IABR 2014 URBAN BY NATURE

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IABR – 2014 – URBAN BY NATURE Intelligent School Design alla Biennale di Rotterdam Il corso Intelligent School Design, organizzato dall'Università IUAV di Venezia in collaborazione con l’Urban Center del Comune di Bassano del Grappa (VI), con l'Ordine degli Architetti PPEC di Vicenza e con il Think Tank VoD, ha organizzato una visita alla Biennale di architettura di Rotterdam, che quest'anno propone il tema - URBAN BY NATURE'. Questo lavoro è una lettura mirata della Biennale, organizzato in quattro capitoli,'Introduzioni', 'Argomenti', 'Metabolismo urbano' e 'Progettare con i flussi', che ha lo scopo di ricostruire il ragionamento esposto alla mostra, cioè un palinsesto teorico e operativo per l'organizzazione della città dell’Antropocene, basandosi sulle regole del metabolismo urbano. I capitoli sono integrati da tre raccolte fotografiche a cura dei partecipanti al viaggio, che raccontano i passaggi chiave del progetto antropocenetico: la scoperta della 'natura urbana', il passaggio a modelli di organizzazione del progetto orizzontali e programmatici, come quello attuato per la realizzazione del ponte Luchtsingel, e l'accenno all'evoluzione tipologica di Rotterdam nell'ultimo cinquantennio dalla bassa densità all'esplosione del grattacielo. Fonte dei testi è il catalogo: G. Brugmans e J. Strien (editors), IABR 2014 - URBAN BY NATURE, ed. IABR, Rotterdam, maggio 2014. In particolare sono stati tradotti i testi di Dirk Sijmons che riguardano la presentazione della mostra e delle sue sezioni, cui vanno aggiunti gli scritti di Jelle Reumer, La città è anche natura, Johan van de Gronden, Il nuovo 'selvaggio' siamo noi, Piet Vollaard, La natura dell’uomo, l’ascesa dell’Antropocene, Maarten Hajer, La sfida del secolo, la necessità di una radicale revisione dell’urbanistica. I testi sono stati tradotti da Giuseppe Longhi, Diletta Bellina, Linda Comerlati, Beatrice Rizzo. Le fotografie sono a cura di Giuseppe Longhi, Linda Comerlati, Giulia Longhi, Nicola Preti, Beatrice Rizzo L’edizione interattiva di questo lavoro è stata curata da Diletta Bellina. L’edizione in pdf è stata curata da Linda Comerlati. Hanno partecipato al viaggio: Giuseppe Longhi, Diletta Bellina, Sara Carciotti, Matteo Coletto, Linda Comerlati, Giulia Longhi, Nicola Preti, Beatrice Rizzo.


IABR – 2014 – URBAN BY NATURE

Indice INTRODUZIONI Svegliarsi nell’Antropocene

05

Dirk Sijmons

Un percorso per progettare nell’Antropocene

SKETCH 1 Urban by nature in Rotterdam La città è natura, impressioni

33

#IntelligentSchoolDesign2014 11

Giuseppe Longhi

METABOLISMO URBANO Imparare a progettare con i flussi

Il metabolismo urbano 14

43

Dirk Sijmons

Linda Comerlati

ARGOMENTI Pura resilienza La città è anche natura

17

22

24

Piet Vollaard

Esplorando il sottosuolo

26

Dirk Sijmons

Paesaggio urbano e cambiamento climatico

28

Quattro strategie per un nuovo metabolismo di Rotterdam

79

PBL, IABR - Project Atelier Rotterdam, Rotterdam Town, FABRIC and James Corner

Quattro funerali, ma dov’è il matrimonio?

84

Il mosaico del Brabant

88

Yves De Boer

La sfida del secolo, la necessità di una radicale revisione dell’urbanistica 29 Maarten Hajer

Dirk Sijmons

Pianeta Textel, guida per un luminoso futuro 74

Floris Alkemade e LOLA

Dirk Sijmons

Strategie per il paesaggio urbano

64

PROGETTARE CON I FLUSSI

Johan van de Groenden

La natura dell’uomo L’ascesa dell’Antropocene

SKETCH 2 Una progettazione in crowd, un ponte per la coesione di Rotterdam

19

Dirk Sijmons

Il nuovo 'selvaggio' siamo noi

45

#IntelligentSchoolDesign2014

Jelle Reumer

Un pianeta coltivato

I flussi , le sfide visualizzate

SKETCH 3 Grattacielo contro bassa densità, appunti sui modelli insediativi di Rotterdam 90 #IntelligentSchoolDesign2014

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INTRODUZIONI


SVEGLIARSI NELL’ANTROPOCENE Dirk Sijmons Un’idea o un’immagine forte possono improvvisamente modificare radicalmente il nostro modo di vedere il mondo. Ti rendi conto che non puoi più tornare alla beata inconsapevolezza, così normale fino a un giorno prima. Questo mi è inaspettatamente successo qualche anno fa, quando i geologi annunciarono la nuova era dell’Antropocene. I geologi non sono scienziati che abitualmente affrontano il breve termine e gli sconvolgimenti frenetici. Essi pensano in migliaia, se non milioni d’anni. L’era geologica più recente, l’Olocene, risale a 10.000 anni fa. Le novità eclatanti raramente appartengono alla geologia. Ma questa volta è successo. Una sera stavo leggendo un articolo del Premio Nobel olandese Paul Crutzen. Raccontava come, in una relazione di routine, stesse descrivendo l’Olocene come la ‘nostra’ epoca e improvvisamente pensò: no, è cambiato troppo negli ultimi secoli, ci siamo persino lasciati alle spalle il buon vecchio Olocene e siamo entrati in una nuova era, nella quale l’umanità sta aggredendo la terra come una forza della natura. Egli chiama questa era ‘l’era degli umani’: l’Antropocene. Al mattino seguente ero consapevole che mi stavo svegliando in una nuova era, non perché il mondo era cambiato, ma perché la mia visione del mondo era inequivocabilmente mutata. Antropocene è il termine provocatorio e appropriato con cui descrivere l’era e il mondo in cui viviamo. Grazie a questo concetto si possono meglio focalizzare molte osservazioni sull’influenza dell’uomo sui processi naturali. In tutto il mondo ci sono più alberi nei parchi, nei vivai e in altre realizzazioni umane che nella foresta vergine. Gli esseri umani sono capaci, in 500 anni, di bruciare la biomassa prodotta in 500 milioni di anni e di alterare il clima con i gas serra emessi. Un solo progetto per l’estrazione di sabbie bituminose richiede più movimento terra che il sedimento portato via da tutti i fiumi del mondo. Questo movimento di sedimenti, per inciso, è diminuito spettacolarmente in conseguenza della costruzione di decine di migliaia di dighe, così che, molti delta nelle aree del mondo più densamente popolate, non sono più riforniti in modo naturale. Il progresso dell’umanità è condizionato da una valanga di specie a rischio d’estinzione. In breve, l’introduzione del concetto di Antropocene nella scienza è problematica: una grande, nuova, ipotetica parola che improvvisamente organizza questo disordinato pasticcio di fenomeni e lo rende comprensibile.

Non si può tornare indietro Ma Antropocene non è solo un concetto scientifico basato sull’osservazione; esso risuona come un avvertimento: il fatto che siamo abbastanza potenti da manipolare la terra non è qualcosa di cui essere orgogliosi. Il sottinteso morale è che siamo anche responsabili delle conseguenze del nostro intervento: dei problemi ambientali , dell’estinzione delle specie, della roulette russa del cambiamento climatico. L’introduzione del termine ha seriamente minato l’alibi che siamo troppo insignificanti per fare qualcosa, e questo da al termine Antropocene una sfumatura polemica , esortativa ed anche impetuosa. La consapevolezza della responsabilità è un fatto serio. Ma se vogliamo affrontare le vere e pressanti questioni del pianeta urbano del XXI° secolo, è di scarsa utilità il solo messaggio moralistico che noi esseri umani sono siamo andati troppo lontano e quindi dobbiamo invertire il corso. Non si può tornare indietro. L’Antropocene postula che i processi umani e naturali siano un insieme interconnesso. Non c’è una ‘situazione di partenza’ o un‘equilibrio naturale’ a cui tornare, così come non possiamo tornare al tempo della settimana passata. Stiamo vivendo nell’Antropocene, che ci piaccia o no. Possiamo solo andare avanti, e dobbiamo trovare il modo migliore di progredire.

Verso nuove avventure In questo vedo motivi di ottimismo. Uno di questi è l’ingegnosità umana. Questa spesso ci porta nei guai , ma ci consente anche di tirarci fuori. L’Economist ha scritto: ‘Un pianeta che presto dovrebbe sostenere10 miliardi di umani dovrebbe funzionare in modo diverso da quello che ha mantenuto 1 miliardo di persone, per lo più contadini, 200 anni fa. La sfida dell’Antropocene è usare l’ingegno umano per impostare le cose in modo che il pianeta possa assolvere i suoi compiti per il 21° secolo’. Sono anche ottimista per uno degli effetti collaterali al concetto di Antropocene . Vedendo l’intervento umano come una forza della natura che aggredisce la terra ha minato la pseudo opposizione tra ‘natura’ e ‘società umana’. Questa opposizione (come quella tra corpo e mente) ha dominato il pensiero, accecandoci,


ostacolando azioni efficaci per secoli. Noi esseri umani pensavamo di esistere fuori dalla natura, e la natura fuori di noi. La natura è stata vista come un dominio al di la dello steccato, dove poter attingere risorse e scaricare rifiuti senza limiti e per sempre. Con la dichiarazione dell’Antropocene, non è stato più possibile mantenere la finzione di una divisione tra ciò che è naturale ed artificiale. Non si può prescindere dal fatto che essi sono interdipendenti. Dobbiamo anche riconoscere che molti dei processi che ci circondano sono ibridi: frutto del lavoro di ‘naturale’ e ‘umano’. Ciò che abbiamo finora soprannominato ‘naturale’ è anche artificiale, e quello che abbiamo chiamato ‘artificiale’ è anche naturale. Questo che si applica all’uso del suolo, ai fiumi e alle correnti oceaniche, alla flora e alla fauna, al clima, vale per una delle più grandi forme ibride più visibili sulla terra: il paesaggio urbano. La semplicistica teorizzazione del passato, basata sulla contrapposizione fra città e natura non è più valida. Forse noi umani siamo per natura inclini a vivere insieme in insediamenti in espansione, forse siamo urbani per natura. Questa intuizione ci libera da un sacco di preconcetti moralistici su ‘buono’ e ‘cattivo’ nel rapporto tra natura e città. Nell’Antropocene ci rendiamo conto che città e natura si sovrappongono spazialmente e funzionalmente, con un impatto reciproco. Per i progettisti questa è una sfida unica. IABR-2014-URBAN PER NATURE guarda a questa nuova condizione urbana attraverso la lente dell’architettura del paesaggio, la disciplina appropriata per guidarci attraverso un mondo ibridizzato. 'Paesaggio' è per definizione un concetto ambiguo e di collegamento in cui fattori naturali e azioni umane si fondono. L’architetto del paesaggio è addestrato a guardare nello stesso tempo le componenti naturali e artificiali di una zona, come due immagini che scorrono una sopra l’altra e insieme raccontano una storia nella sua completezza. Guardando attraverso la lente dell'architettura del paesaggio, stiamo radicalizzando l'idea di città, la condizione urbana, la società e la natura.

Non ci rimane che questa terra In tutto il mondo, l'urbanizzazione sta subendo una sbalorditiva ondata d’espansione. Già la metà della popolazione mondiale vive in quella che chiamiamo la città, e nei prossimi 40 anni più di 3 miliardi di persone si aggiungeranno a questa cifra. Ma che cosa intendiamo per 'citta'? Un secolo fa, città e campagna erano ancora chiaramente distinguibili. Tuttavia, la combinazione della crescita della popolazione, della prosperità, della modernizzazione agricola, e della migrazione urbana fanno si che a livello mondiale la densità degli insediamenti sia in declino. ‘Tappeti’ (sub)urbani si fondono con le aree agricole, 'contenendo' e inglobando le aree naturali, le zone industriali, i grappoli di produzione agricola, gli aeroporti, le aree di estrazione dell’acqua, le zone minerarie, e le aree ricreative connesse e divise in due da una serie di percorsi infrastrutturali, dalle tubazioni alle linee elettriche, alle strade, alle ferrovie. Soprattutto lungo le coste e nei delta, questi enormi manufatti emergono come paesaggi urbani. “Tappeti urbani” enormi, tessuti con grande complessità, con leggende multicolori. Confusamente, queste "città" hanno una biodiversità molto più grande di quella delle aree agricole monofunzionali, a causa della loro ricchezza di substrati e di situazioni. Come possiamo attrezzare tali colossali manufatti, già città, per un altro raddoppio della loro dimensione attuale? Sappiamo che le città non potranno espandersi secondo le modalità del passato, quando le soluzioni erano comunemente ricercate al di fuori delle città. La città era compatta, nettamente demarcata, e circondata da una campagna pastorale, dove la natura ed i terreni agricoli sembravano inesauribili risorse per il funzionamento della città. La fornitura dell’energia urbana avveniva importando combustibili da oltre l’orizzonte. I rifiuti della città sono stati delegati alle sue zone esterne. Quando la città è divenuta troppo piccola, l’abbiamo ampliata. In breve, la città ha affrontato molti dei suoi problemi con una ritirata in avanti, con la fuga da qualche altra parte. Questo è sempre meno possibile. La continua crescita della popolazione e la sua tensione verso la prosperità e la ricchezza stanno generando sempre maggiore pressione sulla disponibilità di spazio e risorse. Il sistema urbano si è ampliato come una rete attraverso quasi tutte le parti fertili della terra. Le immagini satellitari della terra di notte evidenziano paesaggi urbani pantagruelici che dicono che c'è sempre meno spazio per l’espansione, sempre meno spazio per fuggire all’esterno. Non vi è alcuna nuova frontiera. L’'altrove' che è stato usato per gestire l’abbondanza, come un serbatoio per eludere soluzioni ai problemi, è sempre più scarso, e siamo costretti a dire addio alla tradizionale pianificazione ‘altrove’. L'habitat umano si identifica sempre più con il paesaggio urbano, ed è in questo che dobbiamo imparare a sopravvivere.


Nuove prospettive d’azione In quanto la civiltà umana diventa sempre più una civiltà urbana, aumenta anche la necessità di trattare i grandi temi del XXI secolo come questioni urbane. Questo vale per le mega-questioni come il cambiamento delle fonti energetiche, il cambiamento climatico, la biodiversità, l'esaurimento delle risorse naturali, il modo in cui la nostra società è organizzata e governata, ma anche per la realizzazione del diritto fondamentale di ogni individuo ad un'esistenza dignitosa, priva di povertà e oppressione. Ma questo vale anche per le questioni di base della vita, che sono tanto urgenti per ogni singolo essere umano come lo sono per l'umanità intera: come potranno 9 miliardi di persone, di cui 7 miliardi vivranno in città, essere in grado di provvedere alle loro necessità in acqua potabile, cibo, calore, sicurezza, riparo, lavoro, incontri personali, riposo, e conoscenza? Siamo riusciti a nascondere sotto il tappeto gli effetti diretti e indiretti della società urbana industriale e della modernizzazione attraverso le aree esterne. Ora non possono più essere ignorati; stanno diventando questioni urgenti, come il cambiamento climatico, la crisi energetica, la pesca eccessiva, la scarsità di risorse, l’erosione della biodiversità. A scala mondiale, lo studio e le azioni per contenere gli effetti collaterali dei progetti urbani stanno diventando una priorità. IABR2014-URBAN BY NATURE dimostra che questi nuovi protagonisti presentano nuove opportunità per il paesaggio urbano. Siamo in grado di trarre beneficio da queste opportunità, se ci impegnamo a mobilitare la volontà politica, se abbiamo inventiva, se ci adattiamo e impariamo a fare buon uso della ricchezza e dell’ingegnosità invece di sprecarle. Per cominciare dobbiamo sviluppare una nuova visione dell'habitat umano, ora che è diventato così urbano: una visione di ciò che questa nuova città è in realtà e come si rapporta con la natura e con la nostra stessa natura. È da questo compito che ha origine il motto di IABR-2014-: 'URBAN BY NATURE’

Cavalcando la tigre Come possiamo noi, come progettisti spaziali, svolgere questo compito? Non c'è risposta univoca a questa domanda. La tensione esiste ancora tra la volontà di affrontare i problemi ambientali, da un lato, e il fatto che i designer fanno vanto della loro distanza critica e ne mettono in dubbio l’importanza culturale. Troppo spesso, 'sostenibilità' è presa per un imperativo morale, come una restrizione alla libertà disciplinare di creare significative architetture: un falso dilemma che è la manifestazione di una più ampia confusione sociale. Viviamo in un periodo di transizione. Per decenni, sono circolate contemporaneamente due storie contrastanti: una sulla fede nel progresso implicita nel progetto modernista di urbanizzazione e un’altra che prefigurava le sue conseguenze ambientali, a volte in toni funerei. La posizione di progettisti spaziali: disimpegno, o un paralizzante senso di colpa. Non molto tempo fa, le idee per quanto riguarda la città sono stati al centro di modelli idealistici di società di stampo tecnocratico. La pianificazione e progettazione della città, delle infrastrutture, delle aree di svago, della modernizzazione dell'agricoltura, e anche della natura stessa sembrava tutto parte di un modello di modernizzazione e di rinnovamento progetto figlio dell’Età della Ragione, onnicomprensivo, che era sicuro di tradursi in un mondo migliore di prosperità economica e di riscatto dei gruppi svantaggiati. Questo continuo rinnovamento è stato inconsapevolmente sostenuto dalla convinzione che la natura fosse una fonte inesauribile di energia e materia che, senza alcun contraccolpo, avrebbe agito come pozzo senza fondo, dove poter scaricare tutti tipi di rottami, cascami di calore, acqua di raffreddamento, gas di processo, per essere successivamnente assorbiti e neutralizzati. La storia è stata riassunta come una serie di successi scientifici e tecnologici, in grado di liberarci dall’oppressione dei vincoli sociali e naturali. Le parole chiave del progetto progressista erano libertà ed emancipazione. C'è anche un'altra storia. Gli ultimi 50 anni sono stati punteggiati con evidenza da coloro che dicono che quasi tutto quello che fanno gli esseri umani ha effetti nocivi. Questi effetti sono stati spesso descritti con termini apocalittici, aggiungendo forza polemica allo shock della scoperta. Fatti di vita quotidiana, come l'aria fresca, una grande varietà di alberi, il canto degli uccelli, l’infinita estensione dello spazio, un clima stabile, e anche l'ospitalità del 'nostro' pianeta sono stati, ad uno ad uno, messi all'ordine del giorno, o per citare Peter Sioterdijk, 'resi espliciti’: Silent Spring, una scomoda verità, La vendetta di Gaia: la razza umana come carnefice e vittima allo stesso tempo. La scienza e la tecnologia non sono solo motori del progetto progressista, ma anche ci hanno permesso di mappare con precisione gli effetti delle azioni umane, e sorvegliare le loro implicazioni. Di fronte a questi, abbiamo chiamato i responsabili delle azioni e chiesto che le attività dannose per l’uomo fossero fermate, attenuate o normate. Interdipendenza e responsabilità hanno sostituito libertà ed emancipazione come parole chiave del progetto progressista. I progettisti hanno operato ignorando gli effetti, per lungo tempo. Gli scienziati attivisti, invece, hanno sottolineato gli effetti, con eccessi. Ma non è affatto produttivo sostituire il negare o denigrare i nostri problemi ambientali con l'altro estremo, che è agire con senso di colpa e di vergogna. Una reazione eccessiva inizia con il presupposto che ogni atto umano produce, in un modo o nell'altro, effetti nocivi sulla natura, è calamitoso per l'ambiente o potrà distruggere il paesaggio. Peccato che non genererà nulla di buono. Non alla natura, né alla cultura. Andando all'altro estremo, tornare al melodrammatico eroismo della ricostruzione, può essere un seducente movimento nostalgico, ma non porterà a soluzioni.


Credo che lentamente ma inesorabilmente crescerà la consapevolezza delle implicazioni del fatto che viviamo nell’Antropocene, la quale si tradurrà in nuove e assertive prospettive per azioni nel campo della progettazione, della pianificazione e della governance, e nuovi approcci che ci permetteranno di imparare a cavalcare la tigre. Quali opportunità hanno queste forme ibride di organizzare il paesaggio urbano in modo piacevole e vivibile? Quale nuova terminologia possiamo usare per discutere la città nell’Antropocene? Non sappiamo quali nuove prospettive d’azione avranno i progettisti, gli ambientalisti, gli architetti paesaggisti e gli urbanisti. Possiamo speculare, tuttavia, e IABR-2014-URBAN BY NATURE- è eminentemente una piattaforma per l'identificazione di elementi che devono essere inclusi. Primo, abbiamo bisogno di prendere una posizione meno moralistica su ciò che è bene o male sui processi spaziali. Successivamente, dobbiamo essere consapevoli che la città è parte della natura. Ciò richiede la rivalutazione del concetto di responsabilità. E dobbiamo fermarci nel respingere la tecnologia come qualcosa di innaturale e accettare che è solo un'altra forma di evoluzione. Ciò produrrà un moderato ottimismo che è, però, avverso al presupposto ingenuo che la tecnologia risolverà automaticamente qualsiasi problema. Diciamo qualcosa di più. Diciamo che siamo sulla strada verso un'economia più circolare, in grado di riciclare quasi il 100 per cento dei materiali essenziali. Che la transizione verso l’uso di fonti rinnovabili di energia, a bassa emissione di C02, porterà alla riduzione dei problemi del cambiamento climatico. Lo sviluppo della biodiversità e il costruire con la natura sfruttando i processi naturali per raggiungere i nostri obiettivi sarà parte integrante di questa prospettiva. Un passo ulteriore è l’approccio basato sulla gestione degli ecosistemi, un percorso appena iniziato. Abbiamo bisogno di filosofie di controllo che, pienamente consapevoli del fatto che il cavalcare la tigre è uno sport completamente diverso, permettano di sviluppare metodi di lavoro capaci di trarre beneficio da ambienti turbolenti. Abbiamo bisogno di stili di governance che si basano sulle teorie della complessità, piuttosto che della cibernetica. E, infine, abbiamo bisogno di altri piani (spaziali); strategie per l’occupazione al posto di piani omnicomprensivi; piani che funzionano con regole semplici al posto dei master plan.

URBAN BY NATURE- La mostra IABR-2014- URBAN BY NATURE ha identificato cinque temi che meglio mostrano gli effetti della prospettiva antropocentrica nella sfida alla progettazione. Stiamo introducendo una serie di nuove prospettive, che sono anche domande, che rivalutano alcuni temi storici dell’architettura del paesaggio e della progettazione urbana. I temi:

1.

Urban by nature

IABR-2014-URBAN BY NATURE parte da un’idea diversa sul rapporto tra società urbana e la natura. Guardiamo indietro alla sua ricca storia, in cui, a partire dall’inizio dell’urbanizzazione, gli elementi naturali e i giardini sono stati parte della città. Vediamo le relazioni affettuose e mediate tra città e natura che hanno portato ai giardini, all’urban arcadia, all’istituzione di parchi e all’idea di protezione della natura. Indaghiamo come queste ricche fonti di ispirazione possono ispirare la realizzazione della città di oggi. Non mettiamo la natura fuori dall’uomo e dalla società; invece esaminiamo la nostra natura in tutte le sue manifestazioni. Così la città diventa il nostro stato naturale, il nostro habitat e la nostra ecologia, tutti interconnessi. Ci sembra di essere inclini a costruire strutture complesse che chiamiamo città. Forse gli esseri umani sono diventati urbani per natura? La città come la natura: questa è la premessa di IABR-2014-. Cerchiamo un’analisi dello sviluppo urbano che prescinda da pseudo opposizioni tra ‘artefatto’ e ‘natura’, e riveli una serie di sorprendenti e produttive sovrapposizioni e persino ibridazioni fra urbano e naturale. La città è, allo stesso tempo, la nostra più grande risorsa e il nostro habitat naturale. Vediamo le forze tecnologiche e sociali che conferiscono alla città il suo dinamismo come una continuazione dell’evoluzione con altri mezzi. E questo modo di vedere le cose che ci offre anche una nuova prospettiva d’azione.

2.

Il metabolismo della città

IABR - 2014- IL METABOLISMO DELLA CITTÀ- vede la città come un sistema attivo complesso e tentacolare che lavora incessantemente per provvedere ai bisogni dei suoi occupanti. Possiamo descrivere questo sistema non solo riguardo i suoi elementi artificiali, ma anche in termini organici. Proprio come un corpo umano respira, beve, mangia, usa i suoi sensi, ed espelle rifiuti, così possono essere identificati i flussi vitali di materiali che alimentano la città. Uno dei concetti chiave di IABR - 2014- è quindi il ‘metabolismo’ della città.Per rendere questo metabolismo visibile, IABR - 2014- si concentra su diversi flussi di materiali vitali: energia, acqua, biomasse e cibo, rifiuti, sabbia e sedimenti, informazioni, trasporto di merci e persone. Questi flussi toccano la vita quotidiana dei singoli abitanti delle città con le loro necessità elementari, e anche il funzionamento delle grandi costellazioni


urbane. Ognuno di loro è indispensabile per il funzionamento ed il benessere della città. Ma nessuno di loro sarà garantito nei prossimi decenni. In molti casi sarà estremamente difficile mantenerli a un livello adeguato e sostenibile. IABR - 2014- si sta concentrando su questa sfida enorme eppure concretamente concepibile. Ogni flusso di materiale ha una propria infrastruttura (la rete elettrica, la rete idrica, Internet, ecc.). Come designer indaghiamo come queste infrastrutture possano essere meglio progettate, individualmente, ma anche in relazione tra loro, in relazione alla struttura del tessuto urbano. L’esperienza insegna che l’ordine spaziale è influenzato dalla localizzazione delle infrastrutture. Il loro disegno può quindi essere utilizzato per indirizzare responsabilmente le espansioni urbane. Considerando che la costruzione di infrastrutture e lo sviluppo urbano oggi spesso si realizzano in pratica senza un coordinamento, una più intelligente pianificazione delle infrastrutture contribuirà a un migliore ordine spaziale. E questo contribuirà anche a migliorare le prestazioni ambientali della città. Ciò è tanto più importante in quanto gli investimenti necessari nelle infrastrutture per la crescita e la ristrutturazione delle città di tutto il mondo nei prossimi decenni avranno un costo di molte centinaia di miliardi. Queste enormi somme di denaro possono essere spese bene o male, ad hoc o sostenibilmente, con un alto o un basso rendimento, possono essere in grado di migliorare le prestazioni ambientali della città o eventualmente portare ad una catastrofe del metabolismo urbano nel suo complesso o per ogni abitante della città. Come le cose si realizzano non dipende dal destino ma dalle decisioni giuste, soprattutto dalla volontà politica, basandosi su un nuovo ed efficace arsenale di soluzioni progettuali. Anche in Olanda, le infrastrutture possono essere utilizzate in modo più efficace di quanto non sia ora. Le problematiche urbane urgenti del mondo sembrano remote. Si è tentati di pensare che esse non ci riguardino, che l’acqua del rubinetto, il cibo nei negozi e la ricezione dei nostri telefonini esisteranno sempre. Eppure, molto deve essere fatto per garantire tali dispositivi in futuro. Non possiamo continuare con il nostro eccessivo consumo quando è sempre più intensa la competizione per le risorse, sempre più scarse in tutto il mondo. Quindi dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione alle strategie di progettazione intelligente, basata su efficienza e sinergia, per i flussi di materiali e le loro infrastrutture. Possiamo imparare molto dalle politiche ed i piani ideati per questi flussi di materiali in altre parti del mondo. Il metabolismo della città ha una dimensione tecnica: come funziona, come è strutturato, cosa si può fare, e come si fa a farlo? Esso ha anche una dimensione sociale e morale: per chi funziona?, che qualità della vita rende possibile?, in che modo gli elementi interagiscono?, in quale contesto sociale e politico esiste? Esso ha anche una dimensione di progettazione: in che forma possiamo applicare meglio le sue caratteristiche e le possibilità dei flussi di materiali per la vita urbana ? IABR - 2014- opera nella dimensione della progettazione, e da questo si connette con tecnologia e società. Un’infrastruttura informata da conoscenza e analisi dei flussi di materia è un formidabile strumento di pianificazione per le città sconfinate del ventunesimo secolo.

