Foto bicocacolors.blogspot.com
S’ARTI NOSTRA
ASHTARTE ASHTARTE ERICINA ERICINA MARIANNE MARIANNESIN-PFALTZER SIN-PFALTZER AA PLACE PLACE FOR FOR ART ART NICOLO’ NICOLO’ BRUNO BRUNO CINEMA CINEMA ALFIERI ALFIERI ROGER ROGERTHE THEWALL WALL WALLS WALLS ORISTANO ORISTANO VINCENZO VINCENZO PATTUSI PATTUSI FRANCESCA FRANCESCA RANDI RANDI BACK_UP BACK_UP NIVOLA NIVOLA VIVA VIVA L’EX L’EX ART ART MASSIMILIANO MASSIMILIANOFUKSAS FUKSAS CLAUDIO CLAUDIO DEMURTAS DEMURTAS
Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Luglio Agosto 2020
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S’Arti Nostra
Demetra Puddu
Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com
Vittorio E. Pisu Redattore Capo
Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima
Supplemento al numero del Maggio 2020 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA
Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com&unisvers Commission Paritaire
ISSN en cours Diffusion digitale
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Foto pictame.com
Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di
uesta volta sembra che l’estate tanto attesa sia veramente incominciata anche se noi sardi, ancora qualche decina di anni fà (fine anni 60 in effetti) non eravamo così fanatici del mare e delle spiaggie (spesso e volentieri lasciate in eredità alle donne della famiglia perché considerate senza valore) ma seguendo l’esempio già dalla fine del ‘800 ed inizio del ‘900 inaugurato a Cagliari con i Bagni Carboni a Giorgino, mentre Platamona fu creata nel 1951, dopo il primo bagnetto di Alghero che risale al 1862, grazie anche agli inglesi che ne fecero una delle loro ambite mete. Chiuso il Bagnetto, il Lido fece la sua apparizione solo nel 1934. Dopo la guerra il Club Méditerranée scopri Caprera, ed il consorzio italobelga all’origine della Costa Smeralda trovò giudizioso di avere l’Aga Khan come Presidente alfine di invogliare i suoi numerosi amici aristocratici e non, ma accaniti velisti che trovarono, sulla falsa riga della scuola di vela del Touring Club Italiano, lo spot ideale con 365 giorni di vento all’anno. Bisogna comunque ricordarsi che fino al dopoguerra, e grazie tra l’altro anche alla Fondazione Rockefeller, la malaria imperversava in Sardegna, senza contare la sua vocazione di penitenziario che risale all’epoca romana. Ancora oggi un funzionario rompiscatole o particolarmente incapace è inviato per punizione in Sardegna, che non lascera più, troppo incantato dalla sua bellezza. Così quest’estate sembra aver ragione della pandemia e finalmente le file sull’autostrada e l’affollamento delle spiagge sembra farcelo credere. Timidamente, dopo le inaugurazioni on line più o meno riuscite, i più coraggiosi galleristi ci propongono nuovamente artisti già affermati o energenti e ne siamo veramente lieti. Anche se per un inspiegabile fenomento, sembra che tutti i titoli delle manifestaziomni debbano essere espressi nella lingua inglese, anche se la Grand Bretagna sta lasciando l’Europa. Salutiamo quindi particolarmente la mostra “Solstizi” di Daniela Nobile, curata da Efisio Carbone, molto attivo in questa stagione sia a Cagliari, che a Catania e naturalmente a Calasetta, di cui vi proponiamo uno dei primi filmati della nostra trasmissione eponima che ha finalmente spiccato il volo. Le occasioni dell’Arte non mancano certo in Sardegna e cercheremo di illustrarle e farle conoscere attraverso le interviste realizzate sia negli ateliers degli artisti stessi che all’occasione dei diversi vernissages che, speriamo, si moltiplicheranno camin facendo. Certo questo momento di pausa, forse di riflessione, certamente di rimessa in questione di abitudini, pratiche, manie più o meno installate e confermate, oppure già morte nel nascere, ci trova spiazzati e nell’incapacità di proiettarci in quello che fino a qualche mese fa sembrava un futuro ineluttabilmente certo (a parte qualche periodico sfioramento di meteoriti più o meno inquietanti o di riletture di calendari Maya annuncianti la fine del mondo) a tal punto che si potevano prenotare i luoghi di vacanza, i biglietti d’aereo, le crociere o le cene al ristorante con un certo anticipo, a volte anche di mesi. Così al momento in cui scrivo queste linee, fine giugno, non riesco assolutamente ad immaginare che cosa potrà accadere di certo, ma avendo ripreso contatto con diversi e numerosi artisti con i quali avevamo l’intenzione, insieme a Demetra Puddu, la presentatrice di “S’Arti Nostra” che ringrazio qui per l’impegno e la qualità dei suoi interventi ed interviste, prometto di seguire e rendere conto delle loro attività artistiche, sia nel campo dell’Arte Contemporanea Pittorica e Plastica, ma anche nel campo della Musica, della Letteratura, del Teatro e del Cinema, ma anche della gastronomia e vorremmo anche poter visitare alcuni produttori vitivinicoli che tanto operano per mantenere alto il prestigio del vino sardo sotto tutti i suoi molteplici aspetti e senza dimenticare naturalmente i diversi chef ma anche i semplici amatori senza dimenticare le ancora più numerose amatrici che quotidianamente concorrono a mantenere sempre viva la tradizione gastronomica sarda fatta non solo di porchetto arrosto ma anche di frutti di mare senza parlare dei legumi, della pasta e dei dolci. Come potete vedere un vasto programma (come diceva l’altro francese) che ci terrà impegnati e che avremo la fortuna, l’opportunità, la chance ed il piacere di proporvi sia attraverso queste pagine che sugli schermi di S’Arti Nostra, di Sardonia, del Cinema di Sardonia, di Solo Opera e di tutte le altre rubriche che animiamo. Augurandovi una bella estate, ci ritroviamo in Settembre con il mensile ma senza sosta durante tutta l’estate sulle pagine Facebook ed il sito vimeo.com/unisvers . Vittorio E. Pisu
arel (Cagliari) diventa una ricca città nel momento in cui viene conquistata da Cartagine, tra il 524 e il 489 a.C., e resterà sotto il suo dominio per altri tre secoli. Karel diventa teatro di un’economia mercantile molto forte, ma anche di nuovi culti e nuovi edifici. Era il 1870 quando Filippo Nissardi - giovane studente di archeologia - trova sul promontorio di Sant’Elia (Sella del Diavolo) un’iscrizione in caratteri punici risalente al III sec a.C. Si tratta della prima traccia del santuario di Ashtarte Ericina, poi portato alla luce dagli scavi condotti nel ‘900. Del santuario rimangono oggi poche tracce, ma la sua storia le rendono comunque affascinanti. Il tempio è dedicato alla dea Astarte, generalmente identificata con l’Afrodite greca e la Venere romana, ma è anche molto di più: dea dell’amore e della fecondità, è guerriera e protettrice dei navigatori. Nel tempio si praticava un particolare rito religioso: quello della “prostituzione sacra”. Lo storico greco Erodoto ci fa capire meglio come funzionassero le cose: pare che le giovani di ogni ceto sociale, almeno una volta nella vita, dovessero trascorrere un periodo al tempio di Astarte e concedersi a uno dei visitatori forestieri. Ciascuna ragazza doveva stare nel tempio fino a che non avesse avuto almeno un rapporto. I fedeli uomini che arrivavano in visita avevano la possibilità, tra le varie donne presenti, di scegliere quella che preferivano, gettandole il denaro sulle ginocchia. La prescelta non poteva in alcun modo rifiutarsi, ma doveva obbligatoriamente congiungersi con l’uomo; dopodiché poteva dedicare un sacrificio alla dea e finalmente tornare a casa. Il rito prevedeva che le ragazze, o le sacerdotesse (ma in alcuni casi anche i sacerdoti), personificassero la dea. Demetra Puddu www.instagram.com/p/CBdvlTDqwxe/
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Foto wikipedia
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arianne Sin Pfitzer é deceduta all’ospedale di Nuoro, all’età di 89 anni. La fotografa tedesca è morta a Nuoro a causa delle ferite riportate dopo essere stata travolta da un’auto il 10 agosto 2015. Da dieci anni aveva scelto di risiedere nel capoluogo barbaricino. La sua presenza attenta e assidua nelle vicende umane e sociali dell’isola meritano un approfondimento sulla sua vita e sull’enorme patrimonio iconografico che ha prodotto, Marianne Sin-Pfältzer approda in Sardegna per caso. Nasce ad Hanau nel 1926, da una famiglia di antinazisti. Finita la guerra e dopo la morte del padre, ancora incerta sul suo futuro, accetta un lavoro segnalatogli dal fratello, studente a Roma: una famiglia sarda di un ufficiale di Marina cercava un’educatrice. Senza indugio Marianne raggiunge La Maddalena dove scatta anche le sue prime fotografie con una piccola fotocamera Agfa Isolette donatale dalla madre. Ancora le casualità del destino la aiutano. Muoversi per le strade sarde con i mezzi pubblici non era
facile in quegli anni (neanche oggi, a dire il vero…). Persa la coincidenza con il “Postale” che doveva portarla a Oliena, non le resta che l’autostop. A fermarsi è l’auto di Guido Fossataro, editore cagliaritano con cui inizia un percorso editoriale molto fecondo che porterà alla pubblicazione di “Sardegna quasi un continente” con i testi di Marcello Serra del 1958 (ristampato nel 1960 e rieditato nel 1970) ricco di fotografie tra cui le immagini a colori di Mario De Biasi.. Gira il mondo, ma periodicamente ritorna in Sardegna, eletta a sua seconda patria e diventata l’arcaico ed ancestrale rifugio. Pubblica, a più riprese, le sue foto su libri e riviste tedesche, le espone in diverse mostre, facendo conoscere l’isola in Germania. La sua lunga frequentazione con l‘isola ha prodotto il più cospicuo e capillare repertorio fotografico sulla Sardegna del dopoguerra. Una Sardegna colta dalla fotografa nella critica fase di passaggio e di trasformazione da società arcaica verso un’idea di modernità spesso confusa, contradditoria e mai comple-
tamente realizzata. Quello di Marianne Sin-Pfältzer è uno dei pochi sguardi femminili sulla Sardegna del dopoguerra, uno sguardo che indaga con curiosità e passione luoghi, volti e mestieri di un’isola proiettata verso la modernità ma ancora saldamente legata alle proprie radici . Uno sguardo delicato e sensibile nel cogliere e nel vedere, ma forte, personale e deciso nel raccontare. Con una grande capacità di empatia con le persone, che le consente una sintonia con i soggetti che traduce in ritratti intensi e coerenti con una visione sempre attenta agli umili. La sua fotografia ha uno stile rigoroso nelle inquadrature, straordinariamente concentrato sulle vicende umane, attento ai paradossi e ai contrasti di un’isola ancora in bilico fra passato e presente, con un’idea di futuro ancora indefinita. Di questa terra ha saputo cogliere, meglio di tanti più celebrati colleghi, l’indole del suo popolo, lo spirito dei luoghi e i segni contradditori di un mondo arcaico in cammino verso il futuro. L’opera di Marianne è stata
