Lello e Mirella, figli della sorella Peppina affidatigli da Grazia già a metà degli anni Trenta, quando ormai era gravemente ammalata. Pochi giorni prima di morire, più che novantenne, Nicolina dettò proprio alla nipote una frase che sarebbe piaciuta alla scrittrice, e che conferma quanto il loro fosse un sodalizio spirituale ancora prima che estetico: «il tempo non ha spazio è niente ed è eterno, è Dio e noi siamo Dio se lo vogliamo, e anche se non lo vogliamo è Dio che lo vuole».
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on è casuale che l’Associazione Culturale dei Sardi in Toscana, d’intesa con il “Circolo Peppino Mereu” della città di Siena, abbia intrapreso l’iniziativa di promuovere il “Festival della letteratura Sarda”, che avrà una cadenza mensile con svolgimento a Siena e Firenze. La rassegna, oltre ad esaudire un espresso desiderio delle nuove generazioni di origine sarda e residenti in Toscana, ha lo scopo culturale di rinverdire la positiva narrativa del Novecento prodotta dalla Sardegna nel secondo dopoguerra. Regione Sarda, feconda di scrittori e poeti in lingua italiana, molto noti a dimensione europea. Le associazioni hanno scelto come sede del Festival le città di Siena e Firenze, città storiche, dal passato illustre nel campo dell’arte e delle lettere. Come non ricordare gli anni ’30 con le sue riviste letterarie, di Papini, Prezzolini, Bonsanti, Bargellini ed altri personaggi eccellenti. Come dimenticare i luoghi quali :le Giubbe Rosse e il Caffè Michelangelo? Con dibattiti, confronti e premi, con il fiorire di case editrici come la Vallecchi?
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Questo festival metterà in grande rilievo il Novecento Fiorentino di Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi etc. Anche il popolo sardo vanta una storia bella con una significativa produzione di pregevoli opere letterarie, sopratutto nel novecento: Dunque la Sardegna dimostra che le nuove generazioni non arretrano di fronte alle difficoltà di natura sociale ed economica: la varietà e la diversità dello stile dei nuovi giovani scrittori alla ribalta nel vasto mondo della cultura italiana, è una seria interpretazione del “mondo che cambia”, del “pianeta” sardo della saggezza antica e silenziosa dei padri e dei nonni, della sommaria psicologia, che sono molto spesso gli elementi dell’etica patriarcale del tempo che fu. Tuttavia, la narrativa degli scrittori sardi, autori di opere di oggi, non si arrestano alla contemplazione tra antico e moderno, non subiscono il fascino dei costumi così lontani dalla realtà attuale; c’è in loro una sintesi riflessiva di tutti i valori, vecchi e nuovi, che hanno assunto un significato di cambiamento che è conquista di una realtà sociale e di profonda maturità di cultura civile. Infine, la studiosa Maria Elvira Ciusa presenta la nota scrittrice nuorese Grazia Deledda, premio Nobel nel 1926. La Sardegna con la società arcaica, le chiuse passioni e l’arido paesaggio di alcune località della Barbagia, che furono la fonte di ispirazione della prima parte dell’opera della Deledda: racconti e romanzi di ambienti sardi del primo novecento, fra cui “Elias Portulu”, “Cenere” ( da cui fu tratto un film, l’unico interpretato dal Eleonora Duse). A seguire “L’edera” “Canne al Vento” “ La Madre” etc Concludendo, illustri studiosi e docenti universitari saranno presenti al Festival con una cadenza mensile nelle città di Firenze e Siena. Un festival aperto a tutti, non solo Grazia Deledda col verismo italiano, ma con un gruppo di scrittori sardi affermati a livello nazionale ed internazionali. In questa occasione Maria Elvira Ciusa ha presentato “Deledda-Biasi. Il visibile narrare” incentrato sul sodalizio tra la grande scrittrice e il pittore Giuseppe Biasi. Il testo su Niucolina Deledda è estratto dalle ricerche di Maria Elvia Ciusa. (segue pagina 6)
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(segue dalla pagina 5) aria Elvira Ciusa, nata a Nuoro, saggista, storica dell’arte e pubblicista, è pronipote dello scultore Francesco Ciusa e figlia dello scrittore Mario Ciusa Romagna. Maria Elvira Ciusa ha fatto conoscere l’opera di Giuseppe Biasi e le influenze delle Secessioni di Vienna e Monaco sull’arte del primo Novecento in Sardegna. Nel 2002 ha partecipato al convegno di studi su Grazia Deledda organizzato dall’Università di Philadelphia, Dipartimento di Italianistica. Due suoi volumi, “L’isola nelle correnti”. “Pittura e grafica di G. Biasi nell’arte italiana ed europea del ‘900” (Scheiwiller, 1985) e “L’opera xilografica di Mario Delitala fra identità e tradizione” (Scheiwiller, 1987), sono tuttora considerati fondamentali per la storia dell’arte in Sardegna. Fondamentali rimangono i suoi studi su Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Francesco Ciusa, Nicolina Deledda e Maria Lai. Tra le sue ultime pubblicazioni, la prima biografia ragionata su Grazia Deledda, Una vita per il Nobel (Delfino, 2016); Deledda – Biasi, il visibile narrare (Delfino, 2017) e il volume Maria Lai, il filo dell’esistere (Delfino, 2017) per il quale ha ricevuto (maggio 2019) il premio “San Giorgio Vescovo”. Oggi è considerata tra le maggiori esperte dell’opera di Grazia Deledda. Per l’AIPSA ha curato l’introduzione del volume Chiaroscuro – Novelle di Grazia Deledda. http://www.aipsa.com/schede-autori/maria-elvira-ciusa. htm
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http://www.aipsa.com/le-collane/chiaroscuro.htm https://www.premiocomisso.it/grazia-deledda-una-vita-per-il-nobel-di-maria-elvira-ciusa/ AA. VV. , Grazia Deledda. Biografia e romanzo, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1987; G. ALTEA, M. MAGNANI, Le matite di un popolo barbaro. Grafici e illustratori sardi 1905-1935, Silvana Editoriale, 1990; S. PETRIGNANI, La scrittrice abita qui, Vicenza, Neri Pozza, 2002 N. DE GIOVANNI, Come la nube sopra il mare. Vita di Grazia Deledda, Alghero,
CAROL RAMA
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o bisogno di scrivere e di esplorare le profonde miniere dell’esperienza e dell’immaginazione, far uscire le parole che, esaminandosi, diranno tutto. Sylvia Plath
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n una Torino conservatrice e puritana degli anni Venti, estasiata dell’esperienza di modella nello studio di Gemma Vercelli, una bambina iniziava a muovere i primi passi nel mondo della pittura. Quella bambina alla quale Edoardo Rubino concedeva di disegnare nel suo atelier e che di lì a breve avrebbe anticipato linguaggi e tematiche del nostro tempo. La stessa che, attraverso immagini frammentarie, provenienti da un repertorio feticistico che si fonde ad un erotismo a tratti selvaggio, è riuscita ad esorcizzare ossessioni, angosce e drammi familiari, ponendosi decisamente come un unicum nel panorama artistico italiano. Non ho avuto modelli per il mio dipingere; non ne ho avuto bisogno avendo già quattro o cinque disgrazie in famiglia, sei o sette tragedie
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d’amore, un malato in casa, mio padre che si è suicidato a 52 anni perché era diventato povero [..] Sono tutte cose che mi sono bastate per avere soggetti su cui lavorare. Caustica, disinibita e spiazzante, con radici borghesi e un’educazione cattolica che hanno alimentato il gusto del proibito e inevitabilmente il suo immaginario, Carol Rama si rifugia in un universo visionario per guarirsi: la pittura è una cura meravigliosa. Anzi è una sostituzione dell’amore. E’ il risultato di quella seduzione per il concetto di peccato, dove l’esplicita sessualità, mai volgare o scabrosa, si contrappone alla delicatezza delle stesure di colore e alla linea fluida e decisa quanto raffinata, prescindendo da regole canoniche e sistematizzate, dal momento che codici e regole sono le malattie del mondo. Ribelle e appassionata usa il corpo femminile come veicolo per analizzare l’angoscia esistenziale e affrancarsi dal maschilismo imperante profetizzando la poetica post-human e le lotte per l’emancipazione femminile, con quella cifra stilistica che tanto l’accosta a Schiele ed Ensor.
