Ettore Bonessio di Terzet ▄ SPLENDORE DEL VENTO. Il Viaggio

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Ettore Bonessio di Terzet

SPLENDORE DEL VENTO. Il Viaggio

ArtePoesia

SPLENDORE DEL VENTO▐ ETTORE BONESSIO di TERZET


Splendore del vento

EBT 2006

Ettore Bonessio di Terzet

SPLENDORE DEL VENTO. Il Viaggio

© 2006 │pingapaArt▐ ArtePoesia 2015 on Issuu

░ Immagine di cover: Loredana Cerveglieri │ Il mistero della farfalla © 2013 ░

Giacché l’uomo s’è rinchiuso da se stesso, fino a vedere tutte le cose solo attraverso le strette fenditure della sua caverna. Blake

Oggi [15-8-2015] è arrivata l’email di Raffaele Perrotta (inviata anche a Gio Ferri) che dice che EBT non c’è più: sono letteralmente allibito, non ho parole, niente, non so che dire. Riproduco qui l’email di Raffaele Perrotta . La bozza dell’ebook è del luglio scorso. ▌

carissimi, è mancato il nostro amico di battaglie culturali Ettore Bonessio di Terzet.ieri pomeriggio si è svolto l'ufficio funebre. fra i presenti, oltre Loredana comprensibilmente affranta e il figlio Federico, presenti gli ex studenti che seguendo i corsi universitari di Ettore e mio, col tempo sono diventate presenze attive nel lavoro intellettuale, nello spirito della cultura animata da proficue discussioni. questo è quanto possa informarvi. mi sento triste: dopo Sebastiano Vassalli, con il quale ho condiviso la nascita di Pianura - Adriano Accattino giovanissimo ma già da terzo protagonista -, altra perdita per noi tutti e per la cultura della ricerca con questa seconda scomparsa di autore. ▌L’ebook viene reso in memoria di

Ettore Bonessio di Terzet (La Spezia 1944-Genova 2015)

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Splendore del vento

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Antefatti Silenzio fragoroso Poesia Sopraffatta dai tempi Permane Fibrillante insidia

Appillata farfalla Alla colonna indenne Disposta alla bellezza Vibra al vento del mare Incredulo della rotta ala. e intanto continuano le apparizioni delle navi sopra i tetti geometrie gialle e nere confuse con le ortensie e i rossi gerani. Vorrei avere un giardino Un giardino profumato

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Per poter dire agli amici Non posso muovermi Non posso partire Devo curare le mie dalie. Distinguere il dolore, quello Accettato da quello che non Comprendiamo è esercizio che Tutti d'impronta facciamo, Sterile cosa giacché non capire Certe cose fa parte dell'umana Condizione e della pietà. Una linea di demarcazione Sta invisibile e forte Tra il mondo umano e quello Animale stranamente Tutte due feroci. La condizione perfetta cercata o non dichiarata di un Tempo che non c'è più forse - rimane indice e riscatto della malvagità e della malizia che ogni Epoca vede agire dall'umana gente.

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Ore belle per faticose cose e antiche e ardue per passare poi alla volgarità banale dei gesti quotidiani questo impone duro coraggio. Nell'antro di un cuore le sue variazioni i palpiti ritmici insomma possedere un'anima completamente forse è solo il vero esercizio di libertà .

Se spezzare un ramo di resistente rosa produce fiore piĂš forte permette gesto di gentilezza a chi amore si dona. Accesa la luce rossa

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l'otturatore elettronico ferma l'immagine scatta subito cercandone un'altra rimandando a dopo quello che giĂ avevamo visto. Il cavaliere impenna il cavallo nella lotta contro il mostro avversario sleale e forte: le zampe sono salde le redini ben guidate la spada affilata come i denti del nemico e cosĂŹ va avanti sovrana guerra perenne. Si allungano sotto il bosco e la neve cade senza suono le orme delle scivolate mentre per vie acquose il rumore delle rocce respinge lontano la paura del buio mancanza di silenzio che dice il ritmo della voce.

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Il battito nel petto accordato come piccolo usignolo o pettirosso sobbalzo per ogni battuta attento a quel che accade pronto a morire per una impercettibile dissonanza. Ne si avvede la glossinia di campeggiare sul davanzale chiaro e al sole non esposto ricamate le foglie a campana granato è il fiore che accoglie complicati insetti semplicemente le gocce di pioggia non temibile per rimanere splendore. Si strappano le carte del sole accese sopra la montagna rotonda circonferenza di riverberi accecanti e sbavati lungo le pendici di querce verticali come alberi natalizi nelle forre tagliate dai passi

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di sudore di morte di spasimo di uomini che lasciano anche il giorno nascente per tagliare gli spaghi arrotolati alle gole pelose. L'autostrada corre pulita e levigata tra montagne arricciate di un rossore patinato montagne di pietra nera argillosa di un fiume veloce e calmo che scorre spumosamente arroventato dai sassi precipitati come le anime di chi passato di qua è caduto volando per la prima volta. Stride l'armonica nella bocca spaccata da troppi canti solitari nei freddi senza luna seduto lungo un rigagnolo come una cartolina delle vacanze aspettando la fine dei suoni per un motivo nuovo la fine della notte recante.

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Attraverso lungo i prati lavanda che lotta con insetto al margine del bosco senti le vigilanze di chi non vedi ombre paurose sembrano tra riverberanze di luce, animali in fuga per l'uomo nient'altro che vita rumorosa minuscola sotto gli sterpi tanta che la mente teme di non sostenere l'impatto. La nave affonda il taglio implacabile mare circolare va la prua tra le spumate sbuffanti come le corna del toro che le narici polpose rigonfie salta in alto per sbalzare l'uomo saltante sul dorso come la nuda terra e irta di boschi e cascate in autunno tra aria leggera e odori brucianti che non quieta come il mare neppure sotto il sole perpendicolo e

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la notte che tutto riavvolge. Muta se ne va medusa da maree e da venti ritmata avvezza lamina senza meta spuma sottile e troppo umile sospinta senza fine sarebbe arenata come un niente tra le vie oblique del profondo se bellezza non la sostenesse.

Cavalcata Attaccate le ali al cavallo il giovane come grifone corre per la pianura senza alberi e ruscelli solo una tavola alla vista bruciata solcata da grilli e cicale senza pi첫 usignoli e passa il fanciullo nel manto stellato di azzurro alla ricerca di una rosa canina memore del bosco di tigli la cerca rabdomante d'alloro cavalcando senza sosta e passa

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distese infinite e desolate di morti cespugli e carcasse consunte senza sosta viaggia senza una lacrima o sudore in fronte al vento selvaggio di questa regione abbandonata dalla vita e suona e suona e suona la tromba e getta semi di miele: rosa, dove stai rosa canina? dove allarghi i tuoi petali le tue foglie regolari i tuoi boccioli duri e carnosi: Dove sei rosa che il tempo passa e tanto è passato senza che il mio viaggio sia terminato e stanco è il cavallo ed io tremo dalla fatica e dall'ansietà di trovarti dalla paura di avere sbagliato sentiero aspro e acerbo non il sentiero che conduce alle foreste tue ai campi dorati e bagnati dalla pioggia

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fertile bevuta dai cigni e raccolta da te rosa bella rosa da sempre ricercata corona avvezza agli eccellenti uomini forti.

