S'Arti Nostra mensile

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EDINA ALTARA ALBINO MANCA GIOVANNI NONNIS JOSEPHINE SASSU DIO ODIA LE DONNE PIETRINA ATZORI ROSARIA STRAFFALACI BARBARA PICCI LAURA BINDI

Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Maggio 2020


S’Arti Nostra

Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di

Demetra Puddu

Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com

Vittorio E. Pisu Redattore Capo

Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari nche la gastronomia vittorio.e.pisu@email.it é un’Arte e tra tutti i http://www.facebook.com/ luoghi che eccelgono sardonia italia in questa pratica non https://vimeo.com/groups/ possiamo, sopratutto sardonia in questi giorni tristi di confihttps://vimeo.com/chan- namento e di pandemia, pasnels/cagliarijetaime sare sotto silenzio l’iniziativa

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SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima

Supplemento al numero del Maggio 2020 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA

Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com&unisvers Commission Paritaire

ISSN en cours Diffusion digitale

del ristorante L’Imperfetto, situato nella via dei Genovesi, in un antico palazzo del quartiere di Castello di Cagliari, dove dispensa la sua cucina barbaricina per il nostro più grande piacere. Certo non potranno consegnarvi i loro succulenti manicaretti se non siete in zona, ma avrete la soluzione, alla fine di questa clausura forzata, di precipitarvi (telefonando prima perchè, anche se il locale é abbastanza vasto, “les places sont chères” come si dice in Francia, ed i posti sono tutti prenotati per tempo) per degustare i numerosi piatti di cui il menù da asporto che pubblichiamo qui vi dà una prima idea.Allora non esitate, parola di buongustaio. V. E. Pisu L’Imperfetto di Romilda Filigheddu Via dei Genovesi 111 09124 Cagliari Telefono +39 070 461 9909 https://www.facebook.com/ imperfettoristorante/

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uesta clausura forzata sarà certamente stata uno dei momenti di cui ci si ricorderà, almeno spero, per molto tempo, sopratutto quando avranno luogo le prossime elezioni sia comunali, che regionali e quelle per eleggere il Parlamento, in modo da evitare sistematicamente di rinnovare il mandato a tutti i personaggi che hanno rivelato, anche se per certi si sapeva già, la loro fondamentale inutilità unita ad un’incompetenza ed un’incapacità decisionale particolarmente criminali. Nel frattempo ci siamo resi conto che i cinghiali venivano a passeggiare in Piazza Italia a Sassari ed i delfini a nuotare nelle acque del Porto di Cagliari, forse perchè avevano immaginato che avevamo deciso di lasciargli lo spazio che gli appartiene e spero che siamo noi ad averlo capito. Per il resto la compilazione di questo supplemento, come del mensile Sardonia, senza parlare del supplemento e della pubblicazione regolare di Palazzi A Venezia, mi permettono di fare delle scoperte molto piacevoli e sopratutto di misurare quante iniziative di cui non ero al corrente hanno luogo nel campo culturale ed artistico. Ringrazio particolarmente tutti gli artisti che ho incontrato in questi ultimi due anni in cui sono stato assiduo in Sardegna e che mi hanno permesso di riscoprire un patrimonio artistico che ignoravo anche perché particolarmente celato e non messo in valore come dovrebbe. Avrete notato il titolo “S’Arti Nostra” che è quello della trasmissione regolare che conto mandare in onda appena sarà possibile ritrovare una circolazione normale, e che vi presenterà degli artisti che operano in Sardegna avendo anche una visione più larga e più internazionale seguendo gli eventi importanti dell’Arte Contemporanea. Ripercorrendo alcuni filmati che propongo giornalmente sulla pagina Facebook de “Il cinema di Sardonia” ho avuto voglia di invitare una giovanissima artista che avevo intervistato all’occasione di Paratissima Cagliari e che sicuramente non deluderà il nostro interesse per le sue già interessanti espressioni sia pittoriche che filmiche. Per di più il ristorante L’Imperfetto vi consegna a domicilio i suoi deliziosi manicaretti, che cosa chiedere di più ? Buona lettura. Vittorio E. Pisu


Piccola storia dei pupazzi sardi: da Edina Altara a Eugenio Tavolara via Tosino Anfossi

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Foto wikipedia

EDINA ALTARA E

dina Altara (Sassari, 9 luglio 1898 - Lanusei, 11 aprile 1983) è illustratrice, decoratrice, pittrice e ceramista italiana. Fin dall’infanzia, Edina Altara ha mostrato una notevole inclinazione per il disegno, i colori e l’uso della carta. In giovanissima età ha iniziato la sua carriera artistica come autodidatta. A diciotto anni, nel 1917, alla mostra della Società degli Amici dell’Arte di Torino, ebbe l’onore di vedere il suo collage “Nella terra degli intrepidi sardi” (detto anche “Gesus, salvadelu!”) acquisito dal re Vittorio Emanuele III. Artisti come lo scultore Leonardo Bistolfi le hanno inviato lettere di elogio e la sua opera è stata citata da importanti critici tra cui Ugo Ojetti, Raffaello Giolli, Margherita Sarfatti, Corrado Ricci e Luigi Bartolini. Dopo il matrimonio con Vittorio Accornero de Testa, illustratore conosciuto con lo pseudonimo di Victor Max Ninon, Edina Altara ha lavorato con lui come illustratrice decorativa. Le opere che hanno prodotto insieme sono firmate Edina e Ninon.

Negli anni Trenta si dedica alla ceramica, alla moda e alla decorazione. Artista poliedrica, abile disegnatrice, illustratrice sensibile e fantasiosa, stilista di moda, ha aperto nella sua casa milanese un laboratorio in grado di attirare una clientela raffinata. Fu anche in questo periodo che si realizzò la separazione della coppia Altara-Accornero. Dal 1941 al 1943, Edina Altara ha collaborato con la rivista Grazia, producendo figurine di moda. Nel 1942 inizia a collaborare con la rivista femminile Bellezza, diretta da Gio Ponti, e dal 1946 diventa collaboratrice, decorando, tra l’altro, molti mobili del designer italiano. Tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, la stretta collaborazione con Ponti è stata fonte di ispirazione per la sua creatività, che si muoveva tra progetti di decorazione e design pubblicati su rinomate riviste come Stile e Domus. Durante la collaborazione con Gio Ponti, Edina Altara ha avuto l’opportunità di lavorare alla decorazione di spazi e arredi per cinque transatlantici: Conte Grande, Conte Biancamano, Andrea Doria, Oceania e Africa.

