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▬ Cybersix © Trillo e Meglia
AlmAnAcco dell’Anno Prima █ i post 2012 che sono stati più visionati □ Da Lolou Brooks a Sada │cinema e letteratura, da Nagisa Oshima, Georges Bataille, Archivio di Uh│ un inedito di Nadia Campana→4 □ □ Arno Schmidt│da Zandonai editore e Dario Borso →10 □ Miele il dolce kama-salila delle longilinee ectomorfe│da Milo Manara alla morfologia costituzionale e alla caratterologia francese, alla somatologia dell’immagine →12 □ Il mistero del freddo│da Ettore Bonessio di Terzet →19 □ Annamaria Ortese. L’eufemismo dell’Iguana│da Alessandro Gaudio →25 □ Le scale del diavolo e Ludivine│cinema e fotografia, le scale di Besicovitch da Ludivine Sagnier e V.S. Gaudio →37 □ La cucitrice della vertigine│fotografia e morfologia costituzionale →42 □ Artificio│da Rosa Pierno e Tiziano Salari →45 □ Il Marcuzzi│ linguistica , fotografia, somatologia dell’immagine│da Fabrizio Ferri, Alessia Marcuzzi, Bruno Migliorini e V.S. Gaudio →49 □ Cybersix│comics e intersviste da Trillo e Meglia, Lanciostory e V.S. Gaudio →58 □ Divagazione ziffiana sulla poesia di Tonino Guerra│da Paul Ziff, Tonino Guerra e V.S. Gaudio →67 □ Modesty Blaise│comics e intersviste da O’Donnell e Holdaway, Lanciostory e V.S. Gaudio→75 □ Aurélia Steiner d’Ajacciu│La Stimmung con Marguerite Duras e W. G. Sebald→81
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Post-Almanac 2012 Da Lolou Brooks a Sada │cinema e letteratura, da Nagisa Oshima, Georges Bataille, Archivio di Uh│ un inedito di Nadia Campana →4 Arno Schmidt │da Zandonai editore e Dario Borso → 10 Miele il dolce kama-salila delle longilinee ectomorfe │da Milo Manara alla morfologia costituzionale e alla caratterologia francese, alla somatologia dell’immagine → 12 Il mistero del freddo│ da Ettore Bonessio di Terzet → 19 Annamaria Ortese. L’eufemismo dell’Iguana │da Alessandro Gaudio→ 25 Le scale del diavolo e Ludivine │cinema e fotografia, le scale di Besicovitch da Ludivine Sagnier e V.S. Gaudio→37 La cucitrice della vertigine│fotografia e morfologia costituzionale→42 Artificio │da Rosa Pierno e Tiziano Salari→45 Il Marcuzzi│ linguistica , fotografia, somatologia dell’immagine │da Fabrizio Ferri, Alessia Marcuzzi, Bruno Migliorini e V.S. Gaudio→49 Cybersix │comics e intersviste da Trillo e Meglia, Lanciostory e V.S. Gaudio→58 Divagazione ziffiana sulla poesia di Tonino Guerra│da Paul Ziff, Tonino Guerra e V.S. Gaudio→67 Modesty Blaise │comics e intersviste da O’Donnell e Holdaway, Lanciostory e V.S. Gaudio→75 Aurélia Steiner d’Ajacciu │La Stimmung con Marguerite Duras e W. G. Sebald→81
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Dall' Archivio di UH
Nadia Campana Da Lolou Brooks a Sada: il profumo glaciale del vaso di Pandora un testo inedito di Nadiella* Campana in esclusiva per Uh
L’immagine si scambia con un gesto di stupenda prensilità nei confronti di chi guarda. Se nella sequenza del testo letterario la visione erotica si frammenta in un rapporto significante/referente inflessibilmente sdoppiato fino allo svanire di ogni appiglio con un esperire sensibile, il percorso del film rende estremamente rischiosa tale neutralizzazione. Il cinema sembra allora sfidare la formula illuministica dell’impossibilità delle scienze di rinchiudere la natura nelle categorie organizzate di sapere. La co-occorrenza di un complesso afflusso di funzioni metalinguistiche (l’immagine è nel contempo “estetica”, sonora, tridimensionale,
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dinamica…) diminuisce progressivamente lo spazio entropico della percezione sfiorando l’illusione di esaurire il vivente in modo totale. Trasgressione erotica e trasgressione filmica tendono ad allacciarsi dal momento che la funzione conativa prende in quest’ultima il sopravvento. Tale constatazione incontra però un esito paradossale. Il complesso delle opere proposte nell’ambito della cinematografia occidentale è sottoposto ad una fondamentale opacità( sexy-movies, blue-movies più o meno hard-core; ma anche Borowczyk, Ferreri, Morissey, RobbeGrillet) perché straordinariamente opaca è la cognizione e l’esperienza che la nostra cultura ha dell’erotismo. Opaca è la meticolosa e tutta intellettuale ana-tomia di Sade, opaca ogni fede batailliana: secoli di stratificazioni ideologiche hanno consumato la collusione tra eros e desiderio di assoluto. Il corpo ha perduto la sua inclinazione metaforica, bruciando all’interno del suo contorno ogni sineddoche segnalata dalle sue parti. Mentre l’amore si nutre della gelosia di Copernico unico e vero rivale. Il compagno Wladimir strappandoci dall’insonnia e dalle lenzuola riporta la “sostanza d’amore” entro una più illuminante traiettoria. Amor sublime, già non più occidentale, ma signorile, feudale. Nello stesso percorso è inscritto L’empire des sens il film che N.OSHIMA ha girato nel ’76: un impero dei sensi che sarà alla fine un’ordalia dei sensi( dietro c’è L’ordalia delle rose di Mishima?) dove la morte è il limite da toccare, oltrepassare e significare affinché l’amore fiorisca nel dopo. Sarebbe superfluo citare Bataille(“de l’érotisme il est permis de dire qu’il est l’approbation de la vie jusque dans la mort”)
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se tale raccordo non ci richiamasse una strana e rigorosa pertinenza perché gli strappa ogni “letterarietà”. Un autentico film alla Bataille perché l’eros in Giappone è “naturalmente” alla Bataille. L’interesse riscontrato in questo paese per lo shinju o doppio suicidio è sintomatico della religiosità erotica che tende a consumarsi solo in una dimensione di totalità. La morte è allora scelta RAZIONALMENTE nella consapevolezza che il limite della partecipazione amorosa all’altro non si potrà mai toccare perché assoluto e storia non collimano mai. Scelta della morte come rifiuto della storia e della sua arbitrarietà rapinosa. Ma Sada non muore, sopravvive. Il suo principio fantastico(come creazione attraverso l’invenzione, non “rêverie”, non “femminilità”) protrae infinitamente il possesso dal momento che ha escogitato l’ablazione(non castrazione!) del seme stesso dell’esaltazione del suo compagno nel momento più pieno(all’orgasmo si aggiunge l’elemento cogente dello strangolamento). Quella che sembrerebbe una riduzione drastica della persona al sesso, è in realtà un conseguente effetto del candido rifiuto che Sada opera nei confronti del reale. Rivela a se stessa che l’illusione è perfettamente generante di un amore ulteriore che supera la prova del rimorso e della colpa. Mantenere invece la storia come termine dialettico dell’esperienza(Kichi; lui incontra il corteo armato…) finisce col sottomettersi all’accettazione della morte quale metamorfosi di un desiderio che(parafrasando Roth) amava il piacere con la stessa leggerezza con cui ora ama la sua mestizia(annientamento).
