“Tacete o maschi” X Edizioni Collettiva 2020 Dea Madre di Tarzien Gianni Atzeni Il vino prenuragico Rattoppa Rammenda Ricuci Il blocco sardo corso Lucido Sottile Scorie radioattive in Sardegna? Tzricotu Mu.Sa.Ba. Cannabis ItsArt Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Gennaio 2021
Foto faustoferrara
S’ARTI NOSTRA
S’Arti Nostra
Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di
Demetra Puddu
Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com
Vittorio E. Pisu Redattore Capo
Foto vitobiolchini
Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/ channels/cagliarijetaime
SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima
Supplemento al numero del Gennaio 2021 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA
Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com/unisvers Commission Paritaire
ISSN en cours Diffusion digitale
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uesto numero inaugura il ventennio del ventunesimo secolo che non si presenta certo al meglio e non ha ancora fatto i conti con la pandemia che ha rovinato l’anno passato, facendoci rimanere a casa per mesi, chiudendo i teatri, i musei, numerosi commerci ed attività ed anche i ristoranti ed i bar per non parlare delle scuole. Ancora oggi non si sa se e quando riusciremo a considerare che il vaccino, in fase di distribuzione, metterà un punto finale a questa avventura e ci permetterà di ripartire anche se, comne mi auguro, non si potrà ritornare, come se niente fosse, alle abitudini del passato recente che la pandemia ha mostrato in tutta la loro inanità e cecità. Sono bastati due mesi di confino dell’umano (almeno in Italia) perché i cinghiali venissero a passeggiare al centro di alcune cittadine e non delle minori, che i cerbiatti ed altri animali della foresta si avventurassero indisturbati e che i delfini venissero fino ai bordi delle banchine dei porti a saziarsi di muggini. Allora dovremo aver capito che non possiamo continuare ad andare cecamente ed ineluttabilmente verso un’estinzione della specie umana, perchè tanto il pianeta soppravivverà assolutamente e facilmente alla nostra scomparsa. Ed è appunto in seguito alla pandemia ed ai suoi effetti che ho incominciato a riflettere ad una strategia di vita che si baserebbe più su di un attento esame del territorio, dei suoi abitanti e dei loro bisogni, specialmente qui in Sardegna, ma anche altrove, dove numerosi villaggi e piccoli centri sopravvivono con neanche un centinaio di abitanti che spesso sono ormai troppo anziani per lasciare le loro case ed andare a tentare fortun altrove, come già i più giovani hanno fatto, raggiungendo così i centri principali che diventano sempre più l’esempio degli errori che stiamo commettendo, con un’inquinamento sempre più evidente, un accumulo di detriti e di immondizie sempre più difficile da smaltire, senza contare un negazione sempre più marcata della natura in tutte le sue espressioni che siano vegetali o animali per non parlare del traffico. Forse si potrebbe iniziare un altra forma di sviluppo non solo materiale ma sopratutto armonico, pacifico, artistico e ritrovare anche attraverso un’agricoltura ed un allevamento di bestiame non intensivi, un’altro tipo di rapporto con la natura, più rispettoso e più attento ai cicli naturali ed alle condizioni climatiche. Mi rendo conto che si tratta di un tipo di approccio che necessiterà tempo e costanza, ma credo che nonostante tutto si può incominciare qui, in Sardegna, dove più di una quindicina, se non di più, di piccoli centri che si ritrovano con una popolazione ormai ridotta al minimo, privi dei servizi i più elementari e spesso con un patrimonio immobiliare ed urbano che lentamente si sta degradando, creare delle communità che saranno capaci inoltre, grazie alle nuove energie sostenibili come quella solare senza parlare dell’eolica che non manca certo, di organizzare una vera autarchia energetica ed anche alimentare, senza parlare di tutte le attività artigianali che potranno continuare ad esprimersi allargando il campo della loro attività. Mi auguro che questo progetto veda quest’anno il suo battesimo e il suo progredire ed interessare un numero sempre più importante di persone, che oggi non trovano più le soddisfazioni che cercavano vivendo nelle città metropolitane. Mi auguro anche che l’Arte, sotto tutte le sue forme, trovi qui un terreno di sviluppo offrendo non solo gli spazi per poter essere praticata sopratutto quando dovrebbero essere volumetricamente importanti, ma anche i luoghi della sua espressione, contatto con il pubblico, interazione con una popolazione e con un territorio rinnovato che permetterà veramente di essere abitato nel vero senso della parola. Certo arrivo un pò tardi a queste conclusioni e sopratutto ad esternarle ed a metterci tutta l’energia di cui dispongo, nonostante sia arrivato ad un’età già considerevole, ma spero di avere almeno una buona ventina d’anni davanti a me per poterne vedere la realizzazione ed approfitarne pienamente. Per il resto questa pandemia ha impedito numerosi manifestazioni di svolgersi normalmente sopratutto per quello che riguarda il teatro, la musica, ma anche la letteratura non ha potuto organizzare degli incontri con il proprio pubblico, senza parlare naturalmente della pittura, della scultura, della fotografia private di mostre personali o collettive, tutte situazioni obbligate a rifugiarsi sugli schermi dei computers e delle televisioni per diffondere “on line” immagini e supplire con le reunion a distanza la necessaria communicazione e lo scambio di idee, concetti, opinioni ed anche plausi. Forse neanche il cinema ha approfittato della situazione. Nonostante tutto gli Artisti continuano instancabilmente a lavorare, prendendo spesso spunto ed estro dalla situazione di confino, di limitazione dei nostri spostamenti, incontri, riunioni ed anche festività o lutti. Come sempre la scelta che vi proponiamo é assolutamente personale ed eccletica e spero che vi piacerà, sopratutto quando possiamo sottolineare i successi di alcuni artisti locali, voglio parlare qui della troupe di Lucido Sottile, ancora una volta invitata negli Sati Uniti per una delle più importatnti manifestazioni teatrali mondiali. Non mancano comunque altri accenni come la riflessione sull’utilizzo di alcune sostanze, ancora oggi aspramente combattute senza per altro alcun successo notevole, e l’augurio che, come già in numerosi paesi di cui la lista si allunga di giorno in giorno, anche in Italia si arrivi ad avere un’attitudine coerente, responsabile e sopratutto efficcace rispetto ad un vegetale che per secoli ha fornito materia prima a molte produzioni senza parlare del suo aspetto ricreativo. Vicino alla nostra isola un’altra, più piccola ma non certo meno interessante, custodisce ancora i reperti di una civiltà che ha creato delle sculure molto più grandi e forse anche molto più aniche dei nostri giganti del Monte Prama. Ci piace inoltre ricordare un artista isolano, Gianni Atzeni, noto incisore che dal 22 dicembre espone a “Carta love 2” al Centro Commerciale Marconi Cagliari, di cui non abbiamo potuto riunire una documentazione ma che vi invitiamo a visitare in Via Dolianova, 35, 09134 Cagliari telefono 070 563194. Senza dimenticare il viaggio che la Sardegna e la Corsica hanno effettuato, staccandosi dal continnte europeo e lasciando la Francia e la Spagna per stabilirsi in mezzo al Mediterraneo orientale per il nostro più gran piacere offrendoci così un clima ideale ed mare che molti ci invidiano con ragione. Augurandovi un felice anno vi dò appuntamento a Febbraio. Vittorio E. Pisu
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n libro che coniuga letteratura e arte: la casa editrice Argolibri pubblica Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento (64 pagine, € 18,00, ISBN 9788831225045), a cura di Andrea Franzoni e Fabio Orecchini, con le immagini di Simone Pellegrini. Il volume compone un’antologia di quattro poetesse attive nelle Marche nel XIV secolo, ovvero Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani, le cui liriche sono accompagnate dai versi di tre poetesse contemporanee (Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli) e, appunto, dalle opere su carta di Pellegrini. Per molti si tratterà di una vera scoperta: le figure delle quattro poetesse sono infatti poco note ma, scrivono Mercedes Arriaga Flórez e Daniele Cerrato nel saggio introduttivo, rappresentano la “prima generazione di scrittrici della letteratura italiana”, le prime dunque a costituire un gruppo unitario (non sono però le prime in assoluto, dal momento che conosciamo alcune esponenti donne della scuola siciliana, vissute prima delle poetesse delle Marche). Donne ben inserite negli am-
bienti culturali del loro tempo (a Ortensia di Guglielmo si attribuisce anche un sonetto rivolto a Francesco Petrarca: è noto anche un sonetto del grande poeta aretino che da alcuni studiosi è ritenuto la risposta alla sua collega), donne che con i loro versi sanciscono, scrivono ancora Arriaga Flórez e Cerrato, “l’affermazione di un io femminile in materia amorosa (che si rifiuta di essere semplice oggetto di desiderio maschile per proporsi come soggetto con capacità di decisione) e la protesta contro le imposizioni familiari in materia di matrimonio”, donne che sono ben consce del potere della loro arte e si considerano pari agli uomini in un’attività, quella della poesia, che in antico era ritenuta appannaggio del sesso maschile. Un sonetto di Leonora della Genga è particolarmente rivelatore delle ambizioni delle poetesse donne a esser trattate al pari degli uomini (si tratta del componimento che dà il titolo al libro): “Tacete, o maschi, a dir, che la Natura / a far il maschio solamente intenda, / e per formare la femmina non prenda, / se non contra sua voglia alcuna cura. [...] / Sanno le donne maneggiar le spade, / Sanno regger gl’Imperi, e sanno ancora / Trovar il cammin
dritto in Elicona. / In ogni cosa il valor vostro cade, / Uomini, appresso loro. Uomo non fora / mai per torne di man pregio, o corona”. Il pregiudizio nei confronti delle donne dedite alla poesia sarebbe stato però destinato a durare fino al Novecento, e ancor oggi permangono squilibri negli spazi destinati alle donne nella letteratura, anche perché nei secoli la critica non ha giovato alla poesia al femminile, che proseguì ben oltre l’esperienza delle poetesse marchigiane del Trecento (si pensi a grandi figure del Rinascimento come Gaspara Stampa, Laura Battiferri e Vittoria Colonna, ad esempio): nell’Ottocento, ad esempio, i versi delle poetesse marchigiane erano noti, ma si pensava fossero contraffazioni (ne era convinto, ad esempio, Giosuè Carducci, secondo il quale si trattava di liriche inventate di sana pianta da Andrea Gilio ed Egidio Menagio). Oggi sappiamo invece che Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo e le loro colleghe sono realmente esistite: sono stati rinvenuti documenti, esistono menzioni nelle cronache contemporanee, che hanno consentito alla ricerca contemporanea di affermare con convinzione la reale esistenza delle
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TACETE O MASCHI
poetesse marchigiane. Il libro pubblicato da Argolibri porta dunque il pubblico a conoscenza di questo panorama poco noto: le poetesse marchigiane del Trecento, scrivono ancora Arriaga Flórez e Cerrato, “vengono così a costituire il tassello mancante per completare il quadro letterario di questo secolo, rivelando la dissidenza femminile non già come fenomeno marginale (se non altro in alcune classi sociali come la borghesia e la nobiltà) ma come una realtà già allora dotata di una propria espressione letteraria, in versi e in prosa, sia in ambito religioso che in quello laico”. Sappiamo poi che le poetesse erano anche in dialogo tra loro: un raffinato plazer di Leonora della Genga si rivolge a Ortensia di Guglielmo dedicando un’elevata lode alla sua poesia (“Lasci Tessaglia Apollo, Anfriso, e Delo; / e qui porti la lira, e qui gli armenti / pasca, e qui pianti i sempre verde allori. / Questi i trionfi sien, questi gli onori / di voi Ortensia, a cui soavi accenti / si fa tranquillo il mondo, e s’apre il cielo”). Diversi i temi, dalla volontà di affermare la parità tra i sessi (si legga il meraviglioso sonetto “Io vorrei pur drizzar queste mie piume”, (segue pagina 4)
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Foto xedizioni
(segue dalla pagina 3) attribuito a Ortensia, nel quale la poetessa esprime il suo desiderio di dedicarsi alla poesia, ma è costretta ad affrontare il pregiudizio del volgo: “all’ago, al fuso, più che al lauro o al mirto, / come che qui non sia la gloria mia, / vuol ch’abbia sempre questa mente intesa”) all’amore, dalla poesia religiosa a quella che osserva con amarezza le vicende contemporanee (Livia da Chiavello: “Veggio di sangue uman tutte le strade / d’Italia piene, il qual per tutto corre: / e disdegnoso e reo Marte discorre / lance porgendo ognor, saette, e spade”). Come anticipato, “Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento” si completa coi versi di Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli che, secondo l’uso antico, rispondono alle poetesse del Trecento con le loro liriche, e con il percorso per figure di un importante artista marchigiano di oggi, Simone Pellegrini, che con le sue opere su carta, con le sue mappe di simboli, le sue visioni ancestrali che creano ponti tra passato e futuro, proietta i componimenti delle poetesse del XIV secolo in uno spazio senza tempo. I generi affrontati da Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani, scrivono i curatori Franzoni e Orecchini, nelle opere di Pellegrini “trasgrediscono le forme, potremmo dire degenerano, estendendo il dialogo all’ambito della visione. L’apparato figurativo di Pellegrini si situa precisamente in questo confine temporale lasciato aperto dalla parola, allo stesso tempo archetipico e futuribile, in cui tutto si trasforma e traduce continuamente, contagiandosi con l’organico, il vegetale e il biologico, proprio come sempre ha fatto la poesia”. https://www.finestresullarte. info/libri/tacete-o-maschi-poetesse-marchigiane-trecento-libro
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tilizzare una finta “autobiografia” per parlar bene, in terza persona, di se stessi, può sembrare un escamotage adatto a un personaggio come Gertrude Stein, una delle autrici che hanno stabilito le regole della letteratura moderna. Non per nulla lei stessa amava definirsi un genio. Tuttavia queste pagine, che si leggono come un romanzo, ci conducono con leggerezza attraverso la storia dell’arte e della cultura contemporanea, introducendoci nelle case e nelle botteghe degli artisti, e mostrandoci un’Europa viva e complessa nel lungo periodo che va dai primi del ’900 fin quasi alla seconda guerra mondiale. Alice Toklas, compagna di una vita, osserva lo sviluppo della Stein e ne testimonia le frequentazioni, la nascita delle opere, il suo atteggiamento pratico nei confronti delle varie vicissitudini, la schiettezza nei rapporti con amici e avversari. La traduzione curata da Cesare Pavese, è impeccabile, così come la breve prefazione da lui aggiunta. Volume di 346 pagine, formato 11×16,5cm, brossura.
