S'Arti Nostra Settembre

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Walls of Street Art Angelo Liberati Roberto Ziranu Anna Gardu “Andando via” MUDEC Franco d’Aspro Ambra Iride Secchi Alessandra Sarritzu Il retablo di Tuili Graffitismo e Pittura Murale Da Vito a Sennori Philippe Daverio Edoardo Tresoldi Cantina di Calasetta Sardegna UNESCO

Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Settembre 2020

Foto faustoferrara Direzione Artistica Rugiada Cadoni

S’ARTI NOSTRA


S’Arti Nostra

Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di

Demetra Puddu

Redattrice Artistica Anima la trasmissione “S’Arti Nostra” Collabora a Artis Aes Laureata in Lettere (curriculum moderno) à Università degli Studi di Cagliari Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari Liceo Linguistico I.T.A.S. “Grazia Deledda” Cagliari demetra.uddup@gmail.com

Vittorio E. Pisu Redattore Capo

Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/cagliarijetaime SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima

Supplemento al numero del Maggio 2020 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA

Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com&unisvers Commission Paritaire

ISSN en cours Diffusion digitale

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iniziativa, che rientra nell’ambito della programmazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Cagliari ed è curata dall’ATI Cooperativa Sant’Elia 2003 - Orientare Srl, offre uno spaccato del complesso mondo della Street Art attraverso eventi culturali, workshop, live painting e due mostre “Street Art | Le stanze del lockdown” e “Sardinian Surf Street Art”, che saranno inaugurate il 20 settembre alle ore 18 nella Sala Archi del Lazzaretto di Cagliari. “Street Art | Le stanze del lockdown” a cura di Asteras Associazione Culturale, propone il lavoro di tre artisti attivi nel contesto della street art in ambito regionale, nazionale e internazionale: Manu Invisible, Kofa e Marco Pautasso. Stili, generi, tecniche, luoghi, esperienze, immaginari costruiscono ambienti che richiamano le stanze in cui si sono trovati a operare durante il periodo di blocco dovuto alla pandemia generata dal Covid-19. Queste opere non sono finestre che si aprono su strade deserte, ma su un ideale di nuova umanità. “Sardinian Surf Street Art” a cura dell’Accademia d’Arte di Cagliari e della Sagra del Surf di Capo Mannu, presenta i lavori di tre artisti legati al mondo del Surf: Raku, Debora Lutzu e Salvatore Fenu. Con le proprie opere gli artisti lanciano un messaggio di sostenibilità ambientale attraverso il reimpiego di materiali recuperati sulla battigia, ma anche di rispetto nei confronti del Mare, inteso come luogo abitato da creature di piccole e grandi dimensioni, uno spazio che l’uomo non può controllare, ma dove può rifugiarsi con estremo rispetto. Gli eventi proposti nell’arco della Manifestazione saranno documentati attraverso reportage fotografici dagli allievi della Bottega della Luce.

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WALLS OF STREET ART dal 20 settembre 2020 all’11 ottobre 2020 Centro d’Arte e Cultura Lazzaretto di Cagliari Via dei Naviganti, 6 Cagliari Sant’Elia Tel : +39 070/3838085 info@lazzarettodicagliari.it S’ARTI NOSTRA 2

uesto numero di Settembre che arriva un pò in ritardo rispetto al calendario previsto avrebbe voluto parlare di molte più manifestazioni ed iniziative. Purtroppo la pandemia ha impedito alcuni eventi previsti di svolgersi come preventivamente annunciato, senza contare una certa propensione ad annunciare le mostre pochi giorni prima che si svolgano, abitudine alquanto locale, mi sembra, anche perchè ricevo da altre parti del mondo a inizio settembre, la documentazione di eventi che si svolgeranno alla fine di ottobre. Ma faremo come a Bosa dove quando piove lasciano piovere. D’altra parte avrei voluto parlare di un’aviatrice, situazione già rara di per sè, che ha trovato dimora in Sardegna in seguito al suo matrimonio con un originario di Sedilo. Nonostante le mie ricerche non sono riuscito a trovare più che queste informazioni sulla persona di Vian Cabantous: “Vivian Cabantous, Argentina, appartiene ad una ricca famiglia di allevatori di origine irlandese, provvenienti da Limerick. E stata sposata con Lelio Zonchello, classe 1928, discendente di una ricca famiglia di Sedilo di proprietari terrieri. La sua passione fin da giovanissimo è per il volo e per i cavalli. Si laurea a Napoli e, dopo essere divenuto orfano e aver perso il fratello, lascia il suo paese natale per andare nella penisola e conseguire i brevetti di volo per diventare aviatore. L’amore per i cavalli lo portarono a conoscere la futura moglie, la bellissima Vivian Cabantous, a Villa Borghese durante le fasi finali del tirocinio di volo”. Credo inoltre che la sighnora Cabantous sia ancora in vita perchè ho trovato una sua intervista realizzata da Videolina e consultabile a questo indirizzo https://www.videolina.it/articolo/tg/2020/09/13/bari_sardo_ vivian_cabantous_la_prima_aviatrice_professionista_in-781058972.html Se qualcuno avesse delle informazioni, o potesse mettermi in contatto con la signora Cabentous gliene sarei veramente grato. Per il resto e come d’abitudine, potrete trovare una piccola scelta eclettica et molto personale di avvenimenti, eventi, manifestazioni ed iniziative che spero solletticheranno il vostro desiderio d’Arte e allietteranno questo fine dell’estate un pò diverso che stiamo vivendo tutti. Mentre, come al solito, tra proclami regionali e giudizi del tribunale Ammnistrativo non si sa più che pesci pigliare, vecchi annunci si ripropongono al nostro interesse ormai completamente blasé. Sembra che l’Ospedale Marino (ex Colonia Dux) sarà finalmente trasformato in struttura alberghiera e che fino alla Scala di Ferro (sic) ridiventerà un albergo. Come ogni volta possiamo far finta di crederci, nel frattempo altri fronti si aprono e come se non bastasse quello dell’aliga, non ancora risolto, il Municipio di Cagliari ha deciso di tagliare un pò d’alberi non solo a Buon Cammino, anche in Viale Trieste, in Viale Armando Diaz ed a Calamosca, ma fino nel Largo Carlo Feroce, dove le famose jacarande, vanto della cittadinanza tutta intera, sono state condannate ad essere abbattute. Nel frattempo alcune iniziative contro venti e maree contrari persistono e ci danno prova della vitalità del tessuto artistico sardo e non solo. Ringraziamo sinceramente gli Artisti che, abituati a operare spesso e volentieri nelle condizioni le più difficili, non si sono lasciati impressionare ne dal confino al quale sono stati costretti, ne alla penuria di materiali, superfici e mezzi che li hanno costretti, come hanno ormai l’abitudine, a creare assolutamente dal niente o quasi. Salutiamo anche i premi meritati sia dagli artisti che dalla produzione vinixcola della Cantina di Calasetta, un’altra forma d’Arte senza alcun dubbio, che trovano riconoscenze ed encomi anche e sopratutto fuori dall’isola. Un piccolo clin d’oeil al ristorante “da Vito a Sennori”, un’altra forma d’Arte gastronomica ancora per fortuna praticata in Sardegna per il nostro ed altrui godimento. Augurandovi di ritrovare, dopo le vacanze ben meritate, un ritorno se non proprio alla normale, mascherine e distanze di sicurezza obblige, ad una positiva ed ottimistica serenità. Non dimenticatevi il nostro canale televisivo con interviste e reportage sugli ultimi avvenimenti artistici che potete trovare a https://vimeo.com/channels/sartinostra, trasmissione animata da Demetra Puddu che firma qui un’intervista. Vittorio E. Pisu


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una sera di Giugno. Mentre Cagliari si staglia su un cielo dorato, mi insinuo tra le storiche vie anguste della zona “Castello”, fino a raggiungere la Galleria Siotto, dove sono esposte le opere visive di Angelo Liberati. In Galleria è presente l’Artista, un uomo magro dai folti capelli, che risponde al mio saluto con uno sguardo severo e indagatore. Solo dopo una lunga chiacchierata riesco a motivare quello sguardo penetrante con la capacità dell’Artista di saper guardare analizzando. La mostra raccoglie le opere sotto il nome di “Stickers”, quasi a suggerirne la caratteristica più rilevante: le immagini che traspaiono dalla tela assomigliano a quei ricordi che si ripropongono in modo violento alla mente. Di fronte alle tele di Liberati, così come accade durante tali epifanie, è difficile rimanere indifferenti. Angelo Liberati, la tua formazione inizia a Roma negli anni Sessanta, mentre nel Settanta ti sei trasferito in Sardegna. In che modo ha influito nella tua elaborazione artistica il confronto con un nuovo contesto sociale e culturale?

Foto chiara cossu

ANGELO LIBERATI

mo “ancora di salvataggio”, per non rimanere impantanati nel Realismo, ancora imperante. Si è potuto inizare a portare in superficie più momenti della realtà quotidiana. La Pop-art è stata un’”ancora di salvataggio”? É stato l’arrivo in Italia della Pop-art americana a indicare l’altra via d’uscita dal linguaggio realista. L’evento che sugellò questo incontro fu la Biennale di Venezia del 1964. A Robert Rauschenberg andò il premio come miglior artista straniero. Da quel momento, tutta l’arte risentirà del coinvolgimento con la realtà quotidiana, perchè la pop-art sprigiona la realtà, mediata dai mezzi di comunicazione. Lo scossone principale arrivò con la cultura delle immagini a colori. E così si profila la necessità per la pittura di essere altro: non solo essere contenuto, ma anche forma. Così, negli anni sessanta, le mie opere hanno mediato questo mondo ricco di immagini. E con l’arrivo delle riviste patinate, è possibile attuare il cosiddetto “transfer drawing”, ovvero trasferire le immagini da un supporto a un altro. Le suggestioni arrivano dal cinema, dalla musica, alla pubblicità. Ricordiamo un nome per tutti: Armando Testa. Osservando i tuoi lavori, sembra che si racconti una storia attraverso dei “fermo-immagine”, come il ritmo discontinuo di un percorso tra i ricordi. In questa mostra, quali storie stai raccontando? Oggi piace molto parlare di “narrazione”, e tutti vogliono una storia. La storia che c’è dietro le mie opere è quella di due generazioni, degli anni Trenta e Quaranta, le quali hanno fatto in tempo a vedere la trasformazione in modo vertiginoso di una parte del mondo occidentale. Nei miei lavori ci sono le testimonianze di queste trasformazioni. Testimonianze che potevano essere insignificanti, ma affascinanti allo stesso tempo. In egual modo mi sono servito di importanti testimonianze, declinate con riferimenti a Luchino Visconti, Bernardo Bertolucci, Michelangelo Antonioni... Ho riportato inoltre un passaggio del testo di uno dei migliori semiologi dell’epoca, (segue pagina 4)

Mi sono trasferito definitivamente a Cagliari nel 1970, ma frequentavo la Sardegna dal 1965; è da quel momento che ho iniziato a seguire la realtà e i problemi della Sardegna. Il mio punto di riferimento restava ovviamente Roma, ma non mettevo a confronto i due ambienti, tutt’al più verificavo la qualità delle arti visive nell’Isola. Gli anni tra il 1965 e il ‘70 mi hanno permesso di capire che Cagliari mi andava bene, è una città medio grande con buone caratteristiche culturali. La mia prima mostra si era tenuta nel 1968, nella galleria “Il Pennellaccio”. A quel tempo questa galleria era abbastanza in linea con tutte le galleria d’Italia, già dal ‘65 in Sardegna erano presenti artisti di un certo spessore. Il Pennellaccio era il posto in cui si potevano incontrari tutti, sia i giovani che gli anziani; come Foiso Fois. Foiso, come Renato Guttuso a livello nazionale, è stato l’unico a utilizzare un linguaggio dell’arte coerente con le condizioni di quegli anni. In questo spazio ho realizzato le frequentazioni più profique: Gaetano Brundu, Tonino Ca-

sula, Primo Pantoli. A Cagliari ho trovato un terreno fertile per arricchire quella che era già la mia professione in ambito romano; infatti, se si guardano le mie prime opere si può capire da quale scuola provengo, e questo significa che un certo modo di fare pittura stabilisce un linguaggio e che, tramite il modo di organizzare segni e colori nella superficie, possiamo stabilire la provenienza di questo linguaggio. Spesso le tue opere accolgono riferimenti ad altre arti come il cinema, la musica o la letteratura. Attraverso quale processo riesci a condensare in un’opera questi diversi stimoli? É abbastanza complesso e semplice. Viviamo in un’epoca in cui le informazioni arrivano subito e tutte insieme. Anche quando ero giovane, recepivo comunque una valanga di informazioni. Gli artisti aggiornati, che avevano le antenne puntate per acquisire quello che succedeva in Italia e all’Estero, avevano colto al volo importanti segnali. Alcuni artisti delle generazioni anni Trenta e Quaranta hanno conosciuto quella che io chia-