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Vedi video https://www.facebook.com/ mariannesinpfaltzergolfoaranci/ videos/1788213681306539/ h t t p s : / / w w w. f a c e b o o k . com/ilissoedizioni/videos/336465510357742/
pubblicata nel 2012 (Ilisso Edizioni), all’interno del volume monografico “paesaggi umani” (cliccare qui), editato anche in lingua tedesca nel 2015. “Il volume – come recita l’abstract – è un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia conoscere nel profondo la Sardegna: la pesca, la lavorazione del pane, dei dolci e del sale, la produzione di ceramica, tessuti, cesti e gioielli tradizionali, le feste paesane e le relative processioni, le architetture tipiche, e ancora la produzione di bottarga e campanacci, la conservazione di frutta e ortaggi, la produzione e l’esportazione del formaggio e, ancora più inaspettata, la protesta giovanile nel 1968… e molto altro ancora. L’intensa colonna iconografica è accompagnata dal testo partecipato e coinvolgente dell’antropologo e scrittore Giulio Angioni”. Nata in Germania (Hanau, 12 aprile 1926 – Nuoro, 27 agosto 2015) da una famiglia di origini olandesi, il padre era medico e la madre fotografa, nel dicembre 1950 si trasferì in Sardegna. Nel 1955 ritornò in Sardegna con una Rollei 6X6 per dedicarsi al reportage dopo un periodo a Parigi. Le sue foto trovarono poi un mercato in Germania dove, nel 1961, sposò un coreano e, nonostante il matrimonio sia stato di breve durata, conservò il cognome Sin accanto a quello paterno. Negli anni seguenti realizzò reportage in varie parti del mondo, dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica, dall’Africa all’Asia, ma rientrando spesso in Sardegna, terra alla quale si sentiva particolarmente legata per l’armonia dei luoghi e per le importanti amicizie coltivate. Negli ultimi anni, senza più la sua attrezzatura Hasselblad che le era stata rubata, si occupò di artigianato artistico e si ritirò a Nuoro dove l’editore Ilisso nel 2012 ha pubblicato una monografia (rieditata in tedesco nel 2014) con 300 fotografie scelte tra i tredicimila negativi del suo archivio personale, ed una mostra nel dicembre 2019 che inaugurç lo spazio espositivo in via Brofferio 23, a Nuoro. https://www.sardiniapost.it/ blog/la-scomparsa-di-marianne-sin-pfaltzer-lo-sguardo-femminile-sulla-sardegna-del-dopoguerra/
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Foto camù
rancesca Randi nel 1998 incontra il mezzo fotografico. Sviluppa uno stile personale, onirico, con un immaginario fortemente surreale. L’identità, l’infanzia e l’adolescenza, il paesaggio notturno in bilico tra l’incubo quotidiano e la solitudine esistenziale, l’inconscio, il doppio, la wunderkammer e il perturbante: sono alcuni dei temi affrontati da Randi. Attualmente vive e lavora a Cagliari come fotografa e insegnante di fotografia. Collabora con varie gallerie d’arte italiane ed estere. “Il mio lavoro fotografico è incentrato sul concetto di Realismo Fantastico e Perturbante. Attraverso le mie immagini trovano espressione le proiezioni inconsce, le rimozioni, i desideri e le aspirazioni. Nel realismo fantastico il mistero non si inserisce nel mondo rappresentato, ma si nasconde e palpita dietro di esso. Il perturbante, ciò che porta angoscia, è un qualcosa che assomiglia al nostro ambiente familiare, ma in realtà cela in sé un che di sconosciuto, enigmatico. “Tutto ciò che pensavamo fosse rimosso dalla nostra coscienza, complessi infantili, convinzioni personali o pregiudizi, riemerge creando una condizione instabile alla nostra identità e generando uno stato di angoscia” (Freud 1919). La fotografia, utilizzando lo stesso linguaggio dell’inconscio, ossia le immagini, favorisce la regressione necessaria per entrare in contatto con il proprio perturbante. In ogni mio progetto utilizzo l’onirico come elemento di esplorazione fotografica. La mia è una visione cinematografica e narrativa, per indagare l’universo della psiche, dell’inconscio e del sogno. Spesso è la notte con le sue luci irreali e fluorescenti ad accompagnare le mie storie. Francesca Randi
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imone Dulcis Nasce a Milano nel 1971. Vive all’estero per alcuni anni. Si ristabilisce in Sardegna dove abita tuttora. Artista informale, scenografo e sound-performer teatrale. Conduce laboratori sull’espressività del colore. Tra il 1989 e il 2005 ha lavorato sul concetto di nucleo-isola, sul tremore dell’interrotto, sui riti di passaggio e sulle “preghiere del mattino”; con una mano sul cuore e sentendosi, al tempo, “fratello tra i fratelli” …Oggi, distesa-mente, dipinge “canzoni dai circhi spopolati” e osserva le nuvole...
A PLACE FOR ART Studi d’Artista al Ghetto DAL 27 GIUGNO 2020 AL 26 LUGLIO 2020
IL GHETTO Via Santa Croce 18 09100 Cagliari Tel. : +39 070 640 2115 ilghetto@consorziocamu.it
www.consorziocamu.it vedi il video vimeo.com/433229631
Attratto dalla cultura umanistica e dagli svariati campi della comunicazione, studia lingue straniere e lavora nel turismo per 10 anni. Nel frattempo affina il suo interesse per l’arte e per la “condizione umana”. La sua ricerca è volta ai moti interiori dell’anima e alla “necessità” di esprimersi propria dell’umanità. Attratto dal segno primordiale, ha approfondito aspetti relativi al rapporto tra uomo e Terra. Terra come “grande specchio” delle forze della natura e nel contempo proiezione dell’esistere dell’uomo. Dal 2002, progetta e conduce laboratori sull’espressività del colore. In collaborazione con l’attore-autore Andrea Meloni e per conto dell’Associazione Compagnia d’arte Circo Calumet (di cui è tra i soci fondatori), progetta e conduce laboratori di servizio integrati per la tutela della salute mentale, e interventi di carattere educativo e formativo a mediazione artistica. Tra i lavori per il teatro: illustrazioni pittoriche per la lettura cre-
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ativa di “Sdegno sul Temo - l’incredibile viaggio delle emozioni”, progetto artistico; illustrazioni pittoriche per la narrazione di “Hänsel e Gretel”; creazione delle opere di scena e relativo allestimento per lo spettacolo teatrale “il teatro dei fratelli Scomparso”; creazione opera di scena per la narrazione di “Storie di Innocenti”, produzione Centro Regionale di Documentazione e Biblioteche per Ragazzi ; creazione delle opere di scena e relativo allestimento per lo spettacolo teatrale “il bosco dei crimini”; creazione delle scenografie e relativo allestimento per lo spettacolo teatrale “la drogheria di Odense”, produzione Centro Regionale di Documentazione e Biblioteche per Ragazzi. ea Karen Gramsdorff (Lecco, 7 marzo 1974) è un’attrice italiana, di origine tedesca. Studia recitazione presso il Centro sperimentale di cinematografia tra il 1994 e il 1996, periodo durante il quale partecipa a diversi cortometraggi per la regia di Salvatore Mereu e Carmelo Bonvissuto. Dal 1996 al 1999 frequenta “School After Theatre”,
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master di specializzazione diretto dal regista e pedagogo russo Jurij Alschitz. Debutta come attrice cinematografica nel film corale di Ettore Scola La cena (1998), in cui interpreta con una performance giudicata “sorprendente” il ruolo della figlia di Stefania Sandrelli. Nel frattempo, recita anche in varie fiction tv, tra cui: L’avvocato Porta, diretta da Franco Giraldi, e Ama il tuo nemico (1999), diretta da Damiano Damiani. Nel 2001 da Roma si trasferisce a Cagliari, dove scopre la passione per la pittura: partecipa a diverse mostre collettive presso gallerie private e in spazi museali, poi nel 2005 tiene la sua prima mostra personale dal titolo Per Luglio Kaputt, cui fanno seguito Casi e Isolati (2008), Dal Nulla (2010), Exodus (2013/2019), Se fossi qui. Lettere d’amore dai porti di mare (2015), Lexikon(2017). Parallelamente, porta avanti la sua carriera d’attrice, dividendosi tra progetti cinematografici, televisivi, e la collaborazione con il teatro stabile di ricerca e di innovazione Akròama in qualità di attrice, regista e pedagoga.
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NICOLO’ BRUNO M
aestrale è un vento del nord, forte, veloce capace di curvare gli alberi e scolpire la roccia. E’ un vento importante che soffia verso sud sulle coste della Sardegna. Anche io, come il Maestrale, sono arrivato dal nord, dal freddo e mi sono schiantato duramente sulle bellezze di quest’isola. Sono rimasto (con estrema fortuna) confinato a Calasetta per 3 mesi, in questo tempo ho avuto la possibilità di lavorare, di dipingere, di vivere e di rinascere; nutrendo il mio spirito d’ infinito: una linea retta tra il blu e il blu. In questa mostra presento tutti i lavori creati durante la mia quarantena e residenza presso @ fondazionemacc . I miei dipinti nascono sempre da una ricerca intimistica e personale e una più legata al simbolo all’icona. Maestrale è una mostra di pittura figurativa dove l’omoerotismo, l’intimità, l’amore i corpi sono il cuore della mia produzione.” Nicolò Bruno
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icolò Bruno è nato a Milano nel 1989. Durante gli studi alla Naba Nicolò ha fondato il gruppo artistico: Collettivo F84 con alcuni suoi compagni di corso di laurea. Il collettivo si proponeva di mettere in contatto arte e persone, attraverso alcune sperimentazioni di arti pubbliche, laboratori e progetti culturali. Dal 2013 Nicolò collabora per MilanoPride, il principale movimento LGBTAIQ di Milano. È anche il padre del logo MilanoPride. Nicolò ha deciso di trasferirsi in Svizzera nel 2014 dove ha iniziato un Master of Art (Visual Communication and Iconic Research) presso la FHNW di Basilea. Nel 2014 Nicolò partecipa all’Art in Residence per pittori solo “Pratiche di pittura” a Villa Gorgo a Nogaredo al Torre, curata da Andrea Bruciati. Dal 2015 Nicolò inizia a collaborare per Nicoletta Fiorucci e Milovan Farronato, fondatori del Fiorucci Art Trust di Londra.