Nel corso della sua lunga carriera di artista, Edina Altara ha illustrato una trentina di libri per bambini e ha collaborato con numerosi periodici e riviste, disegnando illustrazioni per la moda, racconti e pubblicità, tra cui “La Sorgente”, “A Penombra”, “Rivista Sarda”, “Il Giornalino della Domenica”, “Cuor d’oro”, “La Donna”, “Giornale dei Balilla”, “Noi e il mondo”, “Lidel”, “Fantasie d’Italia”, “Scena illustrata”, “Per voi Signora”, “Bellezza”, “Rakam”, “Grazia”, “La Lettura”, “Fili Moda”, “Sovrana”, “La Fiaccola”, “Il Secolo XX”. Dalle straordinarie bambole di Edina Altara, ritrovate di recente, una mostra e un laboratorio nello spazio culturale del Lazzaretto di Sant’Elia a Cagliari, organizzati da Rossella Piras e Marco Nateri. Autori diversi e Wikipedia Potete consultare il video del servizio del Tg3 Regione andato in onda nell’edizione delle 19,30 di giovedì 16 giugno 2016 a partire da questo link w w w. f a c e b o o k . c o m / w a tch/?v=1225719827440641 e da quest’altro w w w. f a c e b o o k . c o m / w a tch/?v=1218070301538927.

ell’anno 1916, durante la guerra iniziata il 24 maggio 1915, fu organizzata a Sassari la prima Mostra d’arte sarda del nostro secolo, a beneficio della cosiddetta Mobilitazione Civile. Era un avvenimento nuovo, emozionante per tutti noi giovani, una occasione per l’improvviso gruppo di artisti che cominciava a far rumore in Sassari, con Giuseppe Biasi in testa, a Nuoro con Francesco Ciusa e Antonio Ballero. Fu quello veramente l’inizio del movimento artistico che in Sardegna esprimeva, per la prima volta nella storia, l’anima locale. Di quell’avvenimento si possono leggere nella pagina sarda del Giornale d’Italia a firma di Michele Saba, e sulla stampa locale larghe notazioni. Si videro arrivare da Bosa tre fratelli, Federico, Melkiorre e Pino Melis, per i quali, come per tutti i giovanissimi, si aprivano le porte della gloria. Trionfò Peppino Biasi, condizionando l’orientamento estetico di quasi tutta la pittura sarda, che vide nella Barbàgia e nei suoi costumi un popolo ed una terra da scoprire. Ma fece molta impressione la comparsa di una giovanetta, Edina Altara, che presentava una serie di gustosi quadretti costruiti con pezzi di carta colorati. Pompeo Calvia n’era incantato, tanto che per una di quelle scenette compose una quartina: una mamma in costume teneva fra le braccia un figlioletto che strillava maledettamente alla vista del catino d’acqua in cui prevedeva di fare il bagno: Su pizzinnu a su babbu est simizzante. Non cheret abba mancu a meichina. — Cherides di non fetta s’arrogante? Comà, ponidechelu in sa mesina. La scenetta era una visione barbaricina, e Pompeo Calvia colse l’occasione per pizzicare i nuoresi che, non sapendo altro che fare, a quei tempi, bevevano più del necessario. Ma ora, forse, non «bevono» se non il necessario. Dietro il successo di Edina Altara, si diceva, c’era la simpatia di Biasi, che sapeva consigliare ai giovani, senza illuderli la via dell’arte. (segue alla pagina 4)

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Foto edinaaltarablogspot

(segue dalla pagina 3) Ed Edina, la bella Edina, non si sottrasse ai consigli della prepotente personalità di Peppino, il fondatore dell’arte sarda, e che aveva fatto infuriare Antonio Ballero quando gli disse: Ma non potresti prima imparare un po’ di disegno? Altra polemica furibonda nacque fra Pompeo Calvia, che aveva esposto alcuni suoi quadretti, e Salvator Ruju. Mi pare che quest’ultimo lo scrisse anche (a me lo disse) che il poeta dei sassaresi «non doveva esporsi come pittore: a lui bastano i versi». E Pompeo Calvia si sfogava con me contro questa malignità del letterato, dicendo che come letterato lo rispettava, ma che di pittura non ne capiva nulla. Ai margini della Mostra Sassari si divertiva, come sempre, per questi piacevoli incidenti. Non ricordo, perché nella memoria vi si sovrappongono le Mostre successive, quali altri artisti giunsero in quella occasione alla ribalta. Certo fece impressione la statua dello Strillone di Antonio Usai, una bella scultura che rappresentava un «pizzinnu pizzoni» che si era addormentato avendo per letto un paracarro, mentre dalle mani gli era sfuggito il pacco della Nuova Sardegna (il titolo si leggeva su una testata). Questa premessa era necessaria per dire che Edina Altara seppe rimanere nella sua gloria di arte fanciulla per i fanciulli. Così la scoprì Giuseppe Fanciulli, direttore successo a Vamba nella direzione del Giornalino della Domenica. La scoprì nella sua prima visita del 1921 a Sassari, alla Barbàgia, durante la quale gli fui compagno. Come altre volte è stato ricordato sulle pagine di Frontiera sul Giornalino comparve una serie di articoli dal titolo «In terra Sarda». Il Giornalino di Vamba aveva buoni motivi per ricordare Sassari perché da Sassari era arrivato a Vamba uno sconosciuto pretendente al Concorso Nazionale per una copertina al suo settimanale. Biasi vinse fra tanti bravi artisti italiani già noti. Da allora nel Giornalino comparvero una serie di copertine a colori, originalissime di Giuseppe Biasi quasi tutte di ambiente sardo. Queste lo resero popolare fra i grilli (così si appellavano gli abbonati che festeggiavano unitariamente, dalla Lombar-

vedi anche https://www,facebook.com/ watch/?v=1218070301538927

dia alla Sardegna alla Sicilia, la loro ricorrenza nazionale, in concomitanza con la fiorentina «Festa del Grillo»). Ora nello stesso numero in cui Fanciulli iniziò la serie delle sue impressioni del viaggio in Sardegna, e che fu per lui una scoperta, (A. IX, n. 17, 16 ottobre 1921, pag. 20) il Giornalino pubblica un articolo intitolato «Tra i Balocchi: Edina Altara». Vi si legge: queste figurine che ammirate (sono di una vostra amica, una fanciulla sarda) sono fatte con la carta: sì, carte di vari colori, incollate abilmente, ma semplicemente. Rappresentano scene di gioco, e scene familiari, e gente che va per la sua strada, e bambine e alberi, e animali». Era successo che Edina Altara era passata dalle figurine incollate sulla carta, alla scultura di carta. Basta vedere le illustrazioni che riportiamo dal Giornalino perché il lettore si renda conto di che cosa si tratta: dei pupazzi venuti dopo e che andarono in giro con il nome di Tosino Anfossi. Ma l’articolo, firmato Gingil-

lino (in realtà era uno degli pseudonimi del Fanciulli), non si contenta della presentazione ma dà anche dei consigli, proseguendo, alla abile fanciulla sarda: «Se le figurine di Edina Altara sono troppo fragili e delicate, così fatte di carta, perché non si potrebbero fare in legno? Semplice legno dipinto, sì ma dipinto con grazia e con intelligenza gioiosa ... e se ne potrà fare un numero infinito, un po’ copiando dal vero, e un po’ inventando», così come fa Edina Altara col pensiero rivolto ai bambini. Quest’idea di passare dalla carta al legno fu colta da Tosino Anfossi, anch’egli grillo e lettore del Giornalino. Nacquero così nella mente del grillo Anfossi l’idea di fare la bambola sarda, la regina della casa, con tutti i suoi sudditi. Si mise al lavoro, che però richiedeva una vera officina da artigiano, che potesse tradurre in opera e vestisse i suoi pupazzi che veniva disegnando con fervida fantasia. Associò alla sua attività Eugenio Tavolara. Ma io vidi per la prima volta

i pupazzi di Tavolara uscire dalle mani dell’amico Tosino. Povero Tosino, morto tanto giovane mentre gli arrideva un irrequieto avvenire d’artista. Si mostrava sempre imbronciato e frettoloso, e così lo conobbi in Sassari in cerca di quel che capiva non essere i pupazzi sardi di legno il suo punto d’arrivo ma, forse, un intervallo artigianale, che poteva aprirgli vie più ambiziose. Eugenio Tavolara ereditò l’invenzione, e fece, a quella invenzione molto onore, che tutti, in Italia e all’Estero, apprezzarono come prova della nascente fantasia ed industriosità dei nuovi sardi. Ed Edina e Tosino, così, furono dimenticati. Remo Branca Questo bell’articolo di Remo Branca é stato pubblicato in un numero della rivista “Frontiera” del 1972. Remo Branca racconta la vera storia della nascita dei pupazzi di Eugenio Tavolara, con una serie di interessanti aneddoti della vita artistica sassarese degli Anni 10. https://edinaaltara.blogspot.com/


