anno I | n. 2 | rivista sportiva Bimestrale | Euro 5,90
Sei Nazioni
italia
L' inizia e finisce vincendo quale futuro? Scacchi
Caruana re dei re a zurigo wijk ann zee Commenta il MF Lettieri viaggi e poesia
Ah, sirmione! scacchi pugilato
pugilato
Qualcos’ altro
Quando lo sport e' troppo spettacolo
50° compleanno della WBC. Intervista esclusiva
il pazzo pazzo mondo del roller Derby
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sommario
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foto di Miguel Sánchez Burgueño
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3 Editoriale: Semplicemente “grazie” di Claudio Micalizio 4 Rubrica Una visita a ... Sarzana; il castello, la croce e il molino di Omar Stoppa 8 Wijk aan Zee: Commenta il MF Lettieri di Giuseppe Lettieri
44 Sei Nazioni primi 3 turni: Inghilterra senza avversari di Duccio Fumero 46 Quale futuro per questa nazionale? di Gianluca Orsi
12 Rubrica Sul filo del rasoio: cioè sul filo del regolamento: Scacchi e Fortuna di Sergio Pagano
47 La Celtic League, o meglio la Pro 12: i vantaggi di parteciparvi superano gli svantaggi? di Michele Benazzo & Volfango Rizzi
16 Corso di scacchi per principianti - Lezione 1: La scacchiera di Mario Leoncini
50 Rubrica - Rugby: Istruzioni per l’uso. Forza e mente: mischia e tre-quarti di Michele Benazzo
18 Didattica - L’insolito dinamismo del signor G di Riccardo del Dotto
54 L’incanto dell’Eccellenza e la valorizzazione delle realtà locali di Stefano Franceschi
22 Gli scacchi960 e Bobby Fisher di Luca Cerrato 26 Una battaglia in 65 quadrati di José Sanchez 31 Quando lo sport diventa troppo spettacolo di Volfango Rizzi 34 La WBC compie 50 anni. Intervista esclusiva ai suoi dirigenti Victor Cota, José Sulaiman e Juan Carlos Marzano di Volfango Rizzi 38 Caruana Re dei Re: vince il quadrangolare di Zurigo di Volfango Rizzi 39 Fumetto: Come mio nonno salvò gli scacchi di Dario Goricchi
foto di Gordon Linnell
43 Vignetta: Pestone di Lele Lutteri
58 Rubrica: Diario di bordo di una nuova società. La “cosa” di Ruggero Rizzi 64 Insieme a I Cavalieri Prato. Com’é bello il rugby! di Michele Benazzo 68 Viaggi e Poesia - Sirmione, ah, Sirmione! di Gordon Linnell 72 Chi inventa i giochi? di Luca Cerrato 76 Il pazzo, pazzo mondo del Roller Derby di Marco Faraci 78 Dalla città di Bill Gates la sfida delle Rat City Roller Girls di Marco Faraci
Ti piace questa rivista? Cerchiamo nuovi collaboratori. Scrivi in redazione per essere dei nostri. Ti aspettiamo! Redazione Roberta Gatti, Chiara Gobbini, Luca Cerrato, Guido Rizzi, Sergio Pagano, Giuseppe Lettieri
Periodico Bimestrale stampato su carta e versione digitale
Progetto Creativo & Impaginazione: PaoloArmani.it Grafica: Paolo Armani e Chiara Gobbini
Direttore Responsabile Claudio Micalizio
Direzione e Amministrazione Via Piero della Francesca 16 27055 Rivanazzano Terme (PV). Tel. 0383.92877
Direttore Editoriale Volfango Rizzi
Sito internet e versione elettronica: www.spqrnews.com
Anno: I - N. 2
Hanno inoltre collaborato a questo numero Michele Benazzo, Luca Cerrato, Duccio Fumero, Pasquale Colucci, Comune di Sirmione, Riccardo del Dotto, Marco Faraci, Stefano Franceschi, Dario Goricchi, Gordon Linnell, Mario Leoncini, Lele Lutteri, Leonardo Mussini, Gianluca Orsi, Ruggero Rizzi, José Sanchez, Omar Stoppa, WBC (José Sulaiman, Victor Cota e Juan Carlos Marzano), Tim Woolgar e tutti i fotografi accreditati negli articoli E-mail: info@spqrnews.com
E-mail posta dei lettori postalettori@spqrnews.com E-mail posta commerciale commerciale@spqrnews.com E-mail posta direzione direzione@spqrnews.com E-mail posta Volfango Rizzi volfangorizzi@spqrnews.com Pagina Facebook: SPQeR Editore: Associazione Sportiva Dilettantistica Scacchi960 e Scacchi Eterodossi, Via Garibaldi 109bis, 27058 Voghera (PV)
Stampa FDA Eurostampa s.r.l. Via molino vecchio 185 Borgosatollo (BS) Registrazione Tribunale di Voghera 1/2013 Abbonamento Italia € 31,00 per sei numeri doppi all’anno (rivista su carta) € 29,00 formato elettronico € 38,00 rivista su carta & elettronica Foto in copertina: rugby di Elena Barbini e scacchipugilato di James Bartosik
editoriale Non è retorica. Mi accingo a scrivere l’editoriale di questo secondo numero della nostra rivista e il mio stato d’animo è realmente euforico. Ed è per questo che semplicemente e di cuore voglio dirvi prima di tutto “grazie”.
I riscontri che hanno accolto l’esordio di SPQ&R nel panorama editoriale italiano sono lusinghieri: i complimenti – ma anche le critiche, sia chiaro... - giunti in redazione nelle scorse settimane ci hanno fatto capire che siamo sulla buona strada, perché evidentemente c’era davvero bisogno di un magazine come il nostro, interamente dedicato a quelle discipline che spesso faticano a trovare spazi dignitosi anche sulle testate sportive. Certo: c’è ancora tanto da lavorare per rendere il nostro giornale sempre più ricco e interessante, ma i presupposti sembrano esserci tutti.
semplicemente "grazie"
Discorso analogo per il nostro sito internet, che di settimana in settimana sta diventando sempre più un vero e proprio quotidiano online con notizie, approfondimenti e rubriche aggiornate in tempo reale: i colleghi della redazione multimediale mi dicono che in tre mesi abbiamo ricevuto quasi 60mila contatti “unici”,con un’altissima percentuale di fidelizzazione tra i nostri lettori. Cosa significa? Che chi ci scopre su internet non ci abbandona più. E anche a loro desidero rivolgere un pensiero di sincera gratitudine. Ora però guardiamo avanti, a cominciare dalle novità che scoprirete sfogliando le prossime pagine di questa rivista. E permettetemi di segnalare subito la prima lezione del nostro corso di scacchi per principianti, tenuta dal maestro Mario Leoncini: un appuntamento che ci auguriamo possa formare, di numero in numero, una generazione di nuovi appassionati. Partono poi due nuove rubriche: il “Diario di Bordo”, che segna il reclutamento nel nostro team di una vera e propria squadra – il Derthona Rugby – e “Sul filo del rasoio” di Sergio Pagano. Si allarga inoltre la rosa dei collaboratori e, visto il successo del primo numero, la nostra storia dello sport a fumetti, in quattro pagine, diventa un vero e proprio inserto staccabile (e quindi collezionabile) al centro della rivista. Sono solo alcune delle novità che arricchiranno il nostro periodico già da questo numero: altre sono allo studio e a breve ve le presenteremo. Buona lettura e ancora, di cuore, grazie per l’entusiasmo con cui ci sostenete!
Claudio Micalizio SPQ&R _ 3
Una visita a… sarzana Maestro Fide Omar Stoppa
Il castello la croce e il molino P
rosegue il nostro viaggio nei luoghi dei circoli scacchistici d’Italia. Dopo Genova e il suo glorioso Circolo Centurini faremo tappa a Sarzana, nel cuore dell’affascinante e misteriosa Val di Magra. Qui ha sede un giovane e operoso sodalizio, che da più di trent’anni costituisce il punto di riferimento scacchistico per tutta la zona dello spezzino e della lunigiana.
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L’incontro avviene “ante missam”. L’autunno già spira forte su piazza della Calcandola, di solito deserta alle prime ore del mattino. La scena oggi è animata da tre uomini, per età ruolo e condizioni affatto dissimili. S’incontrano in un angolo della piazza, incuranti dei carri di legname che transitano per i commerci nei pressi del torrente. A sinistra c’è un nobile, dall’apparente età di trent’anni. Nonostante la giovane età, egli ha alle spalle diverse imprese militari nella zona di Luni ed è chiaro, dal nome che porta, che avrà grande risonanza sulle vicende politiche dell’Italia del Trecento. Ha appena legato il suo cavallo di razza a un gancio vicino a una colonna: i suoi gesti sono calcolati e precisi, come di chi è abituato a soverchiare. Nel mezzo sta un uomo piuttosto anziano; lo riconosciamo, nonostante la foschia, come un notaro. I suoi modi sono affettati e premurosi, soprattutto con il giovane nobile, di cui presumiamo sia ai servigi. La nostra attenzione ora è rivolta al terzo uomo: appena discostato dai primi due, quasi assorto nella contemplazione del luogo, a lui già noto per esservi stato ospitato l’estate precedente. Forse, però, in ogni luogo dove egli giunge, cerca le vestigia dell’ “heimat”, la terra delle sue radici, che non rivede ormai da quattro anni: Firenze. Sebbene dalle sembianze lasci intendere di appartenere ad una condizione sociale inferiore, egli appare a suo agio di fronte agli interlocutori. L’incontro tra i nostri tre personaggi ha breve durata. Riusciamo appena a scorgere la consegna da parte del nobile al notaro di un piccolo rotolo di carta, sigillato con uno stemma. Il notaro sembra poi recitare una formula misteriosa prima di affidarlo alle mani del terzo uomo, che fa un cenno di assenso al nobile. I tre si allontanano per vie diverse. Soltanto adesso ci accorgiamo che ad attendere il nobile nei pressi di un piccolo ponte ci sono due guardie, forse da sempre sui suoi passi. Il terzo uomo ristà ancora un attimo a scrutare la fitta boscaglia oltre le piccole mura del borgo, quasi a cercare un assenso del creato alla missione che lo attende tra poche ore. E’ storicamente provato che giovedì 6
ottobre 1306, alle prime ore del mattino, Dante Alighieri si trovava in Piazza della Calcandola a trattare in nome e per conto di tutto il casato dello Spino Secco la cessazione delle ostilità con Antonio Nuvolone da Camilla, il potente VescovoConte di Luni. E’ ampiamente documentato che quella mattina stessa, in compagnia di testimoni e dello stesso parente di Stupio, Dante saliva al Palazzo dei Vescovi in Castelnuovo Magra, dove fu siglata la storica intesa. Come la vicina Val di Vara, anche la Val di Magra è sempre stata una terra di passaggio e le sue vie di terra e di mare sono state indiscusse protagoniste di questi “destini incrociati”, dove l’incontro e lo scontro tra civiltà differenti ha proceduto di pari passo con gli scambi commerciali, culturali ed artistici. A tal proposito va ricordata la Via Francigena, grande arteria di comunicazione che ha accompagnato il cammino di eserciti, mercanti, maestranze e uomini di fede del mare del nord, attraverso l’Europa sino a Roma, centro quest’ultimo della cristianità medievale, contribuendo in
maniera decisiva allo sviluppo economico e sociale dei borghi attraversati. Luni, Sarzana e Santo Stefano di Magra, a diverso titolo e in epoche differenti, hanno beneficiato del fatto di trovarsi lungo questa importante direttrice viaria. Il nostro viaggio non può che cominciare da Piazza Matteotti, già piazza della Calcandola. Tra gli altri anche Vittorio Sgarbi ha avuto modo di esprimersi su questo sito definendola “una delle più belle piazze d’Italia”. Realmente, in essa troviamo sì elementi architettonici e artistici di rilievo, ma è piuttosto lo sguardo d’insieme che abbaglia: Da piazza Matteotti proseguiamo lungo Via Mazzini, arteria principale del centro storico, appartenente appunto alla “Via Francigena”. Prima di addentrarvici, ci pare doveroso fare una sosta presso lo storico Caffè “Gemmi”. Questo negozio - pasticceria, attivo dal 1934 grazie all’omonima famiglia, conserva il fascino del Caffè del 1800: stucchi e decorazioni, tessuti eleganti e luminose vetrine fanno da raffinato contraltare al tripudio dell’arte dolciaria. Il fiore all’occhiello è sicuramente la “spungata”, sfoglia azzima con ripieno di mele, pere, mandorle e canditi. SPQ&R _ 5
Proseguiamo la visita, ben ristorati nel fisico oltre che nella mente, per visitare la fortezza di Sarzanello, simbolo per eccellenza dell’Italia dei castelli del Basso Medioevo: sorge sulla collinetta prospiciente Sarzana e si può raggiungere attraverso la carrozzabile detta “Panoramica”. I mille anni di storia e le infinite casacche che ne hanno vigilato gli austeri bastioni non sembrano averne scalfito l’immagine complessiva originaria. Il potere spirituale a un dipresso reclama il suo tempo, per cui ridiscendiamo in Via Mazzini per visitare dapprima la Pieve di Sant’Andrea (Patrono di Sarzana) risalente al secolo X, poi la chiesa di Santa Maria Assunta, di due secoli più recente. Dopo aver girovagato ancora un po’ per le viuzze del centro storico, ci ricordiamo di fare un saluto a un buon amico scacchista che ha fatto della pittura un altro modo, oltre agli scacchi, di sublimare l’infinito: Lasio Millo. Ci accoglie nella sua graziosa bottega, di cui non sveliamo l’indirizzo per invogliare il lettore a trovarla “en passant”: le sue opere vengono da lui stesso definite come “strumento per analizzare il reale in profondità, per contemplarlo nella sua qualità metafisica, sia in atmosfere oniriche e fantastiche sia in situazioni di crudo realismo”. Classe 1944, professore di disegno a riposo, è considerato da chi scrive un valente candidato maestro, creativo e senza troppi compromessi, come le figure dei giocatori romantici dell’800 che, agli albori della teoria, sbaragliavano gli avversari con giocate ad effetto nei caffè dei gentiluomini. Giocare una partita con lui è andare all’essenza metafisica del nobil giuoco, in una dimensione afferente alle atmosfere dei quadri esposti nel suo laboratorio bottega. A (s)proposito di scacchi, uno sguardo all’orologio ci sprona ad analizzare con precisione la variante “appetito”. Oggi ci va di trattare bene il nostro pancino, per cui riteniamo di poter spendere qualcosa in più al Ristorante “Ottone”, in piazza Matteotti. Trionfo di pesce anche in crudità (strepitoso!) e sapori locali con buone etichette. Certo, il conto non è una carezza, ma in fondo ne vale davvero la pena, una volta ogni tanto. Il pomeriggio è ormai alle porte quando raggiungiamo la sede del Circolo scac-
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chistico “Città di Sarzana”(www.sarzanascacchi.it), dopo aver percorso un paio di Km in macchina dal centro. Ci troviamo presso il centro culturale “E.Ceccarelli” , in via Crociata, una costruzione moderna e multifunzionale, cui fa riferimento il vivace mondo dell’associazionismo locale. Le attività proposte sono molteplici,
sebbene il numero di soci scacchisti non particolarmente cospicuo consenta un’apertura sporadica per la pratica del gioco. Chiediamo al Presidente del sodalizio, dott. Gianni Spinetta, instancabile promotore insieme con un affiatato direttivo, di numerose iniziative e tornei, spesso in collaborazione con la locale Coop “Centro luna”, di tracciare un sintetico quadro della storia del circolo, con riferimento all’alternanza logistica delle sede. “Il nostro circolo ufficialmente si iscrive alla federazione e diventa Circolo FSI a tutti gli effetti solo nel 1990, con sede presso Il Circolo Sociale A. Barontini, ma l’inizio dell’attività scacchistica dilettantistica da “bar” o da “giardini pubblici” risale agli anni 70 dopo l’epico incontro Spassky-Fischer di Reykjavik. Quella sede era abbastanza caratteristica, situata nel bar del dopolavoro ferroviario, nel piazzale della Stazione di Sarzana, dove oggi, al suo posto, c’è un famoso piano Bar, ma dove all’epoca chiunque, anche i viaggiatori che attendevano i treni,
potevano fermarvisi a giocare qualche partita. Negli anni novanta il circolo, dalla sua prima sede di via Barontini, in pieno centro cittadino, migra presso il Centro Culturale E.Ceccarelli, in località la Crociata, rimanendovi dalla fine degli anni 90 sino al 2003. In seguito, e fino al 2009, si trasferisce al Centro Sociale della Bradia, presso le Scuole Comunali; quindi, e per un solo anno, si sposta nella Parrocchia di Ponzano Magra, al Centro Culturale Cardinale Borromeo. Infine, nell’autunno 2010, rientra nella sede del Centro Culturale Ezio Ceccarelli della Crociata, dove è attivo tutt’oggi”. La Bradia dunque, dove sin da bambino conoscevo quasi ogni anfratto, recandomi spesso in visita ai miei zii e a mia Nonna Italia. Concludiamo il nostro viaggio, addentrandoci nella Val di Magra. Qui, presso l’Arci, si trovava la sede del circolo tra gli anni 2003 e 2009, e qui è forse la visita più desiderata, lungo la storica via dei Molini che risale la valla-
ta. Al civico 396, in un luogo incastonato tra il fiume e le Alpi apuane che già sembrano affacciarsi con i loro declivi, troviamo il frantoio Ambrosini, gestito dall’omonima famiglia. (www.frantoioambrosini.it). Chi scrive ha avuto la fortuna di frequentarlo per ragioni parentali, imparando a coglierne nel tempo la progressiva fusione di due anime: quella sentimentale, ovvero l’amore per l’oliva, il territorio, il tramandare l’arte sapiente del processo oleario di padre in figlio, e quella razionale, basata sul rispetto delle nuove normative, l’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate per ottenere prodotti di qualità, gli ambiti riconoscimenti e certificazioni internazionali. Versare un filo di extravergine di questa zona, significa tuffarsi nel mistero del Val Magra, il cui
La soluzione del primo numero Partita: Mayet vs Anderssen, Berlino 1851 1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ab5 Ac5 4. c3 Cf6 5. Axc6 dxc6 6. 0-0 Ag4 7. h3 h5 8. hxg4 hxg4 9. Cxe5 g3 10. d4 Cxe4 11. Dg4 Axd4 12. Dxe4 Axf2+ 0-1. Adolf Anderssen, è noto in tutto il mondo scacchistico per aver “creato” due partite tra le più belle di sempre: “l’immortale” e la “sempreverde”, proprio a ridosso dell’anno di svolgimento della partita da noi riportata. L’importanza di questo geniale scacchista tedesco è ribadita dal fatto che viene considerato Campione del mondo “in pectore” (in quegli anni non esisteva ancora ufficialmente il Campionato del mondo) negli anni 50’ e 60’ del 1800.
clima inclemente fortifica gli ulivi, pronti così a donare un frutto verace e puro allo stesso tempo. Sarzana: il castello, la croce e il molino: merita una visita.