Antesignana nel trattare le tematiche di liberazione sessuale, nonostante il movimento femminista la lasciasse totalmente indifferente, estrapola fin dagli anni Trenta i dettagli di una narrazione ben precisa per osservarla minuziosamente e sezionarla con spietata ferocia. La decadenza del corpo, la follia, la libertà, il sesso e la morte sono i concetti ricorrenti di un espressionismo che Sanguineti ha definito tra un raffinato brut e un colto naif e che sono confluiti nella prima mostra personale chiusa prima dell’inaugurazione. Era il 1945 e si gridava allo scandalo. Isolata e sottostimata in campo artistico ma sostenuta da Felice Casorati già dagli anni Quaranta, oltre a Edoardo Sanguineti vantava amicizie come Italo Calvino, Eugenio Montale, Man Ray, Andy Warhol, Orson Welles e Liza Minnelli, la donna-bambina discendente di una famiglia borghese caduta in rovina, che si è ritrovata schiacciata sotto il peso di colpe che non le appartenevano. La rabbia è la mia condizione di vita da sempre. Sono l’ira e la violenza a spingermi a dipingere, e ancora: la
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femminile dove l’infermità da scontare rigorosamente su sedie a rotelle o su letti di contenzione - è emblema di sofferenza e sacrificio. Come in Dorina, serie di donne amputate della loro femminilità che ostentano corone floreali, le stesse che mette a Edoardo Sanguineti ma ben diverse da quelle degli Oracoli, pesanti elmi che cingono il capo schiacciandolo verso il basso. E se i numeri scarabocchiati in Giulia fanno da sfondo ai Feticci, scarpe fibbiate contenenti internamente un evidente pene, i tralci fioriti e i racemi dei Teatrini grotteschi della crudeltà, fatti di protesi ortopediche, che appaiono come ex voto in mostra, ritornano in opere come Gotica, Seduzioni e Fata Morgana, tecnica mista su una mappa geografica costellata da occhi vitrei. Di Nonna Carolina, uno dei primi soggetti ad essere rappresentato dall’artista, troviamo in mostra due versioni di una stessa rappresentazione dove la donna porta intorno al collo sanguisughe che fanno da piedistallo alla testa monca. Oltre all’acquerello Idilli, che insieme a Gotica e Mitologica riassume il bestiario dell’artista -, alle due versioni della celebre La Cagona e Il Disegno Prescritto - acquerello con interventi a smalto su un progetto di architettura, progetto originale del manifesto per la mostra personale a Borgomanero nel 2005 - una vasta gamma di Seduzioni completa l’esposizione: dalle composizioni erotiche di Seduzioni I, uomo e donna a confronto dove il primo mostra il pene in erezione mentre la seconda ostenta mani ingioiellate simili a feroci zampe con artigli, a La Mano, Il Pugno e Il Bracciale e Non i Fiori dove interviene con smalti rossi, neri e grigi fino ad arrivare ai sintetici Seduzioni VIII, dove la bocca del profilo coincide con l’organo sessuale femminile del nudo sdraiato. Eccentrica, schiva e istintiva, ha attraversato un secolo lavorando incessantemente ma solo dagli anni Ottanta ha iniziato a ricevere i riconoscimenti dovuti che culminano con il Leone d’Oro alla Carriera nel 2003. Sono troppo incazzata perché sono stata “scoperta” a 80 anni, dichiara in occasione della prima grande mostra allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998. (segue pagina 8)
mia arte piacerà moltissimo a quelli che hanno sofferto. Perché la follia è vicina a tutti. E perché l’arte se non è già la vita, almeno è libertà. Quella libertà che poteva esercitare tra le mura della sua casa museo dalle tende nere alle finestre e dal grande letto, dove spesso riceveva gli amici, dove attraverso i frammenti del suo passato ha costruito quello che è diventato il suo futuro, attraversando le avanguardie del XX secolo senza mai rimanere intrappolata in una corrente ben precisa o cedere a regole di mercato. Tra questi oggetti-feticcio, reliquie e frammenti dell’identità che hanno rappresentato una costante del suo percorso: protesi di legno, dentiere, orinatoi, scopini per il water, pennelli da barba, camere d’aria di biciclette, provenienti dalla fabbrica del padre, o le forme da scarpa del nonno calzolaio, ovvero quei simulacri che hanno consentito la discesa agli inferi della sua anima. La sperimentazione calcografica, gioiello della produzione artistica per la varietà di soggetti iconografici e di tecniche incisorie, ha inizio con Le Parche - acqueforti su zinco realizzate tra il 1944 e il 1947 -,
implacabili divinità incarnate da inquietanti figure femminili dai corpi disarticolati, dagli arti nodosi e dai tratti somatici grotteschi che affollano inquadrature serrate al limite del claustrofobico rimandando alle xilografie spigolosamente espressioniste di Kirchner e Kate Kollwitz. Signore del fato, corrispettivo delle Moire greche, esposte per la prima volta nel 1946, scaturiscono da tre episodi che, come cicatrici, hanno lasciato un segno indelebile: il racconto di un amico del padre secondo cui una bellissima prostituta fu trovata annegata nella Senna, mutilata di braccia e gambe, i bagni sotterranei della clinica psichiatrica dove si recava a visitare la madre e le immagini di un mattatoio a Rivoli. Dichiara a Corrado Levi nel 1993: Quando avevo dodici anni io vado quasi tutti i giorni in una clinica psichiatrica a trovare una persona, e lì mi nasce una grande felicità perché non ho capito che ero in un ambiente manicomiale e la libertà che trovavo in queste persone con la lingua fuori, le gambe spalancate o accucciate o in qualche modo: qualunque persona era ormai più importante della mia famiglia, ormai avevo abdicato e come
rinunciato. Quelle gambe spalancate ad offrire la vulva come nella serie Cadeau e quelle lingue penzolanti di Malelingue profili talmente essenziali da apparire quasi monogrammi, con interventi soprattutto a smalto che dilatano le lingue in maniera orizzontale rendendole particolarmente insinuanti -, incise su progetti industriali, fax, mappe catastali e persino su alcune poesie di Sanguineti, dove i significati si stratificano e l’esigenza di intervenire pittoricamente su supporti prestampati si fa sempre più irresistibile, sono parte di quel ritorno alla calcografia abbandonata con Le Parche. Avere uno sfondo mi deresponsabilizza; mi fa coraggio. E ancora prendo pezzi di altri, perché ho bisogno di un suggerimento. Sono visioni violente nella loro raffinatezza formale, quelle a cui Carol Rama da vita dal 1993 grazie agli stimoli dell’amico Franco Masoero, con un uso dell’erotismo come funzione liberatoria che dal martirio trae la spinta verso l’eros, tra l’esistenza frammentata e il corpo lacerato delle serie Appassionata, tipologia di rappresentazione
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(segue dalla pagina 7) Un angelo luciferino, affabile e selvatico, paragonata a Louise Bourgeois per irriverenza e trasgressione intrise di ironia e sarcasmo, ma non dissimile da Maria Lassnig, come da Nathalie Djurberg per carnalità e violenza o dall’outsider Aloïse Corbaz (soprattutto per quanto concerne gli elementi stilistici e cromatici) che nel tentativo di esorcizzare i suoi tormenti definisce la creatività come unica fonte di estasi perpetua. Un’anima dannata e rivoluzionaria, ossessionata dal dolore e dal desiderio di liberarsi dai sensi di colpa e preconcetti di una società conservatrice e bigotta, aspetti che tanto la accomunano ad Antonin Artaud, come si evince da un passaggio tratto dall’epistolario con Jean Paulhan: le idee che ho le invento soffrendole io stessa, passo passo, io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto il mio corpo, quello che ho scritto l’ho sempre trovato attraverso tormenti dell’anima e del corpo. Testo in catalogo della mostra “Carol Rama_Lei Lui Loro” a cura di Efisio Carbone, Ivana Mulatero, Roberta Vanali e Alexandra Wetzel, Exma Cagliari / MACC Calasetta, 22 aprile - 26 giugno 2016 https://robertavanali.blogspot.com/2016/05/carol-ramail-corpo-femminile-come. A Carol Rama (Torino 1918 - Torino 2015) è dedicata la rubrica di oggi #iostoacasaconarte https://www.facebook.com/ roberta.vanali
Roberta Vanali
Giornalista a ARTRIBUNE Critica d’Arte Curatrice Museo à Fondazione MACC Director à Little Room Gallery Caporedattrice Sardegna Exibart per 11 anni à exibart Direttrice artistica à Galleria STUDIO 20 Ha studiato a Liceo Artistico e Musicale di Cagliari “Foiso Fois”, Lettere Moderne, Storia dell’Arte à Università degli Studi di Cagliari, Grafica Pubblicitaria I.SO.G.E.A Habita a Cagliari
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a pandemia fa aguzzare l’ingegno, così c’è chi per scongiurare il rischio di vedere chiuso il proprio spazio, presenta una mostra allestita in parte tra le sue mura e in parte per le strade della città. Ma molti progetti nascono proprio per essere fruibili dallo spazio pubblico, spesso accompagnati da public program in tema. Vediamoli nel dettaglio… Claudia Giraud
1. PERFORMATIVE HABITATS – EGLE ODDO TRA PERFORMANCE ALL’APERTO E SEMINARI
del Friuli: l’opera sarà installata con una performance che vedrà l’artista, nata a Palermo e residente a Helsinki, nell’atto di piantare un giardino evolutivo, ovvero una piccola zona di terreno dove alcune specie selezionate insieme a biologi e botanici, possono crescere in autonomia. La performance sarà fruibile per i passanti della pubblica via e sarà resa disponibile in forma video online. Il progetto, realizzato grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo nell’ambito del programma Italian Council, fa poi tappa a Roma, prima con un seminario online il 13 aprile con la partecipazione della curatrice e critica d’arte Lori Adragna, poi il 17 aprile con una seconda performance all’aperto presso il Museo Orto Botanico. Infine, il 27 aprile l’Università di Arti Applicate di Vienna presenterà una performance di Egle Oddo e un seminario online con il filosofo Leonardo Caffo sulle implicazioni tra la ricerca artistica e l’investigazione filosofica.
Performance artistica e attivismo s’incontrano nell’atto di coltivare la terra. È in questo contesto che, in assenza di pubblico, ha avuto luogo giovedì 8 aprile alle ore 12.15 Performative Habitats #3 dell’artista Egle Oddo (Palermo, 1975), con l’inaugurazione di un’opera d’arte permanente che sarà presentata nell’ambito della rassegna Liminalità betwixt and between a cura di Eva Comuzzi e Orietta Masin, nel giardino della Biblioteca Civica Giuseppe Zigaina a Cervignano https://pixelache.ac/
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2. RIPARTE IL PROGETTO DI ANDRECO SUI FIUMI DI ROMA Ritorna il progetto che fa dialogare arte e scienza. Stiamo parlando di Flumen – Climate Actions per i parchi e i fiumi a Roma, ideato dall’artista e ingegnere specializzato in sostenibilità ambientale Andreco (Roma, 1978). “Credo fondamentale la sensibilizzazione e la disseminazione delle conoscenze scientifiche legate alle tematiche ambientali, ai fiumi ed agli spazi verdi, per alimentare un dibattito culturale trans-disciplinare e per costruire una società veramente sostenibile”, spiega Andreco, la cui ricerca si concentra fin dal 2000 sul rapporto tra sostenibilità ambientale, attivismo, antropologia, spazio urbano, ecologia, con un approccio che confluisce in installazioni, video, wall paintings, performance. Così, anche questo 2021 sarà all’insegna di interventi di riqualificazione e piantumazione aperti a tutti su Tevere, Aniene e Parco di Veio: incontri, passeggiate, performance, mostre, laboratori coinvolgeranno adulti, bambini e ragazzi a partire dal 10 aprile in un progetto alla scoperta dell’e-
le e simbolico ricorrente nella ricerca dell’artista. Cucite e installate in materiali e contesti diversi trovano qui un’evoluzione in chiave comunitaria. I materiali e i colori che compongono i segnalatori del vento saranno variabili nel tempo, come la forma che prenderanno in relazione alle condizioni climatiche.
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GARBATELLA IMAGES cosistema fluviale che caratterizza e rende speciale la loro città, in un’esperienza collettiva a contatto con la natura, per poi terminare il 7 maggio con un convegno a Palazzo delle Esposizioni. 3. GARBATELLA IMAGES – ESPOSIZIONI FOTOGRAFICHE NEI LOTTI DELLO STORICO QUARTIERE DI ROMA Dal 10 al 20 aprile 2021, nei lotti 24, 29, 30 e 55 del quartiere Garbatella, in mostra le opere fotografiche inedite di 6 autori, allestite anche presso la galleria 10b photography. Grazie al progetto triennale Garbatella IMAGES, il cui primo capitolo è intitolato VISIONI, con la direzione artistica di Francesco Zizola e la curatela di Sara Alberani e Francesco Rombaldi (YOGURT Magazine), il territorio dello storico quartiere romano, così carico di un suo immaginario legato al patrimonio storico, sociale, architettonico, verrà reinterpretato dai fotografi selezionati, attraverso i nuovi linguaggi della fotografia contemporanea, per un lavoro capace di riabitare lo spazio urbano. In programma anche visite
mappa dell’intero itinerario, per snodarsi poi tra le strade del quartiere. Attraverso l’utilizzo di QR code posizionati accanto a ogni fotografia, il pubblico 4. KARIM EL MAKTAFI – può inoltre accedere a conteTRA FOTOGRAFIA E ARTE nuti extra che raccontano il PUBBLICA NELLE VIE DI progetto fotografico e il suo autore. MILANO guidate, aperte e gratuite su prenotazione, per condurre gli abitanti e tutto il pubblico, lungo il percorso della mostra e della sua pubblicazione.