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In entrambi i casi(suicidio o assorbimento della morte-vita del partner) è sul filo dell’assoluto che si snoda il gioco; la sua dinamica è la Cerimonia: adesione presente-passato, contingente-antenati(la copula col “cadavere della nonna”), comunione in una atemporalità scoperta come sintesi della storia percepita nell’estasi(tranquilla beatitudine che spira dai volti delle stampe erotiche del settecento giapponese). L’Esito del rituale amoroso si concede all’Abisso, rifiutandosi ad ogni esterna iperdeterminazione che minaccia l’Unità o la salva nella sua stanchezza. L’accomplissement dans la tristesse et la lassitude rejoint l’eternité.
*Nadiella Campana è Nadia Campana, che, nel 1983, per Feltrinelli, tradusse Le stanze d’alabastro, 27 poesie, contenute, ora, in: Emily Dickinson, Tutte le Poesie, a cura di Marisa Bulgheroni, I Meridiani Mondadori 1997. Nadiella, ora. Nadiella, anche nel 1979, quando la conobbi, era Nadiella per gli amici, Nadiella per le amiche, le compagne di studi a Bologna, Nadiella per i familiari a Cesena. Ed è Nadiella anche all’anagrafe della città della Biblioteca Malatestiana ricordata nei Canti Pisani di Ezra Pound (nel Canto LXXIV, per il “joli quart d’heure” di Lucrezia Borgia). Fui io a chiamarla, Nadiella, NADIA, nel 1979, quella primavera, da quando la conobbi a Milano al Club Turati per un convegno di poeti organizzato da Conte, Viviani e Kemeny . Nadiella si fece così “NADIA” che, quando mi fece un testo per il numero 0 di Uh, rivista di scritture polimateriche, che avevo in animo di fare, lo firmò con il solo nome “NADIA”: le avevo chiesto un testo sul film di Nagisa Oshima che tanto rumore aveva fatto in quel tempo, L’Empire des sens tit.or.: Ai no corrida, “La corrida dei sensi”, vuoi in virtù dei suoi interessi e della sua competenza, vuoi, perché quando ci conoscemmo, dovetti accompagnarla in questura in via Fatabenefratelli a denunciare la perdita, o il furto, dei suoi documenti avvenuta in un cinema in via Torino. Così si spiega anche l’apparizione nella Stimmung[1] di “Sada”, la protagonista del film ambientato nella Tokyo del 1936, dovuta a quella sequenza, più che a un fotogramma, in cui, per me, c’è il vero incantesimopunctum del film di Nagisa Oshima. Esattamente a partire, secondo più secondo meno, dal 16° minuto del film. E che dura verosimilmente quanto un atto reale: 66 secondi. Nadia firmò: “Da Lolou Brooks a Sada: il profumo glaciale del Vaso di Pandora”. Uh, nemmeno come numero zero, non uscì. Nadiella Campana, lo seppi almeno due anni dopo il fatto, morì suicida nel 1985; all’anagrafe di Cesena, la data indicata è il 10 giugno. A 19 anni dalla morte, un ciclo lunare di Metone, e a 50 anni dalla nascita, avvenuta l’11 ottobre 1954, ripercorrendo le 27 poesie di Alabaster Chambers di Emily Dickinson, ho sentito finalmente la forza di ricordarla, anche perché non è poi vero che “Solenni vanno gli anni, di sopra, in curva schiera”, come assicura la Dickinson nella 216 del 1861 (“Grand go the Years e – in the Crescent –above them –”), o forse perché ho sentito di “dividere la luce”: – Divide Light if you dare – (cfr. 854) o di forzare la fiamma: Force Flame. Nadiella aveva tradotto così la prima quartina della 853 :
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Quando si abbandona la vita sembra facile separarsi da tutto come quando il giorno lascia andare l’Occidente[2].
“Via Torino”, per il cinema dove perse i documenti, la sua carta d’identità, io l’ho sempre sentita ed è ad Occidente, as when Day lets go Entirely the West, verso Torino, da dove, appunto, venivo senza sapere che avrei visto la claritate con cui Nadiella faceva tremare l’ “âre”. Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira che fa tremar di claritate l’âre? Ma questo è Cavalcanti [3]. Oppure è anche Pound, a cui, nel Canto LXXVI, compare all’improvviso “qui nella mia stanza” Ixotta che fu chiamata Primavera, come se fosse Giovanna, la donna di Guido Cavalcanti, che veniva soprannominata “Monna Primavera”[4]. E con quella claritate primaverile, l’estate, her Summer, non avrebbe mai potuto interrompersi: Twas here my summer paused What ripeness after then To other scene or other soul My sentence had begun. To winter to remove With winter to abide Go manacle your icicle Against your Tropic Bride È la 1756 che Nadiella tradusse così: Qui la mia estate si interruppe. Che maturità dopo ad un’altra scena, un’altra anima… la mia condanna è in atto: trasferirsi nell’inverno, con l’inverno abitarevai-incatena il tuo ghiacciolo alla tua sposa tropicale Sta in questa ragione astronomica delle stagioni, o nelle differenze tra longitudine e latitudine, la temporalità dell’amore. Come scrisse nel 1979 Nadiella, nel testo su L’Empire des sens di Nagisa Oshima: “Mentre l’amore si nutre della gelosia di Copernico unico vero rivale”. Mentre l’amore, l’estate si interruppe. Ma non con la claritate primaverile, con la “scuritate, la qual da Marte vede e fa demora”[5]. And the sun high over horizon hidden in cloud bank / lit saffron the cloud ridge[6]: Pound, Canto LXXVI, quello in cui Monna Primavera gli comparve all’improvviso, “nell’aria vuota di tempo”, nella sua stanza, his chamber. Alabaster?