Fonti e riferimenti bibliografici: Enciclopedia “Musei e paesaggi d’Italia” Edizioni De Agostini - www.toltedalcassetto.it - “Finestre fotografiche su Liguria e Toscana”. Un ringraziamento al Dottor Gianni Spinetta, al direttivo del circolo scacchistico “città di Sarzana”, ai miei zii Luigi e Giuseppina, a mia Nonna Italia ed ai suoi sontuosi manicaretti, alla famiglia Ambrosini. SPQ&R _ 7
Scacchi
Giuseppe Lettieri a
Wijk aan Zee Commenta il Maestro Fide Lettieri Foto di Tata Steel Chess Press, ScacchiStars e Giuseppe Lettieri
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75˚ Festival Scacchistico Tata Steel 19 gennaio 2013, 2˚ Turno Torneo Dilettanti Giuseppe Lettieri (2380) vs Jorden Van Foreest (2215)
H
o scelto di commentare questa partita, perché ricordo di essere rimasto a dir poco sorpreso dalla notevole tenacia del mio giovanissimo avversario -numero 1 olandese U14, classe 1999, che nel corso del torneo ha dimostrato di possedere già le capacità necessarie a fronteggiare avversari molto più esperti di lui. 1. c4 l’approccio da me adottato per affrontare la partita era strettamente posizionale: evitando, infatti, linee poco chiare e ricche di tatticismi, avrei indubbiamente limitato la pericolosità del mio giovane avversario. 1... c6 2. Cf3 Cf6 3. Cc3 d5 4. e3; nello specifico, tale impianto del Bianco è conosciuto con il nome di “Anti-Slava”. Non avendo ancora compromesso la posizione con la mossa d4, il primo giocatore si riserva la possibilità
Ponomariov-Ivanchuk, Gagomys 2010, e il Bianco riuscirà a conquistare lentamente il lato di Donna avversario.
di adattare il proprio schema di gioco a seconda dello sviluppo del Nero. Un tipico set-up per il Bianco è costituito dalle successive mosse: b3, Ab2 e Dc2, con idee quali g4!? e 0-0-0. 4... Af5 giocata con estrema rapidità, non curandosi del particolare ordine di mosse del Bianco. Corretta è 4... Ag4 5. Db3 Qb6 6. Ce5 Ae6 alternativamente: 6... Af5 7. Dxb6 axb6 8. cxd5 Cxd5 9. Cxd5 cxd5 10. Ab5+ Cd7 11. f4 g6 12. d3 f6 13. Cf3 Rf7 14. e4 dxe4 15. dxe4 ChatalbashevDrabke, Antalya 2004. (6... e6 7. Cxg4 guadagnando la coppia degli alfieri e un vantaggio di spazio. Se 7... Cxg4 8. Ae2 Cf6 9. d4 Cbd7 10. O-O Ae7 11. Dc2 O-O 12. b3 Tfc8 13. Ab2 7. d4 Cbd7; se invece 7... g6 8. Ad3 Ag7 9. O-O O-O 10. Da3 dxc4 11. Cxc4 Dc7 12. Ad2 Te8 BasagicIvacic, Slovenia 1996, il Bianco ha maggior spazio e miglior controllo del centro. 8. Cxd7 Axd7 (8... Cxd7 9. cxd5) 9. Ca4 Dxb3 10. axb3 a6 11. Ad3 e6 12. Ad2 Ad6 13. Aa5 Re7 14. c5
5. cxd5 cxd5 6. Db3 (vedi diagramma 1) Ac8 il Nero è costretto a ritirare il suo alfiere nella casa di partenza per riuscire a difendere simultaneamente i pedoni b7 e d5 (6... Dd7 7. Ce5 Dc7 8. Ab5+ Cc6 9. Cxc6 bxc6 10. Cxd5. 6... Db6 7. Cxd5 Dxb3 8. Cxf6+ gxf6 9. axb3). 7. Ab5+ altrettanto efficace è 7. d4 rientrando nella Slava di cambio con un tempo più per il Bianco. 7... Cc6 8. Ce5 Ad7 9. d4 (è altrettanto possibile 9. Cxd7 guadagnando immediatamente la coppia degli alfieri. La Atalik-Kovalev, Star Palmyra 2004 continua: Dxd7 10. O-O e6 11. d4 Ae7 12. Ad2 O-O 13. Tfc1 Tfc8 14. Ca4 Dd8 15. Axc6 bxc6 16. Ab4 con l’iniziativa al Bianco). 9... e6 10. f4 perseguendo il mio inten-
dimento di “soffocare” mossa dopo mossa il gioco del mio avversario. Ae7 11. Ad3 O-O 12. O-O Db6 il Nero cerca il cambio delle Donne per semplificare la posizione. 13. Dd1 invece il Bianco deve mantenere tutti i pezzi in gioco in virtù di possibilità di attacco grazie alla combinazione di Ce5, Ad3 e Dh5.
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il Nero non possiede un piano di gioco reale che non sia quello di semplificare la posizione. 19. Cexd7 (migliore 19. Ca6 Db6 20. Cxc6 bxc6 21. b4 e il Nero risulterà completamente paralizzato.) 19... Axd7 20. b4 a6 21. a4 Axc5 22. dxc5 valutando la mia posizione con troppo ottimismo (22. bxc5 Ce7 23. Tb1 Ac6 24. Ae1 ed il Nero soffrirà per il resto della partita giocando soltanto per un unico risultato).
Sabino Brunello vince il Gruppo C con 11 punti su 13. Si qualifica pertanto per giocare nel Gruppo B il prossimo anno. 13)... Be8 telegrafando così il suo piano di gioco: eliminare il cavallo in e5 con le prossime ...Cd7 ed ...f6. 14. Tf3 (vedi diagramma 2) g6 un importante indebolimento delle case scure, che sarà più evidente tra qualche mossa. (Non è ora possibile 14... Cd7 15. Axh7+ Rxh7 16. Th3+ Rg8 17. Dh5 con matto forzato a seguire). 15. Ad2 Cd7 16. Ca4 Dc7 17. Tc1 il Bianco semplicemente prosegue nel suo sviluppo, ponendo contemporaneamente seri problemi al Nero che è totalmente scoordinato nei suoi pezzi. Cb6 18. Cc5 Cd7
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22... e5 23. Tf2 e4 24. Ab1 Tad8 la posizione del Bianco è nettamente superiore grazie al suo alfiere camposcuro, tuttavia l’obiettivo che mi ero prefissato all’inizio, di evitare di far giocare il mio avversario, fallirà a breve a causa di possibilità di controgioco. 25. De1 Ce7 26. b5 axb5 27. Aa5 Dc8 28. c6 (vedi diagramma 3) una interessante risorsa trovata quando ad entrambi era rimasto poco tempo sull’orologio per raggiungere la 40esima mossa. bxc6 29. axb5 Tde8 30. Tb2 sprecando il “momentum” e tutto il vantaggio. 30. Ab4 Db7 31. bxc6 Cxc6 31...
Axc6 32. Tfc2 32. Axf8 Txf8 gudagnando la qualità. 30... Db8 31. Ac3 (31. b6 d4 32. exd4 Cd5 con controgioco.) 31... cxb5 32. g4 con l’idea di evitare il piazzamento del Cavallo in f5 prima di proseguire nella manovra Dh4-f6. ...Tc8 (32... Axg4 33. Dh4 pur apparentemente rischiosa, il Nero riesce a tenere la posizione grazie al tatticismo Db6 34. Ad4 De6 e l’attacco del Bianco giunge al capolinea). 33. Ae5 Txc1 34. Dxc1 Db6 35. h3 Cc6 36. Ad6 Tc8 37. Ac5 con pochi secondi sull’orologio, prosegue la mia serie di imprecisioni in una posizione già gravemente compromessa. Ca5 (37...Ce5 conduce a una sequenza di attacco con minacce imparabili. 38. Tc2 Cf3+ 39. Rg2 [39. Rf2 Df6] 39... Da5 40. Rf2 Dd8) 38. Tc2 Db7 39. De1 Cb3 40. Ab4 Tc4 41. Rh2 (41. Tb2 non é ancora possibile a causa di Tc1) 41... d4 42. Tb2 Cc5 43. Dh4 dettata dal mio desiderio di vincere la partita ad ogni costo. (43. Axc5 Txc5 44. Db4 Tc8 45. Dxd4 con una posi-
zione pressoché equa). 43... d3 (43... dxe3 44. Aa2 Txb4 45. Txb4 Dc7 46. Axf7+ Rg7 [46... Rxf7 47. Dxh7+ Rf8 48. Dh8+ Re7 49. Dg7+ Rd6 50. Df6+ Ae6 51. Txb5 Rc6 52. Tb2 Dd6 53. Tc2] 47. Ad5 Dxf4+ 48.Dg3 Df2+ 49. Dxf2 exf2 50. Rg2 Rf6 una sequenza non semplicissima da vedere, ma che avrebbe portato il Nero alla vittoria. 44. Aa2 (questa risorsa del Bianco risulta migliore dopo 43...d3 rispetto alla più complicata 43...dxe3) Txb4 45. Txb4 Ce6 46. Df6 paralizzando i pezzi del Nero e costruendo una rete di matto. Dc6 47. Axe6 Dxe6 47... Axe6 48. Td4 48. Dxe6 Axe6 49. Txb5 (vedi diagramma 4) pur essendo molto ottimista, ero ben consapevole che, salvo imprecisioni del Nero, non sarei riuscito ad andare oltre il pareggio. Rg7 50. Tb4 Ad5 51. Rd4 Ab3 52. Td6 Ad1 53. g5 con lo scopo di fissare la struttura del Nero e di portare il Bianco a tentare la spinta di rottura f5 e avanzare con il Re. h6 54. Rg3 h5 55. f5 (55. Td4 Ab3 [55... Af3 56. Txd3] 56. Rf2 f5 57. Td7+ [57. gxf6+ Rxf6 58. Re1 Rf5 59. h4 Ae6 60.
Rd2 Ag8] 57... Rf8 58. Re1 Ae6 59. Td6 Re7 60. Tb6 Af7 e il Bianco non è in grado di fare progressi. 55... gxf5 56. Rf4 Ab3 57. Rxf5 Ae6+ 58. Rxe4 Axh3 59. Txd3 Ae6 60. Rf4 h4 61. e4. Da questo momento in poi, tutte le mosse sono state effettuate con 1 minuto rimanente sull’orologio + 5 secondi di incremento, Rg6 62. Td8 Rg7 63. Td2 Rg6 64. Td8 Rg7 65. Tb8 Rh7 66. Tb5 Rg6 67. Ta5 in partita mi sono soffermato anche ad analizzare 67. Rf5 che, con mia delusione, avrebbe condotto ugualmente al pareggio dopo Axf5 68. exf5+ Rh5 69. g6 fxg6 70. f6 Rh6 71. Re5 Rh7 72. Re6 h3 73. f7 h2 74. f8=D h1=D 67... h3 68. Ta8 Rg7 69. Tb8 Rg6 70. Tb5 Rg7 71. Rg3 Rg6 72. Rh4 Rg7 73. Tb2 Rh7 74. Tf2 Rg7 75. Tf6 Ac8 76. Rg3 Ab7 77. Tf4 (77. e5 Ac8 78. Rf4 Ad7 79. Th6 Ae6 80. Rg3 Ac8 81. Rxh3 Axh3 82. Rxh3 Rg6 83. Rg4 Rg7 84. Rf5 Rg8 77. Rf4 Ac8 78. Th6 Ae6 senza possibilità di ulteriori progressi). 77... Rg6 78. Rxh3 Rxg5 79. Txf7 Axe4 dopo oltre 7 ore di gioco ed altre 50 mosse, la partita terminerà in parità. ½ - ½. SPQ&R _ 11
sul filo del rasoio: cioè sul filo del regolamento
Scac eF I
A.I. Sergio Pagano
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l rapporto tra il gioco degli scacchi e la fortuna è certamente affascinante, per vari motivi. Nell’immaginario comune gli scacchi sono visti come una metafora della massima razionalità; una partita a scacchi non è altro che un confronto fra due menti, la loro capacità di calcolo, il loro intuito, le loro conoscenze, la loro saldezza di nervi e resistenza fisica quando la partita si prolunga per molte ore consecutive. Che cosa c’entra la fortuna in tutto ciò? Eppure la fortuna, che a prima vista sembra cacciata fuori dalla porta principale del mondo degli scacchi, torna spesso a fare capolino alla finestra, e cerca di rientrare per le vie più subdole e strane. Non è un caso che in pochi minuti di ricerca su Google siano comparsi decine e decine d’interventi, articoli, blog, recensioni di libri che hanno come tema centrale il rapporto tra scacchi e fortuna. Alcuni anche recentissimi, a dimostrazione che il tema è vivo e attuale. Eppure a me sembra che, nonostante questa consistente mole di riflessioni sin qui ac-
chi ortuna cumulatasi, vi sia spazio per successivi approfondimenti e per una sistematizzazione dei principali argomenti. Ecco spiegato il motivo di questa breve serie di articoli, in questo e nei prossimi numeri di SPQ&R, destinati ad aggiungersi ai risultati che Google fornirà... Comincerò quindi con lo spendere qualche parola sui principali aspetti presi in considerazione finora. Prendiamo il primo capitolo del libro “Gli scacchi sono rotondi” di Mauro Barletta, ed osserviamo
che il titolo stesso del libro, il titolo del capitolo (“Dove si dimostra che la fortuna a scacchi esiste”) e il fatto che si tratta di un documento pubblicato sul sito ufficiale della Federazione Scacchistica Italiana (il link è: http://www.federscacchi. it/doc/notcom/d20130102121439_scacchirotondi.pdf ), confermano la nostra premessa. D’altra parte, un noto aforisma del campione mondiale di scacchi del secolo scorso, il cubano Josè Raùl Capablanca, recita: “Il bravo giocatore è sempre fortunato”. S’intende con ciò dire, nel libro citato e in generale, che capita spesso a forti giocatori di risolvere situazioni difficili in partita per meriti non loro propri, derivanti dalle loro capacità
scacchistiche, ma semplicemente perché all’improvviso l’avversario comincia a giocare male, assai meno delle sue reali capacità, e l’esito della partita, fino a quel momento scontato, si capovolge. Per capirci, è un po’ come se la Juventus, sotto di tre gol con l’Inter a pochi minuti dalla fine, ribaltasse il risultato grazie a due svarioni difensivi dei nerazzurri, una papera del portiere avversario e un clamoroso autogol. Fortuna? Abilità? Qualcuno avanzerà anche sospetti di combine, ma questo esula dal nostro tema...
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E qui il dibattito si fa ampio e controverso, senza che si riesca a trovare un accordo fra due tesi contrapposte. C’è chi dice che si tratta di pura fortuna, e chi sostiene che si tratta di particolari abilità, pur non direttamente collegate agli scacchi e alle sue regole, da collegarsi alla resistenza psicofisica e alla capacità di mettere in risalto e sfruttare i punti deboli dell’avversario; i punti deboli caratteriali più che quelli tecnici. Vi è poi un argomento abbastanza “forte” per sostenere che a scacchi la fortuna non esiste. Diversamente da molti altri giochi (come ad esempio quasi tutti i giochi di carte), negli scacchi le forze in campo sono equivalenti in numero e disposizione iniziale, e sono visibili a tutti, quindi non vi è alcuna possibilità di sfruttare una condizione di partenza privilegiata, o di “bluffare”, facendo intendere di avere
una condizione diversa da quella che effettivamente si ha. Argomento in apparenza solido e inoppugnabile, ma che, come cercherò di far emergere in seguito, pur conducendo all’eliminazione di molte tipiche situazioni di fortuna, non le rimuove tutte. In realtà, tutto sembra legato a che cosa intendiamo per “fortuna”. Se non c’intendiamo su questo termine, credo che si possa fare poca strada e ci fermeremo a discutere su ogni episodio e situazione, chi dicendo “Questa è fortuna!” e chi, viceversa, “Questa è abilità!”. Ciò su cui intendo ragionare non sono i casi imprevedibili che durante la partita sembrano determinare il corso degli eventi, (che è uno dei modi per definire la fortuna), ma quelli invece che, al di fuori della partita, possono influenzare le sorti della competizione
Per questa rubrica sono molto gradite domande da parte dei lettori: potete chiedere delucidazioni su qualsiasi aspetto regolamentare o sottoporre casi particolari. Si possono inviare le vostre domande scrivendo via email a: postalettori@spqrnews.com oppure spedendo una lettera in redazione. Vi aspettiamo! 14 _ SPQ&R
in modo favorevole o sfavorevole tra i contendenti. Alcuni esempi per chiarire questi casi imprevedibili: in una partita sarà “fortunato” il giocatore che avrà il Bianco, e “sfortunato” quello che avrà il Nero. Da un punto di vista statistico, ed anche secondo logica, è più alta la probabilità di vincere con il Bianco, che muove per primo, piuttosto che con il Nero, che muove per secondo. In un torneo con numero dispari d’incontri, sarà fortunato chi giocherà più partite con il Bianco piuttosto che con il Nero, e sfortunato chi si troverà nella situazione opposta. In un torneo in cui non tutti i giocatori si affrontano tra di loro (normalmente giocati con sistemi di abbinamento di tipo “svizzero”) sarà “fortunato” chi affronterà avversari mediamente deboli, rispetto a chi avrà avversari mediamente forti.
In questi esempi, tutto ciò che ha generato “fortuna” o “sfortuna” avviene al di fuori delle fasi della partita, pienamente all’interno delle regole del gioco, del tutto indipendente dalle scelte e dalla volontà dei partecipanti. A mio parere, è questo l’ambito proprio di definizione del termine “fortuna”, in cui non si può obiettare che sia coinvolta l’abilità del fortunato giocatore. Qui tutto, ma proprio tutto, lo decide la sorte... Un altro aspetto da considerare, implicito in ciò che ho già affermato sopra, è che vi può essere “fortuna” in una singola partita (che dipende da alcuni elementi), e “fortuna” in un torneo (che dipende da altri elementi). A scacchi però la singola partita quasi mai ha una valenza decisiva. Di solito, se l’evento agonistico si basa su una
singola partita, si tratta di un’incontro amichevole. I veri eventi agonistici sono i tornei (in cui l’esito si basa sul risultato di una sequenza di partite, di solito non meno di cinque); i match (una sequenza di partite in cui si affrontano due contendenti, alternando le partite giocate col Bianco a quelle giocate col Nero); gli incontri a squadre (partite giocate contemporaneamente dai membri di una squadra contro i componenti della squadra avversaria, in cui la metà dei componenti di una squadra gioca con il Bianco, l’altra metà con il Nero); i tornei a squadre (risultato finale determinato dai risultati di una sequenza di incontri a squadre). Sulla singola partita a mio parere non c’è quindi molto da aggiungere.Sarà fortunato chi la giocherà con il Bianco, e sfortunato chi avrà il Nero. Ma poiché la singola
partita non è decisiva per l’esito finale della manifestazione, se presumiamo che nel corso della manifestazione il numero di partite giocate con il Bianco sia uguale al numero di quelle giocate con il Nero l’effetto della fortuna dovrebbe risultare nullo. Ma quante partite ci toccherà giocare col Bianco e quante col Nero esula dalla singola partita e dipende dalle norme che regolano il torneo. Su queste ultime quindi va posta la nostra attenzione, in quanto stabiliscono quali avversari dovremo affrontare, in che ordine, con quale colore, Bianco o Nero. Ed è qui, tra le strette maglie delle regole di abbinamento, che a mio parere riesce a insinuarsi la fortuna, che pure gli scacchi, come tali, hanno preteso di allontanare da sé. Alle regole di abbinamento rivolgeremo quindi la nostra attenzione nel successivo articolo, che troverete nel prossimo numero di SPQeR.