ALBINO MANCA

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lbino Manca (Tertenia, 31 dicembre 1897 – New York, 15 gennaio 1976) è stato uno scultore italiano. Sin da piccolo mostrò interesse per l’arte e dopo il servizio militare si trasferì a Roma dove si diplomò all’Accademia di Belle Arti, sotto la guida di Pietro Canonica. Iniziò quindi a farsi conoscere nell’ambiente della nobiltà romana e riuscì presto a farsi apprezzare tanto da divenire un artista apprezzato dal regime fascista. A quel periodo risalgono alcuni ritratti di Benito Mussolini (per la maggior parte dispersi dopo la caduta del fascismo) e di alcuni membri di Casa Savoia. Anche le sculture del Palazzo della Legione dei Carabinieri di Cagliari (1932) risalgono a quel periodo in cui operò anche nella costruzione del Vittoriano. Negli Stati Uniti iniziò a conoscere il mondo artistico d’oltre oceano e cominciò a lavorare in diversi settori, spesso di secondo piano.

Si specializzò nella rappresentazione del mondo naturalistico e degli animali in particolare. Impegnato nella sua produzione scultorea, non ebbe modo di dedicare molto tempo alla pittura ma decise comunque di partecipare alla II Quadriennale di Roma del 1935 con il dipinto “Fanciulla dormiente”. Ma soltanto nel 1963 realizzerà la sua opera più importante, vincendo un concorso pubblico per la realizzazione del monumento ai caduti del mare nel corso della seconda guerra mondiale; The Diving Eagle venne posta nei giardini di Battery Park a Manhattan. Si tratta di un’aquila stilizzata che artiglia una corona d’alloro. Altra sua opera importante è il “Gate of Life”, una grande cancellata sita al Children’s Queens Zoo (1968), costellata di animali in bronzo. Nel 1965, in occasione della visita del papa Paolo VI alle Nazioni Unite, gli venne commissionata la medaglia commemorativa dell’evento. wikipedia

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proposito della mostra realizzata al Vittoriano di Roma nel 2016 dal titolo “L’officina di uno scultore”: La mostra, curata da Giuliana Altea e Caterina Virdis., è la prima dedicata allo scultore Albino Manca (Tertenia 1898New York 1976). Per ricostruirne il percorso, le due curatrici hanno riunito circa cento opere tra sculture, objets d’art, dipinti, stampe, medaglie e disegn. Formatosi a Roma nel cantiere del Vittoriano e quindi all’Istituto di Belle Arti, sotto la guida di Ettore Ferrari, Angelo Zanelli e Pietro Canonica, Manca si segnala dapprima per una interessante serie di ritratti, commissionatigli da esponenti dell’aristocrazia e del bel mondo internazionale che frequenta la Capitale. Accanto a questo filone di attività, caratterizzata dal gusto novecentista per una limpida sintesi dei volumi, spiccano varie opere di intonazione propagandistica e celebrativa, ispirate alle parole d’ordine e alle mitologie del fascismo: dai numerosi ritratti di Musso-

vedi anche https://web.archive.org/ web/20131215191312/ http://c6-prd.xuniplay.fdnames.com/media/albino_ manca.flv

lini (quasi tutti perduti a causa della damnatio memoriae seguita alla caduta del regime) alle sculture per il Palazzo della Legione dei Carabinieri di Cagliari (1932). Produzione, questa, interessante per la puntualità con cui riflette i mutamenti del clima politico, dall’intonazione quasi religiosa del fascismo degli inizi alla compassata stabilità del fascismo divenuto regime. Dopo un primo soggiorno a New York (1930-32), dove si era recato su invito di Giuseppe Gatti Casazza, potente manager del Metropolitan Opera House, Manca - influenzato dall’esempio dello scultore americano Paul Manship - comincia a dedicarsi alla piccola scultura decorativa, prevalentemente di soggetto animalier. Nasce così una ricca produzione di figurine in bronzo, argento e oro di animali esotici o domestici: cani, gru, gazzelle, scimmie, tigri, ghepardi, ecc., in cui il naturalismo della resa è controbilanciato da una tendenza déco alla stilizzazione. Alcuni di questi soggetti vengono trattati in scala maggiore, come l’arcaizzante Pantera ispirata al bronzo antico della Chimera di Arezzo, o vengono tradotti nelle grandi dimensioni, come “Gru coronata” e “Gazzella e fico d’India”; quest’ultimo, impreziosito da lumeggiature d’oro e dall’uso di patine di diverso colore (bruna per l’animale, verde per la pianta), rappresenta uno degli esiti più felici di Manca; un esemplare ne verrà più tardi collocato nel Brookgreen Garden di Georgetown, South Carolina, il primo museo di scultura all’aperto degli Stati Uniti. La realizzazione delle sculture di animali assorbe quasi totalmente l’artista, che compie solo saltuarie apparizioni sulla scena espositiva, culminate nella partecipazione alla II Quadriennale del 1935 con il nudo Fanciulla dormiente. Fin dall’inizio, Manca destinava la sua produzione decorativa a una mostra personale da tenere in America, dove si riprometteva di fare ritorno. Il secondo periodo americano vede lo scultore presente in manifestazioni importanti come la New York World’s Fair (1939-40) e la mostra dell’Italian Line al Rockefeller Center (1940). A dispetto di questa partenza promettente, lo scultore attraversa momenti di incerta fortuna, durante i quali si dedica alla produzione di gioielli e objets d’art (segue alla pagina 6)

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(segue dalla pagina 5) in argento, vicini al gusto dell’argentiere italo-americano Alphonse La Paglia, con il quale Manca dovette collaborare. Realizza inoltre, per una committenza privata, una serie di ritratti e figure (come la “Venere americana” del 1942) ispirati al gusto della middle class statunitense. Nel contempo dà inizio a un’imponente produzione di medaglie (delle quali la mostra presenta una bella selezione), alcune delle quali premiate in concorsi nazionali: un’attività parallela, importante quanto quella della scultura modellata, che continuerà per tutta la sua carriera. Accettato all’interno di importanti associazioni di artisti, e continuativamente presente nei concorsi nazionali , Manca si era incamminato su una strada che lo avrebbe condotto gradualmente a divenire da “Italian artist” o “Sardinian” ad “American sculptor”. Già nel 1942 aveva ricevuto la prima committenza pubblica per la decorazione di un Ufficio postale di Lyons in Georgia ed era entrato in contatto con lo staff della Sezione di Pittura e Scultura del Treasury Department, strettamente dipendente da Roosevelt. Al presidente dedicherà alcuni ritratti, ora in mostra, che testimoniano il suo coinvolgimento nel clima politico americana del momento. A questi interessi fa capo anche la serie di rilievi intitolati “La grande contesa”, bizzarre allegorie della lotta tra i partiti democratico e repubblicano. E’del 1963 la sua più importante commissione ufficiale, The Diving Eagle, monumento ai caduti in mare eretto nel Battery Park a Manhattan: documentato in mostra da diversi lavori preparatori in bronzo e in gesso, è una stilizzata aquila che afferra una corona d’alloro, dalle geometrizzanti cadenze déco. Suggestivo è anche il “Gate of Life,” l’imponente cancellata del Children’s Queens Zoo (1968), fantasioso arabesco in bronzo in cui Manca rimette in scena, con sorridenti accenti quasi disneyani, il suo repertorio animalier, e del quale si espone il grande disegno preparatorio. Dopo la morte, le sue spoglie, per sua volontà, tornarono al paese natio, al quale volle fare dono di alcune sue opere ora esposte nel Museo Albino Manca di Tertenia. https://web.archive.org/web