Ha progettato le immagini e la comunicazione per alcune mostre ed eventi internazionali. Nel 2018 Nicolò ha fondato con l’amico e artista Maurizio Bongiovanni il “Unconventional Artist Run Space”: Metodo Milano. Nicolò ha progettato e curato la direzione artistica, il logo e il sito web di Metodo. Nel 2020 Nicolò ha iniziato la collaborazione con la galleria Massimo Ligreggi di Catania e ha partecipato all’Art in Residence internazionale presso la fondazione MACC di Calasetta. Oggi Nicolò vive tra la sua carriera artistica e l’attività di Graphic Designer tra le città di Basilea e Milano. Le sue opere sono presenti nelle collezioni di Amanda Prada, Fabio Cherstich, Nicoletta Fiorucci, Stefano Boeri e Maddalena Bregani, Andrea Bruciati, Efisio Carbone, Emanuele Mocarelli, Roberto Turello e in alcuni musei come la Galleria Pubblica di Modena, il Museo d’Arte Moderna Ugo Carà di Muggia e il MACC di Calasetta.
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Galleria Massimo Ligreggi è lieta di presentare la personale di Nicolo’ Bruno
MAESTRALE curata da Efisio Carbone
lasse ’67, catanese di nascita e gallerista per passione, la storia di Massimo Ligreggi affonda le radici in una lontana Detroit di 40 anni fa, dove ha studiato dai 10 anni sino al primo anno di università. L’incontro con questa città del Michigan – capitale dell’industria automobilistica americana, è stata per Ligreggi un’esperienza formativa fortissima. Qui, infatti, ha incontrato l’arte per la prima volta, frequentando musei e gallerie. Lasciata la città di Detroit e rientrato in Sicilia, coltivando sempre di più la sua passione per l’arte. È l’inizio di una grande passione. E Massimo Ligreggi decide di darne un primo segno tangibile nella sua terra: la Sicilia. Diventa Presidente di Arte Giovane Sicilia, riunendo collezionisti di arte contemporanea e intercettando le nuove istanze locali. Nel 2011, fortemente incoraggiato dalla moglie, fonda la Galleria D’Arte CollicaLigreggi assieme al socio Gianluca Collica. Incontri, esposizioni, scoperte di artisti nazionali e internazionali, esibizioni temporanee e numerosissimi riconoscimenti. Il 2019 sancisce l’inizio di una nuova pagina: all’interno del riservato ed accogliente SAL, a Catania, Massimo Ligreggi presenta ora un nuovo spazio d’arte. “Una scuderia di artisti contemporanei”, ama definirlo lo stesso, “dove l’arte non ha età”. Una selezione di nomi sui quali puntare: pittura, scultura, applicazioni digital. Il resto è un processo in divenire, fatto di cura e pregio. Tra gli artisti che rappresenta citiamo Eelco Brand, Zaza Calzia, Tamàs Calzàs, Elizabeth Moran e Carmelo Nicotra.
dal 17 luglio 2020 Galleria Massimo Ligreggi al 20 ottobre 2020 Via indaco 23 95129 Catania (CT) Tel : + 393208139043 info@massimoligreggi.it
www.massimoligreggi.it 5
RICORDANDONE IL CINETEATRO AL D I ino Francesco Fantini era nato a Cagliari nel maggio del 1913, città dove ha vissuto ed operato a lungo. Fantini aveva iniziato gli studi artistici sotto la guida dello scultore Francesco Ciusa, disegnando e modellando il nudo. A soli 18 anni vinse il 1° Premio a Roma nella Mostra Nazionale per giovani artisti. Consegui la maturità artistica presso il Liceo Artistico Statale di Roma. Dal 1937 fino alla sua morte, espose nelle principali città d’ Italia, in Sardegna e all’estero, in svariate mostre personali e collettive di pittura ed incisione. Sue opere e ritratti si trovano in parecchie raccolte pubbliche, anche all’estero; Fantini ha inoltre eseguito diversi monumenti in bronzo, per i cimiteri di Roma, Cagliari e altre località. Tra le sue opere pubbliche citiamo : decorazione su pannelli Auditorium della Clinica Medica dell’ Università di Cagliari; allestimento Cinema Teatro Alfieri di Cagliari; 18 pannelli per le scuole Elementari S.Antioco; atrio palazzo delle Assicurazioni, Cagliari; decorazione della Chiesa di Sant’Elia, Cagliari. Dino Fantini muore nel 1981.
l teatro Alfieri è stato un teatro di Cagliari situato in via della Pineta. Aperto negli anni sessanta come cine-teatro, fu l’unica sala teatrale per la città negli anni ottanta, dopo la chiusura del teatro Massimo (nel 1982, poi riaperto nel 2009) e prima dell’apertura del teatro Lirico (1993). Nel 2010 ha chiuso i battenti ed è rimasto sfitto in attesa di una riconversione mai avvenuta, per essere poi demolito a giugno 2020. Durante la seconda guerra mondiale vennero distrutti i due teatri più importanti di Cagliari: il Politeama Regina Margherita, per un incendio nel 1942, e il teatro Civico di Castello, dai bombardamenti del febbraio 1943. Nel 1947 venne inaugurato il teatro Massimo, ma con l’espansione di Cagliari una sola sala teatrale non bastava, ed anche quelle cinematografiche non servivano tutti i nuovi quartieri. Nel 1961, per iniziativa dell’imprenditore Umberto Cossu, venne così inaugurato il cine-teatro Alfieri, in una zona in piena espansione, in prossimità dello stadio Amsicora e al Quartiere Fieristico. Nei primi anni di attività funzionante anche come teatro, svolse
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prevalentemente la funzione di cinema dal 1965 fino al 1982, anno di chiusura del Massimo. Con la chiusura del Massimo per l’Alfieri cominciò una grande stagione teatrale, che è continuata sino al febbraio 2009, con la riapertura del teatro Massimo. Nel frattempo, con l’apertura dei multisala, l’Alfieri decise di non proiettare più film, se non in particolari circostanze. Nel 2010 chiuse a causa della crescente egemonia dei multisala in periferia rispetto alle sale singole e dei teatri nel centro storico della città. In progetto ci fu la conversione dell’edificio in locali residenziali e commerciali ma rimase chiuso e nella sua originale conformazione fino a giugno 2020 quando la struttura fu demolita. Spettacoli di prosa e film tra i più famosi dell’epoca venivano programmati ogni giorno accontentando qualsiasi tipologia di spettatore. All’interno, l’eleganza e la sobrietà andavamo di pari passo, dalle poltroncine alle decorazioni dei foyer dipinti da Dino Fantini, tra cui un grande pannello ad olio dedicato al carnevale italiano. . Come dimenticare il soffitto bucherellato per un’acustica migliore e il primo sistema Dts presente in un cinema cagliari-
tano fino ad allora. Generazioni di cagliaritani lo hanno vissuto e vi hanno passato delle bellissime serate, ma ciò purtroppo non è servito a scongiurare l’inevitabile; con l’avvento dei cinema multisala nei centri commerciali che via via si stavano diffondendo nella periferia cagliaritana, a pagarne le spese sono stati proprio i “vecchi” cinema mono-sala, come appunto l’Alfieri. Il teatro di via della Pineta, però, non ha retto neanche la concorrenza del Teatro Massimo. I costi erano troppo alti e il pubblico sempre meno numeroso e automaticamente diminuivano il numero degli spettacoli programmati: nel 2009 furono soltanto quattro.. Guido Cossu, figlio di Umberto e gestore dello storico cine-teatro, non poté fare a meno di annunciarne l’imminente chiusura, contro la quale si erano mobilitati artisti, personaggi del mondo culturale e non, con una petizione su Facebook che raccolse più di 8mila firme. Cossu si rivolse all’allora amministrazione comunale di Emilio Floris affinché consentisse il recupero dello spazio per uso alternativo. L’idea era quella di riqualificare lo stabile a fini commerciali e abitativi: due piani di parcheggi
Foto castedduonline
FIERI E DINO FRANCESCO FANTINI sotterranei e, al piano terra, un supermercato o un bar. Idea poi bocciata nel 2015 dal servizio di Edilizia privata del Comune, secondo il quale (tra le altre motivazioni) il progetto non avrebbe rispettato i 10 metri di distanza minima fra gli edifici. Il 31 ottobre 2010 il teatro Alfieri organizzò una festa di Halloween, alla quale parteciparono tantissimi giovani e meno giovani. Una festa “di addio” a un pezzo della storia dell’intrattenimento culturale cagliaritano che oggi giace silenzioso e quasi spettrale con le sue serrande chiuse da ormai troppo tempo. In tanti ricordano nostalgici gli anni d’oro del cine-teatro di via della Pineta e la foto struggente delle sue macerie stanno facendo il giro del web. A diffonderla è stata anche la consigliere comunale e leader dell’opposizione Francesca Ghirra che dedica un pensiero: «Per tutti quelli della mia generazione a Cagliari l’Alfieri era il Teatro, oltre che il cinema, visto che si trattava dell’unica sala per spettacoli esistente in città negli anni Ottanta. Un pezzo della città e dell’infanzia ci ha lasciati definitivamente. Che enorme dispiacere».
Tra le altre reazioni anche su castedduonline.it “Il cinema teatro Alfieri cancellato dalle ruspe a Cagliari, nell’indifferenza generale se non fosse stato documentato dal video di Casteddu Online, è la più grande simbolica sconfitta della cultura di questa città. Non si può cancellare con un colpo di benna l’unico teatro nel vero cuore della città, almeno non senza versare qualche lacrima. Io in quel cinema piansi quando avevo 8 anni, nel vedere il film sul drago Elliott, mio padre mi portava ogni fine settimana al cinema. Era il cinema di tutti i bambini. Poi ha ospitato i più grandi attori teatrali italiani, ricordo anche uno dei concerti più belli di Paola Turci, era appena il 2003. Il cemento seppellisce i film, le vecchie pellicole, la musica, la cultura. Una palazzina al posto dei ricordi di intere generazioni. L’Alfieri come il Nuovo Cine, il Capitol, il Nuovo Odeon, il Nuovo Olimpia, il Quattro Fontane, l’Ariston, il Corallo ancora lì, simbolicamente sbarrato. Davvero tristissimo che il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, non abbia dedicato neanche una parola alla scomparsa definitiva del teatro a cui i cagliaritani sono più affezionati.