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Maestro Mario Leoncini
Corso di scacchi per principianti
lezione 1 la
scacchiera 16 _ SPQ&R
La scacchiera Gli scacchi si giocano su una tavola quadrata composta da 64 caselle, dette anche “case”, poste in file di 8, alternativamente chiare e scure.
La scacchiera va collocata in modo tale che la casella d’angolo, alla destra di ciascun giocatore, sia chiara. Sulla scacchiera troviamo le traverse, le colonne e le diagonali.
Le quattro caselle centrali formano il “centro”. Ogni casa del 7 è contrassegnata in modo inequivocabile da una lettera e da una cifra. Le colonne sono contrassegnate dalle prime otto lettere dell’alfabeto latino mentre le traverse dai primi otto numeri.
In questo modo è facile distinguere ogni casa. Nell’esempio la casa contrassegnata da una crocetta si chiama “c4” mentre quella con il pallino “g5”. Questo sistema di indicare le case della scacchiera è la base indispensabile per la notazione scacchistica. La notazione permette di registrare le partite e di poterle ricostruire. SPQ&R _ 17
Maestro Riccardo del Dotto
L'insolito dinamismo del
signor g 18 _ SPQ&R
P
otrebbe anche essere un omaggio a Giorgio Gaber. Perché in prestito prendiamo un nome, quello del signor G. È un Pedone il signor g di cui parliamo; g rigorosamente in minuscolo, un pedone di quelli ordinari, sedentari, abitudinari, al massimo si concede un fianchetto in compagnia dell’Alfiere amico, ma non di più, non sarebbe il caso. Sempre attento il signor g, sempre attento a tener chiusa la porta dell’arrocco, non sia mai che il Re prendesse freddo, per carità. Una vita noiosa, avvelenata dall’invidia, per quei due fratelli intraprendenti: il signor f, sempre al centro dell’attenzione, amante del brivido, considerato nell’ambiente dei giocatori d’attacco, ed il signor h, il preferito di sua maestà, così untuoso, sempre bendisposto a far spazio al suo padrone, un raccomandato pronto a far carriera nel finale. Ma non sempre le partite vanno così. Almeno nelle partite dei campioni, il signor g sa di ricevere stima e considerazione. E il primo a sdoganarlo dall’angusto ruolo di addetto alla portineria è stato Bobby Fischer. La partita che segue è un discreto test per valutare la creatività del giocatore medio.
Berliner H.J. – Fischer R.J. Bay City, 1963
L’ultima mossa del Bianco è stata Db2d4, un’ottima centralizzazione. Una prima valutazione statica ci permette di rilevare la buona collocazione dei pezzi del Nero e la sua maggioranza pedonale 2 a 1 sul lato di Donna. Peccato che non si possano subito aggredire i pedoni doppiati del Bianco sulla colonna “e”, a causa della debolezza dell’ottava tra-
versa. Sarà quindi il caso di concedersi una casa di fuga... 20...g5! Eccoci qua: una mossa di cui Bobby Fischer ha il copyright. Il giocatore medio il più delle volte in questa posizione sceglie l’usuale h7-h6. Se è in vena di follie, magari si spinge un passo più avanti con h7-h5, ma in pochi azzardano il tratto del grande Bobby. Cerchiamo di comprenderne le ragioni: la struttura pedonale centrale è ben definita, questo giustifica l’azione ad Est, oltre al fatto che il Bianco si ritrova adesso con il pe4 in presa, ragion per cui dovrà ricorrere a f2-f3. Benissimo: g7-g5 va allora nella direzione corretta! 21.f3 g4! Colpisce il segnale d’attacco appena comparso in f3. Il piano di Fischer ha permesso di dare un senso alla Df4, altrimenti un po’ isolata dal contesto. Tentare di guadagnare un pedone con 21...Tc5 poteva portare a complicazioni tattiche sulla settima traversa dopo 22.Ae8 o 22.Ac4. 22.Ae2. È un’avventura senza ritorno 22.Dd7 gxf3! 23.Dxb7 De3+ 24.Rh1 fxg2+ 25.Rxg2 Tc2+ con matto a seguire. 22...gxf3 Qualcuno ha addirittura bollato col “?” il tratto del testo, ma non sembra affatto chiara la presunta continuazione vincente: 22...Tc2
23.g3 Dh6 24.Dd3 Txa2 25.fxg4 Rg7 (25...Dg5!?) 26.Df3 Dg6 poiché a questo punto il Bianco spara 27.h4! Axe4 (27... Dxe4?? 28.Df6+ Rg8 29.Td8#) 28. De3 h5 29.Td4 Ac6 30.Ad3 e forse adesso il Nero fa bene a ripiegare su uno scacco perpetuo con 30...Ta1+ 31.Rf2 Ta2+ 32.Rg1 Ta1+. 23.gxf3 Il Bianco poteva costruire un adeguato piano difensivo: 23.Axf3 Rg7 24.Tf1! con minacce tattiche sul punto f7. 23...Rh8! È fondamentale scansarsi per primi! Grave peccato di gola 23...Tc2 24.Rh1! Txe2? 25.Tg1+ ed è il Bianco che dà matto per primo. 24.Rh1 Aa6! Fischer tenta il colpo tattico basato sulla liquidazione. 25.Df2? Berliner va in ambasce e fa il gioco dell’avversario. Si imponeva 25.Dd2! Dxd2 26.Txd2 Axe2 27.Txe2 ed il Bianco ha buone chance di pattare il finale. 25...Axe2 26.Dxe2 Dxe5 Guadagnando un sano pedone: il resto è un esempio della straordinaria tecnica del campione americano. 27.Tg1 f5 28.Dd3 fxe4 29.fxe4 Tf8 30.Dc2 Df6 31.Tg2 Dd4 32.h3 Da1+ 33.Tg1 De5 34.Dg2 b5! La spinta del candidato che valorizza la maggioranza. 35.Dc2 b4 36.Dg2 a5 37.Dc2
Df6 38.Dc4 Df3+ 39.Rh2 Td8 40.Dc2 Dc3 41.Dxc3+ bxc3 42.Tc1 Td3 43.Tb1 Rg7 44.Tb5 a4 45.Tc5 a3 46.Rg2 Te3 47.Tc4 Rf6 48.h4 Re5 49.Rf2 Th3 50.Rg2 Td3 51.h5 Rf4 52.h6 Re3 53.Tc7 Rd2 0–1 Certamente molti lettori avranno conosciuto l’esempio precedente. Sanno che talvolta il signor g è in grado di prendersi le sue libertà, ma il problema fondamentale della partita è capire il
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momento critico, sapere identificare il “quando”. Quando posso puntare sul dinamismo del pedone g? L’esempio che segue prova a fornirci la risposta. Quando un bilancio statico della posizione ci vede soccombere, non possiamo affidarci alle mosse di routine, bisogna sovvertire lo status quo. Uno dei maestri in questo campo era il danese Bent Larsen, qui affrontato da Mark Taimanov. La partita che segue è uno straordinario scontro tra titani. Eppure entrambi furono spazzati via in due match tennistici 6-0, 6-0 dall’incredibile Bobby. L’accostamento delle due partite è stato puramente casuale.
Taimanov M. – Larsen B. Vinkovci, 1970
Con l’ultima mossa Dc2-b3 Taimanov ha messo sotto osservazione i pedoni b7 e d5. La sua posizione sembra eccellente: la coppia degli Alfieri del Nero non incide, e basterà arroccare per iniziare a giocare contro il pd5 isolato. Larsen non può proseguire in maniera standard, con mosse ordinarie, deve assolutamente trovare qualcosa di dinamico! 14...g5!! In questo tratto c’è tutta la profondità del GM danese, il suo antidogmatismo, la sua straordinaria creatività. Di fatto è l’unica strada, rapidissima, per cercare di sfruttare la momentanea presenza del Re bianco al centro. Le altre candidate non reggono il confronto: a) 14...Td8 15.Db5 ed il cambio Donne favorisce il Bianco per la miglior struttura pedonale; b) 14...Ag4 15.Ce5 Cxe5 16.Axe5 offre lo spunto per una piccola riflessione sul pedone isolato ed i pezzi leggeri: come sostiene il GM Joe Gallagher, se questi sono quattro, la posizione è favorevole al proprietario dell’isolano; se i pezzi leggeri si riducono a tre, la situazione è in equilibrio; se diminuiscono ancora, il finale sorride a chi combatte contro il pedone isolato; c) 14...d4 15.Cxd4 Cxd4 16.exd4 Af6 17.Ae3 sacrifica il pedone isolato, ma non guarisce il Nero dal ritardo di sviluppo; d) 14...Af6 15.0–0 ed è triste ora 15...d4 16.Cd5. 15.Ag3. La chiave tattica dell’idea di Larsen si basa sull’attacco di scoperta in orizzontale 15.Axg5? Axg5 16.Cxg5 d4!. 15...g4 16.Cd4?! L’apertura delle linee centrali è scelta discutibile con il Re non arroccato. Taimanov doveva obbligatoriamente giocare 16.Ce5! Af6 17.Cxc6 bxc6 18.0–0 Ae6 19.Ce2!? con situazione in divenire. 16...Cxd4 17.exd4 Ag5! 18.0–0?! Il Bianco preferisce sacrificare una quali-
tà, pur di non rimanere con il Re al centro. Poteva anche funzionare a) 18.Td1 Te8+ 19.Rf1 Da6+ 20.Rg1; b) oppure 18.Tc2 Te8+ 19.Te2 Txe2+ 20.Rxe2 b6. 18...Axc1 19.Txc1 Ae6 20.h3!? Le spinte del pedone g hanno pure un difetto: se il Re è arroccato corto, senz’altro quest’ultimo ne risulta indebolito. Taimanov trova un modo ingegnoso per costruire un contrattacco. Lodevole. Non convince del tutto 20.Dxb7 Db6 21.De7 Dxd4 buona per il Nero. 20...gxh3 21.Ae5 f6! Necessario metterci una pezza. 22.Ce4! Lo sgombero della terza traversa in cui confidava il Bianco. 22...fxe5! Perdente 22...dxe4? 23.Dxe6+ Rh8 (23...Tf7 24.Tc7) 24.Axf6+ Txf6 25.Dxf6+ Rg8 26.Tc3. 23.Dg3+ Ag4! Un’interferenza che avrà l’effetto di scoordinare totalmente i pezzi bianchi, d’ora in poi incapaci di collaborare in funzione dello scacco matto, altrimenti difficile da parare, se non a prezzi salati. Insufficiente sia a) 23...Rh8 24.Dxe5+ Rg8 25.Dxe6+ Rh8 (25...Tf7 26.Cg5 Taf8 27.Cxf7 Txf7 28.Tc8+ Rg7 29.De5+ Tf6 30.De7+ Rg6 31.Tg8+ Rf5 32.g4+ Rf4 33.De3#) 26.De5+ Rg8 27.Tc3+-; sia b) 23...Rf7 24.Cd6+ Re7 25.Dg7+ Tf7 (25...Rxd6 26.dxe5#; 25... Af7 26.Cf5+ Rd7 27.Df6+-) 26.Cxf7 Axf7 27.Dxe5+ Rf8 28.Tc7 con minacce imparabili. 24.Dxg4+ Rh8 25.Cg5 La Donna su casa chiara non ha più la stessa efficacia. 25...Dd2 26.Tc7 Troppo passiva 26.Tf1 Dxd4 27.Dh5 Dd3 28.Cf7+ Rg7 29.Cxe5 Df5–+. 26...Dxf2+ 27.Rh2 Dxg2+ Il cambio delle Donne sancisce il tramonto dell’attacco del Bianco. 28.Dxg2 hxg2 29.dxe5 Tac8 30.Txb7 Non cambia la sostanza 30.Txh7+ Rg8 31.Txb7 Tc2 32.Ch3 Tf1 33.Cg1 Tf5–+. 30...Tc2 31.Cf7+ Rg7! 32.e6 Rf6 33.e7 g1D+ 34.Rxg1 Tg8+ 0–1 Ora mettiamoci del nostro. Il seguente esempio è un buon esercizio per le capacità di calcolo. Più volte l’ho sottoposto ad allievi di categoria nazionale. Anche il Nero in partita ha sbagliato. Il Nero ero io. Il Bianco è il caro amico Leandro Zucconi, che, una volta di più, conferma di possedere un’ottima comprensione del nostro gioco.
e7, ma erano anni in cui volevo sperimentare le mie capacità di calcolo. Non dare ascolto alla sensibilità posizionale, ma puntare tutto sulla verifica concreta delle varianti. Costruire alberi, pensare per schemi, esaminare attentamente le candidate, partendo dalle mosse più forzanti. Kotov, Dvoretsky e Aagaard erano i miei punti di riferimento! “Ok, se gioco Af8-d6, la Tc8 rischia di rimanere sospesa, ma la soluzione è calcolare tutte le varianti, no?” Così andavo rimuginando. Dopo 11...Ad6 presi ad analizzare prima di tutto 12.Da4+ Dd7 13.Dxd7+ Rxd7 14.Axd6 Rxd6 e la centralizzazione del Re non era certo cosa sgradita in prospettiva. Poi passai all’esame degli attacchi di scoperta che il Cc3 poteva riservarmi dopo 12.Axd6 Dxd6: 13.Ce4 e 13.Cb5 erano facilmente ribattute da ...Dd6b4+; 13.Cxd5, che poteva eventualmente speculare sullo scacco intermedio in f6, non funzionava perché semplicemente con ...e6xd5 il mio Af5 difendeva la Tc8. Tutto a posto, quindi! Avanti con... 11...Ad6? 12.Axd6 Dxd6 13.g4! E questa qua? Tutto fu chiaro in un baleno: con tale spinta il Bianco realizza una spietata deviazione dell’Af5 dalla diagonale c8-h3, per realizzare al colpo successivo la scoperta Cc3xd5, quella che fa affidamento sullo scacco intermedio... Leandro aveva tagliato al piede il mio albero delle varianti! Crollavano Kotov, Dvoretsky, Aagaard e tutto il mio approccio analitico! Pensai di dedicarmi alle freccette. Poi mi ricordai di essere paurosamente miope e continuai a giocare. 13...Ag6 14.Cxd5! 0–0 15.Cxf6+ gxf6 16.0–0 Db4 La partita proseguì ed il Nero vinse immeritatamente. Ne risparmio il seguito. Gli scacchi spesso sono un gioco fondamentalmente ingiusto.
Zucconi L. - Del Dotto R. Montecatini, 2008 Tocca al Nero. È logico che svilupperà l’Af8 in e7 o in d6. L’intuito mi diceva SPQ&R _ 21
Luca Cerrato
Foto di Mike Rosa
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Gli scacchi960 e... Bobby Fisher N el mese di novembre dell’anno appena passato è stata fondata una nuova associazione ludica sportiva, rivolta al mondo degli scacchi. Il suo nome, ”Scacchi960 e Scacchi Eterodossi”, è alquanto originale, ma rimanda ad uno scopo ben preciso: diffondere la cultura del gioco ed in particolare quella degli scacchi eterodossi. E’ del tutto verosimile che qualche lettore potrebbe non sapere che cosa sono gli scacchi eterodossi. Per spiegarlo in modo semplice, va detto che da una parte c’è il gioco degli scacchi (ortodosso), dall’altra tutte le modifiche apportate al regolamento originale, che vengono considerate delle eterodossie. Per esempio: volete aumentare la dimensione della scacchiera? Ecco che avete appena realizzato una variante. L’originare una variante può essere considerato il giocare con il regolamento, in altre parole giocare con il gioco, un divertimento che tutti dovrebbero provare. In particolare, l’attività dell’associazione si concentra sulla variante degli scacchi 960, che sono una leggera deviazione dal gioco originale; infatti, nel mondo degli scacchi eterodossi si possono gio-
care varianti molto più radicali. Se avete tempo e volete approfondire la materia, vi consiglio di farvi un giro in rete, e nel vostro motore di ricerca preferito digitate le parole chess variant e scoprirete che cosa l’ingegno umano è stato in grado ideare: in alcuni casi si riconosce a malapena l’originale da cui si è partiti. Gli scacchi 960 utilizzano la classica scacchiera e i pezzi tradizionali. Questa variante fu ideata dal grande campione statunitense Robert Fischer nel 1995. Perché un famoso campione di scacchi ha sentito la necessità di creare una variante? Quando nel 1972 divenne campione del mondo, Fischer lavorò molto allo studio delle aperture, ma nel 1992, quando rigiocò l’incontro con Spassky, si accorse dell’enorme sviluppo che nel frattempo era avvenuto nella teoria delle aperture. Questo progresso aveva portato anche giocatori di club ad esibirsi in grandi aperture, cui però facevano seguito centro e finali di partita molto deludenti. Tale considerazione indusse Fischer a pensare un modo alternativo, con un inizio di partita che mettesse nuovamente in risalto l’inventiva e l’abilità del giocatore, dando minore peso allo studio
mnemonico. Ciò lo portò a promuovere la variante degli scacchi Shuffle, chiamati anche Fischer Radom Chess, in cui i pezzi nelle rispettive prime file venivano ridistribuiti. Ovviamente, Fisher non aveva intenzione di stravolgere il gioco; quindi pose dei vincoli da rispettare per far rimanere gli scacchi nei binari dell’ortodossia. Le pietre miliari da rispettare ancor oggi sono:
di pezzi. Da una mia ricerca effettuata sul libro The Classified Encyclopedia of chess variants di D.B. Pritchard le prime notizie certe di questa pratica scacchistica risalgono alla metà del diciannovesimo secolo, molto probabilmente con Alexandre autore della Encyclopédie des Echecs nella Les Mathématiques des Jeux. La primissima disposizione non ortodossa, nota, è la seguente: Alfiere – Torre – Re – Torre – Alfiere – Cavallo – Cavallo – Regina. Venne utilizzata nell’incontro del 1851 tra E. Van der Hoeven e T. von Haydebrand, anche se non si conosce se fu dovuta ad una scelta volontaria oppure al caso. Le primissime varianti di questo tipo comunque prevedevano degli scambi tra pezzi. Il primo è il cavallo con l’alfiere, numero di aprile del 1857 della rivista Illustrated London News, oppure, sempre sulla medesima rivista nel mese di Maggio, la torre con alfiere. La leggenda vuole che quest’ultima variante fosse
Hans-Walter Schmitt e Nakamura Beutel vs Kosteniuk
• I pedoni non cambiano la loro posizione. • I due alfieri devono essere sistemati uno sulla casella nera e uno su quella bianca. • Al re deve essere data la possibilità di arroccare, quindi deve sempre essere imprigionato tra le due torri. Tenendo conto delle regole precedenti le possibili combinazioni di disposizione dei pezzi sono appunto 960. Il primo torneo in rete fu giocato nel 1996-7 e vi parteciparono 11 giocatori. Il geniale Fischer non fu certamente il primo ad avere l’idea di ricollocare i pezzi sulla scacchiera. Qui di seguito scopriremo un po’ di storia di questo genere di scacchi eterodossi, in cui si determinano varianti semplicemente cambiando di posto, aggiungendo oppure togliendo in base alle necessità un certo numero
giocata da Capablanca, come diversivo durante il lungo incontro mondiale con Lasker. Altro scambio importante, per creare una simmetria verticale, è quello tra regina e re bianco, su cui si effettuò nel 1937 un torneo per corrispondenza. In un crescendo di scambi, si arriva anche ad invertire due intere file di pezzi. Questo avviene negli scacchi bolscevichi, SPQ&R _ 23
siamo nella Russia del 1918. I pezzi nobili sono posizionati di fronte al nemico, mentre i pedoni proletari sono messi al riparo, nelle retrovie. Oltre a cambiare di posto, si può anche pensare di eliminare qualche pezzo oppure di aggiungerne. Il caso più semplice è quando, per bilanciare le forze in campo, il giocatore più forte decide di togliersi qualche pezzo. Mentre in una variante russa, vecchia di alcuni secoli, giocata soprattutto dai bambini, sono tolti tutti i pezzi ad eccezione dei pedoni e dei re. Interessante anche il caso in cui, al posto di un pezzo, viene aggiunto un numero di pedoni pari al rapporto di forze con il pezzo che si sostituisce . La regina è valutata su per giù nove volte il valore del pedone e nel 1837 si dimostrò praticamente tale rapporto di valore. Il giocato-
re nero ha a disposizione i classici pezzi, mentre il bianco, al posto della regina, ha nove pedoni distribuiti nella sua parte di scacchiera. Del gioco furono giocate centinaia di partite. Una variante di questo tipo, ancora più spinta, fu giocata da Walter Browne e Ralph Betza negli anni ‘60, quando il bianco aveva un re e sette regine, mentre il nero un re e 47 pedoni. Il nero vinse tutte le partite. Terminiamo l’articolo accennando ad alcune varianti che hanno le posizioni dei pezzi, decise liberamente dai giocatori stessi. Nel gioco del calcolo, The game of calculation, del 1806, i giocatori scelgono il numero e il tipo dei pezzi da schierare. A ogni pezzo è dato un certo valore, la regina vale 10 punti, torre 5 punti, alfiere 3,5 punti, cavallo 3 punti e pedone 1 punto.
