Roberta Vanali Inferno Angelo Liberati Chiara Effe Associazione AsTerAs Murales di San Gavino Rugiada Cadoni Pazza Idea 2020 Domenico Sola Pietrina Atzori Laura Cattigno 79 Saddi Cosa rimane ? Chiudono Musei e Mostre Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Novembre 2020
Foto rossanacorti
S’ARTI NOSTRA
S’Arti Nostra
Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di
Demetra Puddu
Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com
Vittorio E. Pisu Redattore Capo
Foto vitobiolchini
Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/ channels/cagliarijetaime
SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima
Supplemento al numero del Novembre 2020 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA
Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com/unisvers Commission Paritaire
ISSN en cours Diffusion digitale
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uesto numero, che viene alla luce in un momento particolarmente confuso, anche se ho appena appreso che finalmente il piu che discutibile Donald Trump, ex presidente degli Stati Uniti é stato rimandato ai suoi esercizi di golf, deve anche annunciare in più dei diversi confinamenti, la chiusura dei musei e delle mostre da venerdi 5 novembre e che non solo in Italia, ma anche in altri Stati dell’Unione Europea, un lockdown (termine orribile) molto severo é applicato almeno fino a dicembre e forse anche oltre. Allora questo supplemento che si é concentrato sulla mostra organizzata da Maria Dolores Picciau dedicata a Ermanno Leinardi, artista che è stato tra l’altro il creatore dell’attuale Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta, esposizione installata nello spazio culturale impropriamente chiamato Il Ghetto (L’edificio nasce nel 1738 come caserma militare intitolata al regnante sabaudo Carlo Emanuele III. L’opera, progettata dagli ingegneri militari piemontesi, doveva ospitare il reparto dei “Dragoni”, ed ebbe funzioni militari fino al XIX secolo. Nel 1863, forse momento di massima attività, la caserma conteneva più di 300 uomini e 40 cavalli, alloggi per veterani, scuderie dei Carabinieri, magazzini del Genio e l’Intendenza militare. Alla fine dell’800, cessato l’uso militare l’edificio fu ceduto a privati e trasformato in piccole abitazioni) . S’Arti Nostra è andata a chiedere a Tonino Casula ed Angelo Liberati, che hanno frequentato Ermanno Leinardi negli anni sessanta e settanta, che ci parlassero della sua personalità artistica e del periodo durante il quale ha operato sia a Cagliari che a Calasetta. Troverete i filmati, compreso quello della mostra, su https://vimeo.com/channels/sartinostra. Non abbiamo potuto realizzare un’intervista della curatrice ma troverete, almeno alla riapertura che speriamo prossima, un filmato dove sia la curatrice che il figlio dell’artista e naturalmente Tonino Casula ce ne parlano ampiamente. Per il resto abbiamo il piacere di pubblicare una corta intervista della curatrice della mostra “Inferno” alla Galleria Siotto che anch’essa è stata chiusa al pubblico, troverete inoltre un’altra partecipazione di Roberta Vanali alla manifestazione “Cosa rimane ?” svoltasi a Sa Manifattura. Per il resto continuiamo nelle nostre scelte soggetive ed eccletiche e siamo lieti di riportare integralmente l’intervista di Pietrina Atzori, un immensa artista che amiamo particolarmente. Ci siamo anche interessati alla pubblicazione di un testo che tratta di Domenico Sola, caduto della prima guerra mondiale e non meno filosofo che ha teorizzato il rapporto tra Stato ed individuo in un modo che ancora oggi é della più terribile attualità specialmente diffronte al proliferare di negazionismi di ogni genere. Così cerchiamo nell’Arte una consolazione, un’indirizzo, una direzione, uno stimolo, un’ottimismo, un raggio di sole che ci illumina in questo momento particolarmente tenebroso ma che , come ogni situazione, finirà anche lui per avere una fine, speriamo che questi momenti ci abbiano permesso di riflettere sulla situazione perchè il ritorno ad una pretesa normale mi sembra non solo impossibile ma assolutamente non auspicabile. Buona lettura. Vittorio E. Pisu
INTERVISTA A ROBERTA VANALI
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uesta mostra “Inferno” accoglie un numero conseguente di Artisti, come li ha scelti e perché questa referenza che potrebbe anche essere “casse gueule” cioè difficile e pericolosa? R.V. La selezione è stata fatta con l’obiettivo di restituire un panorama eterogeneo dell’illustrazione contemporanea che includesse anche street artist e tatuatori pertanto è stato indispensabile coinvolgere un importante numero di autori. La pericolosità potrebbe scaturire dal fatto che in genere le mostre da me ideate richiedono una o più opere realizzate ad hoc per il progetto e questo potrebbe riservare delle sorprese, ma fino ad oggi devo dire di averne avute davvero poche, probabilmente perché mi affido esclusivamente a validi professionisti. Nel panorama artistico isolano ed anche cagliaritano lei appare come una delle rare curatrici e critiche d’arte a vantare un percorso lungo ed impegnativo, come spiega la sua tenacia e longevità in questo difficile
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mestiere e sopratutto atmosfera? R.V. Testardaggine e tenacia sono aspetti importanti del mio carattere che mi hanno permesso di non mollare neppure nei periodi più bui del mio percorso. A dicembre saranno vent’anni che lavoro nell’ambito delle arti visive, fin dagli esordi ho puntato quasi tutto sui giovani e l’ho fatto con rigorosa selezione tanto da crearmi diverse inimicizie, ma ciò non mi tange. Ho sempre lavorato con serietà, impegno e coerenza senza dare il minimo spazio a chi non ho ritenuto all’altezza, ma soprattutto non ho mai accettato compromessi. L’assoluta indipendenza, che non prevede scambi obbligati e favoritismi, e l’amore incondizionato per l’arte hanno fatto il resto. Vista la situazione che malmena ancora di più le manifestazioni artistiche che già in tempo normale non sono considerate essenziali, come immagina il prossimo futuro? Purtroppo lo immagino sem-
pre più grave e questa convinzione è comprovata in un momento in cui la cultura potrebbe salvarci dal baratro e invece ci ritroviamo invischiati in un sistema che la mette al bando per favorire attività ritenute essenziali e di prima necessità come quelle di culto e di acconciatura. Naturalmente il problema è a monte e non risiede nella chiusura forzata che si potrebbe, invece, sfruttare per iniziare a mettere in atto quella urgente trasformazione radicale nell’ambito dei beni culturali. Crede che le presentazioni on line possano essere un sostituto alle mostre o pensa che niente può sostituire il confronto fisico con un opera? R.V. I progetti online di ogni genere (allestimenti, visite virtuali, talk, ecc.) sono indispensabili in periodi drammatici come quello che viviamo in questo frangente e rappresentano un validissimo strumento di approfondimento culturale in tempi normali. Ma nulla può sostituire il confronto fisico con l’opera d’arte. Roberta Vanali 6/11/2020
Inferno group show
di illustrazione a cura di
Roberta Vanali Dal 26 novembre al 13 dicembre 2020
Foto daidevolponi
dal giovedì al domenica
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“el mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / che la diritta via era smarrita”. Sono i versi più celebri al mondo, quelli che aprono il primo Canto della Divina Commedia, il Poema per eccellenza del Sommo Poeta. Opera tra le più complesse di tutta la storia della letteratura, con diversi livelli di interpretazione dove si fondono fonti bibliche e miti pagani, tra intricate simbologie e metafore. Un immenso patrimonio della cultura medievale a contenuto storico, politico, religioso, linguistico, sociale e filosofico. Un visionario viaggio nel dolore come espiazione per la salvezza del destino umano, particolarmente attuale per l’epoca drammatica che l’umanità sta vivendo in questo frangente, in balìa di un caos senza precedenti, ma soprattutto confacente ad una trasposizione in chiave illustrativa. Opera universale, fonda-
mento della cultura italiana, è un viaggio allegorico che rappresenta la storia dell’umanità e che nella Cantica dell’Inferno affronta il dramma dell’esistenza e del fine vita. Regno della dannazione e del destino al quale inevitabilmente non si può sfuggire. Un viaggio dell’anima nei meandri oscuri del peccato e della colpa attraverso orribili trasfigurazioni tra macabro e sublime, come esempio di condotta per il cristiano che ambisce al Paradiso e le cui visioni hanno influenzato artisti di ogni genere nel corso dei secoli, come Sandro Botticelli, William Blake, Gustav Dorè, Salvador Dalì e Rauschenberg. L’intero immaginario del fantastico, dell’horror e del fantasy è debitore al Sommo poeta e a tutta l’iconografia medievale, iniziando dalle decorazioni scultoree di chiese e cattedrali, fino ai bestiari medievali. Immaginario riconducibile anche a tutti i generi letterari, restituito con un linguaggio meta-
forico che accentua quel profondo alone di mistero di quel regno oscuro delle tenebre, dove demoni e mostri infernali sono trasfigurati fino al limite del grottesco e i dannati assumono terrificanti e umilianti fattezze. “Per me si va ne la città dolente, / Per me si va ne l’etterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente. / Giustizia mosse il mio alto fattore: / Fecemi la Divina Potestate, / la Somma Sapienza e ‘l Primo Amore. / Dinanzi a me non fuor cose create / Se non etterne, e io etterno duro. / Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.” Questi nove versi compaiono sulla porta del Regno dell’Oltretomba come monito per le anime che ne entrano a far parte e da questo punto gli autori sono stati invitati a dare la loro interpretazione di uno dei Canti oppure di un episodio tratto da uno di essi. Impresa ambiziosa quanto stimolante e coinvolgente alla quale hanno risposto egregiamente con
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linguaggi eterogenei che vanno da quello realistico fino alla restituzione in chiave pop, fantasy e fumettistica, con il sapiente utilizzo delle diverse tecniche come acquerelli, inchiostri, grafite, matite colorate e digitale. In mostra, con un taglio trasversale dal momento che è esclusivamente nell’utilizzo della superficie che l’opera si differenzia, illustratori, grafici, street artisti e tatuatori con una panoramica, non solo di diverse tecniche, ma anche di cifre stilistiche più svariate, le opere di Ermenegildo Atzori, Piercarlo Carella, Laura Congiu, Andrea Casciu, Veronica Chessa, Enea, Matteo Freom, Ilaria Gorgoni, La Fille Bertha, Agnese Leone, Elisabetta Lo Greco, Gianluca Marras, Giulia Masia, Alessio Massidda, Maura Nutricato, Mario Onnis, Claudia Piras, Daniele Serra, Giulia Sollai, Skan, Kiki Skipi, Daniela Spoto e Marco Tanca. Roberta Vanali
Evento realizzato con il contributo della DG BIC del MiBACT, Assessorato alla Cultura della Reg.Auto.Sardegna Servizio Cultura del Comune di Cagliari. In base alle nuove disposizioni ministeriali, l’accesso è consentito soltanto su prenotazione galleriasiotto@gmail.com Tel. : +39 070 682384,
secondo i seguenti orari: turno A 18.00 - 18.30 turno B 18.30 - 19.00 turno C 19.00 - 19.30 turno D 19.30 - 20.00.