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edizioni nasce con un obiettivo principale: il recupero di vecchi libri e la produzione di nuovi. Alla base di tutto la nostra passione per l’editoria; l’esperienza poi maturata negli anni nei vari settori della comunicazione, ci hanno permesso di portare avanti questo progetto. La possibilità di accedere a un grosso archivio bibliografico ci consente inoltre di effettuare ricerche e realizzare dossier inediti su virtualmente qualsiasi argomento, specie se legato al ’900. Xedizioni è un vero laboratorio dove ognuno si presta al meglio delle sue professionalità per fare nascere quello che secondo noi è il risultato migliore. Il nostro staff è piccolo ma efficiente, inoltre ci avvaliamo della collaborazione di alcuni professionisti: editor, fotografi, disegnatori, tecnici informatici, ingegneri, ognuno di loro in grado di dare un’impronta professionale ai nostri prodotti, al massimo livello, cioè senza compromessi ma anche a tariffe “amichevoli” per noi – e noi le giriamo a voi. Contattaci pure per la lettu-
ra critica di manoscritti e per consulenze, revisioni di bozze, eccetera. Tutti noi siamo a tua completa disposizione per qualunque suggerimento, consulenza, su argomenti come l’impaginazione, la scrittura creativa, la redazione di testi, la tecnica o l’estetica fotografica, l’illustrazione, la stampa, la distribuzione. Scrivici al nostro indirizzo: info@xedizioni.it. Il nostro studio è a Cagliari, in via dei Genovesi 38/40 – nel suggestivo quartiere storico di Castello. Vieni a trovarci quando vuoi, possibilmente da mezza mattina in avanti e per tutto il pomeriggio, oppure chiamaci al numero +39 070-7531612 https://www.facebook.com/ xedizioni/ http://www.xedizioni.it/ http://www.petitesondes.net è il sito da cui ha avuto origine l’iniziativa di Xedizioni. http://www.leradiodisophie.it - Portale italiano dedicato alla radio d’epoca e alla storia delle tecnologie collegate. Ha deciso di affidare a Xedizioni la cura del settore editoriale, dai libri ai CD-ROM di documentazione.
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rganizzare una mostra è un rito. Un rito codificato da chi nel tempo ci ha preceduto; un rito che presenta molteplici varianti al copione di base, principalmente dovute alle diversità culturali dei punti nevralgici dell’attività espositiva mondiale: Londra, New York, Miami, Hong Kong, Tokyo. Parte di questo rito è la produzione di testi curatoriali che presentano e si fanno interpreti, nei confronti del pubblico, del linguaggio artistico espresso dalle opere. In tredici anni di lavoro, questa è la prima volta in cui provo estremo disagio a scrivere di una mostra da me curata. Avverto inopportuno procedere “come sempre fatto”, “come nulla fosse” di fronte allo sconvolgente momento storico che stiamo vivendo. É per me irragionevole lo spiegare ad altri, in un momento in cui sono io stessa in difficoltà a capire. Come posso mettere in relazione le opere in mostra con il resto della produzione artistica globale in un momento in cui i grandi palcoscenici dell’arte hanno calato il sipario? ...
Niente Art Basel nel dicembre 2020 , niente Frieze London ad ottobre. L’esperienza di percorrere le sale espositive della Collettiva 2020 senza gli artisti e i visitatori intorno è un’esperienza nuova e inconsueta. Tuttavia, mi sento fortunata a poterla compiere, a poter essere qui, circondata dalle opere degli artisti, anche quando il pubblico in generale non può. Trovo allora la forza per scrivere, per essere da tramite, vero e proprio medium di fruizione, per chi non può farlo in prima persona. La Collettiva degli artisti di Castia Art è quest’anno particolarmente ricca e articolata. Ciascuno dei 15 artisti ha partecipato non attraverso singole opere, ma con un progetto artistico strutturato in coerenza con ciò che quest’ultimo anno ha rappresentato per se e per la società. Si tratta di progetti molto personali, portatori non solo del messaggio poetico affidatogli dall’autore, ma rivelatori di intimi dettagli, veri e propri frammenti di vita dell’artista stesso. La mostra costituisce un momento di superamento del
dissidio interiore dell’artista - già studiato dallo psicoterapeuta inglese D.W. Winnicott - tra il desiderio di comunicare e quello di nascondersi. Infatti, attraverso i più diversi media espressivi, dal video alla scrittura passando per pittura e fotografia, ogni artista ha portato in mostra la propria visione del mondo, come da lui percepito nell’ultimo anno. Al linguaggio artistico abbiamo, inoltre, voluto affiancare un supporto interpretativo a favore del visitatore, attraverso una serie di interviste, pubblicate sul canale YouTube di Castia Art, in cui assieme a ciascun artista abbiamo raccontato e commentato i progetti esposti. Non mi resta, dunque, anche quest’anno che aprirvi le porte della nostra mostra attraverso il tour virtuale, visitabile sul sito castiaart. com, in attesa di potervi accogliere di persona presso la sede di viale La Playa 15 a Cagliari, messa gentilmente a disposizione dal nostro sponsor The Net Value. © Katyuscia Carta tour-virtuali.skyss.it/castia/ www.castiaart.com/collettiva-2020
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2020 Collettiva – Castiart Inaugurazione mostra collettiva Le pareti di The Net Value, in Viale La Plaia 15, a Cagliari, ospiteranno per il secondo anno consecutivo la Collettiva 2020 degli artisti di Castia Art. Elena Achilli, Cicci Borghi, Cristian Castelnuovo, Gianluca Chiai, Roberta Congiu, Giangavino Contini, Francesco Cossu, Paola Falconi, Carlo Salvatore Laconi, Alberto Masala, Mauro Moledda, Franco Nonnis, Federico Murgia, Romeo Pinna e Deborah Sandrin si confronteranno sul tema della “Distanza” in una mostra curata da Katy Carta. L’esposizione spazia dalla fotografia alla scultura, passando per grafica e pittura. Le opere proposte sono, per la quasi totalità, inedite ed elaborate dagli artisti durante il 2020. Il visitatore ha già potuto da domenica 13 dicembre, visitare il tour virtuale della Collettiva 2020 sul sito Castiaart.com, in attesa di poter riaprire le nostre porte ai numerosi amici appassionati d’arte, che ci seguono già dall’edizione dello scorso anno. Fa parte del progetto espositivo, la serie di interviste agli artisti disponibili sul canale YouTube di Castia Art. https://www.youtube.com/ channel/UCgcdfCDbEF7T1nBr6lYZlEw/featured
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Foto viaggionelmistero.it
LA DEA MADRE DI TARZIEN
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complesso archeologico di Tarxien, scoperto a Malta agli inizi del XX secolo, rappresenta uno dei più vasti tra gli antichi monumenti europei. A giudicare dall’architettura del luogo, i Templi di Malta sono parte di una cultura megalitica i cui resti sono visibili in numerose altre località del vecchio continente. Nel 1902, a Paola, un sobborgo della capitale di Malta, Valletta, stava sorgendo un nuovo centro residenziale. Nello scavare la roccia per costruirvi delle cisterne per l’acqua, gli operai perforarono improvvisamente la volta di una grande camera sotterranea. Discesi nelle viscere della terra, scoprirono una serie di caverne collegate tra loro e contenenti innumerevoli ossa umane. Temendo dei ritardi nella costruzione, l’imprenditore edile non divulgò la notizia del ritrovamento fino al termine dei lavori. Ma quando la scoperta venne finalmente resa pubblica, i danni erano ormai ingenti: i livelli superiori del sito erano stati smossi dalle opere di costruzione e le camere sotterranee erano diventate dei depositi di detriti. A peggiorare la situazione, il primo ricercatore ufficiale della località morì senza lasciare appunti. Eppure quei resti risultarono appartenere a una delle strutture più antiche e misteriose dell’Europa Occidentale, se non del mondo intero. Tra il 1905 e il 1911 il padre dell’archeologia maltese, Sir Themistocles Zammit, esplorò il sito di Paola e rivelò al mondo intero l’Ipogeo (dal greco hypogeios, “vano sotterraneo“) di Hal Saflieni. Esso consiste in una serie di oltre venti caverne comunicanti, in parte naturali e in parte scavate dall’uomo. La fila principale delle grotte maggiori, che si estende da nord a sud, termina all’estremità meridionale con un “Sancta Sanctorum“, in cui la facciata di un tempio ricavato dalla viva roccia dà accesso a un santuario interno.
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Sul versante nord-sud troviamo la Stanza degli Oracoli. Una nicchia ovale in una delle pareti produce un’eco acuta tutte le volte che qualcuno vi sussurra delle parole con voce bassa e profonda. Nel mondo classico tardo, gli oracoli erano associati ai morti. Chiunque udisse quell’eco uscire dalla cavità poteva facilmente credere che l’oracolo fosse il mezzo usato da un antenato defunto per comunicare con i viventi. Una statuetta della cosiddetta “Signora Addormentata” è stata ritrovata nell’Ipogeo, in una fossa votiva che accoglieva i sacrifici di ringraziamento gettati dai devoti dopo il consulto con l’oracolo o dopo la guarigione di una malattia. La Signora Addormentata è una prova, secondo alcuni, della pratica della “Incubazione“: l’atto di dormire in un tempio in attesa di sogni profetici o curativi. In accordo con questa teoria, due serie di nicchie scavate nella roccia e collocate una sopra l’altra, in una pa-
rete laterale della sala principale, vengono interpretate come cubicoli destinati ai dormienti che aspettavano i sogni, ritenuti nell’antichità messaggi provenienti dai morti. Altri studiosi sono dell’opinione che le nicchie fossero occupate proprio da questi, come in un mortuario. Numerose stanzette secondarie si dipartono dalla serie maggiore di caverne ed è in queste che venne ritrovata la maggior parte delle ossa. A prescindere da altre funzioni dell’Ipogeo, esso era evidentemente una tomba comune. Apparteneva in linea di massima alla stessa tradizione delle camere di sepoltura collettiva, ricavate dalla roccia, della Sardegna, della Spagna meridionale e del Portogallo. Al pari delle tombe a corridoio megalitiche costruite in superficie, e ritrovate anch’esse in Spagna e in Portogallo, queste celle mortuarie del Mediterraneo Occidentale furono in uso nella prima metà del terzo millennio a.C., benché siano
Photo fabioschirru
state forse costruite in data leggermente anteriore. Ma l’Ipogeo di Malta si differenzia da quelli che vengono normalmente indicati come “edifici megalitici”, in cui le superfici di grandi blocchi di pietra venivano in genere lasciate scabre, per il fatto di avere i vani delle porte e le facciate accuratamente levigati. Chi si occupò della raschiatura, e perché? Altre vestigia del passato di Malta vennero alla luce dopo che un contadino locale ebbe riferito a Zammit cosa aveva trovato nel suo campo di frumento nella vicina Tarxien. Incoraggiato dai frammenti di terraglie sollevati dall’aratro dell’uomo, l’archeologo diede inizio ai lavori di scavo nel 1915 e si rese ben presto conto di essere in procinto di scoprire un tempio preistorico. Il sito di Tarxien è posto tra i moderni isolati della periferia di Valletta, ma nella sua forma originaria doveva essere assai più imponente. I tre templi di cui oggi sono visibili i resti furono edifi-
cati in successione per far fronte alle mutate esigenze dei devoti indigenti. A giudicare dai reperti, essi erano utilizzati contemporaneamente. Nel 1929 Zammit attribuì la loro costruzione alla fine dell’Età della Pietra, verso il 3000 a.C. Successivamente, le prove al radiocarbonio hanno anticipato di 500 anni l’erezione del primo tempio. A Tarxien, gli antichi maltesi veneravano una divinità rappresentata da una “donna grassa”. Le sacrificavano pecore e bestiame e forse consultavano un oracolo. Una vivida testimonianza di offerte di animali è costituita da una formella recante in rilievo una realistica scultura di pecore, maiali e tori. Sul luogo è ancora visibile una copia della dea, mentre l’originale è conservato nel museo di Valletta. A giudicare dai resti (costituiti da una gonna a pieghe e due gambe molto robuste) la statua doveva essere alta 2,4 metri. Delle statuette e rappresentazioni di donne enor-
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memente grasse sono state ritrovate anche in altre località dell’isola. Nel suo libro “La ricerca delle città perdute” lo scrittore inglese James Wellard avanza l’ipotesi che, data la natura rocciosa del terreno, gli antichi abitanti di Malta dovevano essere ossessionati dalla paura delle carestie. Tale sarebbe stata l’origine ispiratrice delle “donne grasse” dell’isola: “In altri termini non ci troviamo qui di fronte alla glorificazione dell’obesità, tanto sgradita ai pasciuti occidentali, ma ammiratissima da tutte le razze malnutrite“. Wellard è poi dell’opinione che le statuette rappresentino non una dea ma una Venere terrena, “bella, perché le sue carni abbondanti simboleggiano abbondanza di cibo“. Altri però concordano con l’archeologa britannica Jacquetta Hawkes che, nel suo “Atlante dei primi Uomini“, conclude affermando che le rappresentazioni di questa signora così “esorbitante” dimostrano all’infuori di ogni ragionevole dubbio che i templi erano consacrati all’antico culto mediterraneo della Dea Madre. La vicinanza di Tarxien ad Hal Saflieni, i due siti erano sicuramente associati, conferma questa teoria. Se, a Tarxien, i popoli neolitici veneravano la dea obesa che simboleggiava l’abbondanza dei raccolti prodotti dalla fertile Madre Terra, è allora possibile che, ad Hal Saflieni, la sepoltura dei morti in camere sotterranee equivalesse a riconsegnarli al ventre che li aveva generati. I templi maltesi fiorirono per circa 800 anni, dopo di che furono abbandonati e i devoti si dispersero. Sulla causa dell’allontanamento sono state fatte varie congetture: siccità, epidemie, carestie, invasioni. Ma qualunque sia stata la devastazione che ha eclissato questa civiltà pare che, quando i coloni dell’Età del Bronzo arrivarono nell’isola alla fine del terzo millennio a.C. essa fosse ormai deserta.