3.

La misura della città

Per capire il fondamentale spostamento nel rapporto tra società e natura, è fondamentale la corretta scelta di scala. IABR - 2014- si concentra sul campo urbano in senso lato: complesso, diversificato e spesso immensamente tentacolare. Questa città, o meglio, questo paesaggio urbano, è un mosaico variegato, sparso in lungo e in largo con molte forme di uso del suolo a densità alta e bassa. Esso si compone di vecchi nuclei urbani e nuove aree residenziali, ma anche di terreni agricoli, foreste, montagne, laghi, miniere a cielo aperto, aree industriali, serre, porti, villaggi, zone ricreative senza una chiara organizzazione, e un labirinto di diversi tipi di infrastrutture. Come etichettare questa metropoli è essa stessa una questione. ‘Carpet metropolis’ (un termine coniato da Willem -Jan Neutelings) può essere una definizione appropriata. IABR - 2014sta studiando la città a scala della metropoli ABC, dal nome dei suoi vertici: Amsterdam, Bruxelles e Colonia. ‘Carpet metropolis’ si estende per centinaia di chilometri, oltre i confini nazionali. Rotterdam, Anversa e Liegi sono parte di esso, come la zona dei grandi fiumi, Brabante, Limburgo e Vallonia. Vi abitano circa 31 milioni di persone, e la grande diversità all’interno della zona la rende ideale per affrontare il tema proposto.

4.

Architettura del paesaggio come lente

Lavorando sul tema Urban by Nature, l’architettura del paesaggio agisce come una guida in un mondo in ibridazione. ‘Paesaggio’ è per definizione un concetto ambiguo e di collegamento, in cui i “fattori naturali” e “le azioni umane” si fondono insieme. Un architetto del paesaggio è addestrato a non guardare una zona come naturale o artificiale, ma ad entrambe allo stesso tempo, come due immagini che scorrono una sopra l’altra e insieme raccontano una storia più completa.


Guardando un complesso sistema urbano come questo naturalmente, nulla di nuovo; siamo in grado di costruire su un flusso di pensiero innovativo che è cresciuto assieme all’espansione della città stessa. In considerazione dell’attuale vastità, velocità e intensità dei problemi, tuttavia, è richiesta ancora una volta innovazione nel modo di pensare e di lavorare. Questa è l’intenzione di IABR - 2014-. Guardando attraverso la lente dell’architettura del paesaggio, stiamo radicalizzando l’idea di città, di condizione urbana, di società e di natura. Su questa base, vogliamo proporre progetti e pratiche per una migliore gestione del nostro complesso paesaggio urbano.

5.

Tre ateliers di progetto

Al fine di condurre una ricerca approfondita e sviluppare proposte di progetto che possano essere testate in pratica, IABR - 2014- ha istituito tre Atelier di Progetto in collaborazione con tre governi locali e regionali dei Paesi Bassi. In questi atelier, progettisti dei Paesi Bassi e dall’estero lavorano su sfide locali concrete ed attuali. Le sfide attuali richiedono una deviazione, per così dire, lungo il percorso della Biennale, per permettere un modo nuovo, fresco e libero di vedere, grazie ad esperti provenienti dai Paesi Bassi e a contributi di idee e buone pratiche da altrove, che rappresentino una sfida per gli stakeholder e per il pubblico in generale. Alla fine, dopo l’esposizione, i risultati potranno trovare la loro strada ritornando di nuovo nel locale. Ogni Atelier di progetto è collegato ad uno dei tre sotto-temi di IABR - 2014-: ‘Città e natura’ (Progetto Atelier Texel); ‘Il metabolismo della città’ (Rotterdam, Progetto Atelier Rotterdam); ‘Strategie per il paesaggio urbano’ (Progetto Atelier BrabantStad).


UN PERCORSO PER PROGETTARE NELL’ANTROPOCENE Giuseppe Longhi

“Siamo entrati nella nuova era dell’Antropocene, l’era degli umani. Ci sono tutte le ragioni per dare questo nome all’attuale periodo basato sull'enorme impatto delle attività umane sia sulla biosfera che sull'atmosfera. Questa influenza è così grande che può essere paragonata all'impatto degli asteroidi o alle grandi eruzioni vulcaniche” questa è la tesi del premio Nobel olandese Paul Crutzen, sviluppata nel 2000 con l'ecologo Eugene Stoermer, che fa da filo conduttore alla Biennale di architettura di Rotterdam IABR-2014 - “Urban by nature”, curata da Dirk Sijmons. L’impostazione di Sijmons è importante perché il riferimento all’Antropocene riconduce la progettazione ad una serie di forze guida ‘strutturanti’ che riguardano: - la morfologia: la città, la megalopoli, il ‘tappeto urbano’ sono le morfologie caratterizzate da un'umanità che sta aumentando in modo esponenziale, in modo esplosivo; - i tempi: la nuova era è definita dai geologi, scienziati che abitualmente non affrontano il breve termine e gli sconvolgimenti frenetici. Essi pensano in migliaia, se non in milioni d’anni. L’era geologica più recente, l’Olocene, risale a 10.000 anni fa. Ricollegare il progetto ai tempi dei geologi invita a pensare in termini ‘patrimoniali’, alla dilatazione nel tempo e nello spazio delle nostre scelte, alla drammaticità dell’operare con attenzione al solo breve momento. Non dobbiamo dimenticare che gli esseri umani sono capaci, in 500 anni, di bruciare la biomassa prodotta in 500 milioni di anni e di alterare il clima con l’emissione di gas serra; - la consapevolezza e la responsabilità: la consapevolezza che gli esseri umani sono divenuti la forza geologica più significativa, ha generato studi scientifici importanti per la definizione dei limiti del pianeta, come i contributi del Club di Roma 'Limits to Growth' (1972), del Wuppertal Institut e dello Stockholm Environmental Institute (sui flussi di materia, sull’esaurimento delle materie prime e delle risorse naturali), per arrivare alle elaborazioni dell’impronta ecologica. Di conseguenza, i progettisti dispongono oggi di un alfabeto di progettazione responsabile che permette loro di operare in sicurezza ed in armonia con le leggi della natura; - il modello: il riferimento all’Antropocene ribalta il paradigma progettuale: la città è natura e la natura considera la città con indifferenza, come qualsiasi altro ecosistema, anche se con gli esseri umani come specie dominante. Quindi nessuna visione romantica della natura ‘incontaminata’, ma consapevolezza che, come la flora e la fauna si adattano a nuovi ambienti in un costante flusso evolutivo, questo vale anche per gli esseri umani sempre più urbanizzati. Non c’è una ‘situazione di partenza’ o un ‘equilibrio naturale’ a cui tornare, così come non possiamo tornare al tempo della settimana passata. Stiamo vivendo nell’Antropocene, che ci piaccia o no, possiamo solo andare avanti, e dobbiamo trovare il modo migliore di progredire. L’Antropocene postula che i processi umani e naturali sono un insieme interconnesso, quindi dovremo sempre più basare le nostre decisioni sulla consapevolezza che i nostri interventi sono altamente pervasivi, interessano tutti gli angoli della biosfera e creano le condizioni per il nostro futuro collettivo. Il modello progettuale che emerge è olistico, capace di sfruttare le interdipendenze generate dalle relazioni fra risorse umane e risorse naturali, con lo scopo di ottimizzarne il metabolismo.

Il ‘tappeto urbano’ è la morfologia della fusione fra città e natura Con la dichiarazione dell’Antropocene non è più possibile mantenere la finzione di una divisione tra ciò che è naturale ed artificiale, non si può prescindere dal fatto che essi sono interdipendenti. Dobbiamo anche riconoscere che molti dei processi di cambiamento che ci circondano sono ibridi, frutto del lavoro della natura e dell’uomo. Di conseguenza, la semplicistica teorizzazione del passato, basata sulla contrapposizione fra città e natura non è più valida. Un secolo fa, città e campagna erano ancora chiaramente distinguibili; oggi, la combinazione della crescita della popolazione, della prosperità, della modernizzazione agricola e della migrazione urbana fanno si che a livello mondiale la densità degli insediamenti sia in declino ed emergano enormi ‘tappeti urbani’ che si fondono con le aree agricole, inglobando le aree naturali, le zone industriali, i grappoli di produzione agricola, gli aeroporti, le aree di estrazione dell’acqua, le aree ricreative, le linee elettriche, le strade, le ferrovie. Confusamente, queste ‘città' hanno una biodiversità molto più grande di quella delle aree agricole monofunzionali, a causa della ricchezza dei loro substrati e delle situazioni. Come possiamo attrezzare tali colossali manufatti, già città, in vista della crescita della loro dimensione attuale?


Sappiamo che le città non potranno espandersi secondo le modalità del passato, quando le soluzioni erano comunemente ricercate al di fuori delle città. La città era compatta, nettamente demarcata e circondata da una campagna pastorale, dove la natura ed i terreni agricoli sembravano risorse inesauribili per il funzionamento della città. La fornitura dell’energia urbana avveniva importando combustibili, i rifiuti della città erano delegati alle sue zone esterne. Quando la città è divenuta troppo piccola, l’abbiamo ampliata. In breve, la città ha affrontato molti dei suoi problemi con la fuga da qualche altra parte. Questo è sempre meno possibile, la continua crescita della popolazione e la sua tensione per la prosperità stanno generando sempre maggiore pressione sulla disponibilità di spazio e risorse. Il sistema urbano si è ampliato come una rete attraverso quasi tutte le parti fertili della terra. Le immagini satellitari della terra di notte evidenziano paesaggi urbani pantagruelici che dicono che c'è sempre meno spazio per l’espansione. Non vi è alcuna nuova frontiera. L’'altrove' che è stato usato per gestire l’abbondanza, come un serbatoio per eludere soluzioni ai problemi, è sempre più scarso. Siamo costretti a dire addio alla tradizionale pianificazione ‘altrove’. L'habitat umano si identifica sempre più con il paesaggio urbano, ed è in questo che dobbiamo sopravvivere.

La sfida dell’urbanistica: cambiare impostazione L’epoca dell’espansione è stata accompagnata da un modello di pianificazione e progettazione della città figlio dell’Età della Ragione, onnicomprensivo, certo di tradursi in un mondo migliore di prosperità economica e di riscatto dei gruppi svantaggiati. Questo modello è stato inconsapevolmente sostenuto dalla convinzione che la natura fosse una fonte inesauribile di energia e materia ed un pozzo senza fondo, dove poter scaricare ogni rifiuto ed emissione senza alcun contraccolpo. Nella gestione dei sistemi urbani la razionalità delle scelte postulata dal paradigma progressista è rimasta sulla carta, principalmente per tre motivi: la tendenza ad operare in modalità di ‘default’, la tendenza a subire ‘blocchi’, la mancanza di creatività. Infatti, la modalità di 'default' è diventata la prassi abituale della progettazione e delle realizzazioni. Si sono imposte modalità standard spesso letteralmente “incise sulla pietra” e lontane dall’essere sostenibili. Oltre al problema di pensare per default, le scelte dei decisori sono spesso limitate da blocchi, dovuti alla divisione del lavoro, al modo di condurre le transazioni, e, sostanzialmente, dalla mancanza di coraggio. Un altro problema ancora è la mancanza d’immaginazione. L’attuale pensiero sulla città si basa su concetti dei primi anni del ventesimo secolo, e questo deve cambiare. La filosofia della città ha bisogno di un cambiamento di paradigma: strategie per l’uso delle risorse e per gli insediamenti al posto dei piani omnicomprensivi, piani che funzionino con regole semplici al posto dei master plan. Dobbiamo sviluppare una nuova prospettiva per la città che sia considerata come fenomeno della natura; una riserva naturale; un habitat dell'uomo come chiave di volta della specie. Una migliore comprensione del metabolismo urbano può contribuire a chiarire le nuove sfide della pianificazione urbana e innescare nuove idee.

Comprendere il metabolismo urbano per un progetto coerente con le risorse Nella pianificazione urbana prevale ancora il paradigma modernista, nella pratica corrente l'idea lineare della natura in grado di fornire all'infinito “input” e di assimilare gli “output” non è praticamente mai stata messa in discussione, malgrado una serie di contributi rilevanti iniziati negli anni ’60 con Kenneth Boulding e Nicolas Georgescu Roengen e proseguiti sistematicamente dagli anni ’70 con le Conferenze dell’ONU sull’ambiente. Migliorare la nostra comprensione del metabolismo urbano è un modo per avviare seriamente una nuova agenda urbanistica. Se non conosciamo gli input, come vengono utilizzati, e quali sono gli output, come possiamo modificare l’abitudine di prendere decisioni in default? Di quanta e quale energia abbiamo bisogno? Come si articolano i flussi d’acqua? Sulla base della nostra comprensione dei flussi urbani possiamo fissare nuovi obiettivi e definire realistiche strategie. Questo approccio è chiamato 'programmazione del metabolismo urbano: dove il metabolismo urbano è definito come consumo, produzione e trasformazione dei flussi di risorse in ambiente urbano’, dal quale risulta anche evidente che le città non possono sopravvivere senza il mantenimento di collegamenti sostenibili con l'entroterra da cui traggono energia, acqua, cibo, biomassa e materie e in cui rilasciano i loro rifiuti. L’operare nella città secondo la logica del metabolismo implica un nuovo approccio alla progettazione. Storicamente i pianificatori urbani hanno progettato la città sulla base della domanda, specie di manufatti edilizi; ora è chiesto loro di progettare la città basandosi anche sullʼanalisi dei flussi. I flussi non sono per loro natura particolarmente spaziali, ma rappresentano la parte di ‘processo dinamico’ del progetto urbano. Generare una progettazione spaziale da un numero enorme di dati di flusso significa passare dal trattare ‘oggetti esclusivamente fisici’ al trattare interdipendenze, ossia gli input e gli output connessi a questi oggetti, e questo implica un modo molto diverso di osservare e di pensare. Questo implica alimentare il disegno degli spazi fisici con le interdipendenze dei flussi: - biotici generati dalle risorse naturali e dall’atmosfera;


- della noosfera, ossia della conoscenza, della cultura e della tecnologia; - della cybersfera, che permette la connettività e l’intelligenza aumentata. Ai progettisti si richiede di diventare contemporaneamente medici generici e internisti e di saper gestire le potenzialità dell’intelligenza aumentata. Questo implica un radicale rinnovo delle professionalità chiamate a gestire il progetto. Considerare i flussi significa dilatare la nozione di spazio, a questo punto nasce un quesito classico: qual’è il confine della città dell’Antropocene? Ritorna in mente il pensiero di Massimo Cacciari secondo il quale il carattere programmatico della civitas è quello di crescere, non c’è civitas senza delirio - la lira è il solco, il segno che delimitava la città, delirio vuol dire uscire dalla lira, andare oltre il confine della città. Quindi non essendo più praticabile la politica del ‘delirio’ in termini di mera espansione fisica, è la logica dei flussi che permette alla città di essere delirante, ossia vitale. Così la forza di una città non è più data dalla pura dimensione fisica, ma dalla sua connettività, ossia dalla capacità di gestire flussi relazionali e flussi biotici. Di conseguenza la prospettiva della città non è nella sua densificazione, nè nella definizione di artificiali delimitazioni dei suoi confini, nè in improbabili battaglie contro lo sprawl, ma nella consapevolezza che un gran numero di abitanti vive e vivrà nella città diffusa come conseguenza della continua diminuzione della densità media oggi in atto. E' decisivo perciò esaminare il potenziale delle città a bassa densità. Come già ricordato, Willem Jan Neutelings definì questa conurbazione ‘Carpet Metropolis’, oggi ricorre anche il termine di città mosaico (va ricordato anche Bernardo Secchi, antesignano della città diffusa). Dovremo imparare a gestire creativamente la morfologia del tappeto urbano, intendendo questa realtà un eco-spazio, in cui stimolare l’integrazione dei flussi: - ottimizzando il suo metabolismo e finalizzando la progettazione alla riduzione dell’impronta ecologica; - aumentando il sapere e stimolando l’innovazione, per facilitare l’accesso alle risorse, alla conoscenza e alla creatività, per rendere le città più sostenibili; - promuovendo forme di governance flessibili e capaci di operare in rete con altre città. La forma di governance che sostiene le proposte della Biennale è quella della piattaforma, una struttura aperta ed inclusiva capace di comprendere tutti i saperi e le risorse umane necessari a progettare il nuovo paesaggio urbano. I progettisti giocano certamente un ruolo importante nei nuovi interventi, ma la totalità di questi interventi non può essere progettata ex ante, ma deve essere aperta ad una molteplicità di contributi per cogliere tutti gli aspetti della realtà in continua emersione e in continua germinazione. L’ampiezza della piattaforma ed il suo coordinamento intelligente sono importanti data la dimensione dei prossimi investimenti in infrastrutture. Nei decenni futuri saranno investiti complessivamente centinaia di miliardi, questa enorme somma di denaro può essere spesa saggiamente o stupidamente, in modo informale o sostenibile, può produrre ritorni economici alti o bassi. Le scelte fatte oggi possono migliorare il futuro ambientale della città o condurre alla catastrofe del suo metabolismo, coinvolgendo la qualità della vita di ogni cittadino. Quello che succederà non è quindi una questione di destino, ma dipende da sagge decisioni e volontà politiche, alimentate da un nuovo ed efficace potenziale di soluzioni progettuali.

Postfazione: queste note sono costruite sulla base degli scritti di Dirk Sijmons pubblicati nel catalogo della Biennale di Rotterdam a cui vanno aggiunti gli scritti di Jelle Reumer, La città è anche natura, Johan van de Gronden, Il nuovo 'selvaggio' siamo noi, Piet Vollaard, La natura dell’uomo, l’ascesa dell’Antropocene, Maarten Hajer, La sfida del secolo, la necessità di una radicale revisione dell’urbanistica (vedi: George Brugmans, Jolanda Strien (editors), IABR-2014URBAN BY NATURE-, IABR, Rotterdam, 2014). Il risultato è un 'Carpet text' che, sulla base delle fonti sopra citate, vuole restituire i principali momenti metodologici di questo evento. La responsabilità del contenuto è solo mia.


IMPARARE A PROGETTARE CON I FLUSSI Linda Comerlati Se dovessi rappresentare l'uomo del 2014, dopo aver visitato la Biennale di Rotterdam, disegnerei un uomo al centro di un cerchio chiuso in cui ruotano alberi, animali, edifici, acqua, macchine, ecc, insomma l'uomo immerso nel ciclo dei flussi urbani di una città virtuosa a zero emissioni. La Biennale apre con un assunto di base: siamo entrati nell'era dell'Antropocene, cioè l'era geologica in cui l'uomo con le sue attività è in grado di influire sui processi naturali e geologici. Questo implica un ribaltamento completo dei punti di vista nell'ambito della progettazione urbanistica e territoriale. Le attività umane e il sistema infrastrutturale che le supporta non vanno più intesi come mezzi per il soddisfacimento dei bisogni delle persone attraverso lo sfruttamento delle risorse a disposizione, ma diventano parte integrante dei cicli della natura, e pertanto sono da intendersi come anelli del metabolismo globale di risorse ed energia. La tradizionale distinzione tra uomo e natura è scardinata. Quello che noi normalmente chiamiamo 'natura' e associamo al senso di primitivo, selvaggio, incontaminato, ricco, in realtà è una costruzione mentale, poiché l'influenza umana è arrivata ad alterare completamente la maggior parte dei cicli terrestri biotici e abiotici: la formazione dei suoli, la circolazione delle acque, la composizione chimica dell'aria, la biodiversità, al pari di un fenomeno di portata planetaria quali le glaciazioni, le eruzioni vulcaniche ecc. In questa visione il compito dell'urbanista, del pianificatore e dell'architetto va rigenerato per trovare soluzioni capaci di integrarsi, e non di attaccare, il patrimonio di risorse necessario per la vita dell'uomo, e la cui sopravvivenza, come abbiamo capito, è in mano alla responsabilità dell'uomo. La Biennale prende atto che la crescita esponenziale della popolazione si accompagna alla crescita della città e ad una diminuzione della sua densità. La città diventa quindi la maggiore opportunità di rinnovo dei paradigmi progettuali nella direzione dello studio del suo metabolismo. Lo IaBR 2014 lancia le basi per un programma di 'reinvenzione' infrastrutturale della città proponendo un abaco che va dal sottosuolo (sezione 'Exploring the underground'), agli ecosistemi terrestri (sezione 'A planet cultivated') al paesaggio urbano (sezione 'Strategies for the urban landscape'), ma il lavoro più corposo si trova nella sala dell''Metabolismo urbano' in cui si opera una sorta di anatomia del 'corpo urbano', una galleria che ricorda una sala operatoria, in cui ogni banco di lavoro disseziona un flusso specifico (aria, acqua, cibo, energia, ...) e dispone i risultati lungo scaffali metallici allineati in una griglia ortogonale. La Biennale in questo mi appare come un antidoto alla perdita di metodo avvenuta nella pianificazione. È apprezzabile che l'esposizione lasci spazio anche all'improvvisazione attraverso la mostra 'Pure resilience', in cui, in modo volutamente crudo, evidenziato dalla sua collocazione nelle sale del museo di storia naturale immerse nell'odore di formalina, vengono esposti animali imbalsamati ritrovati nei loro habitat urbani/naturali: il pezzo più emblematico è la raffigurazione del cigno che ha nidificato ad Amsterdam con il fil di ferro e altri rifiuti. Questo a rendere evidente che la città stessa è permeata di natura, gli animali e le piante vi si sono già adattati grazie alla loro capacità evolutiva. Ora sta a noi prenderne atto e iniziare a 'costruire i nostri nidi' in modo più intelligente. La mostra ha inoltre colpito il mio interesse per la vicinanza tra le morfologie territoriali olandesi e quelle italiane: diffusione urbana 'a tappeto', il territorio ad alto rischio idrogeologico, la produzione agricola a monocoltura, la produzione industriale di piccola/media scala, la dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento energetico. Questo apre la possibilità di costruire un tavolo comune per la ricerca di best practices condivise. La soluzione per lo sviluppo della città futura proposta dagli olandesi è sia di tipo organizzativo sia di tipo progettuale. Per quanto riguarda l'organizzazione la Biennale è ideata come una piattaforma. Questa piattaforma si occupa di articolare il progetto sostenibile in risposta alle maggiori sfide globali per lo sviluppo territoriale: cambiamento climatico, disastri ambientali, crisi demografica e occupazionale. La piattaforma è costituita dal Ministero olandese per le infrastrutture e l'ambiente, dall'istituzione per la promozione culturale olandese 'Industrie Creative' e dalla municipalità di Rotterdam. Il lavoro consiste nello studio dei principi, delle strategie e dei modelli di progetto offerti dal mercato internazionale, e nella continua proposta di soluzioni progettuali innovative, per costruire un catalogo di best practices virtuose, esportabili globalmente. Per questo, la maggior parte dei progetti presentati propongono schemi a matrice, oppure 'toolkit', cioè sistemi preprogrammati in grado di funzionare con variabili molto diverse.


Dal punto di vista del progetto gli sforzi sono stati concentrati nei tre macro progetti per l’isola di Texel, la città di Rotterdam e l’area metropolitana del Brabant. La critica a riguardo è che, sebbene dal punto di vista dei principi i tre progetti siano ben strutturati, nell'effettiva realizzazione non vengono approfondite le potenzialità date dalle innovazioni dirompenti, ad esempio biotecnologia, nanotecnologia, neuroscienza, bioingegneria, ecc., come ci si sarebbe aspettati dalle premesse esposte. Da questo punto di vista appaiono più interessanti alcuni progetti minori esposti nella sala del 'Metabolismo urbano', come 'High tech indoor farming for the city', di Shift Architecture + Urbanism e 'Metropolitan Agriculture' della Metropolitan Agriculture Foundation, che propongono nuovi spazi per la produzione urbana di cibo, integrati con le attività cittadine per evitare lo sprawl, il progetto 'Wind city climate'di Krautheim, Pasel, Pfeiffer, e Schulz Granberg, che propone morfologie edilizie in grado di interagire con la ventilazione naturale, il progetto 'From waste to resource' di Nedvang, che propone strategie per reimmettere i rifiuti nel ciclo urbano come nuove risorse. In genere sembra che la mostra apra gli occhi su una dimensione del progetto architettonico e urbano tradizionalmente risolta con il termine 'impianti'. Il nuovo progetto che si propone è quello di saper manipolare acque, materiali, rifiuti, sedimenti, aria, cibo, insetti, suolo, energia, ecc. in modo integrato. Lo spazio per la vita degli uomini è un luogo da cui egli sia capace di gestire senza rovinare questi cicli di base. In Italia la ricerca architettonica sull'applicazione di innovazioni come biotecnologia, nanotecnologia ecc, che potrebbero permettere questo nuovo passo progettuale, è limitata, oppure presenta delle punte di spicco, ma non organizzate in sistemi capaci di farle diventare prodotti a larga diffusione, come invece sta riuscendo a fare l'Olanda.