Cavalca ancora oggi il fanciullo polvere sul mantello poca ancora forti le forze e anelanti di trovare l'oggetto dell'andare tempi ed epoche trascorse infiniti spazi travolti terre e mari depressioni e montagne incarbonite oltrepassate senza mai sosta lo sguardo attento ed impaziente sempre al possibile prodigio antico non vecchio continua la sua avventura strana mai cedendo alla stanchezza disperazione e sfiducia ignote alto e vigoroso nel suo furoreggiante andare.

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Gioia e naufragi Il ricatto sublime della santitĂ raggiunge le strade illuminate nella notte che non ritorna mai uguale se non come cartolina di un viaggio anch'essa diversa e sempre stampata con altri colori e non vien meno il desiderio di continuare a viaggiare a lottare contro i fantasmi creati a noi dalla mente, la nostra fantasia se malata conduce non all'opera ma al disfacimento suo proprio quando si pensa all'originalitĂ all'apertura di cieli e praterie larghe e profonde solo avvallamenti e riflessi, briciole rimanendo alla storia che le inghiotte come la bella libellula zanzara fastidiosa: niente dentro gli occhi

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rimane se non li chiudiamo, li stringiamo respingendo gli umori e gli affanni che aumentano nella calca delle prefigurazioni. Solo una menzogna può portarci ristoro, un poco di pace scontata con il ritrovarsi inerti dinanzi a se stessi, colpiti dal vuoto veduto che si para di fronte insinuante e nostro, un niente che diventa piano piano nulla dove non possiamo piÚ naufragare per la gioia di una azione volontariamente cercata.

Cerimoniale Fumano le mani dietro i vestiti cerimoniosi, fumano scoperte nell'aria incensata alla cerca della mano amica, vicino o lontano poco importa purchĂŠ la stretta sia possibile, fumano in cerca di un tepore dove il respiro si possa acquietare e riposare.

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Fuori piove ancora, piÚ leggera di prima. Piove e fuma l'asfalto coperto dalle suole, dalla paura di perdersi per le strade stridenti di luci e buie per un occhio avvilito dai fragori ritmati di una cerimonia, non festa. Cerimonia per mano cercante, mano cercante nella solitudine tagliente altra mano per passeggiare tranquilli lungo l'argine del fiume pieno di pesci che ricorda la campagna dove si bruciò la pienezza del cuore abbandonata per la troppa quiete. Finisterre Da qualche parte del mondo esiste una spiaggia chiamata dei morti. Dall'alto si riconosco i profili appuntiti della costa, circondano alberi tra il verde e il bruno chiazze di argento e di ferro

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si specchiano nell'acqua che azzurra e bianca batte e ribatte sulla semicircolaritĂ sabbiosa grigia e verdastra con lampi di nero a contrastare la giornata chiara e ventosa pulita che vedi lontanissimo oltre il lecito orizzonte ma non riconosci nessun corpo marcito dal liquido che eternamente ripercorre la sua via, non riconosci nessuno e niente in questa spiaggia dei morti dove regolarmente vanno a dondolarsi corpi vestiti alla meglio, ignari di questo destino d'acqua.

Qualcuno era stato capitano in una bella barca di Saint Jean de la Luz, barca di mille colori e drappi come quella galleggiante sulla navata centrale della chiesa: un altro era stato un coraggioso soldato sfuggito a mille bottiglie con le ragazze piĂš belle: altro un ardimentoso giocatore di rugby forte e sano e gentile fuori dal campo un poco distratto nella vita: un altro impiegato felice

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della vacanza conquistata: pochi giorni al debole sole di queste scogliere: un altro sono io se avessi osato gareggiare con me stesso e lasciarmi cullare dalle onde se non fossi capace solo di narrare l'accaduto e scrivere epitaffi a sconosciuti di una vita intera. Scompaginati dagli urli lanciati da luoghi pericolanti dappertutto ritornano gli echi arrotolati attorno agli instabili piedi che saltano presi da febbre terzana morsicati dalla tarantola sonora.

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Dettagli

Primo Maggio Immerso in una mattina spugnosa di nubi ritagliate come se Matisse segnasse il cielo dei suoi blu e traversato breve tragitto i resti frizzanti di un meriggio spazzato da un temporale, stupefacente è passato questo giorno di festa.

I dettagli Le cose si presentano dettagli rettangoli di verde e di giallo a comporre una distesa unitaria, le cose sono disposte cosĂŹ che non puoi non scattare uno zoom e rallentare avvicinandola la sequenza spezzettata degli elementi concorrenti, e poi l'attesa che riappaiano lontano quelle cose medesime fissate

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nel sole e nella luce di un fu, medesime cose che lentamente svaniscono con il ritornare eterno del sole e della mano che le fanno esistere sino alla loro scomparsa.

Dintorni e piccola cittĂ Rincorrere. Non rimane che stare al gioco del pomeriggio e leccare un gelato senza pensare o sperare di combinare qualcosa, un breve passaggio tra i colli che portano un leggero vento tra piccoli laghi e porcellane, uliveti e grandi ville abbandonate anche dai cartelli turistici verso un lentissimo calare del sole confuso tra i primi lampioni di una periferia dominata dalle pietre di un castello in rifacimento.

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Colli Euganei Distanti si piegano i contorni delle case dei campanili che soggiacciono al riverbero chiaroscuro dell'ombra ancora macchiata di rosso, distanti dietro questa vetrata tra il verdeggiare della strada nel mezzo di una fossa tra punte di colline terrose tra avvallamenti che portano al girotondo delle mura, distanti come serpente adagiato le testa ritta per sentire meglio come disporsi al dovuto risveglio.

Pensieri di viaggio I legami con la terra sono minimi, poco della natura lussuriosa poco della sua istintualitĂ che nega ogni ragione, ogni concettualitĂ

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senza più poter riandare alla fonte dell'iniziato viaggio che si consuma inesorabile tra i contrasti della mente. I legami con la natura sono flebili e ancora non solidi i concetti per viverli totalmente; difficile equilibrio bisogna instaurare pericoloso filo sottile tra paranoia e intelligenza che in ogni istante può degenerare nell'eccesso di questo o di quello, quando una parte prevale troppo sull'altra, quando una parte troppo debole si mostra, e allora il disagio è forte, forse delirio sapendo di non stare nel medio termine sbattuti tra la frusta dell'animalità e la lucidità dell'intelletto, spasmo che solo si acquieta nel silente dormire, si calma solo uscendo dalla lotta per la realtà che non si sostiene più e si cerca un modo di essere al riparo dai colpi come quando una nave cerca rifugio dietro il promontorio al sicuro dalla tempesta.

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Viaggiare diviene pericoloso essendo la meta confusa poco chiara nei dettagli, e le tappe intermedie sono punti di fuga precipitosa luoghi dove non sostare e scappare dicendo di andare altrove e vedere cose nuove, invece è solo paura di non saper restare tranquilli nella solitudine del proprio essere. Viaggiare diviene tormento di continuo spostamento smania che prende come incessante prurito e brucia la pelle questa smania di non potersi fermare in questo luogo e goderne la bellezza ansiosi di riandare in altro perché più godevole frainteso; l'altrove è l'impossibilità interiore della pace e della sicurezza nel rapporto tra questo nostro corpo e il mondo. E ci muoviamo, ci spostiamo

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incessantemente ricercando sensazioni illusioni fantasmi e fantasticherie che marchino questa realtà : questo è il luogo: maligne e maliziose menzogne sapendo ci diciamo comunque tentando questa figura che sia ultima forma e vera per sedare il conflitto e rimanere soddisfatti. L'immaterialità della forma respinge la fatica del fare mentre si consolida l'idea presentatasi leggera volatile come alcool per non perdersi tra le pesantezze della cosa dove sarebbe caduta.