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vedi i video vimeo.com/284675705 vimeo.com/342282077

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Angelo Liberati (Frascati, 2 giugno 1946) è un pittore italiano. A Roma nei primi anni sessanta frequenta la Scuola Comunale di Arti Ornamentali e dal 1964 conosce e frequenta lo studio del pittore italo-argentino Silvio Benedetto. Entra in contatto con le esperienze della Pop Art romana, frequentando le gallerie romane più importanti in quegli anni: Galleria Due Mondi, Il Fante di Spade, L’Attico, La Nuova Pesa. Nel 1970 si trasferisce in Sardegna, dove porta una ricerca influenzata dalla Nuova Figurazione. A contatto con le neoavanguardie isolane - Galleria Sinibaldi, Il Basilisco (di Francesco Tanda), Arte Duchamp - elabora una poetica che affianca alla componente pittorica il linguaggio della Poesia visiva e le tecniche della Pop art (décollage, collage) e che all’ordine logico sovrappone quello dell’intuizione poetica. Il suo segno grafico è influenzato da Renzo Vespignani. Tematiche di impegno civile e di denuncia emergono spesso nei suoi lavori, fin dagli anni sessanta, come pure la sensualità del nudo femminile e la scrittura; a queste si aggiungono, a partire dagli anni ottanta, tracce di memorie storiche locali. Altra caratteristica ricorrente nella sua produzione pittorica sono i riferimenti iconografici al cinema (Fragole e Sangue, ; ciclo sul cinema di Luchino Visconti, 2006, dipinti dedicati ai film di Michelangelo Antonioni, nel centenario della nascita, 2012) alla musica e alla letteratura ( Dante Alighieri, LudovicoAriosto, Bob Dylan). Il lavoro di Liberati è stato documentato da diversi cortometraggi e opere di videoartisti (Tonino Casula, 1981; Andrea Frisan, 2003; Gino Melchiorre, 2004, 2005, 2008, 2011, 2012, 2013). Wikipedia

Foto robertoziranu

(segue dalla pagina 3) Emilio Garroni, o ancora citazioni di Bob Dylan, Leonard Cohen, Nick Drake... Continui ancora oggi a “studiare” i pittori che ti hanno preceduto; se sì, quali autori stai prendendo in considerazione ultimamente? Certo che sì. Le letture che prediligo sono i volumi sintetici ma pregnanti, come quelli di Angela Vettese: informa con un linguaggio aggiornato, non sempre facile. Un po’ la contraddizione di Renato Guttuso, che va inteso come esempio a proposito dell’eterna discussione tra contenuto e forma. Tutto mi piace, e leggo con molto interesse riviste che ormai stanno morendo. Questo è il dramma. Secondo te, esiste oggi arte d’avanguardia? Certo. Esiste come esiste l’arte contemporanea. L’arte d’avanguardia emerge dalla superficie dipinta come non siamo abituati a concepirla, ciò non mi impedisce di prestare attenzione a forme d’arte visiva e mostre organizzate in spazi di nicchia, che usano i materiali che non uso, o i supporti che io non uso. Demetra Puddu

L’età del ferro Roberto Ziranu A cura di Alessandra Menesini

Da sabato 19 settembre a domenica 4 ottobre 2020

Aperture dal giovedì alla domenica dalle 19 alle 21. Ingresso solo su prenotazione:

galleriasiotto@gmail.com Galleria Siotto Via dei Genovesi, 114 Tel. +39 070 682384 fondazionediricerca@ fondazionegiuseppesiotto. org

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, la zappa, strumento tagliente. Quasi un’arma, che affonda nella terra perché possa poi germogliare: nonostante i sassi, nonostante la durezza delle zolle. Aggeggio da lavoro agricolo? Non solo, se a osservarne la struttura è un indagatore di forme. È un appassionato battere e levare, quello di Roberto Ziranu. Discendente di fabbri, fabbro egli stesso e artista che costringe il ferro ad arroventarsi e a splendere. Sono i colpi di martello sulla vetusta incudine a modellare i Corpetti, e il cannello a coprirli di tinte dorate, brunite, cerulee. Identiche cromie, molto spesso e trionfante il fulgido blu, accendono le Vele. Soggetto stranamente amato da uno che non conosceva il mare ma da sempre aveva in mente l’idea del viaggio. Montate su basi di ginepro contorto come le onde in tempesta, leggere e stabili e pronte al vento. Roberto Ziranu conserva tutti gli arnesi ereditati, sa che gli oggetti sono memoria.

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E che la ruggine è ossidata bellezza e le zappe, a saperle guardare, hanno forma di ali. Sanno di ferro e di fuoco, le sue sculture. Incise con la lama, o lisce e luminose sino a farsi specchianti. Ogni gesto risuona, nella fucina. E il ritmo delle mazzate è una sorta di canto accompagnato dalle scintille.”

forme della zappa del nonno ridefiniscono la saggezza di arcaici simboli femminili e maschili divenendo “Origini”, scultura e figurazione. La materia ferrosa reagisce ai suoi mutevoli bagni di fuoco quando Roberto sceglie la collocazione nel contemporaneo delle sue produzioni più geniali, i quadri: “Riflessi di luce”.

L’artista nativo di Orani, ha nel tempo trasferito a Nuoro la sua esperienza come artigiano di quinta generazione. Il suo stile è caratterizzato da un perfetto connubio tra la profonda tradizione sarda ed il moderno design. Questo amalgamarsi tra arcaico e contemporaneo origina pezzi unici che sono delle vere e proprie opere d’arte. Adopera tecnica ed estetica per costruire oggetti in ferro, materiale povero ed antichissimo che utilizza e trasforma attraverso varie tecniche: dalla forgiatura, alla brunitura, all’incisione, alla fiammatura, unica nel suo genere, che dona ad ogni opera “luce” e “riflessi “ significando passione e orgoglio nell’abilità. l concetti che elabora provengono da una ricerca nel suo recente passato: è così che le

Roberzo Ziranu spiega la natura e il suo territorio, fatto di isola-marevento con “Le Vele”, che nascono casualmente per avvicinare estro e maestro e che vogliono richiamare la nostra isola come simbolo di vacanza e libertà. Alessandra Menesini Evento realizzato con il contributo del MiBACT, della RAS, del Comune di Cagliari e della Fondazione di Sardegna. Laboratorio e Showroom Roberto Zirani Via Limbara, 16 08100 Nuoro Tel (+39) 0784 262003 Mobile (+39) 338 5631444 info@robertoziranu.com www.robertoziranu.com


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ANNA GARDU O

riginaria di Oliena, paese ricco di storia e tradizioni, artigiana di quarta generazione Anna Gardu porta avanti l’attività iniziata dal bisnonno Nicola. Le sue raffinate creazioni artistiche hanno avuto una vetrina in musei come il Mart di Rovereto, delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, ma anche a Parigi e in Giappone o all’Expo di Milano. “Questa geniale e talentuosa artista riesce a trasformare gli umili ingredienti della pasticceria tradizionale sarda in vere e proprie opere d’arte – si sottolinea tra le motivazioni del premio – Anna riporta nei suoi dolci i simbolismi della nostra Sardegna nei suoi gioielli in filigrana-oro, nei ricchi costumi e nei fini lavori di ebanisteria ed intaglio dei maestri artigiani del legno”. Troppo giovane per esser citata da Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto (1825) o rientrare nell’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, Anna Gardu è già un’icona della cultura gastronomica nazionale.Appena insignita a Castellabate del prestigioso Premio Pio Alferano, terza edizione, Presidente Vittorio

Sgarbi, con il suo Re Gall, Lei è una Babette di ultima generazione, capace di far (ri) vivere sottili esperienze polisensoriali anche ai più gretti; una Peggy Porschen regina di cake design in versione italiana, divulgatrice e promotrice di cultura. Per dire, se le si propone il tema Murat è vivo, nell’ambito di una collettiva di 43 artisti, Lei si chiude nel suo laboratorio e tira fuori il più straordinario “gallo impennacchiato” che si sia mai visto, ironico baroccheggiante omaggio al sanguigno estroso re di Napoli. E vince.Anna Gardu da Oliena, con prodigioso alchemico talento, trasforma i tradizionali ingredienti della pasticceria mediterranea in sontuose creazioni alla Gaudì, intrecciando consolidata tradizione e au-dace innovazione. Ligia ad una consuetudine dolciaria orgogliosa del proprio patrimonio cultural-gastronomico, con mandorle, zucchero, albumi, non perde di vista l’aerea eleganza delle filigrane sarde, le accensioni coloristiche dei costumi tradizionali, i monili scintillanti del corredo folkloristico, i temi ricorrenti nei millenari decori bene auguranti della pasticce-

ria sarda, che nei secoli hanno invaso con i loro profumi carrelas e cortes, ritmando lo scorrere delle stagioni . Ha l’energia dell’imprenditrice Anna Cardu pronta ad ideare laboratori, esposizioni, scuole, una linea dolciaria chiamata tout court “HÓRO”, ospitata al MAN_Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, ove, protetto da teche, il barbaricino bestiario, le trine, i ricami dei costumi e persino le maschere inquietanti dei Mamuthones e Merdùles, pronte a sciogliersi in un’onda di cioccolato, raccontano intramontabili miti e riti della cultura materiale di una golosa fascinosa vitalissima Sardegna. Su di lei è caduta anche la scelta del Lioness Club di Cagliari nel 2018, che ogni anno premia le figure femminili che per meriti artistici o professionali si sono distinte e hanno dato lustro all’Isola. In settembre partecipa alla manifestazione Autunno in Barbagia a Oliena di cui diamo qui di seguito il programma. Potete trovare altre informazioni sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/ HoroDolciArtistici MG Colombo ed altri.

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utunno in Barbagia 2020 a Oliena: dopo la prima tappa iniziale di Bitti, la rassegna, nel fine settimana del 12 e 13 di Settembre, ha interessato il bellissimo paese di Oliena, la cittadina patria del Nepente, il buonissimo vino che tutti almeno una volta nella vita devono assaggiare ed elogiato anche da Gabriele D’Annunzio, ma anche luogo che ha dato i natali ad un grande del calcio, Sir Gianfranco Zola e, forse in pochi lo sanno, proprio sul Monte Corrasi sono state girate alcune scene del film “La Bibbia” di John Huston. Tutto il territorio di Oliena è disseminato di siti e testimonianze storiche, come i bellissimi Menhir, le Domus de Janas, l’area nuragica di Sa Sedda de sos carros con la fonte sacra, e l’importantissima Grotta Corbeddu, all’interno della quale sono state ritrovate le più antiche testimonianze della presenza dell’uomo sull’isola di Sardegna, risalenti al Paleolitico Superiore. Sul piano naturalistico, oltre al celebre Monte Corrasi in zona è presente la sorgente de Su Gologone, entrambi assolutamente da vedere. Una esperienza all’insegna dei sapori, dei profumi, dell’enogastronomia e dei saperi, immersi nel pieno delle rocce calcaree e della rigogliosa natura formata da macchia e boschi. Scopriamo insieme il programma della tappa di Oliena. Mostra Giovanni Ciusa Romagna, maestro della pittura sarda del ’900 Ex Collegio dei Gesuiti. Hòro, mostra di dolci artistici, a cura di Anna Gardu. Bellos pethos, esposizione di costumi e monili sardi, a cura del gruppo Battos Moros Via Misericordia. Amarcord Sardinia, Sardegna anni ’70. Mostra fotografica di Ferdinando Longhi Sala esposizioni Comune di Oliena, via Misericordia Vent’anni di Cortes Apertas, mostra fotografica a cura di Salvatore Mussone Saletta Ciusa della Biblioteca Comunale, via V. Emanuele. Zieddas, sculture di carta di Bruno Marongiu Saletta Ciusa della Biblioteca Comunale, via V. Emanuele. https://www.traccedisardegna.it/eventi/autunno-barbagia-programma-oliena-settembre