ARGOMENTI


PURA RESILIENZA La città è anche natura Jelle Reumer Direttore del Museo di storia naturale, Rotterdam Metà della popolazione mondiale vive oggi in città. Ciò significa che che ben 3,6 miliardi di persone abita nelle città, un numero che crescerà enormemente nei prossimi decenni. Con una popolazione futura di 9-10 miliardi, non potremo evitare di vivere in città, soprattutto se si considera che il nostro pianeta è in gran parte inabitabile: più di due terzi della superficie terrestre è coperta da oceani, e per il resto l'Antartide, i deserti e le alte montagne sono inabitabili. La concentrazione della popolazione umana in aree urbane, pertanto, è inevitabile. Che cosa significa? Che cosa significa per la natura, ma anche: Cosa significa per l'umanità stessa? Ed anche per le specie animali e vegetali, per le specie che vivono nelle zone a loro più adatte, di solito l'ambiente originario. Gli orsi polari vivono nell'Artico, le scimmie nella giungla, le giraffe nella savana. Qualcosa di diverso ci sembrerebbe strano. Il genere umano, invece, una specie che è emersa nella savana dell’Africa orientale non molto tempo fa e dovrebbe quindi in teoria e idealmente vivere lì, abita sempre più in città e si trova molto raramente nella savana. Nel corso del tempo le città sono diventate l’habitat preferito degli esseri umani, sembra che abbiamo scambiato la savana per la città. Ad essere onesti la maggior parte delle persone non vorrebbe in nessun modo tornare alle pianure calde dell’Africa orientale e dimenticare le moderne comodità della città. Abbandonare supermercati, scuole, cinema, centri sanitari, case di riposo, asili nido, teatri e ospedali? Nessuno lo fa. Seguendo il paradigma biologico che le specie vivono in zone a cui sono più adatte, la città è ora il luogo cui noi apparteniamo. Questo solleva molte domande. Che cos’è, esattamente, una città? Quali sono le caratteristiche del nostro habitat preferito? Quali altri animali e specie vegetali vivono lì, oltre gli esseri umani? Come ci rapportiamo con loro? Come si relazionano con noi? Possiamo imparare da loro? E – una questione interessante - la natura trasportata in città è patetica e il paesaggio naturale urbano è squallido? Il nostro rapporto con la natura urbana è l’oggetto di 'Pure Resilience', la mostra con cui il Museo di Storia Naturale contribuisce a IABR-2014-URBAN NATURE-, e l'idea alla base di questa Biennale è che, sebbene i concetti di città e natura sembrino essere reciprocamente escludenti, in realtà non lo sono. Al contrario: la città è natura. Ci sono modi diversi di guardare la città e la natura urbana, ed un modo è quello di considerare la città come parte della natura. Cinque secoli fa, l'area ora coperta dal Comune di Rotterdam era un bel paesaggio con colture, prati e fossati; 1.000 anni fa era una grande torbiera, e 10.000 anni fa era una steppa che ospitava mammut e montoni; nelle sue paludi nuotavano castori e lontre e covavano gli aironi viola; nel muschio della torba e nei pascoli vivevano e procreavano il topo ragno d'acqua, le pavoncelle e le pittime. E oggi la città, benché sia divenuta un paesaggio artificiale fatto dall’uomo, ospita pappagalli, piccioni e ratti. La flora si modifica di pari passo. La natura si adatta, ma non si lamenta: in ogni epoca il paesaggio cambia, e, sorprendentemente, specie diverse con diverse abitudini si avvicendano. Nel 2012, un cigno è stato covato nel centro di Amsterdam in un nido fatto interamente di spazzatura che galleggiava nei canali e di rifiuti delle costruzione: plastica di vecchie bottiglie, pezzi di polistirolo, un paio di vecchie cinghie di scarto, pezzi di borse di filo e plastica. Il cigno era seduto imperturbabile sulle sue uova, visto ogni giorno da centinaia di passanti. È stata una immagine forte. La questione che ha sollevato e solleva tuttora, era se in questa situazione artificiale , come potremmo chiamarla, il cigno stesse soffrendo oppure no. Propendo per la seconda opzione. Un cigno è nato per il nido e la covata. Costruisce il suo nido con qualsiasi materiale disponibile. In circostanze 'normali', questo viene raccolto sotto forma di foglie e canne, in un ambiente urbano viene raccolto dai rifiuti dei canali. Il cigno non ha opinioni in merito. La sua situazione non è patetica né squallida. E, in senso più ampio, lo stesso concetto vale per natura nel suo complesso. La mostra 'Pure resilience' propone una copia del nido del cigno come altri esempi della straordinaria capacità di resilienza della natura: un nido di piccione fatto di filo di ferro e rete metallica e il nido di un corvo che è costituito quasi interamente di fascette e filo. Tali esempi mostrano l'applicabilità, anche nei centri urbani e nei siti industriali, della citazione di Orazio: 'Si può far deviare la natura con un forcone, ma lei continua a tornare': Si tratta di un detto ottimistico, privo di disfattismo, che induce un nuovo modo di guardare la città. Questo nuovo modo è quello di guardare attraverso la lente della natura stessa, che come abbiamo visto in precedenza, non ha preconcetti. La città è lì, esiste. Per la natura, le città sono fatti, proprio come i vulcani, le maree, le stagioni, le glaciazioni, i periodi interglaciali ed i meteoriti occasionali che possono colpire la terra con conseguenze disastrose. Oggi l'umanità sta


aumentando in modo esponenziale, in modo esplosivo e sta costruendo città. Con indifferenza, la natura considera queste città come qualsiasi altro ecosistema, anche se con gli esseri umani come specie dominante: come la sua specie chiave. Barriere coralline, foreste pluviali, torbiere, città: sono ambienti nei quali le specie possono stabilirsi. Oppure no. Una tigre non può vivere in una torbiera, un pesce non può vivere sulla sabbia, una pittima reale non può vivere nel centro della città. Tuttavia i piccioni selvatici e decine di altre specie tipicamente urbane sono gli abitanti felici della città. Il messaggio del connubbio fra città e natura è quello che vogliamo comunicare con 'Pure Resilience'. Tendiamo a pensare che per conoscere la natura, dobbiamo visitare la foresta pluviale tropicale, la grande barriera corallina, o il Serengeti, o per lo meno guardare i documentari della BBC. Nulla è più lontano dalla verità. Vi è abbondanza di natura reale nella città. È un tipo di natura diverso da quello propagandato da televisione, riviste o raccoglitori di fondi, che riguarda una specie di natura che conosciamo esclusivamente dalla TV o da pubblicazioni. Onestamente, chi ha mai visto un panda selvatico o un leone? Un rinoceronte o un baobab? La natura urbana, al contrario, è davvero il nostro tipo di natura. Predatori e prede si trovano in città. Cicli ecologici e piramidi alimentari stanno proprio di fronte a noi. Questa è la natura che dobbiamo conoscere di più, perché la conoscenza porta alla comprensione e la comprensione porta alla conservazione. Coloro che amano veramente la natura (e chi non lo fa?) non può non amare la natura urbana: lei ci è così vicina, eppure quasi non la conosciamo. E questo è il motivo per cui c'è speranza. La situazione può apparire negativa all'inizio, con le grandi città piene di gente, rifiuti, traffico, detriti, cemento e acciaio; ma gettare la spugna sarebbe un grande errore. Dal momento che noi umani siamo la specie più importante dell'ecosistema urbano, decidiamo cosa fare. Gli esseri umani costruiscano le nuove condizioni. Così come attraverso la gestione ed un finanziamento adeguato l'azione dell’uomo può rendere le città più piacevoli da vivere per la gente, ugualmente l'azione dell’uomo può rendere le città più piacevole da vivere per la flora, la fauna e quindi, indirettamente, per sè stesso. La filosofia della città ha bisogno di un cambiamento di paradigma. Dobbiamo sviluppare una nuova prospettiva per la città in cui sia considerata come fenomeno della natura; una riserva naturale; un habitat che dell'uomo come chiave di volta della specie. Nel contesto di una nuova filosofia della città, questo particolare habitat sarà non solo più facile da capire, ma anche da sviluppare, progettare, gestire e controllare. Gli urbanisti e gli architetti, operando con gli ecologisti urbani, ne detengono la chiave. Le città sono anche natura.


UN PIANETA COLTIVATO Dirk Sijmons Nel corso dei secoli, il modo in cui gli uomini si sono rapportati con la natura è cambiato frequentemente e spesso drammaticamente. Un esempio significativo è il modo in cui ci comportiamo nei confronti delle balene. Diversi secoli fa, la caccia alle balene era un'impresa pericolosa ed eroica, fatta da uomini coraggiosi che su piccole imbarcazioni combattevano contro dei mostri marini. Nel XX secolo, l'uomo prese il sopravvento e si sentì un trionfatore. La caccia alle balene divenne un settore industriale consolidato e nel dopoguerra la baleniera Willem Barents l'orgoglio nazionale dei Paesi Bassi, garantendo al paese, allora molto povero di risorse, una materia prima come l’olio animale. Un film del 1950, dal titolo 'Willem Barents', ebbe migliaia di spettatori. Nel 1970, quando le balene, un tempo numerose, erano ormai in via di estinzione per l’eccessiva caccia, l'opinione pubblica cambiò. L'orgoglio si trasformò in vergogna, le azioni mosse contro la caccia alle balene furono un successo e si diffuse un senso collettivo di responsabilità nei confronti della sopravvivenza di questi grandi cetacei. I Paesi che non sono riusciti a interrompere la caccia alle balene, come il Giappone, sono considerati criminali. Oggi viviamo in un'epoca dalla forte carica emotiva grazie alle esperienze multimediali, capaci di aggiungere un'altra dimensione alla realtà. Questo è emerso chiaramente nel 2012 quando una megattera si arenò sulle spiagge di una piccola isola disabitata chiamata Razende Bol vicino a Texel. Il Paese simpatizzò immediatamente con lo sfortunato cetaceo. All’animale venne dato il nome di 'Johannes.' Gli operatori umanitari, provenienti da un centro di ricerca delle vicinanze, ricevettero addirittura delle minacce di morte sui social network, perché non erano riusciti a riportare la megattera in mare aperto. I tentativi umanitari di eutanasia furono vani, l'animale morì senza assistenza. Dopo la sua morte, venne organizzata una marcia silenziosa. L'autopsia fece emergere che era stato dato sconsideratamente un nome maschile. La megattera si sarebbe dovuta chiamare 'Johanna'. L’episodio della megattera, uccisa da un errore di navigazione, si trasformò in breve tempo in un affare, alimentato da emozioni umane e da momenti mediatici. Da Willem Barents a Johanna: i sentimenti e le azioni nei confronti delle balene sono significativi dei cambiamenti radicali nella nostra percezione della natura. A volte si presume che il nostro interesse per la natura sia notevolmente aumentato nel corso del secolo passato, ma che tipo di interesse è, e a che tipo di percezione si riferisce? La nostra percezione della natura è strettamente connessa al momento storico e alla cultura, ed è per ciò mutevole. Ciò si riflette in punti di vista e opinioni molto diversi nei passare dei secoli. La sezione della mostra 'A PLANET CULTIVATED' (Un pianeta coltivato) dà una traccia di questa complessa 'storia verde del mondo', attraverso un'infografica alta da pavimento a soffitto che cattura i principali momenti storici: dai giardini pensili di Babilonia ai Grandi Parchi Nazionali negli Stati Uniti; le scuole di pensiero che affrontano il difficile rapporto tra uomo e ambiente; le iniziative per una vita autarchica; i movimenti integralisti; le costruzioni utopiche; le città ideali; le espressioni artistiche che cercano di catturare l'esperienza sublime della natura; la 'scoperta' della natura urbana e stranamente, quasi dimenticati, movimenti come quello dell'assimilazione del XIX secolo, che progettò la redistribuzione attiva delle specie viventi sul pianeta. Oltre ai cambiamenti, nella storia si possono rintracciare anche molte esperienze di continuità. Gli esseri umani hanno a lungo e attivamente avviato azioni di mediazione tra la città e la natura. Il giardino ha una tradizione ininterrotta lunga quasi quattro millenni. Per cinque secoli si sono realizzati tenute di campagna e parchi. L'ultimo tassello di questa ondata è il principio di salvaguardia della natura, che conta ormai circa 150 anni di storia, e che ha a sua volta prodotto nuovi sviluppi della natura. L'infografica dello IABR può essere interpretata come una leggenda del pianeta 'coltivato'; mostra i progetti che riguardano il tema del rapporto tra la società e la natura, presentati in ordine cronologico.

Giardini I giardini sono più antichi delle città. In senso allegorico, la loro storia inizia con il Giardino dell'Eden, realmente risalgono all'inizio dell'era agricola, circa 10.000 anni fa. Per evitare la distruzione o i danni causati dagli animali selvatici, i primi campi coltivati furono recintati da fitti filari di piante, spesso spinose: il Tuun o Zaun (vedi il 'Tuunwallen' a Texel). Le prime storiografie urbane parlano di uomini con la necessità di integrare strutturalmente gli elementi naturali alla pianificazione urbana. Un primo esempio è quello dell'impero assiro. Furono costruiti enormi palazzi fortificati, costituiti da terrazzamenti coltivati ad alberi e arbusti. La tradizione del giardino urbano in Cina, Persia e Giappone ha radici molto antiche; come pure i giardini asiatici. Giardini più recenti all’interno delle abbazie europee e gli hortus conclusus furono pensati come luoghi di meditazione e introspezione.


Nella prima metà del XX secolo, la lunga e vitale tradizione nell'arte del giardino vive un momento di declino. Da un lato, si è deteriorata nell'idea di 'giardinaggio' come una dichiarazione anti-urbana che aveva perso il suo valore artistico. Il giardino modernista, in stridente contrasto, ha reagito esteticamente contro ogni forma di romanticismo, tradizione ed esperienza soggettiva delle forme naturali. Nella seconda metà del XX secolo, l'arte del giardino ha rigettato questi estremi per adottare una nuova veste. La nuova arte del giardino ha ristabilito il contatto tra uomo e natura, integrando l'espressione scenica di un luogo alla rapida evoluzione dei contesti urbani.

Parchi I parchi appaiono sulla scena solo in un secondo momento. Sono paragonabili ai giardini e in particolare al giardino paesaggistico della tradizione inglese. I parchi urbani offrono forme stilizzate e talvolta sublimate della natura e dell'esperienza dei cittadini nella natura. Nel diciannovesimo secolo e all'inizio del ventesimo, i parchi giocarono un ruolo di contraltare alla città industriale. I parchi urbani si inseriscono nel tema dello IABR-2014 perché illustrano come il disegno del parco urbano nel passato e presente rappresenta la natura da tre punti di vista differenti. La 'prima natura' è una rappresentazione del mitico stato selvaggio che trascende la nostra comprensione e il nostro controllo. La 'seconda natura' è la rappresentazione del terreno coltivato e del paesaggio arcadico. E la 'terza natura' è quella del giardino, la forma più intensamente mediata della natura, in cui gli aspetti allegorici, semantici e sensoriali giocano un ruolo di primo piano. Sorprendentemente, i parchi più discussi, realizzati negli ultimi tre decenni, sono stati tutti realizzati su aree dismesse di ex zone industriali e portuali. Dal Parc de la Villette a Parigi all’Emscher Park nell'area della Ruhr o alla High Line di New York: in tutti questi casi luoghi desolati del tessuto urbano sono stati riportati alla vita pubblica. Questo nuovo genere di parchi urbani svolge un ruolo importante nel processo di rigenerazione qualitativa dei quartieri o addirittura delle regioni, un ruolo strumentale che è diventato un punto fisso nella pianificazione delle città.

Salvaguardia della natura La salvaguardia della natura può sembrare un tema vecchio e venerabile agli occhi di molti, ma è il 'Benjamin' della mediazione urbana nel rapporto con la natura. La tutela della natura in Europa vede il suo inizio con il salvataggio delle foreste primordiali vicino a Fontainebleau nella metà del XIX secolo. Quasi 1.000 ettari, nel 1861, furono destinati a riserva artistica per intercessione dei pittori e scultori della Scuola di Barbizon, diventando così la prima riserva naturale al mondo. Le radici urbane e culturali di questa antica riserva naturale sono caratteristiche. L'iniziativa venne condotta da cittadini che avevano attinto le loro conoscenze sulla natura grazie al movimento romantico. Non è un caso che la linea ferroviaria tra Parigi e Fontainebleau sia stata inaugurata nel 1849: la tutela della natura presuppone una vasta platea urbana. Un secolo e mezzo dopo Fontainebleau, il movimento naturalista si trova di fronte ad un mondo completamente diverso. La modifica dell'uso del suolo è stato uno dei motivi che ha portato all'invenzione del termine 'Antropocene'. L'umanità ha modificato radicalmente il volto della Terra. Il noto elenco di zone di vegetazione naturale, di cui facevano parte tra le altre la savana, la tundra, la foresta di latifoglie e le zone di foresta pluviale, ora è applicabile solo al 25% della parte libera da ghiacci della superficie terrestre 'disabitata' - il che non vuol dire che la pressione dell’uomo non generi effetti anche in queste aree. Il restante 75% richiede una classificazione diversa. La 'leggenda' dell'Antropocene comprende aree bonificate per l'agricoltura, gli ecosistemi irreversibilmente alterati dagli esseri umani e le aree semi-naturali. In cima a tutto ciò, gli insediamenti umani ad alta densità: allevamenti bovini, campi coltivati, paesaggi rurali, paesaggi urbani e le città vere e proprie. Lo IABR-2014 ha chiesto al World Wildlife Fund for Nature olandese di commentare il significato del principio di salvaguardia della natura in un mondo urbanizzato. La mostra illustra come, oltre alla strategia di tutela e di gestione, lo sviluppo della natura sia stato sostenuto per decenni da una strategia proattiva con solide opportunità di profitto. La mostra mette in luce quali prospettive inaspettate i sistemi antropici possano offrire, e come la reintroduzione e il lavoro in sintonia con i processi naturali possano produrre enormi profitti in termini di biodiversità e resilienza. Questo facilita la collaborazione fra designer, progettisti e amministratori che vogliono sviluppare strategie di resilienza ai cambiamenti climatici, come la protezione dalle inondazioni, le azioni contro il cambiamento climatico e l’individuazione di zone di evacuazione per popolazioni isolate.


Natura urbana Una intuizione piuttosto recente è quella che riguarda il carattere 'urbano' della natura. In un primo momento, gli ambientalisti ignorarono la città, che solo successivamente venne considerata come una zona che 'non poteva essere danneggiata da nulla'. Oggi, il biotopo urbano sta vivendo un processo di rivalutazione. Appassionati ed ecologisti urbani hanno aperto i nostri occhi sulla biodiversità della città, che è spesso notevolmente superiore a quella del paesaggio rurale circostante. La mostra 'Pure Resilience' nel Museo di Storia Naturale di Rotterdam, sulla natura in città, si integra perfettamente con 'A PLANET CULTIVATED'.

Costruire con la natura Esperimenti e progetti di architetti paesaggisti hanno portato a nuove prospettive sulla definizione dei processi naturali a favore dello sviluppo dell'ingegneria civile. In un padiglione separato, 'Building with Nature', si mettono in mostra progetti che hanno utilizzato tecniche di ingegneria naturalistica per opere avanzate di ingegneria civile. Gli esempi includono il motore a sabbia al largo della riva South Holland e il deposito di gusci di ostriche speciali per soddisfare la richiesta di sabbia dell'estuario orientale del fiume Scheidt. Questi ultimi metodi di tecnologia dei delta naturali sono un nuovo prodotto di esportazione per la comunità imprenditoriale olandese.

IABR-Progetto Atelier Planet Texel Quasi tutti gli aspetti affrontati da 'A PLANET CULTIVATED' si ritrovano nell'atelier del progetto IABR-Planet Texel. Lo IABR, insieme al Comune di Texel, ha commissionato una ricerca per esplorare come le ambizioni di autosufficienza dell'isola possano essere collegate al turismo e a Texel come località ricreativa/turistica. Due studi di progettazione, FARO Architects (Lisserbroek) e la4sale (Landscape Architects for Sale, Amsterdam), grazie ad un dialogo costante con numerosi gruppi di portatori d’interesse di Texel, hanno analizzato questo progetto pezzo per pezzo con continue proposte spaziali. Il risultato, 'Prospettive per Texel', è il cuore di 'A PLANET CULTIVATED' .


IL NUOVO 'SELVAGGIO' SIAMO NOI Johan van de Gronden CEO WWF Netherlands Nel 2013 'The New Wilderness', un documentario naturalistico olandese, attirò quasi 700.000 spettatori, rendendolo il secondo film olandese più popolare dello scorso anno. Il film è stato girato alla riserva naturale ‘Oostvaardersplassen’, relativamente piccola, di 56 km2, vicino alla città di Almere. Il film mostrava 'i grandi spazi aperti di un piccolo Paese' e 'l'Olanda come non l'avete mai vista prima'. Anche una serie TV in tre puntate con lo stesso titolo attirò milioni di spettatori. I creatori, Verkerk e Smit, erano riusciti a colpire il pubblico. Il film fu un fenomeno culturale notevole, non solo per l'alto numero di visitatori, ma anche per il modo in cui la natura e lo stato selvaggio erano rappresentati. Solo gli olandesi avrebbero potuto avere l'idea di chiamare una riserva naturale realizzata su terreni bonificati appena 50 anni fa 'un luogo selvaggio'. La riserva 'Oostvaardersplassen mette in discussione molte delle nostre concezioni e immagini mentali sulla natura: l'accesso da solo è abbastanza sconcertante. Il percorso dalla mia residenza al parco è contrassegnato da un paesaggio intensamente coltivato, rigorosamente geometrico, con fossati e strade perpendicolari, cui segue una zona industriale dei primi anni ’70, poi alcuni chilometri attraverso campi desolati, poi una brusca svolta a destra, e inizia la riserva naturale. Prendere un appuntamento con il guardaboschi, se volete evitare il congelamento su una piccola diga, osservando branchi di cervi rossi, bovini e cavalli Konik da lontano, perché la riserva è in gran parte chiusa ai visitatori. Questa è una zona selvaggia recintata. Una volta dentro, immaginate di trovarvi in una savana africana. Da nessuna parte in Europa c’è maggiore densità di erbivori. Tutt’intorno si vedono carcasse e ossa di mammiferi sbiancate. La possibilità di avvistare l'aquila dalla coda bianca che nidifica qui è quasi il 100%. Le volpi cacciano giovani oche in pieno giorno. Grandi aironi bianchi foraggiano tra i cervi, alla ricerca di arvicole e piccoli parassiti. Storni cavalcano le spalle del bestiame come se avessero copiato l'arte dai loro cugini africani, le bufaghe dal becco rosso. Tutto abbonda: animali, uccelli e insetti. Solo il treno dei pendolari che passa ogni 15 minuti porta alla mente che vi trovate vicino ad una zona urbana densamente popolata. I creatori di 'The New Wilderness' hanno rimosso con attenzione dal film tutti i riferimenti ai manufatti urbani. L’audio è stato registrato in giornate in cui il vento non portava il rombo delle auto proveniente dalla A6 ed il rumore degli aerei. Non si vedono le enormi costruzioni in acciaio della linea di alimentazione elettrica. Mandrie di cavalli selvaggi, filmate con droni, appaiono come se fossero venuti di corsa direttamente dalla Camargue. E naturalmente non si vedono i treni che attraversano questa zona ‘selvaggia’. Gli uomini che hanno bonificato la terra e tuttora controllano costantemente i livelli di acqua nella zona non sono menzionati, con l'eccezione di un pattinatore su ghiaccio che passa, una silhouette su ghiaccio naturale, una mera ombra dietro frange di canne. Penso che il film esponga il nostro disagio nei confronti della natura in modo quasi grafico. In un certo senso, allevia la nostalgia profondamente radicata per la natura incontaminata, per i paesaggi primordiali senza persone. Le immagini registrate nel nostro paese, suscitano anche una sorta di ottimismo: siamo allerta per nulla, tutto è possibile. Possiamo anche ricreare una natura incontaminata. Possiamo ignorare tutte quelle brutte statistiche sulla perdita di aree naturali e di biodiversità, anche se solo per un po', e goderci le forze primordiali scatenate nel polder. Entro i confini sicuri di un cinema. Con la natura incontaminata chiusa in una riserva, ben recintata. Per un po', possiamo anche nutrire l'illusione che l'estinzione non sia più definitiva: forse quei bovini Heck non ci ricordano gli uri? E quei cavalli non sembrano più selvaggi dei cavalli mustang? E l'aquila dalla coda bianca non era forse scomparsa dal nostro paese già nel tardo Medioevo? Appena facciamo un passo indietro, osserviamo che il film si concentra su un disagio molto più grande, di portata globale. Gli esseri umani hanno trasformato radicalmente circa la metà della superficie terrestre in aree urbane densamente abitate e intensamente utilizzate per l'agricoltura. Lo spazio restante è intersecato da sentieri, strade, ferrovie, canali e altre infrastrutture per il trasporto degli esseri umani e dei loro animali domestici. Metà della popolazione mondiale vive nelle città. Nel giro di poche generazioni, molte più persone di quelle che popolano la terra nel 2014 vivranno nelle città. Nei Paesi Bassi, la biodiversità, la diversità delle specie animali e vegetali nelle aree urbane è probabilmente già superiore a quella di gran parte del campagna, dove le monocolture di foraggio e mais sono dominanti. Ci può piacere il 'selvaggio', ma il selvaggio nel senso di 'natura incontaminata' è difficilmente reperibile. Tuttavia, la questione è che cosa sia più favorevole per la conservazione e il ripristino della natura: una nozione romantica di protezione dalla distruzione umana delle sempre più ristrette roccaforti naturali, o una comprensione realistica del fatto che da tempo immemorabile siamo stati intrusivi con la natura e che le dinamiche naturali sono parte integrante di noi stessi? Recenti studi antropologici hanno già messo in dubbio molte delle nostre idee tradizionali sulla nostra origine di nomadi


pacifici che vivevano di caccia e raccolta in armonia con la natura. Il paleontologo Tim Flannery ha fatto scalpore con la tesi che, quando i navigatori inglesi e il cartografo James Cook fecero tappa in Australia, nel XVIII secolo, non trovarono un continente inesplorato, ma un terreno che era stato plasmato da mani umane da più di 60.000 anni. Nell'America precolombiana, l'idea di quello che costituiva la natura selvaggia sta cambiando altrettanto rapidamente. Le leggendarie grandi mandrie di bisonti, che una volta si pensava abbondassero nelle praterie del Nord America, in realtà non rispettavano lo standard della densità naturale dei grandi erbivori: il loro numero in tutta probabilità esplose dopo aver perso i loro nemici naturali, i popoli indigeni americani che furono decimati da epidemie infettive. Gli esseri umani cambiano la natura dei luoghi in cui si spostano, e lo hanno fatto per secoli, così come la natura continuerà a cambiare le loro abitudini. I nativi americani probabilmente non avevano il concetto di 'selvaggio': si tratta di un costrutto occidentale che legittima la nostra condotta o evidenzia la nostra nostalgia. Il termine geologico prevalente per il periodo dalla fine dell'ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa, ad oggi, è stato coniato da Sir Charles Lyell, il famoso geologo britannico del XIX secolo, ispiratore di Darwin,che nel 1833 chiamò il periodo successivo al Pleistocene 'Olocene.' Il termine è stato approvato nel 1885 dal convegno internazionale dei geologi a Bologna e, successivamente, ha trovato la sua strada nei libri di testo e nei programmi di studio sulla storia della terra. Fin dall'inizio di questo secolo, questo concetto viene chiamato in causa. Dopo che l'idea dell''Antropocene' apparve nella letteratura e in varie conferenze, spesso provocatoriamente, il termine diventò improvvisamente rispettabile a seguito di un articolo del premio Nobel olandese Paul Crutzen, pubblicato assieme all'ecologo Eugene Stoermer nel 2000. Ci sono tutte le ragioni per dare un nuovo nome al nostro periodo interglaciale basato sull'influsso delle attività umane, hanno scritto, a causa del suo enorme impatto sia sulla biosfera che sull'atmosfera. Questa influenza è così grande che può essere paragonata a forze geologiche, come l'impatto di asteroidi o le grandi eruzioni vulcaniche. Il curatore dello IABR-2014 Dirk Sijmons è stato ispirato da questo termine. La consapevolezza che gli esseri umani sono una forza geologica significativa ha avuto un impatto importante su un gruppo di scienziati che, a seguito della comparsa nel 1972 del rapporto del Club di Roma 'Limits to Growth', si è preoccupato dell'esaurimento delle materie prime e delle risorse naturali. Questo campo di ricerca si è evoluto in una definizione dei limiti del pianeta entro i quali gli esseri umani dovrebbero operare in sicurezza. Se li trapassassimo, rischieremmo irreversibilmente di cadere in una tana di coniglio, o qualcosa di piuttosto sgradevole per gli esseri umani. I sostenitori dei limiti di sicurezza per l'azione umana nell'Antropocene si appellano a un'immagine escatologica: una dottrina dell'ultima ora, comprendente le punizioni se non obbedissimo, e qualche speranza di una vita sana e felice solo se riusciremo ad invertire nel tempo la tendenza negativa. Cosa sta oltre l'Antropocene? Sembra che abbiamo davanti soltanto l'immagine fredda di una terra senza l'uomo. Questi scienziati leggono il termine Antropocene come l'ultima possibilità e un pesante fardello. La visione di Sijmons del nuovo periodo è più relativistica. Gli esseri umani hanno interagito intensamente con l'ambiente circostante almeno dalla rivoluzione agricola del Neolitico, circa 12.000 anni prima dell'invenzione del motore a vapore, e hanno irrimediabilmente dominato la loro nicchia ecologica. Le praterie americane probabilmente non erano aree di natura primordiale incontaminata 500 anni fa, ma piuttosto paesaggi culturali creati dai periodici incendi intenzionali di vaste aree provocati dagli uomini per favorire la crescita dei grandi erbivori, la loro principale fonte di cibo. Alte densità di alberi da frutto in alcune parti del Rio delle Amazzoni indicano la presenza di frutteti selvatici costruiti con grande ingegnosità nella 'natura selvaggia' dalle civiltà precolombiane. Il nostro attuale dilemma morale ricorda l'inizio della secolarizzazione in Europa, e la paura crescente del nichilismo, alla fine del XIX secolo. 'Dio è morto! ... E noi lo abbiamo ucciso, 'Nietzsche esclama in 'La gaia scienza' (1882). Due anni prima, il famoso immaginario Ivan Karamazov di Dostoevskij sospira: 'Senza Dio ...? Tutte le cose sono lecite, allora ...?' In quell'epoca, comunque, abbiamo agito meglio del previsto. Come ha sottolineato in molti suoi libri il primatologo olandese Frans de Waal, la visione del mondo monoteista implica una visione repressiva della moralità. Non solo una serie di ricerche sul comportamento dei primati sociali dimostra che le fonti di comportamento morale ed etico erano evidenti nelle azioni dei nostri parenti evolutivi più stretti per milioni di anni, ma inoltre, l'ipotesi che gli esseri umani non possano progettare un'etica di responsabilità, senza la supervisione di un dio punitivo che governa tutto è insostenibile. Ho il sospetto che stiamo vivendo uno momento simile. Il 'selvaggio' nel senso di natura incontaminata dall'uomo vivente non esiste più. Questo non vuol dire che non vi sia necessità di conservare la natura, al contrario. Abbiamo imparato a convivere con l'idea che la flora e la fauna si adattano a nuovi ambienti in un costante stato di flusso evolutivo. È bene rendersi conto che lo stesso vale per gli esseri umani, sempre più urbanizzati. Dovremo sempre più basare le nostre decisioni su una comprensione catartica del fatto che i nostri interventi possono interessare tutti gli angoli della biosfera e creare le condizioni per il nostro futuro collettivo. Il nuovo 'selvaggio', che siamo noi.