West ImpassibilitĂ di una perla a caso trovata tra le colline perla nera come il terreno

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dove il bisonte rivive a stento tra una prateria punteggiata di croci e una sfilata di souvenir, ricordo o memoria o solo affare della scomparsa di un tempo impolverato di morti e di frodi senza eroi se non quelli poi dal cinema creati del vincente ancora trascinantesi come cercatore d'oro. L'insensata ricerca del luogo il voglioso affanno di averlo per risolvere il problema del come occupare lo spazio del tempo temporaneamente.

Biforcazione La separazione del viandante avviene cautamente e in fretta alla biforcazione dove la strada porta da una parte alle montagne dall'altra scende verso il mare: il bivio separa i compagni che senza parlare prendono i sentieri diversi

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fiduciosi di arrivare lĂ dove l'implacata smania li attira senza speranza. La rottura confonde i segnali che sfilano tra le fibre del legno interrompe il sistema comunicante non permette l'andare avanti il continuare l'affannante costruire quello che si stava edificando, la rottura blocca l'avanzamento di ogni agire e ricaccia indietro il giĂ espresso e rimette in bilico il possibile compimento che rimane fortuita speranza irrinunciabile.

Segni di pericolo I graffi e le sbavature lasciate sulla terra indicano urgenza di aiuto esclamano un pericolo presentatosi lasciano messaggi a chi sopravviene di attenzione al territorio che infido ondeggia delicato al sole ripieno di tranquilla rumorositĂ

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nessuna insidia lasciando pensare. Scorrendo per le piane e i balzi la fretta di vivere e correre non bada ai segni incisi e la trappola da tempo lontano posta tra le cose più innocue scatta decisa e inevitabile. Così tramonta un vivere lasciato totalmente a sé in un meriggiare scolorito assorto all'ascolto di sé dove mutamento è trascorso a morte.

L’inizio Lo sforzo di iniziare il viaggio consuma le energie ridotte dalla fatica di trattenersi di non cedere alla tentazione di rimandare ancora una volta l'andare che pur preme e piace ma il tratto della distanza tra il punto di stacco che pare incollarsi alla terra aderente

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come macigno appuntito e il punto di destinazione non viene colmato dall'immaginazione se non con ombre paurose che allentano il desiderio premono per la decisione di rinunciare fanno decidere per la calma del rinvio. Supremo lo sforzo di staccarsi dalla colla nel sudore che attanaglia ogni muscolo e articolazione enorme come sollevare il mondo è lo sforzo che alla fine riesce a tagliare gli ultimi legamenti e scatta cosÏ il corpo ancora debole verso il completamento del tragitto rassicurato nel mentre scorre lo spazio da piccoli atti ripetuti con lenta progressione verso il ristabilimento e la conquista di un benessere che sarà nella contentezza di essere altrove. Sino al successivo ripresentarsi del momento di doversi staccare dal luogo, dalla tana ammucchiata per troppo tempo

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quale unico nido soffice contro le sgarberie della vita, le screpolature arrossate di un tempo maligno. Incerta quasi maldestra è iniziata la cerca, sicuro il dettato nel fermo svolgere di parola.

Preparazione Disporre le carte e le mappe, i fogli stradali accanto e le penne per segnare di nero le colorate strade e non perdere di vista le lateralità dove sorgono cattedrali non visitate grumi di paesaggi fantasticati come belli, leggere le didascalie di ogni foglio turistico, di ogni centimetrato album per non perdersi niente e nulla delle cose da vedere se il viaggio rimarrà quello progettato, se il progetto non muterà in corso d'opera. Accanto ai canali e ai fiumi blu le autostrade rosse attraversano luoghi i più sognati e pensati

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nelle fantasie di una lettura, nei rimandi di servizi fotografici eludendo dal costruendo andare i luoghi comuni delle masse agostane, scartando ogni comunicazione falsificata per la ripetizione estiva e natalizia, ogni possibile passaggio per spazi che non abbiano rimandi alla nostra cultura e non siano possibilitĂ di riempimento, anche una casa rotta ma all'interno dello spirito della terra e del cielo nostri a soddisfare la voglia di vivere in prima persona quello che abbiamo goduto con l'intelligenza della memoria e con l'abbandono del sogno, prefigurazioni che sentiamo rinascere quando solo le nominiamo.

Prologo La preparazione dell'occorrente è la verità di quello che andremmo a vedere in carne ed ossa, vero nella mente e da sempre concreto. Inciamperemo

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nelle varie stoffe a rigoni con stelle verdi e trapezi blu, tra le scarpe basse e leggere senza lacci un poco sformate e comode, tra le spazzole per lucidare e i pannosoffici caramellosi, tra le calze e i calzini che troppo non devono costringere il piede, tra i calzettoni di lana confortanti e i lacci di ricambio. Nella sacca verde e nella valigia, doppia valigia blu, cominciamo ad impilare senza modestia le maglie i maglioni ben riposti, le camicie con la maniche corte: due con i polsini e i sottili gemelli . . . questa giacca che sta bene con questi calzoni come se dovessi partecipare a feste non so quali . . . ancora biancheria con i sacchetti per il ricambio, alcuni foulard per riparare il collo dal vento o nascondere le prime pieghe sotto il mento? berretti e cappelli quanto basta per non prendere freddo

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per nascondere al sole i capelli tagliati cortissimi, orologio, sveglia, carta, tanta carta con matite e penne album per notazioni che andranno perdute sotto il segno di ogni giornata, macchine fotografiche e una borsata di rullini per fermare quello che l'occhio e la mente hanno già veduto e quello che l'intelligenza dimenticherà velocemente. Poco manca alla conclusione del rito preparatorio messo in cantiere alcuni giorni prima per abituarsi alla novità non per entrare nello spirito del viaggio che ancora non viene pensato e la testa allontana con ogni possibile scusa. . . . La preparazione iniziata si conclude quasi sempre con una dimenticanza che qualche cosa vorrà pur dire senza scomodare grandi nomi del profondo, se non altro che non tutta era presente la memoria e altro sotterraneamente si pensava o si voleva; mentre ci si dava da fare con apparente facilità da qualche altra parte stava il pensiero forse là dove non si deve andare là dove si può rimanere senza affannarsi . .

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E poi uscire di casa e guardare con gioia e rammarico al curato giardino raccolto nel freddo con strani fiori quasi margherite che ricolmano un vaso di terracotta, un vascone dove dalie e garofanini si accalcano facendosi largo tra gli ultimi spazi lasciati liberi dal rampicante rigogliosissimo e un cespuglio di rose dal nome dimenticato da sempre là a sbocciare fiori tra il giallo e il rosa con triangolari spine. La lavanda si è distesa con molto profumo e fa a gara con i giacinti a raggiungere il posto dei narcisi che stentano un poco, foglie verdi e un biancospino alto a sinistra uscendo dal portoncino attendono il sole del mattino per ristorarsi, memori nelle giornate di luglio dell'acqua che a pozze si formava ad ogni innaffiata. Dal giardino passare all'ascolto dei suoni del quartiere, delle strade commiste, delle piazze ripiene di auto, dei negozi

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nel loro tentativo goffo di bellezza, nelle sconnessioni dei marciapiedi, nella prospettiva che chiude al mare e ricorda l'impero di Magritte aiutato dalla bassa luce stradale infiammata ad ondate dai fari delle moto che rombano via come aeroplani lungo la discesa che ricorda quelle della costa centrale della California, in fondo una parata di luci come insegne luminose ininterrotte nel loro cangiare di colori e luminescenze.