Hans-Walter Schmitt ha promosso lo sviluppo degli Scacchi960 in Germania e nel mondo ed ha organizzato le edizioni del Chess Classic ove c’era anche il Campionato del Mondo di Scacchi960 piü l’open per qualificarsi alla finale dell’anno successivo. In alto a sinistra il giovane Max Leo Deppe e Samuel Weber, due giovani promesse. Nakamura e Kosteniuk sono rispettivamente il Campione Assoluto di Scacchi960 e la Campionessa Femminile; ma sono anni che non difendono il loro titolo e, scomparso il torneo di Francoforte/Magonza non vi é un sistema di selezione per poi sfidare il campione e campionessa. 24 _ SPQ&R
Ogni giocatore ha un massimo di 20 punti da spendere in acquisti ludici. Si può per esempio decidere di schierare più di
turno, il giocatore può rimpiazzare uno di questi gettoni con un pezzo in suo possesso (rispettando alcuni vincoli), oppure muovere un pezzo già in gioco. Se la mossa termina su un gettone, questo è perso.
Sopra da sinistra: La Campionessa del Mondo di Scacchi960, Alexandra Kosteniuk, impegnata in una simultanea di scacchi960 a Magonza nel 2010.
una regina oppure un’armata di pedoni. Un gioco con una simile filosofia è stato proposto in questi ultimi anni, lo Shuuro.
Il Campione del Mondo di Scacchi960, Hikaru Nakamura, impegnato nella finale del 2009.
Un altro, interessante sistema per piazzare i propri pezzi è quello utilizzato nella variante Deployment chess. Inizialmente sulla scacchiera, nelle rispettive prime tre righe, sono collocati 24 gettoni, chiamati punti di creazione. Al proprio
Vi segnalo infine una variante degli scacchi Kriegspiel (niente poco di meno che “variante di variante!”). Questa scelta di gioco ha la caratteristica che i giocatori non vedono i pezzi avversari; indispensabile è la presenza di un arbitro, unica persona a conoscere la situazione di gioco completa, e responsabile della gestione e della correttezza delle mosse. Nella variante ideata da Hubert Phillips (siamo nella prima metà del secolo scorso) i giocatori dispongono i propri pezzi, segretamente, su qualsiasi casella della loro metà scacchiera. A sistemazione avvenuta, l’arbitro comunica la disposizione dei due Re; poi la partita ha inizio.
è nata! Associazione Scacchi960 e Scacchi Eterodossi. Scopri il mondo degli scacchi eterodossi e visita la nostra pagina
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Scacchi - Pugilato JosĂŠ Sanchez
una battaglia in Quadrati
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Traduzione di Gordon Linnell Foto di Christie Goodwin Stephen Johns
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re giorni prima dell’incontro tutto è cominciato a cambiare nella mia mente: il mio mondo era totalmente trasformato nel pugilato e negli scacchi, e perciò nel pugilato-scacchi. Quando parlo di una transizione, non mi riferisco esattamente alla solita crisi nervosa prima di una gara sportiva. Personalmente affermo che una tale crisi per me è rara: accetto le mie sfide con calma. Non penso al pugilato come a un combattimento, ma come a un gioco, e nello stesso modo con il pugilato-scacchi. Non mi sento di affermare che la mia tranquillità esagerata significhi un vantaggio; altri atleti dicono che è la paura che mantiene la loro prontezza e li aiuta a visualizzare varie possibilità. Forse è questa mia tranquillità la causa dei risultati negativi da me subiti! Non volevo mai vincere ai punti, soltanto per KO, e senz’altro questo ha influenzato le mie strategie. Ho deciso di traslocare a Londra la sera prima dell’incontro, sperando in una notte di sonno rigenerante. Lavoro come volontario a Colchester, in Inghilterra, presso un asilo temporaneo per senzatetto. Per motivi professionali alloggio in quell’asilo e col
passar del tempo ho dovuto accettare che il mio riposo notturno non fosse soddisfacente. E’
grazie a Tim Woolgar, il CEO del London Boxing Club, al quale avevo espresso le mie preoccupazioni, che ho potuto dormire bene la notte prima della gara, perché Tim mi ha
permesso di alloggiare nel suo appartamento. Dunque, il giorno dell’incontro mi sentivo fisicamente e mentalmente rinfrescato; il che mi ha dato più sicurezza delle mie forze, nonostante la mia mancanza di preparazione per la sfida. E’ davvero difficile allenarmi bene perché non ho una residenza permanente in Inghilterra; trasloco spesso in nuove città, accettando di volta in volta posti come volontario. Per questo non mi è possibile arruolarmi in un club di pugilato, neppure di scacchi. Sono arrivato all’Albert Hall alle 5 del pomeriggio, circa 5 ore prima del mio ingresso sul ring. Mi sentivo nervoso; il mio avversario, Dymar, aveva l’aria SPQ&R _ 27
pensierosa. Al controllo, io pesavo 67.5 kg, Dymar 66. L’incontro era vicino…. Mi sono concentrato sul mio rituale; ho cercato un posto confortevole e tranquillo, e indossando il mio asciugamano come abito aggiuntivo (faceva molto freddo per un ragazzo della Costa Rica!), ho accostato due sedie e mi ci sono sdraiato sopra. Sono riuscito a dormire qualche minuto. Mi sono svegliato: dovevo fare un’intervista. Il mio intervistatore però non c’era e la gara doveva cominciare entro pochi minuti…Mi sentivo irritato. Infine è arrivato, scusandosi. Breve intervista, poi ho fatto i miei esercizi di riscaldamento. E’ stato l’artista Iepe Rubingh il primo a
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dipingere l’arte del pugilato scacchi (oggi sembra più uno sport che un’arte, anche se l’arte sempre c’è!). E Tina la Ragazza Hula Hula, che ha riscaldato il pubblico prima dell’incontro, ha certamente mostrato la sua ottima arte. Terminato lo Tina Show, la “mia” ora era arrivata. Mi sentivo davvero ispirato, quasi come uno scultore pronto a rivelare la sua ultima opera al pubblico pieno d’attesa. Sarò io il campione! Il presentatore effusivo annuncia il mio nome in stile Las Vegas:
Tim Woolgar, l’organizzatore degli eventi londinesi suona il “Matador” (l’assassino), la canzone che ho scelto per il mio ingresso nel ring. Mi sento davvero a mio agio, provando una felicità indescrivibile. Il presentatore accoglie sul ring “I due migliori pugili-scacchisti di peso medio nel mondo!” Salgo sventolando due bandiere, quella costaricana e quella britannica, per mostrare il mio orgoglio nel rappresentare il mio Paese e il mio apprezzamento per l’occasione offertami qui a Londra. Un minuto dopo sono davanti alla scacchiera, faccia a faccia col mio avversario. Indosso la cuffia auricolare per non sentire i rumori della folla. Il sorteggio
mi ha favorito: gioco con i pezzi bianchi. Al suono del gong decido subito di fare una mossa aggressiva, una semplice D2, che avevo provato da mesi. E continuo, usando mosse studiate in anticipo. Termina la ripresa, ma totalmente assorbito dagli scacchi, non voglio lasciare questo affascinante mondo di Cavalli e Torri! Nel mio angolo indosso i guanti, poi l’arbitro ci dà i consueti avvertimenti. Comincia il pugilato. Si alternano i primi colpi e capisco subito perché il mio avversario è soprannominato La Dinamo Tascabile! Ma via tutta la paura! Mi concentro, immaginando che le mie mani siano due martelli; voglio che lui, SPQ&R _ 29
il rivale, provi timore! Sono sicuro che Dymer, dopo un mio pugno, tocca il tappeto col ginocchio (era chiaro nel video), ma l’arbitro non fa il conteggio di protezione. Poi mi avvicino aggressivamente a Dymer e gli appioppio colpi importanti sul corpo. Il suono del gong interrompe la mia azione e non ho così il tempo di sfruttare questo mio vantaggio. Adesso tocca alla mia mente di fare il KO. Ma dopo qualche mossa mi rendo conto che devo procedere con prudenza. La Regina del mio rivale minaccia il mio Pedone su B2. Mi viene l’idea di sacrificare il mio Pedone; dunque sposto la mia Regina accanto alle mie Torri per potere recuperare il Pedone perso, minacciando la Regina avversaria con una Torre; così spero di catturare il suo Pedone sulla colonna B. Ma non mi rendo conto che facendo questo lascio la mia Torre su A1 senza protezione! Una volta capito l’errore, decido di attaccare la Regina di Dymer costantemente con Cavallo e Torre. L’arbitro mi chiede se voglio accettare il pareggio. Rifiuto. Lui mi dice di fare una nuova mossa. Sono indeciso. E poi, una sorpresa: i due arbitri decidono che la gara dovrà essere risolta con i guanti. Sono contento. Sono sicuro di poter mettere KO il mio avversario e vincere così il titolo mondiale! Attacco; sono dominante; metto Dymer alle corde….ma dopo due minuti (quanto avrei voluto i tre ai quali sono abituato!) suona il termine della ripresa. Il titolo verrà dunque deciso ai punti. L’arbitro ci fa venire al centro del ring. Si sente agli altoparlanti la voce dell’annunciatore: …“Vince, di un solo punto….il nuovo campione del mondo….dall’Armenia, Dymer Agasaryan!” Senz’altro non sono contento; mi considero sfortunato. Ricevo parole di sostegno e di consolazione da parecchia gente (compresa Tina!). In ogni modo, ho avuto l’onore di scrivere la prima pagina della storia del pugilato-scacchi costaricano: una bella soddisfazione per me! Nota: Dopo la gara, il nostro amico costaricano ha ricevuto l’invito a rappresentare la Spagna (insieme con Daniel Lizzaraga e Isidro Getafe) nel torneo conclusivo della stagione pugilato-scacchi del 2012. E’ stato molto felice di accettarlo!
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Scacchi - Pugilato Volfango Rizzi
Quando lo sport diventa troppo
spettacolo U
n altro appuntamento con gli scacchipugilato, organizzato dall’attivissimo Tim Woolgar. Il luogo dell’evento è, ancora una volta, la Scala a Londra, in Kings Cross, e, nuovamente, si svolge in concomitanza con un grande evento scacchistico. Se la volta scorsa, l’incontro era avvenuto in contemporanea con il Gran Prix FIDE, in quest’ultima occasione coincide con il grande evento scacchistico London Chess Classic, uno dei tornei più importanti e conosciuti al mondo. L’evento di scacchipugilato annunciato nell’occasione era Spagna vs il Resto del Mondo, ma, in seguito ad aggiustamenti nel programma, s’è svolto anche un combattimento tra due atleti inglesi. Comunque, sono sempre stati 4 gli incontri in programma, la cui qualità sia nel pugilato sia negli scacchi è stata senza dubbio superiore a quella riscontrata, per esempio, nella manifestazione del 29 settembre.
Foto di Christie Goodwin e Stephen Johns
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A Londra, più che all’aspetto sportivo o agonistico dell’evento, si guarda allo “spettacolo”: é una serata di divertimento (per il pubblico) che si svolge un sabato sera. Se da un lato questo modo di vedere è positivo, perché vi sono sempre molti giovani spettatori tra i venti e i trent’anni tra il pubblico, numerose persone che assistono agli scacchipugilato per la prima volta, accanto ad altre che già lo conoscono; dall’altro è vissuto come negativo dagli atleti e da chi si è impegnato per essi, come i loro preparatori. A volte, infatti, è frustrante costatare
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che il proprio lavoro é poi compromesso da una gestione dell’organizzazione spesso improvvisata e pressappochista oppure, ancora peggio, mossa da altri interessi, legati specificamente allo spettacolo. Della “disavventura di José”, nel precedente evento di ottobre (alla Royal Albert Hall), avete occasione di leggere nell’articolo precedente, direttamente da lui. Rieccolo quindi in dicembre, José, di nuovo a combattere nell’evento londinese! Anche se egli è costaricano, consideran-
do che il padre è spagnolo, è stato invitato a combattere nella squadra spagnola. A Londra, i round sia di scacchi sia di pugilato non sono precisi nel tempo di durata, che è per ognuno di quattro minuti per gli scacchi e di tre per il pugilato. Inoltre i tempi di pausa tra un round e l’altro sono a volte dilatati. Certe volte si ha l’impressione (ma probabilmente è solo una nostra impressione), che si voglia pilotare la serata, in modo di renderla più rispondente alle aspettative dell’organizzazione, come ad esempio rendendo un incontro più lungo o facendolo terminare con la ripresa di pugilato anziché con quella degli scacchi, come è avvenuto nella sfida tra Ravil Galiakhmetov e José Sanchez. A quel punto la Spagna aveva già vinto la competizione, perché conduceva per 2 a 0 ed era rimasto da disputare soltanto un incontro valido per questa sfida tra iberici e resto del mondo. Era anche il quarto e ultimo match della serata. Durante le riprese di pugilato José Sanchez si era dimostrato molto abile, ed era in gran vantaggio anche negli scacchi, sia per posizione sia per tempo sull’orologio. Nel pugilato aveva fatto molto bene, nonostante avesse dovuto subire molteplici scorrettezze da parte del suo avversario, come l’uso irregolare di testa e gomiti, spinte e pugni dietro la nuca: una serie che sarebbe stata più che sufficiente per squalificarlo; invece, non c’era stata neppure una ammonizione per il suo rivale. Verso la fine della nona ripresa, a quest’ultimo non rimanevano che pochi secondi di gioco, e lo scacco matto da parte di José era prossimo (anche se la cosa più verosimile sarebbe stata la perdita della partita da parte di Galiakhmetov per tempo scaduto). Com’era avvenuto per tutta la serata, il suono di una trombetta (tipo quelle da stadio) decretava la fine del round, viceversa, in questo frangente l’arbitro degli scacchi Rajko Vujatovic, presidente del London Chess Boxing, decretava la fine della ripresa undici secondi prima del termine dei 4 minuti. La decima ripresa, per regolamento l’ultima di pugilato prima di finire con l’undicesima di scacchi, vedeva i due
combattenti scambiarsi colpi con la vitalità dei primi round. Sin dai primi secondi si vedeva Sanchez in difesa. Il suo avversario si accorgeva di questa temporanea difficoltà e, dopo solo 20 secondi dall’inizio del round, lo mandava al tappeto, sferrandogli un pugno ma aiutandosi anche con una spinta, cosa contraria al regolamento, ma non rilevata dall’arbitro, che ha contato Sanchez. Quest’ultimo s’è rialzato prontamente, dimostrandosi pronto a continuare il combattimento, ma l’arbitro ha viceversa sanzionato la fine dell’incontro. Certamente la salute degli atleti deve essere salvaguardata, ma questo si deve fare soprattutto redarguendo e, se necessario, ammonendo e sospendendo chi commette scorrettezze, non permettendogli di farle in continuazione. E’ fuor di dubbio che se un pugile non appare più lucido, bisogna pensare primariamente a salvaguardare la sua integrità psico-fisica, ma non è stato questo il caso di José, che appariva veramente pronto a riprendere, tenendo nel debito conto che il suo rovinoso atterramento era stato anche causato dalla contemporanea spinta ricevuta. Per di più, pare che il pavimento del ring fosse stato rubato la notte precedente e gli atleti in prati-
Risultati della serata dell'8 dicembre 2012 • Isidro Gete (Spagna) batte Benny Kang (Sud Corea): KOT 4^ ripresa • Ricky Brown (Inghilterra) batte Jack Page (Inghilterra): scacco matto 7^ ripresa • Danial Lizarraga (Spagna) batte Vladimir Makarov (Russia) KOT 4^ ripresa • Ravil Galiakhmetov (Russia) batte José Sanchez (Costarica-Spagna): KOT 10^ ripresa
ca stavano combattendo su una tavola di legno ricoperta da un panno tipo moquette, che rendeva un atterramento più duro del solito. L’incontro di José, invece di terminare con uno dei due giocatori che avrebbe vinto per il tempo, si è risolto in un KO tecnico, forse più spettacolare, e giocando una ripresa in più. I round di scacchi sono stati ben commentati dal GM
Stuart Conquest, mentre il primo, commentato dal GM Raymond Keene, non è stato altrettanto coinvolgente. Al termine dell’incontro, il pavimento del ring era fittamente coperto da lattine di birra e bicchieri di plastica, ad indicare il gradimento degli spettatori alla serata e la loro probabile presenza ad altri incontri. Da parte sua, José è rimasto assai amareggiato dopo questa seconda esperienza negativa, tanto che ha detto di non volere più combattere negli scacchipugilato qualora regole più rigide e oneste non saranno garantite. Prescindendo dal mero aspetto agonistico-sportivo, sotto il profilo dello spettacolo e del divertimento la serata ha riscontrato un gran successo. Iniziata con musica, continuata con incontri di scacchipugilato intervallati da altri spettacoli come quello degli hula-hop, degli animali gonfiabili, terminata con alcune partite lampo di scacchi, che hanno visto salire sul “ring” (solo come posto ove era posizionata la scacchiera) anche l’ex campione britannico David Howel, uno dei diversi scacchisti che hanno visitato l’evento serale.