LA NATURA DELL’UOMO L’ascesa dell’Antropocene Piet Vollaard

Leave nature to the idle or the vain. What qualifies as nature in this land? A forest barely larger than my hand, Small villas crouching down a hilly lane.

Lascia la natura al pigro o al vanitoso. Che cosa ha diritto di essere chiamato natura in questa terra? Una foresta a malapena più grande della mia mano, piccole case di campagna accovacciate lungo un sentiero scosceso. J.C. Bloem

La timeline “La Natura dell’Uomo” illustra la storia del nostro rapporto con la natura che ci circonda. La storia della 'nostra natura', le nostre scienze naturali, le nostre poesie e i nostri dipinti sulla natura, i nostri tentativi di ricreare la natura nei giardini e nei parchi e i nostri sforzi per proteggerla attraverso l’istituzione di organizzazioni e azioni concrete. Il poeta olandese J.C. Bloem (1887-1966), di cui sopra i primi quattro versi del suo sonetto De Dapperstraat, a quanto pare, pensa di essere l’ultimo uomo sulla terra a preoccuparsi ancora della natura: la natura è per ‘the idle or the vain’ (il pigro o il vanitoso). Nei Paesi Bassi la natura inoltre equivale realmente a ‘a forest barely larger than my hand’ (una foresta a malapena più grande della mia mano). Tuttavia, nella seconda strofa, questo tenace cittadino non può ignorare del tutto la natura, anche se incorniciata tra le finestre del sottotetto, ‘The clouds are at their best when they are, framed in attic windows, riding in the sky.’ (Le nuvole si mostrano al meglio quando, incorniciate dalle finestre del sottotetto, corrono nel cielo.) E infine: ‘This came to me when I, all by myself, bedraggled, on a drab and drizzly morn, felt downright happy in the Dapperstraat.’ (Penso a questo quando, tutto da solo, infangato, in una mattina grigia e piovigginosa, mi sento davvero contento nella Dapperstraat). Può darsi che in Olanda non ci sia molta natura oltre ai fiori e agli animali, ma ce n’è una gran quantità grazie agli agenti atmosferici. Bloem introduce due possibili significati per la meravigliosa e ambigua 'natura': la natura delle foreste e dei sentieri scoscesi, e la natura delle nuvole e della pioggia. Abbiamo poi la natura dei filosofi del Seicento, “Natural Philosophers”, quali Newton (1643-1727), Hooke (1635-1703), e Van Leeuwenhoek (1632-1723), che tra le varie cose studiano la gravità, il magnetismo e la natura della luce. Noi oggi abbiamo imparato la distinzione tra la natura in senso tale e le sue astrazioni. Eppure fu Antoni van Leeuwenhoek che, grazie alla sua invenzione del microscopio, fu il padre della microbiologia e identificò una nuova classificazione di batteri e spermatozoi, organismi monocellulari e globuli rossi. E fu Robert Hooke che per primo pubblicò un disegno curato al dettaglio di una pulce, un’opera d’arte in se stessa. Infine ci fu Isaac Newton, un uomo famoso per il suo Philosophice Naturalis Principia Mathematica, che diede il suo contributo in maniera fondamentale alla meccanica classica, premette un ago da calza intorno al suo occhio per studiare la sua anatomia, ci mise settimane per vederci di nuovo. Fino a dove ci si può spingere per capire la propria natura? Per non parlare della 'natura umana', la nostra natura psicologica che, secondo gli illuministi come Jean Jacques Rousseau (1712-1778), è essenzialmente 'naturale', autentica e buona. Abbiamo l’innata natura e morale del “buon selvaggio' che, come viene teorizzato nel saggio "Contratto Sociale", dovrebbe essere alla base della nostra coesistenza politica e sociale. Rousseau non solo ha stimolato lo sviluppo della psicologia e della politica sociale, ma è stato anche un pittore romantico, musicista e scrittore e, attraverso le sue arti, è stato d’ispirazione per la nascita del movimento back-to-nature (XIX secolo).


Nella cultura occidentale contemporanea, si è soliti fare una distinzione tra ciò che emoziona le persone, ciò che pensiamo e facciamo, e la sfera in cui il pensare e il fare effettivamente hanno luogo. Natura e cultura sono viste come due poli opposti tra i quali si trova un campo complesso di vettori e relazioni. Intorno al 1930, il geochimico Vladimir Vernadsky (1863-1945) e il paleontologo-filosofo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) teorizzarono la noosfera: la sfera della conoscenza, della cultura e della tecnologia che era presumibilmente complementare alla litosfera (la Terra abiotica), alla biosfera (vita sulla Terra) e all’atmosfera. Oggi potrebbero unirsi anche la cybersfera di Internet e dell'informazione, e la tecnosfera della nostra scienza, delle macchine e dei dispositivi tecnologici. Anche se la distinzione tra le diverse sfere è utile, queste ovviamente non possono funzionare separatamente. La noosfera, ovvero le nostre vite comprese la cyber informazione e la tecnologia che generiamo, non può esistere separatamente dalla biosfera, che è di per sè completamente dipendente dalla litosfera e dall'atmosfera. Siamo perciò soggetti alla nostra natura, in tutti i sensi. Non possiamo scappare né dal nostro pensiero collettivo, né dal nostro habitat. Importante è che ci rendiamo conto che la natura riesce molto bene a fare a meno di noi, come ha fatto per millenni, e che invece noi non possiamo fare ameno della nostra natura. Per questa ragione soltanto è sterile, se non inutile e potenzialmente fatale, distinguere tra noosfera, cybersfera e tecnosfera. La nostra cultura è completamente permeata da riflessioni sulla natura, da relazioni con la natura, e da azioni di difesa contro la manipolazione della natura. Pensiamo natura, agiamo natura, facciamo natura, ad esempio giardini e parchi, ed ora anche “New Wilderness” (nuove aree Wilderness/selvagge). Parafrasando il filosofo illuminista Baruch de Spinoza (16321677), il quale, a differenza di René Descartes (1596-1650), vedeva la mente e il corpo come inseparabili: 'Nature is in all things, and all things are in Nature' (La Natura è in tutte le cose e tutte le cose sono nella Natura), sebbene Spinoza non fosse in grado o non volesse a quel tempo sostituire 'Dio' con 'Natura'. Così la natura è di per sè divina, che non vuol dire, tuttavia, che le forze più sataniche della natura non abbiano giocato un ruolo nel nostro pensiero. Le divinità della natura non sono sempre buone, in realtà di solito non lo sono proprio, e dagli angoli più bui delle nostre foreste primordiali è comparsa una forma di nazionalismo naturale che si è sviluppato più sinistramente nel credo nazista Blut und Boden (sangue e suolo). Se la timeline mostrasse una cosa su tutte, sarebbe che la cultura e la natura sono lo Yin e lo Yang della nostra esistenza. A volte entrambe le sfere si oppongono, come quando parliamo di città versus campagna, Arcadia verso Polis (periferia versus città), il buon selvaggio versus il corrotto abitante della città, i giardini barocchi razionali versus i giardini all’inglese, l’acezione romantica del sublime e della natura temibile versus la bella e amabile natura: la lista è senza fine. Ma queste opposizioni sono più che compensate da un gran numero di fusioni e incroci. Un buon esempio di tale fusione tra natura e cultura è l'eco-cattedrale del 'wild gardener' (giardiniere selvaggio) Louis Le Roy (1924-2012). Ha creato una struttura simile a quelle Maya accumulando camion carichi di macerie su un campo nella regione della Frisia, e ha permesso alla natura di correre libera tra e nelle strutture in pietra. Dopo più di 30 anni, il campo ha generato un habitat ecologicamente ricco. Lo stesso Le Roy ha considerato sempre il suo progetto come un processo culturale, che si evolve nel tempo: un atto culturale di impiego di poteri creativi umani in un passo a due con ciò che il filosofo Henri Bergson (1859-1941), che Le Roy ammirava, ha chiamato la naturale evoluzione creatrice. Per inciso, Le Roy ha anche considerato il suo lavoro come una critica nei confronti del noiosamente letale sviluppo urbano del suo tempo. Questa fusione, questo intreccio di natura e cultura, la sua storia sempre più complessa, è visibile nelle relazioni della timeline “La natura dell'uomo” ed è anche l'idea che sta dietro al titolo URBAN BY NATURE: noi siamo urbani per natura, il naturbanism (l’urbanizzazione naturale) è il nostro futuro.


ESPLORANDO IL SOTTOSUOLO Dirk Sijmons

'Sotto il selciato, la spiaggia!' era uno dei famosi slogan delle proteste studentesche di Parigi del 1968. Esso ci ricorda che la città non si ferma al marciapiede, ma che c'è qualcosa sotto. Come la superficie terrestre diventa più affollata e frequentata, l'idea di esplorare il sottosuolo diventa sempre più attraente. Il sottosuolo ha stimolato la nostra immaginazione per secoli. Tradizionalmente, l'inferno è raffigurato come un luogo nelle profondità della terra, con l’odore di sulfurea cenere vulcanica. Il pioniere della fantascienza Jules Verne aveva il suo eroe ottocentesco nel professor Otto Lidenbrock, che intraprendeva un viaggio al centro della terra. Il sottosuolo gioca una parte interessante nel nostro inconscio collettivo. E molti di noi sono affascinati dagli aspetti più prosaici della questione. Se si scava una strada per sostituire i tubi di una fogna, numerosi passanti si fermano a guardare, curiosi del mondo sotto i loro piedi. Per un attimo è visibile il groviglio di cavi, tubi, fili e cavi in fibra ottica che rendono possibile la nostra vita quotidiana. Ma c'è di più: la sabbia di riempimento su cui è costruita la città, gli strati neri di argilla, l’acqua che sfugge alle pompe. Le fogne sono costruite al di sotto della linea di gelo, a circa 2 mt. di profondità. Ai bordi del buco si scorgono le radici degli alberi, ma le cose più in profondità restano avvolte nelle tenebre. C'è vita in questo mondo oscuro: esso è, infatti, brulicante di vita. Un sottobosco ben sviluppato può contenere fino a 10.000 differenti organismi per metro quadro. Noi in realtà non sappiamo molto di tutto ciò che vive lì, perché il terreno appartiene alla parte della biosfera di cui conosciamo relativamente poco. Si stanno scoprendo regolarmente nuove specie. I batteri, funghi, protozoi, nematodi, e una miriade di vermi, artropodi, termiti, millepiedi e lombrichi sono solidalmente responsabili per la decomposizione della materia vegetale. La maggior parte del materiale organico viene riciclato e reso disponibile alla vita fuori terra. Ancora più in profondità ci sono organismi viventi al di sotto dello strato di formazione del suolo. Non c'è luce, la temperatura è sempre più calda, ma la vita batterica è stata trovata fino ad una profondità di 6 km. Non solo l’occasionale microbo, trasportato negli abissi con l'acqua: i microbiologi stimano l’esistenza di centinaia di miliardi di tonnellate di biomassa, un ecosistema completo che sopravvive in profondità. Esuberanti scienziati parlano anche di una Galapagos sotterranea. La vita nel sottosuolo esiste grazie alla chemiosintesi. Nel corso di una lunga evoluzione, un'ampia varietà di batteri ha scoperto ogni reazione chimica che riesce a generare anche il più piccolo frammento di energia. Sia materia organica del suolo o olio, vengono elaborati da microbi specializzati . Quantità anche minime di sostanze chimiche, come per esempio un singolo elettrone guadagnato nella conversione del ferro da bivalente a trivalente, genera energia per comunità microbiche in acque profonde che divorano navi affondate. Attendete qualche centinaia d’anni, e non ci sarà alcuna traccia del Titanic. Questa vita sotterranea svolge molte funzioni sociali: sostiene i nostri edifici, memorizza i nostri cavi e tubi, e si lascia usare come impianto di stoccaggio. Il sottosuolo è informazione: gli archivi della stratificazione geomorfologica della terra ci danno la storia del paesaggio, completando la storia archeologica dell’uomo, fatta con le reliquie che ha lasciato dietro di sè. Il sottosuolo è regolatore: la terra filtra e permette il deposito d’acqua e, in quanto abitata da esseri viventi, degrada il materiale organico. Ultimo ma non meno importante, il sottosuolo produce. Non è esagerato dire che la nostra società sopravvive sopratutto grazie a ciò che prendiamo dalla terra. Dagli strati più profondi, abbiamo raccolto minerali e calore geotermico. Da altri strati profondi estraiamo i resti fossili di 500 milioni anni di produzione di biomassa o energia solare solidificata, sotto forma di carbone, olio e gas. Più in alto sono le riserve d’acqua sotterranee cui attingiamo per bere, per l’uso agricolo e industriale. Lo strato più importante è costituito da quello fino a 2 m di profondità del terreno: dal quale dipendono la produzione agricola e alimentare del mondo. Per questo in tutto il mondo questo strato superiore è mappato con grande precisione. La sua composizione permette di conoscere ciò che crescerà su di esso ed è altamente predittiva delle possibili entrate. Le città sono rimaste a lungo macchie bianche circa la mappatura delle loro potenzialità agricole, ma la situazione sta cominciando a cambiare. L'aumento dell’importanza dell’agricoltura urbana ha aumentato l’attenzione per la mappatura del suolo urbano, che va oltre la rilevazione delle aree dismesse, abbandonate o inquinate. La mappatura ha anche lo scopo di classificare le superfici che nel sottosuolo hanno compattato per decenni vari tipi di rifiuti e detriti da costruzioni ed hanno assorbito sostanze che non devono trovarsi in aree agricole. La mappatura del suolo urbano è assolutamente necessaria perché abbiamo bisogno di sapere dove si trovano esattamente le infrastruttura sotterranee, crescenti in quantità e nocività, per tenere memoria di esse. Tubi del gas, rete idrica, o cavi di alimentazione danneggiati durante i lavori stradali sono all’ordine del giorno. In molti casi, la rete di tubi e cavi è stata ben pianificata e progettata in anticipo, ma in altri è stata scaricata malamente in una fossa da imprenditori attenti solo ad occuparsi della loro rete.


Il sottosuolo selvaggio assomiglia al Far West. Prevale la legge della giungla. Il risultato è che la maggior parte delle città non hanno, o almeno non in modo completo e aggiornato, la documentazione dei percorsi delle infrastrutture che gestiscono il funzionamento urbano. A volte ci sono ragioni storiche. Nessuno girando il rubinetto dell’acqua ad Istanbul sa da dove provenga l'acqua. In questa città operano quattro sistemi idrici storici, il più antico risalente all'epoca romana, che si sono intrecciati nel corso degli anni. Come nel caso della pianificazione territoriale fuori terra, ci sono problemi fisici e conflitti d’interesse da risolvere anche per il sottoterra. Più cavi e tubi ci sono, più è difficile trovare spazio per gli alberi. Lo sfruttamento del calore sotterraneo e lo stoccaggio a freddo stanno guadagnando popolarità, ma non è chiaro quale effetto possano avere sulla diffusione della contaminazione dei suoli e la riduzione dei valori della naturalità a causa dell’abbassamento del livello di falda. Per quanto riguarda gli strati più profondi, ci sono scelte da compiere tra i rischi di scisto nell'estrazione di gas e la garanzia delle riserve di acqua potabile. Le società elettriche possono entrare in conflitto con tutte le industrie che dipendono da un'adeguata qualità dell’acqua, dalle aziende idriche, agli agricoltori, ai produttori di birra. Anche le funzioni urbane vogliono sempre più 'andare in profondità': i progettisti e gli speculatori vedono il sotterraneo come spazio di espansione. Le infrastrutture di mobilità sotterranea (strade, trasporti pubblici) offrono alle città l'opportunità di riorganizzare lo spazio lasciato libero e riunire aree un tempo separate. Negli inverni freddi in città come Helsinki e Toronto, gli esseri umani sono costretti a ritirarsi sottoterra, nei 30 km di collegamenti pedonali sotterranei attrezzati con negozi. Entrambe le città sono note per la loro pianificazione integrata sotto e fuori terra. Anche ad Hong Kong la scarsità di spazio in superficie ha reso necessaria l’attenta mappatura ed attrezzaggio del sottosuolo. Questi sono tutti programmi urbani per il sottoterra. Ma il sottoterra come coinvolge la superficie? La presenza di risorse fossili, dai minerali, al petrolio, ai laterizi, può essere percepita sulla superficie della terra, in relazione ai suoi sviluppi territoriali ed economici. Il sottosuolo è fortemente presente in superficie anche sotto forma di subsidenza, terremoti e frane generati dall'estrazione su larga scala di combustibili e minerali. Fino a poco tempo fa, era impossibile la costruzione di reti fognarie sotterranee nella regione tedesca della Ruhr, perché la subsidenza della terra avrebbe rotto i tubi. La città mineraria svedese di Kiruna sta per essere spostata completamente, pezzo per pezzo, perché il suo sottosuolo è diventato instabile. A Groningen, piccoli terremoti causati da anni di estrazione del gas sono stati seguiti da imprevedibili abbassamenti del terreno. Questi sono tutti argomenti a favore di una maggiore attenzione delle amministrazioni nazionali, regionali, e locali per questa nuovo e in gran parte sconosciuto campo di lavoro. È tempo per un master plan del sottosuolo, per una progettazione consapevole del suo valore e per una pianificazione territoriale realmente tridimensionale. Abbiamo bisogno di una ‘pianificazione territoriale 3 D ‘, riconoscendo che in realtà sappiamo ben poco sugli effetti che le nostre azioni hanno su ciò che accade nel sottosuolo. La mostra ESPLORARE IL SOTTOSUOLO sottolinea l’opportunità di mappare il sottoterra. Come possiamo affrontare la sfida della complessità del sottosuolo senza poter contare su metodi affidabili di rilevazione, alla pari di quelli che usiamo per il suolo? Se le sfide future riguardano sempre più l'interazione fra infrastrutture e processi del sopra e sottosuolo, come possiamo sviluppare metodi e strumenti che riguardino entrambi, che permettano di perseguire un sistema sviluppato in modo sostenibile?


PAESAGGIO URBANO E CAMBIAMENTO CLIMATICO Dirk Sijmons 'E' vero, è brutto, è causato dagli esseri umani, la scienza è d'accordo, dovremmo fare qualcosa’. Ecco come lo scienziato più famoso dei Paesi Bassi, Robbert Dijkgraaf, ha riassunto l'ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (LPCC). IABR-2014 è interessata principalmente all’ultimo punto sollevato da Dijkgraaf: Cosa possiamo fare per cambiare il clima? Le due politiche principali sono l'adattamento e la mitigazione. Adattamento significa regolare la nostra società rispetto agli impatti degli inevitabili cambiamenti climatici: l'aumento del livello del mare, il regime irregolare dei fiumi, l’alterazione delle precipitazioni e la maggior intensità delle tempeste. Mitigazione significa alleviare e diminuire, affrontando alla radice il problema della riduzione delle emissioni di CO2. La mitigazione è possibile soltanto attraverso la transizione a larga scala verso fonti energetiche rinnovabili. Il consenso scientifico sulla gravità del problema del clima è in contrasto con il modo in cui esso viene percepito pubblicamente e politicamente. Per fare un eufemismo: il cambiamento climatico e la transizione energetica sono soggetti politici erratici, in bilico tra speranza e paura: la speranza che tutto andrà bene, e la paura che non potrebbe essere così. La speranza che una soluzione ‘sarà trovata', che spunterà una miracolosa abbondante energia, in quantità spettacolari, o che i tecnici riusciranno a trovare soluzioni sempre più raffinate per differenziare i consumi di energia al fine di ridurre le emissioni di CO2. Il sottofondo però è di paura: che adattamento vorrà dire cambiare il modo di vivere, la prosperità, il benessere e la mobilità. Profonde emozioni ed enormi interessi geopolitici e finanziari inducono ad altre considerazioni politiche rispetto a quelle consigliate dagli scienziati dell'IPCC. I governi locali delle città costiere e delle città delle regioni del Delta hanno spesso un ottimo senso della realtà. Essi hanno deciso che lasciare andare le cose alla deriva è una scommessa pericolosa e stanno ultimando ovunque i Piani di adattamento. Aumentare la resilienza e la sicurezza richiede uno sforzo enorme. Ci sono grandi differenze tra le regioni, che implicano un diverso approccio sia rispetto al tempo che al luogo. Le regioni urbane imparano le une dall’altra attraverso lo scambio di conoscenze e il confronto dei piani.

Cinque lezioni Lezione uno: non lasciare le decisioni ai piani 'tecnocratici' degli ingegneri. Lezione due: Questa è anche una sfida sociale e culturale, perciò vanno coinvolti i residenti. Lezione tre: Prova ad allargare il campo di gioco per inglobare altre sfide. Lezione quattro: Aumentare la resilienza di altri sistemi urbani oltre alla mobilità, l'energia e l'approvvigionamento idrico, perche questi non sono gli attori esclusivi del disastro climatico. Lezione cinque: i progettisti devono svolgere un ruolo fondamentale nei processi complessi e di lungo termine dello sviluppo regionale, con la collaborazione di stakeholder, politici e grandi investitori.

Dialoghi olandesi Gli amministratori regionali e locali spesso agiscono con più audacia rispetto alla riluttanza dei governi nazionali che partecipano ai negoziati sul clima, con le loro carte politiche strette al petto. Speriamo che le autorità delle città costiere e del Delta li portino a migliori riflessioni. Ci sono già alcuni buoni esempi: lo studio del paesaggio urbano e di cambiamenti climatici si sta concentrando su due metropoli delle regioni recentemente colpite da uragani. Eventi della costa densamente popolata del nord-est degli Stati Uniti (Hurricane Sandy) e della zona intorno a New Orleans (Katrina) evidenziano la vulnerabilità delle città costiere. In entrambi i casi, gli specialisti e progettisti americani e olandesi stanno mettendo in pratica le cinque lezioni.


LA SFIDA DEL SECOLO LA NECESSITÀ DI UNA RADICALE REVISIONE DELL’URBANISTICA Maarten Hajer Direttore Generale PBl - Netherlands Environmental Assessment Agency Le statistiche delle Nazioni Unite indicano un'epoca di rapida urbanizzazione e prevedono che il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città entro il 2050. A quella data, le città saranno cresciute di 2,3 miliardi di abitanti, pari a tutta la popolazione mondiale prevista tra oggi e allora. Questa espansione urbana si realizzarà principalmente in Asia e in Africa. Sfortunatamente oggi mancano proposte creative per un nuovo modo di pianificazione che eviti gli errori che abbiamo fatto fino ad oggi. Nel mondo occidentale è già disponibile un patrimonio edilizio in grado di soddisfare l’80% del fabbisogno al 2050; quindi l’occidente dovrà concentrarsi sulla riqualificazione delle città, perché per essere sostenibili dovranno consumare circa un decimo delle risorse che usiamo oggi. Le città hanno la chiave per affrontare questa sfida, in tre modi. Prima di tutto, le città sono punti nodali dell’interazione globale con la natura e sono gigantesche consumatrici di risorse naturali. Queste risorse sono necessarie per le costruzioni e per permettere alla città di 'vivere' quotidianamente (energia, cibo, acqua). Inoltre, le città sono gigantesche produttrici di rifiuti ed emissioni. Questi afflussi e deflussi suggeriscono che le città hanno un metabolismo, proprio come gli organismi biologici. Una migliore gestione del metabolismo urbano è la chiave per aumentare la sostenibilità. In secondo luogo, le città sono luoghi d’innovazione, dove nuove soluzioni sono inventate e applicate. Produttività e innovazione sono molto più alte nelle città che nelle zone rurali. Questo in parte può essere spiegato con la dimensione delle città e con l'economia di scala. Ma è anche l'interazione faccia-a-faccia tra menti creative che guida l’economia della conoscenza che è caratteristica delle città contemporanee. Sinteticamente, è il 'facile accesso' alle risorse, alla conoscenza e alla creatività che stimola la crescita economica delle città e delle innovazioni necessarie per renderle più sostenibili. E in terzo luogo, mentre i governi nazionali lottano per addivenire ad accordi multilaterali sui cambiamenti climatici, probabilmente la più grande minaccia per il nostro futuro, sono i governi delle città che hanno la flessibilità di governance ed il potere decisionale di fissare obiettivi e traguardi, di unire le forze con altre città, e di redigere efficaci piani d’azione, come hanno già fatto molte città. Suggerendo che le città hanno la chiave apparentemente implica che esse la possano anche 'girare'. Questa è una grossolana semplificazione. È relativamente facile fissare obiettivi, ma gli obiettivi in se stessi non avviano il cambiamento. Copenhagen vuole essere ‘neutral clima’ entro il 2025; Rotterdam mira a tagliare le emissioni di CO2 del 50% entro il 2025, ma una volta che sono fissati tali obiettivi inizia il vero lavoro: come possiamo gestire con meno, e, nello stesso tempo, migliorare la vita urbana? Un’approfondita conoscenza dei flussi metabolici urbani è una precondizione per risolvere questa questione.

La sfida dell’urbanistica: cambiare impostazione È un assioma di molte teorie sociali ed economiche che il comportamento umano sia guidata da decisioni. La scienza economica presuppone anche che le nostre decisioni siano razionali. In realtà, gran parte della nostra vita non è guidata da decisioni, ma da non-decisioni. Facciamo la maggior parte delle cose in modalità di 'default'. Nella nostra vita quotidiana il comportamento è spesso una questione di routine e abitudini che potrebbero essere cambiate in modo relativamente facile, se volessimo. Ma nel caso della gestione dei sistemi urbani, il modo standard di fare le cose è spesso letteralmente 'inciso sulla pietra' e lontano dall’essere sostenibile. Questa modalità in default non è facile da cambiare. Ad esempio, i ciclisti a Londra stanno cercando di riappropriarsi delle strade, ma questo obiettivo si sta rivelando molto difficileda raggiungere. Per la maggior parte delle città l'opzione di default nella mobilità è l'auto. Alcune città hanno avviato un lungo percorso per cambiare ciò. A Copenaghen, il 36% degli spostamenti di lavoro e per raggiungere le scuole è in bicicletta, e ad Amsterdam oltre il 60% dei pendolari si reca al lavoro con i mezzi pubblici, con la bicicletta o a piedi. È questo il risultato di un organico pacchetto di politiche, tra cui la costruzione di piste ciclabili, i limiti al parcheggio e la regolazione dell'uso del suolo per favorire sedi di uffici accessibili. Oltre al problema di pensare per default, le scelte dei decisori sono spesso limitate da blocchi. Troppo spesso sentiamo


politici che dicono: 'Mi piacerebbe cambiare la situazione, ma non ci riesco’. A volte la politica è coraggio, ma spesso la complessità dei contratti, la passività o i blocchi dovuti alla divisione del lavoro segnano il modo di condurre le transazioni. Un altro problema ancora è la mancanza d’immaginazione. L’attuale pensiero sulla città si basa su concetti dei primi anni del ventesimo secolo, e questo deve davvero cambiare. Una migliore comprensione del metabolismo urbano può contribuire a chiarire le nuove sfide della pianificazione urbana, e innescare nuove idee.

Metabolismo urbano Nella pianificazione urbana prevale ancora il paradigma modernista. Sebbene sia stato criticato per le sue dinamiche sociali da Jane Jacobs e altri, l'idea lineare della natura come contesto non problematico in grado di fornire all'infinito “input” e di assimilare gli “output” non è praticamente mai stata messa in discussione. Migliorare la nostra comprensione del metabolismo urbano è un modo per avviare seriamente una nuova agenda urbanistica. Se non conosciamo gli input, come vengono utilizzati, e quali sono gli output come possiamo modificare il modo di prendere le decisioni in default? Di quanta e quale energia abbiamo bisogno? Come si articolano i flussi d’acqua? In ogni caso di quanto abbiamo bisogno? Sulla base della nostra comprensione dei flussi urbani possiamo fissare nuovi obiettivi e definire realistiche strategie. Noi chiamiamo questo 'programmazione del metabolismo urbano: dove il metabolismo urbano è definito come consumo, produzione e trasformazione dei flussi di risorse in ambienti urbani’. Con questo nuovo approccio ci allontaniamo dal modello lineare che considera inesauribile la fornitura di input senza limite, la possibilità di carico della natura attraverso i manufatti ed i beni prodotti, e, infine, l'illimitata la possibilità di produrre output, in termini di rifiuti ed emissioni. Questo modello chiaramente non è più valido. Gli input sono sempre più scarsi e più costosi, le discariche stanno raggiungendo i loro limiti, preziose sostanze nutritive sono disperse e scaricate in torrenti e oceani, e le emissioni di CO2 stanno già incidendo in modo sostanziale sul clima. La prospettiva è dunque quella delllo studio e dell’ottimizzazione del metabolismo urbano, dal quale risulta evidente anche che le città non possono sopravvivere senza il mantenimento di collegamenti sostenibili con l'entroterra da cui traggono energia, acqua, cibo, biomassa e materie e vi rilasciano i loro rifiuti. Sulla base delle conoscenze offerte dal metabolismo, è chiaro che abbiamo urgente bisogno di modificare le nostre infrastrutture di mobilità ed il sistema energetico. Abbiamo anche da ripensare ciò che scarichiamo nelle nostre acque, in modo da non doverle ripulire più tardi. Una questione ritornerà sempre: vogliamo rendere il sistema esistente più efficiente, o possiamo creare un nuovo sistema? Solo un esempio: il nostro obiettivo è rendere tutti i veicoli elettrici, oppure puntare su un nuovo sistema di mobilità, in cui proprietà la privata dell’auto farà spazio a nuovi servizi di mobilità (tipo car sharing)? E se scegliamo quest’ultima opzione, quali saranno i costi sociali? C'è una serie infinita di questioni importanti che devono essere affrontate. Non per una nuova generazione di progettisti, ma ora, da noi, in uno sforzo di immaginazione e di collaborazione.