Il Castello Allungato chiude lo spazio della piazza come un fronte portuale di mattoni tra il rosso e il rosato a strati di grigio recinto da cespugli di rose tutt'intorno posteggi di auto bandiere adagiate alle aste il bastione centrale da luce giallocra rimbalzato al nero del cielo. Non tornei e dame e cavalieri vengono alla mente nĂŠ assalti ed assedi,

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tranquilla una vasca zampilla tra silenziose giostre rotanti passeggiando alla mano uomini e donne di tutte le taglie. Fortemente dipinto qualche cranio pelato con le orecchie e il naso allungato da pendagli che paiono argenti e sono latta come il marmo che ricorda i morti delle guerre. Troppo accatastato alle case, alle strade il castello è un ordinato museo con qualche finestra sgangherata, adagiato tra i profumi della pasticceria e i coni gelato dei brasiliani.

La Villa CĂŠzanne ha dipinto per solidi senza badare piĂš alla natura scontento del disordine suo, ha imbrigliato alcuni concetti geometrici e li ha stemperati con pennelli e spatole tagliando acutamente gli spazi e lavorando per blocchi non spigolosi. Immemore della lezione,

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la villa se ne sta macignoso blocco appuntito da tutti i lati al centro di una invisibile peschiera, una pozza che s'allunga per tre lati, e memore dei mori slancia una torretta levantina con a cappello un galletto che gira come il vento. Ancora è fatta di segno col dito dai turisti dentro le quattroporte non vista piÚ dai camionisti, dai quotidiani trasportatori di latte e di vino che badano ai passaggi a livello, alla curva storta piÚ che al rugginoso segnale giallo che indica il nome un tempo glorioso.

Il Giardino Schiacciando sassolini sotto le scarpe basse si caracolla sotto un sole ventoso per la prima mattinata forse dopo giornate a picco e appiccicose, verso il belvedere che sta in alto come deve essere, prospettante il declino delle aiuole, delle fontane, della lontana pianura calma e viola

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puntata di case e di torri, quelle metafisiche viste tante volte ai musei, proprio solitarie e dense di ombre con silenti movimenti leggeri, campagna dolce e aspra insieme di questo bel paese troppo trascurato, andando alla sommità della scalea con pochi compagni accanto e i clic delle fotografie, col fastidio ciarlare eccoci sul pianoro a semicerchio, le statue riversanti acqua e spruzzi intermittenti, immemori di ogni trascorso fedeli fino in fondo al ruolo fino alla rottura continuando la scansione liquida con poco rumore. Lo sguardo va oltre l’orizzonte velato, oltrepassa ogni possibile vista e ritorna vicino a chiudere il disegno sorprendente della sapiente scelta di colori e di forme, l’alternanza delle ondulazioni tra concavi lievi per convessità non impertinenti. Il sole rimane alto sopra il bosco dei cedri le nuvole stanno ai lati come corteggiando e la campanella che risuona squillante ci trova accomodati su una panca petrosa

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comoda dopo la passeggiata, e ci rende contenti di questo tranquillo trascorso che ha rimesso a posto anima e stomaco.

Paesaggio ferroviario . . . . . correre al treno che non sai il marciapiede all'ultimo momento cambiato per qualche accidente lungo la strada ferrata al sud tra promontori e campagne ancora malariche, improvviso l'annunzio da un altoparlante che rimbomba una voce non più femminile, e correre di nuovo verso le scale mobili che non funzionano, scansare facchini e viaggiatori tirandosi dietro le valigie, sbilancianti, la spalla sbilenca, stupiti di farcela con quel peso, stupiti di non scivolare tra le increspature delle corsie, stupiti di non aver già perso il treno, questo grosso treno internazionale che ci porterà verso i saliscendi di pianori senza un albero, disegno assolato di Dalì, quello per il Don Quijote, col locomotore che non ce la fa a raggiungere la sommità della salita che non sembra così micidiale, e ronfa con i suoi diesel lanciandosi nella discesa con un sibilo di velocità che non si

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trasmette alla carrozza tenuta per bene e che dice la povertà endemica di questa terra, la dignità di un popolo povero ancora, uscito da poco dall'ultima dittatura europea dichiarata, popolo sfiancato dal sole e dalla storia. Le valigie rollano tra le assi di metallo sottile, sopra le teste rilasciate e dondolanti secondo lo scendere e il salire dentro un'aria forzata, sopportabilmente fresca, fuori cespugli verdegrigi di piante use alla mancanza d'acqua, qualche rovina in fondo, pochissime le case dei contadini disseminate di animali come i tuoi, rassicuranti nonostante il lento progredire di questo treno chiamato rapido. Passeggiare tra i vagoni per rilassare il corpo, riassettare i calzoni con le mani carezzevoli, stirarsi, allungare e stendere la muscolatura, fumarsi una sigaretta in attesa che l'orologio punti l'ora di arrivo, chiedendo un caffè che risciacqua la bocca caldo, senza aroma e gusto, ma ben assortito con il cilindro fumante fumo che non aspiri per paura del cancro che in questo momento è diventata leggero

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tremore allo stomaco nell'aspettativa di arrivare. . . . . Finalmente questa lumaca rossa e gialla snodatasi per tutta la diagonale della mappa dal nord verso il centro della cartina geografica, s'infila come un razzo sotto le arcature di alluminio della stazione ferroviaria, tutta nuova che non riesci a ricordarti il luogo, piena di teste e di valigie e di colorate insegne, carrettini di bevande e panini, questa larga stazione con fontanelle di granito tantissime cabine per telefoni pubblici, tutti occupati, dove una voce cadenzante dice che siamo a destinazione, solo per far scendere i bagagli, cercare un facchino, tentare l'impresa di un taxi per raggiungere il prenotato hotel.

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Momenti Tarquinia Istantaneamente, con stupore per la cosa, ricorda le strane casette con tegole rosse, pensiline che s'aprono a capofitto dentro la terra dove ti portano smussati gradini e scivolosi ed entri in un antro, una camera di sepolti vivi, dipinta qua e lĂ con affreschi di bella porpora con cadmi e celesti ad incorniciare le teste, vesti drappeggiate con ricami finissimi, 40

rilievi murali di armi e spade con utensili, oggetti di tutti i giorni stampati per sempre, fiori ed alberi tra improbabili leonesse, pesci e delfini tra onde tratteggiate appena: squisita civiltà propria di una cultura consolidata, mondo che aveva conquistato il dominio delle cose, prezioso mondo che però non conosceva il cielo e aveva paura.