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disegni di Maria Lai, la letteratura di Grazia Deledda, le sapienti mani delle tessitrici di venticinque laboratori confluiscono nella realizzazione di quello che è stato riconosciuto come “il primo progetto di filiera del tessile di Sardegna” Ideata da Giuditta Sireus e sostenuta dalla Regione Autonoma della Sardegna, da ventitré Comuni sardi e da numerosi partner privati, “Andando Via” coinvolge per la prima volta venticinque realtà tessili isolane in un’operazione collettiva senza precedenti. Il progetto nasce con l’intento di salvaguardare l’ultima opera d’arte pubblica realizzata da Maria Lai nel 2011, non lontano dalla Chiesa della Solitudine a Nuoro, dove le spoglie della scrittrice premio Nobel sua conterranea sono custodite. Un’opera attualmente inamovibile, ma che attraverso la trasposizione su tessuto ad opera delle tessitrici coinvolte nel progetto, potrà viaggiare in tutto il mondo, salvaguardando e trasmettendo la poetica di Maria Lai attraverso trame e disegni, con l’intento di renderla accessibile a un pubblico il più vasto possibile. Una geografia astrale poggiata su un portale cubico introduce lo spettatore in un vasto spazio, dove le sagome dei personaggi femminili dei romanzi di Grazia Deledda si stagliano fiere su undici pilastri di cemento armato. Attraverso la linea marcata e netta dei loro corpi affiorano il carattere e i valori della donna, espressi nella letteratura della scrittrice nuorese. Partendo dai disegni originali realizzati per il monumento, su concessione dei diritti dall’archivio Maria Lai, e sulla base degli studi della designer Paulina Herrera Letelier, le tessitrici di Sardegna hanno riprodotto come opera tessile le facciate degli undici pilastri che compongono il monumento. Ogni arazzo è un pezzo unico tessuto a mano e realizzato con i materiali, gli stili e le tecniche del territorio di provenienza. Seguendo il prezioso insegnamento di Maria Lai “da un’opera d’arte nasce un’altra opera” che coinvolge le comunità in un’azione collettiva capace di esaltare una tradizione millenaria: diventa progetto che unisce, intreccia fili e storie, rende protagonisti l’Arte della Tessitura e coloro che ne de-

Andando Via Dall’11 settembre all’11 ottobre 2020 Omaggio a Grazia Deledda la prima opera corale d’Arte Tessile mai realizzata in Sardegna

MUDEC

Museo delle Culture via Tortona 56 20144 Milano CONTACT | ITA - ENG + 39 02 54917 info@mudec.it

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tengono i segreti. Nello Spazio delle Culture del MUDEC sarà possibile ammirare i ventidue arazzi posti su strutture a telaio che interpretano gli undici pilastri dell’opera originale, e assistere alla proiezione del documentario realizzato nell’ambito del progetto dal regista Francesco Casu, che per lungo tempo ha lavorato a stretto contatto con l’artista. Le testimonianze di Maria Lai (contenute nel documentario) sono il fil rouge che collega la sua visione dell’arte e della tessitura alla genesi stessa del progetto. La versatilità dei moduli e la leggerezza delle strutture rendono Andando via un’opera itinerante, capace di viaggiare e incontrare nuovi scenari e contesti artistici. Gli arazzi diventano, infatti, anche allestimento scenografico dello spettacolo teatrale omonimo, dove l’arte figurativa si unisce ai testi drammatici dedicati alle protagoniste dei romanzi deleddiani, alla colonna sonora originale e alla danza. Una pièce – scritta dalla critica letteraria Neria De Giovanni e andata in scena per la prima volta il 22 agosto scorso a Galtellì, il paese protagonista del famoso romanzo della De-

ledda “Canne al vento” in cui i personaggi femminili nati dalla penna del premio Nobel e omaggiati da Maria Lai prendono vita dagli arazzi e si raccontano agli astanti in una confessione intima e poetica. “Andando via” costituisce dunque una rete inedita, capace di documentare e nobilitare la tessitura contemporanea di Sardegna in un’espressione totale d’arte, letteratura e tradizione. Come sosteneva Maria Lai, “Da un’opera d’arte può nascere un’altra opera” ed è dall’insegnamento dell’artista che prende vita questa articolata azione collettiva capace di esaltare una tradizione millenaria. Un progetto che unisce, intreccia fili e storie, rende protagonisti l’Arte della Tessitura e coloro che ne detengono i segreti. Il progetto “Andando via“ reinterpreta poeticamente e artisticamente l’ultima opera di Maria Lai,con l’intento di renderla accessibile a un pubblico il più vasto possibile. La versatilità dei moduli e la leggerezza delle strutture la rendono un’opera itinerante, capace di viaggiare e incontrare nuovi scenari e contesti artistici.


Foto mudec

realizzata in ferro battuto. Il portale ci introduce ad una serie di colonne bianche su cui si stagliano fiere e grafiche le sagome nere di personaggi femminili e caprette. Le figure sono un chiaro rimando ai personaggi femminili dei romanzi di Grazia Deledda, attraverso i quali affiorano forti e netti, quanto la linea marcata dei loro corpi, i valori della donna espressi nella letteratura della scrittrice nuorese. Sui lati del portale e sulle colonne sono i testi indecifrabili, segno distintivo dell’artista. Il progetto è registrato e tutti i diritti sono riservati. L’incontro tra la scrittrice nuorese e l’artista di Ulassai è avvenuto grazie alla riscoperta del monumento che Maria Lai ha dedicato a Grazia Deledda: le figure stilizzate delle donne descritte nei romanzi deleddiani, le caprette tanto amate dall’artista, la sua scrittura indecifrabile. Proprio dove sembra fermarsi il monumento, inizia il sogno di Giuditta Sireus: portarlo in giro per il mondo, raccontarlo con musica e parole, con trame e disegni, con telai e sapienza antica. Così, armata di coraggio e speranza, tre anni fa intraprende il suo viaggio per raccontare ai sindaci sardi questa nuova possibilità: riprodurre su tessuto l’ultima opera pubblica di Maria Lai. Il primo a credere nel progetto è stato Emiliano Deiana, presidente dell’ANCI Sardegna. Dal dialogo con alcuni amministratori, in primis Giovanni Santo Porcu, sindaco di Galtellì, scaturisce la volontà di accedere ai fondi regionali per la programmazione territoriale. Man mano che il sogno si fa maturo, cresce il numero di comunità coinvolte come precisa Giuditta Sireus: «Uno degli aspetti importanti dell’iniziativa è stato fin da subito il voler preservare le specificità delle diverse tradizioni tessili. Con Chiara Manca, responsabile scientifica del progetto, e Paulina Herrera Letelier, la designer che ha riprodotto i disegni di Maria Lai affinché potessero essere tessuti, abbiamo svolto una lunga ricerca sulle tecniche tessili di ciascun paese. In tal modo ogni arazzo sarà pienamente rappresentativo della comunità da cui proviene.»

Gli arazzi di “Andando via” diventano, inoltre, allestimento scenografico dello spettacolo teatrale omonimo: l’arte figurativa si unisce ai testi drammatici dedicati alle protagoniste di Grazia Deledda, alla colonna sonora originale e alla danza. “Andando Via” costituisce una rete inedita, capace di documentare e nobilitare la tessitura contemporanea di Sardegna in un’espressione totale d’arte, letteratura e tradizione. Giuditta Sireus ci spiega : “Andando via è un progetto sperimentale Arte nell’Arte. Prende ispirazione dall’opera intellettuale e artistica di Grazia Deledda e Maria Lai. Come le due grandi interpreti di Sardegna lo scopo del progetto è quello di coinvolgere la comunità isolana come espressione di un mondo unico e magico, che necessita di essere raccontato per immagini e parole. Per questo intende: – Creare un percorso di rete tra laboratori tessili e i loro territori, – Creare una sperimentazione di collaborazione tra centri tessili per dare vita alla prima opera tessile ispirata all’ultimo monumento pubblico di Maria Lai, dedicato a Grazia

Deledda e alle figure femminili dei suoi romanzi. L’installazione datata 2011 è sita a pochi passi dalla chiesa della Solitudine a Nuoro e versa in condizioni di grave degrado e abbandono. Le tessitrici di Sardegna hanno tessuto una replica dell’opera di Maria Lai, su concessione dei diritti da parte dell’Archivio Maria Lai, restituendole valore artistico e di senso e, allo stesso tempo, caricandolo di nuovi significati. Ogni laboratorio ha lavorato su una singola colonna trasformandola in maestoso arazzo. “Andando via” infatti operando in questo modo: – Unisce simbolicamente tutta la Sardegna attraverso l’operato delle tessitrici, le quali, sotto una direzione artistico-artigianale di un designer lavoreranno tutte per la sua formulazione, valorizzando materiali, stili e tecniche tipiche di ciascun laboratorio; – Dà vita alla prima opera tessile di Sardegna e alla prima azione di collaborazione tra centri tessili. La grande opera tessile ha una duplice finalità: 1) La creazione, sotto la custodia dell’archivio Maria Lai, viaggerà in tutto il mon-

do insieme alle opere di Maria Lai, come ospite dei più importanti eventi a livello regionale, nazionale e internazionale e dei musei regionali, nazionali e internazionali. 2) Funge da scenografia per l’imponente performance teatrale dedicata alle figure femminili di Grazia Deledda. Lo spettacolo sarà portato in scena anche oltre i confini isolani. L’opera teatrale é stata curata nella sua sceneggiatura dalla presidente dell’associazione critici letterari Neria de Giovanni, massima esperta dell’autrice nuorese. Il progetto documenta tutto il percorso, sia di rete che di produzione e, allo stesso tempo raccoglie, in un lavoro inedito, di video e di testo uno studio innovativo della tessitura in Sardegna oggi. Sull’opera di Maria: “L’opera d’arte occupa un piccolo spazio, ma come l’atomo, può sconvolgere uno spazio immenso.” (Maria Lai) L’opera rientra nella tipica filosofia artistica di Maria Lai di Arte immersa nel paesaggio. Ad accogliere il visitatore è un portale cubico, aperto, su cui poggia una geografia astrale

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www.giudittasireus.it https://andandovia.it/

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In occasione del 25° anniversario dalla morte di Franco D’Aspro, il MuA propone un calendario di eventi fatto di racconti, note, laboratori e visite sensoriali che accompagneranno tutti alla scoperta dell’uomo, dell’artista e delle sue opere, che colorano e arricchiscono le sale del museo civico di Sinnai. PROGRAMMA 17 settembre ore 18.30 Tracce di un artista: una lirica tra gessi e bronzi. Visita guidata in italiano, inglese e LIS. Prezzo: 5,00 € adulti; 2,00 € bambini (6-12 anni). 18 settembre ore 18.30 Fede e spiritualità: i capitoli sacri di F. D’Aspro. Dialogo con il curatore sulla produzione sacra dell’artista. A seguire, aperitivo. Prezzo: 15,00 € adulti; 2,00 € bambini (6-12 anni). 19 settembre ore 16 Sulla scia di F. D’Aspro. Laboratorio per bambini di espressione artistica. Prezzo: 5,00 € (adatto a bambini dai 5 ai 12 anni). 19 settembre ore 19 Dal disegno al nudo. Visita guidata con performance al tramonto. A seguire, aperitivo. Prezzo: 15,00 € adulti; 2,00 € bambini (6-12 anni). 20 settembre ore 18.30 L’Arte attraverso i sensi. Visita bendata alle sale di F. D’Aspro. Prezzo: 5,00 € adulti; 2,00 € bambini (6-12 anni). COME ADERIRE Partecipare è facile! informazioni e prenotazioni info@muasinnai.com messaggio whatsapp a +393406671868 +393491846791 www.muasinnai.com

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17 dicembre 1920, nasceva a Mondovì, da padre abruzzese e madre toscana, Franco d’Aspro, il grande scultore destinato a farsi sardo d’elezione. Nell’isola venne - giovane di 27 anni -, nella primavera 1938, per una mostra alla galleria Palladino di via Manno. Qui trovò l’amore e l’ambiente nel quale sviluppare il suo straordinario talento educato alle Belle Arti di Bologna e nello studio d’arte di Vincenzo Gemito a Napoli. Impiantò, negli anni della guerra, una fucina per la fusione del bronzo a Villamassargia; negli anni Cinquanta si trasferì a Cagliari, dove fu tra i promotori del liceo artistico di via Sant’Eulalia (insegnò Figura modellata). Studiò e replicò le tecniche d’arte dei nuragici, dando vita ad una originalissima produzione di bronzetti. Morì, il 14 settembre 1995, a 84 anni, sul traghetto che il 16 settembre 1995 lo riportava a Cagliari dopo un breve soggiorno a Roma con la moglie Immacolata. È sepolto a Elmas. Sono almeno una trentina i centri isolani che posseggono sue opere, talvolta di grandi dimensioni, collocate in piaz-