La WBC compie
Pugilato di Volfango Rizzi
50 anni
Intervista esclusiva ai sui dirigenti Intervista a Victor Cota, dirigente WBC
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iamo molto grati al Signor Victor Cota, Direttore di Comunicazione, Storia e Statistica della WBC, per la sua disponibilità a concederci questa intervista. Siamo noi a essere grati e vi faccio presente che il nostro Presidente, don José Sulaiman, vi manda un saluto affettuoso. Il 14 di febbraio é stato il 50° anniversario della fondazione della WBC. Potrebbe dirmi quali furono le ragioni alla base della fondazione di questo Consiglio, considerando che soltanto un anno prima era
stata costituita un’associazione mondiale (la WBA)? Comincio, dicendole che l’Associazione Mondiale solamente cambiò il suo nome un anno prima. Continuò a essere lo stesso organismo (NBA) National Boxing Association che esisteva dal 1922, con sede negli Stati Uniti d’America. Questo gruppo fu invitato dagli organizzatori messicani come altri da varie parti del mondo per formare la nuova organizzazione. Uno dei motivi che portò alla fondazione della WBC fu di mettere ordine in alcuni
aspetti dello sport dei pugni. In particolare, emerse l’esigenza di porre fine alle rivincite dirette, in cui si erano specializzati alcuni campioni. Si trattava del fatto che un campione offriva l’opportunità di combattere per il titolo a un determinato sfidante, che però, qualora avesse vinto, era obbligato a offrire la rivincita allo sconfitto. In questo modo si susseguirono vari combattimenti tra gli stessi contendenti, mentre altri pugili classificati e con il diritto di disputarsi il titolo, dovevano aspettare e, in alcune occasioni, senza mai averne l’ opportunità. Alcuni campioni dei più conosciuti, che entrarono in questa logica, furono Jimmy Carter e Sugar Ray Robinson. In Messico c’era allora un presidente della Repubblica molto appassionato di boxe, il Dottor Adolfo López Mateos, che si adoperò perché potesse nascere un organismo più pulito e più in accordo con le necessità del nostro sport. Questa fu, a grandi linee, una delle ragioni basilari all’istituzione del nuovo Ente, la WBC, che si costituì il 14 febbraio 1973 presso l’hotel Prado Alfter (ora non più esistente!) della capitale messicana. All’evento parteciparono i rappresentanti di undici paesi. Quali sono i successi di questo “Consiglio” dopo cinquant’anni di storia? I successi sono stati innumerevoli, specialmente da quando il nostro ultimo presidente, il Dottor José Sulaimán Chagnón, fu eletto alla carica a Tunisi il 5 dicembre del 1975. Precedentemente, dal 1963, i presidenti del gruppo erano stati
Il Presidente della WBC José Sulaiman Onslow Fane (Inghilterra), Luis Spota (Messico), Justiniano Montano (Filippine) e Ramón G. Velázquez (Messico). In quegli anni e per diverse ragioni le cose non poterono essere cambiate come si era pensato all’inizio; però tutto cambiò in meglio con l’arrivo del Signor Sulaimán. Eli diede al Consiglio un’organizzazione che nessun organismo pugilistico nella storia aveva conosciuto. Dettò nuove regole, nuove categorie di peso; ridusse la durata dei combattimenti per il titolo dalle15 alle 12 riprese; stabilì i pesi ufficiali dei pugili 24 ore prima degli incontri; decise che gli arbitri non fossero anche giudici assegnando punti, ma fossero dedicati unicamente a dirigere gli incontri, aggiungendo pertanto un altro giudice ai due già previsti all’attribuzione dei punteggi; decise esami medici obbligatori per i campioni e i loro sfidanti; operò in modo di cambiare centinaia di situazioni viziate che impedivano lo sviluppo del pugilato, come infatti è avvenuto negli ultimi trentotto anni. SPQ&R _ 35
Disponiamo anche aiuti economici per ex-campioni, che ora necessitano di soldi per sopravvivere, e per pugili che non conseguirono un titolo alcuno, ma che vi ci si avvicinarono. Si sta dando forma a molti altri interventi oltre a quelli che già ci sono. Inoltre, non si aiutano solo i pugili, ma anche persone bisognose del mondo del pugilato in generale, non solamente per l’aspetto economico, ma con medicine, ospedalizzazione, eccetera. Avremmo bisogno di molto tempo per raccontare tutta la storia, però quello che ho segnalato è tra le cose più importanti per quello che concerne i successi raggiunti da quest’organismo, che é il più rispettato e riconosciuto della storia del pugilato. Ogni anno realizziamo una riunione mondiale (convention), in diversi paesi e, certamente, lî si fanno accordi e piani e si decidono molte questioni pendenti. Com’é strutturata la WBC e quanto i propri organi sono aperti al processo democratico? La WBC è un organismo in cui la democrazia appare in tutti gli aspetti. É sempre stata questa l’idea del nostro presidente, e per questo il gruppo cammina magnificamente, solo con i problemi che son abituali in uno spettacolo come il pugilato. Vi sono dieci Federazioni di tutto il mondo affiliate alla WBC, che ha un Consiglio di Governo con voto. Tutte le questioni si considerano lì, e ripetiamo,
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si vota per prendere tutte le decisioni. Le Federazioni sono le seguenti: African Boxing Union, Asian Boxing Council, British Boxing Board of Control, Caribbean Boxing Federation, Central American Boxing Federation, European Boxing Union, Cis and Slovenian Boxing Bureau, North American Boxing Federation, Oriental And Pacific Boxing Federation, e South American Boxing Federation. Il Consiglio di Governo é composto dal Presidente e quattro Vice-presidenti, cinque Segretari Internazionali, un Segretario Esecutivo, un Tesoriere. A Città del Messico abbiamo i nostri uffici principali, dove lavora un personale di primo livello. Perché mentre in altri sport abbiamo una federazione mondiale, nel pugilato abbiamo tante organizzazioni diverse che conferiscono il titolo di Campione Mondiale e hanno regole leggermente diverse? Per noi, gli unici campionati mondiali autentici sono quelli riconosciuti dalla World Boxing Organisation, poiché alla WBC sono affiliati 165 paesi, il che non succede, nemmeno per sogno, con gli altri organismi. Non vogliamo criticare nessuno. Noi rimaniamo nel nostro, e cerchiamo di farlo il meglio possibile, poiché amiamo il pugilato. Quello che gli altri fanno bene o male é cosa loro. Per ciò che si riferisce alle regole, tutti gli altri ci hanno copiato e continuano a farlo.
Questa proliferazione di organizzazioni è un fattore positivo o negativo, e perché? Fintanto che esiste un organismo serio e riconosciuto, in cui si lavora veramente per il beneficio dei pugili e del pugilato in generale, come la WBC, il fatto che vi siano altri raggruppamenti, alcuni dei quali quasi totalmente sconosciuti, non riteniamo possa costituire alcun problema. Di tanto in tanto si leggono notizie sul fatto che la WBA e la WBC si stanno organizzando per fare una sola organizzazione, fondendosi. Quanto c’é di vero in questo e quanto sono racconti di giornalisti disinformati? Riguardo a questo, pensiamo che tutto si debba a giornalisti mal informati. Gli interessi che hanno i due organismi da Lei menzionati sono distinti. Rispettiamo gli altri, però ovviamente preferiamo il nostro, e i buoni risultati sono chiaramente visibili. Due mesi fa abbiamo fatto un’intervista con il Signor Ed Levine, il Presidente della IBO; egli ci diceva che alcune delle quattro organizzazioni del pugilato più riconosciute boicottano l’IBO; qual é la posizione della WBC in relazione con le sigle nuove o meno conosciute? La nostra posizione in generale é di rispetto per tutti. É totalmente falso che ci sia un boicottaggio (per lo meno da parte nostra) contro questo signor Levine, presidente di qualcosa chiamato IBO.
Nelle ultime decadi la WBC é stata criticata per le liste dei pugili; soprattutto si sono levate voci che gli atleti del promoter Don King sono stati avvantaggiati più volte. Come ha risposto la WBC a queste accuse? Le classifiche mensili del WBC sono elaborate da autentici esperti, che formano uno dei molti comitati presenti nel nostro organismo, e crediamo che chi la critica lo faccia senza basi, giacché in queste liste intervengono elementi da molte parti del mondo. Vi si dà loro forma in Messico e s’inviano al presidente del comitato, che risiede in Australia, per la sua approvazione, il che avviene dopo aver parlato con molta gente, intenditrice di tutto quello che bisogna sapere di questo. I pugili salgono nelle loro classifiche con le vittorie, però possono anche farlo quando altri scendono per sconfitte o per inattività dovute a ragioni diverse. Riguardo ai pugili il cui promoter é Don King é totalmente falso che ricevano un trattamento di favore. Se vincono, salgono; se perdono scendono, come succede a tutti senza che importi chi li dirige o promuove. Nella WBC sappiamo che non siamo perfetti. Possiamo commettere errori, e in tali condizioni rispondiamo alle critiche quando sono serie, quando abbiano una base. Viceversa, quando le consideriamo pretestuose, semplicemente non vi facciamo caso. Recentemente la WBC ha annunciato che nel prossimo futuro organizzerà la Coppa Mondiale WBC. Può spiegarci quello che sarà esattamente e chi vi parteciperà? Si tratta di un torneo molto interessante per gli appassionati, un torneo nel quale interverranno molti dei migliori combattenti tuttora in attività e che non sono campioni del mondo ma campioni d’argento (silver), internazionali e campioni delle loro federazioni. Il tutto si farà nell’ambito di quattro divisioni: pesi massimi, welter, leggeri e piuma. L’annuncio di questa competizione ha risvegliato enorme interesse e speriamo che tutto sia un grande successo sia sportivamente sia economicamente, in particolare per i pugili. Perché vi sono campioni “d’argento”? Tutti i titoli hanno un nome che lo distingue da altri. In questo caso si crearono i campionati “d’argento” per sostituire gli
“Il pugilato italiano ha avuto grandi esponenti, specialmente molti che emigrarono negli USA” interinali, che si erano convertiti in un gran disordine. Dentro il nostro Organismo, il Campione Mondiale Argento é il pugile di gerarchia maggiore nella sua divisione, dopo il Campione Mondiale assoluto e, generalmente, il campione d’argento é considerato sfidante del campione mondiale assoluto. Non so quanto Lei conosca del pugilato in Italia, ma fino agli anni 1940 era uno sport molto popolare. Da allora vi é stato un declino molto forte e oggigiorno è quasi impossibile vedere incontri di pugilato nei canali televisivi principali. Perché Lei pensa che questo sia avvenuto e come si potrebbe rendere questo sport più popolare in Italia? Il pugilato italiano ha avuto grandi esponenti, specialmente molti che emi-
grarono negli USA. Questo non ha impedito che continuino a sorgere atleti di valore nella boxe italiana, anche quando non succede nella quantità e con la frequenza desiderata. Credo che ai dirigenti di alcune reti televisive non piaccia il pugilato, ma preferiscano altri spettacoli; con essi, però, si può fare lavoro di convincimento. Per riuscire in questo, é necessario avere la materia prima, i pugili, e perché essi abbiano la qualità che attira gli appassionati e il pubblico in generale é necessario non solo insegnar loro a combattere, ma a pubblicizzarsi in televisione, radio, stampa scritta e certamente per internet. Il mondo del pugilato sarà presto rivoluzionato: l’AIBA ha in programma di lanciare l’APB (AIBA Professional Boxing). Lei vede in questo una minaccia o un’opportunità? Che impatto prevede avrà questa nuova organizzazione nel mondo del pugilato professionista? Non crediamo che l’AIBA abbia successo in ciò che sta facendo, visto che non rispetta l’ordine stabilito nel pugilato. Non può contare su elementi che siano profondi conoscitori del mondo del pugilato professionista, ma, da ciò che pare, tutto quello che stanno facendo al momento è cercare soldi e, quando i soldi sono l’unico fattore che attrae, si perde l’amore e la passione per quello che si fa, e generalmente il risultato non é positivo. Quali sono i piani di sviluppo della WBC nel prossimo futuro e come pensano di aiutare a rendere il pugilato più popolare nel mondo? Il World Boxing Council ha sempre progetti per migliorare tutto nel pugilato, e li facciamo conoscere passo dopo passo e ripetutamente, nel momento stesso in cui prendono forma. Riguardo al rendere più popolare il mondo della boxe, è precisamente quello su cui stiamo lavorando per vari fronti, tra cui la coppa mondiale già menzionata. Inoltre, i nostri campionati del mondo sono tanto attraenti, che negli ultimi tempi hanno battuto record sotto molti aspetti, due dei quali sono il numero di telespettatori, come oggi si dice “rating” molto alti, i milioni di dollari che guadagnano i campioni del mondo e, in alcune occasioni, anche i loro sfidanti. SPQ&R _ 37
scacchi Volfango Rizzi
Foto di Georg Kradolfer
Caruana Re dei Re:
vince il quadrangolare di Zurigo
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uest’anno a Zurigo è stato organizzato un quadrangolare di scacchi, con partite di andata e ritorno, tra giocatori fortissimi: il Campione del Mondo in carica Viswanathan Anand; il campione precedente, e attuale numero due al mondo, Wladimir Kramnik; il due volte Vice-Campione del Mondo Boris Gelfand e ... appunto ... Fabiano Caruana, il meno titolato dei quattro giocatori, ma con la gioventù dalla sua parte e i lusinghieri risultati sin qui riportati, presagio di un brillante futuro. La sera precedente l’inizio del torneo, e dopo la cerimonia di apertura, si é giocato il torneo lampo, in cui i contendenti avevano a disposizione un tempo di 4 minuti e due secondi per la partita. Anche qui si é trattato di un quadrangolare con partite di andata e ritorno: Fabiano l’ha vinto, imbattuto, con 5 punti su 6, vincendo due volte con Anand ed una con Kramnik e Gelfand, ottenendo
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una performance pari a 3056 punti elo. Con riferimento al torneo principale, il Zurich Chess Challenge, nel girone di andata (i primi 3 turni) si é mantenuto l’equilibrio, con le sei partite, terminate in pareggio, tutte molto combattute ed interessanti, e dove nessun giocatore riusciva a prevalere sugli altri. Al quarto
turno Fabiano, pur giocando con i pezzi neri, riusciva a battere il Campione del Mondo Anand, ed essendo l’unico a vincere in quel turno, si portava in prima posizione. Il quinto gioco vedeva due interessantissime partite, terminate patte. Prima dell’ultimo turno, la classifica vedeva Fabiano primo in solitario; Anand tuttavia, battendo Kramnik, balzava temporaneamente al comando. Fabiano otteneva però il punto pieno contro Gelfand, che si era trovato a difendere un finale con un pedone in meno. Il nostro campione finiva così il torneo al primo posto, con 4 punti su 6, con un punto intero di vantaggio sul secondo classificato. Per Fabiano Caruana s’è trattato di un grande risultato: il successo nel torneo rimarrà nel suo palmares come il primo “supertorneo” (o meglio superquadrangolare) da lui vinto e gli consente di ritornare tra i primi dieci della lista mondiale (lista del 1° aprile), in cui precedentemente aveva occupato per tre mesi consecutivi la quinta posizione, prima di “affondare” in 13^, e poi risalire in 11^ nella lista di marzo. Il torneo di Zurigo è stato anche l’ultimo impegno per Gelfand e Kramnik prima del Torneo dei Candidati, che si sta giocando a Londra, e che vedrà il vincitore qualificarsi per sfidare il Campione del Mondo nella finale del prossimo autunno.
di Dario Goricchi
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La Vignetta lele Lut teri
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Rugby union
Sei Nazioni
Inghilterra
senza avversari
di Duccio Fumero
Foto: Elena Barbini
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bbiamo invitato Duccio Fumero a riportare le sue impressioni dopo le prime tre partite del Sei Nazioni, prima dell’inizio dei due turni finali. Si é trattata un po’ di una sfida, per capire quello che si riesce a intuire dopo nove partite del torneo e non é stato così scontato prevederne
l’esito finale. Un nostro nuovo collaboratore, Gianluca Orsi, ha avuto l’incarico di fare il punto sulla nazionale italiana, partendo dalle cinque partite da essa giocate durante la competizione, con l’occhio rivolto al futuro, che egli prefigura in modo abbastanza favorevole.