Ingresso libero
Galleria Siotto
via dei Genovesi 114
Cagliari Castello http://www.fondazionegiuseppesiotto.org/ 3
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ANGELO LIBERATI
Foto angeloliberati
a mostra di Angelo Liberati visibile al “Laboratorio 168” in via Mameli a Cagliari dal 16 maggio al 7 giugno presenta lavori che vanno dal 1968 al 2008. Una mostra “antologica” dunque, con opere realizzate con la caratteristica tecnica di Liberati che – come molti sanno – non è basata su rappresentazioni unitarie e lineari, ma su flash discontinui ottenuti mediante decollages, collages, riporti, trasferimenti opachi di articoli a stampa, titoli rovesciati di giornali, brani letterari, e musicali, oggetti, fiori, scorci, panorami, citazioni cinematografiche e pittoriche, sparsi qua e là sulla tela. Un “discorso” visivo ma anche grafico e verbale, distribuito non sempre in base a relazioni o collegamenti logici e motivati. Ma in base a equilibri di forme, a suggestioni cromatiche e richiami mnemonici, come tessere disconnesse nello spazio variabile del supporto. . Angelo Liberati sembra più lavorare su visioni che su vedute, pur restando fortemente legato a uno stile e a un genere pittorico comunemente detto “figurativo”. L’altro giorno, nella stessa sala, era stato programmato un incontro/dibattito tra spettatori, visitatori occasionali, possibili acquirenti, e alcuni giovani artisti, giornalisti, critici e storici dell’arte. Sala sorprendentemente piena coi tempi che corrono. L’argomento in questione era “l’Arte come mestiere”. Però si è discusso più di mestiere che di arte. Peccato perché quelle opere ponevano oggettivamente qualche problema, su cui sarebbe stato interessante ascoltare commenti e pareri. Problemi di tipo, per così dire, psico-semiotico. E anche di tipo storico, a voler essere pignoli. I lavori più recenti di Angelo Liberati contengono infatti una sorta di “omaggio” a un altro artista. Si tratta di Luca Patella, nato a Roma intorno agli anni trenta, attivo fin dagli anni cinquanta nel vasto campo delle arti visive, uno tra i maggiori protagonisti degli ultimi 40/45 anni della scena artistica nazionale e europea, surrealista, sincretista, idealista, regista. Insomma: artista. Ma anche fotografo, scultore, e poeta incline a quella particolare forma di poesia detta,
in mancanza di meglio, “poesia visiva”. Allora uno si aspetta che l’omaggio consista in citazioni pittoriche, allusioni a opere, rinvii e richiami a poesie disegni o foto eseguite dal personaggio omaggiato. Invece no. Liberati inserisce, in una ventina di quadri “dedicati”, una serie di oggetti di Patella. Non oggetti “simbolici” ma proprio reali e di uso comune: agende fitte di nomi, indirizzi, schizzi, progetti, annotazioni, appunti, brani di lettere, libri, audiocassette, fogli foglietti e cartigli personali, rigorosamente timbrati secondo la curiosa abitudine di Luca Maria Patella, ideatore, editore, redattore e, si presume, lettore assiduo della omonima Gazzetta Ufficiale. Era già successo che un artista inserisse tra le persone rappresentate la propria immagine, o che la infilasse nel quadro mediante un astuto gioco di specchi, o che ci mettesse un oggetto riconoscibile come proprio dallo osservatore. Oppure che, saltando ogni mediazione simbolica, esponesse direttamente se stesso. la propria faccia o la propria mano, come “luoghi” di ogni
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possibile e futura produzione pittorica. Ma raramente era accaduto che un pittore (per di più figurativo) mettesse in quadri propri, oggetti di un altro. E si tratta di oggetti che non “alludono” al proprietario ma sono brani della sua stessa vita. Angelo Liberati per rendere omaggio a un “personaggio” incolla sulla tela pezzi della “persona”. E siccome Liberati aggiunge, piega e circonda religiosamente gli oggetti, con segni e immagini di propria mano, succede che rappresenta se stesso, mentre presenta un altro. Dispone quadri colori essenze ed espone esistenze. La mostra è curiosa e anche nuova. Se vi capita andatela a vedere. Gino Melchiorre Qualcosa di nuovo 1 Giugno 2008 https://www.manifestosardo. org/qualcosa-di-nuovo Gino Melchiorre ha appena accennato all’incontro/dibattito che si è tenuto contestualmente all’esposizione: io vorrei sottolineare questo aspetto perché un’occasione del genere è estremamente rara, ma
importante (compreso il reading di Elio Turno Arthemalle, programmato per fine-mostra, che purtroppo è saltato per cause di forza maggiore). Occasione molto opportuna e anzi necessaria, soprattutto per il pubblico giovanile. Questo per mettere l’accento sulla volontà di Angelo Liberati di ampliare il respiro culturale delle sue mostre, volontà già concretizzatasi due anni fa in occasione della grande mostra omaggio a Luchino Visconti, tenutasi al Forte di San Pancrazio. Durante la quale si sono avvicendate diverse manifestazioni collaterali, mai viste prima durante un evento espositivo. Quello che voglio sottolineare è che questo risultato è stato ottenuto con un grande impegno personale dell’artista ma con contributi ridottissimi (San Pancrazio) o senza alcun contributo e/o sponsorizzazione (Laboratorio 168). Realizzando così quello che è un fatto culturale molto importante in tempi di mega-impegni finanziari (per eventi a volte anche insignificanti), cioè “alto valore culturale a costi bassi o inesistenti”. Annamaria Janin ha scritto 7 Giugno 2008 alle 09:06
CHIARA EFFE I
ntervista a Chiara Figus, in arte “Chiara Effe“. Cagliaritana doc, cantautrice e innamorata totalmente della musica. Ciao Chiara, partiamo subito: sei una cantautrice immersa nell’acustico, ma come possiamo definire esattamente il tuo genere musicale? “Il mio cantautorato non ha genere. Perché si tratta di canzoni che hanno al centro la bellezza, la musicalità e il ritmo delle parole. Sulla base di queste si sceglie di comporre a seconda del gusto personale, delle esperienze musicali che si sono fatte e di ciò che si crede possa valorizzare al meglio il concetto o la storia che si sta esprimendo e raccontando.” Nata e cresciuta a Cagliari: a tuo avviso, quanto è problematico affermarsi in questa città e nella nostra isola? “Non mi lamenterò mai di Cagliari perché la amo e mi ha sempre accarezzato e abbracciato. È difficile suonare a Cagliari. Suono sempre malissimo. Non sono mai soddisfatta di come suono Ma dipende da me, non da lei. Non è difficile essere musicista. Bisogna essere coraggiosi. Ma allora è difficile anche stare insieme a qualcuno che si ama? Certo… Ma ci sono cose così belle, anche se complesse, che non ti ricordi più quanto è difficile. La musica è così. È difficile non tanto lavorare qui, quanto andare via e mescolarsi al resto del mondo. Il mare…è il mare. Ci protegge ma ci costringe in una scatola dorata. Ci rende riflessivi ma anche chiusi. Comodi e poco intraprendenti.” Quando e perché hai deciso di intraprendere la strada della musica? “E’ la musica che ha scelto me (ride n.d.r). In casa mia prendere la chitarra in mano è sempre stato normale e semplice per tutti. Suonare sulle cassette per imparare le canzoni. Trovare gli accordi da soli senza conoscerne il nome. Cantare pomeriggi interi o in viaggio in macchina tutti insieme con più voci. Poi io e la musica ci siamo fidanzate. E poi sposate. Nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia. Mi fido ciecamente di lei. Non la tradirò mai e farò tutto ciò che vuole occhio, tutto ciò che vuole lei, non il mondo musicale.” Possiamo definire tuo disco, “Via Aquilone”, una miscela di riflessione, malinconia e paradossalmente un inno all’ottimismo? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con la tua musica? “Via aquilone è la fotografia di un momento della mia vita, fatto di persone che diventano ricordi, contesti che nel tempo hanno assunto forme diverse
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hiara Effe scrive canzoni, partecipa ai concorsi e ogni tanto li vince (come il Premio Fabrizio De Andrè 2018, Musica contro le Mafie 2017, il Mario Panseri 2019 e il Premio dei Premi MEI nel 2019). Tiene Lezioni di Musica che includono Teoria, Canto, Chitarra e Scrittura di Testi. Adora suonare in saloni, giardini o terrazze quando la chiamano per i suoi Concerti a Domicilio. Ha imparato a cucire da sua nonna, cucina discretamente, non riesce a restare pettinata per più di venti minuti, ha paura dei topi e vuole fare la Cantautrice per sempre. Ah si, è indiscutibilmente sarda. vedi il video https://vime.com/151415325 S’ARTI NOSTRA 5
e una maniera timida di stringere la mano per presentarmi a chi mi vuole conoscere. Non mi rispecchia più da tanto nei contenuti e nelle forme e nella scrittura.” Cantautrice e chitarrista: quali sono state le tue linee guida per intraprendere questo percorso? Hai un punto di riferimento nella musica italiana? Non so, una cantante, una band, qualcuno che ti ha fatto capire: “Sì, questa è la mia strada…”. “No dai, chitarrista no, è il proseguimento di me, senza dubbio…ma è la voce che comanda, non la chitarra. Lei poverina è una fedele compagna, studio e perfeziono più che posso, ma sempre come qualcosa di complementare rispetto alla voce in primo piano. Entrambe al servizio della parola. No, nessuno mi ha fatto capire niente. Ascolto da ascoltatrice, non da fan che vuole assomigliare a qualcuno. La musica ti tira dentro sé. Non una persona che fa musica. È proprio colpo di fulmine. Lei basta. I miei gusti sono molto vari. I miei cantautori preferiti tanti e vanno sempre ad aumentare. Quelli con cui sono cresciuta, quelli che ho scoperto, quelli che ho conosciuto umanamente. Ma non mi è mai capitato di pensare a un preferito. Sarebbe troppo limitante. E non farei la musicista se volessi somigliare a un altro. Sono molto molto stimolanti dal punto di vista dell’ispirazione…libri e dipinti. Wow…Mi ci perdo!” Chiara Effe: un nome d’arte piuttosto originale. Effe sta per “Figus”, il tuo cognome, giusto? Hai avuto altre idee prima di optare per questa decisione? “Non ho mai scelto non mi ricordo perché fosse Effe. Qualcuno mi chiamo così è tutti iniziarono a chiamarmi così. E me lo tenni. Non mi è mai interessato cambiare nome o riflettere sullo scegliere un nome d’arte. Il mio mi piace e “Effe” è un’onesta abbreviazione del mio cognome, nata per caso e tenuta senza pensarci troppo.” Programmi per il futuro? Quali sono i tuoi obiettivi imminenti e cosa ti aspetti e auguri per il tuo futuro artistico? ”Da grande farò la musicista. Scriverò canzoni finché respiro e in qualunque momento della giornata avrò voglia. Non ho altri piani, ma mi sembra abbastanza! Il resto arriva. Perché è come dicevo prima…tu dai alla musica senza pensare troppo al quanto dai o a dove vuoi arrivare. È lei che ti porta e ti riserva solamente delle meraviglie. Quindi sono in buone mani!” h t t p : / / w w w. t o t t u s i n p a r i . it/2018/02/11/chiara-effe-figus-
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Foto Foiso Fois, 1969 (ripristino 1989 A. Pilloni), San Sperate
ari amici, eccoci finalmente sul sito di Asteras e al primo nostro appuntamento sul blog, neonato e già pronto a parlare. Dal 20 agosto 2020, data di uscita di Muri di Sardegna, gli AsteraSoci non si sono fermati un attimo (e non si erano mai fermati prima); eccoli intenti a preparare comunicati, locandine, avvisi, post per i social, e a stabilire accordi con i partner pubblici e privati per le presentazioni del libro. Avete visto, sfogliato, letto la guida? Tra gli approfondimenti Ivana Salis, presidente di Asteras, affronta il tema del restauro delle opere murali nell’epoca della Street art. E racconta, tra l’altro che, durante le ricognizioni sul territorio abbiamo verificato che sulle pareti dei centri urbani dell’Isola accadono molte cose. Si alternano pitture del secolo scorso a dipinti moderni, soggetti tradizionali (che ritraggono risorse e tradizioni locali) a soggetti astratti o realistici dove il linguaggio dell’autore interpreta autonomamente le esigenze della committenza (o si esprime libero, fuori dalla legalità). Col passare del tempo, a causa delle azioni e reazioni atmosferiche, delle condizioni dei supporti murari, dei segni o pasticci vandalici, del degrado ambientale, la pittura murale va incontro alla dispersione. Diversi sono gli interventi di ripitturazione, che nella Guida sono segnalati in didascalia e nel testo: a distanza di 10, 15, 30 anni gli stessi autori o altri autori intervengono di nuovo sulle opere che rischiano di scomparire. È giusto, ci chiediamo noi, va bene? Si può chiamare restauro un intervento non eseguito da un restauratore? Chi decide se un’opera deve essere ripristinata, oppure se deve essere lasciata scomparire o sostituita con un intervento diverso? Se sono il nuovo proprietario di una parete con un murale (supponiamo in una casa lungo una strada) e non voglio avere più questo di-
ASSOCIAZIONE ASTERAS Muri di Sardegna Luoghi e opere della street art (Italiano) Copertina flessibile 20 agosto 2020 di Asteras (a cura di) Dario Flaccovio Editore
vedi i video vimeo.com/465335378 vimeo.com/460357717 S’ARTI NOSTRA 6
pinto, sono libero di cancellarlo? Anche se il Comune, anni prima, ha investito risorse pubbliche per affidare un intervento di riqualificazione a un muralista? Che peso ha l’opinione pubblica su queste scelte? Noi crediamo che, con l’aumento a dismisura del fenomeno della Street art, anche le nuove opere tra qualche anno andranno degradando, e si porrà il problema se l’ente locale deve investire in conservazione o se deve lasciare che un certo patrimonio visivo contemporaneo si disperda. Resterà la documentazione fotografica e filmica, si manterrà la memoria, mentre le pareti si rinnoveranno via via con il passare del tempo. Già a Orgosolo e a San Sperate si ridipingono i murales storici. Opere di Pinuccio Sciola e Francesco Del Casino si conservano per l’occhio di chi vede oggi, ciò che è nato negli anni Settanta del Novecento. Quale fine farà il discorso