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Firenze Firenze rossa di polvere sopporta il peso della storia, il peso di magnificenze che la soffocano. La vogliono città museo un ghetto della bellezza che dovrebbe sopportare allora l’allontanamento anche degli abitanti solo rimanendo gli addetti al funzionamento di questa macchina per turisti. Chiacchiera aperto il popolo ad alta voce tra le strade a bugnato, chiuso dentro il cinto delle mura, pronto all’incasso dalle trapassate glorie niente cedendo al contemporaneo, smisurata fierezza impossibile speranza che persista grandezza senza sacrifici di rinnovamento. L’impolverata Firenze continua il suo vivere alle spalle di quanto fu, mostrando alle compagnie frettolose e irretite quello che non ha fatto

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quello che non può fare più, soddisfatta del ricavo becero e della fama insostituibile. La trasformazione chimica della Stella di Natale non si esaurisce nello stupore per foglie verdi alla luce del sole diventate rosse ( ne hanno costruite di gialle di rosa di azzurre poi un nero ancora instabile. Va il pensiero alle bellezze che la curiosità e l’ingegno umani possono e alle cose nefaste anche, protratto il gesto sino alla fine dei tempi, straordinaria capacità di novità giocata però in un mercato dove vige la legge del chi è più bravo o più bello - chi vincerà la corsa di Ascot? annullando così la purezza dell’invenzione.

Siena Serpente disteso, ondulato su tre colli sta solinga ed elegante la conchiglia del Campo da cui tutto si irradia, anche il profumo dei dolci

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l’aroma dei pici, la fragranza delle olive e dei vini. Fieramente continua la storia in quel che gli rimane con la passione e l’ardore di una giovine dama a passeggio con Guidoriccio e il Buon Governo, radiosa del rosso di Duccio che si è sparso per le colline e la campagna a formare le tre delizie di Montalcino.

Ravenna Imprendibile città, punteggia il territorio di impareggiabili azzurri e stelle d’oro oltre i cilindri snelli ricamati dalle tegole arrotondate, tra oasi di giardini smisuratamente piccoli che si spandono insoliti tra i muri e i mattoni come le figure dell’immobilità segnanti il centro sempre diverso e rintracciabile. Le processioni accompagnano da destra da sinistra avvolgendo lo sguardo per ogni dove, inondano di luce con compassata gioia la maestà

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che non rimane muta ma narra di quelle mani che tutto accolgono, circolarità che non è volontà di prendere solo perfezione di un cuore memore di una mente bene impostata.

Napoli Napoli, capitale non per decreto borbonico; Napoli, città d’arte senza essere recinto invivibile; Napoli, imbellita ma non per soluzioni superficiali; Napoli, che si rinnova e salta di tempo; Napoli, di spirito universale nonostante o in grazia della sua parlata; Napoli, che compete con tutte le altre grandi città per gentilezza e cultura, Napoli, non vivente di anarchismo ma anarchica contro ogni sopruso; Napoli, che sa di essere tra un cielo un mare isole golfi e costiere le più fascinose, Napoli, amata quando si ama.

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L’Annunciazione di Firenze Ruotano lineari i dodici alberi Cornice al gesto offerente che Stordisce anche Madonna Mentre legge tra vitrei veli e Tenta di frenare appena sul farsi Il discorso che muterà il corso Degli astri e dell’uomo, Parola unica di vita rotonda, Sollecito per i tempi e il criterio Trasfigurazione del paradiso terrestre. Tondo Doni Forza immane e semplicità unite nel porre intreccio tra la circonferenza perfetta la piramide rassicurante la sinusoide invadente, trinità non solo matematica, grandiosa sintesi tra l’esplosione di un viola di un arancio di un rosso e della carne col rosa centrale.

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Paestum Dopo il tuffatore sospeso tra mare e cielo, niente pensi che ti stupisca quando il romore del fiume avverti gonfio di acque verdi e brune tra le querce vicino a Nettuno compagno simmetrico di Cerere, la volta uranica squassata da lampi e la pioggia che cola dalle colonne, le trabeazioni le metope i triglifi un gorgogliare di tempesta - perchÊ non la senti normale e rimbalza il pensiero a Shelley? Questo recinto sacro che declina al mare intravisto dalle colonne rigonfie, alle spalle l’anfiteatro degli Appennini, spaurisce come la siepe recanatese e il naufragio diventa connubio di emozione e bellezza, Platone distante.

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Velia dopo Ercolano Irta e aspra è la salita assolata verso la sommità nuda e difficile come il discorso sacro sull’indagine necessaria, dell’ordine e del dissesto antichi, visione della deità che conduce alla scienza della cupola celeste, sapienza raggiunta senza opposizioni, sapienza che ad un moto della natura si frantuma in macerie e morte, ombre e orme quasi indecifrabili al ripensamento di chi viene e vede. Le guerre tutte espressioni di una volontà dominatrice, nefaste ed ingiuste, ma quando il coraggio supera l’arditezza, consapevole e temerario, allora il riscatto si fa avanti a dire che si può combattere per libertà questa utopia che spinge al sacrificio.

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Milano Pochi i palazzi che si distaccano dal severo grigiore imperiale, poche le grandezze da mostrare, manifestazioni moltiplicate sparse furbescamente come nascite della novità. Vastamente anonima si allarga inghiottendo altre case e strade senza potersi scrollare di dosso le stimmate dell’industriosità accompagnata dal vuoto dell’animo, cavo che palpi tra le periferie come nelle angolature di zone centrali dove gente e cose si confondono senza più spazio alla personalità.

Torino Preziosa di edifici s’accompagna per lungo tratto di ombrosi alberi come i ventosi portici tracciati sino all’incrocio dei fiumi

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vicino alla Collina e i monti dietro, color di perla e cotto, leggermente depressa: si ritaglia in modo garbato nel confuso ricordo regale, eccentrica nell’atmosfera di Francia che resta nonostante i nuovi miscugli, cortesemente restia a mostrare i gioielli d’Oriente e d’Occidente.

Genova Superbia e ignoranza tracciano la storia cieca di questa mai capitale sempre al servizio dei potenti a ricavare benefici tenuti nascosti. Veduta dal mare insospettabile s’accende di punteggiato splendore; buia e sporca la ritrovi dentro la curva spelacchiata dei monti chiusa a riccio per paura del nuovo, rinserrata nell’oramai sangue raffermo che quando si mescola ottiene in sorte il peggior risultato; senza speranza per le occasioni perdute

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continua a pensarsi possibile città del futuro non sapendo amare il passato, indifferente al presente.

Venezia Luogo superno per chi dalla vita non vuole che immaginazioni di morte, esausta di quanto fu fatto langue tra troppa acqua che la corrompe sino all’anima, città senza vita cittadina preparata per i lontani turisti; anche San Marco si adegua alla laguna e ondeggia i suoi ori come in un tappeto adagiato sul mare, rassegnato a non farsi mai vedere nella sua interezza, e poi le vie le piazze marchi esaurienti di una malinconia che è trapassata già alla nostalgia di un vivere sereno e non più inquieto come i disorientamenti luminosi di Magritte. . . . . . le grandi sciagure sono viste dall’angolo della logica del singolo. Ma esiste una logica che presiede gli eventi a noi sconosciuta e che raggiungeremo alla fine del nostro camminare, qui. . . . .

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la Grande Catastrofe avvenne prima della segnatura di segni che combinati erano parole, la Grande Catastrofe tracciò evento eccezionale che mutò la vita delle stelle, degli uomini, degli dei, prima dell’inizio della storia. E così va avanti l’universocosmo seguendo un fato sempre in movimento, non sezionabile razionalmente, muovendosi le generazioni come lo zodiaco nella coscienza di esistere e di sparire. Poi la Grande Rivoluzione rovesciò la sapienza e quello che era sotto mise sopra, quello che era alto in basso, affidando la Grande Speranza che morte è la vita continuata sotto costellazioni diverse, fidando di ricomporsi col cielo annullando con un sacrificio il fatale dissesto. . . . .