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Photo gianniatzeni
asce a Cagliari il 17 marzo del 1947. Il suo percorso artistico ha inizio nel 1976, quando il forte interesse per le arti visive lo spinge ad approfondire i vari aspetti propri della pratica pittorica e grafica. Ha seguito vari corsi e stages di incisione. Dopo essersi impadronito della materia ha avviato anche l’attività didattica e continua a svolgere seminari di tecniche incisorie sia nel suo studio sia nelle aule dell’Università di Cagliari, su richiesta della Prof.ssa Scano Naitza. Dal 1983 al 1986 Gianni Atzeni si lega a una delle esperienze più significative che la Sardegna abbia conosciuto, la rivista Thélema ideata da Luigi Mazzarelli, personalità di notevoli doti sul piano creativo critico e teorico. Nel 1984, realizza un lavoro che lo ha portato verso un territorio dove la gestualità si impadronisce del suo fare culminando, una sua ricerca teorico/pratica sulle costanti di riferimento e le loro contraddizioni sulla quadrangolarità del campo, con una mostra di 60 incisioni che viene presentata in galleria dal Prof. Salvatore Naitza. Nel 1986 apre il PoliArtStudio e qui la ricerca calcografica lo porta ad adoperare tanti materiali. I metalli diventano ormai essenziali nel suo fare. Ma riaffronta, poi, anche la pittura con una maggiore maturità e consapevolezza. Realizza lavori polimaterici e tele di grande formato. Gli ultimi lavori calcografici, infatti, sono figli di un itinerario che ha animato l’artista ad intraprendere una sorta di sfida basata sull’impiego di un nuovo metallo al posto delle usuali matrici calcografiche: il ferro. Nel 1982, inizia a sperimentare un lavoro calcografico elaborato attraverso l’uso di tecniche incisorie tra le più svariate. Oggi questo progetto Metamorfosi continua il suo processo che sfocerà a breve con una mostra.
http://www.sardegnaculura.it
GIANNI ATZENI L
e antiche fattezze del tempo. […] Non appena ci si pone davanti alle opere di Atzeni la prima cosa che ci viene davanti, al di là dei significati reconditi che possono nascondere le forme, è l’idea del lavoro, della fatica fisica dell’impegno che sta dietro l’attività creativa dell’artista. Di certo dopo un lungo periodo dove il carattere artigiano come supporto dell’attività creativa, è stato messo al bando, dopo che la critica ha osannato a lungo la casualità, la spontaneità, l’azione creativa, l’happening, l’escremento o l’alito prodotto dall’artista, la ricerca di alcuni maestri contemporanei ci sta riportando all’arte che, ripristinando i metodi e i mezzi del passato, ritorna a coniugare la dimensione artigianale con l’azione creativa. Quasi quasi se ne cominciava ad avvertire il bisogno! Quando il gesto immediato, carico di spontaneità traccia grafi o glifi sul foglio o sul piano pittorico rappresenta una dimensione dell’artista che affida alla componente inconscia il massimo della presenza nell’attività creativa e la rappresentazione della poetica dell’artista stesso. In questo caso è possibile inneggiare alla spontaneità, all’ingenuità, all’elementarità del fare pittorico o scultoreo. Ma quando l’artista ritorna a rivestire i panni di artigiano, a produrre
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arte con tecniche antiche, sapientemente integrate e rimaneggiate, quando il tempo ridiventa una componente fondamentale dell’arte, del fare arte e la tecnica usata non può fare a meno del tempo, allora il tempo ritorna ad essere una dimensione dell’arte. La morsura, l’azione che l’acido compie sulla lastra di zinco, ha come componente primario il tempo: più la lastra resta immersa e più si corrode. Il tempo in questo caso assume le sue antiche fattezze, quelle di unità di misura, non più categoria del pensiero. Il concetto, come prodotto dell’intuizione e, pertanto, latore di sintesi di pensiero metabolizzato si allontana, per fare posto al ragionamento, alle certezze che si ottengono l’una dopo l’altra, ponendosi in contrasto, in antitesi, in posizione dialettica. Il tempo diventa l’alveo all’interno del quale maturano certezze, non più ritenute nascenti da verità preconfezionate e predigerite, ma dal raggiungimento di fini, risultati di processi, completamenti di operazioni reali, che per essere tali si avvalgono della sperimentazione continua. La realtà artistica diventa costruzione, elaborazione diuturna, forme in fieri. La verità si scopre per tentativi, così come il prodotto artistico: per l’artista questa verità è arte […]” Diego Gulizia
2019 - Nuoro Mancaspazio Gianni tzeni, Stefano Puddu Crespellani, Impre-videnze. 2005 - Cagliari, G28 Gallery, “Per filo e per segno”, a cura di Giorgia Atzeni 2004 - Cagliari, Exmà, “Gianni Atzeni e il segno penetrante dell’umanità”, a cura di Caterina Spiga 2002 - G28 Gallery, “Cosmografie”, a cura di Antonello Zanda 2002 - Cagliari, PoliArtStudio, “Metallica”, a cura di Alessandra Menesini 1998 - Sassari, Kairos, “Risonanze”, a cura di Antonello Ruzzu 1998 - Sassari, Kairos, “Un’umile didascalia”, a cura di Massimo Antonio Sanna 1997 - Cagliari, Man Ray, “Tra simboli e metafore” a cura di G. Demuro e A. Menesini 1993 - Sassari, Kairos, “Hard & Dark”, a cura di Massimo Antonio Sanna 1986 - Nuoro, Galleria Chironi 88, “Le inclinate intermedie sovrapposte”, a cura di Alessandra Piras 1984 - Cagliari, Galleria La Bacheca, “Le inclinate intermedie sovrapposte”, a cura di Salvatore Naitza h t t p s : / / w w w. f a c e b o o k . com/122565847171/videos/10154078215587172/
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a mostra indaga un momento poco conosciuto della produzione artistica di Gianni Atzeni, uno dei maestri indiscussi dell’arte incisoria nella Sardegna del nostro tempo. Parliamo di una serie di opere degli anni ’80 (da qui il titolo della mostra) in cui l’artista accosta il gesto pittorico a quello musicale. Sono anni di intensa sperimentazione legati alla importantissima rivista Thélema e al mondo plexoniano. La pittura gestuale è dell’arte informale del Dopoguerra un momento di legame profondo e inscindibile tra opera e autore. Dentro l’alveo di una ritrovata ritualità l’artista lascia traccia sulla tela della sua connessione col mondo interiore producendo momenti unici e irripetibili. Ne sono esempio i lavori istintivi e solitari di Jackson Pollock e di Georges Mathieu, uno padre del dripping e artista sciamano, l’altro calligrafo proto-performer. Il gesto come elemento sostanziale della creazione, dal Cristo del Giudizio di Michelangelo al taglio di Fontana è sia azione che suono.
a storia della viticoltura nell’Isola affonda le sue radici in epoche antiche. Probabilmente molto prima della civiltà nuragica. Al momento le testimonianza e i documenti del passato ci riportano indietro a un periodo tra il 15esimo e 14esimo secolo avanti Cristo. Le analisi chimiche effettuate sui residui organici contenuti all’interno dei vasi trovati nel Nuraghe Arrubia, a Orroli, fanno ipotizzare che la Sardegna in piena età nuragica conoscesse già le tecniche di trasformazione e produzione del vino. Ma molte domande restano ancora senza risposte. Per esempio, come era il vino arcaico, quali erano i vitigni usati? E, soprattutto, conosciamo i luoghi di produzione, insomma dove sono le “cantine” preistoriche in cui nell’Isola avveniva la fermentazione del mosto? Un importante contributo è arrivato ai primi del mese da un interessante studio effettuato a Villanovaforru nel Nuraghe Genna Maria. Un punto di partenza fondamentale per dar vita a nuove conoscenze su date e luoghi di trasformazione. «Che ci fossero produzioni di vino in età nuragica ce lo dicono le analisi fatte a Orroli», conferma l’archeologo e scrittore Mauro Perra. «Ma mai, prima di Villanovaforru, era stato scoperto un atelier nel quale si facessero lavorazioni enologiche. Il villaggio di Genna Maria è legato alla fase terminale della civiltà nuragica, fine secondo millennio e inizi del primo». Cosa ha di particolare questo sito che lo rende diverso da altri villaggi preistorici? Mille anni prima di Cristo un gigantesco incendio distrusse gran parte dell’abitato costringendo la popolazione a fuggire. Quel rogo e i conseguenti crolli di importanti ambienti hanno conservato in modo pressoché fedele l’interno di alcune costruzioni, restituendo ai gironi nostri una situazione cristallizzata di quel momento. Nella cosiddetta “capanna gamma” sono stati ritrovati dei manufatti in pietra e delle ampie vasche di raccolta utilizzati per la produzione di vino, come hanno confermato le analisi chimiche. Mancava fino a oggi la prova oggettiva della presenza nell’Isola di “cantine”, Villanovaforru l’ha fornita.
Gianni Atzeni accende un riflettore proprio su quest’ultimo punto di vista, memore della sua passione musicale che lo portò, fin da ragazzo, prima a costituire un gruppo musicale, poi ad entrare in un coro polifonico della città di Cagliari. Nella figura del direttore, nel suo modo di creare armonia interpretando la partitura, nel suo dare ritmo e concedere ad ogni singolo di essere parte del tutto, Gianni vede importanti parallelismi con le arti visive. Ancor di più, noi crediamo, nella sua necessità, per via del carattere gentile quanto schivo, di dare le spalle al pubblico per concentrarsi esclusivamente sulla creazione. Qui sta tutto il piacere e la gioia per Gianni Atzeni di sentirsi artista. dal 8 febbraio al 2 marzo 2019 (dal giovedi al sabato 0re 19|21) Spazio InVISIBILE via Barcellona n. 75, La Marina-Cagliari Inaugurazione venerdi 8 febbraio ore 19 Info: +39 328 98 60 521 invisibile_75@yahoo.it
COMUNICATO STAMPA Nell’ambito della mostra “80 gesti sconosciuti” si terranno eventi performativi. Venerdì 8 febbraio alle ore 19,00 presso lo Spazio InVISIBILE di Thomas Emil Lehner, via Barcellona n. 75, La Marina-Cagliari, si terrà l’inaugurazione della Mostra di Gianni Atzeni “80 GESTI SCONOSCIUTI” a cura di Efisio Carbone. Con un intervento poetico Stefano Raccis aprirà il vernissage. Sabato 9 febbraio alle ore 19,00 Matteo Campulla, presenterà la sua ultima video-installazione: “I DIED A MILLION TIMES IN THIS HOUSE”.