Identità, appartenenza e memoria sono i temi principali del lavoro di Karim El Maktafi (Desenzano del Garda, 1992). Impegnato in un progetto sul patrimonio culturale marocchino dal 2015, nella sua personale presso la Other Size Gallery di Milano, che apre il 14 aprile a cura di Giusi Affronti, ne ritrae uno sport tradizionale, dal nome Fantasia, che affonda le sue origini nell’VIII secolo e che sancisce l’unione tra l’uomo e il suo cavallo. Alcune opere si potranno fruire anche all’aperto: per scongiurare il rischio chiusura causa pandemia è previsto, infatti, un itinerario diffuso che sfrutta gli spazi della cartellonistica pubblicitaria delle vie limitrofe. Il percorso consigliato prende il via dallo spazio espositivo, dove è possibile dotarsi della
DALLE PERFORMANCE ALL’APERTO (CON SEMINARI) DI EGLE ODDO CHE, IN ASSENZA DI PUBBLICO, PIANTA I SUOI GIARDINI EVOLUTIVI FINO AL PROGETTO DI PIANTUMAZIONE DI ANDRECO SUI FIUMI DI ROMA.
5. MARGHERITA MORGANTIN – INSTALLAZIONE DI MISURATORI DI VENTO NEGLI ORTI COMUNALI DI BOLOGNA
Museo Orto Botanico Roma 16 e 17 aprile 2021 Tevere, Aniene e Parco di Veio fino al 7 maggio 2021
Un’anticipazione della partecipazione di Margherita Morgantin (Venezia, 1971) alla prossima edizione di Live Arts Week. Stiamo parlando di COSINUS (Venti cosmici), un’installazione all’aperto di maniche a vento (ovvero i misuratori del vento che si vedono negli aeroporti) che sarà presentata domenica 9 maggio alle ore 17 presso gli Orti Comunali Boschetto Lungo Reno (Quartiere Barca), tra i main projects del programma di ART CITY BOLOGNA 2021 promosso dal Comune di Bologna nell’ambito di BOLOGNA ESTATE. La manica a vento (o anemoscopio) è un elemento sensibi-
Garbatella Images dal 10 al 20 aprile 2021 Quartiere Garbatella Roma
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Karim El Maktafi – Fantasia Milano, Other Size Gallery e vie della città 14 aprile – 24 maggio 2021 othersizegallery@workness.it Margherita Morgantin – COSINUS (Venti cosmici) domenica 9 maggio 2021 h 17 Orti Boschetto Lungo Reno, Via Chiarini 6 (Quartiere Barca) Bologna
gle Oddo, nata a Palermo nel 1975, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Palermo, vive e lavora a Helsinki. Nella sua opera usa la narrazione lineare e non-lineare come forma d’arte. Interessata al realismo operazionale, inteso come la presentazione della sfera funzionale e le sue inter-relazioni in una forma estetica, combina la fotografia, l’immagine in movimento, l’installazione, la scultura, l’arte ambientale, e la sperimentazione con nuove forme di arte dal vivo. Nelle sue opere la produzione industriale incontra un delicato artigianato, forme di vita appaiono ed emergono da sculture e oggetti, la fotografia tradizionale si appropria delle immagini digitali, selezionati scarti si convertono in high couture, preziosi minerali sono serviti come parte di pasti rituali. arim El Maktafi è un fotografo italo marocchino nato a Desenzano del Garda nel 1992. Nel 2013 si è diplomato all’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Ha all’attivo collaborazioni con fotografi in vari settori: commerciale, fashion, editoriale, pubblicitario. La sua ricerca fotografica esplora il concetto di identità attraverso i metodi del documentario e del ritratto. Il suo lavoro è stato esposto a La Triennale di Milano, Museum in Der Kulturbrauerei (Berlino), Pavillon Populaire (Montpellier), Macro Testaccio (Roma) e in altri festival fotografici europei. Tra il 2016 e il 2017, durante la residenza a Fabrica, Karim ha realizzato Hayati, progetto fotografico vincitore del PHMuseum 2017 Grant – New Generation Prize, finalista al CAP Prize 2017 – Contemporary African Photography prize e secondo premio al Kassel Dummy Award 2018. https://www.artribune.com/ arti-performative/2021/04/zona-rossa-arte-spazio-pubblico-5-casi/5/
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pere incompiute: in Italia sono 546 e serviranno quasi 2 miliardi di euro per completarle. Sono questi i numeri riportati dal portale tecnico lavoripubblici.it, mentre attraverso il Sistema Informatico Monitoraggio Opere Incompiute (S.I.M.O.I.) del Governo è possibile consultare l’intero elenco delle opere pubbliche lasciate interrotte su tutto il territorio nazionale, divise per regioni, al 2019. Già solo questi numeri spaventano, ma non bisogna dimenticare che le opere non-finite sono molte di più, in quanto questi dati non considerano l’enorme quantità di opere private rimaste incompiute. Data questa premessa, non si può far altro che accogliere le provocazioni lanciate da Alterazioni Video nella raccolta Incompiuto, la nascita di uno stile. “Cosa farne di questo patrimonio? Rilanciare la piccola impresa italiana partendo dalle demolizioni? Riconvertire le opere incompiute in qualcosa di utile, disconoscendo la non-funzionalità per la quale erano state inizialmente create? Lasciarle dove sono state fino a ora, fingendo che non esistano fino a quando non ne venga costruita un’altra? Storicizzando lo stile Incompiuto come viene fatto con qualsiasi elemento del patrimonio storico?”. Provocazioni che inevitabilmente spingono a pensare: cosa fare degli edifici non-finiti? Demolirli? Monumentalizzarli? Lo scenario della demolizione avrebbe come esito costi esorbitanti e residui da smaltire, ma soprattutto cancellerebbe una parte di storia di cui sarebbe invece importante fare memoria. Infatti, se non consideriamo l’esistenza di una scala qualitativa gerarchica delle epoche passate, si può dire che, così come noi guardiamo le rovine del nostro passato, probabilmente i futuri archeologi vedranno le nostre “rovine contemporanee” come degne di attenzione. Allo stesso modo anche la monumentalizzazione non si pone come una strada percorribile, perché risulta sì necessario lasciare ad memoriam una traccia del periodo storico contemporaneo, ma attraverso il riutilizzo e il riscatto della rovina stessa. Per questo motivo entrambe le ipotesi non rispondono quin-
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di fino in fondo alle esigenze della collettività. È proprio in questo divario che si inserisce una terza via: riscrivere e ridisegnare i non-finiti per essere riscattati. Se pensiamo, infatti, a tutti e soli quegli edifici che si inseriscono nel paesaggio italiano (da nord a sud, dal mare alla montagna) a una scala architettonica, questi si presentano come un fallimento, ma in realtà si offrono come un’opportunità e aprono a grandi possibilità di riprogettazione di spazi pubblici. Quindi, è fondamentale costruire un abaco, inteso come un elenco delle caratteristiche che descrivono i non-finiti, che possa aiutare a fare ordine e chiarezza e aprire la strada per il riscatto. Per ognuno di questi edifici vengono identificati: il contesto urbano o rurale in cui si trovano; il materiale che ne definisce la struttura portante; le dimensioni; la proprietà; il grado di incompiutezza – finito se l’opera è stata completata nella sua interezza ma non è mai stata abitata, non-finito se l’opera non è stata conclusa e si trova in uno stato di cantiere perenne. Un edificio incompiuto può avere costruite solo le fonda-
zioni, le fondazioni e i pilastri, le fondazioni, i pilastri e i solai interpiano, oppure lo scheletro strutturale nella sua interezza, con annessi o meno i tamponamenti. Lo scopo dell’abaco è quello di definire univocamente, per ogni combinazione delle categorie elencate, una particolare funzione che permetta il riscatto di tutti gli edifici non-finiti della stessa tipologia, attraverso linee guida sufficientemente generiche da poter essere declinate in vari casi specifici. Infatti, a ogni intervento appartengono caratteristiche uniche come la messa in sicurezza dell’edificio e la sua accessibilità – che si pongono come imprescindibili in questa ipotesi –, e caratteristiche che invece dipendono da fattori non comuni, come la posizione geografica o il progettista. Visitando la mostra Aldo rossi: l’architetto e la città, al Museo MAXXI di Roma, non si può fare altro che pensare a una costruzione del noto progettista che si addice perfettamente alle caratteristiche richieste dall’abaco: l’ampliamento della stazione San Cristoforo, progettata insieme all’architetto Gianni Braghie-
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ri. Si inserisce nella zona sud-ovest di Milano, al confine con il comune di Corsico; si trova nella condizione di non-finitezza ormai dal 1990 (anno nel quale i lavori sono stati definitivamente sospesi) a causa della funzione obsoleta che avrebbe dovuto ricoprire. Tale ampliamento si andava a inserire in una serie di progetti, a partire dal 1983, che davano risposta a un programma di potenziamento delle strutture ferroviarie di cui facevano parte anche la stazione di Lambrate, di Ignazio Gardella, e la stazione di San Donato, di Angelo Mangiarotti. Nel 1975 Ferrovie dello Stato incaricò gli architetti di progettare e costruire l’ampliamento della già esistente stazione di San Cristoforo, che sarebbe servito da terminal per il trasporto di automobili private lungo la tratta Milano-Parigi. Dopo qualche anno, ci si rese conto che l’edificio non avrebbe avuto alcuna utilità e così si decise di mutarne la funzione in luogo di ristoro per i fedeli in pellegrinaggio verso Lourdes. Anche tale idea naufragò per l’impossibilità di soddisfare le richieste della società e così,
nel 1990, i lavori vennero definitivamente interrotti: la stazione restò non-finita nello stato di cantiere in cui versa ancora oggi. Nel 2019 il parco di circa undici ettari nel quale si colloca l’ampliamento della stazione è stato oggetto di un concorso internazionale promosso da FS Sistemi Urbani, del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, per la redazione di un masterplan di trasformazione e rigenerazione urbana degli scali ferroviari Milano Farini e Milano San Cristoforo, vinto dalla collaborazione degli studi OMA e Laboratorio Permanente. Lo scheletro della stazione era inoltre già stato oggetto di un lavoro di rilettura da parte dello studio Albori in occasione della Biennale di Architettura di Venezia del 2008. Dalle fotografie si riconoscono immediatamente lo scheletro in calcestruzzo armato e il telaio in acciaio che avrebbe dovuto ospitare la copertura dell’edificio in rame. Riconosciamo i tratti che caratterizzano l’opera rossiana e ne osserviamo lo stato in cui versa l’edificio oggi: immerso in una natura selvaggia e dimora di senza tetto. Clelia Nanni
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aria Lassnig, nata l’8 settembre 1919 a Kappel am Krappfeld1 e morta il 6 maggio 2014 (a 94 anni) a Vienna, è stata un’artista austriaca. Maria Lassnig è cresciuta in Austria e ha studiato arte all’Accademia di Belle Arti di Vienna, diplomandosi nel 1945. Ha viaggiato in Francia negli anni ‘50, dove ha scoperto il surrealismo e l’arte informale. In seguito, tra il 1968 e il 1978, ha vissuto a New York. Fu la prima donna ad ottenere un posto di insegnante all’Università di Arti Applicate di Vienna. Una fondazione a suo nome, Maria Lassnig Stiftung [archivio], è dedicata alla diffusione della sua arte. La sua pittura figurativa riguarda essenzialmente il corpo5, nelle sue parole, vuole rappresentare “le sensazioni interne del corpo”. Il suo lavoro è impegnato e molti dei suoi dipinti trattano argomenti sensibili come i bambini soldato o la fine della vita. Profondamente femminista, considera anche l’uguaglianza tra uomini e donne come un tema ricorrente. Abile nell’autoritratto, si di-