GIOVANNI NONNIS N

ato a Nuoro il 22 maggio 1929 frequenta l’istituto d’arte a Sassari dove nel 1951 si diploma, dal 1968 insegna al liceo artistico di Cagliari, nel 1975 muore prematuramente in un incidente stradale. La sua prima produzione artistica risente dell’influsso di Giuseppe Biasi e Pietro Antonio Manca. Negli anni Cinquanta inizia un percorso di sperimentazione che sviluppa una figurazione arcaizzante con riferimenti al mondo nuragico. La sua attività artistica trae linfa dalle radici millenarie della Barbagia e si fa portatrice di un mondo onirico primitivo, costituito da simboli che si riferiscono al senso dell’assoluto e vengono tradotti in una miriade di dettagli di gusto barbarico e ancestrale. Giovanni Nonnis assorbe il paesaggio roccioso del nuorese e lo somma alle forti tradizioni estetiche e culturali anticlassicistiche della Barbagia. Il tratto pittorico risulta quasi indifferente al risultato finale ma pare collegarsi all’unione tra caos e spirito del luogo, tra assoluto e visione del modo da parte dell’uomo primitivo: vento, sole, terra, pioggia e tradizione arcaica.

Il primo ciclo pittorico è caratterizzato dal tema della Crocifissione: qui, il fondo oro tipico della tradizione bizantina fa capolino tra le figure rappresentate, trasmettendo l’idea di una prospettiva che è in verità rifiutata dallo stesso artista. Noto soprattutto per i dipinti di guerrieri ispirati alla statuaria nuragica, tra la fine degli anni Cinquanta e il 1975, anno della morte del pittore, prematuramente scomparso in un incidente stradale, Nonnis ha realizzato un’ampia serie di disegni e pitture su carta raffiguranti cavalli in movimento. Rispetto ai dipinti di guerrieri, dove a essere trattati sono i temi del mito e della fiaba, i cavalli di Nonnis portano avanti una ricerca parallela, più sobria e immediata, in linea con le soluzione stilistiche elaborate nel 1959 all’interno del ciclo delle Crocifissioni. Il ciclo del guerriero si configura, così, non solo come la celebrazione della potenza naturale dell’animo umano, ma anche come un nostalgico ritorno al passato della Sardegna. È l’arcaico che trionfa sui simboli del presente: il nostro passato non tornerà, ma noi gli apparterremo per sempre. La mitizzazione di ciò che non

siamo più permette di scorgere metaforicamente tra le opere dell’artista il presente nel passato: dal pastore al gendarme, dal guerriero al militare. Giovanni Nonnis è l’artista inattuale per eccellenza: quasi sconosciuto in vita non avrebbe potuto trovare ampia fortuna in un mondo così spiccatamente orientato al futuro. Ma, paradossalmente, è proprio la sua inattualità che lo rende terribilmente moderno: uno sguardo profondo al passato, una critica nascosta al futuro. Forte è anche il legame con la famiglia: il grande guerriero attorniato dai combattenti più piccoli simboleggia l’uomo e il rapporto con i suoi figli. In Nonnis si esprimono tutte le ragioni della vittoria della vita sulla morte. La scomparsa prematura dell’artista ha contribuito a trasportare il pittore nuorese e il suo messaggio vitale oltre il silenzio. La tensione dell’arte ha superato così l’assenza. Un’assenza che in una mostra si fa presenza, incarnando lo spirito ribelle della vita nella magica e ancestrale figura del guerriero che abita in ognuno di noi. Autori diversi e Wikipedia


chiede la partecipazione dei visitatori in un divertito gioco della memoria “.

Foto josephinesassu

JOSEPHINE SASSU L

a madre da bambina la chiamava “Mezza Faccenda”, da grande assomiglia a Penelope. Da sempre lavora con molteplici materiali e tecniche tenendo come punto fermo il senso del suo fare. Di lei ci racconta : “Sono nata nel 1970 in Germania, a Emsdetten, da mamma umbra e papà sardo che, dopo quattro anni dalla mia nascita tornarono in Italia, stabilendosi in Sardegna; ho portato con me un’ erre moscia e una grande passione, favorita dall’insularità, per le linee aeree e l’unione europea. Ho intrapreso studi artistici- sempre nell’isola, ma con il naso per aria e ora, da venti anni circa, faccio l’artista… sono passata, senza quasi accorgermene, dalle costruzioni Lego, la tv per ragazzi, Spazio 1999, Goldrake Ufo Robot, a Penelope, Pino Pascali, Italo Calvino, il movimento Gutai, Francesco Ciusa, Gina Pane e altri, senza troppe formalità e non licenziando mai nessuno in tronco. Venti anni di operato sono tanti, almeno abbastanza per individuare delle costanti: se il corpus del mio lavoro può sembrare eterogeneo, in realtà i soggetti sono quasi sempre gli stessi, animali reali o fantastici, e anche il concetto di fondo, sebbene sempre molto serioso, si distrae facilmente per mettersi a giocare …. Perché se in guerra è lecito con-

fondere il nemico, in arte mi pare doveroso mettere sempre i baffi alle proprie Gioconde. “Se nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, è inutile darsi troppe arie!” Altri ci dicono : “Esporre se stessi, ostentare il proprio corpo, farne oggetto, mezzo e fine dell’intervento artistico è, nell’ambito del Contemporaneo, oramai prassi abusata. Ci sono artisti, tuttavia, e Josephine Sassu e tra loro, che pur non esponendo direttamente il proprio corpo si mettono in gioco totalmente con un’autoanalisi profonda e viscerale, vera e sofferta e, nella fattispecie, appena mitigata da un approccio ironico e disincantato. Memore della lezione di Pino Pascali ricostruisce un universo fantastico e inquietante, abitato da organismi alieni, che attraggono e provocano repulsione allo stesso tempo, distanti eppure pericolosamente vicini. Attingendo ai linguaggi della pubblicità, mutandone il senso con alcune sottigliezze lessicali di stampo concettuale, fa di questo mondo abitato da bacilli, microbi e germi – “altro” da noi ma tanto familiare –, una minaccia incombente e pervasiva. E il fatto che, spesso, gli “alieni” siano innocui oggetti prodotti da un paziente lavoro manuale di taglio e cucito non ne inficia il loro essere metafora di morte e dissoluzione e la loro carica virulenta.