Giro di boa superato nell’RBS Sei Nazioni 2013 e situazione che si è fatta molto più chiara dopo gli ultimi 240 minuti. L’Inghilterra supera lo scoglio più antipatico, quella Francia che alla vigilia del torneo doveva essere il maggior avversario per il titolo e che, invece, si ritrova ad annaspare in ultima posizione. Una Francia migliore di quella vista a Roma e contro il Galles nei primi due turni, ma una squadra transalpina ancora in crisi d’identità, dove si vede che mancano quelle certezze che ti fanno scendere in campo con la giusta cattiveria. Così l’Inghilterra ha avuto vita facile a superare l’avversario di sempre; ha tenuto in mano il pallino del match anche quando la meta di Wesley Fofana – unica fiammata francese del match – ha portato gli ospiti in vantaggio. Nonostante dovesse rincorrere, infatti, la squadra di Stuart Lancaster non è mai sembratasull’orlo di perdere e, sinceramente, è difficile immaginare che Italia o Galles, gli ultimi due impegni per l’Inghilterra, possano mettere in difficoltà Manu Tuilagi e compagni, che hanno la strada in discesa per la vittoria del titolo e, probabilmente, delGrande Slam. Anche perché alle sue spalle c’è grande incertezza. Come detto, prima della vigilia la favorita era la Francia e, dopo il primo turno, era sembrata l’Irlanda l’avversaria più credibile degli inglesi. Un Galles in profonda crisi, una Scozia perdente e l’Italia capace di exploit in positivo – ma anche in negativo – sembravano tagliate fuori. Poi, però, l’Irlanda si è suicidata a Edimburgo, perdendo una partita già vinta – manco fosse il Pd alle ultime elezioni politiche -, e ora è ferma al palo dei due punti, troppo lontana per un’improbabile rimonta. La Francia è messa anche peggio: ultima a zero punti, va in Irlanda in uno spareggio tra disperate e, infine, chiuderà in casa contro la Scozia. Potrà recuperare terreno, ma solo per evitare – forse – il cucchiaio di legno e nulla più. Così, alle spalle dell’Inghilterra ci siamo ritrovati a sorpresa, le due squadre uscite peggio dai test match autunnali. Il Galles, reduce da sette sconfitte consecutive dall’ultimo Sei Nazioni, dopo il KO interno con l’Irlanda ha ottenuto i successi a Parigi e Roma, e conquistando quattro punti si è candidata come alter ego dell’Inghilterra. E’ però un Galles brutto; ha vinto più per demerito degli avversari
che per propria qualità e ora ha tempo fino al 16 marzo per trovare un gioco, un game plan credibile che le permetta di battere l’Inghilterra e sperare nella differenza punti a proprio vantaggio. Tuttavia, oggi ciò appare utopistico. A pari punti con il Galles siede la sorprendente Scozia. Quella del coach ad interim, Scott Johnson, (ma avere allenatori precari porta bene, l’anno scorso fu l’Inghilterra a sorprendere con un allenatore a tempo) è la vera novità di questo torneo. Partita con i favori dei bookmakers per ottenere il cucchiaio di legno, dopo la sconfitta a Twickenham ha saputo imbrigliare l’Italia, e domenica scorsa ha opposto un muro fatto di cuore e rabbia all’Irlanda, di cui ha sfruttato gli errori tattici e tecnici, vincendo alla fine una partita che sembrava irrimediabilmente già persa. La compagine
scozzese, insomma, è lì, in alto, ma difficilmente potrà puntare a salire ulteriormente. Laidlaw e compagni hanno saputo giovarsi di un calendario favorevole (con tre match casalinghi). Il 9 marzo vivranno uno spareggio da podio, ospitando il Galles, e poi giocheranno la loro ultima partita a Parigi. Immaginare altre due loro vittorie è sinceramente difficile; in ogni caso, se anche arrivassero solo sconfitte, la Scozia non può non vedere in questo Sei Nazioni una ripartenza più che positiva. Arriviamo così, dulcis in fundo, all’Italia. L’entusiasmo della vittoria sulla Francia si è presto spento, trasformandosi in delusione e angoscia sotto il diluvio di Roma contro il Galles. Un’ involuzione, quella azzurra, preoccupante. Prescindendo da questioni esterne –meteo, arbitraggi, avversari-, è chiaramente emersa una debolezza mentale dell’Italia, che non ha saputo gestire l’euforia, si è sciolta a Edimburgo ed è stata annientata all’Olimpico. Una mischia che subisce per 80’, una mediana che non funziona, anche se cambi gli addendi – a conferma che ci mancano due mediani di livello internazionale – e trequarti che senza le sicurezze mentali giuste non sanno cosa fare con la palla in mano. E dopo i sogni di gloria, ora si teme un tracollo. A Twickenham sarà durissima, anche perché l’Inghilterra punterà a segnare il più possibile, per garantirsi dall’eventuale parità con il Galles nella classifica finale del torneo. L’Italia, infine, terminerà la propria avventura incontrando in casa l’Irlanda. Sarà quest’ultimo un match tra deluse, dove vincerà chi avrà ancora voglia di dare e dire qualcosa. SPQ&R _ 45
di Gianluca Orsi Foto: Elena Barbini
Quale futuro per questa
Nazionale? C hiuso il 6 Nazioni, si pensa al futuro: quello dei Mondiali del 2015, per citare un evento “importante”; quello dei test match, per riportarne uno a breve scadenza. Alla luce dei recenti risultati (perdere 18-11 a Twickenham ha quasi il sapore di una vittoria), quello che si può percepire è il netto miglioramento degli Az-
zurri sia in fase difensiva sia in fase di attacco. Le vittorie contro Francia e Irlanda (nostri prossimi avversari al Mondiale) completano un biennio sotto la direzione tecnica di Brunel, che ha finalmente dato “un gioco” alla nostra Nazionale. Più spazio ai giovani (Gori e Venditti su tutti), miglior utilizzo del pallone, un notevole miglioramento della difesa (le ultime due partite del 6 Nazioni lo hanno dimostrato ampiamente) ed altri piccoli accorgimenti hanno trasformato e reso la nazionale italiana un’avversaria finalmente temibile anche dalle grandi.
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Nel breve periodo (test, match estivi e autunnali) potremmo ricevere gradevoli sorprese, mentre la speranza a lungo termine è quella di arrivare, finalmente, ai quarti di un Mondiale. Diamo tempo a Brunel, potrebbe darci grandi soddisfazioni.
Rugby di Michele Benazzo e Volfango Rizzi Foto di: “Foto Vasini”
Ci siamo divertiti a scrivere quest'articolo a 4 mani
I
l mondo moderno del Rugby è pieno di competizioni: campionati, tornei, incontri nazionali e internazionali. La RaboDirect Pro 12 è un esempio perfetto della complessità dei tornei rugbystici. Conosciuta più comunemente in Italia con il nome di Celtic League, vede le sue origini nell’antecedente Lega Gallese-Scozzese. Nel 1999 le franchigie di Galles e Scozia unirono le proprie forze per dar luogo a un campionato che, in origine, comprendeva 11 squadre: nove gallesi e due scozzesi. Nel 2001 l’Irlanda chiese di essere ammessa alla competizione e, con l’integrazione dei team irlandesi, raggiunse un tasso tecnico più elevato e nacque così la Celtic League. La motivazione di base, che portò alla nascita di un torneo internazionale, era di dare la possibilità di gareggiare e di affacciarsi sul mondo europeo a quelle squadre che avevano, territorialmente, un campionato troppo esiguo, anche sotto il profilo numerico. Per di più, la Celtic League esprime il suo fascino proprio nel continuo confronto che si determina tra squadre di diverse nazionalità, che esprimono un Rugby diverso. Tuttavia, per i primi anni la “Lega Celtica” era comunque un “campionato” all’ombra dei più prestigiosi e radicati campionati inglesi e francesi: il pubblico preferiva il classico formato nazionale di torneo e il campionato celtico era relegato a ranghi inferiori. Ciò era evidenziato anche dal fatto che i piazzamenti della Celtic non erano utilizzati per stabilire i tabelloni della Heineken Cup, la Champions League del rugby. Inoltre, il torneo internazionale era molto fragile economicamente: attraeva poco e, spesso, le date degli incontri finivano con il coincidere con competizioni internazionali come il Sei Nazioni.
La Celtic League o meglio la Pro 12 i vantaggi di
parteciparvi superano gli svantaggi? Le foto si riferiscono alla partita Zebre Rugby - Newport Gwent Dragons
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La svolta si ebbe nel 2006 quando il marchio di sidro Magners Irish Cider si offrì come sponsor della competizione: la Magners League era pronta per il “salto di qualità”. Beneficiando di una prosperità economica che le era stata fino a quel momento sconosciuta, il torneo tra franchigie internazionali irruppe sul palcoscenico europeo, e in pochi anni il mondo rugbystico europeo riconobbe l’ elevato tasso tecnico della competizione, che infatti ospitava squadre del calibro di Munster, Leinster e degli Ospreys. Dall’anno successivo le federazioni nazionali accettarono di utilizzare i piazzamenti della Magners League per la Heineken Cup. Dopo qualche anno di trattative, nel 2009 compare sulla scena della Pro 12 l’Italia, invitata dalle altre federazioni ad inviare delle franchigie rappresentanti il movimento rugbystico italiano. In origine la scelta cadde su una franchigia lombardoemilana, capitanata dal Viadana e una, “I Pretoriani”, da formarsi con base a Roma.
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Tuttavia l’esclusione di Treviso ebbe ripercussioni pesantissime anche a livello politico, poiché il Veneto, culla del Rugby italiano, si vedeva escluso. La situazione si risolse con la vittoria dei sostenitori di Treviso e l’accettazione di questa franchigia, insieme con quella lombardo-emiliana. Tuttavia, mancava ancora la copertura economica, affinché l’Italia potesse partecipare al campionato internazionale. Le federazioni di Scozia, Galles e Irlanda dubitavano della solidità economica delle franchigie italiane e non erano disposte ad accettarle, non potendo garantire un budget minimo di stabilità finanziaria. La controversia si risolse con l’appoggio della FIR, che coprì parte della spesa. Nel 2010 Treviso e il duo Viadana-Colorno (con l’aggiunta di altre società più piccole, ma senza le preventivate squadre parmigiane che si defilavano), che avevano scelto come proprio nome “Aironi Rugby”, parteciparono al loro primo campionato di Magners League. Il cam-
pionato comprendeva quattro franchigie gallesi, tre irlandesi, due squadre scozzesi e due italiane. La Benetton Treviso partecipa tuttora alla competizione, rinominata dal 2011 “Pro12”, mentre gli Aironi hanno avuto una vicenda più travagliata e sono scomparsi dopo il secondo anno di
campionato. Dalle loro ceneri è nata una “franchigia federale” (pagata con i soldi della Federazione Italiana Rugby), che questa stagione gioca il suo primo campionato con il nome “Zebre Rugby”. Questa nuova squadra si ritrova ultima in classifica e sta ancora cercando di ottenere la sua prima vittoria, o pareggio, in una competizione ufficiale. A dimostrazione dei progressi fatti, ha sinora ottenuto 7 punti di bonus difensivo (si guadagna 1 punto bonus quando si perde per sette punti o meno) e ha sfiorato la vittoria in alcune occasioni: l’ultima il 24 febbraio, quando ha perso proprio negli ultimi secondi con Dragons per 13 a 14. Il Treviso Rugby, che fornisce almeno 20 giocatori alle nazionali italiane (almeno diciotto alla maggiore e due all’Under 20), sta disputando il suo terzo campionato celtico, che sinora è il suo migliore di sempre, occupando l’8^ posizione, con 7 partite vinte su 16. Nelle due precedenti edizioni si è classificata 10^: nella prima con 7 vittorie all’attivo e nella seconda con 9, record che la squadra trevigiana vorrebbe migliorare nella corrente stagione. Il partecipare a questa competizione è importante per i giocatori italiani, che possono giocare settimanalmente a ritmi che non potrebbero trovare nel campionato d’Eccellenza, e che si confrontano col modo di dirigere gli incontri da parte di arbitri provenienti da altri paesi. Di ciò beneficia la nazionale maggiore, che trova atleti abituati a giocare ad alto ritmo e a competere a livello internazionale. C’è però anche il rovescio della medaglia, che riguarda soprattutto i costi di partecipare alla competizione: l’Italia paga 4 mi-
avere l’accesso alla competizione. L’accordo dura quattro anni, ed ora la FIR sta trattando per il futuro, decisa a non pagare più questa “tassa”. I costi non finiscono qui, visto che la FIR si accolla gran parte degli stipendi dei giocatori d’interesse nazionale e dei commissari tecnici, di quelli di viaggio e trasferta, e ora ha un’intera franchigia da pagare a proprie spese. Il totale ammonta a circa 16 milioni per mantenere la due squadre in questo campionato. Non va neppure sottaciuta la questione dei permit-player, giocatori che militano nelle squadre di Eccellenza e che vanno ad infoltire la rosa delle due celtiche, nei
lioni di euro a stagione a quella che prima era la Lega Celtica. Questo è un requisito obbligatorio che si è dovuto accettare per
tempi in cui queste devono concedere diversi dei propri atleti alla nazionale. A tal proposito la FIR si sta adoperando per adottare nuove regole che garantiscano la presenza di questi atleti alle squadre celtiche. Vi è pure il fatto che, al presente, ottimi giocatori, anche di futuro interesse nazionale, non trovando spazio nella formazione titolare, non acquisiscono la possibilità di fare esperienza giocando, in considerazione anche del fatto che alle squadre di Pro12 non è permesso di formare una seconda squadra per il Campionato d’Eccellenza. Così come pure non è concesso alle franchigie celtiche di prestare i propri atleti inutilizzati alle squadre che militano nei campionati italiani o che giocano in Coppa Challenge (la seconda coppa europea per importanza). SPQ&R _ 49
rubrica Rugby: istruzioni per l’uso michele benazzo
forza e mente mischia e trequarti 50 _ SPQ&R
“ Partita del Trofeo Eccellenza, Petrarca San Donà del 12 gennaio ‘13 foto di Corrado Villarà
Nel Rugby c’è chi sposta il piano, e chi lo suona”. Questa frase scherzosa che gira negli ambienti rugbystici in realtà sintetizza in modo efficace le due cellule principali del gioco con la palla ovale: la Mischia e i Trequarti; la prima “sposta” il piano, i secondi lo “suonano”. Nel vecchio rugby i due reparti costituivano l’essenza stessa del gioco. La Mischia, formata da giocatori relativamente più grossi e potenti, dotati di ampi mezzi fisici e solitamente più predisposti a giocare di forza, era delegata a determinate fasi di gioco; i tre-quarti composti invece da uomini veloci e rapidi, tendenzialmente più eleganti, che fanno della mobilità il proprio punto di forza, agivano in altre situazioni. L’evoluzione che ha subito il Rugby moderno, però, ha imposto esigenze diverse, che hanno portato a sfumare decisamente la divisione tra i reparti, fino a giungere alla situazione attuale, in cui la squadra si fonda proprio sulla commistione totale delle due unità. Certo, permangono, all’interno della partita, situazioni in cui la divisione è netta, ma nell’avanzamento del gioco, le differenze si annullano e giocatori pesanti e leggeri sono chiamati alle medesime mansioni. Antonio Raimondi, in un suo articolo su OnRugby, con riferimento alla Mischia afferma che: ”Il tutto è maggiore della forza dei singoli”. Gli uomini di mischia hanno ruoli e posizioni diverse in campo, ma solo coordinandosi completamente tra di loro possono essere efficaci. La Mischia non è solo il nome di un reparto della squadra, ma è anche quello attribuito a una fase di gioco, in cui l’azione riprende dopo un’interruzione precedente. Ad esempio, nel momento in cui una squadra commette un passaggio in avanti, contravvenendo al dogma fondamentale del rugby, ossia il “passare la palla indietro”, il gioco riprende con una mischia a favore della compagine avversaria, dando così inizio a una nuova azione. La Mischia rappresenta “Il Momento” del rugby, quello in cui le due squadre si affrontano faccia a faccia, in cui il confronto è più acceso e diretto, dove corpo e mente sono messi a dura prova; l’ impegno fisico è così elevato da aver ripercussioni sulle fasi successive. Per di più,
durante questa fase si rende evidente il principio cardine della contesa e della conquista leale e onesta. Nel Rugby, il controllo della palla non è mai scontato; al contrario, va guadagnato e difeso: elemento che rende unico tale sport. La costruzione di questa fase si basa su una complessa architettura d’incastri tra i giocatori: è un gioco di spinte, di angoli, di direzioni e di posizioni. La prima linea è formata dai due piloni e dal tallonatore, interposto tra i due: quest’ ultimo ha il compito di spingere la palla verso la propria squadra, che si trova alle sue spalle, usando il piede, in particolar modo, il tallone. I due piloni svolgono un ruolo chiave: devono sostenere l’intera mischia, affrontando al contempo l’impatto con la mischia avversaria e incanalando le spinte che provengono dai propri compagni. Alle spalle delle prime linee si “incastrano” le due seconde linee, con il compito di collaborare alla spinta dei propri compagni e nello stesso tempo sopportare parte delle forze necessarie nella fase di gioco, in aiuto ai piloni. Infine, a chiudere questo complesso edificio, vi sono le terze linee, suddivise in terze centro e terze ali o flanker. La terza centro, è il timone della mischia: detta i tempi di spinta e le direzioni che questa assume; i due flanker sono invece i delegati a difendere la palla nel momento in cui essa esce da questo fragile e massiccio edifico. Recenti studi hanno dimostrato che nella mischia si sviluppano forze pari a 1100 libbre circa [N.dR. equivale a 499 Kg], un peso considerevole che rende l’ azione tanto affascinante quanto pericolosa. I muscoli e i legamenti sono sottoposti a una pressione considerevole e, se poi si considera che tale azione viene ripetuta molte volte nell’arco di una partita, diventa una fase veramente complessa e faticosa. Per questi motivi le diverse federazioni sono intervenute a tutelare le mischie ed i giocatori attraverso regole particolari e molto rigide. Ad esempio, i piloni, nel momento in cui “impattano”, devono legarsi al corpo degli omonimi avversari e non al braccio, che altrimenti comprometterebbe i fragili equilibri che si creano all’interno della mischia, determinando la caduta della stessa, pericolosa per i giocatori, “ingabbiati” in questa stringente struttura. Inoltre le spinte esercitate devono SPQ&R _ 51
essere dritte e parallele al terreno, per evitare che le schiene si “pieghino” verso l’interno, con risultati spiacevoli per i giocatori. Infine recentemente, è stata introdotta la regola che non permette alla squadra vincitrice della mischia di spingere per oltre un metro e mezzo: ciò a tutela degli avversari che subiscono, che altrimenti rischierebbero di essere travolti dall’impeto della mischia avversaria.
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La fase della Mischia è uno dei canali previsti dal regolamento per riprendere il gioco, ma non è l’unico: il pacchetto di mischia, infatti, è chiamato anche a battersi nelle rimesse laterali, che nel Rugby prendono il nome di Touche. Quest’ultima è un elemento peculiare del gioco con la palla ovale: le due mischie si dispongono su due file parallele e contrapposte e si contendono la palla che deve essere lanciata in aria con una traiettoria dritta nel corridoio che si viene a creare, in modo da non agevolare nessuna delle due squadre. Nel Rugby moderno l’interpretazione della touche è molto più complicata che alle origini; in passato, infatti, la palla era sem-
plicemente lanciata tra le due file, senza particolari schemi o pratiche. Al contrario, nel Rugby contemporaneo è ormai pratica consolidata costruire vere e proprie torri di giocatori, in cui uno di loro è innalzato sopra gli altri da due suoi compagni. Questo costituisce sicuramente un momento spettacolare e al contempo più efficace, poiché s’instaura una vera e propria battaglia aerea per la conquista dell’ovale. Nel rugby la palla in campo vale più di un tesoro: la devi conquistare e difendere e il suo possesso non è mai scontato. Nel momento in cui la fase statica si risolve, la palla passa nelle mani dei
tre-quarti. In questo settore di squadra troviamo i due centri, che occupano la parte mediana del campo, e le due ali, le cui corse solcano le fasce laterali del terreno erboso. Il reparto è completato dall’estremo: un giocatore alquanto singolare, la cui azione parte dalle retrovie, alle spalle dei propri compagni. I trequarti rappresentano il reparto leggero e veloce della squadra e devono preoccuparsi degli spazi larghi che si determinano durante il gioco; sono la fante-
ria del rugby. La squadra è completata dal “quadrato ufficiali”: l’asse mediana. Il numero 9 ed il numero 10 ricoprono rispettivamente i ruoli di mediano di mischia e mediano di apertura; il primo è delegato alla gestione della mischia, il secondo comanda i tre-quarti. Essi sono il vero cervello pensante della squadra: decidono i ritmi e le direzioni del gioco, assumendosi la responsabilità delle scelte operate. Tutte queste diversificazioni e separazioni, si evidenziano
soltanto nelle fasi di ripresa del gioco; nel momento in cui questo si evolve, non ci sono diversità sostanziali che contino: la mischia e i tre-quarti si fondono insieme, in un’unica squadra, in cui vige il principio di avanzare sempre, sia attaccando sia difendendo. Ciò è possibile soltanto se ci si fida dei propri compagni e s’interagisce con essi. Nel rugby un giocatore non può agire da solo per essere efficace, ma ha necessariamente bisogno dell’apporto di tutta la squadra.