Conclusione La buona notizia è che possiamo gioire di una vera e propria reinvenzione dell’urbanistica. Libri come "Planet of Cities" di Shlomo Angel (2012), "A Country of Cities" di Vishaan Di Chakrabarti (2013), "Intelligent City-Big Data. Hacker civici e ricerca di una nuova Utopia" di Anthony Townsend (2013) sono i nuovi riferimenti di questo dibattito. Nel rapporto "City-level Decoupling", dell’UNEP International Resource Panel, si dimostra come le nuove infrastrutture possano realizzare l’obiettivo del ‘decoupling’, ossia disaccoppiare l’uso delle risorse (che deve essere contenuto) dallo sviluppo economico e dal benessere sociale (che devono essere incrementati). Tuttavia, questo dibattito deve ancora essere adattato al mondo degli urbanisti, che sta attualmente cercando di cambiare le impostazioni di default delle nostre infrastrutture urbane. In questi nuovi sforzi di pianificazione urbanistica, l’agenda del 'necessario avere' dovrebbe avere la priorità sull’agenda dell''è bello avere' compilata sulla base dei gadget delle molto discusse 'smart cities’. Il positivo del concetto di Smart City è che riunisce potenti coalizioni di imprese, governi delle città, ed istituti diricerca, che insieme potrebbero davvero realizzare il cambiamento. Tuttavia, tali coalizioni dovrebbero concentrare i loro programmi sull’agenda dei reali bisogni, ispirata alla rinnovata consapevolezza che le città, intese come organismi, falliranno se non terranno in ordine il loro metabolismo. I recenti problemi di smog nelle città della Cina sono un tragico promemoria di quanto poco abbiamo imparato in questo senso. Inoltre, abbiamo bisogno di una nuova forma di urbanistica globale che colleghi strategicamente esperienze delle città di tutto il mondo, per accelerare l'apprendimento, in modo che molti più cittadini possano partecipare a ripensare le nostre città per un futuro sostenibile. La completa revisione dell’urbanistica può benissimo essere la sfida del secolo.


STRATEGIE PER IL PAESAGGIO URBANO Dirk Sijmons Nel 2011, la NASA ha diffuso una serie di cortometraggi che rappresentano l’urbanizzazione del nostro pianeta di notte. Vari fenomeni elettrici attraversano la sua superficie: il bordo dell'atmosfera riflette ancora la luce, l'aurora boreale striscia attraverso la stratosfera come un serpente, spruzzi di fulmini penetrano le nuvole, la terra è attraversata da una luce giallastra di origine umana. La parte urbanizzata del mondo è evidenziata dalla luce elettrica. Oltre alle grandi città, sono visibili una fitta filigrana di linee di luce e una rete di nodi grandi e piccoli. Lungo le coste e nei delta del mondo, s’illuminano grandi paesaggi urbani. Le sequenze temporali (http://vimeo.com/32001208) rendono concretamente l'ubiquità delle attività umane sulla superficie della terra e forniscono un’impressionante immagine della più grande delle creazioni umane: il paesaggio urbano. Queste immagini reintroducono il vecchio problema del limite: esattamente, cosa chiamiamo città e qual’è la sua ‘fine‘? Negli ultimi decenni abbiamo assistito a numerosi tentativi di descrivere e classificare i paesaggi urbani. Alla fine del 1990, Thomas Sieverts suggerì Zwischenstadt: un termine congruo ma insoddisfacente perché si riferisce a una singola città; infatti nello spazio vediamo tante singole Zwischenstadte che si fondono in una più ampia conglomerazione che manca ancora di un nome. Dallo spazio, Rotterdam non sembra una città: sembra una città in una città, come Bruxelles e Anversa. Sono densi nodi nel tentacolare paesaggio della città del Delta europeo del Nord-Ovest, come BrabantStad, Amsterdam e Colonia. L’architetto olandese Willem Jan Neutelings definì questa conurbazione ‘Carpet Metropolis’: un termine accattivante e una descrizione adatta alla policromia, alla frammentazione, e al potenziale di questi sistemi di porosa urbanità. Ma anche qui resta la domanda: dove finisce il tappeto? Considerando che ‘Carpet Metropolis’ è un concetto spaziale, il metabolismo urbano ci mostra anche che i flussi ed i processi sono parte dell’urbanità, ed esercitano la loro influenza a grande distanza. Ci chiediamo: se dovessimo comprendere tutti i manufatti - tutte le infrastrutture, i complessi industriali, gli aeroporti, le miniere a cielo aperto, le aree naturali intercluse, gli edifici sparsi, le aree agricole coltivate, i canali e le serre – non staremmo parlando di espressione spaziale indifferenziata della società industriale? Ma no, la ‘Carpet Metropolis’ è ancora riconoscibile se guardiamo l’intensità dell’uso del suolo; le enormi sue costellazioni possono essere delimitate approssimativamente sulla base di immagini ad infrarossi. Su questo vuole concentrarsi City 3.0 di IABR-2014. I progettisti spaziali tendono a concentrarsi sull’alta densità, dove presumibilmente si incontrano le dinamiche urbane ed i complessi intrecci creativi. Nel frattempo, in tutto il mondo, le densità urbane sono in calo. Dei circa 3 miliardi di persone che accresceranno la popolazione mondiale nel prossimo decenni, 2,5 miliardi vivranno nelle città. Raddoppiare la popolazione di una città nelle condizioni attuali richiede di triplicare la sua superficie. Che cosa significa questa prospettiva spaziale a vasta scala nella pratica quotidiana? La nozione di ‘Carpet Metropolis’ ci mostra nuove connessioni o problematiche che non abbiamo osservato prima? Come faremo a gestire un oggetto di pianificazione che è così grande che non si possono ignorare i confini amministrativi e anche nazionali, e così complesso che ogni speranza di previsione o di controllo è futile fin dall'inizio? Non tutte le conseguenze di questa situazione sono chiare ad oggi. Tuttavia, possono essere fatte alcune osservazioni. In primo luogo, la prospettiva di Città 3.0 si scontra con una pianificazione urbana e una politica urbana basate su concetti obsoleti della città. Lo sprawl urbano, il diradamento urbano che avrebbe dovuto condurre al disastro, ha visto un’opposizione rabbiosa per mezzo secolo. A livello globale, frenare l'urbanizzazione attraverso restrizioni e segnare i confini della città con linee rosse ha portato solo alla distruzione di case a basso reddito a favore di grattacieli inaccessibili ai poveri. La densificazione è stata a lungo la risposta standard alle esigenze di sostenibilità. Ma la realtà è che un gran numero di abitanti vivrà nella città diffusa. È quindi giunto il momento di esaminare il potenziale delle città a bassa densità. In secondo luogo, City 3.0 ci permette di controllare nuove connessioni e relazioni. Essa ci spinge a prestare particolare attenzione ai circa 40 grandi delta urbani, ognuno di loro pezzi unici e privilegiati della terra. Hanno ottimi terreni agricoli, le aree costiere e fluviali hanno un’alta fertilità naturale, sono piatte, quindi facilmente accessibili, in sintesi, hanno un alto valore dell’eco-spazio. Queste terre sono essenziali per l’approvvigionamento di cibo della popolazione mondiale in crescita. Allo stesso tempo, i Delta sono le culle della civiltà urbana, con storie che a volte vanno indietro di migliaia d’anni, con popolazioni che non hanno smesso di evolversi. La lotta dell'agricoltura versus il fare città riguardo la


proprietà della terra è accompagnata da una serie di cambiamenti: l'urbanizzazione offre prezzi dei terreni più elevati di quelli agricoli, questi ultimi quindi sono costretti a trasferirsi, sfruttando possibilmente le restanti zone umide. Tuttavia le zone umide, che sono quindi a rischio di estinzione, sono di vitale importanza per gli ecosistemi marini e la pesca costiera. Inoltre, i Delta sono particolarmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. Tutto sommato, il futuro delle aree del Delta si presenta come un complesso enorme puzzle a lungo termine, forse la più importante sfida sul piano territoriale che si dovrà affrontare nei prossimi decenni, e sappiamo che dobbiamo ancora acquisire molte conoscenze e gli strumenti necessari per affrontarla. Per affrontare il fenomeno della continua crescita dei paesaggi urbani, può essere utile fare un esperimento mentale, ipotizzando un’urbanizzazione 'infinita' e studiare come si possa raggiungere la pacifica convivenza tra tutte le diverse funzioni. Consolidare l’’urban carpet’ solleva diverse domande, vale a dire se il tappeto può essere migliorato nelle sue trame, nei diversi colori, o nel patchwork. Nel caso del progetto urbano si possono fissare alcuni obiettivi: per esempio, che la crescita della popolazione urbana sia accompagnata da una riduzione dell’impronta ecologica. È chiaro che il paesaggio urbano nel suo complesso rifugge il controllo top-down; un effetto collaterale di questa considerazione è proprio questo: l'intuizione liberatoria che il controllo totale è impossibile. Dobbiamo lavorare in modo subdolo con il motore acceso. Quello che ci serve è una combinazione fattibile d’investimenti in infrastrutture e azioni con la gente comune. Gli investimenti di centinaia di miliardi necessari per sviluppare le infrastrutture metaboliche delle nostre città in crescita devono essere connessi saggiamente alle altre sfide urbane, come la qualità della vita, lo sviluppo regionale e il miglioramento ecologico del paesaggio urbano. Gli interventi, per avere successo, hanno bisogno dell’apporto interdisciplinare di progettisti, ingegneri e biologi, in grado di riconoscere gli aspetti 'rossi',‘grigi, 'blu’ e ‘verdi’ dei paesaggi urbani. I progettisti giocano certamente un ruolo importante in questi interventi, ma la totalità di questi interventi non può essere progettato ex ante, perché la realtà è in continua emersione, è in continua germinazione.


SKETCH 1 Urban by nature in Rotterdam La città è natura, impressioni #IntelligentSchoolDesign2014

La mostra 'IABR 2014 Urban by nature' ha dato stimoli e input su come dovremmo progettare e pensare la città di oggi e del futuro, la città metabolica, una città in cui la natura è città e la città è natura. Passeggiando per Rotterdam abbiamo ritrovato le tracce di questa visione, che esponiamo in impressioni fotografiche istantanee nelle pagine che seguono.










METABOLISMO URBANO


IL METABOLISMO URBANO Dirk Sijmons Cʼè più di un modo di percepire la città, così come cʼè più di un modo di percepire un essere umano. Degli esseri umani, possiamo descrivere sia lʼaspetto esteriore che quello interiore. Per quest’ultimo, oltre a riferirci a sentimenti e pensieri possiamo anche descrivere lʼaspetto fisico interno: l’apparato respiratorio, il sistema di digestione e di circolazione, il sistema nervoso, e la continua rigenerazione cellulare. In questo modo stiamo descrivendo come lʼuomo funziona “sotto la pelle”, considerando lʼessere umano come un organismo che è azionato da flussi e sistemi ingegnosamente interconnessi. In modo simile, possiamo considerare il paesaggio urbano come un complesso, ampio e interattivo sistema che lavora continuamente per soddisfare le necessità dei suoi abitanti. Con il metabolismo urbano descriviamo il sistema urbano in termini sia organici che artificiali, disegnando un parallelismo con il corpo umano. A questo punto un concetto chiave è il metabolismo del paesaggio urbano. Per spiegare questo metabolismo, ci concentriamo su un certo numero di flussi vitali: aria, sabbia, argilla e materiali per l’edilizia, acqua dolce, cibo, energia, biodiversità, rifiuti, persone, trasporti. Questi flussi influenzano la vita quotidiana degli individui e delle città ed i loro bisogni principali, che, almeno parzialmente, coincidono direttamente con i bisogni del metabolismo fisico dellʼuomo ed agiscono inoltre, sul funzionamento di intere “costellazioni” urbane. Ognuno di questi flussi è essenziale per il funzionamento e il benessere della città, ma nei decenni a venire, non potremo darli per scontati. In molti casi, sarà estremamente difficile realizzare un livello di flussi dignitoso e sostenibile. Questo è un compito enorme e concreto, una sfida che coinvolge progettisti, pianificatori, amministratori e cittadini in almeno quattro modi.

Quattro sfide Sfida numero uno: storicamente ogni flusso fa capo a una propria infrastruttura: la rete elettrica, la rete idrica, la rete dei trasporti. Tecnicamente oggi cʼè spazio per superare la progettazione delle infrastrutture come fatto singolo; esse potrebbero essere pensate in modo più coerente tra loro e con una connessione più integrata con il tessuto urbano. Sfida numero due: se pensiamo in termini di flussi, possiamo sfruttare le loro interdipendenze. Possiamo accorciare il loro percorso, connetterli, chiudere flussi ciclici o usare lʼoutput di un flusso come input di un altro. Così facendo si possono migliorare le prestazioni ambientali del paesaggio urbano. Sfida numero tre: ai progettisti occorrerà tempo per abituarsi alla priorità dei flussi rispetto a quella dello spazio. I flussi non sono per natura particolarmente spaziali, ma rappresentano la parte di ‘processo’ del paesaggio urbano. Questa è una realtà diversa, ma è ugualmente tangibile. I progettisti dello spazio sono abituati a mappe figurative delle città, che indicano le strade, le case, gli insediamenti industriali, le aree verdi. I flussi disegnano una mappa astratta, come una pittura di Jackson Pollock, con linee che si intersecano, spesso sottoterra, e con un numero infinito di punti che non hanno un significato spaziale, come la traccia di un jet. Generare una progettazione spaziale da un numero enorme di dati di flusso significa passare dal trattare ‘oggetti esclusivamente fisici’ al trattare anche i flussi, ossia gli input e gli output connessi a questi oggetti, e questo implica un modo molto diverso di osservare e di pensare. I pianificatori urbani hanno storicamente imparato a progettare la città sulla base della domanda, specie di edilizia residenziale pubblica; ora è chiesto loro di progettare la città basandosi anche sullʼanalisi dei flussi. I progettisti hanno bisogno di diventare contemporaneamente medici generici e internisti. Le due figure sono portatrici di approcci complementari e compiono al meglio il loro lavoro quando collaborano. Ora che la rapida crescita delle città è stata soppiantata in molti paesaggi urbani dalla necessità di ridisegnare e ottimizzare la situazione esistente, lʼapproccio dei flussi guadagnerà credibilità. Noi crediamo che pensare in termini di flussi, renderà possibile una buona interazione tra la politica territoriale e quella ambientale. Si ritiene generalmente che 'lʼordine spaziale' del paesaggio urbano è fortemente influenzato dalla posizione delle sue infrastrutture. Il modo in cui lʼinfrastruttura è progettata, può essere volutamente utilizzato per controllare grandi espansioni urbane. Nella pratica, il coordinamento tra la costruzione delle infrastrutture e la crescita urbana è spesso carente: una più intelligente pianificazione delle infrastrutture contribuirà ad una migliore pianificazione territoriale e un miglior funzionamento e qualità del paesaggio urbano. Sfida numero quattro: il coordinamento intelligente è ancora più importante data lʼampiezza dei prossimi


investimenti in infrastrutture. Nei decenni futuri saranno spesi complessivamente centinaia di miliardi. Questa enorme somma di denaro può essere spesa saggiamente o stupidamente, in modo informale o sostenibile, può produrre ritorni economici alti o bassi. Le scelte fatte oggi possono migliorare il futuro ambientale della città o condurre ad una catastrofe del suo metabolismo, coinvolgendo la qualità della vita di ogni singolo cittadino. Quello che succederà non è quindi una questione di destino, ma dipende da sagge decisioni e volontà politiche, alimentate da un nuovo ed efficace potenziale di soluzioni progettuali. Il metabolismo urbano delle città ha aspetti tecnici: come funziona, quali sono i suoi elementi, cosa possiamo fare e come possiamo farlo? Ma ci sono anche aspetti sociali e morali: qual è il modo di farlo funzionare, che tipo di vita agevola, come le parti del tutto si relazionano, in che tipo di contesto politico e sociale può sopravvivere? Quest’ultima sfida riguarda i cittadini stessi. Nelle città a rapido sviluppo dei paesi tropicali, avere accesso ai flussi d’acqua, cibo ed energia è letteralmente una questione di vita o di morte. Apparentemente tali urgenti questioni urbane globali non riguardano i Paesi Bassi o il mondo occidentale in generale. Siamo tentati di pensare che tutto ciò non ci riguardi e che lʼacqua dal rubinetto, il cibo nei negozi, e il campo di ricezione del nostro cellulare, saranno sempre lì. Anche se volessimo mantenere queste cose al livello a cui ci siamo abituati, avremmo il nostro bel da fare. Non possiamo continuare a sovra consumare mentre, globalmente, la competizione per le materie prime scarse sta diventando sempre più forte. Anche noi quindi dobbiamo prestare attenzione a strategie progettuali intelligenti, efficienti, basate sul lavoro di squadra, basate sui flussi e le loro infrastrutture. Il metabolismo del paesaggio urbano, alimentato dal sapere e dal materiale sullʼanalisi dei flussi può sfociare in un formidabile strumento di pianificazione per le città del 21° secolo. Imparare dalle politiche e dai piani che, nel mondo, applicano il sistema dei flussi, intraprendere nuove relazioni internazionali per scambiare conoscenze ed esperienze, sono parte della missione dello IABR.

Matrix Il metabolismo urbano è organizzato come una matrice. Su un asse, corrono nove linee ognuna delle quali rappresenta un singolo flusso. Questi sono: aria, sabbia, argilla e materiali per l’edilizia, acqua dolce, cibo, energia, biodiversità, rifiuti, persone ed infine i trasporti. Utilizzando tre livelli di analisi, ogni flusso è analizzatoseparatamente. Al primo livello sono le infrastrutture, che assurgono a centro del progetto. Lo IABR ha chiesto allʼAgenzia per la Valutazione Ambientale dei Paesi Bassi (PBL) di indagare a scala nazionale e globale quali siano attualmente le questioni fondamentali e i colli di bottiglia per ogni singolo flusso. I risultati sono proposti in infografiche che costituiscono i capi saldi dei nove padiglioni. Il secondo livello mostra il potenziale dei flussi per risolvere i problemi ambientali. il lavoro dello IABR-Project Atelier di Rotterdam, mostra tutti i flussi contestualizzati, presentando una prima sintesi dellʼapproccio metabolico, che su richiesta dello IABR stesso e della città di Rotterdam, riguardano pratiche progettuali olandesi. Il terzo livello mostra come lʼanalisi dei flussi debba essere compresa negli strumenti di progettazione, pianificazione e controllo delle nostre città. FABRIC e gli architetti del paesaggio americani del James Corner Field Operations (New York), hanno esaminato come l'approccio dei flussi possa essere applicato a concrete proposte progettuali, alla scala della città di Rotterdam e del Delta del sud-ovest, così come in altri luoghi.


I FLUSSI Le sfide visualizzate Agenzia Olandese per la valutazione ambientale (PBL) IABR - Project Atelier Rotterdam, City of Rotterdam, FABRIC e James Corner Field Operations, Catalogtree. Lo IABR ha chiesto allʼAgenzia Olandese per la valutazione ambientale (PBL) di indagare quali fossero i punti di forza e di debolezza per ogni flusso a livello nazionale e globale. I risultati sono illustrati in nove infografiche realizzate dai Graphic Designers Catalogtree. Ciascun flusso è analizzato secondo 5 livelli: 1 la dimensione del flusso; 2 la sua importazione ed esportazione; 3 lʼorganizzazione della sua infrastruttura a livello nazionale; 4 il suo contesto internazionale; 5 le sue maggiori sfide a livello internazionale.

1. 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5

2. 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5

3. 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

4. 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5

5.

ARIA Lʼaria è ovunque, lʼaria è vitale Il particolato non conosce confini Le attività umane lasciano la loro traccia nellʼaria Le ciminiere si sono spostate altrove Il particolato minaccia la salute nei paesi emergenti

MATERIALI EDILI Una casa è fatta con più di un mattone Materiali provenienti dal suolo e dal mare Nessuna costruzione senza cave Il mondo continua a costruire La città come sito di estrazione

ACQUA Molti usi domestici Paese di fiumi Modificare il sistema idrico Più persone, meno acqua Gestione a secco

CIBO La cucina delle case olandesi I viaggi del cibo Le fattorie danno forma al paesaggio Una terra per sfamare miliardi La potenza del menu

ENERGIA

5.1 Un pieno ogni giorno 5.2 I Paesi Bassi viaggiano grazie al petrolio e al gas naturale 5.3 Il polo del gas in europa 5.4 La CO2 come sottoprodotto di prosperità e povertà 5.5 Un futuro energetico

6. 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5

7. 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5

8. 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5

9.

BIODIVERSITÀ I servizi della natura I Paesi Bassi sono fatti dallʼuomo Il workshop della natura L'homo sapiens è la specie dominante La natura è un abitante della città

RIFIUTI Sette volte il peso del corpo Tutto pulito e in ordine Le città stanno diminuendo i rifiuti Da discariche e inceneritori al riciclo I rifiuti viaggiano nel mondo

MOBILITÀ Lʼera delle macchine Avanti e indietro Una rete sempre più densa Da 1 a 3 miliardi di automobili Come arrivare dove stiamo andando

TRASPORTO MERCI

9.1 273 kg di merci per persona al giorno 9.2 Un centro di distribuzione globale 9.3 Il trasporto merci ha bisogno di infrastrutture e viceversa 9.4 Distanza tra produzione e consumo 9.5 Cambiare i flussi del trasporto merci


1.

ARIA

ʼ ʼ Gli uomini, gli animali e le piante hanno bisogno di aria per respirare. Nelle nostre case abbiamo bisogno di aria per riscaldare e raffreddare. L’aria gioca inoltre un ruolo fondamentale nel sistema climatico globale. L’aria pulita è un requisito fondamentale per la qualità della vita. Tuttavia, la qualità dell’aria a volte è seriamente compromessa da agenti inquinanti come il particolato. I grafici considerano i seguenti elementi presenti nell’aria a livello globale, regionale, locale e all’interno degli edifici: A LIVELLO GLOBALE: CO2, cambiamenti climatici, ozono A LIVELLO REGIONALE: acidificazione, pioggia acida, vento ed energia eolica, polline, particolato, eutrofizzazione. A LIVELLO LOCALE: microclima, smog. INTERNO: ventilazione, radon, sindrome dell'edificio malato(sick building syndrome). Il secondo grafico riguarda specificatamente i livelli di particolato presenti in una città tipica olandese, considerando la sommatoria dei background globali e regionali, a cui si unisce quello urbano relativo alla città considerata. Sono evidenziati i livelli massimi annuali di particolato in relazione a diverse aree della città, in cui si concentrano o meno le emissioni dannose.

Il livello di particolato in Olanda è relativamente alto, le fonti naturali rappresentano quasi il 50%, il resto proviene da fonti antropiche, nazionali e straniere. Le emissioni importate superano di tre volte quelle esportate. Grazie a misure quali filtri anti particolato, i livelli di inquinamento sono dimezzati dal 1990 e questa tendenza continua. Le emissioni antropiche olandesi sono dovute a: industrie, traffico stradale, altro tipo di traffico, agricoltura, utenze domestiche, altro, trasporto navale marittimo. (dati 2009).Tra le fonti naturali si considera il suolo, la polvere ed altro, il sale marino ed infine il background atmosferico. Si stima che nel 2050 la media delle concentrazioni di PM 10 in Olanda aumenterà soprattutto a causa del traffico stradale e marittimo e delle emissioni straniere.

ʼ Le emissioni dalle città, dalle strade, dalle vie navali, dagli allevamenti e dalle aree industriali, lasciano inconfondibili tracce nell’aria, come mostrato dalla mappa del particolato in Olanda e nel Mare del Nord. Il particolato è dannoso per la salute umana: in Olanda causa due volte più danni alla salute che gli incidenti stradali. La mappa di tutto il territorio olandese, evidenzia i principali luoghi causa di inquinamento, come le principali arterie stradali, il porto di Rotterdam, le attività industriali, gli allevamenti. I valori di PM10 vanno da una scala da 0 a 1000 per km anno (fonti 2011). 2/

Un centinaio di anni fa, L’Europa soffriva a causa dell’inquinamento dovuto alle industrie pesanti. Questo problema è stato risolto grazie all’adozione di processi produttivi più puliti e grazie allo spostamento delle industrie in paesi come la Cina o l’India. In quest’ultimo, la recente rapida crescita di città, industria, traffico e consumo energetico, sta causando un'aria estremamente inquinata. Anche il trasporto marittimo internazionale contribuisce all’inquinamento globale dell’aria. Il planisfero mostra le aree più inquinate considerando dati di diffusione del PM10 relativi al 2005 e li pone in relazione al numero di abitanti delle città evidenziate. Le aree con città con più di 10 milioni di abitanti e l’aria più inquinata si trovano infatti in Cina e in India.

Paesi emergenti come Cina, India e Messico, pagano la loro esplosiva crescita economica con aria pesantemente inquinata. Questo aumenterà il tasso di mortalità negli anni a venire, anche perché le popolazioni di questi paesi stanno invecchiando e gli anziani sono sensibili. L’inquinamento dell’aria rappresenterà ben presto il maggio rischio alla salute, più del cattivo igiene, dell’acqua inquinata e della malaria. I grafici confrontano paese per paese, la crescita media dell’inquinamento dagli anni ’90 al 2050 nelle maggiori città ed il tasso di mortalità precoce dovuto all’esposizione alle PM10



2.

MATERIALI EDILI

Servono 130 tonnellate di materiale edile per costruire una casa olandese media oltre a 45 tonnellate di sabbia per costruire le sue fondazioni. Un’enorme quantità di materiale edile è necessario per costruzioni residenziali, che equivale a più del doppio del materiale necessario per edifici non residenziali, lavori sotterranei, strade e lavori di ingegneria idrogeologica. I rifiuti dovuti alle demolizioni sono a volte riutilizzati o riciclati. Nei grafici viene riportata la quantità di materiali edili divisi per tipo, necessari alla costruzione di diversi tipologie di edilizia residenziale come case unifamiliari, appartamenti, case a schiera in mattoni, cemento o in legno. Viene inoltre riportato in migliaia di abitazioni all’anno, l’andamento delle nuove costruzioni e delle demolizioni dal 1971 al 2010 in Olanda, dimostrando un decremento dell’attività edilizia ma un costante aumento delle nuove costruzioni, senza che le esistenti vengano demolite, con conseguente aumento dell’urbanizzazione del territorio naturale. Analogo ragionamento dagli anni ’90 al 2010 per gli edifici adibiti ad uffici, espressi in milioni di m2 affittabili, considerando nuove costruzioni o ristrutturazioni ed edifici demoliti o che hanno visto modificarsi la loro destinazione d’uso.

Sabbia, argilla e CDW (aggregato costituito da materiale edile e scarti di demolizioni), hanno per la maggior parte origine nei Paesi Bassi e nel Mare del Nord. La sabbia serve per le costruzioni in zone depresse, per la manutenzione costiera e le bonifiche territoriali come Maasvlakte-2. La ghiaia, la roccia frantumata, il legname e le pietre naturali, sono per la maggior parte importati. Sono graficamente riportate le quantità di materiale edile estratte, importate, consumate ed esportate in milioni di tonnellate, con riferimento a dati relativi a tutti i Paesi Bassi del 2010.