[v.s. gaudio]
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[1] V.S.Gaudio, Il tempo ha informazioni banali. La Stimmung con Emily Dickinson, Alabaster Chambers; in memoria di Nadiella Campana:→ IL TEMPO HA INFORMAZIONI BANALI La Stimmung con Emily Dickinson, Alabaster Chambers In memoria di Nadia Campana Poemetto di V.S. Gaudio ▐ lastanzadinightingale ▐ [2] “When One has given up One’s life The parting with the rest Feels easy, as when Day lets go Entirely the West”. [3] Appunto. Cfr. Guido Cavalcanti, Sonetto IV. [4] Cfr. il Canto LXXVI, nei Canti pisani: “Dirce et Ixotta e che fu chiamata Primavera nell’aria vuota di tempo che compaiono all’improvviso qui nella mia stanza”. [5] Cfr. Guido Cavalcanti, Donna mi prega: “In quella parte dove sta memora prendo suo stato, sì formato come diaffan da lome, d’una scuritate la qual da Marte vene e fa demora”. [6] “E il sole alto sull’orizzonte nascosto in un banco di nuvole accendeva di zafferano l’orlo delle nuvole”: nella traduzione di Alfredo Rizzardi, cfr. Canti Pisani, Guanda 1953; Garzanti 1977; Feltrinelli 1980; Corriere della Sera 2004.
La prima pagina del dattiloscritto originale di Nadia
▬ post del 14 gennaio 2012
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Addio sotto la pioggia │Sulla sidebar c'è la tagcloud randomizzata di Wordle per questo estratto da Arno Schmidt, Paesaggio lacustre con Pocahontas (1953), trad.it. Zandonai Editore 2011; su piṅgapā c'è invece la tagcloud di un altro estratto titolato dal curatore e traduttore Dario Borso "canoa prima del temporale"│
Le grondaie politicantavano senza tregua . . . . : «Su, vieni !» Vagliare in parole il sondabile; burlarsi tranquillamente dell’insondabile : un albero si piegò nel luogo deserto; gli si rivoltarono tutte le foglie; uccelli neri uscirono dai rami e urlarono; al cielo, che zampillava uniforme. Stava sempre al mio fianco, muta ed eumenide abbastanza : passi da uomo, dalle tasche della cerata sporgevano braccia oblique; nel viso di cuoio rosso una fessura schiaccianoci ghermiva ogni tanto il suo intruglio pioggia & lacrime : «Cara –»; si volse lentamente, e pianse impassibile più forte : – – – finché di botto le crollò l’intero viso, in gonfiori, in angoli rossi, ellissi auricolari; l’asse per lavare della fronte – poi si strappò di traverso, con un suono corvino, che scosso poggiai la tragica maschera alla guancia, premei, cullai; ancora il suo lamento faceva voltigare rebbi neri attorno alle nostre teste. Un segnavia ci barcollò legnoso incontro, allargò ruffianesco tre bracci imbellettati : per ciascuno di essi la pioggia passò a noi cortesemente il filo di seta grigia. Ah, la greve risacca dell’aria ! Un battello di nebbia scialuppò a lungo nel porto erboso, e naufragò poi esitante sotto gli alberi. Acqua lallò da strega sotto il nostro salto, e ci riempì la scarpa di carezze torpidamente gele. Lasciò cadere mani assieme a dure lacrime nelle acque nere; la sua voce strisciò al suolo; le spalle uno poteva tirarle a sé, il viso non ancora. (Spostò con cura tutte le limacce al sicuro ( ?). Una ad una. E stette scossa davanti alla spiaccicata.) Un cavallo nero saltò dalla nebbia e ci ruggì contro. Al decollar del vento : intorno agli alberi ronzarono subito farfalle verdi e grigio peltro, tutte sazie di nuvole; e tornarono sui rami e riposarono sfinite. Lentamente cedevano i suoi capelli, già pioggia e vento palpavano le baracche delle nostre teste.
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«Laggiù c’è un paio d’alberi».
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Tronchi neri e bagnati : pioggia tesseva a pettine; nebbia si preparava a fare; l’aria grigia lavava lenta intorno. Ci rannicchiammo con occhi appannati nel fulvo letto d’aghi; ramaglia sopra, humus sotto, matto chi l’ha provato; le mani sminuzzavano meticolose strame; continuamente urgeva orinare dal freddo : ti si seltzava in faccia; arguto malignava il vento; un pensiero lumacava laggiù, ostricava sia flaccido che cieco; poi trascinò il piatto addome di nuovo tra i cespugli. : «A cosa pensi ?». Alzata di spalle. : «Eh ?» Alzata di spalle, ma lacrime goffe. : «Vieni . .» (E riprendemmo il cammino davanti a quei veli alti quanto case, sopra la grondante palude. La pioggia formava grotte enormi attorno a noi; ciascuno si ritirava confuso nella sua. «Prap prap praps» chiamò la cornacchia viaggiatrice, dunque a occhio una miss.) Al canale della palude : 1 foglio vuoto tentò di seguire la corrente, mentre serrata in sé traversava il ponte piatto. Accolsi la sua mano fredda rosa cera, e la ressi turbato : Ah, il male che si fa l’essere umano coi ricordi ! Là contro la parete cementata di cielo un capannone cadente, destino in doghe. Corno nebbioso della luna, specchiato sopra la palude; in ogni nostra pesta compariva acqua : «Domani devo tornare tra i bifolchi». (L’amica, lieta delle disgrazie altrui : «Ma vi siete bagnati !»). [ trad.it. di Dario Borso] ▬ post del 7 gennaio 2012
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MIELE , IL DOLCE KAMA-SALILA DELLE LONGILINEE ECTOMORFE di
v.s.gaudio
1.Miele è un’ Amorfa paranervosa
Miele, il personaggio femminile di Milo Manara[1], è un tipo longilineo ectomorfo, la cui analisi fisionomica permette di rilevare, stando alla morfologia di Corman, un tipo retratto basilare che, più che correlabile all’opposizione caratteriale amorfo-apatica, ha espressioni di tipo amorfonervose, in cui è costante l’asse Non-Attività/Primarietà ed è variabile l’asse dell’Emotività. La combinazione binaria dei fattori Emotività, Non-Attività e Primarietà realizza il tipo NERVOSO(=E.nA.P.), di umore variabile, che tende a far colpo e a richiamare su di sé l’attenzione degli altri. Volubile negli affetti, presto sedotto, presto consolato. L’emotività “improvvisa” si combina con la volubilità dei sentimenti e il bisogno di emozioni con la sublimazione dei desideri. La combinazione binaria dei fattori Non-Emotività, Non-Attività e Primarietà realizza il tipo AMORFO(=nE.nA.P.), accomodante e negligente, prodigale e sottomesso all’istante, il cui valore dominante è il piacere. L’indifferenza si combina con l’incostanza e il disordine con una caparbietà passiva molto tenace. Il non equilibrio dei tre piani del viso e la sua lunghezza relativa costituiscono i tratti morfologici della Non-Attività. Il desiderio di sensazioni primario è segnalato dallo sviluppo della bocca.