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Sicilia Alla punta dell’est ribollente di mostri si squassano il mare e le navi anche d’estate con il vento fermo, porta appuntita che per cattedrali palme e agavi arse porta alla piana dove si apre il porto dorato con i lucenti emisferi, la quadratura delle strade, la secchezza di palazzi ridondanti di luce, poi verso sud i giganti sdraiati ad aspettare che il tempo ritorni dentro il Grande Anno, magnificenze di blu e di giallo tra il grigiobruno dei colonnati, e le tessere danzanti al nord dopo l’isola siracusana e le città da presepe tra il niente delle montagne. Terra discordante di odori, dolcemente limone, troppo umana per intessere orgogliosi riti, con la sua mitologia questa nazione sorveglia i flussi tra due continenti da spiagge e da scogliere turbolente. .................... una strada nera di pioggia quando il temporale s’avvicina

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al transito della stella di ghiaccio, assorbente ogni scia luminosa. Nel mentre il passaggio è avvenuto nella mezza sfera opposta silenzio e ristoro sono sovrani: aggirare il giro dell’epoca con la bocca impastata dal troppo liquore, rientrare a casa, accendere la radio e sentire del mondo che ha cantato e ballato: popoli dimenticati cercano un punto di salvezza oltrepassati i canali e gli stretti di un mare bianco, spumante di blu, spogliati sino alla pelle che puzza e sa di paura, arenati nell’egoismo della Grande Patria agitata per far quadrare gli interessi dei numeri: poco importa di questi cani travestiti accecati dalla speranza di arrivare alla meta impegnata, senza sorrisi e col cuore in subbuglio per attaccarsi ad una terra appoggiarsi alle colonne del cielo. . . . .

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Assisi In una pianura verde e consueta allungata sino alle soglie del visibile le colline improvvise con le rapide discese, questa terra toscanamente gentile accompagnata dalla semplicità umbra stupisce per le minuscole cose che improvvisamente esplodono grandi: quando Cimabue s’incornicia a Giotto ovvero Cavallini - quanto importa il nome? quando il gotico s’impernia al romanico e dà vita a nuovo rinascere dello spirito, genealogia di uomini imponenti e immortali. Croce di bellezza gemella a povertà, giustizia amorosa ha rivoltato la coscienza, non più utopie ma concretezza di esistere scacciato ogni terrore ogni disperazione nell’incanto trionfante di un luogo troppo piccolo per dire la grandezza degli uomini e del creato legati ora diversamente al dio sino al compimento del tempo profondo.

. . . . . tra le tende quadrate

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neri e bianchi di Malevitch si spostano alzando polvere nell’odore di urina e plastica: il nemico è visibile di fronte, lente le manovre di spostamento preparano la carneficina secondo regole di accettata bestialità . . . . . adesso si giuoca come prima ma in silenzio guardando uno schermo, la morte senza preavviso e continuando la vittoria a non contare i suoi morti attentamente. . . . .

. . . . . non sappiamo girellare più tra i meridiani, non sentiamo più la forza per continuare il viaggio. Un senso di stanchezza e di inerzia ci ha preso davanti alla città dalle due capitali, ci siamo smarriti nell’affastellamento delle cose, rigonfi e pesti gli occhi come la mente per il troppo vedere e la smania di ricordare le sensazioni le emozioni, le sollecitazioni ideali che ogni pezzo di terra

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ogni brano di marmo o cotto o pietra incitano, nei rimandi delle architetture anche se scempiate dalla biacca delle sovrintendenze. Dobbiamo riattraversare un paese per entrare nel cuore di un continente e da lì scegliere se andare ad est o ad ovest oppure fermarsi perché la storia si è mossa qui, da questo ombelico europeo specialmente quando bisogna decidere l’assetto tra i contendenti. Forse l’asse sembrerà altrove, ad oriente ma solo per traslato giacché è nel centro della carta geografica che i destini vengono incisi, qui si dice la sorte degli imperi, qui sono caduti e sorti gli eroi, qui lo scontro tra chi viveva per l’involucro e chi per l’interno, chi per la forma chi per il contenuto, chi per la democrazia chi per il dispotismo. Qui le guerre i massacri che pesano sopra le spalle, sulla testa e sulla mente assieme con l’avvolgersi delle epoche e dei tempi. Abbiamo bisogno di riposo, di calmare le ondate di pensiero, dobbiamo rallentare la corsa del sangue, abbassare le pulsazioni del cuore, riprendere un ritmo più naturale nell’avvicendare l’ossigeno polmonare, rilassare i muscoli, massaggiare il corpo e distenderlo per non correre il rischio di bruciare tutto lo zucchero e avvelenare di acido lattico

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le nostre interiorità, accecati per il troppo esporsi ad un natura vitalissima, a manufatti in concorrenza per il raggiungimento della bellezza e dell’armonia. Viaggiare stanca. E il viaggio è solo all’inizio se non lo interrompiamo forzando il desiderio di compiutezza di completamento, questa paura di tralasciare qualcosa che ci sta dietro il collo come il soffio ringhiante di un cane nero, desiderio e ansietà di compimento che non potrà, lo sappiamo, essere mai soddisfatto, sfuggendo un lembo del lenzuolo tirato sino allo strappo che non riesce a coprire il corpo lasciata ora una gamba ora un braccio ora una coscia alle intemperie di una notte umida e ricolma di presagi.

. . . . .in un angolo del corpo tra le costole un poco a destra uno sfrigolio si affaccia di contentezza per risolversi in istante di tristezza come un rammarico per le cose andate per le cose da fare, un consuntivo delle conquiste del secolo. Difficile allora pensare a viaggiare e bello è rimanere nell’ozio fraudolento

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pensando ai luoghi possibili, consumando le piccole cose importanti di tutti i giorni. Viaggiare è ora conquista turistica perso il luogo del viaggiatore nell’inutile correre tra le sponde del mondo nello srotolarsi dell’apparenza. Amici miei carissimi, vi scrivo in un momento di indecisione, fermo nel mio studio a pensare se continuare il viaggio e mi rivolgo a Voi che siete dei viaggiatori perché la mia indecisione si sciolga e possa assolvere il compimento che mi sono proposto. Tu, Giuseppe, hai varcato oceani e saltato oltre i delfini, hai attraversato le coste più impervie maciullato gli ostacoli, rotto ogni spartiacque tra occidente ed oriente, dimmi come pormi dinanzi a questo desiderio e a questa repulsione a questi sentimenti imbarazzanti che mi hanno fermato sul limite della nostra terra e non so, non posso andare avanti se da Te non avrò conforto aiuto suggerimenti e sentirò