Dai Paesi Bassi sono stati estratti per secoli sabbia, argilla e ghiaia. Ciò ha lasciato tracce nel paesaggio: ci sono centinaia di cave, alcune delle quali sono oggi diventati laghi con parchi ricreativi. L’apporto di sedimenti naturali è praticamente cessato a causa della costruzione di dighe, che separano il territorio dai fiumi e dal mare. La mappa del territorio olandese, riporta i luoghi da cui si estrae materiale costruttivo, evidenziando il tipo di materiale che viene ottenuto da ogni sito (mattoni di argilla, cemento, asfalto, sabbia arenaria calcarea) e la profondità delle diverse cave. Viene inoltre riportato il periodo di maggiore sviluppo di città e paesi, attorno agli anni’60 e al 2010.

Il decennio a venire vedrà svolgersi una massiccia attività edilizia in tutto il mondo, specialmente in Asia a causa della crescita economica e della popolazione e dei brevi cicli di costruzione e demolizione. Questo aumenterà la pressione sulle aree economicamente più attive e attrattive, già densamente popolate come le aree lungo i delta dei fiumi che sono vulnerabili a inondazioni, cedimenti del terreno e diminuzione dell’offerta di sedimenti. Il planisfero, oltre a riportare le aree dove si concentra e cresce la popolazione, considera le città con più di 1milione di abitanti (nel 2010) e divide le varie nazioni anche a seconda dei consumi energetici domestici medi rilevati che si dimostrano in vertiginosa crescita in Cina, e relativamente costanti nel resto del mondo.

Dal momento che si prevede che la popolazione europea si stabilizzi o addirittura diminuisca, l’obiettivo dell’attività costruttiva potrebbe spostarsi verso il riuso e la manutenzione degli edifici esistenti piuttosto che sulle nuove edificazioni. Il riutilizzo a larga scala dei rifiuti da demolizione, come l’acciaio, sta diventando sempre più attraente. Il patrimonio edilizio urbano, sta diventando un'inesauribile fonte di preziose materie prime riutilizzabili. Il grafico mostra la quantità di materiale riciclabile presente nelle città olandesi, comprendendo anche la produzione domestica, tutti prodotti che oltre a diminuire l’importazione di nuovi materiali costruttivi in Olanda, potrebbero addirittura essere esportati.



3.

ACQUA

La media dei cittadini olandesi, utilizza 120 litri di acqua al giorno per bere, cucinare e lavarsi. Molta più acqua è utilizzata per la produzione di cibo e di beni industriali: particolarmente prodotti agricoli importati da altri paesi. Questo potrà portare problemi nelle regioni dove l’acqua è scarsa. Viene riportato graficamente l’andamento dei consumi giornalieri pro capite di acqua in Olanda, a seconda dei diversi utilizzi dagli anni’90 al 2010. Tale andamento risulta in diminuzione. A parte, si confronta il consumo d’acqua olandese per usi domestici, agricoli ed industriali (120+146l) con quelli relativi ad altri paesi che rappresentano i beni e i cibi importati in Olanda, descrivendo quindi l'acqua indirettamente consumata dagli olandesi.

I Paesi Bassi hanno abbondanti riserve di acqua dolce sia superficiale che sotterranea. Quest’acqua è utilizzata per molti scopi, che comprendono l’agricoltura, le spedizioni, l’industria, l’acqua potabile, la produzione di energia e la natura. La distribuzione e la disponibilità dell’acqua è assicurata da un sofisticato sistema di gestione delle acqua che richiede continue manutenzioni. Il grafico mostra i flussi di acqua dolce in Olanda all’anno, espressi in m 3, in relazione agli usi che se ne fanno e anche al ciclo naturale dell’acqua che proviene dai fiumi, dalle precipitazioni o dal sottosuolo e che dopo essere stata utilizzata, evapora o arriva al mare. In questo modo si evidenzia anche il flusso dell’acqua inquinata dalle industrie, di quella calda e di quella purificata.

Il fiume Reno gioca un ruolo centrale nel sistema idrico dei Paesi Bassi a nord e a ovest. Tuttavia, a causa dei cambiamenti climatici, il corso del fiume è divenuto meno prevedibile portando ad una maggiore intrusione salina durante magre estreme del fiume. Perciò si rendono necessarie delle nuove soluzioni lungo il corso dei fiumi ed in particolare nelle zone di transizione tra il fiume ed il mare. La mappa del territorio olandese riporta i maggiori bacini idrici, le aree a rischio idrogeologico e i flussi di acqua salata che rischiano di salinizzare zone e flussi di acqua dolce. Sono evidenziate le principali zone estrattive di acqua dal sottosuolo e le riserve idriche, oltre a rappresentare le diverse portate d’acqua del fiume Reno nell’arco dell’anno.

La scarsità d’acqua è un problema crescente in molte regioni del mondo. La richiesta d’acqua sta crescendo a causa dell’aumento di popolazione e di conseguenza dell’intensificazione della produzione agricola per l’export. Le riserve acquifere stanno gradualmente venendo utilizzate: questi problemi idrici conducono sempre più verso conflitti politici e sociali. Il planisfero mappa le aree a seconda delle risorse idriche di ogni regione, evidenziando anche alcune regioni chiave per la produzione di determinati prodotti agricoli- importati in Olanda - in relazione anche alla loro disponibilità di acqua – area acquifera.

Il consumo di acqua continua a crescere in tutto il mondo, in particolare nelle economie emergenti (BRICS countries – Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa). In particolare, l’uso di acqua per l’irrigazione sta diminuendo, la produzione di cibo perde terreno a favore di produzioni famigliari e industriali. Molte aziende occidentali, operano in paesi con scarsità di acqua ed essi possono portare soldi e conoscenze per contribuire a migliorare la gestione locale delle risorse idriche. (OECD – organization for economic co-operation and development). Il grafico riporta il fabbisogno di acqua globale espresso in km3 all’anno a seconda dei vari tipi di utilizzo (produzione elettricità, manifatture, allevamenti, utenze domestiche, irrigazione), dividendoli OECD, BRICS e resto del mondo. Si prevede che il fabbisogno idrico globale sarà in forte crescita fino al 2050. In questo grafico emerge anche il tipo predominante di attività che di ogni singola macrozona e il suo andamento nel tempo: si prevede ad esempio che nei paesi emergenti, aumenterà l’uso dell’acqua per la produzione di energia elettrica e per le industrie, mentre diminuirà quella destinata ad usi agricoli.



4.

CIBO

La media delle utenze domestiche olandesi compra più di 1350kg di cibo e bevande all’anno. La produzione di questi beni alimentari richiede almeno un ettaro di campagna oltre a grandi quantità di acqua, energia, fertilizzanti, pesticidi e antibiotici ed inoltre provoca un prodotto invisibile: 18kg di gas serra al giorno, cioè 6400kg all’anno. Il grafico incrocia i dati relativi all’acquisto di cibi e bevande per famiglia all’anno espressi in chili, con la corrispondente impronta produzione per famiglia olandese, evidenziando anche la quantità di risorse e prodotti nocivi necessari alla produzione degli alimenti delle tavole olandesi.

Il cibo è un mercato globale, con prodotti ed ingredienti che viaggiano attraverso grandi distanze. I Paesi Bassi occupano una posizione speciale in questa rete globale del cibo: il Paese è una super potenza agricola altamente tecnologica che ottimizza al meglio le sue favorevoli condizioni climatiche e la sua strategica posizione nel commercio internazionale e nella distribuzione di merci. Il grafico evidenzia il traffico import-export di prodotti alimentari in Olanda evidenziando le quantità e confrontando quanto dello stesso prodotto viene importato e esportato, dando anche un’idea dei principali prodotti alimentari distribuiti dai Paesi Bassi.

Oggi l’agricoltura ha cambiato la campagna olandese in un paesaggio di produzione ultra moderno, dove le aziende agricole lavorano insieme in settori caratteristici di produzione regionale per esportare a livello internazionale, come per esempio l’orticoltura in serra o il maiale di allevamento. Questa organizzazione di vasta portata è controbilanciata dal rinnovato interesse del pubblico nella qualità del cibo, della natura e del paesaggio. La mappa dei Paesi Bassi mostra l’uso del territorio agricolo per la produzione di cibo con dati che si riferiscono al 2012. Individua le aree dedicate maggiormente ad allevamenti intensivi, orticoltura in serra, prodotti caseari, ortaggi seminativi e frutta, evidenziando i diversi rendimenti delle varie attività ed il livello di occupazione creato dalle attività agricole.

Il territorio agricolo globale è attualmente di 38milioni di km2. Per sfamare la popolazione mondiale crescente, saranno necessari nel 2050, almeno 4milioni di km2 in più. Nuovi terreni agricoli saranno creati per lo più in zone con una diversità vegetale e animale relativamente alta come le foreste tropicali e subtropicali e le savane. Il planisfero riporta i diversi ecosistemi, incrociandoli in un grafico successivo, con il tipo di attività agricola realizzabile in ogni area. Nel planisfero sono evidenziate inoltre le aree agricole nuove, che si formeranno fino al 2050 e quelle che entro il 2050, saranno state inglobate nelle città.

L’impronta ecologica del consumo di cibo nei Paesi Bassi può essere ridotta se più persone cambiassero la loro alimentazione verso diete più salutari, particolarmente se eliminassero la carne. Servono 5 kg di animale, nutrito con 8-15m2 di territorio agricolo, per avere un chilo di maiale sulla tavola. Spostandosi verso una dieta a base vegetale, si aiuterà inoltre a ridurre l’uso di fertilizzanti e antibiotici e le emissioni di gas serra. L’istogramma confronta l’influenza che ha la scelta del menù sull’impronta ecologica e sull’assunzione di grassi saturi e quanto la produzione dei cibi delle diverse diete considerate (tipico menu olandese, menu consigliato dalle guide nutrizionali nazionali, menù vegetariano, menu vegetariano due volte la settimana), incide sul territorio e nella produzione e uso di agenti nocivi.



5.

ENERGIA

La media delle famiglie olandesi usa 466 giga Joule di energia all’anno che è l’equivalente di 40 litri di petrolio al giorno. Un quinto di questo totale è usato direttamente a casa o per il trasporto personale. Una quota molto maggiore è dovuta al consumo di 'energia nascosta', ovvero l’energia richiesta per produrre cibo e beni che le famiglie comprano. Il grafico riporta quantità ed usi dei tre principali tipi di energia necessari alla normale routine delle famiglie olandesi: essi consumano 514 l di benzina, 1650 m3 di gas per il riscaldamento e gli altri usi domestici, 3400 kWh di elettricità per lavare, raffreddare, asciugare, illuminare…a cui si sommano gli usi indiretti di vari tipi di energia dovuti per esempio all’uso dei trasporti pubblici, degli aerei, dei traghetti, ad altri usi domestici e all’uso di beni di importazione.

I principali flussi di energia in Olanda sono di petrolio e gas naturale. Questi fluidi sono sia importati che esportati e nei Paesi Bassi vengono convertiti in elettricità, calore, mobilità e prodotti non energetici come la plastica. La biomassa (pellets di legno importati o scarti agricoli), energia solare ed eolica, soddisfano il 4% del fabbisogno. Il grafico mostra il bilancio energetico dei Paesi Bassi, confrontando l'energia importata, i prodotti realizzati e quanto (prodotti ed energia) viene esportato, considerando anche le perdite di energia e i contributi di diversi tipi di energia ad attività come trasporti, industria ecc…

I Paesi Bassi sono un nodo fondamentale nella rete energetica globale. Essi hanno eccellenti infrastrutture, con un’estesa rete di condutture nel territorio e nel Mare del Nord. L’obiettivo dell’Olanda di utilizzare queste infrastrutture per fornire gas in tutta l’Europa sta per far diventare il Paese una 'rotonda' del gas (Gas hub) per la distribuzione e l’immagazzinamento di gas naturale e CO2. Sulla mappa dei Paesi Bassi sono riportate le principali infrastrutture per il gas naturale e l’elettricità, gli impianti (>60MW) di fonti di combustibile, le turbine eoliche e gli inceneritori di rifiuti e le principali vie di distribuzione dell’import-export energetico.

Il territorio agricolo globale è attualmente di 38 milioni di km2. Per sfamare la popolazione mondiale crescente, saranno necessari nel 2050, almeno 4milioni di km2 in più. Nuovi terreni agricoli saranno creati per lo più in zone con una diversità vegetale e animale relativamente alta come le foreste tropicali e subtropicali e le savane. Il planisfero mostra le emissioni di CO2 nei vari Paesi con dati riferiti al 2005 ed in un altro grafico, l’impatto delle opzioni di riduzione sulle emissioni globali di gas a effetto serra.

Centrare gli obiettivi di riduzione di CO2 in Olanda, richiede un radicale cambiamento energetico. Il futuro mix energetico è ancora incerto ma sarà senza dubbio richiesto di risparmiare energia e di apportare migliorie efficienti, un cambiamento verso l’uso di combustibili non fossili un aumento dell’immagazzinamento del carbonio (sequestro). La grafica riporta l’attuale uso di combustibile Nei Paesi Bassi (2012) e due scenari possibili in cui cambiando l’uso e la provenienza dell’energia, le emissioni di CO2 si ridurranno dell'80% nel 2050. Attualmente in Olanda, la quasi totalità della fornitura energetica ad uso domestico proviene da combustibili fossili, in seconda battuta dalle biomasse ed in minima parte dall’energia eolica. L’opzione 1 prevede un sistema di con scarso uso di carbonio ed un uso massiccio di energia proveniente da fonti rinnovabili; l’opzione 2 ipotizza nel 2050 pratiche massive di risparmio energetico, unite alla diffusione delle pratiche di cattura e stoccaggio di carbonio.



6.

BIODIVERSITÀ

La natura è di importanza vitale per l’uomo. Possiamo forse intendere la Natura come un sistema che fornisce beni e servizi, come la depurazione delle acque, la produzione di cibo, la protezione costiera. Per esempio, le dune della costa olandese sono una barriera naturale per le inondazioni per il 20% delle coste. La parte rimanente deve invece essere protetta da dighe e opere ingegneristiche. Il grafico mostra i beni e servizi forniti dall’ecosistema olandese, in percentuale relativa alla richiesta domestica. Beni naturali, come cibo, legno, acqua potabile, biomasse, biodiversità, sono indicati come stabili, in crescita o in calo in relazione alla relativa richiesta domestica a sua volta stabile in crescita o in calo: si confrontano così la domanda (di risorse naturali della popolazione olandese) e l’offerta (le risorse naturali messe a disposizione dall’ecosistema).

ʼ I Paesi Bassi non hanno spazi vergini e selvaggi: la campagna è stata coltivata per secoli. Le forze della natura però, in particolare il clima e il delta del fiume, giocano ancora un ruolo inevitabilmente importante nella conformazione del territorio. Dove è possibile, flora e fauna si adattano ai cambiamenti del loro habitat, non importa se queste sono dovute all’attività umana o a cause naturali. La grafica riporta i cambiamenti del paesaggio olandese in una linea del tempo che va idealmente dall’anno zero agli anni 2000 e specifica in 15 punti i momenti salienti che hanno apportato modifiche sostanziali al territorio. Ogni elemento naturale (o artificiale) è rappresentato con una fascia di colore diverso che modifica la sua forma e dimensione a seconda dell’intensità del cambiamento subito.

Nei Paesi Bassi, l’uso dei terreni in modo intelligente e multifunzionale è la chiave per coordinare diversi stakeholder e richieste spaziali. Gli ecosistemi sono multifunzionali per natura. Per esempio le dune costiere proteggono dalle inondazioni e depurano l’acqua, una biodiversità unica e uno spazio ricreativo all’aperto. In cambio noi possiamo provare ad assicurarci che anche la natura possa trarre benefici dai nostri interventi. Diverse mappe del territorio olandese, mostrano gli ecosistemi del territorio e i beni e servizi che questi danno alla società. Legname, biodiversità, siti di interesse preferiti, dune costiere, acqua potabile, sequestro di carbonio, protezione dalle inondazioni, sono forniti da foreste, dune costiere, risorse idriche, animali e piante tipiche del territorio.

ʼ L’homo sapiens si è diffuso in tutto il mondo e domina ogni biotipo. La biodiversità sta decrescendo: le aree naturali stanno diventando più uniformi. L’autosufficienza della natura non è senza fine. La domanda è: dove comincia la fine dell’utilizzo delle risorse naturali e comincia lo sfruttamento eccessivo? In vari planisferi, è evidenziata la distribuzione dei servizi forniti dai diversi ecosistemi, cioè dove nel mondo sono presenti determinate risorse ambientali utili all’uomo sotto vari aspetti. Le categorie rappresentate sono: sequestro di carbonio, produzione di legname, cibo raccolto da ecosistemi naturali, biodiversità.

La natura e le città non si escludono a vicenda. Un grande numero di piante e animali si sentono a casa negli habitat urbani, come l’area metropolitana di Amsterdam. La loro presenza è gradita ai visitatori dei parchi della città e di altre aree ricreative. La natura non è una straniera distante ma una collega che abita come noi gli spazi urbani. Con un focus specifico sulla città di Amsterdam, sono evidenziate le sue principali caratteristiche naturali, che comprendono canali, parchi urbani nazionali ed europei, acqua, alberi monumentali e spot di biodiversità; a questi luoghi vengono collegati i luoghi ricreativi come le infrastrutture, le piste ciclabili e i siti di interesse preferiti a livello locale, regionale e nazionale.



7.

RIFIUTI

La media dei cittadini olandesi produce 530 kg di rifiuti all’anno, quattro volte di più che nel 1950. Parte di questa spazzatura, in particolare carta, vetro e rifiuti ingombranti, viene differenziata. Il contributo delle famiglie alla produzione totale di spazzatura è relativamente basso: l’85% di tutti i rifiuti, sono prodotti dagli 'affari'. Il grafico riporta il tipo e la quantità di rifiuti pro-capite in kg per anno, prodotti in Olanda nel 2010. Sono considerati i rifiuti per i quali è attiva la raccolta differenziata e quelli indifferenziati, oltre a quelli indiretti e cioè prodotti dalle industrie e attività che commercializzano i prodotti che le famiglie acquistano.

Nei Paesi Bassi, la gestione dei rifiuti sembra un problema risolto. Il 75% di tutti i rifiuti è riciclato. La parte rimanente viene per la maggior parte incenerita e contribuisce così alla produzione di energia elettrica. Le discariche e lo smaltimento di acque inquinate, pratiche molto comuni 30 anni fa, sono oggi difficilmente utilizzate. Gli inceneritori olandesi ora bruciano anche rifiuti provenienti da Londra e dal sud Italia. Il grafico riporta le fonti di rifiuti e il loro trattamento in Olanda. Il 77% dei rifiuti viene riciclato.

Il riuso, la separazione dei rifiuti, il riciclo, sono effettivamente dei modi per ridurre l’ammontare dei rifiuti prodotti dalle famiglie. Il riuso è diventato più facile grazie a piattaforme online come eBay, per comprare e vendere beni usati. Le raccolte differenziate finora monitorizzate che hanno avuto più successo, sono quelle dei comuni più piccoli. Così, in termini di riciclo, il guadagno maggiore può essere realizzato nelle città. La mappa dell’Olanda ha evidenziate le quantità di rifiuti non riciclabili prodotti dalle famiglie nelle diverse città. Sono evidenziati anche i punti di raccolta dei rifiuti, i siti per il trattamento dei rifiuti, le discariche, gli inceneritori e i negozi dell’usato.

In Europa i Paesi ricchi producono più rifiuti domestici pro capite rispetto ai meno prosperi. All’aumentare del benessere, la gestione dei rifiuti diventa più avanzata. Per l’Europa, il riciclo è sempre più attraente da un punto di vista economico e politico. Il riciclo forma le basi di un’economia più circolare. L’istogramma mostra per ogni Paese europeo, la quantità di rifiuti GDP - ovvero il valore di mercato di tutti i beni finali ufficialmente riconosciute e servizi prodotti all’interno di un paese in un anno ed in percentuale, come questi vengono smaltiti. Nella maggior parte dei paesi, la maggior parte di questi beni viene smaltita in discarica.

La popolazione globale urbana produce 3 milioni di tonnellate di rifiuti al giorno e tale somma continua a crescere. I Paesi meno sviluppati, in particolare, hanno difficoltà a gestire il loro carico di rifiuti. Questi problemi sono esacerbati dall’importazione dei rifiuti dei Paesi occidentali, come i rifiuti elettronici che contengono sostanze tossiche che possono provocare danni alla salute. La grafica mostra il flusso fisico di rifiuti olandesi verso altri Paesi e il flusso economico a cui questi trasporti danno luogo. Un istogramma riporta come in Olanda, sia enormemente cresciuta questa pratica negli ultimi 20 anni. I rifiuti che vengono smaltiti all’estero, in discariche più o meno legali sono rottami, plastica e carta.



8.

MOBILITÀ

ʼ Dall’avvento dell’automobile negli anni '50 e ’60, le auto hanno avuto un enorme influenza sulla nostra vita quotidiana e sull’ambiente. Nei Paesi Bassi, la media dei cittadini percorre 42 km al giorno, di cui 24 in macchina. Il traffico è dovuto prevalentemente al flusso pendolare. La bici è largamente utilizzata come da norma nazionale. La grafica analizza il percorso per olandese attraverso i Paesi Bassi utilizzando i principali mezzi di trasporto dall’avvento dell’auto ad oggi. In Olanda l’uso della bicicletta e dei trasporti pubblici rimane per lo più costante, mentre aumentano i trasporti con le auto private o condivise e i voli in aereo. In un secondo grafico è analizzato il motivo dello spostamento ed i mezzi di trasporto principalmente utilizzati in Olanda.

I movimenti di viaggio seguono in gran parte schemi fissi, come ad esempio il percorso giornaliero tra casa e scuola. La mappa del pendolarismo in Olanda mostra un’alta intensità di traffico attorno alle grandi città e nel Ranstad. Le connessioni dei trasporti pubblici tra le città sono intensivamente utilizzati. La mappa mostra i flussi dei pendolari verso le principali città, considerando il numero di viaggi al giorno o all’anno e il mezzo di trasporto utilizzato; vengono inoltre individuati i 5 principali flussi pendolare tra Amsterdam e Rotterdam e le città limitrofe.

La mobilità è potuta crescere più di ogni altra cosa nell’ultimo secolo grazie all’espansione delle infrastrutture. Dal 1960, la rete autostradale olandese è cresciuta di 2000km, mentre venivano aggiunte anche altre corsie. Un crescente numero di attività urbane, sono posizionate attorno a strade di scorrimento, stazioni ferroviarie e aeroporti. Gli aeroporti regionali sono vettori low-cost. La mappa dei Paesi Bassi mostra il rapporto tra le arterie maggiormente trafficate e percorse e punti nodali di trasporto, con la crescita urbana e la crescita delle aree industriali ed affaristiche, evidenziando nel tempo il processo di espansione delle città.

Le città occidentali stanno provando a frenare la predominanza delle auto nel traffico cittadino, ma altrove le auto rimangono in uso come simbolo di progresso. Si prevede che il parco auto mondiale triplicherà dal miliardo di oggi a 3 miliardi nel 2050, e lo stesso vale per le questioni legate all’ambiente e all'accessibilità. Nei grafici viene mostrato l’andamento dell’uso dei mezzi di trasporto più comuni a partire dal 2000 fino al 2050 nei principali Paesi, compresi i BRICS. I maggiori utilizzatori di automobili sono sicuramente gli Stati Uniti d’America, segue l’Europa occidentale.

La velocità di viaggio è inferiore nel Randstad che nel resto dei Paesi Bassi, ma nel primo si può raggiungere cinque volte il numero di posti di lavoro entro lo stesso lasso di tempo. Da questo punto di vista, la mobilità dei residenti del Ranstad è migliore. Quando si considera sia la velocità di viaggio che la vicinanza alla destinazione, emergono nuove possibilità per migliorare l’accessibilità. La grafica mostra diverse mappe dei Paesi Bassi divise per mezzo di trasporto analizzato (auto, trasporto pubblico, trasporto non motorizzato) ponendoli in relazione alla vicinanza, alla velocità di viaggio e all’accessibilità. Infine tutti questi dati vengono riassunti in tre mappe globali che mostrano la maggior concentrazione di riscontri positivi nelle vicinanze delle maggiori città.



9.

TRASPORTO MERCI

Ogni anno, 1,6 miliardi di tonnellate di merci, vengono trasportate attraverso il territorio olandese. Il trasporto di merci domestiche si muove prevalentemente su strada, le merci internazionali per la maggior parte via nave. Le merci trasportate via aereo sono di modesta entità ma significative in termini economici. La quantità di carichi effettuati oscilla in risposta al clima economico, come l’inflessione dopo il 2008 dimostra. Il trasporto merci domestico avviene su strada o su nave nei canali interni: quest’ultimo resta costante negli anni mentre il primo oscilla a seconda della domanda. I carichi internazionali vengono effettuati prevalentemente via nave crescendo nel tempo.

I Paesi Bassi sono particolarmente adatti alla distribuzione di merci di varie entità. Grazie alla loro strategica posizione, il Paese è un nodo centrale per il flusso globale dei trasporti. Molti beni sono immediatamente spediti, altri invece vengono prima rielaborati e poi esportati. Per mantenere la sua posizione competitiva, l’Olanda ha investito molto nei porti principali (cargo hubs) e nelle infrastrutture. Il grafico mostra il sistema import-export olandese. I principali importatori in Olanda sono gli altri Paesi europei, le Americhe e l’Asia. I prodotti che l’Olanda esporta sono vari e comunque materiali destinati ad essere nuovamente lavorati e ridistribuiti principalmente nel resto d’Europa.

Buone vie di comunicazione e trasporto verso l’interno dell’Europa, sono vitali per i principali porti olandesi (Rotterdam, Amsterdam, l’aeroporto di Schiphol). Dal 1980, sono stati fatti significativi investimenti sulle infrastrutture al fine di stimolare la crescita economica e dei trasporti pesanti. Il paesaggio olandese tra i suoi porti principali e il suo entroterra costituisce una delle più dense infrastrutture in Europa. La mappa dei Paesi Bassi mostra come l’Olanda riceva molta più merce via mare di quella che ne esporta con lo stesso mezzo, mentre accade il contrario verso il resto d’Europa e quindi con il trasporto via terra.

Il trasporto merci è diventato sempre più economico in tutto il mondo. Il costo del trasporto marittimo in particolare, è ora quasi trascurabile. Questa è una delle ragioni per cui la produzione manifatturiera si è spostata in paesi dai bassi salari. La tendenza globale stimola lo sviluppo economico ma ha anche un risvolto negativo: le condizioni di lavoro locale sono a volte misere e i costi ambientali del trasporto merci sono alti. I grafici mostrano le quantità e le distanze di alcuni prodotti di largo consumo che vengono importati ed esportati dai Paesi Bassi. Ad esempio i Paesi Bassi importano molti vestiti e combustibili solidi ma sono grandissimi esportatori di fiori in tutto il mondo.

Il flusso di trasporto merci internazionale sta crescendo e si sta spostando. Il trasporto da e verso l’Asia in particolare è cresciuto in modo spettacolare. Le mega città asiatiche stanno investendo pesantemente in porti marittimi e aeroporti per aumentare la loro quota nel commercio internazionale. Il porto di Rotterdam mantiene una solida posizione. L’incertezza per il futuro include rotte marittime vulnerabili (Panama, Suez) e il costo del carburante. L’istogramma mostra le strade maggiormente percorse negli anni per il trasporto merci internazionale in container, e quindi via nave, sia da che per l’Europa.