Foto artnet.com
MARIA LASSNIG NATHALIA DJURBERG pinge come metà donna, metà animale o creatura mitologica. Il suo lavoro sorprende e persino disturba lo spettatore perché nulla è sublimato, tutto è crudo. Le sue rappresentazioni sono in linea con i corpi decostruiti di Francis Bacon, Pablo Picasso e Egon Schiele. L’artista gioca anche con il genere, il femminile e il maschile si confondono, soprattutto nei suoi film d’animazione. Nel 1988, è stata la prima donna a ricevere il Großer Österreichischer Staatspreis nella categoria “arti visive “. Alla 55a Biennale di Venezia è stata premiata con il Leone d’Oro insieme a Marisa Merz. Massimiliano Gioni, direttore della Biennale, ha detto che Maria Lassnig “rappresenta un esempio unico di ostinazione e indipendenza “. Mostre (selezione) Maria Lassnig, Museo delle Belle Arti di Nantes, 1999 Maria Lassnig, Serpentine Gallery, Londra, 2008 Maria Lassnig Das neunte Jahrzehnt, Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig, Vienna, 2009 Maria Lassnig, MoMA/ PS1, New York, 2014 Maria Lassnig 1919-2014, Narodni galerie Prag, Praga, 2018 wikipedia.org
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athalie Djurberg (nata nel 1978 a Lysekil) è una video artista svedese che vive e lavora a Berlino. Djurberg è meglio conosciuta per la produzione di cortometraggi in claymation che sono fintamente ingenui, ma graficamente violenti ed erotici. I loro personaggi principali, come descritto dal New York Times, “sono ragazze o giovani donne impegnate in vari tipi di nefandezze: da lievi inganni, torture amichevoli e bestialità stranamente benigne a omicidi e caos.” I film sono accompagnati dalla musica di Hans Berg. Ha iniziato a realizzare il suo stile unico di Claymation nel 2001 e nel 2004 ha lavorato a stretto contatto con Berg per realizzare narrazioni ricche di simbolismo che spesso hanno anche aspetti umoristici. Le animazioni artistiche di Natalie Djurberg introducono lo spettatore in un mondo di animali miniaturizzati, sfigurati, mutilati e spesso grotteschi. Gli esseri umani sono trasformati in figure caricaturali. Alcune delle opere degne di nota di Djurberg sono: “New Movements in Fashion” (2006), “The natural
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Selection” (2006), “Turn into Me” (2008), “I Found Myself Alone” (2008) e “Hungry, Hungry Hippoes” (2007). Le opere di Djurberg sono state esposte a Performa 2007, alla Tate Britain (2007), al P.S.1 Contemporary Art Center di New York (2006) e alla Biennale d’arte contemporanea di Berlino (2006). Sono state presentate anche in mostre personali alla Kunsthalle Wien (2007) e alla Färgfabriken di Stoccolma (2006). Nel 2008 ha esposto sia installazioni che film alla Fondazione Prada di Milano. Djurberg ha ricevuto il Leone d’argento per un nuovo artista promettente alla Biennale di Venezia del 2009. Nel 2011 il Walker Art Center di Minneapolis ha organizzato ed esposto The Parade: Nathalie Djurberg with Music by Hans Berg, che ha viaggiato al New Museum di New York (2012) e allo Yerba Buena Center for the Arts di San Francisco (2012-2013). Nel 2012 al nuovo museo l’installazione di Djurberg comprendeva sculture a grandezza naturale di oltre ottanta uccelli: pellicani, fenicotteri, tacchini, aquile, un dodo e un gufo delle nevi.
Questi grandi pezzi erano fatti di filo metallico, schiuma, silicone, tessuto dipinto e argilla. Gli uccelli erano raffigurati mentre alzavano le ali, si torcevano il collo e si pettinavano a vicenda. Molti di loro aprivano la bocca ferocemente. Nel 2020, il suo “Coccodrillo, uovo, uomo”, creato insieme a Berg, è stato venduto per 16,3 milioni di SEK, una somma record per un’opera d’arte contemporanea svedese. Nathalie Djurberg è rappresentata da Giò Marconi e dalla Lisson Gallery. Dal 1994 al 1995, Djurberg ha ricevuto un’educazione artistica di base dal Folkuniversitetet di Göteborg. Ha frequentato la Hovedskous Art School di Göteborg dal 1995 al 1997. Durante la scuola di Djurberg a Hovedskous si è concentrata principalmente sulla pittura. La sua abilità pittorica è dimostrata dal modo in cui le sue figure di plastilina sono modellate - la sua abilità dà alle sue figure un espressionismo gestuale. Djurberg ha ricevuto il suo Master all’Accademia d’Arte di Malmö nel 2002. Mostre selezionate 2005 Giò Marconi, Milano 2006 Galleria Zach Feuer a New York City 2006 Färgfabriken|Färgfabriken - Centro di arte e architettura contemporanea, Stoccolma 2006 Museo Maxxi, Roma 2007 Kunsthalle Vienna 2007 Kunsthalle Winterthur 2008 Fondazione Prada, Milano 2011 Walker Art Center, Minneapolis 2012 CCC Strozzina, Firenze Animazione in argilla e video digitali “Camels Drink Water” (2007; 3:47 min.), Edizione di 4, musica di Hans Berg “We are not two, we are one“ (2008; 5:33 min.), Edizione di 4, musica di Hans Berg “Turn into me” (2008; 7:10 min.), Edizione di 4, musica di Hans Berg Premi 2009 Leone d’argento della Biennale di Venezia per Experimentet 2007 Premio Carnegie Art 2007, Museo d’arte contemporanea Kiasma, Helsinki wikipedia.org
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“Conosciamo la verità non solo con la ragione ma anche col cuore.” (Blaise Pascal)
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ilvia Pisani mostra nella sua espressione artistica il connubio ideale tra concetto, cromia e
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segno. E’ l’idea che infonde soffio vitale alle sue pitture. L’artista segue un’intuizione - elaborata nel suo manifesto del Movimento Neo-Relazionista - che la conduce con rigore verso la libera ricerca espressiva in relazione all’essere. Partendo dal concetto oggettivo che solo dal confronto e dalle sinergie possa scaturire il processo dinamico della trasformazione, il Manifesto dichiara la relazione quale tassello fondamentale per entrare in uno scambio osmotico con il Tutto. In questo contesto, l’artista si pone come mediatore capace di sentire la vibrazione universale e realizzare opere d’arte che siano strumenti di lettura per questa compassione universale. Segni e simboli archetipi affiorano alla sua memoria entrando nella tela. L’arte sin dalle sue apparizioni arcaiche si è sempre posta come elemento capace di traghettare verso altri livelli di coscienza. Dai primi disegni propiziatori di animali ritrovati a Lascaux e in altre grotte europee, sino a correnti artistiche più recenti come il simbolismo, la figura dell’artista è sovente stata percepita come sciamano dal gruppo sociale di appartenenza. Joseph Beyus e, prima di lui, Wassily Kandinsky hanno instaurato con l’atto creativo un tale tipo di relazione. Il secondo artista in particolare, in alcuni passaggi del suo scritto “Lo spirituale nell’Arte” teorizza l’uso del colore quale strumento per acquisire livelli di coscienza superiori. La capacità del colore, attraverso la vibrazione di ogni singola tonalità e l’accostamento delle stesse, sarebbe duplice: ad un primo livello - quello della percezione estetica - si produce una sensazione fisica di piacere o disgusto; mentre uno studio approfondito dei colori e quel-
LA SINERGIA COME FUTURO
SILVIA PISANI
curata da IBC IRMA BIANCHI COMMUNICATION Alessia Locatelli
https://artspaces.kunstmatrix. com/en/exhibition/1434081/ la-sinergia-come-futuro
lo che emanano anche in quanto suono, permette ad un secondo livello di relazionarli psichicamente con la vibrazione intrinseca ad ogni essere umano, per creare una relazione unica tra opera e fruitore. E’ la combinazione tra forma e colore ed il ritmo della composizione ad esprimere tutto quello che l’artista desidera trasmettere. Nasce così l’Astrazione. Silvia Pisani dipinge sia in astratto che figurativo e lascia che sia il colore, in perenne simbiosi con il gesto, a condurre lo sguardo nella profondità della tela, coinvolgendo i sensi tutti nella sua stesura, spesso agglomerandolo ad altri materiali come la sabbia, per rendere maggiormente materica la pennellata. Colori freddi o caldi, sempre disposti con una tavola cromatica che predilige i rossi, i gialli ed i blu, ma che sa rendere morbidamente un bianco lunare così come l’insondata profondità del buio. Movimenti regolari ritmano la tela, pulsazioni di un cuore energetico che tutto avvolge. Il pennello crea spirali, vortici e - anche
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quando sono riconoscibili elementi di figurazione - è sempre la gestualità ripetuta, energica e vorticosa a dominare la visione. La pennellata è quella forte, pastosa e dinamica di Van Gogh mentre la morbida gestualità che accompagna la stesura del colore nei segni pieni e rotondi trova ancora la sua ispirazione in Kandinskij. L’idea iniziale è dunque colta non nella sua espressione di chiusa progettualità razionale, bensì mediata dall’acquisita sapienza del gesto artistico. Temiamo la diversità per riflesso incondizionato più che per approccio razionale, perché sappiamo per esperienza che solo attraverso una relazione con le differenze, la condivisione di opinioni contrastanti ci è possibile avvicinarci alla verità. La relazione è metamorfosi, è crescita, ed ogni crescita rimette in discussione le sue certezze per approdare a nuove forme di pensiero. Riprendendo la citazione iniziale di Blaise Pascal, la verità è cuore e ragione. Perché non sempre la ra-
gione è allineata all’innata capacità di “sentire” dell’emozione. Allineare mente e cuore è dunque un inizio per un nuovo approccio alla vita. E quando entrambe vibrano all’unisono, la verità è più nitida ai nostri occhi. Silvia Pisani non porta al nostro sguardo solo una sua mostra personale, poiché tutto il suo lavoro è un percorso orientato verso l’osservatore nel tentativo di agevolarlo prima a capire, e poi a partecipare al concatenarsi di eventi che è la storia, individuale e collettiva. Il lavoro di Silvia Pisani apre a concetti sinergici utili all’essere umano per intraprendere una nuova via. Quell’era di cambiamento tanto attesa in cui l’uomo, allontanandosi definitivamente dall’attrazione per le “cose basse”, diriga finalmente il suo pensiero verso un futuro di armonia collettiva che coinvolga i suoi simili ed il Cosmo tutto. Alessia Locatelli https://artspaces.kunstmatrix.com/en/exhibition/1434081/catalog
Foto artspaces.kunstmatrix
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tiamo vivendo qualcosa di insolito. Io e gli Altri siamo diversi in questo periodo perché non viviamo più la vita che eravamo abituati a condurre e che vorremmo tornasse. Ecco il motivo per cui nei miei ritratti sono coperti anche gli sguardi. Siamo nascosti da una serie variabile di filtri. È più che mai importante, proprio per questo, rafforzare la consapevolezza delle nostre capacità e potenzialità e fare un salto. Fare un salto e andare oltre. In un certo senso - e qui sta la doppia lettura - non guardare con gli occhi, ma con la mente e il cuore. È possibile ascoltare ed è bene ascoltarsi. Questi ritratti sono una denuncia, e intendono dare un messaggio positivo. Vogliono dire IO SONO NONOSTANTE TUTTO. IO CONTINUO AD ESSERE ANCHE SE IN ALTRO MODO. Tu non mi riconosci?