È in quegli oggetti che Josephine Sassu fa emergere dal subconscio le sue fobie e le sue idiosincrasie che altro non sono, poi, che le paure di una civiltà consumistica malata e ipertrofica. Il suo diventa, così, un continuo autoritrarsi senza mai realmente ritrarsi ma che costringe gli spettatori ad identificarsi in lei attraverso i suoi “visitors” e il suo bestiario. Quasi un bestiario medioevale, carico di allusioni sessuali in cui la dimensione istintuale dell’animale asseconda, amplifica o contraddice le annotazioni scritturali che vorrebbero ricondurre nel conscio ciò che appartiene al mondo dell’inconscio, in un continuo fluire di vizi indicibili e ambigue virtù.” Ivo Serafino Fenu All’occasione della mostra “Presunta innocenza” di Josephine Sassu, Mariolina Cosseddu, la curatrice, ne parlava in questi termini: “Nessun artista dovrebbe mai perdere lo sguardo innocente con cui guardare al mondo, quella capacità di decifrare il reale che solo l’infanzia restituisce nella sua pienezza e autenticità. E’ ciò che fa Josephine Sassu che della giocosità ha fatto cifra semantica della sua poetica. La Casa Museo di Giuseppe Manno le ha fornito il pretesto per creare una fiaba raffinata e seducente come lei sa fare. Un po’ di ironia, sprazzi di sogno e un pizzico di follia si annodano in un progetto immersivo che

Vedi anche vimeo.com/328788865 vimeo.com/341983476

Ricordiamo inoltre “In fila per due …2012” ricognizione sull’arte e la cultura contemporanea in Sardegna, a cura di Anna Rita Chiocca e Josephine Sassu. Il progetto è stato finanziato dall’ Assessorato della pubblica istruzione, della Regione Sardegna con il patrocinio del Comune di Sassari. Ma non dimentichiamo il gustosissimo “L’esercito di Pastafrolla” terzo progetto site specific nella rassegna “Arte in tavola”, curata da Anna Oggiano e Roberta Vanali. La stimolante mostra allestita in uno spazio multifunzionale dedicato alla cultura del cibo e della cucina, stavolta accoglie l’ironia con la quale Josephine Sassu affronta il mondo del food, in particolare del cake design. Interi vassoi di eleganti biscotti in pasta frolla ricoperti di glassa sono provocatoriamente dipinti con intere famiglie di insetti e una serie di raffinate ciotole e mattonelle in ceramica, anch’esse biscotto, sono destinate a contenere cibi liquidi, che consentono di vedere gli insetti in trasparenza. Una spiritosa interpretazione del cake design, quella della Sassu, preparati con l’aiuto di una donna esperta di pasticceria tradizionale sarda, decorati con glassa e illustrazioni di scarafaggi, coleotteri e scarabei, rovesciando i canoni estetici e di costume secondo i quali in Occidente gli insetti non si mangiano, tranne in rarissimi casi, come ad esempio le larve della piophila casei del formaggio (casu martzu). Così una delle curatrici, Roberta Vanali, dichiara: “Quei dolci si pongono in antitesi alla leziosità del cake design “modaiolo”. L’Esercito di Pastafrolla, citazione riferita all’esercito di terracotta cinese di cui l’artista ha sempre subito grande fascino, sono biscotti decorati con coleotteri di fantasia, soldati – insetti a fianco di mattonelle di ceramica – anch’essa biscotto – a formare due legioni pronte ad accogliere il pubblico. L’artista si misura con l’apparente semplicità della prassi dolciaria e si diverte a giocare sull’ambiguità della rappresentazione, che inequivocabilmente conferisce al manufatto un aspetto grottesco”. Josephine Sassu non smette mai di sorprenderci, da sorvegliare e seguire assolutamente. V.E.Pisu + altri

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“io, Allah, Buddha. Comunque lo si chiami, è in suo nome che gli uomini scatenano il loro odio contro le

donne. La Bibbia, la Torah o il Corano sono gli strumenti di questa aggressione, spesso utilizzati a sproposito. E quando non bastano le Sacre Scritture vengono in soccorso i santi per chi li venera, i miracoli per chi ci crede, gli hadith del Profeta (veri e falsi), i dogmi. Le religioni costituiscono l’alibi del patriarcato”. Si apre così l’interessantissimo libro di Giuliana Sgrena, dal titolo – innegabilmente forte – Dio odia le donne. Pur senza pretesa di esaustività, come la stessa autrice confessa nell’introduzione al testo, Dio odia le donne presenta ai suoi lettori una personale ricerca sulle cause del patriarcato che, nei secoli, hanno portato all’instaurazione di una società fortemente misogina, che ha finito per avvelenare la vita delle donne e a mutilarne qualsivoglia ambizione. Tale ricerca prende ad oggetto le tre religioni monoteiste che, al netto di contrapposizioni squisitamente dogmatiche, finiscono per trovare un comune denominatore nel loro modo di guardare al mondo femminile. Nel libro, vengono affrontati diversi temi inerenti alla condizione femminile: ognuno di questi viene analizzato alla luce della diversa confessione religiosa, giovandosi dell’ausilio delle fonti. Innanzitutto, l’autrice analizza l’origine della misoginia, avvalorata dal mito della creazione: Eva, la prima donna, fu creata per intrattenere Adamo, poiché nessun animale si era mostrato adatto allo scopo. Proprio in ragione della sua inferiorità rispetto all’uomo, è proprio la donna a marchiarsi del peccato originale, condannata a trascorrere l’intera esistenza nella speranza di riscattarsi. Ad onor del vero, la misoginia non è nata con le religioni monoteiste: Aristotele, il grande filosofo greco, teorizzò l’inferiorità della donna e la sua incapacità di pensiero razionale, nonostante la cultura greca e in parte anche quella latina, abbiano attraversato delle brevi parentesi di parità tra i sessi. Nonostante la stessa letteratura ci offra esempi di donne forti, come Antigone o Medea.

DIO ODIA L Ma costituiscono, tuttavia, eccezioni. La natura biologica delle donne viene utilizzata per confinarle ai margini della vita pubblica, e spesso anche di quella privata. Il ciclo mestruale, il periodo della gravidanza e quello immediatamente successivo al parto sono stati considerati, secondo i testi sacri, prova tangibile della lordura della donna. Nei testi religiosi non mancano passaggi nei quali si vieta alle donne di avvicinarsi al tempio durante il periodo mestruale, o di partecipare alle cerimonie dopo aver partorito. Agli occhi di chi vive in un mondo secolarizzato, tali precetti appaiono anacronistici, e legati ad un passato ormai superato. Così non è. In un suo rapporto del 2014, Amnesty International ha denunciato come in Nepal, ancora oggi, le donne siano costrette a vivere per diversi giorni nelle stalle con le mucche. Questa segregazione fisica delle donne in ragione del ciclo mestruale appartiene anche a culture diverse da quelle legate alle tre religioni monoteiste: sempre in Nepal, le comunità induiste prevedono che le donne, nel periodo mestruale, trascorrano il loro tempo in caverne appositamente previste per loro. Sebbene la legislazione nazionale del 2005 abbia vietato queste pratiche particolarmente pericolose per la salute delle donne costrette a subirle, si tratta di una tradizione dura da sradicare. Dal velo alla terribile piaga delle mutilazioni genitali femminili, pratica purtroppo sempre più diffusa anche nel mondo occidentale, a causa dei fenomeni migratori, ciò che è evidente è la prominente sessuofobia che sta alla base della cultura misogina che ovunque cerca di ridurre, e spesso ci riesce, le donne al silenzio. In particolare, per quanto attiene le mutilazioni genitali femminili, a far data al 2016 il primato europeo di diffusione della pratica era detenuto dall’Inghilterra: in questa classifica dell’orrore, l’Italia si collocava al secondo posto, con circa 40.000 donne infibulate. Ad oggi, nel nostro Paese, tale pratica di mortificazione del corpo costituisce reato, grazie alla legge n. 7 del 9 gennaio 2006, punto di approdo di una polemica che infiammò il dibattito pubblico per diverso tempo. Un medico somalo, nel 2004, aveva espressamente chiesto la