SKETCH 2 Una progettazione in crowd Un ponte per la coesione di Rotterdam #IntelligentSchoolDesign2014 In quanto la pianificazione burocratica ha separato il problema della coesione sociale dalla pratica della pianificazione urbana, se n'è fatto carico la popolazione attraverso l'attuazione di pratiche di urbanistica partecipata diretta. L'esempio del Ponte Luchtsingel di Rotterdam, assieme al tetto giardino da realizzarsi su un vicino edificio commerciale, al ripensamento della vicina stazione metropolitana, e al parco Pompenburg, creano un sistema accogliente e creativo, nato da un approccio alla progettazione di tipo spontaneo. Il progetto è stato organizzato in fasi, in relazione alle disponibilità finanziarie della comunità di cittadini che l'ha ideato. Il finanziamento, infatti, è raccolto in crowd attraverso il coinvoglimento dei donatori sui social network (crwodfunding), e quindi la completa realizzazione non è sicura, ma è prevista la possibilità del funzionamento anche nel caso di una realizzazione parziale. Questo segna un'evoluzione rispetto alla progettazione ex ante tradizionale in quanto tiene in considerazione gli input di tipo casuale e imprevedibile che possono influire nei processi di progettazione, realizzazione e gestione delle infrastrutture urbane. Il progetto è costituito da una serie di spazi di aggregazione, pensati sui principi dell'accoglienza, dell'integrazione fra diversità culturali, dell'apertura alla città attraverso il legame con i nodi di trasporto pedonale, ciclabile, ferroviario, infine dell'autosufficienza alimentare e dell'aumento della bioticità urbana attraverso la prediposizione di orti comuni.

Il Luchtsingel è un ponte pedonale di legno lungo 390 metri che collega il centro di Rotterdam alla zona settentrionale. Si tratta di una forza di attivazione per lo sviluppo di una parte della città che è stata per lungo tempo dimenticata. Il ponte è anche un catalizzatore per la crescita economica. A causa della sua lunghezza e della struttura complessa, è previsto per essere costruito e assemblato in segmenti, per un totale di sei fasi di costruzione, dal 2012 alla fine del 2014.

Sul tetto del Schieblock, è prevista la realizzazione del primo giardino coltivabile in Olanda, per coltivare frutta, verdura, erbe aromatiche e persino miele. Esso funziona come uno spazio per la sperimentazione di diversi modi di coltivazione di verdure sui tetti degli edifici. Il Dak Akker è stato costruito nel 2012 da Binder Groenprojecten, con il cencept e il design di ZUS (Zone Urbaines Sensibles) e lo sviluppo e la collaborazione del Rotterdam Milieucentrum (Environmental Centre di Rotterdam).

In collaborazione con Hofbogen B.V. e gli imprenditori locali, il tetto della Hofbogen sarà il sito di atterraggio del Luchtsingel. Il tetto ospiterà gli eventi e le iniziative su piccola scala. Rinverdire il tetto permetterà di creare un luogo unico per pic-nic o passeggiate con una magnifica vista sulla città. Il potenziale del tetto ha già contribuito a creare un clima aziendale positivo per gli imprenditori e intorno alla zona Hofbogen.

Pompenburg era una zona di stoccaggio situato tra strade trafficate e ferrovia, ma sarà presto trasformato in un luogo unico per Rotterdam: il Parco Pompenburg. Il paesaggio circostante offrirà spazio per la ricreazione e l'agricoltura urbana: un prato, un quartiere di cooperative, campi sportivi e aree barbecue. Il parco è il punto di articolazione all'interno di una rete più ampia di verde pubblico.

* traduzione da http://www.luchtsingel.org/en/










PROGETTARE CON I FLUSSI


PIANETA TEXEL, GUIDA PER UN LUMINOSO FUTURO Come i caparbi Isolani coltivano una prospettiva ottimistica e stimolante FARO Architetti e la4sale

Texel ha grandi ambizioni: l'isola vuole diventare leader nel settore delle energie rinnovabili entro il 2020, raggiungendo l’autosufficienza energetica e idrica con l’utilizzo di risorse (rinnovabili) locali. Texel vuole anche proteggere il suo patrimonio, i beni naturali e paesaggistici, rimanendo nel contempo sostenibile e un'isola attraente per residenti e turisti. In linea con le ambizioni dello IABR-2014-URBAN BY NATURE, la Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam, insieme a Texel ci hanno incaricato, alla luce di questi obiettivi, di delineare il potenziale sviluppo paesaggistico dell'isola e di mostrare come essi possano contribuire allo crescita del turismo e dell'economia: l’abbreviazione T.E. x E.L. sta per Turism + Economy x Landscape + Ecology (Turismo + Economia x Paesaggio + Ecologia). Negli anni a venire Texel dovrà, come il resto del mondo, affrontare grandi e profondi cambiamenti: l'innalzamento del livello del mare, il bradisismo, la salinità e la siccità in agricoltura, l'invecchiamento della popolazione e le nuove tendenze del turismo. Nessuno sa esattamente quando e con quale impatto questi cambiamenti andranno ad influenzare l’economia e il paesaggio. Spetta agli abitanti di Texel riconoscere questi cambiamenti, ammettere che siano in realtà dei problemi, e sentirsi personalmente responsabili a intervenire, come formulato dalla Theory of Emergency Response, come prime azioni da intraprendere in “situazioni di emergenza”. Le discussioni sulla sostenibilità e il cambiamento di solito finiscono qui. Le due azioni che dovrebbero seguire, “saper cosa fare” e soprattutto “farlo” spesso non vengono attuate. Crediamo che abbia poco senso che i progettisti intervengano direttamente in questa discussione, anche se spesso ci si aspetta che lo facciano e la tentazione è alta. Ma i progettisti possono esercitare la loro influenza attraverso una pianificazione stimolante ed entusiasmante che può agire da guida nel processo di cambiamento. Nel contesto del nostro obiettivo, questo significa che dobbiamo immaginare che un potenziale problema – l’inevitabile cambiamento del paesaggio - possa trasformarsi in opportunità. Abbiamo quindi deciso, come quarta azione, di elaborare uno scenario “E se…”, “saper cosa fare”, per meglio comprendere le potenzialità positive dei cambiamenti avvertiti solitamente come minacce. Se i cittadini di Texel iniziassero a riconoscere i vantaggi del cambiamento, potrebbe diminuire la loro esitazione iniziale e rendere superflue le discussioni di principio - l’obiettivo è quello di arrivare alla fase cinque, “fallo!” il più rapidamente possibile. Lo scenario è costituito da Texel Principles, Texel Toolbox e una serie di Prospects con cui affrontare temi e luoghi. Le Prospettive sono pensate per stimolare le persone ad agire, i Principi dovrebbero individuare il percorso da seguire e gli Strumenti garantiscono degli strumenti concreti. Abbiamo elaborato le Prospettive sia per i polder (zone dove il fango rimane scoperto durante i periodi di bassa marea) che per la zona dell'isola dove troviamo le dune, entrambe a scala paesaggistica (il miglioramento della diga Nieuwe Schild, il paesaggio interno di dune, il polder het Noorden) e a scala locale (De Koog-Dorpsstraat e dintorni, il traghetto Termihal, il polder Zuiderhaaks, e Oudeschild). Insieme, dipingono un quadro completo delle potenzialità di trasformazione dell’isola.

Ogni Prospettiva delinea una situazione futura drasticamente modificata, una visione attraente di ciò che si può ipotizzare. Per rendere questa prospettiva concreta e fattibile, abbiamo individuato una serie di azioni gestibili, non così drastiche. Abbiamo mostrato quali misure intraprendere per attuare ogni azione e valutati i risultati che si possono ottenere. Individuati gli scopi della comunità, qualsiasi ‘imprenditore’ può iniziare il cambiamento in modo indipendente. Il nostro punto di partenza prevedeva che ogni progetto avrebbe dovuto migliorare il paesaggio. Texel ha già subito troppe pianificazioni che hanno ignorato il ruolo strategico del suo paesaggio. I paesaggi naturali e romantici sono un importante patrimonio dell'isola, ma i suoi paesaggi artificiali (polders) sono ciò che distingue Texel dalle altre isole Frisone. Essenzialmente, ogni progetto di paesaggio ha le sue “regole”, che ne definiscono e controllano gli sviluppi; in altri termini ogni progetto che riguarda Texel identificherà un paesaggio appropriato. Grazie a questo “controllo sul paesaggio”, le pianificazioni indipendenti si muoveranno in un’unica direzione e tutta Texel ne trarrà beneficio.


Non si può attivare un cambiamento sociale senza la partecipazione dei cittadini. Questo approccio gioca un ruolo importante nelle Prospettive per Texel: se molte persone appoggiano una Prospettiva, aumentano le possibilità di successo e di sostegno a lungo termine. Attualmente a Texel ci sono molte sperimentazioni in corso, spesso di piccola scala. Stanno prendendo piede innovazioni come le colture in acqua salata, la produzione di energia solare, l'agricoltura dalle alghe e la pescicoltura in vasche artificiali. Abbiamo cavalcato l’onda dell’energia e delle ambizioni già presenti nell'isola. Dopo aver parlato con gruppi di cittadini, gruppi d'interesse, e gli stakeholders, direttamente e tramite social net dopo (un’antologia può essere trovata su YouTube), hanno cominciato a prendere forma diverse linee di orientamento, che siamo riusciti a connettere. Le Prospettive sono state elaborate progettualmente attraverso l'interazione con i cittadini e i turisti di Texel, soprattutto raccogliendo insieme, incrementando e combinando le idee esistenti.

Nei dibattiti con gli abitanti di Texel, abbiamo anche chiarito quali principi ci hanno guidato durante la creazione delle Prospettive. Abbiamo iniziato con dieci principi, ma dopo poche sedute affollate li abbiamo ridotti a sette. I Principi di Texel possono servire come punto di partenza per qualsiasi iniziativa, sia che riguardi il turismo, l’ecologia, l’economia, il paesaggio, l’architettura e la cultura, sia che riguardi le questioni sul tappeto. In questo modo, i principi contribuiscono anche alla coesione, all’aumento della qualità e alla sostenibilità delle diverse aree politiche. 1. Partire dalla natura (e dal paesaggio) Un buon 34 per cento di Texel è Parco Nazionale. Allo stesso tempo, il restante 66% non è molto manifesto. L'isola può aumentare notevolmente la propria bellezza e fascino, consentendo alla natura di crescere al di fuori dei parchi e di spingersi verso i campi, i villaggi e le aree destinate all’agricoltura, sia nel rispetto tecnico-ecologico che dell’atmosfera e dell’immagine. 2. Passare dal “made on Texel” all’ “originally from Texel” Sei alla ricerca di materie prime, energia e acqua? Prima verifica ciò che Texel ha da offrirti. Iniziative economiche locali come Teso, TexelEnergie, e la Care Company (in formazione) sono imprese sociali consapevoli, che creano un ambiente di fiducia e peculiarità. E non ultimo, tengono assieme profitto e rischio. 3. Apprezzare l’unità nella diversità Diversità e varietà offrono flessibilità e redistribuzione del rischio; le monocolture sono vulnerabili sia economicamente che ecologicamente. Ciò vale anche per l'energia, il turismo e l'agricoltura. Allo stesso tempo, è importante per gli abitanti di Texel, individuare qualcosa su cui far convergere i propri sforzi: se tutti facessero qualcosa di diverso, il risultato sarebbe una monotona cacofonia. 4. Ricercare, sperimentare ed innovare Nessuno sa in anticipo che cosa realmente funzionerà e quindi è importante che gli isolani continuino a perlustrare nuove spiagge e rimanere pionieri. “Testato su Texel” arriverà a rappresentare propositivamente sperimentazione e innovazione. In questo principio la temestività serve come l'olio nel motore: testare su una location temporanea o permanente, per un mese, un anno, dieci anni o anche più. 5. Associare bellezza a bellezza Su Planet Texel, vogliamo sostituire lo slogan “sostenibilità” con “schoonheid”, una parola olandese con un duplice significato - bellezza e pulizia - che riprende esattamente ciò che di cui stiamo parlando. Infatti, riferendosi al paesaggio, le pianificazioni, le attività, i materiali, i prodotti ed i sistemi devono essere belli. Mentre l’essere puliti si riferisce all'energia pulita e alle risorse salubri e rinnovabili. Queste qualità generano valore per eccellenza sostenibile. 6. Muoversi con il variare delle stagioni Non solo la natura e le maree fluttuano, ma anche il numero di turisti secondo la stagione. Strutture turistiche permanenti diventeranno temporanee, e seguiranno il movimento delle maree. High Tide (Alta Marea) è la “vivace” stagione estiva: quando ci sono molti ospiti e l'isola si trasforma in un grande party animato. Low Tide (Bassa Marea) è la tranquilla stagione invernale: mentre la natura è in riposo e l'isola si sta preparando alla nuova stagione, può offrire al visitatore un’esperienza autentica. Tra le due maree si presentano le stagioni dette “waxing” (“crescente”) e “waning” (“calante”), che garantiscono a pochi ospiti selezionati la possibilità di godere della natura e della solitudine.


7. Ripulire e ripristinare Cambiamento e rinnovamento non vogliono dire che tutto sarà diverso. Sul lato dell’isola a polder, trasformazione e innovazione possono essere ammesse perché qui le restrizioni per quanto riguarda la tutela del paesaggio sono minori. Ma nella zona delle dune, la peculiarità del paesaggio è contaminata da illuminazione, segnaletica, edifici e infrastrutture superflue o improprie. La sfida che si presenta è paragonabile a quella di togliere uno strato di vernice da un antico dipinto: rimuovere ciò che è vecchio e ripristinare la qualità ambientale o storico-culturale. Molto più importante del numero esatto e della formulazione precisa dei Principi, è il fatto che Texel li possegga, e che ne stia parlando. I Principi mantengono in vita aspirazioni comuni, non come regole, ma come principi guida.

Gli Strumenti per Texel consistono in un insieme di moduli e buone soluzioni pratiche in linea con i Principi di Texel, che offrono “soluzioni predefinite” da applicare in progetti concreti che riguardano l'architettura e il paesaggio. Spostarsi al variare delle stagioni richiede alloggi vacanze autonomi, smontabili, pieghevoli e mobili. La casa mobile Fietsboet e Texel Tip-up possono essere installate senza la necessità dei grossi investimenti richiesti normalmente per costruire degli alloggi e, soprattutto possono essere removibili. Un attento controllo delle presenze turistiche in base alla stagione farà sì che questa nuova “natura residenziale” svilupperà ogni anno una marea di posti letto. I progetti per una serra bioclimatica pieghevole per De Koog possono integrare una casa di campagna con una veranda, permettendole di fornire energia. Questi progetti si basano sui principi del ricercare, sperimentare, innovare e del ricercare l’unità nella diversità. Inoltre, gli Strumenti offrono soluzioni per interventi che riguardano il paesaggio, ad esempio un modulo di rinforzo dell’argine che combina sicurezza con funzioni ricreative, agricole, e/o produzione smart di energia.

Il bosco di Kamperfoeliebos, di proprietà della Staatsbosbeheer (Commissione nazionale olandese per le foreste), ha un basso valore ricreativo e naturale. E’ caratterizzato da vecchie alberature di pino che contribuiscono fortemente all’esaurimento dell’acqua nella parte più interna della zone delle dune. Il parco degli chalet di Bregkoog è situato sul lato sud del bosco ed è uno dei parchi più edificati e una delle località turistiche più pavimentate. I lotti sono pieni di recinzioni, tettoie, pergolati e terrazze in pietra. Il sito è un vero e proprio blocco al centro del bacino idrografico che collega le zone delle dune con i polder. Sul lato nord del bosco, ci sono due parchi in gran parte occupati da roulotte. A nord, il Nikadel, ospita l'ampio parcheggio del Koog, che si riempie di auto solo occasionalmente e che ospita la fiera una volta l'anno. Questo deserto, per la maggior parte asfaltato, è una via d'accesso poco attraente per il paese tra le dune e, per gli ospiti dell’Hotel Greenside, è una vista alquanto deprimente.

Nel bosco di Kamperfoeliebos, sarà riqualificata la stazione turistica di Bregkoog e dei due parchi per le roulotte. I pini saranno abbattuti e saranno create delle radure. Questo ridurrà l'assorbimento d'acqua del bosco, promuoverà la biodiversità e aumenterà il suo valore naturalistico. Non ci sarà nessuna infrastruttura sotterranea: gli alloggi saranno mobili e autosufficienti. Verranno utilizzati qui le case mobili Fietsboet e Texel Tip-up, previsti dagli Strumenti. Nove mesi all’anno, i turisti potranno godere veramente della vita all'aria aperta. Al limite con il bosco, vi sono ripari realizzati con il legname abbattuto. Essi ospiteranno le auto durante l’alta stagione e gli alloggi provvisori inutilizzati durante la bassa stagione. Grazie alla ridotta superficie occupata dagli alloggi, il bosco è in grado di assorbire lo stesso numero di posti letto di Bregkoog e dei due campeggi che saranno integrati in uno unico. Bregkoog lascia posto alla natura, all’acqua e alla luce, grazie a strutture turistiche temporanee. La sorgente d’acqua della duna Maartenhuis darà vita ad una vasta valle umida ricca di sorgenti e piscine che andrà da Pontweg ai polder Waal e Burg. Nella stagione delle piogge l'area accumulerà acqua dolce, mentre nella stagione della crescita sarà utilizzata per irrigare i prodotti agricoli. I campeggi sul lato nord dell’area diventeranno parcheggi. Senza alcun investimento significativo, potranno ospitare tutti i 360 posti auto attualmente presenti a Nikadel, 150 posti in più rispetto al parcheggio del paese, gli stessi che danno a Koog il suo aspetto asfaltato: così, presto, le dune saranno nuovamente visibili dal paese. Poiché la capacità dei parcheggi viene sfruttata pienamente solo nei periodi di punta, l’area per la maggior parte dell'anno è lasciata semplicemente a campo. I ricoveri in legno offrono un parcheggio coperto alternativo di alta qualità rispetto ai parcheggi privati dei piccoli alberghi del paese: questi possono utilizzare lo spazio rimasto libero per realizzare dei giardini. Il parcheggio ridiventerà il tipico paesaggio delle dune interne grazie alla semplice rimozione della pavimentazione. La fiera annuale potrà ancora aver luogo qui, e l'area farà da lussureggiante corte d’ingresso per De Koog durante il resto dell'anno. I


due supermercati che sono stati incautamente incastrati nel “retro” del paese verranno spostati nei lotti vuoti dei parcheggi tra Dorpsstraat e Nikadel. Verrà così liberato l’affaccio di De Koog sulle dune più interne. L’Hotel Greenside sarà nuovamente immerso nel verde e offrirà ai suoi ospiti una vista bellissima. Ideando questa Prospettiva, siamo stati influenzati da cinque dei sette Principi di Texel: “Associare bellezza a bellezza”; “Partire dalla natura (e dal paesaggio)”; “Muoversi con le stagioni”; “Ricercare, sperimentare ed innovare”; e “Ripulire e ripristinare”. Abbiamo ritenuto importante che spettasse alla gente di Texel proporre luoghi e idee, non ai tecnici. La Duindorp Foundation e la Business Platform segnalarono i punti critici, mentre i social net espressero valutazioni negative sulla situazione dei campeggi e dell’ambiente intorno a De Koog, mentre le proposte sul paesaggio e il principio di temporalità degli alloggi ricevettero molto consenso. La Prospettiva De Koog unisce la gestione sostenibile dell’acqua con quella del turismo sostenibile. La Prospettiva è relativamente facile da realizzare, libera molto spazio e stimola la sostenibilità locale, sia in termini di acqua che di naturalità e di turismo, senza nemmeno rinunciare ad un singolo posto letto o auto. Questo è anche un primo passo verso il raggiungimento di risultati a scala più grande. L’abbattimento di alberi in Kamperfoeliebos è coerente con l'obiettivo di tagliare gli alberi di pino di Texel. Inoltre, Staatsbosbeheer è alla ricerca di (ulteriori) fonti difinanziamento. Sfruttando il bosco come campeggio si possono produrre profitti, sufficienti per compensare i proprietari dei campeggi. In questo modo, Texel è in grado di aumentare la superficie naturale e nuovo turismo sostenibile, grazie ai contributi versati dalla Staatsbosbeheer. I territori di Bregkoog, infine, entreranno a far parte del paesaggio delle dune interne. Riqualificando gradualmente altre aree ricreative si creerà un paesaggio umido di dune interne, che non solo rafforzerà la biodiversità e arricchirà le dune in quest’area, ma sosterrà anche il sistema delle acque e garantirà in futuro acqua dolce al settore agricolo. Si svilupperanno nuovi paesaggi, che, a loro volta contribuiranno all’unicità ed esclusività dell'isola.

Piuttosto che dai documenti politici, i cambiamenti di solito emergono dalle dinamiche economiche e sociali, e attraverso l'interazione tra domanda e offerta. Lo scenario Planet Texel avrà successo se sarà sostenuto dai suoi cittadini, se diventerà parte del loro patrimonio genetico e se anche i turisti riconosceranno il valore del brand Texel e si impegneranno a rispettarlo, anche se in modo più effimero. Dev’essere evidente e spiegato chiaramente verso quale direzione Texel e la sua gente sono diretti. Una Prospettiva può creare consapevolezza, come uno specchio, e non può essere venduta come strumento di marketing. Texel copre un milionesimo della superficie terrestre, quindi realizzando qui questo scenario, si rende l'isola banco di prova per l’intero pianeta: Prova su Texel!



QUATTRO STRATEGIE PER UN NUOVO METABOLISMO DI ROTTERDAM Ministero delle Infrastrutture e dellʼAmbiente IABR - Project Atelier Rotterdam, Città di Rotterdam, FABRIC, James Corner Field Operations Dopo il devastante terremoto di Tohoku e il successivo tsunami del 2011, l'architetto giapponese Toyo Ito ha scritto: 'Non posso che rilevare una rottura fondamentale tra le nostre regole e la realtà. Penso che progettiamo cose in modo meccanico, come 'macchine perfette' conformi ad una natura definita in astratto o in quantità; non ci rapportiamo con l'ambiente naturale inteso come qualcosa influenzato costantemente dalla variabilità della terra, del mare o del vento. Non è un caso che sia il premio Pritzker Toyo Ito, che ha iniziato la sua carriera lavorando per Kiyonori Kikutake, uno dei fondatori del movimento architettonico che ritiene fondamentale il metabolismo della città, ad osservare che esiste un enorme divario tra architettura, urbanistica e architettura del paesaggio, e le sfide che dobbiamo affrontare. Secondo Ito, i progettisti sono in difficoltà a produrre risposte adeguate alle sfide di una realtà in continua evoluzione. La radice dei loro problemi è la distinzione artificiale tra uomo e natura, che persiste nonostante gli sforzi per superarla degli ultimi decenni. Secondo il filosofo francese Bruno Latour, la realtà può essere intesa come una rete di fattori umani e non umani che collettivamente determinano come percepiamo le cose. Lʼuomo tende a vedere le cose in modo statico e permanente e fatica a cogliere le connessioni tra i diversi flussi che sottendono la propria realtà: i progettisti che riusciranno a comprendere e ad entrare in queste molteplici relazioni, vedranno aprirsi un mondo ricco di nuove prospettive. Le sostanze biotiche ed il loro ruolo nell'ambiente hanno grande impatto nella qualità delle nostre città e delle nostre vite. La ricerca di un ambiente sano e sostenibile richiede unʼattenzione allargata ai flussi nel loro complesso: essi fanno parte del processo metabolico che incide nelle nostre città e nellʼambiente urbano. Considerando la città come un ecosistema vitale, è possibile manipolarne in modo strategico i flussi e le loro connessioni, allo scopo di ottenere maggiori – e migliori – effetti economici, ecologici e sociali. In questʼottica, la città di Rotterdam insieme allo IABR project Atelier Rotterdam, ha studiato le opportunità di una struttura urbana metabolica, analizzando lo stato attuale delle cose, pianificando poi le strategie vincenti ed innovative, che intervengono su alcuni flussi e problemi della città in modo da garantire uno svilupposostenibile della stessa. I flussi individuati sono quelli già visti fin qui, ovvero merci, persone, rifiuti, biodiversità, energia, cibo, acqua dolce, aria, sabbia e argilla e materiali edili. LʼAtelier ha sviluppato una metodologia progettuale che, partendo dalla mappatura dei flussi, li ha poi analizzati a due diversi livelli: quello locale della Valle del Reno e quello globale considerato nel progetto “Greater Rotterdam”. Lo sforzo dellʼAtelier infine, è stato quello di non focalizzarsi su una singola questione relativa ad ogni singolo flusso, ma guardare attentamente le connessioni tra questi e considerare le loro interazioni e conseguenze ai diversi livelli della realtà di Rotterdam. Il risultato è la proposta di quattro strategie che intendono intervenire su alcuni punti chiave per il futuro sviluppo della città. Questi sono: i nuovi processi industriali, i rifiuti, le risorse e i biotopi. Ecco le strategie proposte dallo IABR:

1.

Re-industrializzare incentivando la qualità dei flussi di merci, persone e aria

Ogni anno il porto di Rotterdam è attraversato da 220 milioni di tonnellate di merci, ma economicamente i porti commerciali limitrofi come Amburgo, Le Havre o Helsinky, sebbene più piccoli, sviluppano un maggior indotto economico e occupazionale. Le merci che transitano per Rotterdam, consistono prevalentemente in merci prodotte altrove, spesso in Paesi con manodopera a basso costo, senza considerare i prodotti acquistati online che vengono recapitati dai corrieri direttamente a casa degli acquirenti, riducendo lʼattività dei negozi. Lʼaccessibilità alle auto del centro di Rotterdam rende pessima la qualità dellʼaria. Lʼarea di Rotterdam Sud, in particolare nellʼasse est-ovest, è scarsamente collegata e poco accessibile, specialmente per le persone che non possiedono unʼauto. La conseguenza sociale di ciò, è un elevato tasso di disoccupazione e una scarsità di lavoro ben remunerato, soprattutto per i giovani, mentre al contempo, la forza lavoro di Rotterdam sud, fatica a spostarsi per trovare altrove un impiego o fatica a raggiungere i luoghi di istruzione e specializzazione. LʼAtelier Rotterdam, coglie una nuova possibilità di sviluppo in questʼarea proponendo alla città di anticipare le nuove tendenze della piccola industria introdotte dalle bio – neuro – nano tecnologie, dalle stampanti 3D e dalle intelligenze artificiali, sfruttando così nuove possibilità di industrializzazione ed occupazione, concentrandosi prevalentemente su piccole industrie e mestieri, innestando piccoli processi all’interno dei flussi più grandi di merci e materiali che attraversano la città. In particolare la strategia si sviluppa in tre punti:


- Re-industrializzare e recuperare alcune strade cittadine, reinventandole come nuove strade del lavoro, riaprendo vecchi negozi e dando vita a nuove attività, sia lavorative che ricreative, in grado di migliorare le opportunità, la socializzazione e la qualità della vita. - Allo scopo di ridurre il traffico di trasporto merci, viene proposta la realizzazione di un nuovo anello interno che integri e colleghi diversi sistemi di trasporto, dalle barche alle biciclette ai veicoli elettrici, con punti di accesso ai luoghi strategici per il trasporto delle persone. - Infine, un anello di metropolitana leggera, garantirà la stessa qualità di trasporti, interazioni e opportunità di lavoro a scala regionale.

2.

Canalizzare lʼenergia di scarto utilizzando i rifiuti come risorse per l’energia

In media una famiglia olandese consuma 466 GJoule di energia in un anno, utilizzando materie prime provenienti da ogni parte del mondo. I processi dei moderni impianti che generano energia, hanno forti perdite di energia, che viene dispersa ad esempio sottoforma di calore. Questi processi sono quindi sorgenti di rifiuti o emissioni non riconosciuti che possono però essere recuperati e riutilizzati. I grandi impianti di produzione di energia inoltre, costituiscono anche una perdita di spazio in quanto le loro ampie fasce di rispetto impediscono le attività umane e perciò decine di km2 attorno a Rotterdam, sono inutilizzati. Per ottimizzare questa situazione, il Project Atelier, propone di recuperare gli scarti dei processi industriali e di generazione di energia. Nella zona di South Wing per esempio, una rete di calore unisce i siti che 'scartano' calore con quelli che invece ne hanno bisogno, riducendo così la richiesta di produzione e il consumo complessivo di energia ed emissioni di CO2. Questo sistema, se collegato a fonti geotermiche, risulterebbe stabile ed efficiente. Allo stesso modo si potrebbe recuperare il calore disperso dai 'data center', che potrebbe essere riutilizzato dalle famiglie delle aree limitrofe. Tutto ciò dovrebbe avvenire tramite 'heat hubs' che potrebbero unire la loro missione energetica con un aspetto più ludico per la comunità, perché potrebbero diventare spazi attrezzati pubblici, smussando così la loro vocazione prettamente tecnica ed ingegneristica. Infine, sarebbe possibile sfruttare delle sacche vuote situate sotto al Mare del Nord,che contenevano precedentemente gas, come luoghi di stoccaggio e immagazzinamento della CO2 sequestrata dal cuore verde delle serre del West Land.