vedi il video https://vimeo. com/316226915
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(segue dalla pagina 9) Assoluta novità archeologica, quella emersa dal villaggio nuragico di Genna Maria, che permette anche di asserire con documenti ufficiali che al momento le “cantine” più antiche dove veniva prodotto vino, nel mondo occidentale, si trovano appunto nell’Isola. E molto probabilmente, parliamo di preistorici vini bianchi, al massimo rosati. La scoperta scaturita da un interessante lavoro interdisciplinare che ha visto impegnati lo studioso e responsabile del comparto vitivinicolo Agris, Gianni Lovicu; l’archeologo Perra e il chimico Donatella Delpiano, è stata pubblicata nella rivista scientifica internazionale Vitis. La capanna e i laccus «Il fatto che sia stato possibile trovare un ambiente così ben conservato - riprende Perra - è dovuto a eventi drammatici, ed è stato fondamentale per l’esito di questo studio». Al centro del lavoro ci sono i laccus, ovvero quei bacili in marna, molto comuni nell’Isola e utilizzati in alcuni casi sino alla seconda metà del 1800. I laccus scoperti alla fine degli anni ‘90 nel villaggio di Villanovaforru, raccontano qualcosa di sorprendente. «Un’ampia concentrazione di queste vasche si trova nel Barigadu, nel Montiferru e nella Planargia», spiega Gianni Lovicu. «Ma la fortuna, se così possiamo dire, dei manufatti di Genna Maria è legata al crollo della volta della cosiddetta “capanna gamma”, in seguito al gigantesco rogo avvenuto mille anni prima di Cristo. Incendio che ha cristallizzato quegli ambienti, lasciandoceli intatti sino ai giorni nostri». Non solo. «La presenza di acido tartarico, inoltre, ci ha permesso di avere la conferma oggettiva di ciò che finora si era potuto solo ipotizzare. Davanti a noi c’era un chiaro stabilimento preistorico di vino». Nel documento di sintesi elaborato dall’équipe di studio si legge: «Il manufatto in pietra della capanna gamma del Nuraghe Genna Maria è parte di un composto ancora inedito e risalente al periodo nuragico. La presenza di acido tartarico insieme alla valutazione complessiva degli aspetti archeologici, suggerisce di considerare positivamente il manufatto in pietra come un “laccus” (termine latino che definisce i palmenti) per la pigiatura dell’uva. La pendenza interna del pavimento del laccus permetteva
IL VINO PRENURAGICO l’estrazione del succo senza contatto con le bucce dell’uva. È documentata la presenza in Sardegna di un gran numero di “laccus” come quello del nuraghe Genna Maria studiato in questo articolo. Questo studio contribuisce alla loro datazione e conferma l’esistenza di un’industria enologica nel isola nel periodo arcaico (IX-X secolo avanti Cristo)». Lo studio rileva anche che «probabilmente, le tracce della vite e del vino sono molto più antiche, in Sardegna, della civiltà nuragica. Ma per avere conferma di questo è sicuramente necessario disporre di un approccio multidisciplinare sia in occasione di nuovi scavi che nel riesame di reperti già catalogati e pubblicati». A dare una marcia in più alle ricerche fatte a Villanovaforru sono stati gli esiti delle analisi sui reperti. Il chimico Donatella Delpiano, che ha guidato questa parte del lavoro, non nasconde come «il successo di tutto lo studio sia segnato dall’interdisciplinarietà, il risultato chimico è inoppugnabile. Ci ha consentito di dare una risposta inequivocabile. La scoperta di acido tartarico riscontrato nei reperti però
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poteva non essere sufficiente a dirci che lì ci fosse stata presenza di vino. Il contesto archeologico è stato fondamentale». Lovicu fa notare come in questi «laccus veniva ammassata l’uva e il succo era convogliato nelle vasche sottostanti per la successiva fermentazione alcolica. Che avveniva in assenza di bucce. Si otteneva perciò un vino bianco o al massimo un rosato». Dati e analisi sono stati testati e confermati dai laboratori della Fondazione Edmund Mach, il centro di studi agrari di San Michele all’Adige. Ma questo è solo l’inizio di una nuova avvincente storia. Nello studio inoltre si cerca di definire anche le quantità probabili di produzione. Risposte complesse e strettamente legate a un dato al momento solo ipotizzabile: conoscere esattamente i vitigni utilizzati. «Guardando il vasto panorama varietale della viticoltura della Sardegna, caratterizzata da vitigni “unicum” che presentano tracce di coltivazione vecchie di secoli (Lovicu et al., 2017) possiamo utilizzare come indici di riferimento quelli di varietà (comunque
molto antiche) tuttora coltivate in zona», spiegano gli studiosi. «Possiamo considerare a tal fine due vitigni molto diversi tra loro: il Malvasia di Sardegna e il Nuragus. Il primo è caratterizzato da un grappolo di grandi dimensioni molto spargolo, quindi con pochi acini e raspo molto ampio. Un metro cubo di questo vitigno può contenere mediamente 350-400 kg di uva. In maniera diversa si comporta il Nuragus, vitigno caratterizzato da grappolo medio, molto serrato e con molti acini. Un metro cubo di Nuragus può contenere mediamente circa 500 kg di uva». Da qui la conclusione: «Considerando che il volume utile del palmento è di circa mezzo metro cubo ne consegue che potevano essere lavorati circa 180-250 chili di uva per volta, per ottenere circa 90-125 litri di vino, considerando una resa prudenziale, rispetto all’uva di partenza, del 50 per cento». Dati e nuove conoscenze che certamente segnano un grande passo in avanti nello studio della storia vitivinicola sarda. Ma anche un fondamentale nuovo punto di partenza. https://www.unionesarda.it/ da.it/ alla-scoperta-del-vino-nuragico-nel-villaggio-di-genna-maria
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RATTOPPA RAMMENDA RICUCI L’
anno scorso, il giorno di Pasqua, ho pubblicato un post dal titolo, “Rattoppa, Rammenda Ricuci”, deplorando la moda dei pantaloni ed altri indumenti volontariamente indossati logorati, stracciati, a volte oltre misura, moda che trovo altamente disgustosa perchè rimanda anche ad un’immagine della povertà e dell’indigenza eretta qui a simbolo fashion. Affermavo inoltre che queste lacerazioni del tessuto, questi strappi, quest’estrema usura descrivevano loro malgrado, lo stato della società nella quale viviamo. che, sempre più globalizzata, albera gli stessi orpelli elevati a “Moda” all’Est come all’Ovest. Invitavo quindi (sollecitando anche l’intervento di una notissima influencer che non indossa assolutamente abiti lacerati in questo modo ma che si esibisce sempre con creazioni dell’alta moda estremamente curate) a rattoppare, a rammendare, a cucire questi strappi, quete lacerazioni prodotte ad arte nella speranza che questo gesto assai limitato, potesse, se riprodotto da milioni di individui, aiutarci a prendere coscienza della necessità di ritrovare un modus
vivendi meno egoista e meno narcisistico. Speravo anche, certamente a torto, che la pandemia che ci afflige da ormai quasi un anno, ci potesse aiutare a capire che siamo tutti nella stessa barca e che il virus, in modo altamente democratico, colpisce indistintamente poveri e ricchi, fashion victims ed “as de piques” dell’abbigliamento, giovani e vecchi, indigeni autoctoni ed immigrati recenti. In questi ultimi anni mi sono anche interessato ad un fenomeno che non é solo specifico alla Sardegna, ma che in altri luoghi ha fatto l’oggetto di terapie tra l’altro sbagliate. Voglio parlare del fatto che più di una quindicina ad oggi, sicuramente di più in avvenire, di piccoli paesi dell’interno accolgono meno di cento abitanti ciascuno, cifra che tende inoltre a diminuire assai velocemente, vista sia l’età canonica degli abitanti sia l’assenza quasi totale di servizi di ogni genere, unita all’impossibilità di trovare acquirenti per le abitazioni che spinge gli abitanti ancora validi a trovarsi una sistemazione altrove, andando ad ingrossare le metropoli principali della Regione, con effetto sia sul carovita che sulla disponibilità di alloggi a
prezzi ragionevoli, sulla difficoltà degli spostamenti generata da un numero di veicoli circolanti su strade realizzate per altre capienze, senza parlare degli altri servizi di base. Così sono arrivato ad immaginare che la Sardegna non ha bisogno di turismo né mordi e fuggi e neanche illusoriamente di lusso e che la realizzazione auspicata di nuovi alberghi sulle coste e dell’estensione degli esistenti è una soluzione completamente sbagliata e che ci regalerà, se ce ne fosse bisogno, ancora qualche numero sproporzionato di cattedrali nel deserto che falliranno miserevolmente come già successo in passato, senza che ci serva di lezione. Penso invece che bisogna assolutamente reinvestire i villaggi che si stanno spopolando e spesso, in assenza di manutenzione, irrimediabilmente degradando, senza contare la perdita del “savoir faire” di tante pratiche artigianali, agricole o pastorali che pian piano spariscono senza essere assolutamente rimpiazzate da elementi più giovani e più preparati. Sono fermamente convinto che si potrebbero riunire in cooperativa delle personalità che sarebbero non solo
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in grado di ristabilire l’esercizio delle attività le più immeditamente necessarie ad una piccola comunità, quali la la fabbricazione del pane, la distribuzione dei generi alimentari, la falegnameria, l’idraulica, la diffusione e la manutenzione dell’elettricità come dei diversi servizi di communicazione telefonica, televisiva ed internet, naturalmente l’agricoltura, l’allevamento del bestiame e la pastorizia, senza dimenticare ovviamente le attività artistiche come il teatro, la musica, le arti plastiche, la letteratura eccetera. Questi gruppi autocostituiti potrebbero già incominciare a installarsi in un determinato luogo che avrebbero scelto per affinità sia personali che storiche, permettendo in seguito l’aggregazione di altri individui che apporterebbero ciascuno il loro “savoir faire” e la loro tecnicità sia artigianale che artistica aderendo attraverso un contratto al progetto di rivivifazione dei comuni quasi deserti, facendogli ritrovare ed anche creando ex novo le condizioni necessarie ed anche quelle oltre le sufficenti ad un modo di vita in comunità armonioso, pacifico, produttivo ed artistico.
Mi piacerrebe che le associazioni Sardonia France e Sardonia Italia che ho fondato anni fa e che rappresento attualmente, si facciano promotrici di questo progetto, includendo anche delle personalità non solo prettamente sarde ed anche italiane ma provenienti da altri paesi sia europei che africani, asiatici, americani ed australiani. Le tecniche attuali di produzione autonoma dell’energia elettrica permetterebero inoltre una vera autarchia energetica ed anche la possibilità di sopprimere qualsiasi dipendenza alimentare, tecnologica o materiale. Credo inoltre che molte persone che oggi vivono con un certo inconforto la loro esistenza metropolitana sarebbero più che felici di poter, vivere, lavorare, esprimersi anche artisticamente in dei luoghi dove la natura sarebbe a nostro contatto e penso che anche i nostri rapporti con gli animali sarebbero diversi. In questo inizio d’anno, lasciandoci alle spalle un periodo che non é ancora terminato ma che speriamo lo sia presto, mi auguro che questa proposta trovi degli interlocutori con i quali iniziare una riflessione e dei modi d’azione e di messa in opera che permettano effettivamente di trasformare il concetto che può apparire per il momento leggermente utopico, in una realtà vissuta felicemente. Sono a vostra disposizione per discuterne seriamente e creare gli strumenti giuridici, politici e finanziari che permetterebbero di incominciare a investigare sugli eventuali comuni che potrebbero essere l’obiettivo del progetto. Conoscerli intimamente, farne un rilievo, incontrare gli abitanti attuali, programmare un progetto articolato alle condizioni attuali del territorio e dell’habitat e delineare un calendario di esecuzione, estimando i costi e le modalità della messa in opera. Credo fermamente che questo progetto sarebbe veramente un modo di rendere vita ad un territorio che non solo si spopola ma perde pian piano tuttele sue caratteristiche sia fisiche, che storiche e culturali. Credo che la Sardegna abbia tutte le opportunità per impedire questa decadenza e capovolgere le sorti del suo territorio e della sua popolazione intera. Sono a vostra disposizione per parlerne. Vittorio E. Pisu
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al 2003, Michela Sale Musio e Tiziana Troja sono direttrici artistiche della compagnia LucidoSottile. Conosciute come “Le Lucide”, sono attrici, coreografe, cantanti, registe con un’esperienza ventennale alle spalle. Anticonformiste, istrioniche e dissacranti, il loro intervento nell’arte è trasversale e non convenzionale, spesso osteggiato dalla politica e dalla censura dei benpensanti e oggetto di discussione per l’opinione pubblica. Le Lucide non sono delle artiste ordinarie, il loro lavoro spazia tra il teatro, la danza, il cinema, la fotografia e la musica, tra la comicità più sagace e satirica e il dramma contemporaneo, senza dimenticare il loro impegno sociale e di politica culturale. Sono considerate in Sardegna un punto di riferimento non solo artisticamente ma anche a livello organizzativo e promozionale, per i giovani artisti. Il loro lavoro è fortemente caratterizzato dalla capacità di proporre, attraverso l’utilizzo e la mescolanza dei linguaggi dell’arte, un prodotto di qualità, contemporaneo, mai statico, contraddistinto dall’audacia e dalla poliedricità, che mira e scommette: sulle capacità di una comunicazione talvolta irriverente e fuori dai canonici schemi, sull’unicità del genere e sull’elevato livello di professionalità degli artisti coinvolti nelle produzioni, ma soprattutto sulla capacità di generare emozioni nel pubblico. Il loro è un modo di performare, a tratti dissacrante, che fa della realtà il suo luogo di immaginazione e che è sempre capace di far parlare degli spettacoli portati in scena. Gia presenti a New York la stampa locale ne parlava in questi termini On Stage blog (New York) “Spanker Machine” was a very unique and powerful story (…) stands out as one of the more original pieces of theatre I’ve seen in awhile and I look forward to seeing where it goes next.” traduzione “Spanker Machine” è stata una storia molto unica e potente (...) si distingue come uno dei pezzi di teatro più originali che ho visto da un po’ di tempo e non vedo l’ora di vedere dove andrà a finire.” Auguri per la loro partecipazione all’International Award Theatre Women che potremo seguire on line.