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La Primarietà è data dagli occhi grandi , chiari e sporgenti e dallo sviluppo del piccolo viso( che è la struttura vestibolare che comprende occhi, naso e bocca). L’effetto Venere , presente nel piano medio del viso, accentua la plasticità di questa Amorfa paranervosa, così incurante e nemica dei principi, delle costrizioni e della disciplina, così golosa e sensuale, così egoista ed espansiva. Mucchielli dice che la predominanza degli interessi organici ed egoistici blocca l’Amorfa paranervosa al livello dei bisogni del corpo e la limita a queste soddisfazioni[2]. Gli interessi, aggiunge Griéger[3], sono limitati al presente: sensoriali e variabili; ricerca le emozioni forti e nuove. Dallo spirito superficiale e molto fantasiosa, è dotata di una intelligenza viva e rapida. Come ogni personaggio, protagonista di storie d’avventura, è destinata a sublimare, nelle avventure, nevrosi d’angoscia, nevrosi sessuali e conversioni isteriche. Nella Schicksalsanalyse(=Analisi del destino) di Leopold Szondi[4] , Miele è un tipo correlabile a questa forma combinatoria di manifestazioni pulsionali: 1) la tendenza all’esibizionismo (il fattore HY[5]) è combinata con 2) la bontà del fattore E[6].
2. La formula morfologica di Miele e di Druuna; il fallo invisibile
Leggendo il corpo di Miele con gli assi morfologici indicati da William H. Sheldon[7], avremmo un tipo i cui gradi di intensità delle tre componenti danno una formula in bilico tra l’ 1/1/4 e l’ 1/2/4, in cui il primo numero riguarda la componente endomorfica, la larghezza e la voluminosità del corpo, con il predominio dell’apparato digerente. Il secondo numero è la componente mesomorfica , cioè lo sviluppo osseo e muscolare. Collo, spalle, petto in evidenza. Se il grado di mesomorfismo è alto, l’intensità va da 4 a 7. Il terzo numero indica lo stato di ectomorfismo, cioè la fragilità, la sottile struttura somatica, in cui le spalle sono strette, il petto appiattito e gli arti lunghi quanto il grado di intensità varia da 4 a 7. Valutando queste tre componenti in base alla scala di 7 punti ( dal minimo di al massimo di 7 ), per Druuna, il personaggio di Eleuteri Serpieri[8] ottenemmo la formula doppia 2/4/1 - 3/4/1 ,che, più di ogni altra, dà come figura la “puledra”, essendo, in Atlas of Men[9]di Sheldon, 1/1/7 il “bastone che cammina”, 5/4/1 il “bue”, 2/4/4 il “lupo” e 3/5/2 il “cavallo”. La formula costituzionale femminile 2/4/1 – 3/4/1 «è, tra le 383 combinazioni possibili, quella che rappresenta di più la morfologia attraente. Molte attrici o donne interessanti hanno identica o simile formula somatotipica»[10]. Sembra, detto questo, che si sia fissata la verità o la misura dell’immagine da sex-appeal, quando l’aggiunta “avversativa” apre connessioni variabili per ogni
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tipologia morfologica:«Ma l’unicità di Druuna sta nella relazione che c’è tra questa formula e la sua faccia”[11]. Allo stesso modo, l’unicità di Miele è nella relazione che c’è tra la sua faccia e la formula doppia 1/2/4 – 1/1/4 [12]. Tra il viso, in cui c’è l’opposizione morfologica Amorfo-nervosa, e il corpo, la cui base longilinea ectomorfa è espressa dal rapporto della formula doppia indicata, passa il fascino di Miele: quella leggera inafferrabilità primaria che si contrappone a una incostanza sensoriale che rende peccaminosa, perché volubile, la sensualità. La leggerezza del corpo rende leggera la libido oggettuale: lo spirito farfallino di Miele, che sta cercando il “seno buono” dell’amore, sembra che trovi sempre quell’oggetto, che dandosi come resto, si definisce “estraneo”. Non fatemi dire che se, nel destino delle principesse, c’è il destino del fallo mancante(o incostante, o mobile), nel destino di Miele non può che esserci il destino del fallo invisibile e che, perciò, lo stesso va definito, nei suoi desideri, come mentula plutonico-lunare. Se ci si rifà alla Tavola A, elaborata in Carolina di Monaco[13], dando il Significante del desiderio di Miele alquanto INCOERENTE e/o VACANTE e, perciò, presupponendo una libido oggettuale che, se la curiosità sensoriale prevale, è elevata e che, invece, se l’indifferenza esclude l’approccio, è spenta, non potremmo che elaborare per l’eroina di Manara questa Tavola:
MIELE
SITUAZIONE DEL FALLO
NOME
NON DEFINITA
Fallo Invisibile
SIGNIFICANTE DEL DESIDERIO INCOERENTE VACANTE
LIBIDO OGGETTUALE
MENTULA FANTASMATA
Alterna
Mentula Plutonicolunare*
Tavola A Il fallo invisibile *La MENTULA PLUTONICO-LUNARE ha l’assenza mistica o fantastica della componente lunare e il tirannico esclusivismo della componente plutonica. Il mistero del suo grado erettivo può renderla imperiale e sovrumana ; la sua assenza visiva allunga l’esercizio dei fantasmi. Un po’ come nei manga giapponesi, l’invisibilità del fallo rende polisemico il Significante del Desiderio e, per questo, facilita la intrusione del lettore: non essendo definito né il portatore del fallo né il fallo in sé vuoi vedere che Miele me la sto facendo io?
3. L’ Indice Costituzionale, l’Indice del Pondus e la Regola dell’Erotizzazione
Il corpo di Miele è longilineo: a conti fatti e a proiezioni supposte non dovrebbe andare oltre i 172 centimetri(ovvero i 5’8”) di altezza. La caratura ectomorfa dovrebbe correlare una circonferenza del seno tra 82 e 84 centimetri(tra 32 e 33 pollici) e un peso che non supera i 50 chilogrammi(attorno alle 110 libbre). Antropometricamente, avremmo, in ciascun caso delle varianti del seno e dell’altezza, un Indice Costituzionale che oscillerebbe tra 47.67 e 49.41[14]. Sarebbe ectomorfa perché chi è alta 170 centimetri dovrebbe pesare meno di 60 chili e pesando addirittura meno del peso standard fissato per l’ectomorfa normolinea, avremmo una condizione ectomorfa più alta del grado di intensità 4. L’ Indice del Pondus varierebbe , con i dati presupposti, dal 40 (=BASSO) di a) h172-(50kg + 82cm)=40
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al
36(=DEBOLE) di b) h170-(50 + 84)=36 passando per il 38(=BASSO) di c) h172-(50 + 84)=38 e di d) h170-(50 + 82)=38. Sembra che questa analisi faccia saltare fuori una nuova dell’Erotizzazione del Corpo o del Significante Somatico: 1) c’è più eros quando l’indice del Pondus è alto (12-20)
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Regola
2) quando l’Indice è ALTISSIMO (x – 11), l’erotizzazione del corpo o del Significante Somatico è deteriorata 3) anche l’Indice del Pondus con valore debole (32 – 36) carica la longilinea con l’erotizzazione delle gambe e del viso 4) mentre l’Indice BASSO(oltre 37) deteriora qualsiasi punctum erotico. D’altra parte, già in Tipologia di Druuna, eravamo stati chiari con questo enunciato:«Ma,ricordatelo,il fascino, l’unicità, il punctum fanno oscillare i limiti delle formule costituzionali: che so, la regola prescrive che un indice “seno/altezza” 57 è contenuto troppo endomorfo e poco attrattivo, come il 107 dell’indice “altezza/peso”? Cercate in queste trasgressioni la regola dell’effetto seducente, superbo, incantevole,malizioso, ammaliante, sensuale, arrapante»[15]. La Tavola B visualizza Miele con tre Indici del Pondus diversi: Indice del Pondus MIELE 1
MIELE 2
MIELE 3
36 Debole
Significante Somatico Erotizzato Gambe Viso
38 Basso
40 Basso
Formula Sheldon 1/2/4
1/1/4
-
1/1/5
Indice Costituzionale 49.41
48.23
47.67
Tipologia Caratteriale
Punctum Immagine
nE.nA.P./ E.nA.P. con E. + nE.nA.P./ E.nA.P.