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ze, chiese, cimiteri. A Cagliari sono stati censiti ventitré siti pubblici con suoi lavori: dal piazzale di Bonaria dove, dalla visita di Paolo VI (1970), campeggiano una caravella e la Vergine sulle onde del mare, al viale Sant’Ignazio, in cui dirimpetto alla chiesa dei Cappuccini s’alza una statua del santo di Laconi, al viale Trieste dove a cinquanta metri d’altezza svetta una gigantesca Madonna del Carmine. Ma ancora notevole è la serie dei busti, in bronzo o in pietra: all’interfacoltà (Dante Alighieri), all’ex clinica Medica (Ippocrate, il professor Aresu), all’ex istituto di Anatomia umana (il protomedico Porcell), a Ingegneria (prof. Mario Carta), al Conservatorio di musica (Pierluigi da Palestrina), all’Ospedale civile (i primari chirurghi Garau e Ligas), alla Camera di Commercio (Carlo Delcroix), alla Biblioteca universitaria (Francesco Alziator e Anna Marongiu Pernis), al Municipio (Grazia Deledda), e ancora negli uffici della Provincia (i suoi celebri cavalli in corsa) e nella Banca d’Italia (tre pannelli rappresentativi del lavoro in Sardegna), nella casa massonica (dove per lunghi anni insegnò

il Rito Scozzese), in entrambi i camposanti cittadini. Grandi crocifissi, Pietà, ostensori, stazioni della via Crucis, candelabri, bassorilievi episcopali e bacoli pastorali si trovano ancora nella cattedrale (e nel museo diocesano), nelle chiese di Santa Lucia, di San Domenico, di Ausonia e nel santuario di Sant’Ignazio. Diversi suoi manufatti raccontano scene sarde anche in pubbliche istituzioni della penisola e perfino al Cremlino e nella Library of Congress di Washington. Per due volte insignito dal governo italiano del diploma di benemerito della Cultura e dell’Arte, a Franco d’Aspro sono state dedicate diverse monografie e di recente anche alcune tesi di laurea. Una parte notevole del magazzino artistico da lui lasciato alla famiglia è stato acquistato dal Comune di Sinnai che ne ha fatto una mostra permanente ospitata nel museo-pinacoteca. Cagliari dovrebbe pensare di onorarne la memoria magari intitolandogli una strada o un compendio culturale. Intanto, per rendergli onore, si pensa di allestire una mostra fotografica di Roberto Satta. Gianfranco Murtas


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mbra Iride Sechi (1992) è fotografa e artista visivo, nata a Las Plassas in Sardegna. La sua formazione artistica comincia presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove nel 2017 consegue la laurea di primo livello in Fotografia, Cinema e Televisione ed in seguito prosegue gli studi nel biennio specialistico di Fotografia. Attualmente vive tra la Sardegna e Marsiglia (FR) dove porta a termine un periodo di studi presso l’École supérieure d’art et de design Marseille-Méditerranée. Co-fondatrice di Transhumanza, collettivo artistico nato dal desiderio di creare una connessione tra la ricerca artistica contemporanea e le zone rurali della Sardegna. La sua ricerca visiva, strettamente legata all’ambiente contemporaneo, si concentra su temi come la memoria, il folklore, l’identità e le relazioni sociali. Nel suo lavoro esplora differenti media, dalla fotografia al video alla performance. La sua ricerca visiva, strettamente legata all’ambiente contemporaneo, è incentrata su temi come la

memoria, il folklore, l’identità e le relazioni sociali. Nel suo lavoro esplora diversi media, dalla fotografia al video e alla performance. A proposito di Transumanza il collettivo che l’ha creato racconta: Transhumanza nasce nell’autunno 2018 da un’idea di Ambra Iride Sechi, Matteo Orani e Dario Sanna. “All’epoca vivevamo a Bologna, dove frequentavamo l’Accademia di Belle Arti, incrociandoci in un percorso che ci ha portato a condividere le riflessioni riguardo a come poter portare la nostra ricerca artistica in Sardegna. Da subito è emerso un forte interesse per i piccoli centri, dove alcuni di noi sono cresciuti, spesso lontani dai cosiddetti “luoghi dell’arte” contemporanea e ancora più spesso sofferenti di problemi comuni, come il costante spopolamento di questi e la generale mancanza di stimoli. Pensavamo a quanti, come noi, si occupano di arte lontani da “casa” oppure a come entrare in relazione con coloro che hanno deciso di restare lì a formarsi. Così abbiamo iniziato a organizzare quello che sarebbe

stato il primo dei nostri “ritorni”che si è concretizzato con la mostra “Nostos Numerozero”, tenutasi a Siniscola (NU) a dicembre 2018. Mentre stavamo lavorando a questo esordio come gruppo, siamo entrati in relazione con Alessandra Sarritzu, anche lei a Bologna e anche lei artista formatasi all’Accademia. Con lei abbiamo iniziato da subito a confrontarci sulle tante cose che ci frullavano in testa, finchè non è entrata a tutti gli effetti a far parte del gruppo, contribuendo alla costruzione di Nostos Numerozero e a tutte le attività che ne sono seguite.” La Presentazione del catalogo NOSTOS NUMEROZERO é avvenuta domenica 22 dicembre 2019 a Cagliari presso lo studio Crisalide - Mezzopiano Piazza G.M.Dettori 9, dalle 18.30 ed il 28 dicembre a Siniscola al Gana ‘e Gortoe bar caffetteria alle 20.00. instagram : @transhumanza tramshumanza@gmail.com cargocollective.com/transhumanza vedi video https://vimeo.com/381300711

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con grande gioia che l’ Associazione Culturale Techne annuncia i vincitori della XII edizione del PremioNocivelli. Vogliamo ringraziare tutti gli artisti per il loro meraviglioso contributo. Le opere finaliste rimarranno esposte presso la Chiesa della Disciplina di Verolanuova (BS) fino al 27 settembre. SEZIONE PITTURA 1º classificato Francesco Ciavaglioli 2º classificato - Anna Capolupo 3º classificato - Giulia Dal Monte SEZIONE SCULTURA 1º classificato Matilde Di Pietropaolo 2º classificato - Binta Diaw 3º classificato - Aurora Troletti SEZIONE FOTOGRAFIA 1º classificato - Ambra Iride Sechi 2º classificato - Pierpaolo Maso 3º classificato Alessandra Sarritzu VINCITORE ASSOLUTO Francesco Ciavaglioli COPPA LUIGI Mattia Barbieri www.premionocivelli.it/mostre

lessandra Sarritzu, é nata a Cagliari nel 1991. Si laurea in Decorazione Arte e Ambiente (2015) e in Pittura-Arti Visive (2018) all’Accademia di Belle Arti di Bologna dopo un periodo di studio all’Università Politecnica di Valencia (2014). Co-fonda lo spazio indipendente SottoSuolo in cui si occupa di eventi culturali ed esposizioni di arte contemporanea con sede a Bologna e fa parte del collettivo Transhumanza, che nasce dalla volontà di creare una connessione tra la ricerca artistica contemporanea e le zone rurali della Sardegna. La sua ricerca si concentra sul tema dell’identità, della memoria, dello scorrere del tempo, sul senso di appartenenza a un determinato luogo e sul rapporto tra arte, natura e società, utilizzando un approccio caratterizzato da una forte componente intimistica che si estende alla collettività. Le sue opere nascono spesso dal recupero di materiale d’archivio, personale o esterno, e si sviluppano attraverso vari linguaggi come la fotografia, la cianotipia, il suono e le installazioni. Partecipa a numerose esposizioni collettive e residenze artistiche, come la mostra dei finalisti del Festival di Fotografia Camera Work Off “Cronos-a matter of time” a cura di Silvia Camporesi, (Ravenna 2020), la mostra dei vincitori del Premio Zucchelli “Elogio della lentezza” a cura di Carmen Lorenzetti, Zu. Art (Bologna 2019), la mostra dei finalisti del Combat Prize, Museo Civico Giovanni Fattori (Livorno 2018), “Secondo livello” a cura di Giuseppe Lufrano, OTTO Gallery (Bologna 2017), la Residenza d’artista “V_AIR 2019”, a cura di Maria Paola Zedda, MUST Museo del territorio di Vimercate, la residenza d’artista “Antichi Sentieri” a cura dell’Associazione Ottovolante Sulcis (Isola di Sant’Antioco 2019), la residenza d’artista Michelangelo Reload a cura di Alessandro Romanini, Centro Arti Visive (Pietrasanta 2018). Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Attualmente vive e lavora a Bologna. cargocollective.com/AlessandraSarritzu

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on torno indietro di un millimetro circa la valutazione di alcuni conterranei che ritrovano, dentro l’armadio di casa, i propri preziosi, solo quando arriva da ‘fuori’ il profeta straniero (si sa, è una questione atavica). Ma come ha magistralmente chiarificato Ivo Serafino Fenu, il problema non è Sgarbi: Sgarbi è Sgarbi, ‘il joue son rôle’; il problema è di chi si sottovaluta o sottovaluta la propria terra o, semplicemente, si dimentica di studiare (almeno leggere distrattamente) la storia che lo circonda, bypassandola per 364 giorni l’anno, magari orecchiandone le versioni più leggendarie e/o scoprendo di averne una, sentendola dagli altoparlanti in piazza… per esigenze – diciamo – di interazione sociale (siete ancora troppi). Intendiamoci, l’arte è storia in ogni sua componente. Sono certo di non offendere nessuno: tanto siamo abituati a pensare che il ‘peggiore’ sia sempre il vicino di casa. Io no: l’augurio è di scoprirmi ignorante per il resto dei miei giorni. La storia insegna, tassello dopo tassello, ad essere cittadini ‘attivi’ (anche nelle scelte

IL RETABLO DI TUILI

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Vivan Cabantous, Argentina, appartiene ad una ricca famiglia di allevatori di origine irlandese, provvenienti da Limerick. E stata sposata con Lelio Zonchello, classe 1928, discendente di una ricca famiglia di Sedilo di proprietari terrieri. Figlio di un medico e fratello dell’avvocato Elvio, morto prematuramente. La sua passione fin da giovanissimo è per il volo e per i cavalli. Si laurea a Napoli e, dopo essere divenuto orfano e aver perso il fratello, lascia il suo paese natale per andare nella penisola e conseguire i brevetti di volo per diventare aviatore. L’amore per i cavalli lo portarono a conoscere la futura moglie, la bellissima Vivian Cabantous, a Villa Borghese durante le fasi finali del tirocinio di volo.

civiche) e persone capaci di difendersi nella guerra che è la vita (è il mantra che cerco di trasmettere ai miei alunni). La Sardegna è straordinaria per tutto ciò che, di materiale, ‘contiene’; ma è altresì straordinaria per il racconto della sua storia (quella vera eh), che per natura stessa – natura insulare – ha caratteri extra-vaganti, paradossali. Ciò detto, come potrei non commuovermi nel vedere l’opera d’arte che ho stampata nel cuore, sulle pagine di un periodico ‘nazionale’ (valutazioni ‘editoriali’ a parte)? Lo volete capire che siamo importanti perché siamo unici, ma lo siamo anche quando non ce lo dicono ‘a sonu ‘e corru’? Sono contento per la Sardegna, che dimostra di poter sfoggiare gioielli che vanno al di là del Nuragico et similia: lo dico con il massimo rispetto per la disciplina, quando la si affronta in termini scientifici. Qualche volta ci si accorge del Romanico… ma gli Spagnoli ci hanno sfruttato (quindi li ignoriamo) e i Savoia ci hanno derubato (quindi li cancelliamo)… e, di solito, da Eleonora d’Arborea si salta direttamente a Giommaria Angioy. P.S.: esiste anche un

Contemporaneo, la storia si costruisce dall’oggi. Ironia amara a parte, sono contento per Tuili, cui appartengo per svariati motivi, soprattutto di carattere umano; sono contento per un nuovo endorsement del mio percorso di indagine (niente è scontato in questo ‘settore’), che porto avanti, autonomamente, con i quattro soldi da docente statale che ho a disposizione. Gli svarioni, compatibili con le esigenze di una divulgazione snella, sono tutti perdonati. Amen. I diritti di copia sono tutti di Panorama per cui compratevi una copia del giornale diversamente mi chiedono 'conti'... L'editore della monografia sul retablo è Iskra (Ghilarza). Marco Antonio Scanu le 3 septembre à 13:58 Fra i retabli tardogotici presenti in Sardegna, quello di Tuili riveste, un ruolo particolare. È l’unico polittico del Maestro di Castelsardo giunto completo (perlomeno nelle parti pittoriche) fino ai giorni nostri. Quella del celebre ‘Maestro’ è una formula pittorica controversa, ampiamente documentata in Sardegna... https://www.facebook.com/ marcoantonio.scanu