coerente e unitario di Diego Asproni sui muri di Bitti e di Onanì? Parametri e criteri comuni in tutta Italia con cui affrontare il problema in modo obiettivo, si dovranno pur stabilire. Con il supporto di restauratori e di storici dell’arte, adeguatamente preparati in materia, gli enti locali dovrebbero far fronte a queste nuove emergenze culturali. Sin tanto che anche Ministeri e Soprintendenze non stabiliranno (con ritardi, complicazioni e lentezze) una legislazione adeguata. L’arte urbana è effimera? Il suo destino è nella sua stessa natura? Dobbiamo muoverci o stare fermi? Le sollecitazioni, crediamo noi, dovranno partire dal basso. Dalle considerazioni che tutti possiamo fare sul nostro ambiente naturale e culturale, attraverso l’intervento di ciascuno. Iniziamo da qui. (e.b.) https://www.associazioneasteras.it/2020/10/30/ pareti-dipinte-dispersione-o-conservazione/
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’ultimo lavoro è stato realizzato quest’estate da Tellas, al secolo Fabio Schirru. È un grande murale che omaggia la civiltà contadina di San Gavino attraverso una rappresentazione poetica di zafferano, riso, bulbi: un ampio lavoro che racconta di natura, paesaggio e tradizioni attraverso il fitto groviglio di piante, foglie e pietre che è un po’ il marchio di fabbrica dello street artist sardo. “Riso e zafferano” è il murale numero 63 realizzato a San Gavino, in quello che è ormai un museo a cielo aperto di rilevanza internazionale. Tutto nasce come forma di elaborazione di un lutto. Nel 2013 morì un ragazzo del paese, Simone Farci in arte Skizzo, cuoco e artista, a causa di un male incurabile. Per ricordarlo venne affidato un murale all’artista sangavinese Giorgio Casu. Nell’arco di sette anni l’associazione culturale che curò quel lavoro non si mai fermata e la street art è diventata uno strumento di memoria, di dialogo, di relazioni e di riqualificazione urbana, dando una nuova identità a muri, case e strade. Vale la pena passeggiare nel
Photo fabioschirru
MURALES A SAN GAVINO paese del Medio Campidano alla ricerca delle opere disseminate qua e là. Il penultimo lavoro è stato realizzato da Millo, street artist di fama internazionale, ma ce n’è davvero per tutti i gusti. Casu ha realizzato una Eleonora d’Arborea coloratissima e pop, Ericailcane un asino enorme che tenta di liberarsi dalla morsa di un carretto. Hanno lasciato tracce anche Crisa ( Ha lasciato tracce in giro per il Vietnam, il Laos, la Thailandia. Segni, pennellate, forme, piccoli gesti in grado di interagire con il paesaggio urbano che ha incrociato nel corso del viaggio. Ha dipinto su macerie, cartelli stradali, facciate di baracche polverose e rovine di luoghi desolati “carichi di una energia incredibile”. Lo street artist cagliaritano Federico Carta in arte Crisa qualche mese fa ha compiuto un lungo viaggio nel Sud Est asiatico legato a un progetto commissionatogli dai Musei Civici di Cagliari: andare sulle tracce di Stefano Cardu e delle sue costruzioni a Bangkok. Cardu è un personaggio cagliaritano quasi mitologico: marinaio, viaggiatore e infine architetto che lavorò alla corte
del Siam (l’attuale Thailandia), per la quale costruì palazzi, ponti e strade. Nel 1917 donò la sua collezione di arte siamese a Cagliari e il Comune gli dedicò un intero museo, che quest’anno ha compiuto cent’anni. Crisa, insieme alla fotografa Noemi Didu, aveva il compito di seguire le sue tracce e documentarne le opere su Instagram. Ma il viaggio è stato anche spunto per lasciare altre tracce, le sue. “È stata una sorta di residenza artistica sulla strada”, racconta Federico. “Ho fatto piccoli interventi site specific a contatto con gli abitanti dei paesi dove sono stato, cercando di stabilire un dialogo. Lasciare dei segni senza pianificarli troppo, lasciandomi coinvolgere e ispirare da quello che avevo davanti ai miei occhi”.), senza dimenticare naturalmente La Fille Bertha. (Il suo mondo è popolato da figure femminili enigmatiche, eleganti e coloratissime. Hanno le labbra strette e tonde segnate da un filo di rossetto, ciglia lunghe e uno sguardo che non sai bene se sia trasognato, dolce o un po’ malinco-
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nico. Quei volti sono ormai iconici e nell’Isola sono un elemento familiare del paesaggio urbano: si trovano al terrapieno in pieno centro a Cagliari, nelle facciate di vecchie edicole e di grandi palazzi, nei lungo linea o sotto i cavalcavia, in angoli nascosti di zone periferiche e in numerosi altri centri della Sardegna. Ora quelle figure hanno iniziato a girare il mondo: stampate su borse, felpe e t-shirt e addirittura tatuate nella pelle. “Mi piace definirle creature: sono come delle entità libere, quasi fluttuanti, che abitano una specie di altrove non meglio definito”, racconta La Fille Bertha, al secolo Alessandra Pulixi, illustratrice e street artist cagliaritana 35enne, che di quelle figure è l’autrice. E moltissimi altri. Le opere di Alessandra hanno iniziato a fare la loro comparsa nei muri una decina di anni fa. “Le creature/figure femminili sono in costante ed impercettibile mutazione. Le prime forse le ho disegnate intorno all’età di 17 anni, però erano molto diverse. Le prime opere sui muri, con delle sembianze più evolute, risalgono invece al 2009 circa”. L’artista ha sempre disegnato: un gesto intimo, familiare e necessario che l’ha accompagnata fin dall’infanzia e che ha dato forma alle sue fantasie. “Ricordo diversi momenti della mia giovinezza china su un foglio con matite e colori. Era una passione fortissima, qualcosa che mi faceva letteralmente immergere, come in un processo catartico. Mia nonna in particolare è stata una grande influenza. Porta avanti tuttora un suo percorso artistico personale: dipinge e cuce”. E per finire Bastardilla avec un Murale realizzato presso un’abitazione privata (famiglia Sanna) in via Roma angolo Vico Monreale.. Ha meno di 30anni e si firma Bastardilla una delle più interessanti street artist colombiane che ha affrescato le strade di Bogotà, Calì e Medellin: i suoi lavori spaziano da micro decorazioni ad enormi murales, facilmente riconoscibili per l’iconografia marcatamente indigena rivisitata in chiave urban. Ha realizzato uno dei suoi ultimi interventi a Los Lachas, quartiere ghetto di Bogotà e luogo di indigenza suburbana. Aquì estamos.
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Photo rugiadacadoni
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rtista visivo (performer, fotografa, disegnatrice) e curatrice di mostre è rappresentata sia in Italia, che all’estero. È interessata alla questione dell’identità, al modo in cui immagini di ogni tipo (TV, stampa, internet) ne condizionano la percezione. Per farlo, si appropria, devia e decostruisce queste immagini. Come erede della Pop Art, li rielabora estraendoli dal loro contesto e facendo collidere diversi elementi. Il suo approccio oscilla tra l’artificiale e il poetico. Che posto dare alle apparenze? Cosa ci dicono del mondo e della nostra stessa esistenza? Questo è il filo conduttore dell’opera di Rugiada Cadoni.
Rugiada Cadoni significa arte come provocazione di ambiguità e attenzione alle forme minimali https://goo.gl/photos/e5x5Qir- e poco appariscenti con atti c1rky5fJN7 spontanei frutto di una costante riflessione concettuale. https://rugiadapuff.weebly. Tra i suoi temi c'è la critica alla figura femminile, non sempre com/ positiva, e sottovalutata causa di eventi socio-politici e culturali. https://rugiadanaif.weebly. "Lavoro con l'arte come dichiacom/ razione di posizione contro il https://www.instagram.com/ perbenismo del contemporaneo".
rugiada.cadoni/
Rugiada Cadoni means art as a provocation of ambiguity https://rugiadapoly.weebly. and focus on the minimal and com/ unspectacular forms with spontaneous acts resulting from https://rugiada39.weebly.com/ a constant conceptual reflection. Among her themes is the critihttps://www.facebook.com/ cism of the feminine figure, not media/set/ always positive, and underestimated cause of socio-political and cultural https://www.youtube.com/ events. channel/UChIJuoezvxiL«I work with art as a statement C8I0w442Mjw of position against the perbenism of the contemporary». https://vimeo.com/rugiada
RUGIADA CADONI H
o avuto l’opportunità, il privilegio e dovrei dire la chance, di incrociare il percorso di Rugiada Cadoni all’occasione di una delle sue performances alla Scuola Pirandello di cui potrete consultare qui di seguito il filmato che ho realizzato all’epoca riuscendo anche l’exploit (come mi ha fatto notare un noto critico d’Arte e direttore di musei d’Arte Contemporanea) di introdurmi per un breve momento nello spettacolo senza per altro riuscire a pertubare l’Artista che possiede assolutamente una padronanza perfetta della sua prestazione e che non si lascia certo turbare da un evento improbabile. Che dire dello spettacolo, completato, inoltre da alcune delle sue opere grafiche, che oggi, agli occhi della pandemia che ci assilla, sembrano quasi premonitorie e descritive di un virus che ci avrebbe costretto a cambiare le nostre abitudini. Rugiada Cadoni nella sua performance impersona, se ho capito bene, i fantasmi della casalinga stressata che sogna un’altro destino. Essendo purtroppo un esemplare maschile della popolazione e nonostante lo sforzo
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di comprensione, riesco difficilmente ad immedesimarmi in questa proposta pensando inoltre che forse le casalinghe degli anni settanta sono ormai in via di disparizione, sia perchè preferiscono lavorare piuttosto che sposarsi per fare figli ed anche se li fanno non si sposano, almeno non subito, e preferiscono conservare una certa autonomia personale. Quindi forse le trentenni o quarantenni attuali riescono a realizzare anche i loro fantasmi, generati per lo più dalle proposte del commercio via televisione ed internet. Ultimamente la messa in vendita di collants strappati da parte della marca Gucci, al prezzo di 140 euro il paio (sold out in pochi giorni) ha suscitato qualche commento sui social media. La domanda che mi viene spontanea è che questo “engouement” per questi simboli di appartenenza ad un certo tipo di personaggi sociali sono ancora di più la dimostrazione di una perdita di identità collettiva che ha bisogno quindi, come con la messa in evidenza della marche più prestigiose su occhiali, magliette, cinture, eccetera, trasformando così coloro che le indossano in donne sandwich gratuite
anzi paganti, di rassicurarsi attraverso l’illusione di far parte di un certo gruppo che gode di un certo benessere economico e può quindi permettersi di sfoggiare l’ultimo abito stracciato alla moda. Ho notato che una delle influencers più in voga (Chiara Ferragni) non ha nessun strappo ai suoi vestiti di marca e di lusso. Un segno che presto le cose cambieranno ? Ritroveremo le mise da prima comunione ? Il punk è morto? Comunque le qualità artistiche ed acrobatiche di Rugiada Cadoni sono assolutamente evidenti compresa la sua forma fisica che potrebbe essere un testimonial per qualsisi marca sia di cosmetici, che di moda, di fitness, ed altre che tralascio. Quando ho deciso poi di decicarle una pagina su questo mensile, ho trovato, come potete vedere qui a lato, una miniera di informazioni e sopratutto un’attività pantagruelica, sia filmica, che fotografica e naturalmente pittorica e grafica. Potrete convincervene facilmente consultando i numerosissimi siti che pubblicano le sue opere. Vittorio E. Pisu Qui il video https://vimeo.com/361550079
Foto pazzaidea
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ogliamo approfittare di queste limitazioni per coglierne invece i lati più positivi. Lo streaming ci offre la possibilità di essere seguiti e di connetterci con altre parti del mondo. Avremo quindi ospiti dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo. Questa edizione speciale sarà dedicata a due grandi temi, “generazione e “passione”: uno sguardo doppio sui cambiamenti storici degli ultimi decenni, con un focus sui movimenti culturali, sociali, politici, di costume, le mode, raccontate da alcuni dei personaggi che sono stati protagonisti del cambiamento.» Una nona edizione speciale, nella quale per la prima volta la trasmissione in streaming sarà la modalità esclusiva per la partecipazione del pubblico agli eventi, nel rispetto della normativa anti Covid: dal 26 al 29 novembre torna il Festival “Pazza Idea” con quattro giornate dedicate ad esplorare i complessi scenari sociali e culturali della contemporaneità, attraverso lo sguardo delle arti, della musica e della letteratura, e un fitto programma di incontri riuniti dai grandi temi della “generazione” e della “passione”. Tra gli ospiti della rassegna il grande fotografo e giornalista musicale Guido Harari, l’anima internazionale della scrittrice Claudia Durastanti, Federico Clapis, artista contemporaneo specializzato in arti visive, la scrittrice Premio Pulitzer 2020 Anne Boyer, Daniele Mancarelli, vincitore del Premio Strega Giovani nel 2019, Cristina Comencini con il suo ultimo romanzo L’altra donna, l’insegnante e scrittore Enrico Galiano, autore di romanzi sull’adolescenza e popolarissimo in rete, lo scrittore Manuel Vilas, è stato un vero e proprio caso editoriale in Spagna e in Europa con i libri “In tutto c’è stata bellezza” e “La gioia, all’improvviso“, il giurista e scrittore Giovanni Ziccardi, appassionato di criminalità informatica, hacking e diritti di libertà, lo studioso dell’umanesimo digitale Jeffrey Schnapp, il cantautore, musicista e produttore discografico Riccardo Sinigallia, la sociolinguista Vera Gheno e tanti altri.