LE DONNE possibilità di praticare MFG (Mutilazioni Femminili Genetiche) in regime ospedaliero, ottenendo il parere positivo del Comitato Bioetico della Toscana. Tuttavia, una campagna di sensibilizzazione portata avanti da un’associazione di donne immigrate provenienti da Paesi nei quali la pratica è particolarmente diffusa, sono riuscite ad impedire che la mutilazione ospedalizzata potesse trovar spazio. Nonostante l’opposizione di quelle donne che ben conoscevano l’orrore di quegli interventi di macelleria umana, tuttavia talune antropologhe si sono schierate a favore delle MFG in regime ospedaliero, in ragione del carattere fortemente identitario dell’intervento. Un’identità basata, evidentemente, nella mutilazione permanente ed irreversibile della sessualità femminile, mai di quella maschile. Celarne l’aspetto esteriore, privarle della parola negli spazi pubblici, ridurre la loro libertà di movimento, mutilarne per sempre la vita sessuale: sono tutte pratiche, tradizioni, che continuano ad essere perpetrate seguendo l’alibi dei dogmi religiosi, spesso assurti a vere e proprie regole di diritto. Un diritto che, di diretta derivazione divina, non tutela mai le istanze femminili. È ciò che avviene, ad esempi, con la disciplina che regola il divorzio nei paesi musulmani: l’istituto sebbene non sconosciuto, è piegato alla volontà maschile. Pagando, e a caro prezzo, ad una donna è concesso di divorziare dal proprio marito, qualora questi sia d’accordo. Ma in caso di figli, è all’uomo che resta la tutela legale. Sebbene parrebbe che la legge coranica preveda una sorta di separazione consensuale tra i coniugi, l’istituto è citato laconicamente in un solo versetto e non trova esplicita disciplina. Viene dunque integrato dalle interpretazioni che di quei versetti vengono fornite. Da uomini, chiaramente. Al contrario, il ripudio è largamente teorizzato, e può essere sostenuto dalle più diverse e disparate cause. Il marchio di infamia di moglie ripudiata ha spinto diverse donne a vivere nell’indigenza o a guadagnarsi da vivere con la prostituzione.

All’uomo è concesso di ripudiare la propria moglie per i motivi più disparati, finanche la malattia: secondo le statistiche, sono diverse le donne musulmane morte a causa di tumore al seno. Evitano i controlli periodici, unico vero mezzo di prevenzione in caso di tali patologie, per timore che il marito possa utilizzare l’insorgenza della malattia come giustificazione per un ripudio. Il silenzio, tuttavia, si dimostra fatale quanto e più del marchio di infamia. Il viaggio che l’autrice ci permette di compiere attraverso l’analisi delle scritture e di come la loro interpretazione più fanatica finisca per mortificare l’identità femminile ha lo scopo di indurci a riflettere. Ed è proprio questo l’obiettivo dichiarato dalla stessa Sgrena: “Spero che questo libro possa contribuire al dibattito, in un momento in cui la crisi dei valori porta a un diffuso bisogno di spiritualismo, che vede prevalere – credo non a caso – le forze più aggressive e fondamentaliste a scapito delle più ‘moderate’ (ammesso che si possa parlare di moderazione in questo campo). Così avviene in Medio Oriente tra sunniti, sciiti ed ebrei, in Birmania con i buddhisti, in India con gli indù, in Occidente con i cristiani. E le vittime dei fondamentalismi sono principalmente le donne”. Lungi dall’attaccare o dal voler giudicare il bisogno di professare una fede religiosa, espressamente prevista quale diritto fondamentale dell’individuo dalla nostra stessa Costituzione, è necessario tuttavia tenere alta la guardia: rinunciare all’evoluzione culturale, alla secolarizzazione, inseguendo un vacuo e arcaico mito della tradizione, in diversi luoghi del mondo si tenta innalzare a caratteri identitari di un popolo strumenti di mortificazione dell’identità femminile. Come se privare della dignità umana la metà di una popolazione potesse realmente costituire la base di un patto sociale tra gli individui della medesima comunità. Non ha ragione di esistere, e non potrebbe essere altrimenti, una società che possa chirurgicamente ridurre al silenzio, e dunque eliminare, le donne. Veronica Sicari Link d’acquisto https://www.ibs.it/dio-odia-donne-ebook-giuliana-sgrena/e/9788865765203


Photo pietrina atzori

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he cosa è l’Arte ? A parte il fatto di manifestarsi attraverso delle realtà tangibili, come possono essere una tela dipinta, una scultura, una vetrata, una pagina istoriata di un libro ma naturalmente anche una composizione musicale, che da partizione scritta, si incarna attraverso la sua esecuzione sia da un solo artista che da una grande orchestra, anche una recetta di cucina magistralmente riuscita può essere un’opera d’Arte insomma le sue espressioni sono multiple, ma quello che primeggia, quello che fa che una azione, qualsiasi essa sia diventi dell’Arte dipende esclusivamente dall’intenzione di quello che la idea e che la realizza. L’anno scorso Pietrina Atzori, accompagnata dal suo fidele paladino e marito Umberto Petri, ha percorso l’Italia, partendo dalla Sardegna, recandosi prima in Sicilia per poi risalire tutta la Penisola fino alle Alpi, per poi ritornare in Sardegna ed atterrire finalmente al Municipio del Comune di Arbus. Perché Arbus ? Da diverso tempo, insieme a Laore Sardegna ed al Sardegna Ricerche e naturalmente gli allevatori della pecora nera di Arbus, Pietrina ha partecipato alla rivalutazione di una cultura ovina specifica della regione, che ultimamente ha depositato presso il Ministero dello Sviluppo Economico ed a cura del comune di Arbus, il marchio collettivo: PECORA NERA DI ARBUS. Ma vorrei piuttosto sottolineare a che punto questo periplo di più di 3700 kilometri, realizzato a bordo di uno scooter e finanziato completamente e solidarmente dai due avventurieri (ve lo immaginate tutto il viaggio attraverso l’Italia a bordo di uno scooter ?) sia effettivamente un’Opera d’Arte con le maiuscole. Si trattava in effetti di portare ad ogni Sindaco di un certo numero di cittadine, piccole e grandi, scelte in modo arbitrario, il filo della pecora nera di Arbus, in modo di attirare la loro attenzione su di una particolare produzione di lana, senza contare la specificità dell’ovino praticamente unico in Italia ed oggi promosso da un certo numero di allevatori arburesi che hanno incentivato l’allevamento e la produzione non solo della lana ma anche del latte e dei prodotti caseari corrispondenti.

PIETRINA ATZORI

https://pietrina-atzori.blogspot.com/

vedi il filmato vimeo.com/360012316

Questa azione, in apparenza così semplice, così lineare, cosi, viene voglia di dire, facile da realizzare, che diamine, basta salire sullo scooter e partire, risalendo l’Italia, senza dimenticare la Sicilia e poi ritornare in Sardegna, attraversando due volte il mare. Facile no ? In effetti l’idea è particolarmente suggestiva perchè fondamentalmente si tratta di un atto d’Amore. Un’atto di fiducia nell’umanità, un atto di fiducia nella capacità di ricevere quello che é assolutamente un dono. Un atto che, in un momento già particolarmente intristito da divisioni sociali e difficoltà finanziarie, di disoccupazione e di orizzonti bloccati vuole proporci un raggio di sole, un atto di speranza, una dimostrazione di come l’individuo può essere il protagonista non solo della propria storia ma di quella di un intera communità. Personalmente trovo questa azione di Pietrina Atzori di una dimensione che qualificherei di enorme, rispetto a tante manifestazioni, culturali e non, a pretesa artistica che si limitano spesso e volentieri