Natiche/Viso
nE.nA.P.
Capelli/Viso
Gambe/Viso
Tavola B Miele per 3 Legenda Carattere nE.nA.P. = non-Emotività.non-Attività.Primarietà=AMORFO E.nA.P. = Emotività.non-Attività.Primarietà=NERVOSO E.+ = Emotività più alta
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4. Il Significante Non-somatico
La leggerezza somatica di Miele fa sì che, pur con una Polisemia più che positiva(=7)[16], essendo l’Indice del Pondus basso(=3 o 4) o debole(=5), il suo Pondus Erotico[17] possa variare tra 5 , 5½ e 6. In altri termini, Miele, al massimo della forma, può contare su un Pondus Erotico sufficiente, anche perché non ha significanti somatici di rilievo, se si escludono le gambe, come correlato longilineo, e il bel culo, come scarto erotico, operato dal disegnatore, che, con accorgimenti tecnici e figurativi, ne fa quel “supplemento” di cui riferimmo in Erotica e Atletica[18] . Così, essendo dotata al minimo di quel che dovrebbe essere il richiamo erotico del Significante Somatico, l’ectomorfismo adolescenziale di Miele viene compensato con un Significante Non-somatico, il miele,il gusto di miele che ha quello che il Kama Shastra chiama Kama-Salila[19] , il liquido che emette lo Yoni quando è eccitato dalla presenza o meno, o dall’azione energica o meno, del Lingam. La donna Mrigi, che ha lo Yoni profondo 6 dita e il corpo delicato, giovanile, dolce e tenero; le cosce e il pube pieni, la parte inferiore delle anche solida, ha il Kama-Salila che emana il piacevole profumo del fior di loto. La donna Ashvini, dallo Yoni profondo 9 dita e dai seni forti e carnosi, che cammina con grazia e ha occhi e bocca larghi, ha il Kama-Salila che profuma di loto. La donna Karini, dallo Yoni profondo 12 dita, tozza e endomorfo, ha il KamaSalila che ricorda l’umore che scorre dalle tempie dell’elefante. Miele , che ha il Kama-Salila che ha il sapore del miele, dal corpo delicato e fragile, dall’andatura inquieta e curiosa, essendo longilinea ectomorfa che profondità di Yoni avrebbe? Vedete come l’ “invisibilità del fallo” corrisponda alla “non-misurabilità dello Yoni”, e come, alla leggerezza, alla tenerezza, alla delicatezza del corpo, corrisponda la dolce essenza del suo Esserci, tanto che , essendo visivamente lieto il Significante Somatico, sarà gustosamente intenso il Significante Invisibile ? DONNA
Tipologia Significante Costituzio- Somatico Nale
MRIGI
Cerva COSCE e Brevilinea PUBE pieni mesomorfa
ASHVINI
Giumenta SENI forti e Loto Normolongi-carnosi linea OCCHI e BOCmesomorfa CA larghi Elefante SENI grandi Umore Longilinea LABBRA spor- tempie endomorfo Genti elefante Longilinea LIEVE Miele ectomorfa GAMBE Normolinea CULO poderosoLoto ?
KARINI
MIELE DRUUNA
Kama- YoniUnione con Lingam = Salila [significante non somatico] 6 6=Uttama Fior di Loto (9=Madhyana . 12=Kanishta)
9
Indice Indice Costitu-Pondus zionale
52/57 (-160h)
52/56 9=Uttama (6=Madhya- (+165h) na. 12=Kanishta) 12 12=Uttama +53 (9=Madhyana.(+170h) 12=Kanishta) ? -50 ? ä170h 9 9=Uttama +56
Medio alto
Alto
Altissimo Debole Alto
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REIKO*
mesomorfa SENI ampli e Pieni Normolinea CULO masmesomorfa siccio e SENI abbondanti
CÉCILE** Longilinea LIEVE ectomorfa
?
9
Miele ?
9
(6=Madhyana.ä165h 12=Kanishta?) +56 ä165h Come per Druuna -50 9=Uttama (6=Kanishta. ä170h 12=Uttama)
Alto
Debole
Legenda Unione Yoni con Lingam UTTAMA = la migliore MADHYANA=la media KANISHTA=la peggiore Tavola C Tipologia, Indici, Significante somatico di Miele, Druuna, Reiko, Cécile e delle donne del Kama Shastra
*REIKO è “Miss 130” di Chiyoji (cfr. Tavola D in: Isabella Rossellini):ovvero 130 pounds x 0.453 = kg. 58.89. Essendo più o meno alta di 165 centimetri, la normolinea Reiko è una Mesomorfa abbondante(i limiti per quell’altezza sono 56 e 61 chili). L’Indice Costituzionale superiore a 57(ha un seno di almeno 95-96 centimetri)conferma lo stato mesomorfo ampio. Con queste misure, Reiko ha un Indice del Pondus al limite tra 11 e 12:Alto, quasi Altissimo.
**CÉCILE è la protagonista di Le Rêve de Cécile di Erich Von Götha(cfr., per l’edizione italiana: Il sogno di Cecilia:”Blue” nn. 71, 72, 73, 74 , Blue Press, Roma 1997). Come per tutte le protagoniste di Von Götha, la morfologia ectomorfa e l’Indice Costituzionale inferiore a 50 si contrappongono a una libido oggettuale intensa e alla consistente potenza dei falli, che qualificano lo Yoni profondo di Cécile e la funzionalità “Uttama” del coito con i falli tipo 12, che, nella norma del Kama Shastra, sarebbe,invece, di tipo “Kanishta” per uno Yoni tipo 9. Note
[1] Milo Manara, Il profumo dell’invisibile, Edizioni Nuova Frontiera, Roma 1992. [2] Cfr. Roger Mucchielli , Carattere e Fisionomia , trad. it. Sei, Torino 1961. [3] Cfr. Paul Griéger , Lo studio pratico del carattere , trad. it. Sei, Torino 1968. [4] Leopold Szondi, psicoterapeuta ungherese. Ispirato da quella forma “epica” di una vera “scienza dell’anima” che egli trovava tanto in Freud quanto in Dostoevskij, attraverso la doppia strada delle ricerche genealogiche sulle malattie mentali e di uno studio delle scelte amorose, pervenne a elaborare la sua teoria: l’analisi del destino, che si estende dalla biologia alle scienze umane. [5] Leopold Szondi, Introduzione all’analisi del destino , trad. it. Astrolabio-Ubaldini, Roma 1975: cfr. capitolo 7, pagg. 127-150.