Io sono cambiato perché il mondo è cambiato, ma devo vivere, assolutamente, vivere. Certi meccanismi si sono interrotti e noi che pensavamo di avere il controllo di noi stessi, della nostra vita e del mondo, ora ci sentiamo smarriti. Non possiamo perderci, ma dobbiamo recuperare dalle nostre forze, dalle nostre energie più profonde quello di cui abbiamo bisogno per continuare il “cammino” che prosegue. Il “diverso” tanto temuto siamo noi e questo forse ci può spaventare, non avere il controllo ci sgomenta. Dobbiamo provvedere ad una mutazione che non scardini, ma anzi rafforzi i nostri valori primari. Non potendo più vivere come sempre, non riconosciamo più il nostro cammino e la libertà negata ci disorienta; si rende necessario fare un buon lavoro di recupero delle ricchezze interiori. Siamo stati troppo a lungo in balia di false necessità, di falsi desideri,
dell’effimero e della velocità. Noi, pur lamentandoci, ci eravamo assuefatti al vortice, alla frenesia ed ora ce ne sentiamo “privati”; non ci accorgiamo che stiamo vivendo una grande opportunità. UNA OPPORTUNITÀ! Dobbiamo essere flessibili e non piegarci. L’uomo si è sempre messo una maschera, per comodità, ritrosia, timidezza, convenienza, necessità. Ora con una maschera tangibile che ci rende tutti uguali, ci sentiamo “anonimi”, come se fossero finiti i giochi da interpretare. Ma non è così, sotto queste maschere ci siamo NOI e ora più che mai dobbiamo far vedere chi siamo veramente. È come se la maschera ci avesse smascherato! Queste limitazioni sono l’occasione per far emergere la nostra vera natura il nostro vero essere. E per fare questo ci vuole consapevolezza. CONSAPEVOLEZZA. Mi auguro di raggiungerla. Laura Zeni
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IBC IRMA BIANCHI COMMUNICATION
Laura Zeni Sguardi celati permanent exhibition https://artspaces.kunstmatrix.com/en/exhibition/5226888/laura-zeni-sguardi-celati http://www.laurazeni.net/ Laura Zeni. Geometrie ri- Viste
mini come fossero il DNA della sua anima e delle sue opere, come lettere a comporre una poesia di vita e di colore. Laura Zeni parla di misteri, miracoli e meraviglie con le avventure del suo personaggio Will, riportando grandi e piccini ad apprezzare il bello e l’importanza della semplicità insita in ognuno di noi, ma troppo spesso dimenticata o soffocata dalla società. Profili come contenitori di emozioni, di esperienze, pensieri, essenze della vita. Icone di un modo di comunicare di altri tempi, ove non ha importanza la velocità, bensì la capacità di dialogare senza parole, talvolta senza nemmeno sguardi o gesti, ma solo grazie all’intensità del pensiero che, in quanto energia, non conosce limiti, distanze, confini. I profili di Laura Zeni delimitano, rendendoceli visibili e amplificano al contempo, gli spazi, i dentro ed il fuori, come a voler rendere trasparente il nostro essere al punto da permettere a chiunque di metterci dentro qualcosa, di leggere come e ciò che vuole. Specchi dell’essere della maggior parte degli individui della società attuale, vuota per volere dei media, del modo di comunicare… in realtà ognuno di noi spesso si sente perso dentro questo nuovo mondo ove crediamo di conoscere tutto e tutti e gli altri conoscono noi ed i nostri pensieri forse ancora prima di averli elaborati… Ed ecco che i pieni diventano vuoti e un corpo svuotato del suo essere viene oltraggiosamente riempito di pensieri ed immagini altrui con l’ignorante convinzione della conoscenza. E, invece, il mondo dovrebbe girare al contrario o, meglio, tornare a ruotare nel senso giusto. Allora rileggeremmo i profili della Zeni con il loro giusto nome, quello di Profili Interiori, dentro cui ognuno di noi è egoisticamente e giustamente nascosto… quell’essenza di ogni singolo che nessuno può rubare e mettere a nudo, in piazza, ma che è ben radicata nella nostra mente, nel nostro cuore, in ogni singola cellula… ed è così leggera non perché inesistente o inconsistente, ma perché forte e spirituale. I profili scultorei della Zeni ci suggeriscono (segue pagina 14)
Fotografia: Massimiliano Frau
IL MIO CORPO E’ LA MIA CASA
(segue dalla pagina 13) che ciò che è positivo e negativo non esiste se non per la somma di entrambi, perché non sempre più e meno si annullano, ma si possono anche unire perché noi siamo anche contrapposizioni, incoerenze senza le quali non saremmo veri. Ed è proprio nei vuoti delle sue sculture così eleganti e leggere che ritroviamo l’anima, quel complesso di energie che l’uomo non è ancora in grado di rendere visibile con semplici tratti, ma che può solo delineare di profilo appunto. Perché l’anima, a differenza della materia seppur perfetta, è intangibile ed immortale. I tratti sono come asessuati e privi di razza o religione, in continua mutazione e completamento spirituale. Zeni genera Cyclical Event, ove l’anima dell’intera umanità, forte e consapevole, continua a rinnovarsi, a rileggersi, a ruotare su sé stessa, intorno alla gente, nella natura, nella quotidianità circolare che, per quanto latitudinalmente e longitudinalmente in posizioni diverse, in realtà nel profondo è comune ad ogni essere vivente. Tutto ruota, i pensieri, i corpi, il nostro stesso mondo, in un equilibrio magico e perfetto anche quando sembra tutto alterato e complesso… ma i momenti di apparente perdita di quell’equilibrio sono fondamentali, talvolta essenziali per mantenere invece proprio questo equilibrio e renderlo durevole quanto la nostra vita, se non eterno. E più la testa gira, più ci obblighiamo a cercare dentro di noi, a comprendere nel profondo ogni istante della nostra anima gettata troppo spesso nella confusione di migliaia di altri corpi, di altri pensieri ed equilibri precari che non ci appartengono. L’essenza di vita e di equilibrio è proprio la consapevolezza di essere in continuo movimento tra infinite anime umane, toccati dalla natura madre sovrana a cui non possiamo sottrarci e che non possiamo comandare a nostro piacimento, ma con cui è magia convivere. E così come mutano le stagioni, così l’Uomo deve elevarsi a qualcosa di superiore per sentirsi volare in equilibrio stabile proprio perché leggermente mutevole Serena Mormino Curatrice e Critica d’Arte MUSEO DEL PARCO Centro Internazionale di Scultura all’Aperto Portofino Presidente AMARTE
PIETRINA ATZORI P
ietrina Atzori è una Creativa Textil che si esprime, prevalentemente, con il Feltro, con la Tintura naturale, con i tessuti, le fibre vegetali, e materiale tessile di recupero. Le sue opere tendono verso forme, colori, consistenze e funzioni a riflettere lo spirito dei luoghi che abita. Pietrina Atzori, da autodidatta, tesse e feltra manipolando la lana con tecniche tradizionali e non. Predilige l’uso delle lane grezze rivolgendo un’attenzione speciale alle lane sarde, con le quali sperimenta e crea oggetti e forme dai possibili usi non convenzionali. Ha preso parte a manifestazioni nazionali e internazionali dell’arte tessile, dello sviluppo sostenibile e dell’artigianato. Pietrina Atzori appartiene al segno nudo. Tracciato con un filo dalle tinte primarie, esso penetra materiali duttili e profila percorsi di senso e d’immaginazione. Fatto di pazienza e tenacia, delinea forme che portano in sé la fierezza dell’isola natia. Dentro al suo alfabeto la trasparenza di uno sguardo che si sofferma con disincantata curiosità, e ancora di più la
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raffinatezza degli equilibri provvisori che con ago e filo raggiunge per raccontare senza dire, rappresentare senza descrivere. I suoi lavori sono stati oggetto di mostre e concorsi artistici nazionali e internazionali in cui ha presentato installazioni, abiti scultura e, più di recente, un cortometraggio dal titolo “Poseidonia” realizzato in collaborazione con l’artista Rosaria Straffalaci. Si é particolarmente impegnata per la riconoscenza, la diffusione e la promozione della lana della pecora di Arbus, andando fino a organizzare e realizzare “La lana di pecora Nera di Arbus è in giro per l’Italia” , un Progetto di Arte Sociale. Dal 17 agosto al 02 settembre 2019, attraverso un filo di lana di pecora nera di Arbus, che l’artista ha lavato, cardato e filato personalmente, è stata CONNESSA tutta l’Italia. In diciassette giorni Pietrina Atzori, accompagnata da Umberto Petrini, ha fatto il giro d’Italia in scooter percorrendo circa 3500 km. Ai sindaci dei paesi e delle città che ha incontrato durante il suo viaggio ha recapitato, attraverso il servizio postale o direttamente a mano, quando
possibile, qualche metro del prezioso filo di lana nera. Mentre le immagini di questa pagina illustrano le opere che ha prsentato alla mostra IL MIO CORPO È LA MIA CASA con il titolo “Resilienza del seno”, 2020, 4 parti 50x 50 cm, assemblaggio di imbottiture di reggiseno, filo di cotone all’uncinetto, ricamo su carta. Pietrina Atzori sceglie una parte fortemente rappresentativa: il seno. Semioticamente riferito a diversi gradi di associazione: immagine di femminilità, oggetto del desiderio, reminiscenza infantile, simbolo dell’ossessione pornografica di uomini e donne si trasforma in protesi del corpo e del pensiero. Con il punto basso all’uncinetto costruisce il capezzolo, posato al centro della lunetta di gommapiuma che rinforza il reggiseno. Interviene ancora col ricamo su carta e lascia che fili e linfe si espandano nello spazio della vita. Chi fosse interessato alle opere può contattare lo Spazio e Movimento ai numeri: 3485449739 - 3382312449. pietrina-atzori.blogspot.it facebook.com/pietrina.atzori facebook.com/Pietrina-Atzori-Textile-felt-nature-explore
Fotografia: Massimiliano Frau
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ROBERTA CONGIU R
oberta Congiu e la sua penna a sfera. Nella sua opera in quattro parti l’attenzione si focalizza sul seno. Il corpo si trasforma in mezzo busto, rappresentato con assoluto iperrealismo, lasciando che lo stupore dell’occhio per la perfetta resa grafica, davanti alle mani che dinamicamente si muovono da parte a parte, si fermi nella lettura di questo alfabeto segnico. Le certezze lasciano il posto alle paure e lo sguardo vaga alla ricerca di quella forza interiore che è contenuta nel corpo casa. Curriculum vitae 1999 - Maturità artistica presso il Liceo Artistico Statale di Cagliari. 2005 - Diploma con lode in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari, con tesi in Storia dell’Arte dal titolo “Il ribaltamento della Camera Oscura”. 2007 Vincitrice del concorso indetto da Seat Pagine Bianche PagineBianche d’Autore per la copertina della regione Sardegna, edizione 2007 / 2008, con la pubblicazione in copertina dell’opera fotografica L’Incontro ed acquisto della stessa da parte del Ministero peri Beni e le Attività Cultu-