D’altronde i politici, ci hanno abituato. A questi spettacoli. Ricordate il precedente del Nuovo Cine, via De Gioannis, demolito per costruirci un supermercato? Ricordate il via libera lampo della giunta Floris al progetto che ha portato poi al multisala di Santa Gilla? Di fatto Quartucciu nel cinema ha battuto Cagliari. La sconfitta dei sogni: palazzine al posto del cuore. Le poltroncine rosse sgualcite, ora definitivamente distrutte. Non è solo un pezzo di storia che se ne va. Guardate il VIDEO di come è stato buttato giù quel palco, a cui migliaia di cagliaritani erano semplicemente affezionati. jacopo.norfo@castedduonline.it
Dopo il VIDEO esclusivo di Casteddu Online, fioccano le prese di posizione sul cinema-teatro demolito dalle ruspe per fare spazio ad una palazzina. Il regista Enrico Pau lo ricorda così, commosso: “Qualcuno dice che quando si chiude un teatro in cielo cade una stella. Qui a Cagliari quando scompare un teatro, i palazzinari fanno festa e le betoniere iniziano a mescolare cemento. D’altronde in questa città le distanze non si misurano in chilo-
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Vedi https://youtu.be/ SlKRDdMT2Lc
metri ma in metri cubi. Stiamo raccontando l’ennesima storia di un teatro, ma anche cinema, come tanti altri in città, che scompare. All’Alfieri ho vissuto diverse stagioni della mia vita, quella di giovane attore pieno di speranze ma destinato a qualche delusione, e più tardi quella felice di cronista teatrale della Nuova Sardegna. Un pezzo della mia vita è trascorso dentro quel teatro che si è incrociato con la vita di tanti compagni di strada: attori, tecnici, registi, maschere, cassieri, organizzatori. Gente che ho incontrato per anni, almeno una volta alla settimana nelle lunghe stagioni teatrali di cui sono stato testimone. Dentro quel vuoto, che non è solo fisico, dentro il quale sorgerà l’ennesimo palazzone, ci sono le storie di migliaia di persone che hanno fatto dell’arte la loro vita, che hanno sognato un futuro di lavoro con la cultura, che hanno immaginato scene, costumi, dato forma a dialoghi a movimenti degli attori, a tagli di luce, a spettacoli memorabili, ad altri dimenticabili. Ci sono le immagini dei film che sono rimaste impresse sull’enorme schermo bianco ormai strappato, (segue pagina 10)
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n muro divide ancora il mondo in nord e sud, in ricchi e poveri, da una parte chi perseguita e dall’altra chi soffre”, mi dice Roger Waters. E lui continua a cercare di tirarlo giù, un mattone alla volta. Prima con le canzoni, ora anche con il cinema. L’appuntamento con il leggendario leader dei Pink Floyd è a Londra, in una sala d’albergo quasi di fronte ai grandi magazzini Harrods. È qui che ha temporaneamente stabilito il quartier generale per il lancio promozionale del suo film, The Wall, appunto. Capelli grigi ma lunghi come ai vecchi tempi, jeans, maglietta nera, giacca blu, alto e dinoccolato, a settantadue anni Roger Waters ne dimostra almeno dieci di meno e ha ancora l’aria della rockstar, appena un po’ più rilassata. È come se il tempo, per la generazione sua, di Mick Jagger, di Paul Mc Cartney, di questi splendidi, incorreggibili settantenni, non dovesse passare mai. The Wall, dunque, film-concerto sullo strepitoso tour omonimo portato in giro per il mondo tra il 2010 e il 2013, road-movie sul suo passato di stella del rock e documentario pacifista, sarà in contemporanea sui grandi schermi di tutto il pianeta il prossimo 29 settembre, e in Italia, caso unico, per tre giorni anziché uno solo. Un grande avvenimento che includerà anche una conversazione fra Waters e Nick Mason, in cui il duo della band di “The Dark Side of the Moon” si riunisce per rispondere alle domande inviate loro dai fan. Mister Waters, che tipo di messaggio vuole lanciare con questo film? “Prima mi lasci dire l’unica cosa che so dire in italiano: Sono molto felice di essere qui. Ah, no, aspetti, ne so anche un’altra: Signore, guidi piano per favore, mia moglie aspetta un bambino. Molto utile quando un’autista ti porta da Fiesole a Firenze, con tutte quelle curve. Dunque, dove eravamo?”. Al suo The Wall che esce nei cinema di mezzo mondo. “Ah sì. Penso che la gente sarà colpita e sorpresa, anche quelli che hanno visto dal vivo il concerto, perché il film offre molto di più. Per me è stato il modo di riflettere sull’apparente indifferenza della nostra civiltà verso coloro che soffrono, verso i diseredati, le vittime delle
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guerre, le persone private della libertà, censurate, sfruttate, verso tutti coloro che sono tenuti ai margini della società”. Voglio andare contro l’indifferenza. E sono un teorico del complotto” È un caso che soltanto in Italia il film sarà proiettato per tre giorni, o invece riflette i suoi sentimenti per il nostro Paese, per la terra in cui ha perso la vita suo padre? “La verità? Non lo sapevo, ma ora che me lo dice mi fa piacere, come mi fa sempre piacere parlare dell’Italia. Ho pranzato di recente con un nuovo amico, Harry Shindler, un veterano inglese della Seconda guerra mondiale che vive da tanti anni nelle Marche, e che mi ha aiutato a scoprire il luogo in cui fu ucciso mio padre. Prima ancora avevo partecipato alla cerimonia di inaugurazione di un monumento alla memoria di mio padre ad Aprilia, la cittadina in cui perse la vita durante la battaglia per la liberazione di Roma. È stato un momento profondamente commovente per me. Da non molto ho letto Napoli ‘44, il libro di memorie di un ufficiale inglese durante l’avanzata da Salerno fino alla capitale. Quel libro descrive benissimo l’umanità degli italiani, i sentimenti del vostro popolo. Quando sono a casa mia e ho un po’ di ospiti attorno al tavolo, alzo sempre un bicchiere e dico, in italiano: La famiglia! E poi aggiungo rivolto ai familiari e agli amici: questo è quello che deve voler dire essere italiani. Io vi ringrazio per il dono che avete fatto al mondo”. È caduto il muro di Berlino, da quando lei ha scritto The Wall. Ma quanti muri ancora dividono il mondo? “Tanti. Il muro tra il nord e il sud del pianeta. Tra i ricchi e i poveri. Tra chi perseguita e chi soffre. E anche tra chi ha le chiavi del progresso, dell’informazione, e chi è condannato a vivere nell’ignoranza, nel buio. Non so come o quando li abbatteremo, ma almeno proviamoci, anche solo con una canzone se necessario”. La musica ha provato a lungo ad abbattere il muro della fame in Africa, nel Terzo Mondo, dal Live Aid al Live 8: ci è riuscita? Servono a qualcosa questi concerti di beneficenza, ad alcuni dei quali ha partecipato lei stesso?
RS THE WALL “Una volta ho detto che, come minimo, male non fanno. Oggi dico di più: se anche servissero solo a dare a Bob Geldof un palcoscenico da cui denunciare le ingiustizie commesse dall’Occidente, la dittatura del Mercato, la diseguaglianza fra chi ha tutto e chi niente, varrebbe la pena averli fatti. L’ho cantato anch’io in una canzone: ci sono montagne di burro, e troppi bambini che non hanno niente da mangiare”. Qualche giorno fa un famoso promoter inglese ha detto che per i grandi concerti rock è iniziato il declino, per il semplice fatto che non ci sono più grandi rock band. È d’accordo? “Io ho avuto la fortuna di essere giovane negli anni Sessanta-Settanta, quando quattro ragazzi potevano formare una band e avere il tempo e le opportunità per crescere, sviluppare un proprio pubblico, migliorare la qualità musicale. Adesso è tutto come quei reality show tipo X Factor o America’s Got Talent. Non c’è più alcuna sostanza. Prendono un ragazzino e lo scaraventano nel circuito senza dargli né il tempo né le occasioni per maturare. In questo modo è naturale non nascano più grandi rock band”. E lei? C’è ancora qualche grande concerto nel suo futuro? “Sono a metà di un nuovo album. Quando sarà pronto, fra un anno, un anno e mezzo, sì, mi piacerebbe portarlo in tour. Ai miei concerti mi diverto ancora”. Lei è stato a lungo un sostenitore del partito laburista, un militante della sinistra. Ci crede ancora, nella sinistra britannica e europea? “Dopo la Thatcher e Reagan, la sinistra ha rinunciato a essere una vera sinistra. Personalmente trovavo Tony Blair insopportabile. Come se il socialismo, per vincere, dovesse diventare timido e moderato. E però le dirò una cosa: con tutti i suoi limiti, oggi preferisco il liberalismo occidentale alle sue presunte alternative. Almeno difende ancora i valori della Magna Charta, lo stato di diritto, i diritti umani. E comunque mi sento più garantito dalla democrazia europea che da quella americana”. Obama non le piace? “Obama mi piace. È sicuramente un uomo molto intelligente e si è sinceramente battuto per migliorare le cose. Ma cozza contro un muro, anche lì, un altro, e si è reso conto di non poter far molto”.