3.

Recuperare risorse estraendo materie prime da rifiuti e cibo

Spesso i rifiuti vengono considerati come materiali inutili: in realtà le materie prime sotto forma di cibo, nutrienti ed elettronica di consumo, pervadono la città. Rotterdam potrebbe essere vista come un immenso mercato di materiale riutilizzabile: una significativa opportunità considerando che lʼEuropa dipende dagli altri continenti a causa della scarsa disponibilità di materie prime. Si stanno allo scopo sviluppando tecniche efficaci per lʼestrazione di materie prime dallʼe-waste (rifiuti elettronici), dallʼacqua, dai rifiuti biologici delle famiglie, il primo luogo dove ha inizio la rivalutazione dei materiali. Ad esempio è bene sapere che un cittadino medio produce ogni anno dai 49 ai 75 kg di scarti di frutta e verdura, che vengono successivamente inceneriti; i cittadini di Rotterdam consumano ogni giorno 1.112 kg di fosfati e allʼanno, procapite, 3,4 kg di e-waste che se correttamente riciclati, sono in grado di recuperare metalli come rame, argento, oro, platino e palladio. Atelier Rotterdam propone, per ovviare a questa situazione, di inserire nella progettazione delle abitazioni scivoli per la separazione dei rifiuti, unità di smaltimento rifiuti e un sistema fognario separato dallo scarico del lavandino. Propone inoltre la creazione di nuovi giardini urbani che potrebbero utilizzare come fertilizzante gli scarti organici prodotti dalle famiglie, che potrebbero essere anche trasportati per fertilizzare altre aree e coltivazioni. Anche i supermercati giocano un ruolo importante nella raccolta e nella rete di scambio di rifiuti che, come smartphone e altri e-product, diventeranno restituibili. In questo scenario infatti, un fornitore potrebbe ad esempio recuperare materiali utilizzabili dal centro di distribuzione, per portarli successivamente al centro di riciclaggio presso il porto di Rotterdam. Su scala regionale infine, è già in programma lʼadozione di un sistema di turbine in grado di recuperare energia dallʼacqua del mare.

4.

Migliorare la 'natura urbana' con lʼuso di acqua dolce, sabbia e argilla locali

Rotterdam è una città che sorge sul delta di un fiume: il suo paesaggio è ricco e fertile ma soggetto alla particolare dinamica fra lʼacqua del fiume e quella del mare. Tale dinamica ha bisogno di essere gestita con strategie resilienti, in grado di regolare il rapporto tra fiume e mare, lungo le coste e nei porti. È importante infatti evitare la salinizzazione dellʼacqua del fiume e lʼaccumulo di sabbia nel delta. I maggiori utilizzatori di acqua hanno interessi antitetici: lʼindustria e il trasporto merci hanno bisogno di fondali liberi per far transitare le navi, favorendo però lʼingresso di acqua salata che 'contamina' lʼacqua dolce necessaria allʼagricoltura.


La proposta dello IABR è quella di scavalcare questi interessi inconciliabili, calibrando lʼuso dei flussi di acqua dolce, di sabbia e argilla, generando biodiversità e ricontrollando tutto il sistema del delta del fiume: in questo modo si migliorerà la qualità, la diversità e la scala dei biotipi acquatici della città e del porto. I sedimenti portati dal fiume, sono solo apparentemente un problema o peggio, un rifiuto. Attualmente, i detriti portati dal fiume vengono dragati con unʼoperazione molto costosa, verso il mare. Se invece questi sedimenti venissero utilizzati per sommergere gradualmente i bacini inutilizzati, si spenderebbe meno e si contribuirebbe alla creazione di nuovi habitat naturali; allo stesso modo, lʼarea compresa tra questi bacini e la diga, potrebbe diventare nuovo terreno agricolo/seminativo. Si potrebbero inoltre creare nuovi bacini di allevamento e predisporre lʼespansione del porto di Rotterdam. In sintesi, ciò che viene definito comunemente come rifiuto, potrebbe essere utilizzato per modificare e ricreare il territorio in modo saggio e utile sia per lʼambiente che per lʼuomo.

Il potenziale dei flussi per il rinnovo urbano di Rotterdam




QUATTRO FUNERALI, MA DOVʼÈ IL MATRIMONIO? Floris Alkemade e LOLA Brabantstad, la rete delle città nella provincia del Nord Brabant, aspira a diventare una delle cinque regioni europee di maggior successo. E questo in un periodo di stagnazione demografica ed economica, ma anche di disintegrazione di numerosi di principi di base nel campo della pianificazione urbana. Primo, si assiste al fallimento della politica di pianificazione a livello municipale, con la programmazione dell’espansione in base allo zoning monofunzionale. Ciò ha portato alla realizzazione di nuove aree industriali invece che alla riqualificazione delle aree dismesse esistenti, con l’effetto di rendere impraticabile la 'nobile ambizione di realizzare aree ‘cuscinetto’ fra la città e le aree agricole, oltre che contrastare lʼerosione delle aree rurali. Secondo, lʼagricoltura intensiva sta mostrando sempre più velocemente i suoi limiti. Come uno speculatore nellʼimprevedibile mercato globale, il settore dellʼagricoltura deve affrontare un futuro sempre più incerto. Una parte dell’agricoltura entensiva ha sottostimato la crescita delle colture intensive, del loro aumemento di scala e della loro globalizzazione, e patito il fatto che la rappresentanza politica del settore non si è adeguata ai cambiamenti ed ha sottostimato il valore aggiunto del Brabant agricolo. Nello stesso tempo sono stati minimizzati lʼinquinamento, gli odori e i rischi per la salute, causati da questo settore. Come risultato, il supporto pubblico a unʼagricoltura sostenibile deve essere incrementato, ugualmente non si può più negare lʼimportanza della produzione di cibo a buon mercato a livello internazionale. Terzo, il modello della valle del Reno, basato sullʼinterazione tra governi centrali, regionali e locali, è collassato. Mentre i governi centrali tornano oggi alla decentralizzazione e allʼausterità, la dinamica degli altri attori sociali cresce e diventa sempre più dominante: società civile, commercio e industria, educazione, ecc. Questo induce le autorità regionali e locali ad affrontare nuove sfide e a praticare una nuova strategia di governo, basata sulla collaborazione. Quarto, questa è una sfida che riguarda la pianificazione e la progettazione: è tempo di riflettere sullʼimportanza di un master plan onnicomprensivo. Un piano regionale che definisce a priori le destinazioni d’uso di vaste aree per un periodo di tempo stabilito, che miri a risolvere sfide definite ‘a priori’, non è più uno strumento capace di connettere lo sviluppo spaziale con le politiche. Questi quattro 'funerali' impegnano il Brabant a ricercare di nuovi principi che vadano oltre la normale e radicata logica di progetto. La stagnazione dello sviluppo e la crisi dei modelli di reddito non sono i soli problemi attuali, rappresentano bensì una spinta per le ambizioni internazionali delle regioni. La questione è perciò: che tipo di sviluppo spaziale e quali principi vogliamo che rispondano alle moderne sfide per la società, per lʼeconomia, per i movimenti dellʼecologia, e questo senza voler cercare di dare risposta a tutte le criticità in gioco. In altre parole: “Noi abbiamo quattro funerali, ma dove è il matrimonio?”

Le condizioni di forza del territorio La disponibilità di spazio è stato a lungo il punto di forza dello sviluppo economico e spaziale del Brabant del Nord. Localizzata in posizione centrale tra Randstad, lʼasse Brussels-Antwerp e la Ruhr, la regione del Brabant ha delle capacità che sono impareggiabili nei Paesi Bassi. Il risultato è un modello di sviluppo spaziale molto caratteristico: il mosaico o struttura a ‘tappeto’. La struttura a ‘tappeto’ rappresenta la cultura del Brabant, i suoi residenti, la sua economia e le sue organizzazioni. Piuttosto che avvertirlo come un problema, questa struttura è percepita come il miglior assetto possibile per il futuro del BrabantStad. Il ‘tappeto’ garantisce un paesaggio imprenditoriale in una regione prosperosa offrendo lʼattrattiva di un ambiente in cui la qualità della vita è molto alta. Invece di pianificare uno sviluppo urbano ad alta densità concentrato nelle città più interne, le sfide e le opportunità del Brabant del Nord si sono mobilitate in altro modo: superando i limiti della città, per connetterli alle aree circostanti, al fine di costruire una rete di relazioni capace di affrontare le nuove sfide. Cʼè un sistema che taglia il territorio e connette le sfide urbane con i suoi sobborghi: il sistema idrico. Il principale compito del Brabant del Nord è assicurare la fornitura di acqua dolce. A grande scala, la provincia dipende dal canale idrico del Belgio che entra nel sistema fluviale nelle vicinanze di Maastricht. A livello regionale, ci sono due interventi prioritari per rendere efficiente il sistema idrico. Da una parte, trattenendo più acqua possibile alla fonte e rallentando il rilascio a valle (attraverso la costruzione di aree dʼinfiltrazione e di sbarramento e la correzione dellʼandamento, talvolta troppo lineare, del corso dʼacqua). Dallʼaltra parte, garantire la qualità dellʼacqua a


valle (prevenendo lʼuso di inquinanti agricoli, industriali, residenziali, purificando e riciclando lʼacqua) e ridurne lʼutilizzo. Altri aspetti importanti dellʼacqua sono il carattere urbano, il potenziale ricreativo, il valore logistico ed economico. Per aumentare la qualità e la potenzialità del paesaggio imprenditoriale ed abitativo della regione del Brabant, il ‘tappeto’ deve essere ridisegnato, grazie ad una nuova struttura economica che tenga in considerazione la qualità della vita, il piacere del paesaggio e le imprese innovative connesse alla sfida idrica. Sei aree campione illustrano queste nuove opportunità spaziali: sei aree chiamate 'macchine' descrivono quali programmi si possono sviluppare in futuro nel Nord Brabant, e dove potrebbero essere sviluppati. Le sei macchine sono ipotizzate per rivitalizzare la regione e il suo intricato paesaggio senza ritornare alla logica dei quattro 'funerali'. Da ultimo, lʼobiettivo è di creare una politica di sviluppo che proceda in modo additivo piuttosto che un unico piano regionale omnicomprensivo.

Sei programmi per il ‘tappeto’ Rigenerazione dellʼindustria – Gestione delle acque - Clima urbano. Molte zone industriali del Nord del Brabant sono obsolete o abbandonate, mentre la realizzazione di nuove zone industriali è in costante crescita. Questo evento, associato allʼinvestimento per il recupero delle aree dismesse, è legato alla sfida per lʼinnovazione del sistema idrico e del clima urbano. Il ‘parco umido’, costruito lungo il canale, organizza la depurificazione collettiva dellʼacqua piovana e delle acque provenienti dai processi industriali. In questo modo, lʼindustria, che necessita di molta acqua, può riutilizzare la stessa una volta purificata, invece che utilizzarne di nuova proveniente dalla falda. In più, si crea un profilo irregolare, che funge da corridoio dʼaria, per proteggere la città dal troppo calore. Questa invenzione paesaggistica può venire usata per attrarre lavoratori e investitori. 1.

2.

Arboricoltura - Gestione delle acque - Natura disidratata. Le pratiche di agricoltura intensiva hanno causato il prosciugamento di diverse riserve naturali. Inoltre le aree umide, sfruttate per lʼagricoltura estensiva, oggi vengono usate anche per altre funzioni. Questo programma vuole connettere lʼarboricoltura allʼagricoltura alla gestione della risorsa acqua e alla tutela delle riserve idriche. Inoltre i sistemi per la salvaguardia delle riserve idriche e la gestione dellʼacqua per usi agricoli potrebbero venir usati in maniera più strategica. Le serre potrebbero venir irrigate con le acque ricche di nutrienti che si trovano nei canali, e, dopo essere state filtrate dagli alberi, possono venir drenate lungo i canali naturali e reinserite nel sistema dei ruscelli. Questo passaggio permette di rallentare lʼimmissione dellʼacqua nei canali, facilitando lʼirrigazione e il mantenimento delle riserve naturali. In questo modo il settore dellʼagricoltura funge da stimolo ad un rifornimento stabile di acqua dolce per lʼintera regione. Case per il tempo libero - Gestione dellʼacqua - Agriturismo. Diversi corsi dʼacqua del Brabant drenano lʼacqua troppo velocemente causando la mancanza di acqua dolce in alcune zone del sistema fluviale. Questo programma integra diversi aspetti dellʼeconomia agricola con la tutela della fornitura di acqua dolce nelle aree rurali e specialmente nelle aree a destinazione turistica. I canali dʼacqua sono deviati in base alla topografia del luogo ed alla presenza di patrimoni naturalistici in modo da consentire un rallentamento del drenaggio dellʼacqua. Attività agricole di piccola scala possono trovar posto lungo queste deviazioni, e inoltre questo programma restaura il paesaggio storico e punta alla creazione di luoghi dʼinteresse e di ricezione turistica. 3.

4.

Agricoltura intensiva - Gestione Idrica - Paesaggio per il tempo libero. Lʼagricoltura intensiva deve fare i conti con lo sviluppo sostenibile e la gestione delle risorse idriche. Molte fattorie sono poste lungo i bacini idrici del sistema di ruscelli del Brabant. Lʼobiettivo di questo programma è di purificare i reflui provenienti dalle attività agricole prima che questi ritornino al sistema idrico collegato a tutte le fattorie. Si possono creare delle cooperative che danno vita a dei grappoli smart che organizzano vantaggiosamente funzioni ed infrastrutture collettive. Coinvolgendo gli agricoltori attraverso queste cooperative si possono creare gruppi parzialmente indipendenti che si occupano di produrre il foraggio. La dimensione richiesta permette lʼutilizzo delle terre arabili come zone cuscinetto contro le esternalità negative generate dagli allevamenti intensivi di bestiame. Il trattamento collettivo delle acque consente che parte delle acque reflue possa venire riutilizzata per lʼirrigazione dei campi. Lʼuso combinato degli spazi e lʼequilibrio tra lʼagricoltura e i sistemi idrici sono strutturati in unʼunità polder, potenzialmente anche con un uso ricreativo. Residenze in periferia - Gestione dellʼacqua - Fattorie urbane. Mentre molti abitanti del Brabant si trasferiscono dalla città alla campagna, le aree destinate allʼespansione residenziale spesso minacciano le rimanenti aree libere. Questo programma connette lo sviluppo delle aree residenziali di periferia e lʼagricoltura urbana alle sfide che il sistema delle acque si trova ad affrontare. La rete delle acque del Nord Brabant è costituita da due sistemi: uno di canali e uno di ruscelli. 5.


Separando ulteriormente i due sistemi e migliorando la qualità delle acque dei ruscelli, entrambi i tipi dʼacqua possono essere distribuiti in modo migliore. Lʼacqua calcarea del Meuse che scorre nei canali del Brabant può essere usata per lʼirrigazione di piccole aree a destinazione agricola nella campagna e creare brevi catene alimentari. Aree di filtrazione dellʼacqua posizionate, grazie alla costruzione di una diga, a monte del sistema di ruscelli costituiscono una componente unica del paesaggio umido sabbioso circostante che possono valorizzare gli ambiti residenziali, ricreativi e naturali. Industria innovativa - Gestione dellʼacqua - Clima urbano. Il Nord Brabant è una regione innovativa dove le nuove zone industriali sono localizzate principalmente lungo le autostrade. Spesso queste zone non sono collegate ai centri delle città vicine. Questo programma connette lʼaccessibilità alle industrie innovative con lo sviluppo di un sistema separato di acque reflue. Viali urbani connettono le zone industriali al centro della città assicurando così l’accesso ai servizi urbani. Ripensando il profilo di questi viali da un punto di vista della raccolta delle acque piovane, sono realizzati dei grandi canali lineari per drenare separatamente lʼacqua piovana proveniente dalla città e dalle zone industriali. Questi possono essere utilizzati anche come corridoi panoramici che garantiscono un piacevole paesaggio urbano e creano condizioni per piacevoli aree miste: residenziali, per il lavoro e per il tempo libero.. 6.

Rigenerare lo Spazio La pianificazione delle aree nel Nord Brabant è sempre stata improntata a rafforzare e migliorare lʼambiente urbano, il sistema delle acque e le zone agricole come tre mondi separati. Manca, come risultato, la coesione spaziale ed economica: i collegamenti fra la città e la campagna ne sono indeboliti e le città si fanno carico della maggior parte dei costi per mantenere la qualità e sicurezza delle acque. Questi sono investimenti non visibili fatti principalmente nelle campagne. Al momento sembra prudente investire nella connessione e vicinanza di questi mondi piuttosto che separarli ulteriormente rafforzando singolarmente la città, la natura e lʼagricoltura. Lo sviluppo e il miglioramento del sistema delle acque richiede quindi un investimento continuo al quale altri interessi e lavori devono essere connessi. Anche nellʼattuale clima di stagnazione cʼè ancora una dinamicità spaziale. Programmi di sviluppo che si focalizzano solo sul loro specifico settore sono destinati a diventare marginali. Le sei macchine stimolano la cooperazione fra le forme spesso settoriali di dinamica, per cui ogni effetto si manifesta in diverse aree. La sfida delle acque è affrontata creando paesaggi urbani attraenti, che allo stesso tempo migliorano gli aspetti legati al benessere, sviluppando collegamenti ricreativi fra le zone urbane e quelle rurali e, come sottoprodotto, contribuiscono ad incrementare il flusso delle falde acquifere, con una diminuzione della disidratazione del terreno e provvedono allʼagricoltura come opportunità per una produzione sostenibile. ʻRicucireʼ il tappeto è un modello spaziale basato sullʼimitazione di una catena di forze cooperanti e mutualmente rinforzanti. Offre al tempo stesso una nuova logica economica, un modello alternativo di finanziamento: gli investimenti e gli sviluppi sono orientati alla realizzazione di sfide e ambizioni a livello ecologico e socio-economico. Esso tiene conto del disimpegno del governo centrale, monetizzando sulle iniziative di altri attori sociali. Si dovrebbero perciò adottare nuovi strumenti che rimpiazzino quelli storici basati sui diritti volumetrici. Lo strumento chiave per lo sviluppo della metropoli sostenibile e ricca del Brabant è la rivalutazione della morfologia del ‘tappeto’ e la riqualificazione dei suoi spazi.



IL MOSAICO DEL BRABANT Yves de Boer Executive Spatial Development and Housing Provincia del Nord Brabant

Nellʼottica della 'Carpet metropolis' che è il Brabant, non stupisce che il tema della città - campagna sia stata al centro dell’agenda delle sue più importanti città per lungo tempo. Nel 2006 è stato coniato il termine 'Metropoli mosaico' per definire la provincia del Brabant. Da allora essa a sviluppato una politica di sostenibilità e di sviluppo delle aree rurali grazie alla collaborazione fra la Provincia le cinque maggiori città. Il mosaico è diventato il simbolo dello spazio e dellʼidentità socio-culturale dellʼintera provincia. BrabantStad si distingue dalle altre reti urbane sia per lʼunità che per il contrasto con le aree rurali. Le città sono chiuse, ma la campagna è appena appena girato lʼangolo, la campagna è ancora presente nella città, e i servizi che la città non può offrire sono sempre presenti nella campagna. La perdita di questo collegamento richiede di aggiornare la strategia. Come si può usare la forza del Barabant per realizzare lʼambizione di diventare una delle regioni della conoscenza e dell’innovazione? Come si può capitalizzare le energie esistenti tra la popolazione? Queste sono le tematiche proposte dalle cinque maggiori città e che ho affrontato. I fronti dʼacqua del Nord Brabant hanno un ruolo importante allʼinterno di questa sfida. La ricerca si può riassumere in tre punti: Perché usare il progetto come strumento di ricerca? Quali sono stati i risultati della ricerca? Quale dovrebbe essere il prossimo passo del Brabant?

Brabant: il meglio di due mondi Nel Brabant noi collaboriamo basandoci sulla fiducia e sulla solidarietà e in questo sta la forza del BrabantStad. Da oltre dieci anni, la rete urbana delle cinque maggiori città del Brabant: Breda, Eindhoven, Helmond, Den Bosch e Tilburg ha lavorato con la provincia del Nord Brabant, per creare una rete urbana forte, competitiva a livello internazionale e sostenibile. Alla luce della crescente competizione fra le regioni urbane, noi abbiamo uno svantaggio in termini di massa e di estensione: BrabantStad non ha i benefici dellʼagglomerazione che invece hanno le tradizionali metropoli monocentriche. La vera forza di BrabantStad sta forse nella complementarietà del suo tessuto urbano, nell’equilibrio fra città ed aree rurali. Forse sarebbe il caso di perseguire il meglio di entrambi i mondi, facendo i nostri centri più città e i villaggi più rurali; pur restando allʼinterno di un insieme coerente che permetterà di evitare il traffico e altri inconvenienti delle città monocentriche, avendo allo stesso tempo i vantaggi delle grandi città. Ovviamente, BrabantStad ha molte ambizioni urbane, ma la nostra forza sta nella connessione fra le zone rurali e urbane. Come possiamo utilizzare al meglio questa forza? La nostra attuale collaborazione e pianificazione spaziale sarà sufficiente per fronteggiare i futuri sviluppi e sfide della città e della campagna?

Dalla pianificazione spaziale allʼattivazione spaziale Alla centro della transizione dalla pianificazione spaziale all’attivazione spaziale sta una filosofia di governo che comprende nuovi valori democratici. LʼOlanda ospita una gamma di modelli di amministrazione pubblica che prevedono diversi gradi di partecipazione, consultazione o co-creazione e che hanno pressoché interamente rimpiazzato la vecchia, tirannica forma di amministrazione: chiamiamola Amministrazione 2.0. Tipicamente questo nuovo modello di amministrazione affida un ruolo importante, nello sviluppo delle politiche, ai cittadini e alle istituzioni civili. Nonostante ciò la società continua a cambiare e il modello dell’amministrazione deve continuare a cambiare con lei. Governance 3.0 favorisce lo stabilirsi di interazioni continue fra gli obbiettivi a lungo termine e la pratica quotidiana, rispondendo a domande come: ʻChi governa il Brabant e perché?ʼ e ʻChi controlla il Brabant e come?ʼ. Questo nuovo modello di governance rafforza le energie presenti nella regione, comunità e società. Nel campo spaziale, il passo verso Governance 3.0 equivale al passaggio dal piano spaziale allʼattivazione spaziale.

Ricerca attraverso il progetto Le domande poste sono di difficile risposta date le attuali norme amministrative e le strutture politiche. I giorni dei policymakers sono pieni di delibere, con argomenti divisi per settori e riferiti alle sole strutture esistenti.


Governance 3.0 perciò richiede un diverso tipo di autorità. Una diversa filosofia di governo. Questo è il motivo per cui la possibilità di lavorare attraverso un Progetto Atelier è stata così appropriata. Le sfide del Brabant sono state oggetto di un progetto di ricerca mirato dello IARB, per fare quello che ha adeguatamente chiamato ʻuna divagazione sabbaticaʼ. La ricerca è stata portata aventi da tre uffici di progettazione, AWB, FAA e LOLA, ma le proposte di progetto sono state presentate anche da esperti locali ed internazionali e, durante la Biennale, saranno presentati ad un pubblico più vasto. La ricerca attraverso il progetto è stata prospettica, esplorativa e connettiva e ha potuto per questo creare nuovi punti di vista, che permettono di identificare nuovi principi per lo sviluppo. Sorprendentemente, lʼacqua e i paesaggi dʼacqua sono diventati elementi di connessione fra le città, le aree rurali e le connessioni fra le cinque città. Si dice nei negozi del Brabant che ʻil blu è il sostegno del mosaicoʼ. Infatti credo che sia essenziale prestare più attenzione al blu nel mosaico delle metropoli del futuro così come il rosso e il verde hanno prevalso per anni a causa delle tensioni fra la città e le aree rurali.

Ago e filo: il patchwork del nord Brabant In base ai principi della ricerca, lo IARB-Project Atelier non ha proposto un nuovo piano spaziale. Ha prodotto qualcosa che combina il mio punto di vista sulla Governance 3.0 e le sue implicazioni spaziali, lʼAtelier ha sviluppato quello che a me piacerebbe chiamare un 'ago e filo'. 'Ago e filo' si riferisce ai sei principi per lo sviluppo che lʼAtelier raccomanda: sei strumenti che facilitano il collegamento produttivo fra compiti, attori ed opportunità di investimento a scala del paesaggio urbano e dellʼimmediato sviluppo sostenibile del BrabantStad. Il concetto di 'patchwork del Brabant ha offerto al BrabantStad e alle commissioni sullʼacqua qualcosa con cui lavorare. Adesso, noi dovremo capitalizzare quello che abbiamo imparato nel contesto di IARB-2014 per poter sviluppare la nostra visione del BrabantStad, migliorarne la governance e il dibattito sul suo futuro. Non staremo seduti con le mani in mano; saremo al lavoro prima, durante e dopo la biennale. Io vorrei per questo invitarvi a visitare il Nord Brabant: unitevi a noi, lavorate con noi e pensate assieme a noi il futuro del Brabant.


SKETCH 3 Grattacielo contro bassa densità Appunti sui modelli insediativi di Rotterdam #IntelligentSchoolDesign2014

I salti della progettazione urbana di Rotterdam nell'ultimo secolo sono rapidi e dirompenti, segnano una città caratterizzata da una grande vivacità, che spesso, specialmente nelle ultime realizzazioni, crea una confusione di linguaggi piuttosto evidente. Presentiamo qui una breve storia attraverso quattro momenti emblematici, poi rappresentati dalle nostre impressioni fotografiche durante il viaggio a Rotterdam: - primo periodo, anni '30: nel positivismo prebellico si sviluppa lo stile moderno, caratterizzato dalla fiducia nelle potenzialità della tecnologia e da un interesse verso la razionalità e il funzionalismo. A Rotterdam viene edificato un quartiere modello che esprime le idee dello stile Nieuwe Bouwen, la versione olandese della scuola moderna internazionale. Oggi sopravvive la Sonneveld House, terminata nel 1933. - secondo periodo, dal dopoguerra agli anni '50: dopo la demolizione del centro di Rotterdam all'iniziodel secondo conflitto mondiale, per i cinque anni di guerra il centro rimase una distesa piatta di macerie. Si poneva quindi la questione di quale impronta dare alla nuova città, che doveva sorgere con una caricae una modernità tale da ispirare tutti i lavori di ricostruzione successivi. Negli anni '50 venne edificata la Lijnbaan, una lottizzazione composta da una strada pedonale con due lati di edifici commerciali al piano terra e residenziali ai piani superiori. Questo sanciva il modelllo di città dell'uomo moderno, consumatore e definitivamente urbanizzato. - terzo periodo, anni'80: nonostante la ricostruzione, la domanda di nuovi alloggi in città era ancora molto elevata. Comparvero nel centro vari esempi di ripensamento dell'edilizia residenziale, con la valorizzazione delle aree di incontro e socializzazione. Ma l'intervento più significativo fu la riconversione di una vecchia area portuale, il Koop van zuid, in quartiere residenziale. Questo segnò una frattura con l'edilizia preesistente perché aprì il passaggio verso densità molto maggiori: dai pochi piani (da due a quattro) delle schiere, ai dieci e più dei nuovi grandi blocchi residenziali. - quarto periodo, anni '90- 2000: la manhatizzazione della città. Passeggiando oggi per Rotterdam, il cammino è continuamente incrociato con la presenza di grattacieli, generalmente a destinazione terziaria. Negli ultimi anni la tendenza si è estesa alla zona del Kop van zuid, al di là del ponte Erasmus, in cui, in una sorta di allucinazione di grandezza,alcune fra le maggiori archistar mondiali, ultimo dei quali OMA, hanno firmato le loro alte torri. - quinto periodo, anni 2010 - oggi: la riconversione biologica e creativa. La strategia urbana al 2030, identifica la zona del fiume come il maggior attrattore e catalizzatore per la riconversione urbana. Alcune realizzazioni come il recente Market Hall di MVRDV e la Biennale stessa, mostrano che l'interesse futuro della città è quella di riabilitare le funzioni del proprio ecosistema naturale, con particolare attenzione all'autosufficienza alimentare. Parallelamente a questo la città sta sviluppando un ricco programma di rigenerazione dei luoghi attrattivi e inclusivi (la nuova stazione, il nuovo polo universitario nel porto, ecc.), per far passare la città da un'economia della produzione a un'economia del sapere, in linea con le principali politiche urbane internazionali.














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