rali. 2009 - Artista menzionata nel concorso indetto da Seat Pagine Bianche PagineBianche d’Autore per la regione Sardegna, edizione 2008 / 2009, con l’opera fotografica Impressioni di Settembre. “Dia - Logos 2009”, Rassegna Internazionale d’arte, 6 - 29 agosto, Porta del Parco Grazia Deledda e Casa delle Dame Pintor, Galtellì (NU). Pubblicazione di due illustrazioni nella raccolta di poesie Bersagli di cera, autrice Cinzia Guido, Casa Editrice Kimerik. 2011 - “Camera Oscura”, mostra personale nell’ambito della manifestazione Di Visioni - Visioni di - edizione 2011, 19 - 31 agosto, Sala Esposizioni, Viddalba (SS). “Ex_pression”, mostra personale, 21 ottobre - 6 novembre, Antico Palazzo di Città, Cagliari. “OPS! Ognuno Può Sognare!”, collettiva d’arte, 16-18 dicembre 2011, Buzzi Restauro Lab, Cagliari. 2012 “Details”, mostra personale, 13 – 20 luglio, Libreria di via Sulis, Cagliari. Finalista al Premio Arte 2012 per la sezione Grafica, concorso indetto dalla rivista Arte, mensile Cairo Editore, con l’opera Ludovica #5. A cura del gruppo A.N.S.I.A; “Black / White”, mostra per-
sonale, 25 maggio – 8 giugno 2013, White Lounge Café, Cagliari; Illustratrice per la campagna pubblicitaria “Nutriamo Talenti” per lo IED Istituto Europeo di Design; Art Director Riccardo Monti, Copywriter Marco Duò, Illustratrice Roberta Congiu: Ideatrice ed Illustratrice delle opere del Team Movidì per Movidì Didaxa su http://movidi.it/ 2014 “Untitled”, mostra personale, 27 aprile – 11 maggio 2014, White Lounge Café, Cagliari. Finalista nella sezione Pittura al Contest Artistico Internazionale WHO ART YOU? 3, organizzato da NOLab, con le opere Multiplicity e Multiplicity II.“WHO ART YOU? 3”, mostra delle 80 opere finaliste, 23 maggio 2014, Ex Fornaci, Milano; patrocinato dalla Regione Lombardia, in collaborazione con NOLab, Meltin’ Pot, InsideArt, CCT-SeeCity, con catalogo. “ARTEFATTO #9– CROSSING OVER 2014”, mostra dei 65 artisti selezionati, 30 maggio – 15 giugno 2014, Trieste. Iniziativa patrocinata dal Comune di Trieste, GAI – Giovani Artisti Italiani, Bjcem ed Università degli Studi di Trieste, con catalogo. facebook.com/robertacongiuartworks
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vedi video a vimeo.com/523041170
enerdì 12 marzo 2021, alle ore 18.00, presso lo Spazio e Movimento di Marilena Pitturru a Cagliari é stata aperta al pubblico “Il mio corpo è la mia casa”, group show al femminile a cura di Ivana Salis. Una mostra d’arte contemporanea con le donne e per le donne. Nei primi mesi del 2020 nasceva da un’idea di Mara Damiani, artista e graphic designer, la voglia di essere presenti con il proprio linguaggio artistico in uno spazio che ogni giorno è al fianco di migliaia di donne: Il Centro Donna dell’Ospedale Binaghi. L’occasione era quella della Giornata internazionale della Donna, che si celebra ogni anno l’8 marzo. La mostra coinvolgeva come curatrice Ivana Salis, storica dell’arte e presidente dell’associazione culturale Asteras. Le artiste invitate erano Pietrina Atzori, Roberta Congiu, Mara Damiani, Marilena Pitturru, Laura Saddi, Rosaria Straffalaci. Invece, proprio a marzo del 2020 il Covid 19 precipitava il mondo intero dentro una pandemia che perdura tutt’oggi e la mostra veniva sospesa. A distanza di un anno la Sardegna si trova ad essere zona bianca e la mostra prevista all’Ospedale Binaghi (oggi ospedale Covid) si sposta allo Spazio e Movimento. La mostra presenta 24 opere inedite realizzate con diverse tecniche: assemblaggio di materiali di recupero, pittura e collage su tavola, disegno, frottage e acquerello e stampa su carta, lavorazione all’uncinetto. Ogni artista si è espressa col proprio linguaggio mediale sulla funzione e percezione del corpo, sentito metaforicamente come casa, luogo dell’essere libero nella sua specifica condizione femminile. Ad innescare la riflessione delle artiste una frase di Marina Abramovic riportata dalla curatrice: “[…] il corpo è una casa”, sede ricevente dell’istinto, che deve trasformarsi, con una serie di passaggi del pensiero, in consapevolezza, e avere un luogo pronto ad accoglierlo. Questo corpo deve essere preparato e curato alla ricezione, solo così potrà essere “casa”. Nel periodo di apertura della mostra sono previsti degli eventi allo Spazio e Movimento: sarà organizzato un incontro in diretta streaming con la psicologa Anna Pes sul tema “Il mio corpo è la mia casa” e diversi incontri con le artiste. Giampaolo Cirronis
Fotografia: Massimiliano Frau
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vana Salis, presidente dell’Associazione culturale Asteras (Associazione Territorio e Arte in Sardegna), nasce a Cagliari nel 1982. Consegue la laurea in Storia dell’Arte presso l’Università di Cagliari e il Diploma di specializzazione in Beni Storico-Artistici all’Università di Siena. L’Asteras è un acronimo, e significa: Associazione Territorio e Arte in Sardegna ella ha come ambito di azione il territorio (non solo sardo) e l’arte (a partire dalla Sardegna). Però questo acronimo è anche un’evocazione, un’assonanza. La radice del nome aster, infatti, nella lingua latina e in quella greca è la stessa di “aster” = stella; di “asteroide” = piccolo pianeta o corpo celeste; di “aster settembrino” = fiore dai petali sottili che allontana gli spiriti negativi. E si spiega. Asteras è una stella perché nei suoi intenti vorrebbe brillare e non restare opaca; è un asteroide perché sta nello spazio lontano girando da qualche parte e (imprevedibile) non sai mai quando la puoi incontrare. Infine, cari amici nostri che noi vorremo tanti, Asteras è simile a quel fiore semplice come una margherita, che ha tanti petali così come sono i suoi progetti e le sue idee, e ha tante sfumature dall’indaco al violetto. Asteras è aperta alle energie che si fondano sulla competenza, l’originalità, il rispetto, il dialogo. Il lavoro svolto dal 2014 al 2016 per la catalogazione promossa dall’Assessorato della pubblica istruzione e dei beni culturali della Regione Sardegna è stato il momento in cui si è presa coscienza della necessità di operare sulla valorizzazione del patrimonio culturale, in particolar modo in riferimento all’ambito del patrimonio d’arte murale. Nasce così il progetto editoriale “Muri di Sardegna. Luoghi e opere della Street art”, prima guida regionale che comprende 145 comuni da nord a sud dell’Isola. La mission dell’Associazione è quella di divulgare, innovare e incentivare la fruizione del patrimonio culturale e dell’arte contemporanea con metodologie inclusive e partecipative che creino una rete trasversale di servizi su tutto il territorio regionale. Il gruppo dei soci fondatori è costituito da storiche dell’arte e fotografi professionisti che, in diversi anni di esperienza diretta sul campo, hanno maturato competenze di diversa tipologia, prestando la loro opera in progetti di catalogazione, ricerca, ideazione e realizzazione di eventi culturali, in collaborazione con enti pubblici e privati.
MARA DAMIANI
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vedi video a vimeo.com/385599097
ara Damiani. artista, designer e Art Director, nasce a Cagliari e consegue il diploma-laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, cui segue un Master in illustrazione all’Accademia Disney di Milano. Lavora nei campi del pubblishing, licensing e merchandising, collaborando da circa venti anni con The Walt Disney Company. Ha una vasta esperienza di design e illustrazione a livello internazionale e collabora inoltre con Milan Calcio, Mondadori, Egmont, Mattel, Bormioli, Clementoni, Cartorama, Leolandia, Expo 2015. Nel 2013 torna a vivere a Cagliari, dopo pochi anni presenta il suo primo progetto editoriale, “Carrasecare design”. Edito nel 2018 da Arkadia Editore in questo libro vengono raccontate con puntuale studio grafico un gran numero di maschere tipiche dell’Isola. In seguito si occupa di un grande progetto chiamato “Appartenenza”, che si concentra sulla sintesi grafica applicata al design. Attraverso lo studio della storia antica, moderna e contemporanea, dell’artigianato,
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del paesaggio, delle tradizioni isolane che sono legate alla raffinata arte della panificazione e della pasticceria, progetta forme dove le varie decorazioni che si animano nell’accostamento di colori che creano un l’identità visiva degli oggetti, degli abiti, della terra sarda. La danza di queste linee geometriche unisce piccoli dettagli a schemi compositivi di grandi dimensioni, formando le maglie di diverse superfici. Dalle stampe d’autore dove dominano le “Reinas”, una serie di donne rappresentate nella foggia regale dell’abito tradizionale della festa, a stampe su tessuto ed elaborazioni su altri materiali che vanno a caratterizzare diverse tipologie di complementi d’arredo e merchandising. Già presente con una sua prima personale a Spazio e Movimento, oltre ai lavori citati in precedenza, ha presentato i ricami su tessuto studiati per Filatex, le lampade “Pabassinas” per Kernos Ceramiche e “Pirikitte” per AV Metal. Nella sua pratica di ricerca artistica personale, Mara Damiani re-investiga alcuni tratti caratteristici della Sardegna e li connette a nuovi design contemporanei da lei ideati,
sperimentando anche nel settore dell’artigianto artistico. Mara è sempre alla ricerca di nuove, fresche e stimolanti consulenze per i clienti. Nei primi mesi del 2020 nasceva da un’idea di Mara Damiani, la voglia di essere presenti con il proprio linguaggio artistico in uno spazio che ogni giorno è al fianco di migliaia di donne: Il Centro Donna dell’Ospedale Binaghi. L’occasione era quella della Giornata internazionale della Donna, che si celebra ogni anno l’8 marzo. In questa mostra Mara parte dalla sintesi grafica dell’organo femminile: la vulva. Dalla forza dell’unione in un grande cerchio floreale, la donna si libera nella potenza primordiale espansa tra lo spazio delle braccia a triangolo, simbolo del suo stesso ventre trasformato in cuore. Un inno alla vita, all’interpretazione di ogni parte femminile, alla strada verso la percezione dell’unicità di ognuna. Chi fosse interessato alle opere può contattare lo Spazio e Movimento ai numeri: 3485449739 - 3382312449. https://www.facebook.com/ spazioemovimento/ www.maradamiani.com
Fotografia: Massimiliano Frau
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MARILENA PITTURRU