La nostra Venere-simbolo (creata per noi da Roberta Sanna) quest’anno è più che mai passionale e contemporanea, racchiude in sé il passato e il futuro, il rapporto tra le generazioni dei padri e dei figli, l’attivismo civile, le relazioni e i sentimenti e le narrazioni di sé e del mondo e i loro inevitabili cambiamenti.La contemporaneità e la Storia, il lavoro e le relazioni attraverso la lente di un sentimento che nelle sue molteplici sfumature può considerarsi il motore della vita stessa: la passione. Il festival di letteratura e cultura digitale Pazza Idea. Generazione Passione (edizione 2020) si svolgerà a Cagliari il prossimo novembre. Segnatevi le date: giovedì 26 - domenica 29 novembre 2020, Centro comunale d’arte e cultura Il Ghetto, Cagliari. #pazzaidea20 Intervista a Radio X / Extralive mattina con Mattea Lissia, organizzatrice della rassegna. https://www.radioxlive.com/cagliarisocialradio/2021/mattealissiaPazzaidea0611.mp3 info e programma completo / pazzaidea.org / pagina facebook Pazza idea Festival
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Conferenza stampa guarda il video https://www.facebook. com/lunapazzaidea/ videos/ 698597237449100
ervido interventista. Uomo che credeva nel risveglio della civiltà. Studioso di storia e filosofia. Filosofo. Domenico Sola, nella pur breve vita, ci ha lasciato importanti scritti. Ha collaborato con “La Voce” di Prezzolini, con “Sapientia” diretta da Salvatore Lauro e con tutti quegli amici che furono i maggiori rappresentanti della cultura del primo Novecento. E ci riferiamo a Prezzolini, Papini, Soffici, Salvemini, Gentile, Mussolini, Saba, Cardarelli, Pareto, Bacchelli, De Robertis, Ungaretti e molti altri. Insieme a questi collabora a “La Voce”. Di lui il mondo della cultura ne ha una grande stima. Viene tenuto in elevata considerazione. Quinto Tosatti in una lettera datata Roma, 2 gennaio 1916 indirizzata a Domenico Sola scrive: “…Sto in ansia per la nostra amicizia, e anche un po’ per le sorti della… filosofia idealistica nel nostro paese, legata in parte anche alla tua persona. Perciò immagina come i miei voti per te siano ardenti. A quando ripiglieremo i nostri conversari animati e profondi, arricchiti ora di novelle esperienze di vita? E le nostre incruente battaglie contro l’astrattismo per la concretezza dell’ideale? Forse tra breve richiameranno anche noi e verrò anch’io costassù. Qui si chiacchiera. Oggi la storia la fate voi: poi tu la scriverai”. Domenico Sola nato in Calabria in un paese dell’Alto Ionio, Amendolara, il 21 gennaio 1891, laureatosi in filosofia all’Università di Roma nel 1915. In questo stesso anno parte volontario per la guerra. Riveste il grado di sottotenente. Muore sul Pianoro di Maso. Da eroe. Era il 29 maggio 1916. Aveva soltanto 25 anni. Una giovinezza non vissuta. Un atto di coraggio. Un intellettuale che aveva visto nel conflitto mondiale la riaffermazione dei valori dell’uomo. Un intellettuale che aveva capito che il rapporto fra l’individuo e lo stato va visto in un ambito molto più ampio dove ciò che primeggia è la centralità dei valori. In una lettera a Bellonci (trovata in bozza) si legge: “L’attuale guerra è quindi una violenta manifestazione dell’intera dialettica storica del pensiero europeo. (segue pagina 10)
Domenico Sola, intellettuale filosofo interventista nella Grande Guerra morì da eroe nel 1916 anticipando nei suoi scritti il concetto di Individuo e di Stato nella cultura fascista
Foto amendolara.eu
(segue dalla pagina 9) E come in questo finora nessuno può pretendere di essere prevalso, così pure in guerra nessuno prevarrà decisamente per ora. Ma non si finirà, col passare del tempo, di dover essere raccolti sotto un’unica vittoriosa bandiera? Adoperiamoci a che quella sia il nostro tricolore”. Vincenzo Laviola, conoscitore e studioso attento della filosofia e della personalità di Domenico Sola (uomo di profondi valori che ci ha permesso di leggere gli scritti di Sola), a proposito della lettera sostiene: “Non si sa se la lettera è apparsa sulla stampa oppure è stata inviata direttamente al destinatario. L’importanza di questa lettera sta nel fatto che essa rivela gli ideali per cui combatteva Domenico Sola, e come lui, tutte l’élite della gioventù italiana in guerra. Nelle ultime parole della lettera quegli ideali si traducono in una sublime speranza, con la quale il Sola precorre ancora una volta di mezzo secolo gli eventi storici: era la speranza di quella Unione Europea di cui oggi tanto si parla, ma che ancora è lontana dall’essere una realtà politica”. Questa meditazione la troviamo in uno scritto che il Laviola ha pubblicato su “Contenuti” nn.4/6 del 1984. In questo scritto affiorano altri interessanti particolari. Laviola ci racconta un po’ la vita di Sola. Ci racconta come ha trascorso gli anni del ginnasio e del liceo. Ci parla della sua tesi di laurea e alla fine della laurea ad honorem conferita dall’università di Roma con una brillante motivazione. Insomma Domenico Sola, ci dice Laviola, va studiato e vanno portati alla luce tutti i suoi scritti. È vero. Occorrerebbe creare una operazione di rivalutazione. Infatti Domenico Sola non è soltanto il filosofo di un certo idealismo passato. Il suo pensiero è attualissimo. Ritorna ad essere attuale proprio alla luce di un nuovo dibattito all’interno della filosofia italiana. Ritorna ad essere attuale anche attraverso motivazioni politiche e storiche. Il suo interventismo (come di molti altri intellettuali del primo decennio del Secolo) ha davanti un quadro ben preciso che è nutrito di valori e ideali. Ecco il suo pensiero su quegli anni che facevano meditare per lo sfasamento dovuto a
Pierfranco Bruni
un trapasso epocale: “…una parte della società, costituita da una minoranza, diversa da quella che sta al potere e che risulta di spiriti certo non mediocri, tale parte, dico, comincia ad avvertire che quelle vecchie istituzioni sono ormai vecchie e non incarnano più i nuovi valori, che sono spuntati e si vanno elaborando nella propria coscienza. A questo punto comincia la seconda fase detta critica individualista della storia: ora scoppia il conflitto visibile tra l’individuo e lo Stato”. Siamo al Saggio d’interpretazione filosofica della storia. L’individuo e lo Stato pubblicato su “Sapientia” del 15 luglio 1914, n. 3- 4. A tal proposito Laviola commenta: “È la fase della rivoluzione che attraverso i nuovi principi e i nuovi valori portano ad una fase organica della storia, a una nuova epoca”. Ma Sola verso una nuova epoca intendeva andare. Verso una nuova epoca si volgeva. La morte lo colse nel pieno della sua attività, ma non impreparato. La morte, per uno che va a combattere volontario, non è mai una improvvisazione. È sempre un’età con la quale
ci si confronta. La sua ricerca si focalizzerà, dopo una serie di interventi, sulla eterogenea problematica che è nel rapporto “individuo-Stato”. La sua tesi di laurea il cui frontespizio porta la data del 1915 è divisa in tre parti. Nella prima parte il problema ha un suo sviluppo, una sua caratterizzazione e una sua soluzione. Nella seconda parte vengono affrontati le tesi filosofiche attraverso la concezione filosofica del problema e attraverso l’eticità, i valori, l’ethos e lo stato. La terza parte centralizza la discussione e vi troviamo studiate le due fasi: quella organica o sociale e quella critica o individualistica. Procediamo per ordine. Il 17 maggio 1914 sul n.2 di “Sapientia” Domenico Sola pubblica: “Genesi e significato del nazionalismo italiano”. Si tratta della prima parte. La seconda verrà pubblicata sul n. 5-6 datato 15 agosto, 15 settembre 1914. Certo Sola pur essendo interventista, pur collaborando con i grossi nomi dell’interventismo italiano non era un nazionalista. In questo saggio ne enumera i
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motivi. Egli sostiene: “Il Risorgimento è stato soltanto l’inizio della soluzione del problema italiano: l’Evo Moderno, come antitesi dell’Evo Medio – così come la coscienza moderna è antitesi della coscienza medioevale – non è divenuto col Risorgimento un fatto esteriore, proiettato in nuove autorità e in nuove istituzioni; la rivoluzione è tuttora nello spirito e non s’è precipitata che in parte nella storia; l’individualismo ha perciò ancora la sua ragion d’essere ed agita tuttavia la nostra collettività sociale: la fase critica perdura e l’organica è semplicemente avviata”. Un concetto fondamentale che ritorna attraverso varie chiavi di lettura è il seguente: “La coscienza italiana dello Stato – sentendo la profonda differenza, che la separa dalla coscienza cattolica della Chiesa – deve avvertire che non è possibile costruire una storia nazionale e produrre una civiltà italiana, se non si sopprimono i fattori della storia ecclesiastica e non si superano gli elementi della civiltà papale”. Questo diverbio in Sola è sempre presente. L’individuo e lo Stato un rapporto (ma in molti casi si do-
vrebbe parlare soltanto di binomio) emblematico dal quale nasce la formazione del filosofo. Così egli scrive: “Il conflitto tra l’individuo e l’autorità, tra la nuova coscienza e la nuova istituzione, non è cessato; oggi abbiamo soltanto una tregua, durante la quale le due parti affilano le armi per ritornare poi di nuovo all’attacco o alla difesa. La rivoluzione è nelle cose, nella situazione storica e i prossimi assalti dell’individuo contro l’autorità saranno senza dubbio decisivi”. A questo punto Sola cita una osservazione di Alfredo Oriani tratta dal terzo volume diLa lotta politica in Italia. È la seguente: “Ora per quasi tutti i Governi d’Europa la questione pregiudiziale è quella della loro forma monarchica, alla quale mancando la consacrazione religiosa e la giustificazione teoretica, crescono ogni giorno le ostilità… Fra cittadino e re la guerra è anche più fiera che non fra operaio e capitalista, giacché alle rivoluzioni sociali debbono sempre aprire il passo le rivoluzioni politiche”. Sola condivide il pensiero di Oriani. Un altro personaggio
simbolico che oggi fa paura certamente per la sua onestà, il suo coraggio, le sue idee. Come Oriani, Sola oggi è un personaggio scomodo. Se si andassero a studiare a fondo i suoi scritti non solo ci troveremmo a una dimensione molto vicina a quella attuale ma sicuramente ci aprirebbe molte strade ad una interpretazione ricca di significati politici, storici e umani. Le caratteristiche umane sono impresse in ogni sua pagina. Il suo lavoro più corposo ( e ci riferiamo alle tesi L’individuo e lo Stato ) ne è una testimonianza. È qui che vengono tirati in gioco temi e valori. È qui che il filosofo dialoga con la vita e con la storia della cultura e con la storia delle idee. Vi sono si concetti hegeliani ma troviamo anche autori come De Maistre, gentile, Nietzsche, Stirner, Spenger. Con questi sembra dialogare. Si serve di De Maistre per spiegare il dato finale della Rivoluzione francese, ove l’individualismo più sfrenato s’impone ad ogni più venerata autorità, niente altro che una vergognosa corruzione, portata al massimo grado, per cui giustissimamente tutti i dema-
goghi sono rimasti poi vittime della rivoluzione medesima”. Il confronto fra De Maistre e Humboldt è dimostrabile. Humboldt è un altro pensatore che affiora nel suo lavoro. Ma l’identità più vera è la coscienza dello spirito che attraversa tutta la sua meditazione filosofica. Ci dice che “lo spirito, intanto vive e si manifesta, in quanto si determina ed esplica la sua attività, creando delle forme storiche, una delle quali è lo Stato”. È qui che Domenico Sola trova la sua compiutezza (ammesso che sia logico sostenere ciò in un intellettuale morto all’età di venticinque anni). L’articolo apparso su “La Voce”, nella edizione politica, porta il titolo di Democrazia. La data di questo articolo è quella del 7 luglio 1915. Quale è dunque l’importanza di questo filosofo? Vincenzo Laviola nel saggio citato dichiara che Domenico Sola “Era considerato alto rappresentante della corrente filosofica nuova, che si evolverà nella persona e nella scuola di Giovanni Gentile”. Certo, ciò è vero. Già nelle sue pagine giovanili andava affermandosi una tendenza filosofica gentiliana. La sua importanza verrà fuo-
ri se avremo la volontà di far conoscere e portare alla ribalta si suoi scritti. I tredici capitoli della sua tesi sono tutti pubblicabili. Hanno una loro originalità e una loro profondità. La sua presenza nel panorama della cultura del primo decennio del secolo ha contribuito ad allargare il dibattito e a porre dei punti di riferimento in una stagione travagliata, contraddittoria e conflittuale. Il suo porre l’attenzione su l’individuo e lo Stato significa che aveva capito il passaggio di valori dentro il quale si muovevano gli intellettuali di allora e tutta la cultura europea. Non lo si può lasciare nel dimenticatoio. Le idee ritornano e con le idee la capacità di capire i drammi delle civiltà. Le idee ritornano e con le idee i sogni e le speranze di una civiltà. Domenico Sola credeva in questa speranza. Non è andato a morire invano. La sua morte ci fa capire quanta tensione c’era nella sua coscienza. Una morte nobile dalla quale non ci si può dimenticare.