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i sono un dipinto e un pittore che in Sardegna scatenano da sempre una serie di interrogativi misteriosi e affasci-

nanti. Il retablo di Tuili, realizzato tra il 1489 e il 1500 dal Maestro di Castelsardo, è una delle opere più belle e importanti della storia dell’arte sarda. Grandiosa e significativa ma in parte dimenticata: i tarli stanno minando le cornici del dipinto e c’è il rischio che parti della struttura imponente e pesante – il retablo è lungo cinque metri e mezzo di altezza per tre e mezzo di larghezza – possano crollare. Inoltre le cadute di colore si moltiplicano: le tavole lignee dipinte a olio a tempera (separate dalle cornici dorate), in alcune porzioni, stanno perdendo intensità, tanto che i restauratori sono stati costretti a inserire delle pezzette di protezione. Il dipinto è custodito da sempre nella parrocchiale del paese del Medio Campidano, la chiesa di San Pietro. Roberto Sanna, guida ambientale tra le più esperte nella zona della Giara, si preoccupa, su richiesta, di mostrarlo a turisti e curiosi. Un retablo (retàule in spagnolo, dal latino retro tabula altaris, dietro l’altare) veniva sistemato dietro la mensa in cui si officiava il rito eucaristico. I soggetti rappresentati erano sacri e riguardavano la vita dei santi ed episodi della vita di Gesù. Si tratta di una pala d’altare, divisa in scompartimenti dipinti di varie forme e grandezze: polvaroli, predella, la tavola centrale, le tavole principali, quelle secondarie, e la crocifissione nella parte alta della composizione. Erano macchine pittoriche complesse e stratificate, composte a volte da decine di “pezzi” di varie dimensioni. Capolavori che svolgevano un ruolo importantissimo all’interno dell’universo cattolico dell’epoca, cosi come nella catechesi e nel culto dei santi. Perché due nobili spagnoli fecero dipingere questa magnifica opera in un villaggio lontano e isolato? Perché è rimasto lì per oltre 500 anni? E soprattutto chi è il Maestro di Castelsardo? Il fascino del quadro sta anche in questi piccoli misteri. Quest’opera fu voluta dai coniugi di Santa Cruz , Giovanni e sua moglie Violante, feudatari del paese di Tuili. Lo documenta il contratto che


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i coniugi firmarono davanti al notaio Carnicer di Cagliari il 4 giugno del 1500 impegnandosi a costituire un vitalizio annuo in favore del nobile Nicolò Gessa per pagare il retablo che avevano fatto dipingere per la loro chiesa di San Pietro. Questo atto è molto importante perché permette di datare l’opera e inoltre testimonia che il dipinto non lasciò mai il suo luogo d’origine. Il retablo si trova nella prima cappella a destra (entrando dall’ingresso principale), a sinistra, entrando da quello secondario, mentre originariamente si trovava nel presbiterio. Lo schema decorativo è quello tipico dei retabli, dove nello scompartimento centrale è raffigurata la Vergine, in questo caso seduta in trono, e nello scompartimento superiore la crocifissione, mentre in quelli laterali sono rappresentati santi o episodi della loro vita, così pure nella predella. Nel retablo di Tuili negli scompartimenti laterali sono dipinti: San Michele, San Giacomo Maggiore, San Pietro e San Paolo; nella predella episodi della vita di San Pietro e nei polvaroli undici figure di santi. Nei decenni successivi alla composizione dell’opera nacque la tendenza di sostituire le imma-

gini della Vergine e del bambino con statue a tutto tondo, come nel caso del retablo della Madonna del latte, dipinto da Pietro Cavaro e custodito nella chiesa di San Giovanni Battista a Villamar. L’identikit del Maestro giramondo. Il retablo di Tuili è opera del Maestro di Castelsardo, artista appunto di cui Tuilinon sono note le generalità. Si pensa non fosse sardo, si presume potesse essersi formato in una scuola barcellonese e poi trasferitosi in Sardegna dove lavorò, in particolar modo a Castelsardo, da ciò l’appellativo di Maestro di Castelsardo. Alla sua figura sono stati accostati diversi nomi: il Maestro potrebbe essere Gioacchino Cavaro (padre o zio di Pietro), pioniere della Scuola di Stampace, oppure Giacomo da Milano, ma anche il maiorchino Martì Torner (gli accostamenti con pittori spagnoli sono molteplici) o, persino, Giovanni Muru, che di sicuro fu, comunque, almeno un suo collaboratore. Sue opere si trovano in Sardegna, Spagna (Barcellona), Corsica (Tallà), Inghilterra (Birmingham, Madonna con bambino, porzione di un retablo che si trovava nella chiesa

di Santa Rosalia a Cagliari), a Cagliari, Sassari, Castelsardo, Codrongianos e Ardara. Il Maestro, che viaggiò tanto, spostandosi tra Catalogna, Baleari, Sardegna e Italia centro settentrionale, dimostra di conoscere profondamente i canoni e la cultura umanistica. L’artista si mosse in un ambiente eterogeneo e vario. Caratteristiche che si ritrovano nei suoi quadri, dove si mescolano le impressioni di Antonello da Messina, gusto fiammingo, gotico, aperture al Rinascimento lombardo, ligure, dell’Italia centrale in genere, più le innovazioni e l’originalità della nascente Scuola di Stampace. Nel dipinto ritroviamo proporzioni, gusto e tratti che riportano a Botticelli nei volti e nella dovizia di particolari e nella resa dei drappeggi. Il dibattito su chi fosse il Maestro di Castelsardo è tuttora aperto ma l’interesse degli studiosi e del Comune di Tuili ora è rivolto a ben altro. Uno sguardo al futuro. La decisione di mantenere l’opera nel suo posto natìo si è rivelata saggia. L’unica volta che il retablo fu portato fuori (per un restauro nel 1914) andarono perse le cornici (che pare si trovino ancora nei locali della Pinacoteca

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Il retablo di Tuili Depingi solempniter Uomini, viaggi e vicende attorno al Maestro di Castelsardo

Marco Antonio Scanu Iskra 2017 256 p., ill. , Brossura EAN: 9788895468648

di Cagliari in qualche polveroso magazzino) e venne riportato in Marmilla solamente dopo anni. Ecco perché, per paura che il dipinto potesse “sparire” di nuovo, a New York, in occasione di una mostra nel 1993, venne portata una copia. Il retablo è stato restaurato tre volte, nel 1914, nel 1964 e nel 1985, a Tuili, grazie all’interessamento del parroco. Adesso urge un nuovo intervento, proprio come è stato fatto nella scorsa primavera dal ministero dei Beni e delle attività culturali per il Retablo del Maestro di Castelsardo, uno dei complessi pittorici su tavola più importanti della Sardegna, conservato nel Museo Diocesano della Cattedrale di Sant’Antonio Abate a Castelsardo. Per il restauro di quest’opera è stata attivata una grandiosa macchina organizzativa, alla quale hanno partecipato anche il Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Chimica e dei Materiali dell’Università di Cagliari, l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e la sezione di Cagliari dell’Isac-Cnr. E per l’opera di Tuili, invece, che cosa potrebbe esser fatto? “A più riprese abbiamo cercato di destare l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica”, afferma Roberto Sanna, che a Tuili è anche consigliere comunale, “il dipinto è stato esaminato da un tecnico della Sovrintendenza e l’azione dei tarli sui ponticelli che sostengono le tavole ora potrebbe intaccare anche il retablo”. I danni sono evidenti: “Sono state sistemate una ventina di pezzette lì dove si sono verificate cadute di colore”, continua, “una soluzione tampone che non può che essere temporanea”. In Comune, nel frattempo, è stato presentato un progetto legato ai bandi promossi dalla fondazione legata a un importante istituto di credito regionale. Ma considerando che il retablo di Tuili è un monumento nazionale dal 1893, visitato a più riprese anche dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, per il restauro dell’opera potrebbe esserci anche un’altra soluzione: “La nostra intenzione è quella di sottoporre il problema anche al ministero dei Beni e delle attività culturali”, sottolinea Sanna, “agendo su più fronti si potrebbe riuscire a reperire i soldi necessari per un restauro completo”. Federico Fonnesu

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«Più un popolo è primitivo, più è prodigo di ornamenti, di decorazioni. L’indio ricopre ogni oggetto, ogni imbarcazione, ogni remo, ogni freccia con fitti ornamenti. Il voler scorgere nell’ornamento un elemento di distinzione significa porsi allo stesso livello degli indios» (Adolf Loos) comodare il grande Adolf Loos e suoi giudizi tranchant verso qualsiasi ornamento che potesse in qualche modo compromettere la purezza delle linee e dei volumi architettonici può apparire quantomeno improprio e, sicuramente, sopra le righe se riferito alla pittura murale e al graffitismo inteso in senso lato, del passato e del presente. Premesso che “ornamento” per Loos era tutto l’orpello di matrice ancora tardobarocca, eclettica e secessionista che gravava soprattutto sull’architettura viennese primonovecentesca, è chiaro che l’oggetto di questo intervento sfrutta la repulsione di Loos verso tali orpelli per analizzare, piuttosto, le varie forme di decorazione, per lo più pittorica che, nel corso del Novecento e fino ai giorni nostri, ha ornato e orna gli esterni degli edifici e che, proprio in Sardegna, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, ha conosciuto una diffusione fortemente caratterizzata se confrontata col panorama nazionale. Altresì, va detto, che tale forzatura e l’utilizzo dell’aforisma, fa intuire, da subito, l’orientamento di chi scrive nel giudicare simili interventi decorativi. Sintetizzando la lunghissima storia della pittura rupestre prima, passando per il muralismo e fino al graffitismo metropolitano, va detto che tali prassi artistiche sono probabilmente le più longeve e, sicuramente, le prime forme espressive dell’essere umano. Già dal Paleolitico Superiore, gli uomini o, forse, le donne, dipingevano sulle pareti scabre delle grotte figure di animali dalla forte impronta naturalistica con finalità magico propiziatorie o lasciavano, in positivo o in negativo, impronte di mani a segnare il territorio anticipando, in una fase prescritturale e di linguaggio disarticolato, le tagsdei writers metropolitani contemporanei, anch’esse, a modo loro, segni di appartenenza a una determinata “tribù” o a un determinato territorio. Dal Paleolitico al Neolitico la pittura murale non è mai caduta in disuso, seppur divenendo sempre meno naturalistica e più astratta. Basti pensare a quella,

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GRAFFITISMO E P ancora visibile, all’interno delle cosiddette Domus de Janas, quella delle prime civiltà storiche, dall’antico Egitto a Creta, della pittura, solo raccontata dalle fonti letterarie in Grecia fino a quella funeraria degli etruschi e a quella fastosa e illusionistica della domus romana. Troppo lungo sarebbe affrontare poi le decorazioni parietali delle chiese medioevali fino al più esuberante tardogotico (almeno quello italiano) e la grande tradizione degli affreschi quattro-cinquecentesca che vedeva, ancora una volta, la penisola italica primeggiare in ambito europeo, con un’enfasi e una diffusione che proseguì con la teatralità barocco fino all’ultimo Tiepolo e che continuò, sempre più estenuata, fino agli inizi del Novecento. Ma è solo nella prima metà del secolo scorso che si può iniziare a parlare di muralismo vero e proprio o, almeno, nel senso che ancora oggi lo si intende. Allo scadere degli anni ‘20 e soprattutto negli anni ‘30, in due realtà “periferiche”, seppure su fronti politici opposti, andò concretizzandosi l’idea di un’arte murale per il “popolo”, con finalità educative ma, più spesso, propagandistiche: il Messico postrivoluzionario e l’Italia fascista, memore, quest’ultima,

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come già detto, di una tradizione radicata nei secoli. Così, se oltre oceano, artisti del calibro di Diego Rivera, David Alvaro Siqueiros e José Clemente Orozco (a seguito delle teorie espresse nel primo Novecento da Gerado Murillo), decorarono con opere monumentali spazi pubblici e privati, rappresentando e creando un’originale mitografia di quell’area geografica, esaltandone la storia, le tradizioni precolombiane e le lotte sociali fino alla rivoluzione del 1910, viceversa, nell’Italia fascista operarono, con analoga enfasi compositiva e narrativa ma con finalità e linee poetiche divergenti, i futuristi di seconda generazione della cosiddetta “plastica murale”, con artisti come Fillia, Prampolini e De Filippis, più polimaterica esperimentale e, dall’altro lato, Mario Sironi, autore del Manifesto della pittura murale (1933), al quale aderirono anche Funi, Campigli e Carrà, secondo una linea decisamente più monumentale ed “educativa”. Va sottolineato, tuttavia, che furono i messicani i primi ad utilizzare il termine “murale” per differenziarla dalle altre tecniche pittoriche su muro quali l’affresco, pertinente alla pittura religiosa e dalla pittura più tradizionale dei musei, nonché per

esaltarne la linearità del messaggio politico privo di mediazioni, tra l’artista e il suo popolo. In tale clima va inquadrato il fenomeno del muralismo in Sardegna, partito, secondo le consuete dinamiche dell’arte isolana, in notevole ritardo seppure con l’analogo sostrato culturale ed economico di un’Isola, se possibile, periferia della periferia. Sull’onda delle esperienze politiche e sociali dell’America latina tra gli a ’60 e ’70 del secolo scorso spentesi nel sangue col colpo di stato militare e la morte di Salvator Allende nel 1973 e soffocato come linguaggio di rivendicazione di diritti dalle diverse dittature, il muralismo andò esaurendosi nella sua funzione originaria proprio nei paesi d’origine, ma al contempo, e grazia alla diaspora degli artisti latino-americani, attecchì anche in Sardegna. Se nell’Isola non sono mancati esempi anche notevoli di pittura murale nella prima metà del secolo scorso, da Figari ad Aligi Sassu, va notato che le motivazione erano di tutt’altra natura e si dovette superare il ’68 per veder fiorire una produzione muralistica propriamente detta, prima timidamente ma poi sempre più decisa e caratterizzata. Fu a San Sperate, auspice un