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la tua persona a me vicina, amica oltre ogni testo poetico da pubblicare. Da te, Alberto, richiedo per l’antica amicizia ancora di più: ti chiedo di farmi superare questo momento di solitudine e di vacillamento donandomi i tuoi implosi testi e l’intercessione per l’editore che attendo per il Grande Frammento. Lascia, per poco tempo, i tuoi amati viaggi non rilassarti troppo nell’amore di Thomas Mann, Lei, che vicino ti sorregge nel tuo andare e preoccupati per me, per questo amico lontano che non sa come continuare l’impresa che se lasciata sarebbe peccato verso noi e gli uomini. Tu, Raffaele, ombra di anima cercante riponi la parola e l’intreccio semantico, lascia riposare la scure e l’enigma e il mistero antico e dammi quello che puoi, dimmi come trovi a questo punto del cammino gli intrecci tracciati le varianti segnate, dimmi i compagni di viaggio se mantenerli, se allargare la compagnia ovvero se intraprendere il restante percorso sul filo di quanto fino adesso raggiunto, dimmi quello che senti di darmi, così all’impronta

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tra un silenzio e un solitario vagabondare. Amici, sollevatemi da questo vagheggiamento con le vostre azioni, le vostre parole e portatemi altrove, in aria più leggera dove il mio essere trovi la giustezza e la misura per non interrompere le orme del mio destino. Auden anche, come Eliot, sballottato da un mare all’altro cercò un’isola calma e accogliente, l’Austria verde e dall’aria tersa per riposarsi dagli intrapresi agoni, ristorarsi e riprendere il canto complesso legato al vivere semplice. Dalla Spagna passò all’epitalamio, della guerra feroce senza inganni scrisse come del suo amante, amò Ariele come Prospero, le cantine fumose e le strade carbonifere, cercando l’accordo tra il bello e il vero per migliorare il mondo, cambiarlo secondo una forza senza utopia bucando l’ansia e la nebbia. Come il cantore dell’inizio e della fine del tempo passato e del tempo presente,

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come chi cantò la bella rossa e incitò a riordinare le rivoluzioni delle forme, sottilmente Auden pensava al rovesciamento poetico, possibilità della poesia di essere portatrice di un mai visto e di essere a suo modo una croce che dà inizio a nuova epoca trascinando il passato nell’inferno del trascorso che più non può essere, che più non è testimonianza non più parametro e segnatura del come e del perché. Così nel sentiero tracciato possiamo riprendere l’andatura rassicurati anche se vacillanti ancora, sicuri però che il termine e la fine non ci impediranno il tracciamento delle opere nostre sino al punto dovuto che a noi rimane misteriosa cosa. Restiamo ancora fermi sospettosi del detto impauriti dei nomi

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stupiti delle parole esterrefatti degli argomenti: restiamo fermi ancora le braccia le gambe distese e fredde, la testa lo stomaco liberi e gonfi. Un punto caldo si sta facendo largo dagli anfratti piĂš nascosti, piccolo punto caldo che si allarga lento e sicuro, una carezza che ricopre la totalitĂ del corpo grande e leggera come un soffice tappeto di lana a massaggiare le parti ancora intirizzite, a rassicurarci per la ripresa. La lunga attesa che snerva non ci toglierĂ il piacere e mancherĂ la gioia quando toccheremo il luogo desiderato?

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Noi siamo perdenti lungo gli sviluppi del viaggio, perdiamo per ogni attimo trascorso una meta un luogo un’occasione una speranza. Siamo perdenti e mentre perdiamo ci sorregge un sorriso accanto, mentre stiamo perdendo continuiamo a viaggiare tra le sconfitte senza sapere il luogo destinato, quale tempo dovremo occupare fuori da ogni spazio, in uno spazio senza misure dove libereremo i lacci, lasceremo le nostre insidie dubbiose e ci offriremo senza retrogusti a questa dimensione senza piÚ vento senza piÚ terremoti e mareggiate, in pace e nel silenzio caloroso della ritrovata condizione primale.

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Roma Le mura e gli archi, i pini ad ombrello, le scalinate e il biondo fiume, irripetibile caleidoscopio di immagini ritmate dal saliscendi della storia, memoria e tesori si affastellano sempre rinascendo il paesaggio pur nell’assalto delle periferie.

Questa la terra cercata questa terra troppo stretta per tanta storia questa terra che lo sguardo chiude, dove l’animo rimane leggero e spazia con calma alla ricerca di una costola, questa la terra affascinata da un ordine che smaschera l’esistente disordine? Oppure dovremo andare più lontano, correre ancora per spazi più larghi, traversare pianure e laghi e mari e coste battute dal sole e dalla spumeggiante marea? Solo l’andare e il continuo provare

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garantirà il nostro reclamo. Riprendere la borsa e la sacca e muoversi svelti al marciapiede nove dove sta per arrivare un treno che porterà verso posti circondati da pianori e ondeggianti montagne e piane avvallate di gelsi che solcano come ondate la terra, ovvero come vagoni delle montagne russe che calano rapidi e sterzanti sul pelo della curva a riprendere la salita con potenza per discendere ancora verso la dirittura finale. Questo treno pulito e luccicante è verde rosso e bianco, ha come stemma un coccodrillo verde con gli occhi gialli: è buon presagio perché indica che si mangerà lo spazio in un tempo brevissimo, divorandosi rotaie e chilometri, depositando i passeggeri alla prenotata meta. Ripresa la corsa tra tralicci e pantografi, veloce e cadenzato se ne va il treno del coccodrillo, sfrecciando alberi e case dalle finestre ribattenti la luce sebbene tirate sono le tende, tende corpose, di tela rossa a goffi ricami, grezza e poco gentile alla guancia che si appoggia per stendere i muscoli, guardare gli oggetti che volano via. Nel tendenzioso scompartimento a salotto, pochi i viaggiatori, ben disposti a stare comodi e godere delle ore a disposizione, intrattenendo parole, spuntini, letture nient’affatto accurate

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nel continuo cambiare di posizione, nell’aggiustarsi una gonna, nel sistemare una gamba, nel modellarsi una giacca, nel rimuovere un gilet scompaginato per un principe di galles classico. Viaggiare in treno ..... usare questo strumento rassicurante ..... poco avventuroso e molto dondolante ..... non altri mezzi ..... non avventure ..... una diversione ..... a meno che si viaggi fisicamente e con la testa si rimanga seduti sul divano, fumando in santa pace, bevendo con piacere del vino, con i piedi caldi, senza preoccupazioni e rimescolamenti nella coscienza un poco appannata che si addormenta lenta. 66


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Titanic e ( tra parentesi )

L’adrenalina dell’orgoglio strinse ogni bullone rinserrando paratia a paratia, ferro a ferro costruendo una macchina feroce e alta. Non benedetta e senza cerimonie con tracotanza e boria si varò la nave, preoccupandosi solo del lusso e dello sfarzo perché era l’inaffondabile progresso: altera ed egoista si curava solo di risplendere tra i mari d’oceano. Divisi su tre gironi danteschi uomini e donne attendevano impotenti lo scorrere del viaggio e quando le viscere della nave furono completamente riempite dalle gelide acque, uniti aspettarono del viaggio la fine diversa dalle aspettative.