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arilena Pitturru ci coinvolge in una danza. Evolvendo il lavoro iniziato con la serie “Siluetas” del 2018, i corpi dalla matrice metallica, con il frottage, lasciano le loro impronte sulla carta. Nati dal ventre di una figura ancestrale, danzano come nella “Joie de vivre” di Henri Matisse. Si accompagnano, nella dualità del maschile e femminile, sintetizzando le figure in superfici dove il corpo diventa spazio da abitare con la forma delle emozioni. Marilena Pitturru nasce a Cagliari il 29 febbraio 1960, dove vive e lavora. Studia al Liceo Artistico Statale di Cagliari (sez. Architettura), interrompe gli studi alla Facoltà di Lettere e Storia dell’Arte, continuando ad approfondire autonomamente lo studio dell’arte contemporanea. Predilige la scultura e l’installazione. Non concepisce la vita senza una continua ricerca sia dei vari materiali che dello studio della propria interiorità attraverso l’arte. La curiosità la spinge a spaziare in più campi, materiali e strumenti: studio di monili,
fotografia, scenografia, incisione, patchwork artistico, assemblaggio di ciottoli, terracotta, bronzo, cera, pietra, metallo, reti metalliche, pelle, tessuti, filati, arazzi, carta, materiali di recupero e riciclo, amalgami creati da lei, telai autocostruiti, colle e resine, pinze e tenaglie, ago e filo. Nel suo lavoro preferisce studiare in letteratura le tecniche base quindi fare ricerca e sperimentazione trovando tecniche proprie per esprimere se stessa. La sua ricerca tematica da un dualismo ossessivo interiore tra maschile e femminile si sposta ad una indagine più profonda della sua interiorità e all’osservazione dei problemi attuali del mondo riciclando materiali vari. Note sono le sue cerniere lampo antropomorfe, spesso firmano le sue opere, chiuse o aperte accompagnano i temi dell’anima e/o esprimono il dolore del mondo. Nel 1983 ha lavorato presso la Galleria comunale d’arte di Cagliari, diretta dal Dr. Ugo Ugo, al riordino della biblioteca di storia dell’arte contemporanea. Per la 1° Rassegna d’arte contemporanea SAF Sardegna Arte Fiera nel 2005 è stata in-
vitata dal critico Anna Maria Janin a far parte del suo gruppo curatoriale. Nella mostra Apocalittica a Spazio e Movimento, Marilena Pitturru focalizza l’attenzione sull’Ambiente. Servendosi prevalentemente di materiali da riciclo, punto nodale della sua ricerca artistica, crea una serie di installazioni inedite che dialogano con lo spazio e la luce, utilizzata come elemento portante e caratterizzante di ogni opera. Con questi lavori l’artista approfondisce la riflessione sul ruolo dell’uomo nell’attuale disastro ambientale, inscenando visioni di un mondo imploso e in preda al caos. Una mostra socialmente impegnata, in cui lo studio dei materiali e l’evoluzione concettuale portano a riflettere sulla responsabilità che ciascuno di noi ha verso il pianeta che ci ospita. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Spazio e Movimento è la galleria che anima a Cagliari in via Napoli 80 insiewme a Ivana Salis ed Efisio Carbone. https://www.facebook.com/ marilena.pitturru/ https://www.facebook.com/ spazioemovimento/
vedi tutti i video a https://vimeo.com/ channels/spazioemovimento
lURAGHE. A nome di questo monumento sinora è stata confiscata persino l’esistenza. Al suo posto c’è un’overdose di assonanze e concettualizzazioni posticce, mai indagate criticamente. Per una incredibile cocciuta renitenza, della quale dovranno rispondere davanti alla storia della cultura, gli accademici si sono sempre opposti ad affrontare le etimologie dello scibile sardo mercé i dizionari. Certuni hanno preferito affrontare le etimologie con l’uso della Cabala, altri hanno inventato radicali mai esistiti, anziché aprire i dizionari, esclusivamente i dizionari (e le rispettive grammatiche) delle antiche lingue mediterranee. In alternanza con la Cabala e con l’invenzione di assurdi radicali, gli accademici si sono soddisfatti con la sirena altrettanto perniciosa delle assonanze, in forza delle quali niente vieta di equiparare il sardo casu in quanto ‘formaggio’ all’it. caso in quanto ‘probabilità’. Eppure sì, hanno preferito orecchiare le assonanze (qualsiasi ne fosse l’esito), pur di non acquisire e non consultare tutti i dizionari e tutte le grammatiche affacciatisi nel Mediterraneo sin dal primo balbettio della cultura. Vivaddio, un etimo è tale se lo si indaga attraverso i dizionari con tecnica archeologica, scendendo livello dopo livello sino al primo apparire del radicale omo-fonico ed omo-semantico, il quale spesso dimostra di essere stato usato dai Nuragici almeno 800 anni prima che sul Palatino nascessero le prime capanne. Chi immagina che nuraghe sia formazione moderna o al più medievale (da sardo nurra ‘cavità’, ‘mucchio di pietre’), si dispensa dall’indagare le mutazioni della cultura sarda e, andando al contrario, cerca di puntellarsi disperatamente su un qualsivoglia “ipse dixit”, che però non traspare dal pensiero dei “secoli bui” (600-1000 dell’Era volgare), allorché i preti bizantini in Sardegna assunsero il compito di stravolgere, senza testimoni, l’antica cultura ed ogni parola-chiave ad essa connessa, rielaborandola, affliggendola con contrappassi e satanizzazioni, giocando ad libitum proprio con le assonanze. Così avvenne per la nurra. (segue pagina 18)
Fotografia: Massimiliano Frau
(segue dalla pagina 17) Ovvio che la Nurra (un territorio sassarese) prese nome, per espansione territoriale, da Nure, Nurae, a quei tempi l’unica città esistente nel nord-ovest. E tutto depone a scoprire che quella città fu dedicata al Dio Sole. La filiazione Nurra < Nure < Nora < accadico nūru ‘luce’ sembra persino ovvia. A sua volta quel concetto semitico era stato ripreso dalle sillabe sumeriche nu ‘creatore’ + ra ‘Dio’, agglutinate per legge fonetica proprio in nurra ‘Dio Creatore’, ‘Dio Iniziatore dell’Universo’. Poiché dappertutto nel Mediterraneo il Creatore fu identificato materialmente nel Sole (cfr. egizio Ra ‘Sole’, ‘Luce’, ‘Dio’), da lì nacque l’interfaccia Dio-Sole-Luce, e quest’ultima in semitico è detta ancora oggi nur, da accadico nūru ‘luce’. Nulla di nuovo nel Mediterraneo da 5000 anni a questa parte. Debbo ora chiarire che cosa c’entri questa agglutinazione sumero-semitica significante ‘luce’ con la nurra intesa come ‘voragine, spaccatura profonda, cavità tenebrosa’. Il concetto deriva proprio dal tabernacolo del Nuraghe, dalla thólos, la camera sacerdotale, il sancta sanctorum impenetrabile e buio, la parte vuota del nurághe contenente lo spirito di Dio. Badate bene che la tholos non era chiamata originariamente nurra! Però i preti trovavano insopportabile quel nur-ra, un epiteto del ‘Dio dell’Universo’. A quanto pare il nuraghe ancora nel VI secolo dell’Era volgare era adorato come simbolo del Fuoco-Sacro, come ‘altare della Luce’, come monumento al Dio Sole. Per quei preti c’era urgenza d’inserire il verme della dissoluzione, cominciando proprio dal vuoto vaginale della thólos (fuso carnalmente con la virga del nurághe, vuoto-per-pieno, simbolo unitario del Dio-della-Luce). Così essi demonizzarono tutto quanto atteneva alla santità del nuraghe. E le voragini terribili ed imperscrutabili del Supramonte furono additate come l’ingresso dell’Inferno. Alla sacra tholos fu imposto il nome nurra ed essa fu additata come contenitore delle tenebre sataniche dove il Diavolo celebrava i riti per propiziarsi il furto delle anime. (segue pagina 19)
LAURA SADDI
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vedi video vimeo.com/510624210 vimeo.com/375588398 vimeo.com/327404189
aura Saddi e la sua opera in quattro parti “What else is there”, realizzata con tecnica mista su tavola. Laura Saddi inscena un mondo dove immagini di sintesi infantile si alternano ad accentuate visioni surrealiste. La tecnica è insieme di più operazioni: pittura, collage, interventi a pastello a olio e matita, affinché ogni parte abbia la sua intensità. Evidente la simbiosi tra corpo e casa: seni, braccia e gambe ne abitano le pareti, con qualche ramo a ricordare l’unità tra le specie viventi. Una visione degna della più misteriosa pittura, ricordando quel folle mondo delle tavole di Hieronymus Bosch. Laura Saddi ricorre a diverse tecniche per ottenere a ce che l’arte sia capace di comunicare e indurre alla riflessione, poiché convinta che l’arte sia anche “comunicazione” e, di conseguenza «più modi conosciamo per comunicare e più alta è la probabilità di arrivare a chi ci interessa». Appassionata di disegno sin da bambina, i fogli di carta hanno rappresentato per lei l’unico posto in cui sentirsi libera, sui quali raccontare storie e costruire un mondo che
la rassicurasse. Il mondo di Laura è costituito da una stregua variegata di messaggi che riescono a colpire per il loro forte impatto visivo, obbligandoci a cercare di risolvere un enigma al quale sembra voglia sottoporci. Ha una produzione frenetica, è un fiume in piena di idee e progetti. Navigando tra le sue opere, ci si trova a fantasticare osservando i collage realizzati per il progetto “Adesso. In sospeso”, lanciato da Annarita Punzo e Giuseppe Serra i quali, durante il lockdown della scorsa primavera, hanno invitato una rosa di artisti a condividere nella relativa pagina Facebook i lavori realizzati o attinenti a quel periodo. Partecipa con “Diario di quarantena”, una serie di immagini realizzate con una tecnica mista: collage di giornali e autocertificazioni in vigore durante quel periodo. Spiegare con le parole, altro canale comunicativo dell’arte, le sue opere, non è facile. Il rischio è quello di finire con il semplificare un lavoro tutt’altro che semplificabile. «La velocità dei media assieme ai continui aggiornamenti e dirette ministeriali e sanitarie hanno evidenziato come
la nostra vita fosse precaria, in continua evoluzione e pericolo, illuminata ogni tanto da qualche messaggio di speranza. Ai continui buoni propositi si accompagnavano azioni da vigilantes e calunnie che hanno rivelato tutta l’ipocrisia e la grettezza dell’animo umano». Tanti sono i messaggi e i temi da lei affrontati. A primo impatto, dei suoi disegni colpisce una malinconia di fondo. Riflettendoci con più attenzione, le emozioni che evoca sono diverse: ironia, irriverenza, inquietudine, calma. «I soggetti che dipingo sono sempre avvolti da una profonda solitudine, perché è solo quando siamo soli che siamo davvero sinceri», afferma. Uno stile artistico accurato e intenso che sfocia anche nella realizzazione di figure antropomorfe, di animali affascinanti e oscuri, di una natura che pare voglia avvolgere e proteggere l’uomo. https://www.shmag.it/sardegna/15_12_2020/laura-saddi/ Chi fosse interessato alle opere può contattare lo Spazio e Movimento ai numeri: 3485449739 - 3382312449.