vedi video https://media.gedidigital.it/ repubblicatv/ file/2015/06/05/262762/262762multi-auto-rogerwaters05_06.mp4
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Le ha dato più soddisfazioni, per passare a un argomento più leggero, la vittoria dell’Arsenal nella Coppa d’Inghilterra? “Naturalmente sì, sono ancora un grande tifoso dell’Arsenal, anche se da quando abito a New York vedo le partite in tivù e non più allo stadio”. Perché preferisce New York a Londra? “Perché New York ha quattro stagioni. Suona assurdo detto da un inglese, vero? Non sopportavo più il clima londinese”. Posso chiederle, per concludere, da dove le è venuta l’ispirazione per scrivere canzoni che sono diventate la colonna sonora della nostra generazione? Penso a Wish You Were Here, a The Dark Side of the Moon? Lei è uno dei più grandi autori di rock del nostro tempo: da dove le arrivano la musica e le parole? “Potrei darle la risposta convenzionale, che è parzialmente vera: mi siedo al pianoforte, oppure prendo la chitarra, inizio a giocare con le note, tengo un taccuino a portata di mano, e poi quando trovo il verso giusto mi chiudo nel mio studio e ci lavoro sopra. Ma la risposta più vera è questa: quando una donna resta incinta, ma non ha ancora i sintomi, lo sa già? C’è qualcosa che le dice che dentro di lei c’è un bambino? Parole e musica arrivano nello stesso modo, misterioso, indecifrabile, magico. Davvero non saprei dire né come, né perché”. E un’ultima cosa, semplice curiosità: se dovesse capitarle di passare davanti alla centrale di Battersea, quella che appariva sulla copertina del vostro album Animals e che adesso stanno trasformando in un grande complesso di appartamenti e shopping-center, cosa pensa che potrebbe provare? Quel luogo ha ancora un valore per lei? “Ce l’ha. Però le confesso che ci sono passato davanti proprio da poco, ero in treno, e non mi sono neanche ricordato di guardarla. Perché? Perché stavo leggendo un libro e il libro mi prendeva così tanto da farmi dimenticare tutto il resto. È un’altra fortuna che abbiamo ereditato dagli anni Sessanta-Settanta, l’epoca in cui si amavano i libri e non solo quello che passa internet”. (intervista di Enrico Franceschini) https://www.repubblica.it/ spettacoli/musica/
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Photo pietrina atzori
(segue dalla pagina 7) i primi piani dei divi del cinema italiano che hanno accarezzato l’immaginario di generazioni di spettatori. E per noi aficionados il ricordo delle opere pittoriche di Dino Fantini che circondavano la platea e che rimandavano alla Commedia dell’Arte dando all’Alfieri quell’aria di un luogo fuori dal tempo, eterno. Ma l’eternità non esiste quando a predominare non è il bene comune ma quello dei singoli, il guadagno. La storia di questi giorni è la solita di sempre: il patrimonio culturale di una città soccombe davanti agli interessi di pochi. A Cagliari è già successo troppe volte in passato con il Quattro Fontane, l’Olimpya, il Nuovocine, il Nuovo Odeon, con il Fiamma, l’Ariston e l’Arena Giardino, un elenco doloroso per chi ha avuto la fortuna di vivere la sua formazione di spettatore dentro quei luoghi pieni di storia. Rimane solo il rimpianto quindi, non c’è più neanche la voglia di combattere per difendere la bellezza architettonica del passato, i cittadini, quelli più sensibili, sono soli davanti a regole urbanistiche fatte ad arte per favorire meccanismi che prevalgono dal dopoguerra, quando la città fu ricostruita dopo i bombardamenti nel modo caotico e tentacolare con cui è cresciuta. Si andrà avanti così, qualcuno la chiama modernità altri, come Giorgio Todde lo definiscono sviluppismo, la tendenza cioè a trasformare tutto, a modernizzare, a cancellare. Dell’Alfieri ricordo nel 1982 il giorno di una replica di “Questa sera si recita a soggetto” di Pirandello regia di Marco Parodi, ero emozionato perché avevo invitato i miei nonni che non mi avevano mai visto recitare. Gli attori in quello spettacolo arrivavano dalla platea e mentre mi avvicinavo al palco sentii qualcuno che mi acchiappava con una presa di ferro per la giacca non lasciandomi andare verso il palco. Mi girai di scatto, era mio nonno che rideva come un matto, rideva e non mollava la giacca, rideva in silenzio, con mia nonna affianco che lo guardava preoccupata. Quella stretta, forte e decisa, era un gesto d’affetto, un momento che conservo dentro di me e che oggi a vedere le immagini di quel vuoto dentro il quale sorgeva un tempo un teatro mi è tornata in mente dolcemente”. https://www.castedduonline.it/ alfieri-demolito-a-cagliari-il-regista-enrico-pau
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Enzo Angiuoni, Silvano Caria, Antonio Ciraci, Marina Desogus, Francesco Giraldi, Antonio Graziano, Michele Mereu, Mari Paz Pellín Sanchez, Marco Pili, Ivo Pirisi, Gianfranco Racioppoli, Pasquale Simonetti, Enzo Trepiccione e Vittorio Vanacore.
Mostra collettiva di arte contemporanea
dal 4 luglio 2020 al 4 ottobre 2020 Pinacoteca Comunale
Carlo Contini via Sant’Antonio 09170 Oristano Tél. : +39 0783 70363
pinacoteca@comune.oristano.it
uattordici artisti sardi,campani e spagnoli con le loro opere animeranno la mostra di arte contemporanea WALLS che dal 4 luglio al 4 ottobre sarà ospitata nella Pinacoteca comunale Carlo Contini di Oristano. L’iniziativa è dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Oristano che, accogliendo la proposta di gemellaggio artistico con la città di Aversa, ha affidato alla Fondazione Oristano e all’artista Marco Pili, con il contributo di Chiara Schirru e Paolo Sirena, l’organizzazione della mostra collettiva di arte contemporanea. “WALLS”, organizzata con il sostegno della Fondazione di Sardegna, della Fundacion Paurides e di Askòs Arte è l’esito di un collaudato gemellaggio artistico iniziato nel mese di maggio 2019 negli spazi espositivi di Aversa che nelle prossime settimane proseguirà a Oristano raccontando, nelle sale della nostra Pinacoteca, attraverso le opere degli artisti sardi, campani e spagnoli e il loro modo di interpretarlo, il significato dei muri, fisici o ideali, che dividono il mondo” spiega l’Assessore alla Cultura Massimiliano Sanna. Il connubio intende collegare virtualmente l’Isola con altre realtà artistiche per favorire lo
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scambio culturale, la riscoperta del senso di appartenenza al proprio territorio e contemporaneamente la condivisione dell’Arte e dei rispettivi patrimoni. Il progetto utilizza il linguaggio universale dell’Arte per partecipare alla diffusione dell’accoglienza come filosofia di vita, al fine di creare una società sempre più educata all’incontro con l’altro in un clima di condivisione e di scambio culturale. “Tanti muri dividono ancora il mondo. Il muro tra il nord e il sud del pianeta. Tra i ricchi e i poveri. Tra chi perseguita e chi soffre. E anche tra chi ha le chiavi del progresso, dell’informazione, e chi è condannato a vivere nell’ignoranza, nel buio. Non so come o quando li abbatteremo, ma almeno proviamoci, anche solo con una canzone se necessario.” Roger Waters (vedi pagina 8) Nel mondo continuamente sono innalzati muri a separare terre, stati, persino borgate della stessa città, per i motivi più disparati: politici, economici, razziali, religiosi, riconducibili comunque sempre, alla determinazione di respingere, separare popoli, gruppi etnici, culture, credi religiosi e stili di vita. La storia stessa del genere umano potrebbe essere riscritta tra-
mite l’elencazione dei muri e delle barriere che hanno originato o alimentato tensioni e guerre. Muri non solo fisici ma spesso anche invisibili e perciò ancor più difficili da abbattere come quelli dell’ignoranza, della discriminazione, dell’indifferenza e dell’incomunicabilità, muri innalzati dalla paura del diverso o che rinchiudono in mondi virtuali lontani dalla realtà. Eppure l’evoluzione umana è avvenuta proprio nel momento in cui i popoli si sono incontrati, quando, piuttosto che muri di separazione, sono stati costruiti “ponti” per unire e condividere idee, culture, esperienze di vita. Per dipiù la storia insegna che ogni muro è destinato ad essere abbattuto dalla forza del desiderio umano che tende verso la libertà e ricerca migliori condizioni di vita, e che dopo ogni distruzione l’uomo, a qualsiasi civiltà appartenga, ritorna comunque a costruire ponti e strade. Demolire i muri innalzati dalla paura e dall’ignoranza per provare insieme a edificare ponti di amicizia è anche l’azione verso cui converge la mostra che si propone per gli spazi della Pinacoteca di Oristano. http://www.cagliariartmagazine. it/walls/
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er una vera, mille sono finte, mostra personale di Vincenzo Pattusi a cura di Chiara Manca e Cecilia Mariani, è la seconda tappa del più ampio progetto espositivo che nel corso del 2020 vede coinvolti altri tre artisti accomunati dall’origine nuorese – Gianni Casagrande, Vincenzo Grosso, Ruggero Baragliu – chiamati a confrontarsi con un’eredità concettuale forte quale quella del romanzo postumo Il giorno del giudizio (1977) di Salvatore Satta (1902-1975), e dunque con l’identificazione del capoluogo barbaricino con un metaforico “nido di corvi”. Un (pre)concetto identitario, questo, di per sé negativo ma difficilmente ignorabile, con cui la stessa intelligentsia locale, nei decenni più recenti, ha fatto dei conti un po’ approssimativi, quasi si trattasse di un mantello ancora troppo caldo per quanto ruvido, confortevole perché recante la traccia della propria impronta. Prendendo le mosse da Krähen. Ein Portrait, volume del 2013 del tedesco Cord Riechelmann pubblicato nella sua versione italiana da Marsilio nel 2019 all’interno della collana Storie Naturali, è stato chiesto agli artisti di compiere la stes-
Foto MANCASPAZIO
ANCASPAZIO è a un passo da quella che per Nuoro è stata la galleria d’arte più significativa fino agli anni ’90, la Chironi88 di Sandra Piras, figura fondamentale nel panorama artistico isolano che con le sue esposizioni è stata un’apripista per l’avanguardia visiva in Sardegna. Seguendo il filo e l’insegnamento della Chironi88, MANCASPAZIO nasce per la scoperta o la riscoperta degli artisti contemporanei, lasciando aperto il dialogo con quelli storicizzati, dei quali sarà possibile conoscere lavori ancora inediti, di particolare interesse. Ogni mostra di MANCASPAZIO sarà accompagnata da un catalogo bilingue, illustrato mediante fotografie di Nelly Dietzel, curato nella grafica da Sara Manca corredato dai testi di Chiara Manca tradotti da Shahrazad Hassan.