Pierfranco Bruni
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uesto libro, i cui fatti e personaggi narrati sono tutti veri, salvo alcune eccezioni frutto d’invenzione dell’autore, è un inno agli ideali eterni e alla fede in Dio che si confonde con le vicende umane. Le sue pagine raccontano la breve vita di un giovane studente di filosofia calabrese, Domenico Sola, morto oltre un secolo fa durante la grande guerra. Nella sua breve seppure intensa esistenza il giovane filosofo aderisce a quel movimento letterario-artistico-politico, che caratterizzò tutto il novecento italiano ed europeo, noto come futurismo, di cui fu attivista e collaboratore; scrisse infatti sulle maggiori riviste che ne rappresentavano le istanze, come “Sapientia” e soprattutto “La Voce”, la più importante rivista culturale del secolo scorso, fondata da Giuseppe Prezzolini. Alla Vigilia dello scoppio della Grande Guerra, pur non ritenendosi un nazionalista, come del resto lo stesso Prezzolini, tenne numerosi comizi nelle principali città italiane in favore dell’intervento dell’Italia. Il movimento guidato da Ma-
rinetti inneggiava alla guerra e la considerava “la sola igiene del mondo”, quel mondo che veniva considerato dai futuristi corrotto e decadente. Partito volontario con il grado di sottotenente per il fronte del Trentino, vi trovò la dolce morte il 29 maggio 1916, sul pianoro di Maso, sotto un crinale, noto come Sogli di Campiglia, alle porte del Pasubio, mentre alla testa del suo plotone, dopo aver perso diverse dita di entrambe le mani, andava all’attacco delle postazioni austriache, che avevano nel frattempo sferrato contro gli italiani una violenta offensiva, nota come Strafexpedition, ovvero spedizione punitiva. In quel tragico contesto il valoroso comportamento del suo reparto, inquadrato nella milizia territoriale del 217° reggimento fanteria Volturno, contribuì in modo decisivo, circostanza quest’ultima a cui la storiografia ufficiale non ha mai dato molto peso, a respingere l’avanzata delle forze austriache intende a dilagare verso la pianura veneta allo scopo di prendere alle spalle la III armata italiana impegnata sul fronte del Carso e nel contempo ad isolare il Pasubio, dove era accampato il grosso dell’esercito italiano, tagliandolo così dalle proprie linee. Non si saprà mai se la morte del giovane futurista fu cercata a coronamento dei suoi ideali, che egli aveva predicato tempo prima nelle piazze italiane, oppure ad un atto di abnegazione dettato dalla disperazione di un soldato verso un nemico che avanza inesorabile. Certamente fu un atto eroico che gli valse una medaglia d’argento al valor militare. Con la sua morte il mondo della cultura e della filosofia perse una grande speranza. Prezzolini, che ne fu il maestro nel periodo in cui Sola scriveva su “La Voce” così ricordava i suoi giovani collaboratori: “C’era in questi giovani l’aspirazione ad un Italia migliore, più grande, più seria, più onesta...” https://www.amendolara.eu/ domenico_sola_il_destino_ di_un_eroe.html Disponibile a Dicembre nelle migliori librerie il romanzo storico di Santino Soda “Dalla Calabria al Pasubio Morte di un Futurista”, e è prenotabile dal sito dell’autore www.santinosoda.it oppure presso le maggiori librerie online.
Foto bibiva69 filiforme
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n’intervista ricca di molti contenuti quella con Pietrina Atzori che partendo dal suo lavoro di artista tessile, mi ha accompagnato in un lungo excursus attraverso tecniche, materiali, territorio, comunità. Con i piedi ben piantati nella sua terra sarda ma lo sguardo che vede lontano. Un’artista che sa raccogliere dal passato e operare per il futuro. Sei sarda e per di più del borgo di San Sperate, paese-museo da più di mezzo secolo. Quanto ha influito sulle tue scelte artistiche? PA: Nascere e vivere a San Sperate ha influito tantissimo. Quando sono nata in questo paese era in atto un fermento culturale e artistico, iniziato appunto negli anni sessanta, ad opera di un importante e straordinario scultore, oggi non più tra noi, Pinuccio Sciola. Sardo di nascita e di San Sperate, come me, ha condotto una monumentale ricerca durata tutta la vita che lo ha portato a sovvertire concetti indiscussi sulla pietra scolpendola, manipolandola, forgiandola fino ad approdare alla “pietra sonora”. Tutta la sua vita di artista è stata condizionata dalla sua ricerca. Poiché le sue opere non erano facilmente trasportabili, partecipare alle esposizioni era limitato dallo spostamento tutt’altro che semplice dei suoi monoliti; perciò ha presto trasformato questo limite in una opportunità: “Se io non posso andare dagli altri farò in modo di portare gli altri qui da me”, gli sentii dire in alcune occasioni. Questa condizione originaria unita ad un grande, immenso bisogno di fare arte ha fatto arrivare in 50 anni a San Sperate numerosissimi artisti da tutto il mondo: oltre a Sciola, molti nomi di chiara fama come Aligi Sassu, Costantino Nivola, Pablo Volta, Elke Reuter, Diego Asproni, Angelo Pilloni, Raffaele Muscas, Rosaria Straffalaci, tanto per citarne alcuni, e altri meno conosciuti ma altrettanto bravi hanno realizzato murales di grandi dimensioni sulle case, installato sculture di pietra, di ferro ed altri materiali (ad oggi si contano 600 murales e centinaia di sculture disseminate in tutto il centro abitato) in un movimento che è ancora vivo e attivo.
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Tanti sono stati gli artisti di ogni arte – teatro, cinema, musica – che venivano ospiti da Pinuccio, per esprimersi artisticamente, scambiarsi esperienze e lasciare un segno del loro passaggio. Tutto questo era offerto a tutta la comunità e da essa partecipato: tutta la comunità,infatti si è trovata coinvolta in una delle prime forme di arte ambientale e pubblica in Italia. In questo “ambiente” ogni giorno nel paese succedeva qualcosa, ogni giorno il paese era nuovo e diverso, ogni giorno potevi uscire di casa e fare incontri che ti arricchivano dentro e spingevano il tuo sguardo oltre l’orizzonte. Io sono cresciuta in questo clima. Da qui parte la mia scintilla. Non ho condotto studi accademici ma ovviamente ho molto studiato – e studio tuttora – perché ho sempre considerato seriamente il fare arte. Il mio paese natale e tutta la regione sono un continuo rimando all’arte, anche quella antica – basti pensare ai bronzetti nuragici, alle sculture megalitiche come i nuraghi, le tombe dei giganti, i dolmen, menhir ecc. – disseminata in tutta l’isola, tanto che in ogni momento puoi inciampare in
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una testimonianza del nostro passato. Tutte queste presenze hanno costituito per me la culla e l’energia per la mia pratica d’artista. Probabilmente all’appartenenza all’isola devo due caratteristiche della mia personalità: la curiosità per ciò che sta oltre il confine e il saper fare delle mani, che in una terra come questa era fondamentale dato che, fino ai primi decenni del ‘900, tutto veniva prodotto in loco. La mia comunità e il modo di vivere, la mia fervida immaginazione, la ricchezza di espressioni artistiche intorno a me fin da piccolissima mi hanno naturalmente indirizzato alla pratica dell’arte. Radici, territorio, comunità: tre termini che caratterizzano molta della tua ricerca artistica. Che valore e che significato hanno per te? PA: Per me è vitale sentirmi radicata al terreno, camminare a piedi scalzi, sentire che tutto il mio essere poggia sul suolo. Appartengo ad una comunità contadina. Ogni cosa necessaria diventava disponibile per attingervi: valori, pratiche, attenzioni, conoscenze, riti e rituali imprescindibili per la vita.
Sono anche una donna contemporanea che ha vissuto, come tanti di noi, grandi cambiamenti e quello che maggiormente mi inquieta oggi è la mancanza di identità verso cui ci stiamo muovendo. I legami con la tradizione e la natura sono recisi. Qualunque “valore” duraturo è negato. Nella più ampia cultura occidentale, di cui siamo parte, è esaltata la provvisorietà, la precarietà, l’effimero in tutti gli aspetti dell’esistenza: il che è davvero un controsenso. Nel mio lavoro d’artista le radici sono riconoscibili nei materiali naturali che utilizzo: lana, cotone, lino, seta, canapa. Non mi limito ad utilizzarli, spesso li produco; ciò vale specialmente per il filo di lana. I colori li ottengo a partire dalle piante del territorio in cui vivo. Radici sono anche le numerose tecniche, in particolare quelle tessili, che ho imparato a praticare molto bene per poi, solo dopo, “decostruirle” in modo espressivo, spesso in modo non convenzionale ma più divertente e funzionale alle mie esigenze comunicative. Infatti solo dopo aver studiato,
A ATZORI appreso e praticato i fondamenti ho potuto costruire un mio codice espressivo attraverso i materiali tessili. Nel mio lavoro quindi materiali e tecniche rappresentano le radici che manipolo, trasformo e impiego per costruire una riflessione ed una narrazione intorno ad alcuni temi della nostra contemporaneità. La comunità è il luogo in cui mi identifico; la storia del mio paese e della mia regione incidono e influenzano il mio sguardo. La comunità è un po’ come la mamma: è il luogo in cui trovo protezione, accoglienza. Talvolta può anche risultarmi stretta ma è sempre lì a ricordarmi chi sono e da dove vengo. Dipende sempre da come guardi le cose. Nel tempo ho allargato il mio orizzonte andando a scoprire altri spazi, altri luoghi per conoscere – e riconoscere – pratiche che erano anche le mie ma in nuove modalità di organizzarsi, di esprimersi e di codificare il proprio gruppo. Ciò che più mi incuriosisce è vedere come ogni comunità si rapporta con la sua identità: è lì che trovo sovente ispirazione per il mio lavoro. Spesso essa si caratterizza in
funzione delle risorse del territorio e il territorio condiziona la vita delle persone. Molte tracce del passato sono ancora riscontrabili nel presente, ma di altre si è persa la memoria; un vero peccato perché con essa si perde anche l’identità. Non penso al passato come valore nostalgico ma conoscerlo per fruirne nel presente proiettandolo nel futuro credo sia importante. Mi spiego con un esempio: se in passato una comunità fondava la sua sussistenza sull’allevamento delle pecore e da essa traeva tutti i benefici possibili, oggi la stessa comunità se punta tutto solo sul latte o sulla carne abbandonando, ad esempio, la lana perde non solo questa produzione ma tutto un sapere che ha conseguenze non solo sulla perdita di quella risorsa ma anche sulla cultura di quella stessa comunità. È importante sapere, poi, che l’attività pastorale è fondamentale per la cura e conservazione di un territorio: la sua perdita determinerebbe un progressivo e inesorabile abbandono delle campagne con conseguenti e irreparabili conseguenze sull’habitat naturale e sull’uomo.