ad un narcisismo patetico che non solo lasciano il tempo che trovano, ma sopratutto non riescono ad agire sul contesto sia umano che sociale che ne é lo spettatore, lasciando spesso e volentieri l’assemblea così riunita, perplessa e sconcertata. Invece di sottolineare quelle che potrebbero essere le nostre tare, i nostri errori, le nostre manchevolezze, questo lungo viaggio del filo della pecora nera di Arbus ci vuole invece invitare ad essere fiduciosi nelle nostre capacità di affrontare le situazioni ed a trovare le soluzioni per creare in modo duraturo un ambiente migliore, una più grande solidarietà e sopratutto un imparare dal fare perchè é quando si fa qualche cosa che tutto può succedere e non restando nell’inazione sofferta e nel ripiego su noi stessi. Pietrina Atzori é un’artista che si é dedicata all’Arte Tessile, Fiber Art in inglese, e che da tempo produce delle opere di una grande intensità. Una delle altre sue produzioni particolarmente suggestiva è quella del recupero della tradizione giapponese del boro,

cioè l’utilizzo di abiti ed indumenti rammendati che si tramandano di generazione in generazione, spesso composti da più elementi tessili provenienti da diversi vestiti. Naturalmente la lana della pecora nera di Arbus é stato un elemento particolarmente presente nella sua produzione che é stata esposta in delle numerose mostre sia in Sardegna che in Italia. Mostre naturalmente dedicate all’Arte Tessile, Fiber Art, che in questi ultimi anni si sono moltiplicate accogliendo finalmente una produzione che aveva trovato in una delle grandi artiste sarde, Maria Lai per non nominarla, una delle sue più riuscite espressioni. Allora viene spontaneo il fatto di assimilare il viaggio del filo della pecora nera di Arbus all’azione “Leghiamo la Montagna” di Maria Lai con la quale riunìi gli abitanti di Ulassai alla loro montagna. Ecco che cosa é l’Arte, con delle manifestazioni di una semplicità biblica, ma di una densità estrema, ricucire, rammendare, rattopare, riunire gli strappi della società e restituirci un’unità. Vittorio E. Pisu


Foto Rosaria Straffalaci

ROSARIA STRAFFALACI

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osaria Straffalaci è nata a Villa San Giovanni nel 1974. Senza alcun dubbio si tratta di una lontana cugina dei modelli che hanno inspirato i famosi “Bronzi di Riace” di cui ci propone dal vivo la versione femminile in tutta la sua splendida bellezza. Frequenta nella vicina Reggio Calabria il Liceo Artistico statale Mattia Preti, dopo la maturità conclude il suo percorso di studi alla Scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti Reggina. I primi approcci col colore e la pittura ad olio avvengono in tenera età. Rosaria porta avanti la sua ricerca tra lirismo cromatico e superfici materiche, per la sua arte, da circa venticinque anni, si avvale dell’utilizzo di materiali di recupero quali supporti per le sue opera. Guardando ai grandi del passato, spazia dall’espressionismo astratto all’arte concettuale. Tante le esposizioni ed i riconoscimenti in Italia e all’estero. Partecipa attivamente al Festival Sant’Arte a San Sperate.

La manifestazione si presenta in questi termini: L’arte è linguaggio, favorisce lo sviluppo di un pensiero critico, lo scambio tra le persone, rende consapevoli e liberi da confini geografici e mentali. La comunicazione è il valore essenziale di qualsiasi rapporto sociale e riguarda tutti i campi della creatività. “Sant’Arte qui da noi la celebriamo ogni giorno, senza un motivo o una data precisa; il sentimento del bello è diventato coscienza comune, da custodire e venerare. Ora si tratta di contagiare la Sardegna intera, e di fare dell’Arte una sorta di festività, da celebrare in qualsiasi momento”.Pinuccio Sciola Il festival di Sant’Arte vuole alimentare questo spirito unendo tutte le arti visive e performative che in continuo fermento caratterizzano lo scenario contemporaneo. Un festival popolare, dalla partecipazione condivisa, che mette l’Arte in strada, seguendo le provocazione delle scuole antiaccademiche internazionali, l’arte fuori dai musei, dalle gallerie, dai teatri e dai libri.

Attraverso la messa in scena di molteplici spettacoli dal vivo, si fondono i nuovi linguaggi espressivi con forme di interazione tra artisti e spettatori, che diventano protagonisti attivi. Rosaria Straffalaci spiega il suoi interventi : “Nel 1968 i muri bianchi furono la premessa per tutto quello che poi sui muri venne dipinto. Nel 2007 dipingere la pavimentazione delle strade, oltre che le pareti, era talmente naturale come passo successivo, che anche gli uccelli avrebbero potuto godere dall’alto ed essere protagonisti di questa festa per sant’Arte” “L’importanza del Paese Museo, esposizione a cielo aperto, non è rappresentata solo dal fattore artistico ma piuttosto dal fattore socio-culturale: il murale è un pretesto per stare insieme, per confrontarsi, per aprirsi alla comunità e al mondo…” I murales da lei realizzati, tra cui il più grande della Sardegna, sono: Gloria in via San Sebastiano a San Sperate Paese Museo (CA); Fabula in Corso Asia ad Assemini (CA); Stesso Cielo presso il Centro

vedi i filmati vimeo.com/376610225 vimeo.com/381129076

Giovani ad Assemini (CA) in collaborazione con gli studenti del Liceo Artistico Foiso Fois di Cagliari, PUNTOGamMa a Villa SanGiovanni (RC). All’occasione di una delle sue partecipazioni al Festival Sant’Arte ha presentato l’opera chiamata STALL, costituita da cassette realizzate esclusivamente con materiale di recupero con lo sguardo attento all’ambiente e l’anima immersa nei tagli del Maestro Pinuccio Sciola. Impegnata anche sia artisticamente che socialmente ha partecipato ed inspirato diverse manifestazioni tra cui quella per la creazione di una Accademia delle Belle Arti a Cagliari che ne é sprovvista. E il fatto che l’Accademia delle Belle arti esista a Sassari, non preclude la possibilità che ne possa esistere una anche a Cagliari, il Conservatorio infatti in cui si insegna l’alta formazione musicale esiste in entrambe le città. Dal 2016 i ragazzi, insieme coi docenti e i genitori hanno promosso una serie di iniziative come una petizione, diverse manifestazioni e performance artistiche come quella svoltasi ad Assemini. Gli studenti guidati dall’artista Rosaria Straffalaci nell’ambito dei progetti di alternanza scuola-lavoro, dopo aver realizzato un bellissimo murales, si sono espressi in una significativa performance legata proprio al bisogno di un’Accademia: i ragazzi indossavano dei copricapo che ricordavano le gallinelle della tradizione sarda, e hanno rappresentato tutto quello che è l’universo linguistico dell’arte,e attraverso il lancio di coriandoli colorati che fungevano da mangime, come nutrimento della mente, come studio, scoprivano poi di essere laureati, in pratica vedevano nella mangiatoia culturale la possibilità di realizzarsi come artisti. Rosaria Straffalaci partecipa ad eventi e mostre quali “Segni e materia, un viaggio nel contemporaneo” ma sopratutto “Prova d’Amuri” performance ed esposizione realizzata nel Lab Home Gallery di Pietrina Atzori a San Sperate con la quale é attivamente impegnata in arti performative. Dal 2016 ricopre l’incarico di direttore Artistico del Comune di Assemini (CA). Facebook: Rosaria Straffalaci Facebook Pagina ufficiale: Arte Contemporanea rosariastraffalaci.com