sa operazione di ribaltamento compiuta dallo studioso: come lui, dopo anni di osservazione diretta dei volatili e di confronto con la comunità scientifica, è stato in grado di smentirne la pessima fama materiale e immateriale, così loro si sono relazionati con un pregiudizio simbolico ostinato e limitante per una città che proprio per l’anno 2020 aveva voluto proporsi in qualità di capitale italiana della cultura. Alla pari dei corvi abissini (corvus crassirostris), che hanno l’abitudine di sostare sul tetto di quella che ad Harar fu la casa del poeta Arthur Rimbaud, si sono posati metaforicamente sulle tegole del magistero sattiano: chiamati a concepire una o più opere a partire dalle argomentazioni esposte nel testo di Riechelmann e da un volume inteso anche come oggetto-libro, hanno dato la loro personale interpretazione del tema; un modo concreto, questo, per affermare l’esistenza di un processo creativo in corso e la propria originale presenza al suo interno, sia attraverso la rielaborazione di un’origine urbana e culturale comune, sia tramite il filtro specifico del proprio tratto, segno, intervento. Un volo evidentemente ambi-
zioso, insomma, alla ricerca di prospettive nuove, più aeree, più alte. La mostra di Vincenzo Pattusi propone una recente e nutrita selezione di lavori che ben si prestano a una riflessione di ampio respiro sul concetto complesso di identità, affiancati a un collage e a cinque dipinti inediti concepiti per l’occasione e da cui si evince la percezione di una Nuoro ancora profondamente calata nelle atmosfere descritte da Satta più di quattro decenni fa. Rielaborati e trasfigurati, nidi e corvi ricorrono su carta, su tela e su tavola carichi di simbologie antiche, significati metaforici, allusioni e ambivalenze la cui decodifica si affida di volta in volta alla sensibilità e all’immaginazione del visitatore. Una soluzione esaustiva e definitiva, pertanto, non può che risultare impossibile e sfuggente, proprio come la forma di una nuvola: perché “per una vera, mille sono finte”. L’esposizione è accompagnata da un catalogo bilingue con testi di Chiara Manca e Cecilia Mariani, progetto grafico di Sara Manca, traduzioni in inglese di Shahrazad Hassan e fotografie di Nelly Dietzel. https://www.mancaspazio.com/
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PER UNA VERA MILLE SONO FINTE
Vincenzo Pattusi a cura di Chiara Manca e Cecilia Mariani
fino al 26 Luglio 2020
MANCA SPAZIO Via della Pietà 11 +39 351 866 8410 www.mancaspazio.com
vedi i filmati https://youtu.be/ Isa-1DE_owA https://youtu.be/ IPJ25JfjAV0
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er una vera, mille sono finte, mostra personale di Vincenzo Pattusi a cura di Chiara Manca e Cecilia Mariani, è la seconda tappa del più ampio progetto espositivo che nel corso del 2020 vede coinvolti altri tre artisti accomunati dall’origine nuorese – Gianni Casagrande, Vincenzo Grosso, Ruggero Baragliu – chiamati a confrontarsi con un’eredità concettuale forte quale quella del romanzo postumo Il giorno del giudizio (1977) di Salvatore Satta (1902-1975), e dunque con l’identificazione del capoluogo barbaricino con un metaforico “nido di corvi”. Un (pre)concetto identitario, questo, di per sé negativo ma difficilmente ignorabile, con cui la stessa intelligentsia locale, nei decenni più recenti, ha fatto dei conti un po’ approssimativi, quasi si trattasse di un mantello ancora troppo caldo per quanto ruvido, confortevole perché recante la traccia della propria impronta.
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Foto francescarandi
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l mio lavoro fotografico è incentrato sul concetto di Realismo Fantastico e Perturbante. Attraverso le mie immagini trovano espressione le proiezioni inconsce, le rimozioni, i desideri e le aspirazioni. Nel realismo fantastico il mistero non si inserisce nel mondo rappresentato, ma si nasconde e palpita dietro di esso. Il perturbante, ciò che porta angoscia, è un qualcosa che assomiglia al nostro ambiente familiare, ma in realtà cela in sé un che di sconosciuto, enigmatico. “Tutto ciò che pensavamo fosse rimosso dalla nostra coscienza, complessi infantili, convinzioni personali o pregiudizi, riemerge creando una condizione instabile alla nostra identità e generando uno stato di angoscia” (Sigmund Freud 1919). La fotografia, utilizzando lo stesso linguaggio dell’inconscio, ossia le immagini, favorisce la regressione necessaria per entrare in contatto con il proprio perturbante. In ogni mio progetto utilizzo l’onirico come elemento di esplorazione fotografica. La mia è una visione cinematografica e narrativa, per indagare l’universo della psiche, dell’inconscio e del sogno. Spesso è la notte con le sue luci irreali e fluorescenti ad accompagnare le mie storie. La notte, e la città di notte, evoca sensazioni stranianti di solitudine, oscurità, vite segrete, irrisolte, che oscillano tra sogno e realtà. Mi considero un fotografo-sognatore. Sogno ogni notte e annoto tutto prima di dimenticarli. Cerco di svelare l’ombra contenuta in ciascuno di noi. Abbiamo tutti delle parti nascoste e oscure, che non vogliamo vedere perché ne abbiamo paura, è il nostro doppio. Viene tutto elaborato in maniera abbastanza caotica, per associazioni di idee e successivamente trasportato nella realtà attraverso la fotografia, che però essendo per sua natura doppia, uno specchio oscuro che riflette ciò che vogliamo far vedere, avviene quindi un doppio procedimento. Quando mi trovo a scattare, lascio entrare nel mio mondo un altro elemento fondamentale: la casualità. Per cui non so mai cosa ne verrà fuori, mi lascio trasportare dagli eventi. Chi si addentra nell’onirico e nel proprio inconscio per trarne un processo artistico, deve sapersi lasciare andare, deve la-
Vedi i video vimeo.com/433229631 vimeo.com/316004463 vimeo.com/341983476
FRANCESCA RANDI vorare senza censure, non deve avere paura di scendere negli abissi della propria psiche per poi mostrare le parti più buie. E’ un processo davvero complesso e difficile, inizia già da bambini, si deve essere coraggiosi e sinceri per poterlo intraprendere. Scelgo in maniera accurata sia i luoghi che le persone che dovranno posare. Li vedo trasformarsi e assumere una nuova identità, quel personaggio diventa anche il loro personaggio, immerso nella notte, rischiarato da un insegna al neon rossa, con il vento gelido che muove i vestiti, e le fronde degli alberi che ondeggiano da una parte all’altra. E’ qui che si compie la magia completa, c’è un sorta di trasfigurazione tra me e loro. All’occasione della mostra “I Senza Nome” organizzata da Sonia Borsato, la presentazione ed il testo insistevano su questo: “Nei momenti di crisi la proiezione di parti di sé, tipica dei fenomeni transizionali, ricrea nella relazione con gli oggetti uno spazio di rifugio consolatorio che distoglie temporaneamente dalle difficoltà del reale attraverso il senso rassicurante, quanto aleatorio, procurato dall’idea del controllo esercitato su di sé e sull’ambiente.
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Emerge dal profondo il volto-maschera, il mostro. Ed il relativo bisogno di protezione, ma anche di trasformazione legato ai riti di passaggio: e’ il non-essere che vorrebbe farsi essere. La maschera serve per nascondere un vuoto con l’intento di colmarlo con un pieno diverso e altro. Il tema dei mostri nella natura viene affrontato da Klee e Mirò ma è il Minotauro di Picasso, bestia nella testa invece che nel corpo, a rivela una verità più inquietante: le reali mostruosità provengono dalla mente dell’uomo, non dalla natura. Al riguardo, l’antropologo Clifford paragona un surrealismo nell’arte con un surrealismo etnografico, individuando un’estetica ibrida e meticcia che sconfina nelle dimensioni dell’erotico, dell’esotico e dell’inconscio. La bruttezza equivale al perturbante di Shelling e Freud: qualcosa che sarebbe dovuta rimanere nascosta ed è inevitabilmente riaffiorata come per effetto di un’amara madeleine proustiana. E’ il ritorno del rimosso che genera angoscia, dell’inconsueto che riappare dopo la cancellazione di qualcosa che ha turbato tanto la nostra infanzia
individuale quanto l’infanzia dell’umanità. Il potere dell’arte potrebbe auspicabilmente levare la barriera che ci separa dal mondo e dalla realtà alienata, per fare rifluire il mondo in noi rimettendolo in contatto con la nostra soggettività: solo così l’arte non sarà soltanto dispiacere, ma anche e soprattutto fonte di piacere”. Ho dei collezionisti che per fortuna amano la fotografia e le mie foto tanto da investire. Ma è tutto così tremendamente difficile, soprattutto per quanto riguarda il mercato fotografico. Non ne conosco assolutamente i meccanismi e non sono mai stata brava a promuovermi. Non saprei davvero cosa consigliare ad un artista che vorrebbe vivere d’arte. A parte forse che non ci si deve fermare mai, anno dopo anno, lavorare duro, studiare e cercare la propria cifra espressiva. Bisogna essere davvero umili e severi con se stessi, e poi quello che deve accadere accadrà. Francesca Randi Cagliari, 29 giugno 2020 Questo è il mio sito: http://francescarandi.tumblr.com/ E il mio profilo fb: https://www.facebook.com/ francesca.randi
Foto museo nivola
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iovane Arte in Sardegna è un progetto espositivo che coinvolge 27 artisti nati in Sardegna, sotto i quarant’anni. Si tratta di una ricognizione delle nuove generazioni creative dell’isola che non ha precedenti per estensione e scopo. Le artiste e gli artisti selezionati per Back_Up sono nati in Sardegna, ma questo dato biografico non li definisce. Contro l’idea folkloristica e deterministica di una identità sarda antropologicamente differente, Back_Up dimostra l’esistenza di un insieme di pratiche, tematiche e punti di vista variegato e originale, e di percorsi e traiettorie che dalla Sardegna si muovono verso l’Italia, l’Europa e oltre. La pittura è il linguaggio di elezione di molte protagoniste e protagonisti della nuova scena sarda, declinata in accenti neo-espressionisti o neo-surrealisti, con una predilezione per il fantastico e l’inquietante, e un’attenzione per il rapporto fra interiorità e paesaggio. Il segno grafico è spesso acuto e preciso, e si declina nei più svariati supporti, dalla pagina al muro.