Tra le prime installazioni ci sono i giardini “pensili”. Ci racconti cosa sono e quali messaggi veicolano? PA: La lana è sempre al centro della mia ricerca. Nel 2010 le mie competenze nel campo delle fibre naturali erano già conosciute e già mi ero affacciata nel panorama dell’arte isolana con opere di “filo”. Così un giorno ho ricevuto l’incarico della direzione artistica per la realizzazione di una installazione diffusa nel quartiere antico di San Sperate. La missione era quella di portare il verde nelle vie storiche del paese utilizzando materiali naturali. Ho accettato con entusiasmo e ho realizzato dei contenitori di lana sarda capaci di accogliere piante e fiori per portare colore e natura nel grigiore urbano. Il materiale non mancava e l’opportunità era ghiotta per proporne un nuovo utilizzo. In questo modo avrei avuto l’opportunità di sollevare il problema del destino inaccettabile di questa risorsa naturale e rinnovabile che è tuttora classificata come rifiuto speciale. Nel giro di pochi giorni ho contattato gli abitanti del
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quartiere e insieme abbiamo realizzato un lavoro fantastico, specialmente con le donne. Partendo da prototipi di vasi di lana infeltrita ne abbiamo riprodotti un centinaio di diverse dimensioni per installarli nelle pareti delle case adiacenti alla strada, sui cancelli, sui balconi. Successivamente vi abbiamo messo a dimora fiori colorati ed essenze profumate. Tempo un mese, tutto il quartiere era abitato dal verde delle piante. Questa è stata la prima volta in cui ho impiegato la lana sarda in una installazione. Altri giardini verticali sono stati installati successivamente in altre città, tra cui Cagliari. Da allora attraverso i giardini verticali con i contenitori di lana contribuisco al dibattito sempre più attento su questa risorsa e sui possibili impieghi alternativi all’ambito tessile. Valorizzare la lana avvantaggia l’allevatore che vi trova una fonte di reddito supplementare invece che un costo per lo smaltimento e conseguentemente può arginare l’abbandono del presidio del territorio. In modo più sintetico direi che attraverso i contenitori di lana si potrebbe usare meno plastica per esempio. Sono appunto un simbolo, una visione a mio avviso virtuosa per un futuro più sostenibile. La lana è, dunque, il materiale che prediligi tanto da saperla lavorare dal fiocco al tessuto. Come hai acquisito questo patrimonio di “saperi”. Oltre che di competenze tecniche? PA: Fin da piccola ho fatto esperienza manipolativa e trasformativa del filo con l’uncinetto, la maglia, il ricamo, le stoffe, ecc. fino a diventare molto brava ma sempre meno divertita e appagata, tanto da abbandonare tutto per alcuni anni. Finché un giorno, incontrando alcuni cataloghi delle opere di Maria Lai, ho trovato la spinta che mi ha portato e mi porta tuttora a fare arte con questo medium. La Lai e i suoi telai hanno fatto riemergere il mio sogno nel cassetto di imparare ad usare il telaio. Guardavo al telaio come mezzo per produrre non tappeti e arazzi convenzionali bensì lo immaginavo come possibilità di realizzare tele in cui portare il mio immaginario, quindi applicato all’arte contemporanea. (segue pagina 14)
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(segue dalla pagina 13) Alla prima occasione ne ho acquistato uno, l’ho ristrutturato da sola e, prese alcune lezioni di tessitura base da Adele Vigo – una bravissima artigiana piemontese – ho cominciato a muovere i miei primi passi. Ben presto si è presentato il problema dell’approvvigionamento del materiale da tessere, disponibile ma costoso. Così ho cominciato a pormi l’obiettivo dell’autoproduzione. La tradizione tessile sarda, non casuale visto la sovrabbondanza della materia prima proveniente dalla più diffusa attività pastorale d’Italia, mi era abbastanza famigliare e, pensavo, facilmente avvicinabile. Così non è proprio stato e per imparare a produrre fili di lana da tessere e tingere ho dovuto andare fuori dall’isola. Ho conosciuto e contattato Eva Basile a capo del Coordinamento tessitori e ideatrice della manifestazione internazionale Feltrosa che ho frequentato per diversi anni. Lì ho imparato le basi della lavorazione della lana in particolare la lana cardata e la lavorazione del feltro. Sempre in quegli anni, tra il 2000 e il 2011 ho frequentato diversi insegnanti internazionali della fibra e del colore naturale applicato alle fibre come Vilte Kazlauskaite, fashion designer lituana, specializzata in infeltrimenti innovativi e moderni realizzati attraverso un’ampia varietà di materiali naturali; Leena Sipila, finlandese, docente di arti tessili e Membro del Arts Council of Central Finland; Irit Dulman israeliana ricercatrice e insegnante di stampa botanica; Jane Callender, inglese, nata e cresciuta in Malesia, ricercatrice, studiosa e insegnante della tecnica tradizionale dello shibori, delle tecniche ad ago e nell’uso dell’indaco naturale e ancora Sheila Rocchegiani e Ilaria Margutti, entrambe artiste italiane con il quale condivido il fare arte con sensibilità, competenza e passione per l’arte contemporanea. La mia formazione mi permette di tenere corsi per insegnare la lavorazione della lana dal fiocco, appunto, al filo. Ho avuto anche l’opportunità di insegnare feltro allo IED di Cagliari e di essere invitata a importanti convegni tematici. Negli ultimi lavori, quelli dedicati alle “connessioni territoriali” utilizzi – tra l’altro – la lana della pecora nera di Arbus di cui ti sei occupata in
più di un intervento. La scelta dei materiali ha anche un valore simbolico oltre alla funzione tecnica? PA: Da dieci anni ho eletto la lana della Pecora Nera di Arbus come materiale prediletto. Questa lana ha la particolarità di essere di un nero straordinario. Altro elemento caratterizzante è che questa pecora è una biodiversità di cui si contano appena 4.000 esemplari in tutto il mondo e di queste 2.000 si trovano proprio ad Arbus, paese sardo del sud-Sardegna. Questo paese e il suo territorio hanno una storia importante. Fino agli anni ’60 la sua economia si divideva tra la pastorizia e l’attività mineraria. Le miniere della vicina Bugerru furono il teatro del primo sciopero operaio in Italia e molti dei paesi della regione del Sulcis ebbero un forte impulso dall’attività estrattiva che determinò anche una significativa crescita demografica ed economica. Cessata l’estrazione, però, molte persone, specialmente giovani, emigrarono; così che la pastorizia divenne pressoché l’unica attività da cui le famiglie potevano trarre sostentamento unitamente a una nuova presenza, quella turi-
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stica, in un territorio incontaminato ma anche carente di servizi. Inizialmente andavo ad Arbus principalmente per reperirvi la lana. Il territorio è un susseguirsi di montagne, colline, piccole piane, mare, paesaggi minerari e, diversamente dal resto della regione, quando vedi animali al pascolo questi possono essere pecore ma anche molte capre. I pastori locali spesso le allevano entrambe e le loro greggi non sono mai solo bianche, anzi spesso sono bianche e nere, oppure solo nere. Credevo che la Pecora Nera di Arbus, meno performativa della razza bianca, si fosse conservata in questo territorio per affetto e tradizione. Ma la vera ragione risiede nella relazione che si instaura tra le caratteristiche della pecora nera e il suo territorio. Queste conoscenze acquisite negli anni di frequentazione mi hanno indirizzato naturalmente verso una modalità operativa incentrata sulla relazione tra arte, territorio, società in un flusso che riconduce ai cardini dell’arte relazionale. In questo habitat sono nati almeno due miei grandi progetti: “Il viaggio di un filo di
lana” realizzato nel 2019 e “Connessioni territoriali” tuttora in divenire. Il primo è un progetto immateriale nel quale il filo di lana non diventa opera ma è piuttosto concetto, pensiero, azione dove lo spettatore, se vuole, può prendervi parte. Nel secondo progetto la fibra o, meglio, le fibre sono diventate quattro opere tessili di grandi dimensioni. Con l’operazione “Il viaggio di un filo di lana” ho realizzato un ordito simbolico su tutto il territorio italiano piegato a diventare, per l’occasione, il mio telaio. In scooter, per 17 giorni ho consegnato ai Sindaci delle città che ho visitato qualche metro di filo di lana di pecora nera di Arbus. Attraverso questa operazione tutta l’Italia è stata unita da un filo di lana, che per quanto fragile preso da solo, può creare legami umani e territoriali forti e duraturi. Questo progetto è stato seguito via Facebook da un vasto pubblico che lo ha sostenuto e alimentato in vario modo. Volevo dimostrare che attraverso l’arte si possono generare nuovi punti di vista, nuove prospettive, risposte, connessioni territoriali e umane.
Foto pietrinaatzori Ma è stato evidenziato anche un aspetto sociale legato alle minoranze. “Connessioni territoriali” invece è un lavoro che si sviluppa su tavole di legno in cui ho composto successioni orizzontali o circolari di lana di Pecora Nera di Arbus, bianca di Mamoiada e di Nurri. Ho posto in relazione fibre di animali di territori diversi. Ho creato una relazione con un’altra fibra animale prodotta ad Orgosolo, la seta, lavorata finemente all’uncinetto a racchiudere il bozzolo da cui prende origine; con la lana rossa, tinta con tecniche naturali, lavorata all’uncinetto e ricamata, associo alluminio, a formare terre e isole, meteore e costellazioni, universi dove la materia esercita attrazione e repulsione. Poi arriva l’accostamento del ferro, in tessere squadrate, ossidate dall’umidità della notte, dalla pioggia, dal vento che leviga, e infine quello della lenza, un tempo filo resistente ricavato da fibre vegetali o animali e oggi di nylon, in un confronto tra materie compatibili e incompatibili, in un sistema ecosostenibile. Oltre alla lana, impieghi molti filati, fibre e tessuti – nonché materiali – di scarto oppure
diventati inutili o superflui. È una scelta etica, filosofica, concettuale o cos’altro? PA: Nella scelta dei materiali privilegio quelli che hanno un rapporto con la natura, sia animali che vegetali, e quelli disponibili nel quotidiano o non più usati del passato, possibilmente non acquistati, a meno di particolari esigenze. Altra caratteristica, devono avere un’anima. Studi tessili delle culture di popoli nel mondo mi hanno permesso di conoscere i Boro giapponesi. Si tratta di capi di abbigliamento e per la casa – kimono, pantaloni, coperte, borse – che i pescatori del nord del Giappone confezionavano con frammenti piccolissimi di cotone che cucivano con piccoli punti sashiko. I Boro racchiudono i “principi estetici ed etici della cultura giapponese, come la sobrietà e la modestia (shibui), l’imperfezione, ovvero l’aspetto irregolare, incompiuto e semplice (wabi-sabi) e soprattutto l’avversità allo spreco (mottainai) e l’attenzione alle risorse, al lavoro e agli oggetti di uso quotidiano”. Da questo incontro la scelta dei materiali è diventata per me una scelta etica e filosofica
irrinunciabile che estendo anche alla loro provenienza. Dalla conoscenza della tradizione dei Boro è nato il “Kimono Boroboro”. Ho sentito la necessità di immedesimarmi nella vita di un pescatore giapponese che ha bisogno di cucire un abito per coprirsi e a questo scopo utilizza tutto, ogni singolo pezzetto di stoffa. Volevo conoscere ed entrare nel presente di una storia, sentire il sapore e il dolore del passato in contrasto con la condizione di abbondanza, di superfluo del consumismo, che caratterizza la nostra epoca. Per questa operazione/opera ho chiamato a raccolta “i mercanti di stracci” contemporanei, cioè tutte quelle persone che avrebbero potuto contribuire a realizzare il mio progetto. Ho lanciato un appello sul mio profilo FB affinchè chi voleva poteva farmi avere dei pezzi di cotone blu e gugliate di filo dismesse. Per tre mesi ho cucito punto dopo punto minuscoli ritagli di stoffa con gugliate a volte lunghe appena 20 cm, materiali arrivati da tutta Italia. Ho lavorato fino a perdere la sensibilità dei polpastrelli, ma
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volevo vivere sulla mia pelle questa esperienza, vedere cosa ne avrei tratto. Ho compreso che anche un pezzo di tessuto può avere una sua sacralità. Dipende da come lo usi, dal valore che dai al tuo gesto. Da BoroBoro in poi ho molti “fornitori” di stracci, fili e materiali. Tra i tanti, un’amica volontaria in un’associazione che si occupa di rifugiati. Tra le attività dell’associazione c’è lo svuotamento di appartamenti che cambiano proprietà. Con il recupero dei mobili, elettrodomestici e altre suppellettili si arredano gli alloggi dei rifugiati, specialmente donne. Spesso in queste abitazioni da liberare si ritrovano i cestini del cucito, del ricamo o dei lavori a maglia, anche tagli e ritagli di qualche donna che probabilmente praticava la sartoria. Da alcuni anni questi materiali raggiungono il mio studio. Fin dalle prime volte, aprire e frugare nei pacchi che arrivavano è stato estremamente emozionante. Ricordo la volta in cui mi portarono una trentina di mutande appartenute al corredo di suore di clausura dei primi del novecento. Fu una folgorazione! Da quelle mutande, nel 2016, nacque l’installazione “Anche il clero porta le mutande” che ho esposto per la prima volta al Paulo Setubal Museum di Tatuì nello Stato di San Paolo e successivamente, con il titolo “Linfe”, nelle Marche e poi a Cagliari. Sedici mutande che ho tinto con le radici di robbia ad evocare il sangue mestruale e “indossate” su supporti sintetizzanti la figura umana, realizzati con rami d’albero, in parte scortecciati con tagli secchi e imprecisi indicanti lo slancio trascendentale che anima i corpi. A terra la parte grossa delle gambe, impiantate nell’argilla, descriveva la dimensione esistenziale di matrice terrestre, ben radicata al suolo, che tenta di elevarsi, farsi essenza, non arrivando mai davvero a trasfigurarsi. Un altro lavoro nato da ritagli di tessuto e grovigli di fili di ricamo sono “I pezzinni” piccole opere in cui ogni frammento diventa memoria e si eleva a oggetto prezioso. Scarti scampati al macero, all’oblio; recuperati, riuniti, assemblati,(segue pagina 16)
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(segue dalla pagina 15) cuciti, ricamati in piccole forme diventano sculture dell’anima. Sempre con scarti tessili ho realizzato numerosi libri d’artista. “Graffito” e “Botanical explorations” sono due opere la cui forma e dimensione delle pagine si ispirano alle LungTa, le bandierine di preghiera tibetane. In entrambi i libri, le pagine recano il messaggio di tutti coloro che esplorano la natura, la onorano e la rispettano. “Tensioni precarie in equilibri precari” invece sono sculture ricavate da parti metalliche probabilmente appartenute a legni naufragati che la forza del mare ha ridotto a frammenti. Le correnti galvaniche hanno procurato piccole fessure in cui affacciarsi per immaginari da ricamare; concrezioni marine formatesi durante la vita nel fondale diventano musa ispiratrice. Li avvolgo con fili di vari spessori, in una tensione ricercata nell’incerto equilibrio dei metalli, metafora evidente della precarietà dell’esistenza. Quali sono le tecniche che utilizzi per le tue opere? E cos’è il tuo “ricamo contemporaneo”? PA: Nelle mie opere utilizzo tutte le tecniche che conosco. Le piego alle mie esigenze e spesso tendo a scompigliare le regole della tecnica. Talvolta cerco di operare come se non impiegassi quella tecnica per la prima volta, ad esempio utilizzando gli attrezzi con la mano destra invece che con la sinistra (io sono mancina). In questo modo ottengo dei lavori che sembrano realizzati da chi non conosce la tecnica o da chi ancora la maneggia da principiante. Mi piace molto provare a decostruire il mio saper fare: mi permette di esplorare nuove soluzioni. Capitolo a parte è il ricamo. Mentre con le altre tecniche ho un rapporto di vecchia data, con il ricamo ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Più di altre tecniche, infatti, il ricamo tradizionale è estremamente lento e costrittivo per il mio bisogno di spazio; così ho trovato un mio personale modo di praticarlo. Il mio ricamo contemporaneo è un ricamo spesso di grandi dimensioni e realizzato su superfici inedite come lo skai (o finta pelle) oppure la rete metallica – quella a quadretti di un centimetro per lato – ed anche sulla carta.