Il Comitato Internazionale della Lega delle Donne di Teatro Professioniste presenterà una settimana di presentazione virtuale del programma di premi teatrali internazionali LPTW Gilder/Coigney (16-22 febbraio 2021, tutti alle 13.00 EST) con un conto alla rovescia di 24 ore che inizierà il
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alle 13.00 EST sul canale YouTube della LPTW internationalaward@ theatrewomen.org https://www.broadway world.com/industry/ article/
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iaggiate in tutto il mondo in 24 ore per incontrare alcuni dei vincitori e dei candidati del programma di premi teatrali internazionali LPTW Gilder/Coigney. Spettacoli, pannelli e conversazioni da diversi paesi saranno trasmessi in streaming nella loro lingua originale con un’introduzione in inglese per ogni artista e paese. Queste artiste discuteranno dell’impatto del teatro nelle loro comunità, dell’essere sui campi di battaglia del cambiamento culturale e della pandemia e del suo impatto sulle artiste e sui loro progetti teatrali. I partecipanti al Countdown di 24 ore condivideranno le presentazioni del loro lavoro o una tavola rotonda. Saranno presenti i seguenti candidati (il programma delle apparizioni sarà annunciato): Iman Aoun (Palestina), Mihaela Drăgan (Romania), Jaspreet Saund (Canada), Faynia Williams (Inghilterra), Andrea Tompa (Ungheria), Avra Sidiropoulou (Grecia), Burbuqe Berisha (Kosovo), Illire Vinca (Kosovo), Zana Hoxha Krasniqi (Kosovo), Dijana Milosevic (Serbia), Grace Gachocha Nanaka (Tanzania), Lupe Gehrenbeck
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(Venezuela) e Jill Greenhalgh (Galles). KIT Italia e LucidoSottile (Italia) parteciperanno per celebrare il Gilder/Coigney Lifetime Achievement Award Franca Valeri (19202020, Italia). Sono state invitate a partecipare anche le vincitrici del Gilder/Coigney Award Odile Gakire Katese (Ruanda), Patricia Ariza (Colombia) e Adelheid Roosen (Paesi Bassi). Oltre a riconoscere un particolare artista teatrale, il Comitato Internazionale LPTW (Laura Caparrotti, Presidente) presenterà una serie di eventi della durata di una settimana per facilitare gli obiettivi del Gilder/Coigney International Theatre Award Program. Gli eventi andranno in onda sul canale YouTube di LPTW e comprenderanno tavole rotonde, interviste e condivisione dei lavori dei candidati. Il programma è progettato per educare gli spettatori e gli ascoltatori sul potere del teatro, in forme tradizionali e innovative, per motivare il dialogo pubblico su questi temi e stimolare l’azione per il cambiamento. Gli studenti di teatro e gli artisti di teatro professionisti conosceranno le ispirazioni,
le metodologie e le tecniche degli artisti, e tutto il pubblico imparerà che, mentre le donne di tutto il mondo si stanno sollevando per chiedere un cambiamento, le donne di teatro sono soprattutto in prima linea in alcuni dei luoghi più pericolosi e sotto-risorse della Terra. Questo programma è possibile solo grazie al generoso sostegno dei membri, degli amici della Lega e di altre persone impegnate nella missione e nelle attività associate al programma del LPTW Gilder/ Coigney International Theatre Award Program. In quanto organizzazione 501(c)3, tutti i doni e le donazioni sono completamente deducibili dalle tasse nella misura consentita dalla legge. Per ulteriori informazioni sul Programma del Premio Internazionale del Teatro LPTW G/C International Theatre Award, contattate Joan D. Firestone, Presidente del Programma all’indirizzo http://theatrewomen.org/ programs/awards/the-gildercoigney-international-theatre-award o visitate il nostro sito web: Internationalaward@theatrewomen.org
“Indicare 14 siti in Sardegna sui 67 individuati complessivamente nel territorio nazionale per la realizzazione del deposito unico dei rifiuti nucleari rappresenta l’ennesimo atto di arroganza e prevaricazione di uno Stato e di un Governo che non hanno alcun rispetto per l’Isola e per la volontà chiaramente espressa dal Popolo Sardo, in maniera definitiva ed irrevocabile, con un Referendum ed una legge regionale”. osì il Presidente della Regione Christian Solinas ha commentato la pubblicazione, nel cuore della notte, della Carta Nazionale delle Aree potenzialmente idonee (Cnapi) ad ospitare il deposito dei rifiuti radioattivi di tutta Italia elaborata dalla Sogin ed approvata dai Ministri dello Sviluppo Economico (Patuanelli ) e dell’Ambiente (Costa), entrambi del M5S. “La Sardegna ha già pagato fin troppi tributi alla solidarietà nazionale verso lo Stato italiano, prosegue il Presidente Solinas: dal disboscamento dei 4/5 del proprio patrimonio arboreo per lo sviluppo delle reti ferroviarie della Penisola e per l’industria del carbone, soprattutto toscana, fino ad oltre il 60% delle servitù militari del Paese sul proprio territorio, senza trascurare le servitù industriali ed ambientali della chimica di stato, ancora in attesa di bonifiche. E non possiamo certo dimenticare il tributo di sangue pagato in misura enorme, sproporzionata rispetto al resto d’Italia, da intere generazioni di giovani sardi andati a morire sui fronti del Carso, del Monte Zebio o della Bainsizza nella Grande guerra un secolo fa”, ha continuato il Governatore sardo. “Questo stesso Popolo ha sempre respinto, e continuerà a farlo con tutte le sue forze, ogni ipotesi di trasformazione dell’Isola in una pattumiera nucleare al centro del mediterraneo, con un danno irreversibile alla propria vocazione turistica ed al suo tessuto economico produttivo, prosegue il Presidente Solinas. Abbiamo una legge regionale in vigore dal 2003 che vieta anche solo il transito di scorie radioattive sul territorio regionale e dichiara la Sardegna denuclearizzata. Abbiamo svolto un referendum nel 2011 che, con un’affluenza massiccia, ha ribadito in mondo chiaro e netto (segue pagina 14)
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ucia Merella est en train de penser à mon avenir à La Casa di Tutti - Sa Domo de Totus. Sassari, Sardaigne · Qualche ora fa sono stati svelati i 67 luoghi idonei in 7 regioni per il deposito dei rifiuti nucleari. In Piemonte sono 8, in Toscana 2, 22 nel Lazio, 10 in Puglia, Basilicata 7,in Sicilia 4 e 14 in Sardegna. Da noi in particolare- si legge nella carta quì sotto- quattro siti sono nella provincia di Oristano e dieci in comuni nel sud della Sardegna. Nel dettaglio le possibili costruzione del deposito nucleare e del parco tecnologico sono: Siapiccia, Albagiara, Assolo, Mogorella, Usellus, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Tuili, Ussaramanna, Gergei, Las Plassas, Villamar, Mandas, Siurgus Donigala, Segariu, Guasila, Ortacesus. Tra circa 2 mesi e mezzo si darà l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti -inclusi i possibili be-
Foto sardiniaport.it
SCORIE RADIOATTIVE IN SARDEGNA? nefici economici e di sviluppo territoriale- connessi alla realizzazione delle opere. Non per fare la provincialotta ma desidero ricordare a tutti ed in particolare a chi sceglierà, che la Sardegna ha il record dei siti inquinati. L’inquinamento a terra si estende per 21.625 ettari mentre la contaminazione del mare risulta addirittura più ampia, raggiungendo i 35.164 ettari. Non sono invenzioni, le zone contaminate si trovano infatti tra i S.I.N. (Siti Contaminati di Interesse Nazionale). Ricapitoliamo: abbiamo una gravissima situazione di crisi ambientale e sanitaria –che viviamo oggi più che mai- e si prende anche solo in vaga considerazione l’idea di stoccare qui rifiuti radioattivi? Come numero di luoghi siamo secondi solo alla Regione Lazio, quante probabilità abbiamo di essere scelti? Desidero riprendere un vecchio comunicato stampa dell’A.S.L. n. 7 di Carbonia, in seguito a comunicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero dell’ambiente: “…si ritiene necessario informare la popolazione di Portoscuso di fare in modo di differenziare la provenienza dei prodotti ortofrutticoli
da consumare per la fascia di età dei bambini da 0 a 3 anni. Occorre perciò fare in modo che in questa fascia di età non siano consumati esclusivamente prodotti ortofrutticoli provenienti dai terreni ubicati nel Comune di Portoscuso”. Non vi fa già, solo questo, tremare le gambe? Anziché avanzare con le opere di bonifica, cementifichiamo e farciamo di scorie la nostra terra stremata. Lavoro. Alcuni parlano di Possibilità. Io dico che è meglio non aspettare e non accettare opportunità dall’alto, perché arriverà solo fango rosso per le nostre mani. Impegnarci in prima persona e trainare l’economia del Territorio è compito dei Sardi, ambire a persone giuste che la amministrino battendo nuove strade è compito dei Sardi e di chi vive il luogo. Mi dispiace per chiunque altro sarà costretto a sobbarcarsi la struttura in questione ma da Sarda dico basta all’inquinamento! Le alternative si costruiscono in condivisione, questo manca totalmente. https://www.facebook.com/ LuciaMerella/
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Foto sardoniapost.it
(segue dalla pagina 13) con oltre il 97 per cento dei voti il no all’energia nucleare ed al deposito di scorie. A fronte di tutto questo, considerato che da decenni paghiamo un costo dell’energia superiore al resto d’Italia perché lo stato ci ha sempre negato anche il metano, è davvero paradossale, se non proprio offensivo, che il Governo, noncurante di tutti i pronunciamenti istituzionali, popolari e democratici contrari, possa pensare di indicare in Sardegna ben 14 siti di stoccaggio idonei, peraltro in zone di alto pregio ambientale e paesaggistico, ricche di testimonianze archeologiche della civiltà nuragica e difficilmente accessibili dai porti in ragione della rete viaria. Insomma, prosegue il Presidente Solinas, una scelta dal sapore neocoloniale di un Governo che pensa di poter portare distante dai propri centri di potere i rifiuti più pericolosi e dannosi, con costi e rischi aggiuntivi enormi dovuti all’esigenza di trasportare via mare i materiali radioattivi. A questo Stato centralista e prevaricatore che non ascolta la nostra voce, ad un Governo che manca di rispetto a un intero popolo e alla autonomia della nostra Regione, sordo alle nostre legittime richieste ma sempre pronto a imporre pesanti fardelli, diciamo fin d’ora, conclude il Presidente Solinas, che metteremo in campo ogni forma democratica di mobilitazione istituzionale e popolare, coinvolgendo enti locali, associazioni e movimenti, corpi sociali, istituti culturali e scientifici per contrastare questa decisione e preservare la nostra Terra da questo ennesimo oltraggio. Da Ortacesus a Siapiccia. Dal Sud Sardegna all’Oristanese, passando per il Medio Campidano e le regioni geografiche di Sarcidano, Marmilla e Trexenta. È questa la parte di Isola consideratata “idonea” per ospitare il Deposito nazionale delle scorie nucleari. Il verdetto lo ha firmato Sogin, la spa con sede a Roma che nel 2010 – in pieno Governo Berlusconi – si è vista affidare, in base al decreto legislativo numero 31 del 15 febbraio, il ruolo di “soggetto responsabile” per localizzare, realizzare e gestire la discarica dei rifiuti radioattivi in Italia. La Sardegna è finita tra le “zone idonee” attraverso ventidue Comuni. Nel dettaglio:
Siapiccia, Albagiara, Assolo, Mogorella, Usellus e Villa Sant’Antonio nell’Oristanese. Poi ecco il Sud Sardegna con Nuragus, Nurri, Genuri, Tuili, Turri, Gergei, Mandas, Siurgus Donigala, Segariu, Guasila e Ortacesus. Ancora: Setzu, Pauli Arbarei, Ussaramanna, Las Plassas e Villamar nel Medio Campidano. In questi ventidue centri sono stati localizzati quattordici potenziali depositi. A Siapiccia 150 ettari; tra Albagiara, Assolo, Mogorella e Usellus l’area individuata è di 339 ettari; 164 tra Assolo e Villa Sant’Antonio; di nuovo 164 tra Albagiara e Usellus; 151 quelli inseriti nella lista tra Genuri, Setzu e Turri. Ancora: 250 tra Las Plassas, Pauli Arbarei e Villamar. A Guasila l’ipotesi è di umno spazio di 241 ettari; 670 tra Pauli Arbarei, Setzu, Tuili, Turri e Ussaramanna; 213 tra Segariu e Villamar; 339 a Ortacesus; 164 a Nuragus; 150 a Gergei; 156 a Nurri; 339 tra Mandas e Siurgus Donigala. Clicca qui per consultare la tavola 5 dedicata alla Sardegna. Tutte le 14 aree dell’Isola hanno ottenuto la classificazione B, “zona insulare”, colore celeste. Corrisponde al terzo livello.