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..... ( ricostruire una casa di campagna, ripristinare il tetto e comporre una mansarda, adeguare termoconvettori al futuro inverno, disporre paratie e colonne rasate di fresco, colorare di rosso e di azzurro i bagni, accomodare la scala lucidata di grigio, sistemare divani e poltrone, arredare lo studio e la lineare stanza da letto con Melisante, riorganizzare il giardino e piantare dalie, camelie, rose, quadrifoglio, alloro, margherite, e i tulipani le ortensie i gerani i giacinti, dimenticata fatica oltrepassando la memoria del rudere, disponendosi pace, dondolandosi sul vimini giallo ) ..... La disperazione sommerse ogni cosa mista ad un tremito come di gioia ineffabile brivido che corse nel cuore, il nero invadendo l’intorno, solo le luci che affondavano si rispecchiavano nella calma agghiacciante del mare; solo qualche urlo, un pianto, un nome rumori e schianti e il suono dell’orchestra poi il bollore schiumoso del gorgo

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che calò il silenzio sopra ogni cosa. Tutto finì. Nessuno parlò più. Solo rancore e rassegnazione per il maestoso bastimento che incolpevole aveva tradito. ..... ( i lavori di riordino non cessano mai, ora un cornicione, adesso la gronda ecco qualche mattone sconnesso, il camino non tira troppo bene, perde il tubo dell’acqua e poi cambiare il rivestimento delle sedie cambiare posto al tavolino, riassestare quella credenza coi i vetri di murano da cui si vedono i calici un armadio nuovo con la misure sbagliate cambiare l’ordine delle piccole cose d’affetto ripensare al tappeto coordinato con il copriletto i lavori di casa e di giardino giornalieri. Ma è bello rendere viva una casa di campagna sentire che ansima come un mulo lungo l’erta che si raffredda poi si riscalda e poi si arrabbia si ribella alle imposizioni, si addolcisce alle abitudini una casa non è muro di pietra o intonaco e mattoni non è il pavimento in cotto scelto con cura e rigore non è i rivestimenti del bagno e della cucina

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è una vita se è stata una vecchia casa di campagna ) ..... Curavo da quattro anni nove tulipani tutti di colore differente con religiosa dedizione maniacale ogni anno prendevo i bulbi ben asciutti e in primavera li ponevo sottoterra perché riposassero sino all’autunno e spuntassero così i nuovi fiori che andavo guardando nelle diversità coloristiche, se mai fossero ohimè screziati il disastro dei parassiti che portava il bulbo alla morte: quando sparì nella notte acquosa s’immaginò un tappeto di tulipani che ricopriva completamente il giardino con colori cristallini e vellutati mai visti prima. Non avrebbe più collezionato modellini di rifinitissime e smaglianti automobili da quelle più antiche alle nuovissime appena prodotte disposte in tripla fila, distanziate, in varie bacheche fatte fare su misura da un buon ebanista. L’orgoglio del suo svagarsi, del suo prendersi la porzione di libertà che poteva per periodi brevi tumultuato dal comprare e rivendere fabbriche questo suo svago e piacere andò ad infrangersi nella mancanza di scialuppe occupate tutte dalle donne dai piccoli dai vecchi, irritato è rimasto a guardare l’affannarsi dei superstiti

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distante e impaurito dall’idea di morire annegato. Spingo con tutta la forza possibile con la spalla contrastando la spinta dell’acqua assieme ai compagni piantando bulloni e chiodi sapendo sforzo e lavoro inutili penso al paese lontano e ignoto gli amici e le belle donne di sera la birra e il vino con il biliardo al caldo fuori la nebbia muto velario ripenso alla casa ai ragazzini ai vecchi agli amori lasciati all’amore trascurato poi via, un ordine, e l’acqua si rovesciò nel locale senza dare scampo, rapida e travolgente e subito fu sommerso da un’ondata che proseguendo lo coprì definitivamente. Che posso fare io povero cameriere se non raccogliere i compagni e calmare la loro ansia la loro paura: essi mi credono forte e saldo di nervi io ho paura non vorrei morire così in una enorme lussuosa scatola eppure devo farmi coraggio e pensare a loro anche ai passeggeri agli sbandati

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ai piccoli e ai deboli altro non so ma i pensieri e il da farsi furono improvvisamente interrotti da una specchiera sfondata l’acqua inondò la mia sala da pranzo e non vidi più niente. Mi lasceranno qui nel fondo della nave siamo già sotto il pelo dell’acqua cercavo una rivincita e un riscatto alla miseria della mia vita e per i miei una speranza che mi viene tolta adesso senza saperne le ragioni senza sapere perché sono qui tra altrettanti disperati a sentire solo roboanti colpi mostruosi come se la nave dovesse scoppiarci addosso mentre strisce acquose serpeggiano per ogni lato della stivata gabbia e quando non ci sarà più tempo annegai soffrendo in cerca di aria i polmoni scoppiati di liquido schiumoso. ..... ( l’affanno viene dopo. Quando la casa è casa di campagna compiuta o quasi, mancano pochi arredi e ninnoli, risale al cuore e al cervello il desiderio

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di farne dimora stabile, luogo definitivo dove passare le ore e i tempi e curare il lavoro scrivere delle cose amate preoccuparsi dell’indispensabile attività artistica insomma nasce il problema di stabilirsi in questa casa di campagna un poco lasciandosi andare solitari lasciando i disturbi della città circondati dal sole dalla nebbia bianca dai cadenzati rumori e i suoni di chi si affaccenda alle cose agricole senza fretta con modi più lenti che accadono secondo gli intervalli dell’unico semaforo testimone della civiltà che da qualche altra parte continua a movimentarsi incurante anche delle piccole cure che ti affliggono incurante delle occupazioni che nella calma assicuri alla tuo incalzante egoismo che non è morto neppure tra i canti dei galli i muggiti delle vacche i trattori ansanti civiltà che continua a correrti dentro e si stampa negli strumenti di cui sei circondato. Abitare un casa di campagna ma qui non nati

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prolunga un certo stato di schizofrenia che ti allarma alla sera quando il sole cala alla notte quando il silenzio è tanto al mattino quando ti svegli senza suoni e poi inizi il lavoro senza badare all’esterno come se fossi ancora in una casa di città con tutti i conforti e le comodità fintanto che non ti fermi un momento e allora la testa ronza il cuore batte diversamente una scossa istantanea e breve percorre il corpo e sai che è questa dicotomia che continui a vivere anche se a mente tranquillizzata sei contento quasi felice, sicuro e sereno certo di uscire in giardino a sentire i profumi e gustare i colori fuori a passeggiare tra le strade deserte, al bar a chiacchierare con i paesani, in bicicletta tra i contro vialoni di ippocastani a respiro pieno prima di rientrare e concederti alla ben disposta tavola tra un giornale una rivista una notizia della radio e la benedetta televisione che ascolti di meno le dolci sigarette e la musica che riempie la casa e l’amata amica stravolgendo le ragioni di prima ) ..... Da solo tra i miei ufficiali mi affannai

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a dare ordini e tentare l’impossibile solo e vero colpevole dentro questa nave mi paralizzai e non seppi più che fare quale comandi in sequenza far eseguire vedendo l’ineluttabilità della cosa [ tanto dannarsi per un sicuro lasciare ] fortunato quando qualcosa mi precipitò addosso e muoio senza più dover dar di conto agli uomini.

▄ Titanic e (tra parentesi) è apparsa online su Uh Magazine nell’agosto del 2012

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Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come è veramente, infinita. Blake


Splendore del vento

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INDICE

3►ANTEFATTI

( 1997 )

28 ►DETTAGLI

( 1998 )

40 ►MOMENTI ( 1998 )

67►TITANIC E ( TRA PARENTESI )

( 1998 )

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Ettore Bonessio di Terzet

SPLENDORE DEL VENTO. Il Viaggio

(fr. 2006) │pingapaArt│ArtePoesia 2015 on Issuu


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