La carta è la base su cui realizzo molti prototipi di grandi installazioni. Per i fili spesso attingo ai materiali usati dai pescatori reti e sagole poiché questi materiali sono particolarmente resistenti e duraturi. Nel mio ricamo contemporaneo mi capita di includere anche altri materiali che assemblo sulla superficie, in una composizione che può essere un po’ patchwork, intreccio, ricamo e cucito a macchina. Con questa tecnica utilizzo materiali contemporanei per realizzare opere che trattano i temi della contemporaneità, prevalentemente grandi installazioni pubbliche come “Intragnas” e “MigrAZIONI”. Lavori che affrontano i temi dell’attualità – come appunto l’opera permanente MigrAZIONI. Quali altre sono le tue fonti di ispirazione e come nascono le tue opere? PA: Spesso i temi attuali sono fonte di ispirazione che si traducono in opere – necessità ma anche contributo, il mio personale, per dire che attraverso l’arte possiamo impegnarci, partecipare, denunciare, proporre punti di vista che vanno oltre il presente. In quest’ottica nasce l’installa-
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zione “MigrAzioni”, un lavoro in cui interpreto gli ostacoli del viaggio verso la libertà, percorso intralciato da barriere personali e sociali. Qui ho utilizzato la tecnica del ricamo contemporaneo per intrecciare significati e significanti. Su una sottile ma robusta rete metallica sono drappeggiati fiori di plastica stilizzati, assemblati e cuciti con la macchina da cucire e a mano. Questa vela non potrà mai trattenere il vento, trasformandosi così nell’immagine di un’assoluta immobilità. Attualmente la vela è installata in una piazza pubblica su un legno che circa 20 anni fa ha traghettato nell’isola i primi profughi provenienti dal nord Africa. Su vibrazioni emotive universali nasce invece “Intragnas”, opera di arte pubblica commissionata da un Comune isolano per installarla sul muro all’ingresso di una scuola. “Intragnas” parla di emozioni e sentimenti. Un grande ricamo a campiture ampie realizzato su skai con grosse lenze nere e rosse. Al centro è il senso di precarietà in cui l’umanità si sta impantanando. Il contemporaneo fenomeno
migratorio se osservato oltre ogni partitismo, nazionalismo, razzismo, fedi religiose opposte, guardato con empatia e rispetto non è altro che il teatro delle emozioni, delle paure, delle, speranze, dei sogni, degli odi, degli amori, delle aspettative tradite e di quelle soddisfatte, dei privilegi, della rabbia, della frustrazione. In questo teatro, se venisse spenta la luce non ci sarebbero bianchi e neri, musulmani e cristiani, migranti ed esuli, ricchi o poveri, belli o brutti, ma solo dei fili luminosi la cui luce si manifesta in tonalità che si riconducono ai sentimenti che provano. E sapete quale è la scena che si presenterebbe ai nostri occhi? Scopriremmo di essere un unico popolo. Altre volte invece ho un approccio istintuale. Curiosità, emozioni, sensazioni, ricordi sono ciò che fa nascere in me il bisogno di raccontare delle storie. Quando questi stati si incontrano con la materia, l’intangibile diventa tangibile, l’idea diventa forma/oggetto. L’opera che ne scaturisce diventa il mio racconto, a volte anche quello che non sapevo di voler raccontare. Realizzata da Barbara Pavan
e Galleria Macca di CAGLIARI; “PARTITURA PER AGO E FILO” Pietrina Atzori e Gianluca Verlingieri – CUNEO. (2018) Murales “PUNTO GAMMA” di Rosaria Straffalaci – VILLA SAN GIOVANNI – RC. (2019) BIXINAU Residenza internazionale arte contemporanea- a cura di IVYNode – NURRI. (2010-11-14) Expo “Filo, lungo filo un nodo si farà” ed. 2010, Villaggio Leumann – TORINO; (2011) CONCORSO: “PURA LANA SARDA” – Concorso di idee per la realizzazione di prototipi in Lana di Pecora Sarda (8° clas.) promosso da Provincia di Sassari – CNR Ibimet Sassari e CCIAA Sassari – SASSARI. (2012) “Geo&Geo” su RAI 3 RADIO TELEVISIONE ITALIANA. (2019) Collaborazione alla stesura del disciplinare sulla lana per MARCHIO PECORA NERA DI ARBUS. Foto pietrinaatzori
PERFORMANCE E VIDEOARTE: (2016) “POSEIDONIA” performance di e con Pietrina Atzori e Rosaria Straffalaci – porticciolo San’Elia – CAGLIARI. (2017) “SINTESI” performance di e con Pietrina Atzori, Rosaria Straffalaci, Mixa Fortuna e Mario Massa – Festival Sant’Arte I°ed. – Fondazione Sciola – SAN SPERATE. (2018) “AEQUA NOX” performance di e con Pietrina Atzori e Rosaria Straffalaci – Filanda Cogliandro a VILLA SAN GIOVANNI – RC; “HUMAN SIZED BOUQUET” performance di e con Pietrina Atzori e Rosaria Straffalaci – Festival Sant’Arte II°ed.– Fondazione Sciola – SAN SPERATE
Chi è Pietrina Atzori
Non c’è molto da aggiungere per delineare la personalità ed il lavoro di Pietrina Atzori oltre al ritratto esaustivo che esce da questa lunga intervista. Non mi rimane che segnalare le sue mostre ed i suoi interventi negli ultimi anni: (2012) “Il Feltro dello Sciamano – sulle orme di Joseph Beuys” Biella; “OPERE TESSILI DA INDOSSARE” Abilmente – VICENZA. (2013) “INTERSEZIONI” Museo Florestal O.Vecchi – S.Paulo – BRASILE; “Artistic and Altered Books” G.I.L.D.A. Concorso Internazionale – PARMA. (2014) “BORO-BORO” Mostra abiti realizzati con materiali di riciclo – CAGLIARI; “Artistic and Altered Books” G.I.L.D.A. Concorso Internazionale – PARMA. (2015) “BOOK SEEDS” – VIII Festival del libro d’artista – BARCELLONA; “Strati- LAYERS” con Sheila Rocchegiani – VERONA TESSILE – VERONA. (2016) “Reflexões” – Mostra Personale – Sao Luis do Maranhao – BRASILE;
“Anche il Clero porta le mutande” mostra personale Museo Historico P.Setubal – Tatuì – BRASILE; “Linfe” installazione Festival Arte Contemporanea NOTTE NERA – SERRA DE CONTI; “Linfe” installazione Alig’Art – EXPO Centro Culturale LAZZARETTO – CAGLIARI. (2017) “Io sono – Arte” – Mostra collettiva Galleria BERGA – VICENZA; “Pensieri duraturi – un punto per volta” – Mostra Personale – ASSEMINI. (2018) HOPING Percorsi visivi sulle migrazioni – Mostra collettiva– CAGLIARI. (2019) VERSO ORIENTE – Mostra collettiva – Centro Giovanni Lilliu – BARUMINI; BIXINAU – Residenza e Mostra arte contemporanea Convento Santa Rosa – NURRI; 20X20 SEGNI – Mostra collettiva – ORISTANO; CONNECTING PEOPLE – Mostra arte contemporanea – MAMOIADA; INVENTARIO 20 – Biennale FiberArt – Museo MURATS – SAMUGHEO. INSTALLAZIONI ED ALTRI PROGETTI: (2010) “Cuncambias Festival”, Direzione Artistica – Creazione e installazione
Vertical Garden – SAN SPERATE (CA); “Festival Marina Cafè Noir”, INSTALLAZIONE PERMANENTE GIARDINO VERTICALE contenitori in feltro di lana sarda – CAGLIARI. (2011) “Festival Posidonia”, INSTALLAZIONE PERMANENTE GIARDINO VERTICALE contenitori in feltro di lana sarda – CARLOFORTE; “Felt United” Parco delle pietre sonore – Pinuccio Sciola a San Sperate. (2012) “Festival do Castanho – Montalegre PORTOGALLO. (2017) “INTRAGNAS” trittico 3,2×1,90 Via Portotorres – ASSEMINI. (2018) “SUL FILO DEL TEMPO” Installazione 50’ anni Muralismo – SAN SPERATE; “MigrAzioni” Installazione ricamo contemporaneo – SAN SPERATE. PARTECIPAZIONI E COLLABORAZIONI: (2017) Murales “FABULA” di Rosaria Straffalaci – ASSEMINI; “Andando via” omaggio a Grazia Deledda – Partecipazione all’Asta di opere d’arte organiz. Archivio Maria LAI
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PREMI: (2010) “Filo, lungo filo un nodo si farà”, Villaggio Leumann – TORINO; (2013) 1° premio “G.I.L.D.A. Concorso Internaz. Artistic and Altered Books” – PARMA. (2019) Premio Biodiversità “Concorso Internaz. “Trame a Corte – Cosa mi metto in testa” – PARMA. Curata da Barbara Pavan bibiva69 https://filifor.wordpress. com/2020/10/25/ http://pietrina-atzori.blogspot.com/ h t t p s : / / w w w. f a c e b o o k . com/Pietrina-Atzori-Textile-felt-nature-explorer-1425937367670810 E-mail: pietra64@yahoo.it
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Stupid Girl: appunti su una ricerca di Laura Catigno Settantanove Saddi : Salva Laura, come nasce una Stupid Girl? Durante le mie ultime mostre è capitato di frequente che, in merito ai lavori esposti, mi venisse fatta la domanda: “Con quale tecnica è realizzata?”. E non sempre la risposta “si tratta di una tecnica mista: collage, pittura acrilica, pastelli a olio, colori a olio e, alcune volte, inserti di stoffe” è stata sufficiente. Perciò vi voglio raccontare tutto, passaggio per passaggio. Una Stupid Girl nasce da una visione, seguita da ricerca compositiva e di materiali, vari tentativi, qualche intuizione e molta pazienza. PROGETTO Per prima cosa si deve focalizzare nella mia mente che cosa voglio esprimere e che composizione formale avrà, in base a ciò che mi serve scelgo il formato del supporto e dove collocare il soggetto. Una volta che questo mi è chiaro, inizia la ricerca nelle edicole finchè non trovo una rivista “femminile” che mi soddisfi per qualità delle foto e della carta. Non potendole sfogliare in loco, spesso ne acquisto diverse. Se il progetto prevede degli inserimenti particolari, allora la ricerca prosegue nei negozi dell’usato in cui posso trovare libri o enciclopedie mediche o su fauna e flora. Una volta tornata in studio, sfoglio tutto il materiale e inizio a mettere da parte ciò che cattura la mia attenzione finchè non finisco sommersa dalla carta. Segue la fase dell’incollaggio. Ho provato diverse colle e, a mio parere, la migliore rimane la vinavil perchè oltre a permettermi un riposizionamento della carta, mi ga-
Foto lauurasaddifacebook
aura Saddi è nata a Cagliari nel 1979. Negli ultimi anni vive e lavora a Sinnai. Partecipa a diverse esposizioni in Sardegna e in Italia. I suoi lavori sono presenti in diverse collezioni private.