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Nella mappa elaborata dalla spa Sogin e diventata la Carta nazionale delle aree più idonee (Cnaip), in totale sono 67 i siti italiani che in teoria possono ospitare il Deposito delle scorie. Davanti a tutti, ecco la categoria A1, colore verde scuro, valutata come “molto buona“; segue la A2, colore verde pastello che corrisponde al livello “buono“. Quindi il gruppo B in cui è inserita la Sardegna. La mappa si chiude con le zone gialle, lettera C, che includono le regioni sismiche. Ovvero in assoluto le meno adatte per realizzare un deposito di rifiuti nucleari. Le A1 e le A2 d’Italia sono 23, spalmate tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia e Basilicata. Le A1, in particolare, sono dodici. Si tratta appunto di candidature considerate “solide”. Sono così ripartite: due in provincia di Torino (a Carmagnola e fra Calusio Mazze e Rondissone); cinque in provincia di Alessandria e altrettante nel Viterbese (Lazio). Le altre undici A2 sono una nel Senese, nella bellissima Val d’Orcia, fra Pienza e Trequanda, e un’altra sempre in Toscana, in provincia di Grosseto, precisamente nella località di Campagnatico.
La Basilicata figura con la zona a cavallo tra le Murge (tra Taranto e il Leccese) e Matera. In quota Puglia, diverse aree tra Gravina e Altamura nel Barese e nel territorio di Laterza, sempre in provincia di Taranto. I quattordici siti della Sardegna fanno parte di quei 44 classificati appunto come B o C e considerati “meno interessanti”. Si trovano sempre tra Sicilia e Lazio. Nella Carta nazionale non figurano invece Valle D’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abbruzzo, Molise, Campania e Calabria. Adesso comincia la Fase 2 del lavoro che sta portando avanti la Sogin: ciascuna regione è chiamata a esprimersi sugli esiti della mappatura. Dopodiché bisognerà prendere una decisione. Sul nucleare i sardi si sono già espressi col referendum consultivo del 2011: con una maggioranza più che bulgara, pari al 95 per cento, venne bocciata l’ipotesi di ospitare in Sardegna un deposito di scorie nucleari, trasformando l’Isola nella discarica nazionale. Alessandra Carta
Q
uando le acque blu cobalto del mare di Capodanno si infrangono sulle frastagliate insenature di Capo Frasca, lembo estremo della Sardegna occidentale, ti accorgi di quelle onde bianche che si schiantano ritmate sulle rocce scure della Montagna Nera. Il gabbiano d’acciaio, fattosi drone, sorvola contro vento le irte scogliere di una terra che sembra strappata da un altro continente. Un gesto di libertà geologica per conquistare il cuore del Mediterraneo, indipendente, senza più catene, capace di farsi circondare da acque che mai avrebbero bagnato quel fronte, da Capo Caccia a Porto Flavia, da Capo Teulada al Golfo degli Angeli. Se le guardi in faccia quelle pareti rocciose che costellano a strapiombo la parte più esposta dell’Isola ti assalgono interrogativi ciclopici come la grandezza dell’Universo, delle sue peripezie più affascinanti, dei segreti più remoti che si celano in quei colori così forti, segno indelebile di una costa selvaggia e inesplorata. È il viaggio più lungo e affascinante della terra di Sardegna. La storia più antica di un lembo di terra strappato 35 milio-
Foto pietrinaatzori
IL BLOCCO SARDO CORSO
metri all’anno. Passo dopo passo, metro dopo metro. Con il perno di questa fluttuazione ancorato nel cuore del golfo di Genova. Da lì il blocco sardo-corso ha cominciato lentamente a posizionarsi sempre di più nel cuore del Mediterraneo, con un distacco totale e senza alcuna continuità geologica con la terra d’origine e tanto meno con lo Stivale, lontano e totalmente estraneo a quella terra viaggiante. Una rotazione di 45 gradi sino a posizionare la Sardegna e la Corsica in un perfetto asse nord sud che ha qualcosa di incredibile nella sua precisione. Un viaggio che ha spostato la microplacca in un tempo relativamente breve, per raggiungere l’attuale posizione di pace geologica. Non è un caso che oggi l’Isola dei Nuraghi venga considerata sicura sotto ogni punto di vista tellurico. Niente terremoti rilevanti proprio perché il distacco dal continente europeo ne ha reso indipendente la sua posizione geologico-terrestre sino a renderla immune da contraccolpi, pressioni e spinte tettoniche in grado di alterarne la stabilità. Un Continente tutto Sardo, con la Corsica saldamente agganciata nel blocco centrale del Mediterraneo. La storia fantastica della Sardegna, sempre più esclusiva, è ora ancorata agli studi più avanzati che rendono quelle supposizioni cromatiche la prova regina di questo viaggio universale durato un’eternità. Le tecniche sempre più all’avanguardia e sofisticate hanno reso questa storia una pagina di scienza straordinaria, messa nero su bianco dai più avanzati dipartimenti geologici delle università mondiali. Il timbro a fuoco su quel distacco che ha segnato per sempre la libertà, almeno geologica, della Sardegna. E se scorgendo le vertiginose pareti nere della costa tra Montevecchio e Capo Frasca vi venisse il dubbio di averle già intravviste dello stesso colore, della stessa foggia, dell’identica consistenza di quelle francesi o spagnole, oltre l’orizzonte della Costa Verde, sappiate che avete visto giusto. Sono le stesse della Montagna Nera della Francia meridionale e della Spagna del nord. Oggi, però, sono le libere coste della Sardegna, il Continente Sardo nel cuore del Mediterraneo. Mauro Pili https://www.unionesarda.it/articolo/news-sardegna/
ni di anni fa alla costa iberica e francese per trasformarsi in un continente, quello Sardo. A raccontarla sembra una fiaba, scritta nell’immaginario fantastico delle capriole della terra, dell’inesplorato mondo della preistoria. Se prima la fantasia si adagiava su felici e ardite intuizioni ora i pilastri affondano profondi nella scienza geologica, quella che non lascia niente al caso. La prova fumante ha scolpito una cicatrice profonda sui due lati di quella frattura che ha separato per sempre il “blocco Sardo-Corso” dal continente europeo, dalla costa dell’attuale Provenza sino all’imbocco delle Alpi. Un distacco inaudito per compressione e una rotazione incredibile verso il centro del Mare Nostrum. La Sardegna e la Corsica, stesso blocco geologico, stesso viaggio e stesso asse di scorrimento e posizionamento, hanno compiuto il più grande viaggio geologico che la terra possa conoscere nel bacino del Mediterraneo. Una traslazione, con dimensioni più contenute, pari a quella che ha caratterizzato la storia geologica dell’India e dell’Australia. I geologi, gli studiosi della terra
più profonda, la spiegano con linguaggio dotto e scientifico, per noi comuni mortali tutto si fa più semplice grazie ai loro studi. Per compiere questo straordinario viaggio tettonico la Sardegna si è affidata alla “deriva dei Continenti”. Un viaggio lunghissimo, ma breve se paragonato alla storia geologica di quest’Isola straordinaria. Le prime croste terrestri su cui la Sardegna si è formata affondano le radici nella notte dei tempi. Il calendario deve ritornare indietro di 570 milioni di anni fa. Era il Paleozoico. Per capire la grandezza dei tempi, i Dinosauri sono comparsi nella piattaforma terrestre molto, ma molto dopo, durante il Giurassico, tra i 145 e 200 milioni di anni fa. Il grande viaggio dell’Isola di Sardegna ha inizio, però, “appena” 30/35 milioni di anni fa. Il gioco a biliardo della crosta terrestre è un incastro di spinte e contatti, di perni geologici e di rotazioni. A spingere più di tutti è il continente africano. Il perno di rotazione e di spinta è localizzato al largo del Marocco. La collisione tra Africa ed Europa innesca le danze dei con-
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tinenti. La pressione tettonica del continente africano, verso quello che ora sarebbe il fronte spagnolo e francese, provoca reazioni a catena. Combinate e sequenziali. La prima, la più evidente, è la frattura che si registra nella costa iberica-provenzana. Un blocco di quella costa inizia a distaccarsi. A favorire quella rottura è una corona di vulcani che si staglia lungo tutta quella faglia che genererà, da lì a poco, quegli strapiombi che segneranno per sempre sia la costa francese e spagnola che quella sardo occidentale. Le eruzioni dei vulcani rendono incandescente quella fascia del distacco, il magma scorre a temperature impressionanti su entrambi i versanti, la lava diventa un Dna che marchia a fuoco tutti e due i lembi di quelle terre che si stanno lentamente, ma inesorabilmente, distaccando. E sarà quella marchiatura a caldo a rendere possibile la precisa ricostruzione di quella sequenza genetica delle rocce provenzali, iberiche e sarde, tutte figlie geologiche di un’unica e incontrovertibile storia della terra. Dal distacco alla posizione attuale serviranno dai 10/15 milioni di anni. Una rotazione di pochi centi-
O
Foto maimoniblog
rmai siamo arrivati ad un bivio. I giochi sono fatti. Il periodo di tempo trascorso da quel lontano 1995 ha dato il tempo di indagare e di reperire le prove pro e contro, e di comprendere quali di quelle prove siano attendibili e quali no per deliberare sul dilemma: i sardi di età nuragica scrivevano? Quante prove sono state portate a sostegno della teoria del Prof. Gigi Sanna? Tante, tantissime e di ordine filologico di altissimo livello. Quante prove sono state addotte dai negazionisti? Nessuna. Tante dichiarazioni di rifiuto, senza l’avvio di alcuna indagine tesa a smontare in modo concreto, puntuale e risolutivo la tesi del Prof. Sanna. Sono state addotte solo timide ragioni, tanti scontati cliché che sono solo delle mezze verità del tipo: “la scrittura si sviluppa in ambito palaziale”, che se pur vera, inquadra la scrittura in modo aprioristico solo all’interno di una società che la usava ai soli fini meramente pratici in un preciso contesto urbano. Altre possibili soluzioni?... Silenzio. Ma torniamo all’amletico dilemma: essere o non essere scrittura nuragica? Da una parte vi è il Prof. Gigi Sanna, assertore impavido e sicuro della propria posizione data la sua grande cultura umanistica, dall’altra una manciata di negazionisti poco coscienti della realtà che obiettano; la maggior parte per partito preso, altri per inchiodata e stereotipata cultura, che sfocia inevitabilmente, sia per gli uni che per gli altri, in un superficiale tirar di somme. Alcuni di essi, i più arrabbiati, furono disposti a suo tempo anche all’uso illecito dei media pur di mantenere ben salda la loro posizione. E ammesso e non concesso che il passato li possa giustificare per il fatto che i dati allora potevano esser esigui (!); al presente la presa di posizione dei negazionisti è dettata da ragioni per nulla scientifiche, né filologiche, ma è tesa a evitare solo ed esclusivamente una ritrattazione. Questa è la parola chiave del malanno di cui ci stiamo occupando: ritrattazione. La ritrattazione, vista come azione infausta, non è contemplata dai più tra le possibili operazioni riparatorie dell’errore. E tanto più si abbassa la sta-
Il ripostiglio di
Tzricotu
trasformerà il vaso di Pandora in una cornucopia. I negazonisti attuano l’esorcismo: Tzricotu, Tzricotu, Tricotu, vade retro retractatio! dalla pagina Facebook di Gigi Sanna del 24 dicembre 2020 Testo di Sandro Angei https://maimoniblog.blogspot. com/2021/01/il-ripostiglio-di-tzricotu-trasformera.html
tura morale e il livello culturale, tanto più la retractatio è respinta. Secondo questo sillogismo la retractatio è indice di forza e onestà intellettuale di chi la esercita, conscio delle proprie forze. Poi a peggiorar ancor più le cose (viste sempre dall’altra parte) si presenta l’umiltà che, accidenti a lei, è madre della ritrattazione e ad essa tien la mano. Cosa è l’umiltà? La parola ha due accezioni, una negativa (manco a dirlo!), l’altra positiva. La prima viene usata in senso spregiativo per indicare, ad esempio, persone o ceti di basso rango; l’altra è registrata quale “virtù”. L’umiltà quindi, in uno spirito ottimistico, è una virtù e la si acquisisce con l’esperienza e la consapevolezza dei propri limiti. I Maestri devono essere umili; e se lo sono, saranno capaci di attuare la ritrattazione per amor proprio, per il bene dei propri allievi e della scienza. Non sono un fervente cattolico, anzi... molto “anzi”; ma vi invito a leggere quanto vi è scritto in Giovanni 13,12-15. Quindi l’umiltà dei “Maestri” è la chiave di tutto. Si potrebbero spendere pagine intere sull’umiltà dei maestri
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e tutti saremmo d’accordo nell’approvarla. Perché allora si ha paura dell’umiltà e quindi della retractatio? Un fulmine a ciel sereno La notizia dell’esistenza di un ripostiglio interrato dove furono trovati i sigilli di Tzricotu è un fulmine a ciel sereno. Una notizia che ammette solo due soluzioni: può essere vera o può essere falsa. Se è falsa nulla si troverà, se è vera si troverà una costruzione. E’ lapalissiana come conclusione, banalmente ovvia come considerazione... ma attenzione, questa banalissima riflessione mette in crisi il sistema. Quale sistema?! Quello negazionista ovviamente. Basta un certo “strumento” e le necessarie autorizzazioni; e se qualcosa vi è nel sottosuolo in località Tzicotu , salterà fuori, senza scavi, senza sconvolgimenti; quelli verranno dopo. La notizia è come se avesse blindato la scena e fermato qualsiasi movimento degli attori nel proscenio dello spettacolo ininterrotto che ormai da decenni è in scena. Tutto è fermo, nessuno, benché consapevole di esser lì, può muovere un muscolo; può solo percepire, impotente, quel che succede attorno a se.