Per altri artisti, lo sguardo è rivolto verso il politico e il sociale, indagato con sensibilità etnografica, con distaccata ironia o con fervore attivista. Scultura, installazione e performance sono altre pratiche attraverso le quali si viene a patti con la realtà. Ricominciando a guardare al futuro con una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale, il Museo Nivola dà il via a un piano a lungo termine di sostegno e sviluppo del sistema dell’arte in Sardegna, ponendosi come punto di incontro fra artisti, pubblico e comunità. Back_Up segna l’inizio di un ciclo di eventi, progetti e call dedicati agli artisti emergenti del territorio, che affiancheranno la programmazione internazionale del museo in una prospettiva di confronto, stimolando il dibattito intellettuale e la risposta del pubblico. In mostra anche un portfolio di opere acquisite dal museo durante la quarantena legata al Covid-19, e ora messe in vendita per finanziare, con il 100% del ricavato, progetti solidali. Partecipano a Back_Up Irene Balia, Andrea Casciu, Crisa (Federico Carta), Siro Cugusi,
Eleonora Di Marino, Andrea D’Ascanio, Roberto Fanari, Sergio Fronteddu, Heart Studio (Bruno Savona e Martina Silli), Silvia Idili, Kiki Skipi, La Fille Bertha, Silvia Mei, Narcisa Monni, Veronica Muntoni, Manuelle Mureddu, Paolo Pibi, Gianmarco Porru, Stefano Serusi, Vittoria Soddu, Giulia Sollai, Carlo Spiga, Daniela Spoto, Edoardo Tedde, Tellas, Alessandro Vizzini. Back_Up Giovane arte in Sardegna A cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri Museo Nivola, Orani 27 giugno – 17 ottobre 2020 Sponsor Istituzionali: Regione Sardegna, Comune di Orani Main Sponsor: Fondazione di Sardegna Progettazione allestimento: Alessandro Floris Realizzazione allestimento: Art Handling Services di Luca Pinna; Artigianato e Design di Pietro Fois Grafica: Matteo Pani Stampa: Sardegna Print Si ringraziano Antonello Carboni, Ruggero Mameli. www.museonivola.it
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MUSEO NIVOLA
BACK_UP Giovane Arte in Sardegna dal 27 giugno al 17 ottobre 2020
Parco Comunale Museo Nivola Via Gonare, 2, 08026 Orani NU Tél. : +39 0784 730063 www.museonivola.it
ltimamente numerose manifestazioni artistiche in Sardegna, e non certo le meno importanti, hanno preso l’abitudine di nominare le loro esposizioni con dei termini presi alla lingua inglese. Certo chiamare la mostra di McCurry “Icons” era quasi scontato anche se, malgrado il fatto che un noto e preparato direttore di Museo ed esperto d’Arte mi abbia qualificato di “Monna Lisa” del XXsimo secolo la foto di una ragazza afgana realizzata nel 1985 durante l’occupazione delle truppe sovietiche nel suo paese, si tratta sempre alla fine di una fotografia (ritoccata per ammissione del suo stesso autore) di propaganda antisovietica. Non si capisce perchè la bellissima idea di offrire periodicamente ad un trio di artisti uno spazio di lavoro all’interno de “Il Ghetto” gestito dalla Fondazione Camù, si debba chiamare “A Space for Art” e non “Uno Spazio per l’Arte” anche se eventualmente avesse dovuto accogliere degli artisti stranieri residenti in Sardegna, allora perché non “Ein Raum für Kunst” visto che Lea Gramsdorff é di origine tedesca? E perché allora BUCK UP? quando “Giovane Arte in Sardegna” mi sembra talmente più esplicativo? Se vado a cercare il senso trovo le seguenti definizioni: In informatica, è un prestito dall’inglese per significare: una salvaguardia dei dati; un sistema di ridondanza per le applicazioni vitali di un’azienda (un piano di ripresa dell’attività, nel senso di un sistema di recupero). Nel campo militare e degli armamenti, il termine si riferisce all’arma secondaria portata da un soldato. Gli permette di salvarsi la vita, quando la sua arma principale non è o non è più utilizzabile, ad esempio quando si è inceppata o ha esaurito le munizioni. Comunemente, il backup è una pistola semiautomatica. Nel linguaggio imprenditoriale, il backup si riferisce sempre più spesso a un intervento o a una posizione di secondo livello (fornita, se necessario, in sostituzione di un manager, ad esempio). Nei videogiochi, un backup è una copia del CD di un gioco che può essere utilizzato solo se la console ha un microprocessore. Allora? Quando ricomincieremo a parlare l’italiano ? Vittorio E.Pisu
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vedi il video vimeo.com/110445200
L’Ex ART E’ MORTO, VIVA l’Ex ART! Foto lucidosottile
al 2003, Michela Sale Musio e Tiziana Troja sono direttrici artistiche della compagnia LucidoSottile. Conosciute come “Le Lucide”, sono attrici, coreografe, cantanti, registe con un’ esperienza ventennale alle spalle. Anticonformiste, istrioniche e dissacranti, il loro intervento nell’arte è trasversale e non convenzionale, spesso osteggiato dalla politica e dalla censura dei benpensanti e oggetto di discussione per l’opinione pubblica. Le Lucide non sono delle artiste ordinarie, il loro lavoro spazia tra il teatro, la danza, il cinema, la fotografia e la musica, tra la comicità più sagace e satirica e il dramma contemporaneo, senza dimenticare il loro impegno sociale e di politica culturale. Sono considerate in Sardegna un punto di riferimento non solo artisticamente ma anche a livello organizzativo e promozionale, per i giovani artisti. Il loro lavoro è fortemente caratterizzato dalla capacità di proporre, attraverso l’utilizzo e la mescolanza dei linguaggi dell’arte, un prodotto di qualità, contemporaneo, mai statico, contraddistinto dall’audacia e dalla poliedricità, che mira e scommette: sulle capacità di una comunicazione talvolta irriverente e fuori dai canonici schemi, sull’unicità del genere e sull’elevato livello di professionalità degli artisti coinvolti nelle produzioni, ma soprattutto sulla capacità di generare emozioni nel pubblico. Il loro è un modo di performare, a tratti dissacrante, che fa della realtà il suo luogo di immaginazione e che è sempre capace di far parlare degli spettacoli portati in scena. “Le arti sceniche rappresentano per noi, un aspetto rilevante della cultura odierna: rivelano attitudini, potenziali degli individui, li accomunano, li conducono all’aiuto reciproco, promuovono il senso sociale, armonizzano tendenze diverse in un’attività che ha bisogno del contributo di tutti, favoriscono la libera espressione della persona e, soprattutto, le capacità di rispondere in modo creativo agli stimoli prodotti dall’ambiente culturale in cui si vive. Potremmo definirle una palestra per l’adattamento relazionale, dove gli individui vengono allenati ad affrontare con maggior sicurezza il reale, tramite una comunicazione indiretta che permette di creare tra gli spettatori e tra questi e gli attori, una lunghezza d’onda comune sulla base della quale intraprendere nuovi orizzonti di riflessione e sperimentazione.”
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vedi i video https://bit.ly/DueStronzePerBene https://www.facebook. com/exartca/videos/308608803486120/ https://www.facebook. com/exartca/videos/907011659726035/ https://www.facebook. com/exartca/videos/583129935934370/
i è conclusa nei locali dell’ex Liceo Artistico di piazza Dettori a Cagliari l’esperienza del collettivo dell’ExArt Teatro, nato nell’ottobre del 2012 su impulso della compagnia Lucidosottile, nello stabile della Marina già dal 2009. La conclusione di questa esperienza ha radici lontane: nel 2014 l’amministrazione comunale decise infatti di inserire lo stabile nel piano triennale dei lavori pubblici, ipotizzando per l’ex Liceo una radicale ristrutturazione e una nuova destinazione culturale. Oggi quell’iter burocratico è arrivato a compimento e, come concordato con l’amministrazione, le associazioni lasciano lo stabile per consentire all’impresa di iniziare i lavori. Siamo orgogliosi del lavoro compiuto in questi anni: quella dell’ExArt è infatti una storia che ha segnato in modo indelebile le nostre vite e la vita culturale di questa città. Le sette associazioni che lavorano sotto la sigla del collettivo ExArt Teatro : Le Lucide di Lucidosottile, Batisfera Teatro, Teatro Impossibile, Talenti Stravaganti, Sinforosa di Salvatore Aresu Dafi (Filippo Grandulli e Daniele Coppi) e
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l’artista Federico Carta in arte Crisa hanno lavorato senza scopo di lucro, portando avanti le loro attività nelle sale del penultimo e ultimo piano dello stabile. In quasi dieci anni abbiamo organizzato centinaia di eventi, tra spettacoli, festival, laboratori, conferenze, residenze di artisti e incontri, che sono stati seguiti da migliaia di spettatori a cui oggi va il nostro ringraziamento. Ma il collettivo ha anche messo a disposizione di tutti coloro che ne hanno fatto richiesta le sale dell’ultimo piano: il Teatro Gramsci, la Sala danza Assunta Pittaluga, la Sala Cinema, e le numerose aule prova, il laboratorio di costumi e il laboratorio artistico di pittura, e questo seguendo i principi della gestione del Bene Comune, così come avvenuto in altri luoghi di cultura in Italia (un esempio per tutti, il Teatro Valle di Roma). Sono oltre un centinaio le testimonianze di presenza, di solidarietà e di riconoscimento da parte di registi di cinema, compagnie di teatro, di danza, gruppi musicali, videomaker, scrittori, cantanti, artisti di tutte le discipline, nazionali ed internazionali, che in quasi dieci anni hanno contribuito al progetto dell’ExArt.
Grazie all’ExArt Teatro, lo stabile di piazzetta Dettori è stato rivitalizzato e ha messo Cagliari al centro di molte iniziative internazionali. Ma l’ExArt Teatro ha anche rivitalizzato con la cultura una parte del centro storico, crocevia di attività commerciali e turistiche della città. La nostra esperienza racconta che gli spazi di tutti possono veramente essere a disposizione di tutti. Ci auguriamo che tanti stabili abbandonati e sottoutilizzati in città possano ospitare, così come avvenuto dal 2009 nell’ex Liceo Artistico, la nostra esperienza, che tanto ha dato a noi e al pubblico in termini di crescita artistica e personale. Grazie a tutti quelli che ci hanno amato, sostenuto, appoggiato, siete stati la nostra forza! Grazie anche a quelli che ci hanno odiato, invidiato, osteggiato, deriso, strumentalizzato, criticato, perché ci avete fatto comprendere ogni giorno quanto fosse giusto il nostro progetto. Grazie agli artisti e al nostro pubblico. Vi salutiamo col nostro slogan che speriamo presto sia accostato ad uno spazio nuovo: L’Exart è di tutti!
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ipensare il concetto stesso dell’abitare, reintegrando i tre spazi del vivere quotidiano dell’uomo, che l’Illuminismo e la Rivoluzione Industriale hanno scisso: il luogo dove si abita, quello dove si lavora e quello dove si svolge il tempo libero. Unire le tre funzioni, in una sorta di Nuovo Umanesimo”. Massimiliano Fuksas ha fama di essere un architetto visionario e, guardando alle sue opere sparse in tutto il mondo, certamente lo è. Ma l’estro, a ben guardare, è sempre andato di pari passo con la concretezza dell’esigenze che le persone hanno di fruire delle sue “invenzioni”. Per questo, probabilmente, nella rivoluzione portata dal Coronavirus nel ripensamento del concetto di spazio e nella nuova centralità dello stesso, ha maturato un’idea che è insieme filosofica e pratica. “Sto in campagna da tre mesi”, ci racconta l’Architetto. “Eravamo venuti a festeggiare il compleanno di Doriana (sua moglie e architetto con la quale elabora e firma la maggior parte dei progetti, ndr) e siamo rimasti felicemente bloccati, da un certo punto di vista”. “Perché, ci spiega “purtroppo il dramma era talmente eviden-
te che il piacere di essere all’aria aperta e liberi era mitigato da tutto quello che ci succedeva intorno. Quello che abbiamo visto ci ha spinto poi ad incontrare virtualmente degli amici e costruire il primo gruppo, che poi si è ampliato, da cui sono nate una serie di riflessioni”. Per chi non lo sapesse Massimiliano Fuksas è un lavoratore infaticabile. L’otium, se non quello della riflessione, non è nelle sue corde. Per questo anche dalla sua casa sulle colline senesi ha continuato a pensare a come “rendere le abitazioni un luogo dove si può vivere veramente”. Architetto, il Coronavirus ci ha fatto capire, semmai ce ne fosse bisogno, l’importanza dello spazio, la necessità di un luogo dove poter vivere, ma all’occorrenza, lavorare e anche trascorrere il proprio tempo libero. Se noi pensiamo all’evoluzione dello spazio abitativo, questo nei secoli è molto cambiato. Siamo passati da una società dove si viveva in spazi molto ristretti, a volte in decine di persone, in particolare nei luoghi extra urbani, in campagna dove si viveva in un’unica stanza in molti, con servizi non appropriati.