LAURA CATTIGNO 79 SADDI rantisce anche la durata nel tempo. Dopo aver diluito leggermente la colla, la stendo sul retro dell’immagine con un pennello, la faccio aderire al supporto e dopo passo un rullo per pasta così da distribuire la colla in maniera uniforme e da eliminare eventuali bolle d’aria. Una volta che la colla è asciutta procedo con lo sfondo che, solitamente, ha tre mani di pittura acrilica. Quindi con un’ocra rosa o un bianco antico vado a coprire interamente il volto lasciando liberi solo parte degli occhi, il naso e le labbra. Contemporaneamente inizio a deformare l’immagine allungando o riducendo fronte e menti e cancellando ogni proporzione. In questa fase utilizzo varie tonalità di terre, ocra, bruni inizialmente puri e poi tagliati con un medium (dal ritardante al vetrificante) così da poter ottenre delle sorte di velature che mi aiutino a costruire i volumi del volto. Poi, principalmente col bianco e il nero dipingo col-
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letti o vestiti o tentacoli. Come colori utilizzo principalmente gli acrilici Maimeri e Lefranc Bourgeois. PASTELLI AD OLIO Questa è la mia fase preferita ed è molto importante scegliere bene il materiale. In commercio esistono tantissime varietà di pastelli, ma non tutti hanno la stessa resa: i migliori in assoluti sono i Sennelier che, inoltre, offrono una vasta gamma di ocre e terre; non sono male nemmeno i Caran d’Ache. Queste marche sono molto morbide perciò diventa più semplice “impastare” con le dita per ottenere una maggiore plasticità. Parto dai toni più scuri per togliere fuori le luci. Mai usare il nero per le ombre, il colore più scuro che utilizzo è il bruno Vandyck che doso in maniera estremamente parsimoniosa, se fossero necessari interventi più marcati li ottengo col verde vescica e il blu oltremare. Anche il bianco va tenuto sotto controllo per evitare l’effetto muro, l’ideale è splamarlo con il giallo
di Napoli per ottenere una maggiore luminosità. PITTURA A OLIO Utilizzo prevalentemente i Maimeri classico e i pennelli Borciani-Bonazzi dallo 003 al 2 con cui vado a delineare gli occhi, le sopracciglia capelli o copricapi e qualche linea di contorno. DETTAGLI ANATOMICI Come ultima fase inserisco mani e orecchie. Riempio la mia vecchia scrivania di giornali, libri e materiale precedentemente selezionato e scelgo orecchie e mani quasi mai proporzionate, ma che si integrino per colore o composizione. VERNICE FINALE Quando ritendo che il lavoro sia concluso e verifico che l’olio sia asciutto, do una spruzzata di vernice finale spray e lascio asciugare ulterioremente. Alessandro Pedroni https://www.circolodarti. com/stupid-girl-appunti-su-una-ricerca-di-laura-catigno-settantanove-saddi/ Per info e costi scrivere a catigno.79@gmail.com
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iaggio tra i ricordi e le emozioni in “Cosa Rimane?” – la pièce ideata, scritta e diretta dal regista Karim Galici, andata in scena dal 14 al 18 ottobre all’ex Manifattura Tabacchi di Cagliari. Un’opera ispirata alle testimonianze e ai racconti delle donne e degli uomini che hanno lavorato nello storico opificio ma anche degli abitanti del quartiere della Marina. Uno spettacolo itinerante prodotto da Impatto Teatro – nell’ambito del progetto site specific “Storie di Manifattura” – per far rivivere tra le suggestive architetture dell’ex convento trasformato in fabbrica insieme alle diverse fasi della produzione i momenti preziosi e significativi dell’esistenza dei protagonisti – in un affresco di varia umanità. Un gioiello di archeologia industriale nel cuore della città (ri)diventa teatro: attori, danzatori e performers prestano corpo e voce agli “spiriti” del luogo, ne seguono le orme e conducono gli spettatori nelle Officine e nelle corti, per un percorso a ritroso nel tempo. Sotto i riflettori – tra luci e ombre, frammenti di una narrazione “corale” e poetiche variazioni sul tema – Cateri-
na Genta, Andres Gutierrez, Beppe Martini, Adriana Monteverde e Monica Zuncheddu insieme con Rosanna Argiolas, Angelica Adamo, Anna Cardis, Chiara Cocco, Cristina Copez, Silvia Devoto, Giuseppina Mannai, Alessandro Mezzorani, Daniela Mormile e Gianluca Picciau (la voce narrante è di Karim Galici). Coreografie di Caterina Genta, scenografie di Andrea Forges Davanzati realizzate insieme agli studenti del Liceo Artistico “Foiso Fois” di Cagliari con il coordinamento di Roberta Vanali (assistente scenografa Michela Pinna) e costumi a cura di Luciano Bonino. Disegno luci di Stefano Damasco e “colonna sonora” di Federico Leonardi, Matteo Muntoni, Alberto Obino, con il coordinamento tecnico di Stefano Cocco e la supervisione di Daniele Ledda.
“Cosa Rimane?” è una pièce di teatro contemporaneo, “immersivo” e esperienziale che inizia davanti al cancello dell’ex Manifattura, dove il viale Regina Margherita digrada verso il porto, tra scorci di mare e cielo, e l’aroma salmastro si confonde (nella memoria e nell’immaginario) con quello delle foglie della
solanacea. Come un’eco portata dal vento, una voce rompe il silenzio e introduce al “mistero” dell’antico opificio, alla sua storia plurisecolare e la metamorfosi da luogo di preghiera e meditazione, con la preziosa farmacia dei frati a stabilimento per la produzione di sigari e sigarette. Una figura riemerge dal passato – forse una delle tante sigaraie (interpretata dall’attrice e cantante Adriana Monteverde) che negli anni con le loro agili dita hanno riempito e arrotolato le foglie di tabacco, respirato le polveri e condiviso le giornate, conquistando una sorta di emancipazione. La manodopera era soprattutto femminile e quella redditizia impresa sorta sulle rovine dell’antico convento dei Francescani portò con sé una vera “rivoluzione” culturale e sociale, prima ancora che “industriale”, nel capoluogo e nell’Isola. Nelle parole della donna riaffiora la fatica ma anche la solidarietà tra le operaie, il fastidio e l’umiliazione per i rigidi controlli, all’ingresso e all’uscita, la durezza del lavoro a cottimo, ma anche l’orgoglio e la dignità di un lavoro riconosciuto e pagato.
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Foto MARCOMURA
COSA RIMANE ?
Nella pièce si fondono realtà e invenzione, episodi realmente accaduti e documentati e altri verosimili, le rivendicazioni delle sigaraie (dai moti popolari nel 1906 alle lotte sindacali dei decenni successivi) confluiscono in un monologo avvincente: un’altra voce di donna (quella dell’attrice Monica Zuncheddu) si leva vibrante e appassionata a rimarcare gli effetti tossici del tabacco ma soprattutto il contrasto tra la condizione dei dirigenti, al sicuro nell’elegante palazzina con vista sul Mediterraneo e quella degli operai, che rappresentano la vera “anima” della Manifattura. Nel rispetto delle distanze e delle norme antiCovid il pubblico assiste e “partecipa” ai discorsi infuocati e alla ribellione contro lo sfuttamento e le ingiustizie; rivede il gesto tenero ma sbrigativo di una madre che allatta il suo bambino nella nursery, nel tempo “rubato” al suo turno e dunque da recuperare; ascolta il racconto di Beppe Martini sulla realtà della fabbrica, tra il rumore assordante dei macchinari che ridisegna una geometria di suoni da seguire “a occhi bendati”. Una drammaturgia originale (firmata da Karim Galici, con la collaborazione di Adriana Monteverde, Andres Gutierrez, Emidio Porru, Beppe Martini e degli ex dipendenti della Manifattura Tabacchi con le loro preziose testimonianze, oltre ai contributi dei partecipanti al laboratorio di scrittura creativa diretto da Rossana Copez) fa riaffiorare il ricordo di ciò che accadeva oltre il cancello, dentro quelle mura. “Cosa Rimane?” rappresenta un moderno stationendrama, dove i personaggi si passano il testimone – tra silenziose apparizioni e visioni “oniriche”, scene di vita nella fabbrica e rare occasioni di svago trasfigurate in evocative coreografie (per condurre il pubblico attraverso il moderno labirinto dell’ex Manifattura Tabacchi) futura “fabbrica della creatività”. Un viaggio nella memoria della città – che potrebbe diventare un appuntamento fisso nella programmazione culturale (per (ri)scoprire uno spazio “segreto” e affascinante, simbolo dell’architettura industriale ma anche dell’evoluzione sociale ed economica del Novecento) fino alle soglie del terzo millennio. Anna Brotzu https://www.rumorscena.com/
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E’ ARRIVATO NELLA NOTTE TRA IL 3 E IL 4 NOVEMBRE IL DPCM CONTENENTI LE NUOVE MISURE PER CONTRASTARE LA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS. DOPO I TEATRI E I CINEMA, CHIUDONO ANCHE MUSEI E MOSTRE. LE GALLERIE D’ARTE RIMANGONO APERTE NELLE ZONE GIALLE E ARANCIONI
E’
stato firmato nella notte tra il 3 e il 4 novembre dal Premier Giuseppe Conte il Dpcm contenente le nuove misure per contrastare la diffusione da Coronavirus, nelle ultime settimane sempre più preoccupante su tutto in territorio nazionale e in Europa. Un decreto su cui Governo e Regioni hanno discusso a lungo, soprattutto per la misura che prevede la suddivisione dell’Italia in tre “zone” – di colore giallo, arancione e rosso – in base all’indice di rischio dei contagi. Nelle Regioni che si collocano in uno scenario di rischio “intermedio” o “alto” saranno applicate misure assimilabili a un lockdown, sebbene in forma “light”. IL NUOVO DPCM: CHIUSI I MUSEI E LE MOSTRE A prescindere dall’area di appartenenza delle Regioni, fino al prossimo 3 dicembre su tutto il territorio nazionale saranno applicate nuove norme e restrizioni. Dalle ore 22 alle 5 non sarà consentito spostarsi dalle proprie abitazioni se non per comprovate motivazioni (salute, lavoro, necessità); didattica a distanza al 100% per le scuole superiori, in presenza per medie ed
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elementari; chiusura dei centri commerciali nei weekend e nei giorni festivi; chiusura di musei e mostre. Con l’ultimo decreto, vengono così interrotte le attività di istituzioni e luoghi della cultura che ancora resistevano all’impennata dei contagi, dopo la chiusura di cinema e teatri arrivata con il Dpcm dello scorso 25 ottobre. Il decreto che doveva essere già attivo dal 5 novembre è slittato di un giorno, prevedendo la chiusura su tutto il territorio nazionale a partire da venerdì 6. Il rinvio è stato comunicato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa serale di mercoledì 4 novembre. Nel frattempo, diverse istituzioni su tutto il territorio nazionale avevano comunicato, nel rispetto delle normative imposte dal dpcm, la chiusura a giovedì 5 novembre, compresa la Biennale di Venezia. Riusciranno a riorganizzarsi e a garantire l’apertura? LE MISURE DEL DPCM DEL 3 NOVEMBRE Nelle Regioni facenti parte della zona gialla, saranno applicate le nuove norme generali valide per tutto il territorio nazionale. La situazione diventa più complessa per le Regioni in zona arancione, i cui abitanti non
potranno spostarsi da un Comune all’altro e in cui resteranno chiusi bar, ristoranti, pub, pasticcerie e gelaterie (è consentito solo l’asporto). Rimangono aperte invece tutte le altre attività commerciali (incluse quindi le gallerie d’arte). Nella zona rossa sarà invece in corso un vero lockdown (eccetto le scuole che resteranno aperte), con la chiusura di tutte le attività commerciali al dettaglio (comprese le gallerie d’arte quindi) e il divieto di spostamento verso altri Comuni e Regioni. Rimangono aperti i negozi di generi di prima necessità, tabacchi, edicole, parrucchieri e barbieri; chiusi bar e ristoranti che però potranno lavorare con le consegne a domicilio e l’asporto fino alle ore 22. NUOVO DPCM: L’ITALIA DIVISA IN ZONE Il nuovo Dpcm fornisce quindi tutte le nuove misure da seguire per tentare di contenere la seconda ondata della pandemia nel nostro Paese. Stando a quanto comunicato le Regioni in zona rossa saranno la Lombardia, il Piemonte, la Calabria e la Valle d’Aosta, mentre in zona arancione saranno la Puglia e la Sicilia. Desirée Maida https://www.artribune.com/