Solo uno degli attori se la ride e aspetta. Cosa aspetta?! Aspetta l’arrivo del deus ex machina? Il dio risolutore della tragedia greca? Chiederà qualcuno. No, nessun dio, aspetta solo la “machina”. Il Porf. Sanna aspetta solo la macchina e null’altro auspica si faccia prima di allora. Per contro gli altri, i negazionisti, immagino auspichino ben volentieri che arrivi Poseidone, l’appellato “scuotitor di terre”, che in qualche modo possa inghiottire ciò che in quel di Tzricotu possa esistere nelle viscere della terra. “Vade retro retractatio!” Sarà questa la parola d’ordine? Ma non è così. Nessun dio verrà a inghiottire il ripostiglio di Tzricotu; nessun dio potrà far sparire la prova che i sigilli di Tzricotu sono stati trovati, forse, dentro una olla ormai rotta e che ancora dovrebbe giacere in frantumi dentro il ripostiglio ben nascosto. In sostanza, Professore, siamo in una botte di ferro e se ripostiglio vi è in quel di Tzricotu, ripostiglio si troverà. Quel giorno, a tempo ormai scaduto, non darà modo di esercitare la retractatio dei Maestri, ma un biasimevole mea maxima culpa.
D
icono che le storie si capiscono alla fine. Questa è una storia che non finisce. Non finisce MuSaBa, perché come una pianta cui l’arte ha messo radici e ha dato germogli”. Annarosa Macrì Mu.Sa.Ba. Un nome alquanto singolare, così fantasioso che sembrerebbe appartenere a qualche strano personaggio delle favole. Nulla di più lontano dalla realtà: situato nel folto della vallata del Torbido, questo straordinario parco museo a cielo aperto, l’unico della regione, è tanto reale quanto vicino a noi, nonostante il suo stravagante aspetto possa suggerire il contrario. Meraviglioso a vedersi sin dalla strada che unisce la costa ionica a quella tirrenica reggina, la famosa Limina, questo laboratorio d’arte e tutela del paesaggio si mostra a noi con la promessa di una visita degna del viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie: dirompenti forme geometriche colorate, strutture tridimensionali
mescolate alla tradizionalità dell’edificio medievale che le ospita e valorizza, il tutto incorniciato dalla tavolozza di verdi della natura, si affacciano con vivacità ovunque lo sguardo indugi. Soffermiamoci un momento su questa parola: vivacità. In essa è racchiuso il maggiore elemento di forza del museo nato dalla creatività di Nik Spatari e della moglie Hiske Maas, che della vivacità hanno fatto il proprio marchio di fabbrica, con i concorsi, le collaborazioni e le incessanti novità, frutto dell’estro creativo di artisti di ogni dove, che rimettono continuamente in discussione questo luogo camaleontico. Vivacità, dunque, ma anche passione, bellezza e ribellione: in quest’ottica la mente e il corpo vagano tra le mura del MuSaBa, che nell’antico complesso monastico di S. Barbara a Mammola su cui si erge conserva un vivido legame con la religiosità attraverso una delle sue opere più celebri, il Sogno di Giacobbe, noto anche come “la Cappella Sistina
della Calabria”, monumentale invenzione di Spatari dalle silhouette ricavate da sottili fogli di legno dipinto e, per dirla con le parole dell’artista, “applicate come rilievi sospesi nell’aria”. E la ribellione sopracitata dove si collocherebbe? È presto detto: come fosse uno spirito benigno che aleggia tra le pietre antiche della Rosa dei Venti, tra le punte acuminate del Camaleonte, tra i tasselli del mosaico in costruzione nella Foresteria e in ogni più piccolo anfratto di quest’oasi culturale, il desiderio dell’artista di pura ribellione da un ambiente troppo a lungo vissuto nell’arretratezza e nell’ostilità al nuovo e al diverso, si libra finalmente pago di ciò che per tanto tempo ha ricercato e costruito, pietra dopo pietra, nel cuore della Locride. Mu.Sa.Ba è il trionfo dell’arte e della creatività in continuo divenire che accende di vivacità culturale il cuore della Locride Di Veronica Di Sero https://www.vaghis.it/calabria/mu-sa-ba.html
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II parco museo della vivacità e della ribellione
Mu.Sa.Ba
Viale Parco Museo Santa Barbara 89045 Mammola Tel. +39 0964 418050 | +39 333 2433496 www.musaba.org info@musaba.org
LEGGENDE FANTASTICHE AVVOLGONO LA STORIA DI QUESTA REMOTA REGIONE D’ITALIA, COME I MOSTRI OMERICI SCILLA E CARIDDI E IL RACCONTO NORMANNO DELLA FATA MORGANA. UNA SUCCESSIONE DI GENTI E CIVILIZZAZIONI (VILLANOVIANI, AUSONI, FENICI, GRECI, ROMANI, SVEVI, ARABI E ARAGONESI), FUSI CON GLI ORIGINARI ABITANTI ITALICI, LASCIÒ UN’IMPRONTA ARTISTICA ED ARCHITETTONICA. L’ISOLAMENTO GEOGRAFICO DELLA REGIONE, INTERROTTO SOLO CON LO SVILUPPO DI TRASPORTO RECENTE, HA PRESERVATO UN RICCO PATRIMONIO CULTURALE E ARCHEOLOGICO FIN DAL PERIODO NEOLITICO. IL PROMONTORIO SANTA BARBARA OSPITA I RESTI DELL’ANTICO COMPLESSO MONASTICO CERTOSINO CHE TESTIMONIA CON LE SUE MURA UNA STORIA CHE RISALE AL QUARTO SECOLO. DAL 1193 FINO AL 1514 GLI ABATI CISTERCENSI CHE ERANO SUBENTRATI AI CERTOSINI, VI ERANO PADRONI; RITORNATI NEL 1300 I MONACI DI SAN BRUNO CHIESERO ALL’IMPERATORE CARLO V LA REINTEGRAZIONE DEL FEUDO. I CERTOSINI RIMASERO A SANTA BARBARA FINO ALL’ABOLIZIONE DELLA FEUDALITÀ NEL 1808. L’EX CAPPELLA-RUDERE CONSERVA NEGLI STRATI INFERIORI LE VESTIGIA DI UNA PRECEDENTE CHIESA PALEOCRISTIANA: UNA TESTIMONIANZA TANGIBILE CI È DATA DA REPERTI ARCHEOLOGICI TROVATI NEGLI STRAPIOMBI AD OVEST, TRA LE MACERIE DEI CROLLI SUCCEDUTISI NEI SECOLI PER SCOSSE TELLURICHE E CALAMITÀ NATURALI. ANALIZZIAMO IL PANORAMA PAESAGGISTICO DEL COMPRENSORIO CHE IN QUEL TEMPO ERA BAGNATO DALLE ACQUE DI UN GRANDE LAGO, DOPO SCOMPARSO. INFATTI, L’ALTURA DELL’ACROCORO ERA IN UN’ISOLA LAMBITA DAL LAGO DETTO “SAGROS” CHE SI ESTENDEVA LUNGO UNA SUPERFICIE DI 3 KM DI LUNGHEZZA E DI UNA LARGHEZZA DI 200-500 MT. DI LARGHEZZA, PARTENDO DA UNA GOLA MONTUOSA, OVE SU ALTE FALDE SI ELEVAVA L’ANTICA CITTADELLA DI MAMMOLA CON IL SUO TEMPIO E IL SUO AGGLOMERATO DI CASE FINO A OLTRE IL PROMONTORIO “ISOLA DI SANTA BARBARA” NELLA VICINA ZONA DI GROTTERIA, PER POI SCARICARE LE ACQUE ECCEDENTI VERSO LA FOCE DEL MEDITERRANEO. IL LAGO FINÌ CON LO SCOMPARIRE, TRA IL 500-600 D.C., SOMMERSO DA IMMANI DETRITI MONTUOSI SOTTO UN CATASTROFICO DILUVIO. NIK & HISKE, OVVERO I FONDATORI DEL MUSABA, UNA COPPIA AFFIATATA E INDIVISIBILE NELLA VITA E NEL LAVORO. LUI CREATIVO, FANTASIOSO, GRANDE ESECUTORE; LEI CREATIVA, PRAGMATICA, MANAGERIALE, ZEN. LUI AGGIUNGE, LEI TOGLIE! MUSABA OFFRE UNA TESTIMONIANZA DI INDISCUTIBILE VALORE SUL LAVORO DEI DUE ARTISTI NELLA REALIZZAZIONE DI MUSABA CUI IMMAGINE È ISPIRATO AL LINGUAGGIO DEI FRAMMENTI STORICI LOCALI: NIK SPATARI È PRESENTE NELLA FASE IDEATIVA DEI PROGETTI CON DISEGNI E PROGETTAZIONI, MENTRE HISKE MAAS PROMUOVE E COORDINA LA FASE DI REALIZZAZIONE. https://www.musaba.org/
E
sisteva nel 1900, ma un paziente guarito è un cliente perso, e hanno dovuto proibirlo′′
Foto sensiseeds
Fino al 1833, la Cannabis Sativa era la più grande coltura agricola del pianeta, questa pianta poteva essere ottenuta una serie di prodotti diversi poiché la pianta di canapa ha la fibra naturale più forte del mondo. Può produrre tessuti, oli, medicinali e carta. Fino al 1900, la maggior parte dei tessuti era fatta di canapa e quasi il 50% dei medicinali in commercio erano anch’essi fatti di canapa, per gran parte della seconda metà del XIX secolo. Dalla sua cellulosa (dalla dinamite al cellofan) si possono ottenere più di 25 000 prodotti. Ma nel 1900 negli Stati Uniti cominciarono a comparire sui giornali note accattivanti che richiamavano l’attenzione sui pericoli di questa pianta maledetta, che faceva impazzire i neri e li faceva suonare “la musica del diavolo”: il blues. E un paziente che era guarito e che, inoltre, poteva vestirsi, nutrirsi e ottenere energia da una pianta, era un cliente perso. Così la cannabis o la canapa è stata vietata in tutte le sue forme. Non poteva competere con la nascente industria del cotone, dei prodotti alimentari trasformati e del petrolio. Nel corso del tempo, è stata chiamata “cannabis”, in un’allusione dispregiativa ai messicani (i primi a portare questa pianta negli Stati Uniti), che la consumavano fumandola dopo le loro lunghe giornate di lavoro. Oggi, la sostanza con il maggior numero di vite umane al mondo (batte l’AIDS, l’eroina, il crack, l’alcool, la cocaina, gli incidenti d’auto, il fuoco e la criminalità insieme) è il tabacco. Tuttavia, il tabacco riceve sussidi statali in molti paesi e anche i fertilizzanti radioattivi sono utilizzati nella sua produzione. Il tabacco conduce quasi 8 milioni di vite all’anno in tutto il mondo, l’alcol più di 3 milioni di persone. Anche la caffeina è responsabile di quasi 10 000 decessi all’anno, e altre 7500 vite (solo negli Stati Uniti) sono fatturate per gli antidolorifici. Se pensiamo, per esempio, alle sostanze che creano dipendenza prima della cannabis, in gradi di dipendenza (secondo la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità), troviamo nicotina, alcol, eroina, cocaina, cocaina, antidolorifici e caffè. Quattro delle sei sostanze citate (alle quali si può aggiungere zucchero secondo nuovi studi) sono legali”. Aport de Matias Boglione https://esdepolitologos.com/5razones-por-las-que-todo.../
CANNABIS N
ei 10.000 anni di storia dell’uso di cannabis, non è stata registrata una sola morte”. Il filosofo e scrittore spagnolo Antonio Escohotado, nell’introduzione al suo libro “Historia general de las drogas”, richiama la nostra attenzione sulla necessità ancestrale dell’essere umano di modificare lo stato della sua coscienza: “La psiche umana dipende da contributi esterni. Alcune molecole non si trasformano in nutrizione, ma provocano direttamente un particolare tono psichico... Tra il miracoloso e il prosaico, il materiale e l’immateriale, e attraverso il gioco puramente chimico, alcune sostanze permettono all’essere umano di dare alle sensazioni ordinarie della vita e al suo modo di amare e di pensare un modo di essere non abituale.”(1998) Ma nelle nostre società ci sono molte concezioni negative riguardo a certe pratiche socio-culturali, che sono presenti nella società molto prima della nostra nascita. Questo rifiuto, originato da diversi dispositivi che cercano di dare un ordine e una direzione specifica al costrutto sociale, rende possibile (o, meglio, necessario), inoltre,
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un apparato statale proibizionista che è presente anche da quando siamo nati e che per forza di abitudine e ripetizione, molti finiscono per naturalizzare. La storia della cannabis è lunga e complicata, così come il costante aggiornamento e riaggiornamento del suo stesso carattere proibizionista. Ma è dovere di ogni politologo (e di ogni persona che cerca la sanità mentale) poter vedere oltre tutto ciò che non ha posto nella storia ufficiale, il nascosto, il tabù; poter scrutare tutto ciò che non vediamo ma che rimane quasi immutato nella base proibitiva e che potrebbe essere riassunto in frasi come: “Questo non si fa”. Perché? Per questo motivo, il mio interesse è quello di presentare cinque motivi per cui un politologo dovrebbe chiedere la legalizzazione della cannabis, sia per condividere le preoccupazioni che per invitare alla riflessione: In primo luogo, l’argomento storico: da quando l’avventura umana ha iniziato a camminare per il mondo, uomini e donne sono sempre stati attratti dal bisogno di ubriacarsi o di alterare la coscienza. La possibilità di incidere lo
spirito con un pezzo di cosa tangibile ne assicura la perpetuazione. Per alcune persone, dormire, mangiare, muoversi e fare queste cose è inessenziale (se non impossibile) in stati come il dolore per la perdita di una persona cara, la paura intensa, il senso di fallimento e anche la semplice curiosità. In queste situazioni si manifesta chiaramente la superiorità dello spirito sulle sue condizioni di esistenza (Escohotado, 1998). Così, sia per eliminare gli spiriti maligni di mille anni fa, sia per combattere la depressione che il mondo moderno sta risvegliando in un numero sempre maggiore di esseri umani[1], la cannabis e le altre sostanze che tendono ad alterare la coscienza sono state e fanno parte della storia dell’umanità, proprio perché fanno parte della cultura umana fin da tempi in cui anche la scrittura non esisteva. In secondo luogo, l’argomento economico: fino al 1833, la cannabis era la più grande coltura agricola del pianeta, da cui si potevano ottenere diversi prodotti, poiché la pianta di canapa ha la fibra naturale più forte del mondo. Da esso si possono ottenere
tessuti, oli, medicinali e carta. Fino al 1900, la maggior parte dei tessuti era fatta di canapa e circa il 50% dei medicinali in commercio erano fatti di canapa, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo. Dalla sua cellulosa (dalla dinamite al cellofan) si potrebbero ottenere più di 25 mila prodotti. Oltre a contribuire alla cura dell’ambiente, poiché elimina la necessità di consumare altre materie prime molto più inquinanti; è anche molto facile da coltivare e non richiede particolari cure o l’uso di prodotti agrochimici. Oggi, l’esperienza di alcuni stati nordamericani che hanno fatto incursioni nella legalizzazione non ha fatto altro che confermare l’enorme potenziale economico di questo impianto [2]. In terzo luogo, l’argomento antropologico: all’inizio del XX secolo, negli Stati Uniti, il giornalismo giallo brulicava ovunque: innumerevoli articoli descrivevano i neri e i messicani come “bestie frenetiche che fumavano marijuana e suonavano musica del diavolo”, offendendo le coscienze moralistiche dei lettori, soprattutto bianchi della classe media.