PITTURA MURALE giovanissimo Pinuccio Sciola e un gruppo di altri artisti, che cominciarono ad apparire i primi murales, in un primo momento senza un preciso indirizzo programmatico, successivamente, entrando nell’alveo più canonico di tale genere artistico, con più definite finalità socio-politiche che contenevano l’idea della nascita di un paese-museo. Fu un’azione estetica democratica e violenta al contempo: democratica per il tentativo di coinvolgere più soggetti anche al di fuori dell’ambito prettamente artistico, violento e dirompente nell’impatto che ebbe sul tessuto urbano, nel suo essere fuori dal qualsiasi tradizione, col suo vivace cromatismo alieno alla sobrietà del contesto abitativo dei centri del Campidano. L’esperienza di San Sperate e la sua propulsione utopica al cambiamento dell’intera società attraverso l’arte e l’impegno civile, servirono da modello ad altri centri dell’Isola e trovò a Orgosolo, a partire dal 1975, il terreno più fertile e ricco di conseguenze. Fu il senese Francesco Del Casino, coadiuvato da artisti locali quali Pasquale Buesca e Vincenzo Floris col coinvolgimento degli abitanti e delle scolaresche del centro barbaricino, ad avviare un’intensa attività pittorica

che, in tre anni, produsse oltre cento murales con un linguaggio che strizzava l’occhio all’ultimo Picasso e con l’introduzione di didascalie a rafforzare ed esplicitare il ribellismo politico e sociale di stampo marxista delle immagini, trasformando, nell’immaginario collettivo, il “paese dei banditi” nel “paese dei murales”. Il passo, da laboratorio politico a banalizzazione turistica, fu breve, così come non mancarono, con risultati alterni e un po’ in tutta l’Isola, fenomeni emulativi che finirono per sterilizzare ogni velleità di rivendicazione sociale e approdare alla già vituperata “decorazione urbana”. Se Villamar riuscì, nel 1976, a inserirsi in quel percorso virtuoso di denuncia sociale, ancora una volta grazie agli input provenienti dal continente latinoamericano (nella fattispecie dall’esule cileno Alan Jofré, in fuga, assieme ad altri conterranei, dal Cile di Pinochet), divulgando negli anni a venire il muralismo di denuncia, con esiti alterni, prima nella Marmilla e nel Medio Campidano e, a macchia di leopardo, in numerosi centri isolani fino al Logudoro e alla Gallura, la mancanza di un progetto comune, i contenuti sempre più velleitari e viziati da un sempre più marcato decora-

tivismo o, più spesso, da un’insostenibile carenza qualitativa, porto all’inevitabile crisi del muralismo stesso. Tale crisi è stata ben descritta da Giulio Concu nel volume Murales. L’arte del muralismo in Sardegna, pubblicato nel 2016 e, a tutt’oggi, il contributo più approfondito in tale materia: «Fu conseguenza inevitabile che un fenomeno così importante e coinvolgente, sebbene scomposto, divenisse oggetto di critiche e di dispute fra muralisti e amministratori locali, fra i sostenitori del fenomeno e coloro che lo denigravano a causa dei suoi aspetti più aberranti. Nonostante alcuni artisti professionisti continuassero a dare il loro apporto, altri artisti e tecnici (Costantino Nivola, lo stesso Sciola, l’architetto Vico Mossa) espressero i loro dubbi su quello spontaneismo che sul piano urbanistico e comunicativo aveva una scarsa efficacia o talvolta addirittura si dimostrava artisticamente irrilevante, poiché privo troppo spesso di quella drammaticità e inquietudine intrinseca al mondo sardo». Ora, al di là della banalizzazione che vorrebbe “drammaticità” e “inquietudine” connaturati alla Sardegna e ai suoi abitanti, più

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Murales L'arte del muralismo in Sardegna 1 avril 2012 de G. Concu (Sotto la direzione di)

interessante è, viceversa, il prosieguo della critica a certo muralismo che «con scarsa varietà di soluzioni espressive sfruttava formule e messaggi ideologici stereotipati inneggianti al patriottismo sardo e alla lotta proletaria; e poi ancora la simbologia desueta, il folclorismo ottocentesco, l’imitazione della pubblicità, la forte dicotomia tra la forma (spesso di valore colto) e il contenuto del messaggio rivolto alle masse contadine e pastorali, che ponevano i murales sardi tra gli estremi dello snobismo chic e dell’ingenuità del Kitsch». A salvarsi da tale processo omologante che, vieppiù, ha coinvolto i “professionisti” del muralismo nostrano, sono stati artisti avvezzi a misurarsi con esperienze contemporanee decisamente più concettuali, proponendo interventi di arte urbana ed extra-urbana che, per forme, materiali, temi ma, soprattutto, per qualità estetica e approccio teorico, hanno dato nuova vita se non al muralismo in quanto tale, all’idea fondante di un’interazione mai banale tra natura e cultura, nobilitazione dell’ambiente antropizzato, creazione di pause estetiche, fratture e intrusioni nello spazio storico e in quello naturale: tra i tanti, proseguendo la strada aperta da Nivola a Orani col graffito sulla facciata della Chiesa di Nostra Signora d’Itria del marzo del 1958, Angelo Liberati, Rosanna Rossi, Gaetano Brundu, Tonino Casula e Maria Lai, con i suoi interventi polimaterici di Ulassai e Tortolì. Vien da chiedersi, pertanto, dopo questa nobile parentesi autoriale, che cosa sia rimasto oggi del muralismo e quale senso abbia praticarlo. Una risposta, ancora una volta, la si trova nel volume già citato di Giulio Concu il quale, una volta messe nero su bianco le aberrazioni di certe pratiche imperanti alla fine degli anni Ottanta, quando diventò «pratica comune realizzare murales sulle pareti di locali pubblici, scuole e negozi, opere di dubbia funzione comunicativa e molto difficilmente classificabili come “murales”» osservando, giustamente, come «le sagre paesane o le più diverse manifestazioni folcloristiche divennero pretesto per la realizzazione di pitture murali e di concorsi per il murale più bello, e molti artisti si prestarono alla mentalità che misurava la vitalità di un centro abitato con la qualità dei muri dipinti […] ma la maggior parte dei critici rilevò come ormai l’arte murale fosse decaduta (segui pagina 14)


Foto lucidosottile

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(segue dalla pagina 13) a fenomeno decorativo a beneficio di un turismo pseudo-culturale». E, ancora, «alla fine degli anni Ottanta il muralismo sardo sembrava avviato sulla via di una pittura fine a se stessa, trasposta sui muri da mani che non perseguivano un fine collettivo: Non erano più i murales a stimolare l’opinione pubblica, ma l’opinione pubblica che gestiva i murales a piacimento. Fine del muralismo sardo». Come non essere d’accordo davanti a un tale giudizio, perentorio e ultimativo? Eppure l’autore individua, a metà degli anni Novanta, nuove prospettive per il muralismo sardo da parte di un gruppo di operatori del pennello i quali «sembrano aver compreso la necessità fondamentale di creare un’opera murale in armonia con l’ambiente umano e urbano, pianificano gli interventi con un approccio mai invadente ma piuttosto rispettoso della realtà in cui dipingono. Esteticamente si affidano ancora al naturalismo per rappresentare scene della vita quotidiana, contadini e pastori, antichi mestieri, momenti comunitari come la mietitura, le processioni religiose o le feste, ma il tutto in uno scenario e con un

linguaggio mai auto-referenziale che intende esporre la memoria storica e la riscoperta della propria identità in maniera discreta, spesso piacevolmente poetica e ironica». Insomma, ciò che veniva criticato come abbraccio mortifero di una banalizzazione del murale in funzione di richiamo turistico e banalizzazione folclorica, viene rivalutato come possibilità di “magnifiche sorti e progressive” per il muralismo sardo, con l’ammissione (da parte di chi scrive un’imperdonabile aggravante), dell’adozione di un linguaggio formale anacronistico, cartolinesco e privo di ogni tentativo di confrontarsi con le forme e lo spirito del contemporaneo. Sembrerebbe che le superfici delle case dei paesi siano destinate a diventare palinsesti di una Sardegna oramai scomparsa, di ottuagenari parcheggiati su improbabili panchine a godersi il sole del tramonto o di arzille signore in costume intente a svolgere attività domestiche desuete. Un’Isola d’altri tempi, celebrata in pitture dal carattere fortemente “fotografico”, nella resa e nell’ispirazione, che ha perso ogni funzione di denuncia sociale ma che appaga il cattivo gusto di certi amministratori i

quali, per primi, trasgrediscono ai principi stessi dei piani di recupero dei centri storici da loro stessi approvati. Si ingigantisce, si rende pubblico ciò che sarebbe ritenuto banale e kitsch all’interno di un qualsiasi interno abitativo e si violenta, impunemente, la sobrietà dei nostri centri abitati spesso nei pochi edifici che ancora conservano i valori e i materiali che tali pitture vorrebbero esaltare mimandone, spesso, la loro stessa più intima struttura: insediamenti sempre più spopolati ma invasi da ectoplasmi pittorici improbabili e, talvolta, inquietanti. Decorativismo mistificante al quale non sfuggono nemmeno writers nostrani di ultima generazione dai quali ci si aspetterebbe ben altra consapevolezza, come dimostra il murale di Manu Invisible a Villamar dal titolo Bagliori, celebrativo quanto banale e, in fin dei conti, anch’esso vittima dell’equivoco della decorazione. Ivo Serafino Fenu GRAFFITISMO E PITTURA MURALE L’equivoco della decorazione urbana in Sardegna. https://www.facebook.com/ ivo.fenu

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otremmo descrivervi un locale dalla sobria eleganza curato nei dettagli, dai sottopiatti alla posateria, ma non è questo che vogliamo fare soprattutto perchè il Ristorante “Da Vito” dimostra la sua grande classe con le pietanze che escono dalla cucina e si presentano al palato dei fortunati clienti. Sapori e profumi intensi e particolari, tutto non può essere descritto in modo efficace solo a parole. Vito deve in primo luogo la sua fama proprio ai cibi dal gusto inconfondibile che offre nel suo locale. Troverete piatti di stagione che sono garanzia di qualità e con un sapore davvero genuino. Dai funghi ai ricci, dai carciofi alla carne, fino alla selvaggina e al pesce di ogni genere. Tutto questo nel periodo dell’anno adatto, in cui i sapori risaltano in maniera più naturale e decisa. La cura negli antipasti è decisamente un’ottima prerogativa per gustare quello che la cucina del ristorante è in grado di offrire, tanto da meritare una menzione sulla guida de “L’Espresso“. Una cena in un ambiente ricco di particolari anche sui muri, dalle esposizioni di quadri fino ai chiaroscuri che occupano intere pareti, il locale si è prestato e sensibilizzato ad esposizioni di artisti famosi in un ambiente reso accogliente in primo luogo dall’atmosfera familiare. E’ su questo che la direzione del locale pone l’accento con enfasi: “Lo staf che ci affianca, lo stesso da sempre, con estrema cordialità e professionalità riesce in ogni momento interpretare al meglio le esigenze di ogni singolo cliente facendolo sentire importante, dandogli la possibilità di apprezzare fino in fondo le prelibatezze culinarie sempre accompagnate dall’ottima cantina”. “Vito è un personaggio fantastico, ristoratore visionario, raffinato e di innata sensibilità. Le serate che restano nel mio cuore! E se non ci siete mai stati... Andate!!!!! “ Vito Senes Ristorante Da Vito Via Medaglie d’Oro Loc. Badde Cossos Strd. Sassari-Sennori, 07036 Sennori https://www.facebook.com/ DaVitoSennori/