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A

partire dalla seconda metà di marzo 2020, quando lo stato italiano ha imposto la quarantena a causa della pandemia causata dal Covid-19, ho passato le giornate totalmente sola all’interno della mia casa che è diventata non solo ufficio, ma anche studio fotografico e artistico. Durante queste lunghe giornate, uno dei modi che mi ha permesso di resistere e sopravvivere alla solitudine forzata, è stato creare una serie di opere dal titolo “Casa Amara Casa“. Una sorta di residenza artistica legata al tema della casa, del virus e della relegazione forzata. Quelle che seguono sono dunque emozioni spontanee che ho deciso di raccogliere in un catalogo sragionato, come sragionato è stato il mio impeto creativo, per mettere ordine e per non dimenticare. Ho realizzato il catalogo sotto forma di diario inserendo le opere realizzate in ordine cronologico e riportando la data di creazione. Inoltre ho previsto due versioni: una in italiano completa di tutte le opere, compresi i postit (81 pagine); una in doppia lingua priva dei postit (41 pagine). barbarapicci.com/2020/05/06/ catalogo-sragionato-quarantena/

B

arbara Picci è un’artista, scrittrice e art blogger sarda. Autodidatta, ha iniziato col disegno per poi toccare altre discipline quali la pittura, l’installazione e la body art. Dal 2018 è direttore artistico del Panda Mural Project insieme all’artista Matteo Ambu. Dal 2016 fa parte della giuria del Premio di Arte Internazionale Adrenalina di Roma. Nel 2016 ha collaborato con l’emittente televisiva Videolina con una rubrica nel programma “I cinque sensi dell’arte”. Dal 2011 cura il suo blog personale dedicato all’arte contemporanea condividendo le sue ricerche di artisti da tutto il mondo. Inoltre collabora con una rivista di street art di Boston e con altre riviste dedicate all’arte contemporanea in generale. La sua ricerca artistica è volta a riscoprire il silenzio della Natura contrapposto al rumore ossessivo del mondo odierno fatto di una mole immensa di informazioni e immagini che portano alla spersonalizzazione dell’individuo. Quindi un ritorno alla Natura che, attraverso la sua essenzialità primordiale, riporti l’uomo alla sua vera essenza, non solo individuale ma anche civile. MOSTRE PERSONALI 2020 “Stones“, Fondazione per l’arte Bartoli Felter , Cagliari. Mostra bipersonale con Matteo Ambu. Curato da Ivana Salis. 2017 “Brabs in Ufoland“, Artaruga Cagliari. Mostra con Matteo Ambu.

Foto laura bindi

Foto barbara picci

BARBARA PICCI

Curato da Urban Center Cagliari. 2015 “Barbara Picci: libri, blogging e Colorminazioni 1.0 beta“, Villa Siotto a Sarroch, Italy. Curato da Associazione culturale Eu.Re.Ka. MOSTRE COLLETTIVE 2019 “Maschere d’artista”, The Art House Space a Marrubiu. Curato da Chiara Manca. 2019 “Codice Segreto”, Fondazione di Giuseppe Siotto a Cagliari. Curato da Francesco Cogoni. 2019 “Eros e Thanatos 5.0”, Palazzo Velli a Roma. Curato da Adrenalina Project. 2018 “#40 – Mostra tinerante“, Casa Manconi a Nuoro. Curato da Chiara Manca. 2018 “#40 – Mostra Internazionale d’arte contemporanea“, The Art House Gallery a Marrubiu. Curato da Chiara Manca. 2018 “Paratissima Cagliari 2018“, Lazzaretto Sant’Elia a Cagliari. 2018 “Tipicità Art“, Ex Manifattura Tabacchi a Cagliari. Curato da Salotto dell’Arte Gallery. 2018 “Tradizioni e paesaggi“, Salotto dell’Arte Gallery a Cagliari. Curato da Silvana Belvisi. 2018 “Animalia“, Lab-A a Cagliari, Italy. Curato da Associazione Factory and Bar Florio. 2018 “EcleCtica“, Salotto dell’Arte a Cagliari. Curato da Silvana Belvisi. 2017 “Open hOMe“, Artaruga a Cagliari. Curato da Urban Center Cagliari. 2017 “hOMe“, Centro Culturale Il Ghetto a Cagliari for Smart Cityness. Curato da Urban Center. 2017 “Pintaderas“, Palazzo Vecchio Municipio ad Assemini. Curato da Pintàc. 2017 “Alberi d’Artista“, Ex Pretura a Pula. Curato da Entu Shardana Associazione di Promozione Sociale. 2015 “Ciao Primavera“, Spazio 61 Gallery a Cagliari. 2013 “Ciao Primavera“, Spazio 61 Gallery a Cagliari. Curato da Sandro Serra. 2013 “Dal grigiore dell’abbandono all’esplosione del colore“, Enò Ristorante Vineria a Cagliari. Curato da Enò. 2012 “Prospettive circensi & scarabocchi astrusi“, L’OPOZ a Cagliari. Curato da L’OPOZ. ALTRI PROGETTI: 2018-2019 Co-direzione artistica del Panda Mural Project di Cagliari con l’artista Matteo Ambu. 2016-2019 membro della giuria del Premio Internazionale d’arte contemporanea Adrenalina di base a Roma. ARTICOLI Marzo 2020 FOTOGRAFIA – Il progetto dedicato alla Natura dell’artista cagliaritana Barbara Picci invita a riprendersi lo stupore e l’essenza. Articolo di Francesco Bettin Febbraio 2020 “Stones”, l’inquietante pianeta terra. Barbara Picci e Matteo Ambu creano una dimensione di precarietà. barbarapicci.com

Vedi il video vimeo.com/392924834

LAURA BINDI L

aura Bindi si è diplomata in Arti Figurative al Liceo Artistico G. Brotzu Quartu Sant’Elena nel 2019. Ha lavorato all’Organizzazione dell’’evento Festival del Dialogo Filosofico con la collaborazione del CRIF Sardegna (novembre 2018/maggio 2019). Ha collaborato con l’associazione FIND Festival Internazionale Nuova Danza, con la realizzazione di due performance di danza messe in scena all’Orto dei Cappuccini (CA) in occasione dell’evento Danza Estate. Tra le sue ultime partecipazioni citiamo Workshop con Leonardo Boscani (murale), maggio 2019 Master-class “One minute film school” con il regista Khavn De La Cruz (Across Asia Film Festival e Sardegna Film Commission in collaborazione con il Liceo Artistico “G. Brotzu”), novembre 201 ha poi ottenendo il Secondo posto al concorso “One minute film school” 2019. Selezionato da Khavn De Le Cruz. E stata selezionata per la partecipazione a Paratissima Cagliari 2019, mostra di arte contemporanea al Lazzaretto, con la realizzazione del Live Painting il 4 agosto 2018 (vedi photo).

Il trittico di cuori intitolato “E’ scattata la scintilla” era accompagnato dal testo seguente: “Il nostro cuore è l’isola bagnata da un oceano uomo. Siamo naufraghi in un’isola ancora da esplorare, colma di rischi e di misteri, come l’amore. Il cuore è il nostro fulcro, il luogo dove ogni emozione si genera da una scintilla vitale. Quando ci si innamora, è comune dire che “ è scattata la scintilla”. Spesso quella scintilla si tramuta in una fiamma che cresce e arde sempre di più. Cresce, distrugge e lentamente si spegne quando ormai non c’è più niente da bruciare. L’opera, però, si legge da sinistra verso destra e da destra verso sinistra e lascia all’osservatore la chiave di lettura.” A dicembre 2019 ha partecipato all’esposizone artistica, a cura dell’Associazione Culturale Lorenzo Perosi, all’evento benefico “noi in...sieme per Amelia Sorrentino us together”, a Selargius. Da seguire assolutamente Video da consultare: h t t p s : / / w w w. f a c e b o o k . com/1036676383095434/videos/456005011966169/ https://vimeo.com/283304808


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