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Rugby Stefano Franceschi
L'
incanto Eccellenza
dell'
e la valorizzazione delle
realta' locali “L’Eccellenza mantiene un suo fascino tutto particolare” Foto di Corrado Villarà (Petrarca-Viadana) e Foto Vescusio (Rugby Reggio)
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A
mio parere, da tempo Il mondo degli appassionati del rugby italiano ha indirizzato la propria passione in quattro direzioni, diversamente e trasversalmente popolate fra loro, ognuna delle quali annovera i suoi specialisti ed i suoi esclusivi estimatori. La prima direzione si rivolge al regno del passato, ossia a vicende collocabili pressappoco stabilmente nella rimembranza dagli anni settanta ai novanta, dai primi campionati ricchi di pubblico all’avvento nell’Europa che “conta”. La seconda è costituita dal regno esterofilo di quelli che seguono solo il “gran rugby”, che nell’ultimo decennio, a causa dell’ assidua frequentazione dell’Europa di cui sopra, si è spostato da Albione ai “Regni del Sud”: New
Zealand, Sudafrica ed Australia. Con la terza dimensione facciamo finalmente ingresso sul suolo patrio dei giorni nostri e guardiamo alla passione, maggioritaria e ampiamente condivisa con tanti che si avvicinano al rugby solo in questi anni, verso la Nazionale e i team italiani, Benetton Treviso e Zebre, che se la giocano con gli squadroni europei in Pro12 e in Heineken Cup. C’è una quarta dimensione, negli ultimi anni davvero minoritaria rispetto alle altre, in particolare alla terza, che invece rappresenta la vera linfa del nostro movimento ovale, ovvero il massimo Campionato Italiano di rugby : l’Eccellenza. E’ il massimo Campionato italiano, giova ripeterlo, ma che vicever-
sa viene a trovarsi, nell’attenzione del mondo ovale, sotto il tallone degli altri tre, che invece propongono, sogni, soldi e soddisfazioni, magre in verità queste ultime quando si parla della nostra Nazionale, ma ben gestite da un marketing benignamente accomodante e buon gestore di eventi. Nonostante tutto questo, l’Eccellenza mantiene un suo fascino tutto particolare e, con il recente ingresso fra le file dei suoi team di moltissimi giovani, riafferma la sua vocazione di talent scout del movimento ovale italiano. Il sistema di selezione delle nuove leve azzurre, incentrato in assoluta prevalenza sull’organizzazione della Federazione, Accademie Federali in primis, e non sui club, non ha permesso però a molti giocatori di Eccellenza di avere uno spazio di maggior risalto, una possibilità in più. La stessa Nazionale Emergenti, luogo vocato a raccogliere talenti proprio del nostro campionato tutto italiano, si è in realtà rivelata un prolungamento delle
diverse Under, un’altra opportunità per molti giocatori che dentro la “federalissima” Nazionale Under20 non ci potevano davvero più stare.
In rossonero
Oltre ad una comprensibile mancanza di visibilità mediatica, in un paese dove la pagina dello sport di un quotidiano qual-
gio il Rugby Reg
Petrarca vs Viadana. Foto del 5.01.13, quando SPQeR ha visitato il campo del Petrarca regalando la rivista agli spettatori
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siasi si occupa prevalentemente di calcio, non si può pretendere molto. L’Eccellenza ha dovuto così riscontare fra le proprie file la difficoltà a riuscire a far emergere casi e situazioni rugbystiche rilevanti all’attenzione degli appassionati: nomi di propri giocatori considerati “grandi”, o giovani “promesse” che realizzavano particolari gesti atletici o determinavano una particolare partita. Non poter contare su un determinato numero di “miti” davvero locali, oltre ai pochi della Nazionale, ha impoverito l’appeal dell’Eccellenza e non ha fatto bene nemmeno al rugby di base dove, come in ogni sport, c’è sempre bisogno di un modello raggiungibi-
“Il campionato è bello e ” interessante
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le e tangibile: non basta sapere che un giorno saremo come Castrogiovanni, pur ricordando che quest’ultimo giocava a Calvisano, da dove, per far fortuna, se ne è dovuto andare; oppure come Parisse, entrambi eroi lontani. La valenza di questo Campionato si è recentemente fatta sentire: la Federazione pare intenzionata a una ristrutturazione e a una meritata valorizzazione della sua massima espressione tutta italica. Oltre a questo, sebbene necessario, appare importante procedere a una vera rivalutazione, che dovrà passare attraverso i Club, del territorio che deve trovare formule di appoggio al team di riferimento. E’ pure fattore determinante il ruolo dei dirigenti, che devono rendersi sempre più consapevoli che il tempo del “pionierismo” e dell’autoreferenzialità è finito. Il Campionato di Eccellenza è
molto più avvincente di quanto certi innamorati dei Regni del Sud o del rugby degli altri Paesi europei vogliono farci credere. Una partita di Eccellenza è una battaglia senza sconti, dove mancano certo molte finezze e certi skill tipici dei “grandi”, ma dove si avverte una passione, una vitalità ed una volontà difficili da trovare altrove. Assistere a una partita di Eccellenza è forse davvero il modo migliore per imparare a guardare il rugby, e oggi che l’Eccellenza sta ricominciando a crescere, si apprezzano maggior velocità e miglior pregevolezza tecnica, elementi che tornano bene come spot del rugby. L’Eccellenza è il nostro rugby; il campionato è bello e interessante e rappresenta quel pezzo di rugby che deve continuare a crescere, se vogliamo che quello dei “grandi” domani esista ancora.
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Rugby di base rubrica Diario di bordo di una nuova società Ruggero Rizzi
Nasce questa nuova rubrica che vuole essere il “diario di bordo” di una nuovissima società che deve barcamenarsi tra i problemi pratici di avere un campo e dei giocatori a disposizione e affrontare vari aspetti dell’organizzazione. la burocrazia di iscriversi alla Federazione e giocare un campionato (Serie C). Un diario per capire cosa significa costituire una nuova squadra di rugby ed organizzarla.
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LA
COSA C
i sono fatti e progetti che accadono in modo stabilito: riunione, presentazione degli obiettivi, programmazione, pianificazione, organizzazione e tutti i passaggi necessari per fare accadere la “cosa”. A volte però succede che la coscienza…o meglio l’incoscienza…ci faccia intraprendere tutt’altro percorso, diverso da quello codificato, ma che comunque e inaspettatamente ci conduce al risultato desiderato. Ma andiamo per ordine.
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E’ capitato a Tortona. Gli ingredienti erano pochi ma giusto quelli necessari. Un paio di palloni ovali, un piccolo gruppo di ragazzi appassionati di rugby, la ricerca affannosa di un campo e finalmente la soddisfazione di correre, passandosi il pallone e iniziando così l’avventura. Tutti, o la maggior parte, neofiti. A loro, dopo poche settimane, se ne aggiungono altri. Correre e divertirsi in tanti diventa più piacevole, come succede in tutti gli sport di squadra e di gruppo. Poi, come nelle più belle storie, iniziano le difficolta: stavolta davvero impreviste. Il campo non c’è più; chi si era
ripromesso di supportare tangibilmente il gruppo e la neonata Società si eclissa. Sparisce proprio. Il proprietario del campo pretende il dovuto affitto e, non avendolo mai ricevuto, sfratta di fatto i neo-rugbysti. Ed ecco il primo, piccolo/ grande colpo di fortuna. Erano già tutti amici, e ora lo sono diventati ancora di più. Vogliono continuare l’avventura e ci credono: costituire una squadra, ricostituire una Società. Si ritrovano tutti insieme, stavolta in un pub: si guardano negli occhi, senza troppe parole. Bastano gli sguardi per dire sì, e ordinare una “media” chiara. L’avventura ha inizio.
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Con i colpi di fortuna a volte succede come per le ciliegie: uno tira l’altro. Accade, infatti, un secondo “colpo”: forse era scritto nel Cielo (poi vi dico perché). Capita nel momento giusto, nel posto giusto… Come? Un centro sportivo della periferia di Tortona concede in uso il campo di calcio, inutilizzato da anni: il prato è oramai un piccolo bosco di robinie; la gramigna la fa da padrona; tre
Ruggero (in maglietta verde) e i ragazzi lavorano alla clemente per avere degli spogliatoi e un campo di gioco.
piccoli locali, probabilmente ex-pollai, potrebbero essere ripristinati come spogliatoi…
Nessuna paura: i venti ragazzi si guardano ancora una volta negli occhi, stavolta ancora più convinti: Bingo “the cap” ricorda che.. Catalin, il possente pilone, è idraulico muratore e fabbro; “Perry Nason” Perri e Gabbetta, suoi compagni di prima linea, fanno rispettivamente il muratore ed il geometra; Max “Highlander” Ganzarolli fa il piastrellista e il decoratore; Calderan “Nostarporn” si contrabbanda (riuscendoci!) da maniscalco; Matteo “Zumpa” è meccanico a 360°; Matt Bernardi gli fa concorrenza; Dallocchio si dimostra inaspettatamente provetto giar-
diniere, alla faccia dei suoi algoritmi. E gli altri? Tutti, da Clòd “centopercento” a Daffu ”the Prince”; da “Ray-ban” a “Alex Big-feet” o a “Burgu-ci-penso-io” …tutti manovali professionisti anche se ingegneri o diplomati. Ma la condizione per ottenere e utilizzare il campo (gratis) è
che quasi silenziosamente avviene l’altro piccolo miracolo. Un noto scrittore e giornalista (di rugby) veneto viene a sapere di noi e contribuisce tangibilmente per buona parte del costo del ferro necessario. Matteo “Zumpa”, il nostro giocatore meccanico, impiega due pomeriggi ad assemblarle e saldarle. “Nostrum campum habemus”… finalmente!
drastica: quella di rimetterlo in funzione. E il Cielo, come dicevo prima, ci mette del suo (…è un campo della Diocesi Tortonese, Deo gratias…). C’è di più: il sacerdote dell’attigua chiesa dicono sia un appassionato di rugby. Questo succedeva in giugno. Inutile dire che nel mese di luglio 2012 e per gran parte di agosto è tutto un lavorare alacremente. Iniziano le prime “collette” per l’acquisto dei materiali e delle attrezzature. Tutti contribuiscono secondo le loro possibilità e disponibilità. C’è chi aggiunge qualcosa al posto di chi non può. Chi porta panini, chi bibite…….il gruppo cresce. Ci si ritrova tre volte la settimana: il mattino lavori, il pomeriggio allenamento, la sera pizza e grigliata. E il campo finalmente prende la forma prevista. L’unica porta calciofila rimasta, arrugginita e cadente, viene rimossa. Ora occorrono le porte ad H...e le vogliamo belle, alte e svettanti. Ed ecco,
La vista delle porte appena innalzate, contribuisce a darci ulteriore sprint nel proseguire i lavori di muratura agli spogliatoi, che, all’inizio di settembre, sono ultimati. Ma altre cose nel frattempo sono decise. Si rinnova l’affiliazione alla Federazione Italiana Rugby.
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Per ora, da dirigenti fungono i giocatori stessi: il segretario, i consiglieri, l’amministratore, il tesoriere. Soprattutto tutti i neo-rugbysti “leoni” tortonesi vogliono “giocare realmente ” un vero campionato, dopo le amichevoli fatte con le squadre dell’alessandrino e del torinese. Inutile aggiungere che la passione e la voglia
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hanno il sopravvento, superando ogni perplessità che rasenta l’incoscienza. Ci iscriviamo al campionato, chiedendo, in deroga, di partecipare a quello sud/lombardo, e questo soltanto per questioni economiche e geografiche. A proposito di “economia”…. La “colletta” inizia a farla da padrona. Serve per
l’acquisto delle maglie, per la benzina a chi mette a disposizione la vettura per le trasferte, per pagare il medico quando è obbligatoria la sua presenza alle partite. E via di questo passo.…. Finalmente l’avventura ha inizio, grazie anche ad altri piccoli miracoli. Come l’arrivo di “Totò”, il tecnico allenatore ap-
passionato come noi, caduto quasi dal cielo di Pavia e che ci segue. O come il nostro giocatore, Lorenzo ”el lavandero”, che ha la mamma che gestisce una lavanderia (e le maglie da lavare sono sempre tante). E questa volta, alla parola passione, va aggiunto anche “gratis”. E arriviamo dunque al campionato, E’ iniziato con tutte le difficoltà previste: il nostro obiettivo è di onorarlo e giocarlo fino all’ultima partita, impegnandoci sempre al massimo, cercando di fare esperienza ed imparando tante cose anche dai nostri avversari domenicali. In definitiva vorremmo riuscire a non durare “l’espace d’un matin”. Abbiamo costatato che ci divertiamo ugualmente, nonostante le dovu-
te batoste subite. Per questo stiamo pensando al prossimo futuro: nel frattempo, è un piacere dirlo e costatarlo: qui nel Tortonese il germoglio della palla ovale ha attecchito e sta crescendo; il lavoro iniziato nelle scuole tre mesi fa, grazie alla disponibilità di Presidi e prof davvero “sportivi”, comincia a dare ottimi frutti. Quattro “leoni” del Derthona rugby, due volte la settimana, vanno nelle scuole e da un mese circa anche con allenamenti al campo in orari extra-scolastici. Va da sé che le presenze agli allenamenti aumentano. Esordiscono in prima squadra tre seniores, provenienti da queste scuo-
le. Arriva anche un maratoneta, discreto e solitario come lo sport che pratica. Si aggrega a questo gruppo e la cosa gli piace. Dopo un mese si dimostra uno tra i migliori estremi del girone. Ultima sorpresa. Venti e più ragazze, provenienti dal lavoro e dall’attività presso gli istituti scolastici, si appassionano: sono motivatissime e con grinta da vendere. Sono le nostre “leonesse”. Anche queste, in pomeriggi extra-scolastici, calcano il campo che pochi mesi fa quasi non esisteva. La Federazione ha drizzato le orecchie e prossimamente il Tecnico Selezionatore Federale verrà a fare un ministage per le neo-rugbyste. La “cosa”, che si diceva all’inizio, ha preso forma e sta crescendo. Questo è un altro motivo per mettercela tutta e per fare crescere quello che pochi mesi fa sembrava impossibile. Quasi da incosciente.
E finalmente si gioca! Inizia il campionato di Serie C5; nelle foto il Derthona Rugby affronta il Borgomanero. Anche se il Derthona ha perso sinora tutte le 15 partite e in classifica ha -16 punti, ha segnato 28 punti e ne ha subiti 875, c’é gioia di partecipare e volontà di migliorare.
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RUGBY UNION dal nostro inviato Michele Benazzo
Insieme a I Cavalieri Prato
com'E' bello il rugby! A
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ndare allo stadio ad assistere a una partita di Rugby rappresenta sempre un’esperienza diversa e coinvolgente. Si tratta, infatti, di un mondo sportivo a sé stante, affascinante, formidabile, insolito, per certi versi anche grottesco, ma è in assoluto da inserire nella categoria “cose da fare”. Sabato 8 dicembre 2012 ho avuto l’opportunità di andare a vedere Prato-Stade Francaise, incontro valido per l’Amlin Challenge Cup, competizione rugbystica paragonabile alla coppa Uefa nel calcio, e vi ho trovato un mondo incredibile. Nessuna coda all’ingresso dello stadio, clima gioviale e allegro come se fosse una festa popolare, sincere chiacchiere e pacifici confronti, griglia accesa con panini e salamelle pronte per il terzo tempo: una realtà che non si può paragonare a nessun altro sport.
Le persone che animano questo clima si fanno coinvolgere dall’atmosfera e s’instaura uno strano rapporto di convivialità e di amicizia, che sembra incomprensibile ad un estraneo al mondo del Rugby. Il tutto è reso ancora più incredibile dallo spessore della partita: i Cavalieri Prato sono una delle squadre più importanti del panorama rugbystico italiano; lottano nel campionato di serie A, in cui stanno riportando notevoli successi, e partecipano per la prima volta anche a una competizione europea. In tale clima ho avuto la possibilità di porre alcune domande a un dirigente dei Cavalieri Prato, il signor Federico Oggioni. Siete una squadra giovane, siete nati nel
2000. Come si compone il vostro progetto? La nostra è una realtà di ampio respiro. Siamo nati dodici anni fa, riunendo due squadre locali: il Rugby Iolo e il Gispi Rugby Prato. Adesso la franchigia è unica e risponde al nome di Cavalieri Prato, anche se, in realtà, vi è ancora una precisa divisone interna. Le nostre giovanili sono ancora gestite dal Gispi Rugby, che ha anche mantenuto il proprio nome; la squadra seniores dei Cavalieri vede invece una completa compenetrazione delle due squadre. Come mai questa scelta? Nel nostro sport il giocatore non s’inventa: va costruito e deve essere seguito. Questa separazione permette di concentrarsi maggiormente sui giocatori “in divenire”, che formeranno l’ ossatura del-
la squadra in futuro. Avere una società totalmente delegata all’insegnamento giovanile facilita grandemente la formazione di un giocatore. Inoltre, ci permette di creare un gruppo che condivide le medesime esperienze sin dalla giovane età, rendendolo molto più forte. Che piani avete per il futuro della vostra società? Abbiamo deciso di intraprendere un progetto molto ampio, che prenderà il nome di “Progetto Cavalieri”: esso mira a espandere la società dal solo gioco del Rugby a una condizione di polisportiva. In questo modo potremo diventare un vero e proprio riferimento sportivo per la regione Toscana e per gli abitanti delle zone limitrofe, che già adesso ci stanno seguendo con affetto. Proprio per questo motivo, investiremo in un recente futuro sulla costruzione di un impianto molto
Foto di Daniela Pasquetti
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più ampio che comprenderà anche campi di calcio, una piscina, palestre e altri impianti sportivi. Avete accennato al pubblico. Il rugby, in Italia, non è ancora uno sport molto seguito: la popolazione toscana come risponde alla vostra attività? In realtà noi abbiamo una discreta risposta di pubblico, soprattutto in campionato. In media, abbiamo tra i 700 e gli 800 spettatori e fan che ci seguono nelle nostre partite ed anche nelle nostre trasferte. In questa stagione abbiamo riscontrato solo un grande divario con Rovigo, città di antica tradizione rugbystica e nostra principale rivale in campionato. Tuttavia pensiamo e speriamo, che con l’ampliamento del nostro Foto di Daniela Pasquetti
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progetto, che si collegherà anche ad altri sport meno frequentati in Italia, come la Pallanuoto e l’Hockey, l’ interesse del pubblico possa aumentare sempre più. Confidiamo che la “cittadella multisport”, in fase di costruzione, possa creare una più intensa cultura sportiva, che attecchisca anche nel Rugby. Passiamo al piano tecnico. Per il primo anno partecipate a una competizione europea: l’Amlin Challenge Cup. Come ha reagito il vostro gruppo, che è comunque molto giovane ed è nella massima serie italiana da poco? È vero il nostro gruppo è molto giovane: la media è di circa 26 anni. Tuttavia la maggior parte dei nostri giocatori proviene dalle giovanili; questo ha permesso, come ho detto prima, che si stabilissero profondi legami ed un’ unità molto forti. Inoltre, alcuni accorgimenti nella rosa hanno permesso un vero e proprio livellamento della qualità tecnica: sono sta-
ti cambiati alcuni nomi altisonanti del Rugby italiano in favore di giovani a un livello più uniforme. La compattezza della nostra squadra si manifesta anche sotto il profilo tecnico. Come vivete l’Amlin Challenge Cup? È una realtà nuova per noi, ma non per questo la vogliamo sottovalutare. Per noi non è secondaria rispetto al campionato; naturalmente è molto più difficile giocare con squadre straniere, che generalmente giocano un rugby più avanzato, però non abbiamo nessuna intenzione di considerarla meno della competizione nazionale, soltanto perché è più impegnativa. Inoltre, il confronto con squadre internazionali è molto utile perché ci permette di provare in modo diretto le differenze tra i nostri giochi e di farci salire di livello.