Da denunce come queste si sono formati veri e propri miti intorno a questa pianta tanto messa in discussione: follia, allucinazioni, “killer dei neuroni”, dipendenza ecc. La violenza, la teoria del passo verso altre droghe e persino la pigrizia sono serviti come argomento per mantenere il proibizionismo e, quindi, trasformare l’oggetto in un tabù. Tabù che non fanno altro che approfondire e disperdere i pregiudizi naturalizzati nella società e, quindi, ci condannano all’ignoranza degli enormi benefici e delle potenzialità di questa pianta, una questione che nessuno scienziato sociale interessato a costruire alternative che ci facciano evolvere come società dovrebbe ignorare. Quarto, l’argomento legalistico: a questo punto della storia, è quasi ovvio che il proibizionismo in quanto tale è controproducente. Non solo non elimina la domanda di cannabis (aumenta solo il prezzo del bene in questione), ma nasconde un intero enorme mercato in cui sono coinvolti molti settori sociali e di cui non sappiamo quasi nulla. La “guerra alla droga”, nonostante la foglia di cannabis
sia un simbolo, non è riuscita a ridurre il consumo in tutto il mondo, che non ha smesso di aumentare, e d’altra parte contribuisce a rendere invisibili i veri killer. Se pensiamo, ad esempio, alle sostanze che creano dipendenza (legale o illegale), prima della cannabis, in gradi di dipendenza (secondo la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità) troviamo nicotina, alcol, eroina, cocaina, antidolorifici e caffè. Quattro delle sei sostanze citate (alle quali, secondo nuovi studi, si potrebbe aggiungere zucchero) sono legali. Se si accetta la premessa che l’uso di droga è un problema; affrontarlo dal punto di vista della polizia piuttosto che dal punto di vista medico garantisce il fallimento di qualsiasi “guerra”. In fondo, infatti, il problema in sé non è il consumo, ma l’abuso di sostanze; non l’uso ricreativo, ma la dipendenza. Ciò che colpisce su questo punto è che, dopo decenni di crociate della polizia contro la droga, stiamo solo cominciando ad accettare che il “problema” è sempre stato mal affrontato: è imperativo che gli operatori sanitari affrontino i problemi dell’abuso e della
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dipendenza e partecipino anche attivamente allo sviluppo di politiche che aiutino a educare all’uso responsabile e ad affrontare le conseguenze dell’abuso, non le forze dell’ordine che, ancora oggi, continuano ad agire quasi ovunque. Quinto, l’argomento politico: la proibizione della cannabis e, più specificamente, le argomentazioni con cui è stata sostenuta nel corso degli anni hanno scarse basi scientifiche; hanno solo risposto alle contingenze di ogni tempo e luogo per giustificare le decisioni dei governi che hanno cercato di portare avanti crociate moralistiche contro certe sostanze, anche se non contro altre che sono come o più dannose. Nel 1948 il Congresso americano riconobbe che la cannabis era stata bandita per il motivo sbagliato: non violava le persone, ma le rendeva pacifiste. E i comunisti lo usarono per indebolire la volontà degli americani e questo, aggiunto al timore della “minaccia comunista”, portò alla rettifica del divieto, ma per la ragione opposta a quella che era stata originariamente invocata alla fine del secondo decennio del XX secolo.
Nel 1974, alcuni studi hanno suggerito che l’uso di cannabis avesse effetti negativi sui neuroni [3]; tuttavia, nel 2005, un gruppo di ricercatori canadesi ha scoperto che dopo un mese di trattamento nei topi da laboratorio, il farmaco provocava una rigenerazione dei neuroni nell’ippocampo, l’area del cervello che controlla l’umore e le emozioni ed è associata all’apprendimento e alla memoria [4]. Nel 1999, le prime versioni che l’uso di cannabis porta al cancro hanno cominciato a comparire; e, anche se non c’è un solo caso provato, un’enorme quantità della popolazione crede a queste versioni. D’altra parte, e per concludere, la sostanza che vanta il maggior numero di vite umane al mondo batte l’AIDS, l’eroina, il crack, l’alcool, la cocaina, gli incidenti d’auto, gli incendi e la criminalità organizzata insieme: il tabacco. Tuttavia, il tabacco è sovvenzionato dallo Stato in molti paesi e anche i fertilizzanti radioattivi sono utilizzati nella sua produzione. Il tabacco uccide ogni anno più di 7 milioni di persone in tutto il mondo [5]; l’alcol più di 3,3 milioni di persone [6]. Anche l’abuso di caffeina è responsabile di quasi 10.000 morti all’anno [7], e 100 persone muoiono ogni giorno solo negli Stati Uniti a causa dell’abuso di antidolorifici [8]. Questi sono solo alcuni esempi dei meccanismi che il discorso e il potere usano per mantenere in funzione una macchina proibizionista senza altro scopo che l’autoconservazione: aggiornare i significati, riprodurre i tabù, creare verità ed escludere nuove voci; questioni che non ci permettono di cercare nuove soluzioni a vecchi problemi. *Sviluppato sulla base dei dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità 1] La depressione è un disturbo molto comune in tutto il mondo: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 300 milioni di persone ne soffrono, e la depressione è la principale causa di disabilità. (Per maggiori informazioni: http://www.who. int/mediacentre/factsheets/ fs369/es/) 2] I profitti del mercato legale della marijuana nei soli Stati Uniti hanno raggiunto quasi 6 miliardi di dollari, secondo un rapporto di Arcview Market Research. (segue pagina 20)
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(segue dalla pagina 19) (https://www.arcviewmarketresearch.com/) 3] Questo studio, richiesto dall’amministrazione Nixon, è stato fortemente contestato dalla comunità scientifica diversi decenni dopo, una volta resi noti i metodi di tale ricerca: il fumo di marijuana veniva pompato attraverso maschere collegate agli scimpanzé per diversi minuti alla volta. Ciò che non è stato detto è che, in realtà, l’effetto negativo sui neuroni era dovuto alla mancanza di ossigeno, poiché queste maschere limitavano la loro entrata nei polmoni di questi animali. 4]Università di Saskatchewan, Canada -Giornale di Investigazione Clinica -. 5] Il tabacco uccide la metà dei suoi consumatori, cioè: 7 milioni di persone all’anno, di cui più di 6 milioni sono consumatori attivi di questa sostanza e gli altri milioni sono non fumatori esposti al fumo di tabacco altrui; essendo il tabacco una delle maggiori minacce alla salute pubblica mondiale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. (www.who.int/mediacentre/factsheets/fs339/es/) 6] Dati anche da studi dell’OMS: il numero di morti rappresenta il 5,9% di tutti i decessi nel mondo. Nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 39 anni, il 25% dei decessi è attribuito all’abuso di alcol, ed è un fattore causale in più di 200 malattie e disturbi mentali. (www.who.int/mediacentre/factsheets/fs349/es/) 7] Una nuova ricerca mostra che bere una bevanda energetica come la caffeina può aumentare significativamente la pressione sanguigna e le risposte degli ormoni dello stress. Ciò fa temere che questi cambiamenti nella risposta possano aumentare il rischio di eventi cardiovascolari, secondo uno studio presentato oggi alle Sessioni Scientifiche 2015 dell’American Heart Association. I risultati sono pubblicati anche nel Journal of the American Medical Association 8] È un problema che ha già raggiunto livelli epidemici, secondo un rapporto dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) di quel paese. La maggior parte delle overdose si verifica con i farmaci da prescrizione. 9] Secondo i dati del CDC -C
LA “NETFLIX DELLA CULTURA ITALIANA”, PROPOSTA DAL MINISTRO FRANCESCHINI DURANTE IL PRIMO LOCKDOWN, SI FARÀ E HA ANCHE UN NOME: SI CHIAMERÀ ITSART, E NASCE DALLA COLLABORAZIONE TRA CASSA DEPOSITI E PRESTITI E LA PIATTAFORMA TV CHILI
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A lanciare l’idea di una “Netflix della cultura italiana” era stato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, durante il primo lockdown: “stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità, ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo: per esempio, ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa”, spiegava Franceschini durante un’intervista rilasciata per la trasmissione televisiva “Aspettando le parole” dello scorso aprile. “In queste settimane di lockdown si è capita fino in fondo la potenzialità enorme del web per la diffusione dei contenuti culturali, c’è stato un esplodere di creatività, ed è proprio questa la base di partenza per sviluppare un progetto più strutturato”. Un progetto che quindi andrebbe a colmare, intanto, le
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lacune cui la pandemia ci sta costringendo, e da continuare a sviluppare anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Idea, quella di Franceschini, che troverà riscontro nella realtà grazie a una collaborazione con la Cassa Depositi e Prestiti e Chili, azienda con sede a Milano che opera nella distribuzione via internet di film e serie tv, e non a caso chiamata la “Netflix italiana”. Ovviamente la nuova piattaforma avrà un nome “tutto suo”: si chiamerà ItsArt, e a dare in anteprima la notizia del suo nome è Angelo Zaccone Teodosi in Key4biz. La piattaforma digitale vede la collaborazione tra Cassa Depositi e Prestiti (che ha deciso di dare vita alla Newco, di cui terrà il 51% con un investimento di 9 milioni di euro) e Chili, che deterrà invece il 49% a fronte di un investimento di 9 milioni tra know how e cash. A questi due attori si aggiunge il MiBACT, che farà da regista del progetto, versando 10 milioni di euro provenienti dal Recovery Fund. Nei piani di Franceschini, la Netflix della cultura italiana consentirebbe, a tutti gli utenti abbonati alla piattaforma, di partecipare “virtualmente”
e da qualsiasi parte del mondo ai grandi eventi dell’arte e della cultura che si tengono in Italia: prime teatrali, concerti, mostre, fiere. Inoltre la piattaforma metterebbe a disposizione contenuti sul patrimonio artistico del Paese, per diffondere e promuovere la conoscenza della cultura italiana nel mondo. Desirée Maida Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi sulla pittura del Tardo Manierismo meridionale (approfonditi durante un periodo di ricerche presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis) e sull’architettura medievale siciliana. Ha scritto per testate siciliane e di settore, collaborato con gallerie d’arte e curato mostre di artisti emergenti presso lo Spazio Cannatella di Palermo. Oggi fa parte dello staff di direzione di Artribune e cura per realtà private la comunicazione di progetti artistici e culturali.