DA VITO SENNORI S’ARTI NOSTRA 15


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Foto elisabettamancadinissa

on potremo più godere della presenza di quell’uomo pasciuto e traccagnotto che ha, con la sua voce smarmittata da troppe sigarette e troppe leccornie, insegnato a tutti l’arte di guardare l’arte, come recita il titolo di un suo libro: Philippe Daverio è morto a Milano sulla soglia dei settantuno anni. Lontanissimo dalla spocchia e dal corporativismo di tanti intellettuali mediatici, Daverio era animato da ciò che di più pregevole un divulgatore può possedere: passione, erudizione, bell’eloquio e simpatia. Chi non avrebbe voluto visitare un museo accompagnato da quell’uomo infagottato in sgargianti tenute da signorotto bavarese, capace di rendere interessante qualunque oggetto? Più che un semplice comunicatore, Daverio non abbassava l’arte al livello del grande pubblico, bensì issava questo sulle vette dell’arte. Invece di rendere semplice il complesso, provava a educare alla complessità. Certamente non è stato un fine critico né uno storico di pregio, ma è riuscito a rompere la barriera tra chi sa e chi non sa, conducendo le casalinghe di Voghera alla scoperta dei grandi artisti. Che non sia ricordato però solo per la divulgazione. Daverio era innanzitutto l’incarnazione di un tipo d’uomo tanto raro quanto necessario: un europeo fatto e finito, nato alsaziano da famiglia italo-francese, poliglotta, esegeta della cultura e dell’estetica europee, dotto, raffinato ed elegante senza essere snob. Un patriota vero, la cui patria coincide non con il campanile del paese bensì con un modo di vedere il mondo, che si sentiva di casa tanto a Milano quanto a Parigi, senza per ciò essere globalizzato. Daverio era convinto che il mondo lo salverà la bellezza e ha cercato di insegnarci che imparando ad amarla impariamo innanzitutto ad amare noi stessi. Convinti che non sarà l’unico né l’ultimo e forti di un saldo amor proprio, ci piace immaginarlo, candido e panciuto come un putto, a spigolare l’aldilà in cerca di bellezze da mostrare a tutti. Alessio Trabucco https://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/philippe-daverio-morte/

PHILIPPE DAVERIO P

hilippe Louis François Daverio (Mulhouse, 17 ottobre 1949 – Milano, 2 settembre 2020) è stato uno storico dell’arte, politico e personaggio televisivo italiano con cittadinanza francese. Nasce in Alsazia, quarto di sei figli, da padre italiano, Napoleone Daverio, costruttore, e da madre alsaziana, Aurelia Hauss. Dopo gli studi in collegio, dove riceve un’educazione ottocentesca, ha frequentato prima la Scuola europea di Varese, e poi ha studiato economia e commercio, senza laurearsi (non scrive la tesi finale pur superando tutti gli esami), alla Bocconi di Milano. Daverio stesso dice: «Io non sono dottore perché non mi sono laureato, ero iscritto alla Bocconi nel 1968-1969, in quegli anni si andava all’università per studiare e non per laurearsi». Nel 1975 ha aperto la galleria che portava il suo nome, Galleria Philippe Daverio, in via Monte Napoleone 6 a Milano, dove si occupava prevalentemente di movimenti d’avanguardia della prima metà del Novecento. Nel 1986 viene aperta a New York la Philippe Daverio Gallery rivolta all’arte del XX secolo; nel 1989 apre a Milano, in corso Italia 49, una seconda galleria di arte contemporanea. Come gallerista ed editore ha allestito molte mostre e pubblicato una cinquantina di titoli, tra i quali ricordiamo: Catalogo ragionato dell’opera di Giorgio De Chirico fra il 1924 e il 1929; Catalogo generale e ragionato dell’opera di Gino Severini. Dal 1993 al 1997 fece parte della giunta Formentini del comune di Milano, dove ricoprì l’incarico di assessore con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali. Nel 1999 è stato inviato speciale della trasmissione Art’è su Rai 3, e l’anno seguente è stato autore e conduttore di Art.tù. Dal 2002 al 2012 va in onda su Rai 3 la serie Passepartout, programma d’arte e cultura, seguito poi da Il Capitale. Nel 2011 per Rai 5 conduce Emporio Daverio, una proposta d’invito al viaggio attraverso l’Italia. Ha collaborato con riviste e quotidiani come Panorama, Vogue, Cronache di Liberal, Avvenire, Il Sole 24 Ore, National Geographic, Touring Club, L’architetto e QN Quotidiano Nazionale. È stato direttore del periodico Art e Dossier e consulente per la casa editrice Skira. Ha collaborato inoltre a una rubrica sull’arte nel mensile Style Magazine del Corriere della Sera. Con la casa editrice Rizzoli ha pubblicato nel 2011 il libro “Il museo immaginato”, nel 2012 “Il secolo lungo della modernità”, nel 2013 “Guardar lontano veder vicino” e a fine 2014 “Il secolo spezzato delle avanguardie”. Per la stessa casa editrice sono usciti nel 2015 i volumi “La buona strada”, “L’arte in tavola” e “Il gioco della pittura”. È stato coinvolto da Vittorio Sgarbi nella sua giunta del comune di Salemi come bibliotecario. Ha insegnato storia dell’arte presso la IULM di Milano, storia del design presso il Politecnico di Milano, e fino al 2016 ha ricoperto l’incarico di professore ordinario di disegno industriale presso l’Università degli Studi di Palermo.

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rere, trovato in un’ipotesi di conflitto d’interesse in quanto cittadino onorario del borgo vincitore, come si evince dalla delibera del comune di Bobbio del 6 luglio 2018. La circostanza era peraltro ininfluente ai fini della vittoria finale del comune piacentino, per la quale bastava il voto per Bobbio di soli due giurati, visto lo scarto in percentuale tra i due borghi. Intervistato sul caso dal programma televisivo di Mediaset Le Iene, Daverio, dopo aver ricevuto minacce di ogni genere e anche di morte a sé e alla propria famiglia, ha espresso giudizi negativi sulla Sicilia e sui siciliani, paragonando la forma del dolce tipico “cannolo” a quella del fucile a canne mozze, e ha dichiarato: “Non amo la Sicilia”. Sono poi giunte una rettifica e un messaggio di scuse da parte dello stesso Daverio, in risposta al presidente della Regione Siciliana Musumeci.

L Nel 2008 è stato chiamato dal regista Pier Luigi Pizzi a interpretare il narratore Njegus nell’operetta “La vedova allegra” di Franz Lehár, in scena al Teatro alla Scala. Nel 2009 presenta lo spettacolo Shock, balletto sulla catarsi dei vizi capitali, ideato e diretto da Andrea Forte Calatti, in scena al Teatro degli Arcimboldi. Alle amministrative del 2009 si candida a consigliere provinciale di Milano nella lista civica di Filippo Penati. Nel 2010 viene designato dal sindaco di Palermo come consulente per la Festa di Santa Rosalia: durante la celebrazione ha però un alterco verbale con alcuni contestatori e subito dopo si dimetterà dal suo ruolo. Nel settembre del 2010 è stato nominato Direttore del Museo del Paesaggio di Verbania, sul lago Maggiore, ma si dimetterà polemicamente dopo soli due mesi[8][9]. Dal 2004 ha tenuto ogni anno una conferenza estiva presso l’agriturismo Colonos di Villacaccia di Lestizza, in provincia di Udine. Daverio insignito nel 2015 del premio nazionale Toson d’oro di Vespasiano Gonzaga. Nel 2011, in concomitanza dei festeggiamenti per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia, fonda il movimento d’opinione Save Italy. Il movimento, privo di una struttura organizzativa, si propone di sensibilizzare intellettuali e cittadini di ogni provenienza geografica (“la denominazione inglese serve a testimoniare che il patrimonio culturale dell’Italia non appartiene solo agli italiani ma al mondo intero, anche perché il latino si studia oggi molto più a Oxford che a Pavia”, ha dichiarato Daverio in una delle sue conferenze) alla salvaguardia dell’immensa eredità culturale dell’Italia. Save Italy ha organizzato, in particolare, una grande manifestazione contro la proposta di realizzazione di una discarica nelle immediate vicinanze di Villa Adriana, a Tivoli: la protesta ha ottenuto gli effetti sperati e il progetto di discarica è stato abbandonato. È stato inoltre consulente artistico del progetto «Genus Bononiae» della Fondazione CARISBO di Bologna, che ha lanciato la rassegna “Bologna si rivela con quattro mostre” nel 2011 e ha curato l’apertura del nuovo museo Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni. Il 23 luglio 2018 viene proclamato a Marciana Marina. vincitore della quattordicesima edizione del Premio letterario La Tore; nel 2007 lo stesso premio fu vinto da Andrea Camilleri. Muore il 2 settembre 2020 a Milano, all’età di 70 anni, a causa di un tumore. Controversie L’elezione del comune di Bobbio a “borgo dei borghi” il 20 ottobre 2019 nel corso de “Il borgo dei borghi”, trasmissione televisiva della Rai, fu determinata dal voto dei tre componenti della giuria (Daverio, storico dell’arte, il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi e dalla campionessa di scherma Margherita Granbassi), che ribaltarano il risultato del televoto, che aveva assegnato il 41,95% delle preferenze a Palazzolo Acreide e il 27,08% a Bobbio. Il segretario della commissione di vigilanza Rai, l’onorevole Michele Anzaldi, sollevò un caso Daverio che, presidente della commissione giudicante nella trasmissione si sarebbe, a suo pa-

a mia Europa a piccoli passi “Al turista che sia in grado d’inventare oggi un Grand Tour capace d’invertire quello settecentesco verso il Meridione per sostituirlo con un girovagare continentale viene suggerita una deambulazione più che una corsa in luoghi adatti alla riflessione. L’eccentricità andrebbe vissuta in senso etimologico come un’opportunità per cercare il luogo poco visto nelle città più attraenti”. Dopo il “Grand Tour d’Italia a piccoli passi”, un nuovo libro che è un invito al viaggio, questa volta oltralpe. Attraversando Francia, Svizzera, Belgio, Germania e i Paesi che costituiscono il vero cuore pulsante d’Europa, lungo itinerari suggestivi alla scoperta di un territorio ricco di tracce e testimonianze storiche e artistiche che uniscono gli europei. Gran Tour d’Italia Queste pagine potrebbero servire agli italiani per godere dell’essere ciò che sono, per amare ciò che hanno ereditato e per preservarlo, e potrebbero servire a chi vien da fuori per scoprire la culla di gran parte di ciò che ha reso il mondo più bello. Philippe Daverio ci fa da cicerone attraverso le bellezze del nostro Paese, in una sorta di “visita guidata” d’eccezione di quel museo diffuso che è l’Italia: chiese, castelli, monumenti, gallerie e opere d’arte.


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EDOARDO TRESOLDI

Foto artribune

diventato famoso per le sue architetture trasparenti in rete metallica, capaci di riprodurre antichi capolavori andati persi, come ad esempio la basilica paleocristiana presso il sito archeologico di Santa Maria di Siponto in Puglia. Ora, Edoardo Tresoldi, dopo le esperienze in Arabia Saudita, Emirati Arabi e Dubai, Coachella, Parigi e Arte Sella, torna alle origini e realizza una nuova installazione permanente in Italia. Si tratta di Opera, un intervento di arte pubblica sul lungomare Falcomatà di Reggio Calabria, promossa e commissionata dal Comune e dalla Città Metropolitana, che é stata inaugurata il 12 e 13 settembre con una serie di eventi gratuiti di musica, performance e poesia con nomi come il musicista Teho Teardo e il poeta e scrittore Franco Arminio. “Opera nasce per rimarcare il carattere del luogo attraverso il costruito, proponendone così un’ulteriore chiave di lettura”, racconta Tresoldi. “Ho cercato di creare un luogo della contemplazione e indagare il ruolo dell’arte pubblica oggi, che ritengo debba saper accogliere il presente”. Quest’opera monumentale, costituita da un colonnato di 46 colonne classiche in rete metallica che raggiungono gli 8 metri di altezza, si inserisce, infatti, all’interno di uno dei più ampi spazi pubblici europei, sotto il lungomare Falcomatà, nel parco di 2500 mq posto alla fine di via Giunchi, proprio nei pressi del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dove sono custoditi i celebri Bronzi di Riace. “Tresoldi è uno dei creatori più stimati a livello internazionale”, conclude il sindaco della città, Giuseppe Falcomatà. “La sua opera costituisce per la nostra città una grande vetrina, rappresentando con la sua prospettiva moderna coniugata in senso classico un’ulteriore importante attrattiva, anche dal punto di vista turistico, integrandosi in un contesto di rara bellezza come il nostro Lungomare”. Claudia Giraud Vedi le immagini del progetto… https://www.artribune.com/ arti-visive/arte-contemporanea/2020/07/edoardo-tresoldi-reggio-calabria-46-colonne-rete-metallica/