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[6] Ibidem. Cfr. anche la nota 2. in Serena Grandi, il Körper opulento e la pulsione di sorpresa di Leopold Szondi, in: V.S. Gaudio, Oggetti d’amore, Bootleg Scipioni editori, Viterbo 1998. [7] William H. Sheldon, Atlas of Men , Harper, New York 1954. [8] Paolo Eleuteri Serpieri, Mandragora, in “Blue” nn. 53, 54, 55, 56, Blue Press, Roma luglio-ottobre 1995. Per la formula di Sheldon, vedi: V.S. Gaudio, Tipologia di Druuna, in “lunarionuovo”, anno XXVI, n.12, Prova d’Autore di Nives Levan & C., Catania novembre 2005; il testo è contenuto in: V. S. Gaudio, Druuna e il culo di Gnesa, ©1996. [9] William H. Sheldon, op. cit. [10] V.S. Gaudio, Tipologia di Druuna, in: Druuna e il culo di Gnesa, cit. [11] Ibidem. [12] Naomi Campbell è 1/3/4, la risposta figurativa equina di tipo longilineo alla figura equina di tipo normomesomorfo di Druuna. Invece, la formula 3/4/1(4/4/1) di Simona Tagli si avvicina fortemente a quella di Druuna: da una parte, la “Quarter Horse Bionda”, dall’altra una “Kladruber incrociata con un anglonormanno”? [13] Cfr. V.S. Gaudio, Carolina di Monaco e il destino fallico delle principesse, in “lunarionuo”, anno XXVI, n.11, Prova d’Autore di Nives Levan & C., Catania ottobre 2005; il testo è contenuto in: V.S. Gaudio, Miele e altri oggetti d’amore, © 2003. [14] Calcoliamo qui i vari Indici Costituzionali a seconda delle misure considerate: 1)altezza 172;seno 82: I.C. 47.67; 2)altezza 170; seno 82: I.C. 48.23 ; 3)altezza 172; seno 83 : I.C. 48.25 ; 4)altezza 170; seno 83: I.C. 48.82 ; 5)altezza 172; seno 84: I.C. 48.83 ; 6)altezza 170; seno 84 : I.C. 49.41 . [15] V.S. Gaudio, Tipologia di Druuna, loc.cit. [16] La Polisemia in un personaggio fumettistico è sempre su valori positivi se non evidenti : così è per DRUUNA come per MODESTY BLAISE e per VALENTINA, come anche per i personaggi ectomorfi di Von Götha(JANICE, CECILE, SOPHIE) o per le giovani puberali di Max Cabanes(COLETTE, ROBERTA). [17] Cfr. Tavola del Pondus Erotico, in : V.S. Gaudio, Oggetti d’amore, edizione citata: pag. 74. [18] V.S. Gaudio, Erotica e Atletica , in “Fermenti”, n. 202, Roma 1990:«Supplemento o significante immenso, il dettaglio, come ogni ridondanza, produce sempre un interstizio che, in ambito somatico, diviene scarto erotico». [19] Nel Kama Shastra, col termine Kama-Salila si intende, sia per l’uomo che per la donna, il liquido emesso per desiderio,amore, oggetto di desiderio, piacere. Difatti, i due vocaboli in sanscrito hanno questi significati:A)kama : sm : 1.desiderio ; 2.amore ; 3.oggetto di desiderio ; 4.piacere . B)salila:sm: 1.ondata ; 2.acqua ; 3.inondazione; 4.pioggia . Con il Kama Shastra, vedete quante combinazioni di figure abbiamo unendo i due termini in Kama-Salila ? 1)”l’ondata dell’amore” ; 2)”l’ondata del desiderio”; 3)”l’ondata del piacere”; 4)”la pioggia dell’amore”; 5)”la pioggia del desiderio”; 6)”la pioggia per l’oggetto di desiderio”; 7)”la pioggia del piacere”; 8)”l’inondazione del piacere”; 9)”l’inondazione dell’amore”; 10)”l’inondazione del desiderio”; 11)”l’acqua dell’amore”; 12)”l’acqua per l’oggetto di desiderio”; etc. Definito con la fisiologia sessuale,invece, avremmo, per la donna,queste due possibilità: 1)il KamaSalila è la lubrificazione vaginale, che si verifica entro pochi secondi dall’inizio di qualsiasi forma di stimolazione sessuale e che consiste nell’apparizione di una sostanza simile a trasudato; 2)il Kama-Salila è la sostanza mucide prodotta dalle ghiandole del Bartolino(situate nelle piccole labbra in prossimità dell’ostio vaginale) che contribuisce alla lubrificazione della porzione distale della vagina. I vari riferimenti riguardano, nell’ordine: Kalyana Malla, Kama Shastra, trad.it. Edizioni Mediterranee, Roma s.d.;Sanscrito-Italiano, a cura di Tiziana Pontillo, A.Vallardi Editore, Milano 1993; Masters e Johnson, L’atto sessuale nell’uomo e nella donna, trad.it. Feltrinelli, Milano 1978.
( da: V.S.Gaudio│ Miele e altri oggetti d'amore © 2003 ) ▬ post dell’11 gennaio 2012
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Ettore Bonessio di Terzet ▌
Il mistero del freddo e la ballerina di Genova
Licini │Volare 1956
Il mistero del freddo
Nell'ultimo anno isolati dai segnali col freddo che scivola gli scarponi sul lago tra i primi boccioli verdi. Hanno contato le foglie del ginepro secondo il leggendario proteggere le case dalle strazianti malattie. Nessuna parola dentro la paura si muovono lenti sopra le fosse attendendo i cavalieri di Dürer.