Fotografia: Massimiliano Frau
ROSARIA STRAFFALACI
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osaria Straffalaci padroneggia la materia rendendola nella sua informe consistenza. Accumula, brucia, con la forza del gesto espande e scalfisce quasi, nella profondità dei vuoti che diventano la mimesi del varco da cui nasce la vita passando dal corpo femminile. Emergono gli stati emotivi, spazi e luoghi dove risiedono le più profonde paure e speranze. Nata a Villa San Giovanni nel 1974. Frequenta nella vicina Reggio Calabria il Liceo Artistico statale Mattia Preti, dopo la maturità conclude il suo percorso di studi alla Scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti reggina. I primi approcci col colore e la pittura ad olio avvengono in tenera età. Rosaria porta avanti la sua ricerca tra lirismo cromatico e superfici materiche, per la sua arte, da circa venticinque anni, si avvale dell’utilizzo di materiali di recupero quali supporti per le sue opera. Guardando ai grandi del passato, spazia dall’espressionismo astratto all’arte concettuale.
Tante le esposizioni ed i riconoscimenti in Italia e all’estero. I murales da lei realizzati sono: Gloria in via San Sebastiano a San Sperate Paese Museo (CA); Fabula in Corso Asia ad Assemini (CA); StessoCielo presso il Centro Giovani ad Assemini (CA) in collaborazione con gli studenti del Liceo Artistico Foiso Fois di Cagliari, PUNTOGamMa a Villa SanGiovanni (RC). Attualmente impegnata in arti performative con Pietrina Atzori. Dal 2016 ricopre l’incarico di direttore Artistico del Comune di Assemini (CA). A proposito di Poseidonia, opera realizzata insieme a Pietrina Atzori, Rosaria Straffalaci ci dice :«L’idea nasce da Mimma, la mia mamma che vedendo le continue immagini di sbarchi di migranti una sera mi disse: “Ma ti rendi conto di come è cambiato il mondo? Oggi gli animali mangiano gli uomini. Non mangerò più pesci”. Le sue affermazioni, il suo rifiuto di non voler mangiare più i pesci, hanno fatto scattare nella mia mente un’immagine precisa. Ho visto la scena e l’ho sentita forte.
Ne ho dunque parlato con Pietrina Atzori, artista tessile di San Sperate, e da lì abbiamo insieme costruito la perfomance “Poseidonia”. Poseidonia, l’alga che è nutrimento e ossigeno del mare e anche donna. È anche Poseidon, al maschile, il Dio del mare. Abbiamo scelto di mettere sotto gli occhi di tutti la realtà così com’è, abbiamo voluto scuotere gli animi ma, anche gridare. Lo abbiamo fatto raccogliendo attraverso immagini e filmati le reazioni più svariate del pubblico. Ovviamente, ci tengo a menzionarlo – conclude Rosaria Straffalaci – senza il contributo del pescatore Orlando Masala e la Cooperativa Pescatori Porticciolo di Sant’Elia, questa perfomance sarebbe rimasta un’utopia.» Chi fosse interessato alle opere può contattare lo Spazio e Movimento ai numeri: 3485449739 - 3382312449.
https://rosariastraffalaci.blogspot.com/ https://www.facebook.com/ rosaria.straffalaci/ https://www.facebook.com/ Arte Contemporanea rosaria. straffalaci/
vedi video vimeo.com/376610225 vimeo.com/381129076
(segue dalla pagina 18) Sappiamo che i Romani, rispettosi dell’altrui religione, non scalfirono mai un nuraghe. Diecimila altari furono trasmessi intatti dai Romani sino all’avvento dei preti bizantini, allorché tutto precipitò nell’ignominia. Va da sé che il contrappasso medievale di nurra in quanto ‘mucchio di sassi’ non è contraddittorio. Esso fu la conseguenza del modo spregiativo imposto dal clero nel considerare il nurághe: doveva essere considerato un ‘mucchio di sassi’. Ecco uno dei tanti esempi di come nei “secoli bui” fu sbranata la cultura sarda. Mancando al riguardo lo “ipse dixit” di uno scrittore medievale, oggi spetta allo studioso di penetrare nel buio culturale creato dai preti e illuminarlo con l’intuizione e l’interpretazione, nonché con l’ausilio delle grammatiche e dei dizionari del Mediterraneo, con i quali riusciamo a “bucare” scientificamente lo strato latino e l’ideologia imperiale. Occorre dire la verità sui nuraghi. Attenti a schivare i luoghi comuni e gli accostamenti maldestri, viene da chiedersi in ultima istanza, razionalmente, che cosa fossero realmente i nuraghi. Dai concetti mediterranei che ho indagato nel mio “Dizionario Etimologico della Lingua Sarda” e nel mio “Dizionario Etimologico del Sassarese”, apprendiamo che la Sardegna, nei millenni precristiani, non aveva affatto penuria di parole per indicare altrimenti una “torre”. Semplicemente, disdegnava per essa l’uso di tūrre ‘rifugio’ in quanto quel termine gli era già servito per i porti-estuari (vedi l’etimo di Porto Torres). Preferì altri due termini. Il primo indicava la ‘torre difensiva’, e la chiamò dimtu (come gli Accadi), da cui il cognome sardo Denti (non a caso la torre difensiva ha la sagoma di un molare). Il secondo concetto mirò a definire la “torre sacra”, e la chiamarono nurágu, nurághe, nuraki. Questa dai Babilonesi era detta nuḫar, ed era il tempietto posto in cima agli ziggurat, il quale (stando alle descrizioni degli archeologi) aveva proprio la forma dei nuraghes. Ma è la lingua sumera ad aver lasciato il significato profondo di questo nome venerando. (segue pagina 20)
Foto c.melosu
(segue dalla pagina 19) Esso è tri-composto, nu-ragu (vedi il nome del villaggio Nuragus, evidentemente edificato in onore del Dio-Sole), da nu ‘creatore’ + ra ‘fulgido’ (vedi egizio Ra, il Dio-Sole) + gu ‘forza, complesso, interezza’ (di edificio). Nuragu significò ‘chiesa del fulgido creatore’. Esso era il tempio del Dio-Sole. In campidanese è chiamato nuraxi (effetto di lenizione dell’antica -k-); quindi il nome più arcaico è certamente quello del centro Sardegna, ossia nurake, nuraki. In questo caso è congruo interpretare il terzo componente dal sumerico ki = ‘luogo, sito’. ed indicare nuraki come ‘luogo del Dio Sole, luogo del Fulgido Creatore’. L’operazione “NURAGHI-UNESCO” è fallimentare, ridicola e controproducente per delle ragioni che ora tento di spiegare. Operazione Miniere L’Unesco aveva posto il proprio marchio protettivo sull’intero sistema minerario sardo, credendo che i Sardi avrebbero fatto delle ex-miniere quel gioiello turistico che sta pompando parecchi miliardi nelle casse della Ruhr (Germania). L’Unesco ha ritirato con somma indignazione la propria protezione perché delle miniere la Regione Sarda ha fatto soltanto un putiferio miserevole, irragionevole, ributtante. Sulla questione delle miniere la Sardegna si è sputtanata con l’Unesco in un modo tale che tutti noi Sardi, se avessimo la possibilità, dovremmo scappare da questa Isola a causa dei pessimi amministratori che ci siamo dati fin dal 1948. Noi abbiamo almeno 20.000 nuraghi. In che modo la Sardegna tutelerà questi beni, visto che l’Unesco non sborserà nemmeno una lira ma anzi ne pretende parecchie, e noi Sardi nel mentre abbandoniamo i nuraghi da decenni in mano ai clandestini che ne stanno facendo polpette. E se oggi non riusciamo a difendere il sistema nuragico, in che modo potremo brillare per intelligenza e organizzazione davanti all’Unesco? Per gestire l’intero sistema nuragico non ci basterebbero 50 miliardi all’anno? Chi ci darà questi soldi? Non c’è un cane in Italia che non abbia dato il proprio assenso a questa operazione.
TUTTI HANNO DATO L’ASSENSO. Persino la Chiesa. Quest’oceano di assensi sarà arrivato per lungimiranza, per esultanza? NO questo OCEANO non è altro che la stessa faccia della solita COLLETTIVITA’ che ha lasciato morire la Sardegna, l’ha lasciata annegare nelle proprie faide, nella propria impossibilità di gestire una qualsivoglia economia. Quindi, quella generalità di SIIIIIII !!!! non è altro che una coltre di buonismo davanti a una Regione che non si sa amministrare. E’ una risata di compassione per noi Sardi, eterni masturbatori, eterni fannulloni, eterni POCOS-LOCOS-Y-MALUNIDOS. Io sono vent’anni che sto spiegando scientificamente la vera entità del SISTEMA CULTURALE SARDO. In vari miei libri, in varie videoconferenze ho spiegato scientificamente che cosa sono i NURAGHI. L’ho nuovamente spiegato ieri. SONO ALTARI AL DIO SOLE. Allora, nei miei libri, nelle mie conferenze, ho spiegato che l’intera Accademia Sarda, l’intero corpo di archeologi,
le due Università sarde hanno sempre detto e ribadito CHE I NURAGHI SONO MUCCHI DI PIETRE (nel senso letterale della parola). L’ultimo ad averlo ribadito in un suo recentissimo libro è l’archeologo Roberto Casti. Bene, questa ciurma ora mette l’abito buono per andare all’Unesco per dire a tutto il mondo che NURAGHE significa MUCCHIO DI PIETRE. Allora, noi dobbiamo tutelare dei monumenti che gli antichi Shardana chiamarono “MUCCHI DI PIETRE”? Gli Shardana dovevano essere tutti folli (folli come sono i nostri amministratori), perché decisero di erigere 20.000 mucchi di pietre, COSI’, TANTO PER DIVERTIRSI. Questa è la stessa ciurma che DICE ALL’INTERO MONDO CHE LA STELE DI NORA E’ INTRADUCIBILE, mentre io l’ho tradotta da 20 anni, sono l’unico al mondo ad aver dato a quella Stele una traduzione lineare e chiarissima per ognuna delle sue venti parole. Io sono dalla parte di chi vuole difendere la CIVILTA’ NURAGICA in tutte le forme possibili. Ma occorre intelligenza, se-
rietà, capacità organizzativa, mucchi di miliardi. facebook.com/salvatore.dedola. Salvatore Dedola (Sassari, 28 novembre 1939) è un linguista, filologo e divulgatore scientifico italiano. Salvatore Dedola si è laureato in glottologia con una tesi sulla lingua gotica. Dedola ha esordito come scrittore di ambiente, producendo libri sull’agriturismo e sui percorsi naturalistici e culturali delle aree montane della Sardegna. Queste esperienze lo hanno portato allo studio della toponomastica sarda dapprima nell’ottica della filologia romanza. Secondo l’autore i suoi studi della lingua sarda lo hanno allontanato dall’approccio fondato sulla pregiudiziale latina, portandolo ad estendere così le sue fonti alle grammatiche ed i lessici delle altre lingue mediterranee, comprendendo quindi le lingue romanze, indoeuropee, semitiche, la lingua sumera e quella egizia. Le sue opere sono presenti nelle maggiori biblioteche universitarie ed istituzionali del mondo. A lui è dovuta una delle più recenti traduzioni della Stele di Nora.