E

vedi video https://youtu.be/_ fkZjDFS9bo

doardo Tresoldi (Cambiago, 1987) è uno scultore italiano. Specializzato nella creazione di installazioni ambientali in rete metallica, ha raggiunto notorietá internazionale grazie alla sua opera di ricostruzione della Basilica paleocristiana di Siponto. Nel 2017 è stato inserito da Forbes nella lista dei più importanti artisti under-30 europe. Originario di Cambiago, dopo aver frequentato l’Istituto d’arte a Monza, nel 2009 si trasferisce a Roma dove inizia a lavorare come scenografo nel mondo del cinema. A seguito dell’incontro con lo street artist Gonzalo Borondo decide di abbandonare il cinema per dedicarsi alla ricerca di un percorso artistico indipendente. Le sue prime opere sono figure umane realizzate in rete metallica, tecnica che l’artista ha imparato durante l’attivitá come scenografo. Nel 2013, in occasione della seconda edizione del Mura Mura Festival di Pizzo Calabro, ha realizzato una delle sue prime sculture nella piazza principale della città, un uomo su un piccolo pro-

montorio osserva e contempla il mare, soprannominato il “Collezionista di Venti”. Nel 2014, in occasione del Festival Oltre il Muro di Sapri realizza la scultura Site-Specific “Pensieri” (Thinkings). L’opera rappresenta un’umana necessità di niente, una generica assenza di pensiero: cerca di incoraggiare la generazione umana a pensare meno. Nel 2016 la Soprintendenza archeologica della Puglia gli affida un progetto di valorizzazione e conservazione della Basilica paleocristiana di Siponto; Tresoldi realizza una ricostruzione dell’antica basilica paleocristiana utilizzando 500 metri quadrati di rete elettrosaldata zincata alta 14 metri e pesante 7 tonnellate. L’opera, intitolata “Dove l’arte ricostruisce il tempo”, ha avuto ampio risalto internazionale incrementando notevolmente l’afflusso di turisti nel Parco Archeologico e ricevendo diversi riconoscimenti a livello nazionale. Nell’estate 2017 partecipa, a Sapri, a Derive, progetto sperimentale dove arte, musica e poesia di fondono per interrogarsi - per quella prima edizione - sul tema dei ‘luoghi’. Edoardo Tresoldi realizza per l’occasione un’installazione

di rete metallica, una vela, posta direttamente sul mare per accogliere la performance musicale dell’artista di origine sarda, Iosonouncane, e ripensare al contempo il rapporto tra pubblico e artista. Ha partecipato al Festival di Coachella, insieme ad altri artisti visivi, alla 19ª edizione, dal 13 al 22 aprile 2018. A Reggio Calabria realizza 46 colonne in rete metallica di 8 m sul lungomare della città E’ la sua seconda grande opera pubblica permanente in Italia, dopo la Basilica di Siponto in Puglia l’installazione sorge all’interno di un parcvo di 2 500 mq sotto il lungomare. Inaugurazione prevista in settembre. Claudia Giraud https://twitter.com/c1aud1

Nata a Torino, è laureata in storia dell’arte contemporanea Dams di Torino. Giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2006. Dal 2011 nella Direzione di Artribune (www.artribune.com ), è Caporedattore Musica e cura la rubrica “Art Music”. Caporedattore Eventi presso Exibart (www.exibart.com). (Ufficio stampa “Castello di Rivoli”, “Palazzo Bricherasio”, “Emanuela Bernascone”) “Cantiere48” di Torino. Ha svolto attività di redazione “News Italia Press” di Torino. (SkyArte, Gambero Rosso, Art Weekly Report e Art Report di Monte dei Paschi di Siena, Exibart, Teknemedia, Graphicus, Espoarte, Corriere dell’Arte, La Piazza, Pagina).


Tripletta per i nostri vini al concorso internazionale

Mondial des Vins Extremes 2020

Foto cantinadicalasetta

la manifestazione che premia i vini prodotti in zone caratterizzate da viticolture eroiche ci ha assegnato i seguenti riconoscimenti:

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piagge, falesie, zone umide e vigneti giocano in un susseguirsi di spazi per arrivare a Calasetta “la bianca” piccola cittadina dell’isola di S’Antioco nella Sardegna meridionale, dove le caratteristiche case bianco calce sfilano lungo le strade attraversate dal discreto rumore del maestrale. Calasetta, Cal’e’ Seda in sardo, Cadesedda in tabarchino il dialetto che parlava un gruppo di liguri partendo da Tabarca, piccola isola tunisina avuta in concessione dal noto casato genovese dei Comellini. Appunto a metà del 1700 questo gruppo di genovesi a causa della scarsa produttività della pesca del corallo nell’isola di Tabarca, l’abbandonarono per approdare nell’Isola di San Pietro e poi in quella di Sant’Antioco, ottenute in concessione dal Re di Sardegna. Il nome della cittadina è incerto anche se molti propendono per attribuire l’origine del nome a Cala di Seta per via della seta di mare ossia il bisso ottenuto da un mollusco bivalvo la Pinna Nobilis

che filato a mano ed esposto al sole assume uno splendido color oro. Calasetta è un centro importante di S’Antioco isola nota per il pregevole patrimonio archeologico, naturalistico, culturale, turistico, enogastronomico ed artigianale. E’ tra i pochissimi comuni d’Italia in cui sopravvive la tradizione dei maestri d’ascia abili maestri nella costruzione di barche tra cui quelle a vela latina. 1932 Tredici, oggi 300 caparbi e capaci viticoltori, fondano la Cantina di Calasetta, convinti che una generosa quanto singolare natura, grazie al sole, al vento, al mare, alla sabbia, avrebbe contribuito a dare vini fortemente identitari, eleganti e di grande piacevolezza. La filosofia di accogliere, valorizzare le ricchezze naturali e coltivare il sapere degli uomini, ha guidato l’azienda nel corso degli ottanta anni di attività perseguendo l’obiettivo di conservare e lasciare alle generazioni future un grande patrimonio naturale e culturale. La Cantina ubicata nell’iso-

la di Sant’Antioco a sud-ovest della Sardegna insiste su un’area di produzione caratterizzata da un terroir singolare i cui terreni sabbiosi danno la possibilità di coltivare la vite franca di piede cioè con le sue radici originali, senza fare ricorso al portainnesto di vite americana. Questo tipo di coltivazione assicura un patrimonio organolettico unico alle uve e determina la condizione ideale perché i vigneti diano una produzione eccellente anche in età molto avanzata. I forti venti di maestrale, provenienti da nord ovest, il clima mediterraneo con estati calde e secche, uniti alle tecniche di allevamento tradizionali ad alberello latino, offrono le condizioni ideali per la produzione del vitigno Carignano, probabilmente introdotto nell’isola dai Fenici verso il IX secolo a.C.. Le scelte enologiche seguite negli anni dalla Cantina hanno lavorato per conservare la diversità, per esaltare la complessità gustativa, per valorizzare gli originali profumi mediterranei, per dare ai vini grande armonia ed eleganza.

Cala di Seta 2019 Medaglia d’oro Rassetto 2019 Medaglia d’oro Maccori 2019 Medaglia d’oro Dal 1932 la Cantina di Calasetta provvede alla raccolta e alla lavorazione delle uve dei soci, al fine della produzione di un vino di qualità da commercializzare nel mercato.

Cantina di Calasetta Via Roma, 134 09011 Calasetta tel. +39. 0781.88413 info@cantinadicalasetta.it www.cantinadicalasetta.it/


La Sardegna ha un Paesaggio Culturale che può ambire a ottenere la Nomina nella Lista del PATRIMONIO DELL’UMANITA’ dell’UNESCO?

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Foto facebook

n amico indipendentista si è espresso, su facebook, polemicamente sulla iniziativa del titolo di questo post, domandandosi se le persone e i gruppi che chiedono che il paesaggio sardo divenga patrimonio UNESCO intendono anche Sestu e hinterland cagliaritano? Come accade normalmente suoi social sono seguiti una serie di commenti di critica. Nurnet partecipa all’iniziativa, così lo scrivente. Ne abbiamo sposato ogni aspetto senza alcuna remora e, anzi, abbiamo e stiamo contribuendo alla stesura dei documenti e alla creazione del consenso attorno ad essa. Ho pertanto chiesto all’amico “critico” Arricu Bachis di esplicitare meglio i suoi argomenti e, se possibile, di partecipare a un dibattito sul tema che avremo promosso qui, su Nurnet. Così scrive Arricu: “Si, ho visto che voi di Nurnet avete condiviso il progetto, così come ho letto che si sono dichiarati a favore parecchi archeologi sardi. E capisco le ragioni che vi animano in quanto amanti del nostro patrimonio archeologico. La mia battuta (sul paesaggio di Sestu, preso a campione come mancato paesaggio culturale, ndr), però, nasce da una valutazione che va oltre (anche io sono un amante della storia sarda) e che considera: 1) lo stato effettivo del nostro paesaggio; 2) le azioni non messe in atto a difesa di quel paesaggio da chi ha promosso l’iniziativa. Sulla base del punto 1 non ritengo ci siano speranze di arrivare al riconoscimento, mentre sulla base del 2 ritengo in caso di successo si ripeterebbe il caso Parco Geminerario, cioè una mangiatoia che nulla produce. Preferisco utilizzare tempo ed energie per fare quello che è possibile fare già ora, e mettere le basi per un cambio di approccio collettivo al tema paesaggio e beni archeologici. Spero di venir smentito dai fatti ovviamente, ma non credo succederà come ogni volta che si cerca di costruire la casa dal tetto.”

Nei commenti qualche indipendentista contesta questa costante necessità dei sardi di chiedere il riconoscimento da terzi. Sin qui Arricu, che ringrazio. Andiamo per punti. I Paesaggi Culturali Patrimonio dell’Umanità riconosciuti da Unesco sono 114. Fra di essi vi sono paesaggi molto diversi: lande desolate e bellissime; paesaggi fluviali urbanizzati; paesaggi rurali fortemente antropizzati (le colline del Prosecco), “artificialmente e chimicamente” trattati; ecc. Veramente di tutto. L’UNESCO opera all’interno di standard e glossari che definisce in maniera puntuale in diversi documenti pubblicati. L’UNESCO auspica e sollecita gli “Stati”, parte della Convenzione internazionale, a proporre paesaggi e siti per la nomina. L’UNESCO pretende serietà e scientificità, ma è interessata anche alle tradizioni e alle credenze legate alle popolazioni e al territorio, miti e “mistica” o suggestivi, facenti comunque parte della “Antropologia” del paesaggio, diciamo così. L’UNESCO pretende che il processo sia possibilmente

accompagnato o promosso dal “basso”, bottom up, e che le popolazioni siano comunque coinvolte, salvo il rigetto dell’istanza di nomina. L’UNESCO ha pubblicate le LINEE GUIDA OPERATIVE che stabiliscono l’iter; le forme descrittive del paesaggio (format) oggetto dell’istanza; i criteri di sistema nei quali il paesaggio proposto deve rispecchiarsi; una dichiarazione scientifica e standardizzata di Autenticità e Integrità; una descrizione dei sistemi di tutela e gestione; una Comparazione con Beni simili già appartenenti alla Lista UNESCO. Queste dimostrazioni avvengono in due tempi: il primo presso la Commissione Italiana Unesco di Roma, con una istanza meno dettagliata e di “minor costo”. La seconda, dopo l’accettazione da parte della Commissione Italiana e l’inserimento in una “Lista dei tentativi”, direttamente con Parigi, attraverso la costruzione di un dossier di maggior dettaglio che richiede una accurata definizione geografica, puntuale su Sistema Informativo Digitale cartografico; Tutto ciò non sembri poco e di facile stesura.

C’è chi ci sta lavorando e, io penso, tutti i Sardi dovrebbero auspicare l’avvio del processo e l’eventuale riuscita. Ma già l’avvio e lo svolgimento sarebbero utili e un enorme successo. Io penso che la Sardegna debba aprirsi al mondo e chiedere, appunto di essere riconosciuta e caratterizzata per la sua storia e la sua bellezza. Cosa di più? Antonello Gregorini Nurnet - La Rete Dei Nuraghi Organisation à but non lucratif Divulgare la Storia prenuragica e nuragica della Sardegna evidenziandone l’unicità nel mondo. Far sì che ne beneficino tutta la Storia e tutti i settori. via Alagon 09122 Cagliari, Sardaigne, Italie http://www.nurnet.net/ (gradita la condivisione per informare il pubblico del progetto e del dibattito)


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