Soffia il vento feroce sui valloni scavati in antico, un vento da estovest
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che scava la faccia alla scultura distrutto il calice e la fiaccola. Passano e cantano barcollanti di sera per raggiungere un posto sicuro che troveranno nella pancia di una balena inghiottita dal capitano. Il passo sconosciuto distrugge le ore che rimangono alla grande lotta incontro fatale nell'ultima valle.
ai Vigili del Fuoco
E' morto un pompiere. Non so dove in quale parte del mondo. Non aveva fatto commercio nè contratto con l'eterno, non aveva contraccambiato la sua morte con alloro, mai la sua vita con doni, aveva accettato quello per cui fuoco e acqua combattevano. Aveva visto nel fuoco la distruzione che doveva contrastare con la pompa da dove usciva l'acqua santificata dalle sue mani ferme e fredde, che non temevano se non la caduta della forza che veniva dal casco rosso e oro, lucido come aureola barocca. Aveva sempre vissuto tra la gioia e lo sconforto quando il fuoco mangiava ignobilmente innocenti e quando la sua opera pareva inutile. Non si sentiva eroe nè diverso, non sentiva colpe e fantasmi, non condannava nessuno, non odiava neppure il nemico, ma con le sue mani rosse alzava i calici in famiglia e con gli amici di quel liquido rosso che lui non paragonò mai al fuoco. Sarà poi morto un pompiere? E le mappe solo un disegno bislacco di cartografi desiderosi di trovare novità anche nelle aride arocce di Atlantide?
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Stupite per la diffidenza mostrata festose andando sicure, escono dalla carne contorta mangiata dai vermi. Siamo come voi con la paura di mani che schiacciano, di pinze scientifiche che ci trasformano per sempre. *
da Hopkins, con lui, e poi ...
Padre Hopkins, tu che sapevi e sai tu che hai scritto per i morti per acqua aiutami a parlare attorno e di fronte all'isola piccola e felice tra l'oscurità della notte e le luci della festa, isola del simbolo di chi Tu riconoscevi, a cui raccomandavi le persone in pericolo da ogni dissennatezza errore o macchinazione, soprattutto paura legandole ad un discorso molto più alto di quanti sentiamo, voci non di coro ma riti stanchi di uomini slegati dall'Eterno, superstiti di Chardin e di Nietzsche. Parole consumate sull'abisso di una retorica falsificatrice che anche te, padre, colpì perchè criticavi quello che già criticava il Maestro tuo contro tribunali e curie di ben pettinati crini, di stiratissime camicie, di non logori abiti e mani curate lenti dorate che predicano l'opposto, mentre gente si animalizza sempre di più,
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lasciata senza parola piena, ripiena di possibilità di scegliere la propria vita verso un obiettivo di amicizia e di contraccambio, di onore e gloria autentica, non fine a se stessa, onore e gloria riportate qui sulla terra, regno degli uomini indiati, di uomini che non potranno avanzare per la povertà di una o poche persone che pensano alla loro sbornia o civetteria, al nostro personalismo e narcisismo che portano alla morte per annegamento, alla dispersione che non cancelleranno i sogni cristallizzati ogni sera in mostri e fantasmi. Non posso seguirti, Padre, nella consonanza di una poesia dotta, in una lingua e in un tempo diversi, e data la differenza di intelligenza tra noi accetta con i silenziosi soccorritori dell'umanità il mentre dico. So che la poesia oggi non è accettata come i superiori Tuoi, non calatasi nella nostra gente che la vede distante e non ad essa destinata ma per pochi distratti della realtà, gente che non pensa alla pensione, alla percentuale del profitto, al miglioramento del pil. Poeti, non comuni mortali che tentano solo di essere pari al gene proprio, di avvicinarsi alla destinazione ultima dell'umanità ovvero di ritornare al punto omega che è anche alfa, porto di arrivo e di partenza dove il capitano saluta la nave in allegria dopo aver preparato tutto per il ritorno, senza nessuna idea di naufragio perchè confidante nell'amico in plancia che non tradirà mai, la sua prerogativa di traghettarore di anime verso lo splendore di un porto non sepolto ma pavesato a festa. Se questo non dovesse vedere, il pianto non sepellirà gli scomparsi ma rigenererà i disperati e i vili e coloro che sono nel terrore e nel disorientamento, allungando una mano che affettuosamente li porterà al ricovero da se stessi. Padre Hopkins, tutti coloro che hanno aiutato entrino nella tua poesia, nel Tuo continuo pensiero legato a quello eternamente generativo del Padre, e ti chiedo di avere comprensione e pietà per quelli che agognano di capire.
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ai cantanti adagio
ruggiti e pianti e sgangherate urla in melodie e inni maledetti, in modulazioni ferite come lo scorrere del tempo o il suo indietreggiare all'inizio. Si taglia la gola al canto d'amare senza amicizia, dentro tutto si schianta. Povero cantare solo che singulta al niente trovato nel recitare amore lasciando nuda la spossata anima al bisogno di carezze attraverso i capelli ancora sudati per la fuga
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La ballerina di Genova
Ballerina che balli sull'invisibile filo non guardare in basso e solo al roteare attenta per essere di nuovo perfezione possibile del movimento. Quando scendi nel duro terreno altra sei rimanendo ballerina, senza distrarti per le stupiditĂ che senti, ma nella mente sempre lassĂš, ripensando alle figure che vuoi migliorare, che volerai sul filo tranquilla sicura assicurata al cielo da fili che solo tu senti e nessuno potrĂ mai tagliare se non il tuo gene che accettasti quella poesia generosa che intelligenze vedono.
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Quando saremo all'omega saremo all'alfa originati in altro.
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epitaffio provvisorio
Sono poeta. Pensai e amai senza perdermi tra cari amici, don Bruno Paolo Mariuccia Romolo e don Raffaè. Gradirei che l'Eterno avesse letto i miei poemi perché mi fido del suo giudizio.