Voi che vi confrontate quotidianamente e in prima persona con squadre straniere, riscontrate tante diversità tra il Rugby italiano e quello straniero? Le squadre europee, come quelle francesi e inglesi, hanno ancora un gioco più elevato del nostro; dimostrano un ritmo, una velocità, una fisicità diversa, che ci impone un impegno superiore. Loro sono in grado di sostenere fasi di gioco molto più lunghe, mantenendosi comunque su livelli tecnici considerevoli. Il nostro rugby ha compiuto passi da gigante, ma dobbiamo fare molto altro ancora per raggiungere i livelli europei. In Italia si deve ancora formare quella cultura rugbystica, che invece in stati come l’Inghilterra e la Francia è dominante.
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Foto di M
Foto di Michele Benazzo
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Viaggi e poesia di GoRdon Linnell
Sirmione Foto: Giuseppe Preianò
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Foto: Giuseppe Vecchi
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irmione, ah, Sirmione! Ci potrebbe essere nel mondo un posto più incantevolmente bello di questa piccola cittadina, annidata su una penisola stretta nell’angolo sud-est del Lago di Garda? Sirmione, dal greco “syrma” (“coda”), squisita nel sole piacevolmente caldo dei primi giorni d’ottobre, sotto un cielo di un azzurro uniforme. Accanto alla darsena pittoresca svetta il Castello Scaligero, che con le sue torri (di cui la principale è alta 37 metri) e le sue merlature a coda di rondine sembra un monumento da fiaba, da fantasia. Risale al tredicesimo secolo, costruito da Mastino I come presidio e approdo per la sua flotta. Sulle scale che conducono alla cima del maniero si sentono voci tedesche, giapponesi, francesi, americane, inglesi. Anche, senz’altro, italiane. Una gentile coppia genovese mi chiede di farle una foto e sono contento di soddisfare la richiesta e di parlare con loro per qualche minuto. Il panorama dalla torre più alta è spettacolare: il lago, cosparso di battelli bianchi e diverse barche, le montagne lontane, e sotto il castello il porto indaffarato.
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I vicoli angusti, brulicanti di visitatori, con case di varie tinte vivide, botteghe di souvenir e d’abbigliamento chic, caffè e ristoranti a iosa, gelaterie innumerevoli con montagne di gelato di tutti i colori e sapori: tutto mi attrae. E poi si scopre una chiesa, abbastanza piccola. Si chiama Santa Maria Maggiore (o Santa Maria Della Neve) e fu costruita nel quindicesimo secolo; quest’anno festeggia i cinquecento anni dalla consacrazione. Dopo le folle del castello e dei vicoli qui si trova un po’ di serenità, assorbendo l’atmosfera del posto e guardando i begli affreschi. Sui vicoli che ti portano verso il nord della penisola, in tutto lunga quattro chilometri, si scoprono le note Terme di Catullo, alberghi di lusso, e infine il Museo Archeologico e le rovine della Villa di Catullo, il celebre poeta latino del primo secolo avanti Cristo. Il museo conserva frammenti degli affreschi della villa. Quello che sorprende riguardo alla villa è la sua grandezza: lunga 167 metri, larga 105, eretta su tre piani, attorniata da un oliveto anch’esso di dimensioni impressionanti. Qua e là sulle antiche rocce sfrecciano lucertole, che poi si crogiolano al sole autunnale. E da tutte le parti il lago scintillante; il lago che, pare, ispirò Catullo a scrivere alcune delle sue bellissime opere. Sirmione, un vero paradiso terrestre, rimarrà un bellissimo ricordo... Si ringrazia il Comune di Sirmione
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Foto: Pasquale Colangelo
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Chi inventa i giochi? Luca Cerrato
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el primo numero ho cercato di darvi un’idea di quanto può essere vario e vasto il mondo dei giochi da tavolo, che non sono rappresentati soltanto dalla scarsa decina di titoli disponibili sugli scaffali dei centri commerciali, ma, al contrario, costituiscono una grande e variegata offerta, in grado di soddisfare le esigenze di tutte le fasce d’età ed anche i gusti dei giocatori più esigenti. Per completare la parte introduttiva sui giochi in scatola mancano ancora due tasselli fondamentali: • Dedicare un giusto spazio agli ideatori dei giochi, ossia agli autori. • Descrivere quali sono i mattoncini elementari che formano un gioco. Questo numero sarà dedicato agli autori di giochi. Quando andate in una libreria per comprare un libro, uno dei possibili
Foto: Luca Cerrato
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criteri di scelta può essere ricondotto al proprio scrittore preferito. Infatti, credo che nessuno di voi lettori si stupisca o trovi indifferente la richiesta di comprare un libro di Barrico oppure la Divina Commedia di Dante Alighieri, perché i libri sono scritti da persone con storia, cultura, intendimenti, immaginazioni del tutto diverse. Nel medesimo modo avviene anche per i giochi, che non nascono estemporaneamente dal nulla, ma richiedono il concorso d’intelligenza e creatività umana per plasmare e dar vita a proposte sempre nuove. Nel mondo dei giochi esistono autori affermati che hanno creato vere e proprie opere ludiche. Alex Randolph è stato il primo autore professionista insieme al suo amico Sid Sackson (siamo negli anni ’60). Ai giorni nostri ci sono autori famosi che pubblicano più di un titolo l’anno, ricevendo il consenso di numerosi fan. Nel presente articolo concentrerò l’attenzione su chi vuole tentare di iniziare questa interessante carriera e darò qualche consiglio per autori in erba. Se per scrivere un libro bisogna avere sicure conoscenze linguistiche, competenze tecniche di scrittura ed informazioni corrette sull’argomento di cui si vuole SPQ&R _ 73
trattare, qualcosa di simile avviene anche nel mondo ludico. Per descrivervi il processo di creazione di un gioco vi parlerò di che cosa accade in un ritrovo di autori di giochi. L’occasione giusta è rappresentata dalla due giorni creativa di IDeA G (Incontro DEgli Autori di Giochi), tenutasi a Torino nel terzo fine settimana di gennaio, in cui più di cinquanta autori di giochi si sono ritrovati per confrontarsi sulle loro ultime realizzazioni ludiche. Questo incontro è stato organizzato da Walter Obert e Paolo Mori (entrambi affermati autori di giochi), con il supporto del gruppo ludico torinese Gioca Torino. Comunque, prima di addentrarmi nello
specifico, ritengo utile porci la domanda: Perché qualcuno, sano di mente, dovrebbe creare un gioco? A tale quesito le risposte sono molteplici, e in qualche caso esoteriche. Iniziamo da chi ha avuto una visione onirica (credetemi è vero!) e al risveglio ha riprodotto quello che ha sognato; chi crede, o meglio spera, di avere scoperto la formula magica per un nuovo e rivoluzionario gioco; chi ha una grande passione e la vuole riprodurre su un tavolo da gioco (per esempio uno sport); chi semplicemente si diverte a giocare con le regole ed infine chi crede nel potere educativo del gioco.
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Qualunque sia la motivazione che lo muove, un autore di gioco, quando passa dalla fase ideativa a quella pratica, dovrebbe seguire pochi, fondamentali ed essenziali punti. Il primo passo, dopo aver stilato un regolamento sommario, è giocare in solitario il proprio gioco. Questo momento serve a capire se l’insieme di regole utilizzate abbia prodotto qualcosa che davvero funziona, evitando così che si finisca in una situazione di gioco non prevista dal regolamento, che viceversa avrebbe soltanto fatto perdere tempo e deluso altri possibili giocatori. Quando siete convinti che quello che avete fatto potrebbe risultare interessante, allora proponetelo alla sperimentazione di altri giocatori. Un consiglio: non rimanete nella cerchia degli amici, perché difficilmente si otterranno delle critiche costruttive; non fidatevi troppo delle persone che vi dicono quanto bello e diverte sia il vostro gioco. L’unico sistema per avere una valutazione oggettiva del vostro prodotto è farlo giocare a estranei, meglio ancora se a giocatori esperti. Per esperienza, il primo dubbio che può sorgervi è: e se poi mi rubano l’idea? Bene, sappiate che nella maggior parte, per non dire nella totalità, dei casi questo non accadrà. Per far provare i vostri prototipi è importante partecipare a incontri come IDeA G, dove è possibile confrontarsi con autori affermati, editori e soprattutto volenterosi giocatori. Il valore aggiunto di un play test fatto da persone esperte è la formulazione di un giudizio abbastanza imparziale, e soprattutto sono preziosi i suggerimenti che riceverete per far evolvere il vostro gioco. Oltre a testare i giochi, durante la due giorni è possibile anche partecipare a dei brevi ed utili workshop. Quest’anno gli appuntamenti sono stati ben tre. I primi due erano orientati agli aspiranti autori ludici in cerca di un editore, e su come ci si dovrebbe muovere fin dall’ideazione del gioco per andare incontro alle richieste del mercato. I fattori da tenere in conto sono molteplici. S’inizia col decidere quale fascia di giocatori si vuole coinvolgere e con l’ambientazione che dovrebbe stimolare la fantasia del giocatore. Ma una semplice scenografia
non basta: bisogna quindi decidere quale tipo di meccanismi ludici, meglio se innovativi, utilizzare. Per fare ciò, è indispensabile una conoscenza che si acquisisce con la pratica di molti giochi, in special modo di quelli usciti negli ultimi 20/30 anni. Nel pomeriggio di domenica s’è svolto l’incontro più atteso: quello con la nota casa editrice tedesca Hans im Glück, che vanta ben sei Spiel des Jahres (il gioco dell’anno), un prestigioso riconoscimento ludico, non trascurabile anche in termini monetari. La vittoria, infatti, comporta un incremento di centinaia di migliaia di copie vendute. La casa editrice è formata
soltanto da sei dipendenti, ma che sono comunque in grado di vendere ben sei milioni di copie (tra gioco originale ed espansioni) del famoso Carcassonne. Dal confronto con il responsabile della casa editrice è risultato sorprendente il numero di prototipi ad essa inviati: una decina alla settimana, che in un anno fanno circa 400, ma di questi ben pochi trovano la via degli scaffali. In conclusione, se volete iniziare ad occuparvi di giochi come autori , dovete, oltre a metterci molta passione, essere curiosi, giocare molto a tanti giochi differenti, e soprattutto …. non aspettatevi di diventare milionari. SPQ&R _ 75
di Marco Faraci
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er ora sono in pochi coloro che da noi hanno sentito parlare del Roller Derby, uno sport di squadra che negli ultimi anni sta viceversa registrando un successo crescente in altri Paesi, specialmente negli Stati Uniti. Le regole del Roller Derby sono abbastanza semplici. Due squadre di pattinatori si affrontano su una pista circolare, muovendosi nella stessa direzione. Ogni squadra è composta da un jammer, un pivot e tre blocker. Il jammer deve “andare in fuga” , con l’obiettivo di “doppiare” gli atleti della squadra avversaria. Per ogni pattinatore che gli riesce di doppiare, fa guadagnare un punto alla propria squadra.
I blocker hanno il compito di “bloccare” il jammer avversario, ostacolandolo non solo attraverso la propria pattinata, ma anche creando veri e propri muri che il jammer deve aggirare o sfondare. Il pivot pattina davanti ai blocker, coordinandone la strategia e rappresentando l’estrema difesa contro il jammer avversario. Il Roller Derby non è uno sport nuovo. Le sue origini risalgono al periodo tra le due guerre mondiali e, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70, ha conosciuto in America una certa popolarità e una buona esposizione televisiva. Tuttavia, in quella fase era più che altro uno “show”, con elevati livelli di teatralità e risultati spesso decisi a tavolino – un po’ come avviene con il Wrestling.
Il pazzo, pazzo mondo del Roller
Derby
Dopo il periodo di notorietà, questo sport è finito nel dimenticatoio, ma nei primi anni 2000 ha visto una rinascita a livello amatoriale, in una dimensione più genuinamente sportiva. Il Roller Derby moderno non si caratterizza come un vero sport competitivo e si connota soprattutto al femminile. Ragazze e donne di età, background socioculturale e capacità atletiche diverse si ritrovano a fronteggiarsi sui rink, in
gare senza esclusioni di colpi. Sì, perché il Roller Derby è una disciplina che richiede forte determinazione e freddezza, dove contatto fisico duro con l’avversario e cadute rocambolesche sono all’ordine del giorno. Parte del successo del Roller Derby femminile deriva anche dal fatto che le atlete non passano certo inosservate. L’estetica di questo sport è infatti molto peculiare; ogni pattinatrice oltre a scegliere il pro-
prio nome “di battaglia” (“Serius Mischief”, “Kamikaze Kim”, “Flash Gorgeous” e così via) si inventa il proprio look, spesso tra il sexy, il punk ed il burlesque. L’attenzione dei media per la disciplina è crescente e su di essa è stato incentrato nel 2009 il film “Whip it!”, esordio alla regia di Drew Barrymore. Da un punto di vista organizzativo, il Roller Derby è articolato in leghe locali, che disputano i propri campionati. SPQ&R _ 77
Esiste, tuttavia, una federazione delle leghe, la Women’s Flat Track Derby Association (WFTDA), che gestisce un campionato generale, cui partecipano le squadre “All Star” dei vari circuiti. Attualmente vi aderiscono 172 leghe, per la maggior parte statunitensi, ma con presenze anche per il Canada, l’Australia, il Regno Unito, la Germania, il Belgio, la Svezia e la Finlandia. Il campionato WFTDA del 2012 è stato vinto dalle Gotham Girls di New York, che hanno sconfitto in finale le Oly Rollers di Olympia. Nel 2011 è stato disputato anche un campionato mondiale per squadre nazionali, vinto dalla rappresentanza degli Stati Uniti, che ha battuto in finale quella del Canada. In campo maschile, lo sviluppo del Roller Derby è ancora a uno stadio embrionale; comunque le dinamiche di espansione appaiono positive ed al momento sono 31 le leghe che operano sotto l’egida della Men’s Roller Derby Association (MRDA), tutte statunitensi, tranne quella di Montreal e quella di Londra. E in Italia? Qualche cosa si sta muovendo anche da noi. La notizia è che il Roller Derby da qualche tempo si sta, pur timidamente, affermando, con la presenza delle prime squadre femminili, già attive a Milano, Napoli e Palermo...
Dalla citta' di Bill Gates la sfida delle
Rat City Rollergirls di Marco Faraci
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e Rat City Rollergirls sono la lega di Roller Derby di Seattle, che è una delle più importanti negli Stati Uniti, cui è dedicato, tra l’altro, l’interessante film documentario “Blood on the Flat Track”. Abbiamo parlato con Jessica Johnson Ivey, in arte “Scarlet Leather”, atleta e direttrice marketing delle Rollergirls.
Jessica, da quanto tempo pattini e quando sei entrata nel circuito? Sono entrata nelle Rat City Rollergirls nel 2007, ma pattinavo già da diversi anni, e per un po’ di tempo mi sono allenata con altre ragazze per migliorare il livello, abbastanza da essere pronta per questo sport. Quello che mi piace di più in questa disciplina è la diversità e la varietà delle atlete, oltre che il modo veloce, caotico e aggressivo in cui si svolge l’azione. Quando sono nate le Rat City Rollergirls? Abbiamo cominciato nel 2004 in una pi-
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sta da pattinaggio e nel giro di nove anni siamo emerse come una delle leghe più competitive al mondo. La nostra lega è vista come un modello, perché gareggiamo spesso anche in un grande palazzo dello sport e questo ci ha permetto di battere il record assoluto di pubblico per una competizione di Roller Derby: 6800 spettatori. Siamo anche apparse in un reality show, ottenendo così una visibilità mediatica a livello nazionale. Come funziona la vostra lega? Abbiamo 80 pattinatrici attive e molte più ex-atlete, che, anche se si sono ritirate, continuano a collaborare al funzionamento della lega. Siamo divise in quattro squadre che competono nel campionato di lega e le atlete migliori fanno parte anche di due squadre All-Star, che rappresentano la nostra lega nelle competizioni con leghe di altre città. Poi abbiamo un team preparatorio, le Rat Lab, in cui si allenano le ragazze che non sono ancora abbastanza brave per entrare in una delle squadre “senior”. Pensi che il Roller Derby sia destinato a diventare uno sport professionistico prima o poi? E’ in atto un tentativo di portare il Roller Derby alle Olimpiadi del 2020, ma quello che è certo è che servirebbero più sponsor per portare il nostro sport al professionismo, potendo così avere atlete che vi si dedichino a tempo pieno. Si dice spesso che il Roller Derby è animato da un forte spirito “femminista”.
Sei d’accordo? Assolutamente. Il Roller Derby è, a suo modo, una nuova pagina del femminismo e del ruolo delle donne negli sport competitivi. Fino ad ora gli sport di contatto fisico sono sempre stati un po’ off limits per le donne. Invece con il Roller Derby le ragazze possono sviluppare le loro abilità atletiche, misurarsi tra di loro ed incanalare la loro naturale aggressività in modo sano. E’ il modello di ruolo che abbiamo sempre voluto. Questa disciplina ha anche tanti fans tra gli uomini. Solo interesse sportivo o anche un pizzico di voyeurismo? Una donna può essere forte e bella allo stesso tempo e sono entrambi attributi naturali. Ci vuole arte e grazia per bilanciare la nostra immagine pubblica tra femminilità e decisa fierezza. Penso che quello che comunichiamo ai nostri tifosi uomini è che siamo appassionate del nostro sport, ma che ci divertiamo anche attraverso l’autoespressione creativa della nostra per-
sonalità. Siamo delle donne gladiatrici e questo, certo, è anche sexy. In effetti in pista vi affrontate in modo duro e spettacolare. Ma realmente quanto è pericoloso questo sport? Contusioni e infortuni sono relativamente frequenti, soprattutto a ginocchia e spalle. Per questo indossiamo sempre protezioni e devo dire che negli anni gli equipaggiamenti sono migliorati molto. In ogni caso abbiamo sempre una polizza per gli infortuni e richiediamo a tutte le nostre atlete un’assicurazione medica integrativa. Per quali ragioni consiglieresti a una donna di entrare in una squadra di Roller Derby? Beh, per rendersi conto di quello di cui può essere capace all’interno di un ambiente amichevole ed inclusivo; per accettare la sfida di una cosa diversa che aiuta a realizzarsi ed acquistare fiducia; per l’amicizia ed il cameratismo che si sviluppano quando lotti con tutte le tue forze in campo con l’avversaria e poi vai al pub a berti una birra con lei. Non c’è niente che faccia bene come questo. SPQ&R _ 79