Foto GIANMARCO CHIEREGATO/COURTESY OF FUKSAS
MASSIMILIANO FUKSAS
La svolta più grande è arrivata fra le due guerre, con i nuovi quartieri operai, ma anche con i quartieri piccolo-borghesi: la casa ha cominciato a diventare un organismo più complesso e la situazione è migliorata di molto. Ovviamente si riducono le persone che abitano una casa però aumentano le esigenze che uno ha: questo non deve colpevolizzare nessuno, ma pone l’obbligo di un ripensamento dello spazio abitativo che comprenda un piano governativo. Perché la casa non deve essere fatta solo dai privati, ma anche dal Governo”. Che intende dire? Deve essere fatto un piano dell’edilizia sociale che permetta di avere anche un piano abitativo che sia luogo di incontro in condominio per tutti gli abitanti. Un luogo fisico dove ci si possa incontrare per lavorare, per trascorrere il tempo, per fare smart-learning, dove si possono aiutare gli anziani ad imparare i rudimenti della tecnologia. Questo porterebbe una sostituzione dei luoghi pubblici deputati alle varie funzioni? Penso alle piazze, ai luoghi di lavori, ai parchi... Chiaro che non si può rinunciare all’aspetto pubblico per ave-
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“Serve un nuovo Umanesimo. Torniamo nei paesini e lavoriamo da casa” “Ripensare il concetto stesso dell’abitare, reintegrando i tre spazi del vivere quotidiano dell’uomo: il luogo dove si abita, quello dove si lavora e quello dove si svolge il tempo libero” By Linda Varlese
re solo quello privato. Ma credo che l’aspetto privato debba essere di per sé pubblico e l’aspetto pubblico, cioè la piazza, le grandi aree verdi e del tempo libero devono essere anche private in un certo senso, reintegrando il senso di pubblico e privato. Ognuno di noi si deve riappropriare oltre che della propria abitazione, del proprio vivere la casa, anche degli spazi pubblici. Abbiamo visto molte persone, quando è stato possibile, abbandonare la città (tradizionalmente luogo di lavoro) per poter tornare nella casa di origine, molto spesso dislocata in paesini vicini o nella campagna. Questo cosa ci dice? Ho visto da subito ci fosse questa tendenza. Il coronavirus ci ha fatto scoprire il valore del vivere in piccoli centri. Questo anche in virtù del fatto che l’Italia sta cominciando a digitalizzarsi, anche se siamo uno degli ultimi paesi in Europa dal punto di vista dello sviluppo informatico. Solo 1 bambino su 6 ha il computer. Dobbiamo pensare a cablare grandi aree, ad avere un sistema avanzato dal punto di vista digitale. E allora si può anche pensare di andare a rioccupare aree che sono straordinarie, dove magari vivremmo meglio. 1 su 3 potrebbe lavorare in casa. Ripopolare i paesi dove è più facile vivere perché c’è un senso di comunità più forte rispetto alla città. Con tutte le difficoltà economiche che ci possono essere, la provincia ha una capacità di soluzione superiore a quella della città, dove ogni problema diventa un macigno, ogni aspetto burocratico diventa insolubile”. Una vera e propria rivoluzione... Non sono Pol Pot che vuole riportare la gente in campagna, ma se si analizza come vivono molte persone in città e come potrebbero vivere da un’altra parte avendo la possibilità di fare smart working, mi rendo conto che sarebbe meglio. Ammesso che si faccia un enorme investimento sul piano della formazione e della ricerca: la gente deve avere più capacità anche dal punto di vista informatico. E poi bisogna ripensare gli ospedali,a partire dal ricircolo dell’aria. Ci spieghi meglio Nella lettera che abbiamo inviato a Mattarella, fra le varie proposte, (segue pagina 16)
CLAUDIO DEMURTAS
Foto lorenzo
(segue dalla pagina 15) c’era anche il ripensamento dei sistemi di aria condizionata, da sempre responsabili di veicolare virus e batteri. In Giappone e Corea stanno facendo passi in tal senso, in piccola parte anche negli Stati Uniti e in Germania. Dobbiamo cominciare a pensarci anche in Italia. Siamo indietro? Dal punto di vista tecnologico e dell’innovazione siamo uno degli ultimi Paesi in Europa. Abbiamo molte eccellenze che se non vengono messe in una rete non hanno forma e forza per esprimersi e quasi sempre emigrano. Non c’è né tradizione né innovazione, abbiamo perso i criteri. Il Ministero dell’Innovazione c’è, ma è sconosciuto, non ne ho mai avvertita la presenza. Il coronavirus pare averci catapultato nel futuro, ma non eravamo preparati. Esattamente. Abbiamo vissuto l’anno 2000 con vent’anni di ritardo. Eravamo convinti che nel 2000 ci sarebbe stata l’innovazione e la rivoluzione tecnologica, ma non c’è stata. E a tutt’oggi non eravamo preparati ad accogliere questi grandi cambiamenti. Siamo stati travolti da un senso di smarrimento. Come possiamo recuperare? Cominciando a fare passi sul piano della ricerca e dell’innovazione. In questa direzione va la lettera che abbiamo inviato al Presidente della Repubblica che contiene molti spunti in tal senso (compresa l’idea di un “non ospedale”, un sistema di sanità che parte dalla propria casa, ndr). Ma non solo. Insieme a Zingaretti e l’assessore D’Alessio stiamo già lavorando a un progetto innovativo per l’ampliamento dello Spallanzani. Nel team anche esperti che si occupano di Intelligenza Artificiale e ricerca avanzata in Discipline Mediche e Tecnologiche. Sarebbe il suo secondo lavoro a Roma, dopo la Nuvola... Il mio secondo lavoro o il terzo a Roma, si è vero. Lo faccio con piacere anche perché sono particolarmente legato allo Spallanzani. Mi ricorda mio padre: era un medico ed è stato accolto a lavorare lì quando non poteva lavorare perché straniero (era lituano, ndr) e mia madre aveva perso la cittadinanza perché aveva sposato uno straniero, retaggio delle leggi fasciste. Massimiliano Fuksas https://www.huffingtonpost.it/ entry/fuksas-serve-un-nuovo-umanesimo-torniamo-nei-paesini-e-lavoriamo-da-casa_it
Il cammino dell’anima
Claudio Demurtas LFA Publisher 2020 Venduto e spedito da IBS https://www.ibs.it/libri vedi il video https://www.facebook.com/ effettoserratalkshow/ videos/342246726639751/
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mbientato nel 1985, il romanzo è la seconda opera narrativa di Claudio Demurtas. Il protagonista principale è un prete dalla vocazione traballante per una angoscia esistenziale di cui non riesce a trovare il bandolo, complice la scoperta improvvisa della sessualità incarnata in Manuela. Lei è una ragazza molto bella e molto colta, però schiava della droga che si procura prostituendosi. Don Emilio di lei perdutamente s’innamora, ma la loro storia si avvierà a una tragica conclusione, rendendo insopportabile il dolore della sua anima, che proverà a lenire lasciando la sagrestia e cercando altri mondi e altri spazi in America latina. Infatti incontrerà la miseria delle favelas, l’ingiustizia terribile perpetrata dal potere costituito contro le masse dei campesinos e la loro lotta di liberazione, cui parteciperà quasi inconsapevolmente, trascinato dall’afflato cristiano verso gli oppressi e gli ultimi e da rivoluzionario pericoloso sarà trattato dal regime che lo sottoporrà a prove durissime. È in questo contesto che la sua vocazione metterà salde radici rivoluzionando la sua vita.
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laudio Demurtas è nato a Mores, un paesino della provincia di Sassari dove il padre, ufficiale dell’esercito, prestava servizio durante la guerra. Trascorse i primi anni del dopoguerra tra Ilbono nell’Ogliastra presso i nonni paterni, Palermo dove vivevano i nonni materni e Carbonia, la città mineraria del Sulcis fondata durante il Fascismo, dove il padre era stato trasferito per lavoro. Venne quindi a contatto con persone, lingua, ambienti non solo diversi, ma talvolta incapaci di comunicare tra loro, come quello agropastorale dell’Ogliastra, quello della grande città come Palermo e quello dell’industria mineraria, allora fiorente. Queste culture così lontane e portatrici di diversi valori sono state fondamentali nella sua formazione e nella sua attività di scrittore; infatti, la mancanza di un’identità legata a un territorio storicamente definito ha suscitato in lui un’angoscia esistenziale che è stata la molla principale per la scrittura e nello stesso tempo gli ha permesso di superare i limiti imposti dall’ambiente mettendo ali all’immaginario.
Trasferitosi a Cagliari, conseguì la maturità classica e a 18 anni si iscrisse all’Università scegliendo la facoltà di giurisprudenza più per tradizione di famiglia che per vera attitudine agli studi giuridici. Dopo la laurea, conseguita nel 1967, pensò all’inizio di intraprendere la carriera universitaria e quindi accettò l’incarico di assistente volontario del professore di Istituzioni di Diritto Romano che aveva apprezzato la sua tesi sperimentale sull’Istituto del matrimonio in Sardegna nel periodo medioevale. Nel ‘68 la scuola era in fermento e gli insegnanti giovani erano pieni d’entusiasmo e affascinati dall’idea di cambiare il mondo insieme ai ragazzi. Insegnò Diritto ed Economia Politica nel triennio dell’ Istituto tecnico per ragionieri, per più di 40 anni senza rimpianti e ripensamenti, avendo sempre come modello la scuola di Barbiana di don Milani. Iniziò giovanissimo a scrivere poesie e testi per canzoni, ma si avvicinò al romanzo quasi per caso, intorno ai trentacinque anni e da allora non smise più, perché aveva scoperto la sua vera vocazione letteraria. https://www.isussurridellemuse.it/ chiaro-di-venere-di-claudio-demurtas/