* ▬ post del 29 febbraio 2012
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Una frase quasi trasparente L’Iguana, dall’allegoria all’eufemismo Alessandro Gaudio E par malato tutto ciò che esiste.[1]
Lo spazio dal quale prende le mosse l’allegoria allestita da Anna Maria Ortese è lo specchio, forma e oggetto asemiosico per eccellenza. Sono cinque le volte in cui esso partecipa della storia dell’Iguana: la prima serve a ricondurre la vanità di Estrellita all’atteggiamento un po’ mondano delle donne che contemplano con troppo trasporto la loro immagine; la seconda interviene nel processo di ringiovanimento di don Ilario che, «simile a un paradisiaco uccello» (p. 70),[2] comincia a trasformarsi nel sembiante; nel terzo episodio, un pezzetto di specchio portato da
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Felipe nello scantinato dove vive l’iguana le chiarisce quale sia il suo aspetto effettivo; la quarta esperienza speculare consente il raggiungimento di una sensazione di serenità quasi ultraterrena da parte del conte che, attraverso «un’anta adorna di un lungo specchio, nel quale si rifletteva l’obliquo mare» (p. 142), comincia ad avvicinarsi alla rivelazione, poi pienamente definita nell’immagine di se stesso riflessa sul vetro della finestra della sua camera; tale quinta occorrenza speculare separa, per la prima volta con coscienza, la funzione del reale dalla funzione del vero e, così, inaugura e conclude un tragitto percorso dal lettore lungo tutto il romanzo. Riassumendo, lo specchio è, dunque, pura forma; è un oggetto che non postula alcuna significazione ed è in grado di riprodurre esclusivamente il contingente, propone una visione del reale che non manca di nulla, che è priva di resto. Da simbolo della visione inalterata, insignificante, delle cose lo specchio, passando come si vedrà attraverso il mito, diventerà allegoria della visione esatta, del pensiero profondo, del lavorio dello spirito che quasi si fonde con la lettera di ciò che rimugina.[3] Tale passaggio è frutto del tradursi, anche sul piano linguistico, di un progressivo chiarirsi di un’immagine o di una impressione:[4] su ognuna di esse si riflette, infine, come se si dovesse ricomporle sulla superficie frammentata di uno specchio rotto. È mediante l’allucinazione vera che la scrittrice dell’Iguana, come anche quella che tanti anni dopo scriverà Alonso e i visionari, testimonia in modo meno sicuro della realtà; poiché l’informazione non è congelata, privilegia una forma intuitiva dell’oggetto: la si chiamerà, dunque, immagine. Questa ha due peculiarità essenziali e distinte che, però, dispongono di una stessa energia: la prima consiste in un intellettualismo dimesso, impoverito, che, tuttavia, non rinuncia al quotidiano e a un’analisi estremamente sottile di esso; l’altra è sensazione indebolita, impressionisticamente volta a riprodurre i fatti fisici e psichici sin nelle sfumature più minute. La Ortese lavora su piani diversi, servendosi di una prospettiva che restituisce l’oggetto descritto come se fosse riflesso contemporaneamente in una serie di specchi oppure, lo si è appena detto, nei diversi frammenti di uno specchio infranto: «quante verità sono sparse, come in uno specchio rotto per sempre, frantumato in mille piccole schegge, in questa storia».[5] Questo luogo del vero, centro dei fenomeni psichici, resta esterno all’ordine della ricostruzione esatta, scientifica; a esso non viene riconosciuta alcuna realtà propria: è lo spazio distintivo dell’esperienza e dell’incoerenza, nel quale nulla è omesso e nulla è sistematico. È anche il luogo in cui l’intelligenza, intesa come cosa dolorosa, partecipazione profonda al dolore del mondo, si confronta, col puma o con l’iguana, bontà e maestà della Natura,[6] e agisce dotandosi di un nuovo sentimento e di una nuova visione delle cose e prendendo le distanze dalla normalità, dall’uomo malato, «incapace di prendere visione di dati reali, di esaminarli e confrontarli, e di nuovo riesaminarli e riconfrontarli».[7] Questo dolore di capire percorre tutta la produzione ortesiana (e non soltanto quella romanzesca) dall’Iguana fino ad Alonso, dal conte fino a suo fratello, Jimmy Op.[8] Qui, in quelli che Lacan chiama scantinati del reale e che la Ortese definisce avanzi dell’Universo o residui della Creazione,[9] alla conoscenza razionale si affianca lo scarto della vita mentale e allo psichismo si sommano i sentimenti, le credenze, i deliri, le intuizioni, i sogni e la
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constatazione che il reale è composto da più strati. Alla significazione si aggiunge l’insignificanza, al linguistico lo psichico, al letterale si somma il contingente e al reale la conoscenza di questo, fatta di associazioni incerte, instabili, nebulose, aperte. È qui, ancora, che nasce il mito. La definizione della realtà operata dalla Ortese (esperienza fatta di sguardo e di apparenza) consiste nel processo di unificazione del complesso cenestesico delle sensazioni; è un residuo inesplorato di vita sensibile, corpo frammentato e spezzettato che finalmente si raccoglie in un sembiante, simbolico e immaginario, che viene smascherato soltanto nel momento in cui se ne ritrova il senso proprio a partire dalla rilevazione di uno stadio dello specchio:[10] la narrazione dell’Iguana, denunciando l’insufficienza della realtà naturale, si consuma su questo margine del mondo visibile, posto eccentrico dal quale si stabilisce la relazione tra l’organismo, simultaneamente interno ed esterno, e la sua realtà. Il racconto parte da questo baluginio dell’inesauribile molteplicità e divino spirito di natura: l’iguana, ambigua e anfibia, proiezione dell’inconscio abissale, indifferenziato e originale, metafora che viene fulminata (cioè dotata di senso) soltanto dal riflesso della propria immagine. Ma cos’è questo riflesso che deforma, che ritorna al di là dell’oggettività? È stato detto che lo specchio, in quanto designatore rigido, dice la verità in modo disumano, animale: la sua natura disumana restituisce, cioè, un’immagine non interpretabile.[11] A esso la Ortese affianca l’anafora, altro artificio inquadrante che, come il primo, è parassitario rispetto al referente. La compresenza di questi due artifici annette al pur alto quoziente di simbolicità del romanzo una nuova dimensione immaginaria, più specifica, in cui la pregnanza del segno è diluita e la storia tipo è sostituita dalla storia occorrenza. Così facendo, la scrittrice rinfresca il sostrato mitologico del suo racconto, in modo che sia possibile distillarne direttamente una parabola di riconciliazione con l’animale, che incarni il risoluto rifiuto opposto ad alcuni eccessi dell’uomo nella tarda modernità (irresponsabilità, incapacità di immaginare l’altro, esotismo, puro consumo, soltanto per citarne alcuni): la prosa ortesiana si dota di ciò che lei stessa definirà junghianamente come «spirito di pace»,[12] disumanità (diversa da quella che restituisce lo specchio), qui intesa come profondità mistica da opporre all’iniquo accecamento e all’umano odio del vero. Nel personaggio dell’Iguana è possibile riconoscere ancora l’animalità brulicante di Echidna, verme squamoso, metà serpente e metà uccello, palmipede e donna, belva che sale dal mare o Melusina, come anche la principessa lucertola, evocata da Adorno in quanto donna il cui fascino deriva dalla mancanza della coscienza di sé. Essa è una Sfinge senza enigmi, che corrisponde specularmente all’immagine che le viene assegnata: ovviamente, però, non è un’immagine a carattere speculare; si tratta di una figura, incapace di autodeterminarsi, che subisce le leggi del discorso, della parola che la designa («Aiutami. / Riconoscimi. / Salutami. / Col mio nome chiamami, / non con quello del serpe», p. 182, sono alcuni dei significativi versi che chiudono il romanzo). In realtà, la Ortese allestisce sul mito dell’iguana (forma più concetto), così come farà poi con il mitomane Opfering, una mitologia di secondo grado, negativa, ma politica, che agisce contro l’ideologia capitalistica imperante. Il capitalismo (e, in particolare, la sua deriva ontologica) costituisce il movente che fa
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proferire il mito: è il concetto mitico vero e proprio; per definire e motivare tale concetto l’autrice alterna correttamente a esso la forma corrispondente: l’iguana. Forma e concetto sono, cioè, concomitanti.[13]
La pagina iniziale del saggio di Alessandro Gaudio, tratto da: Morfologie dell'Iguana.Anna Maria Ortese tra letteratura e cinema, a cura di Margherita Ganeri e Bruno Roberti, Edizioni Librare Università della Calabria, 2012
A un primo livello, la Ortese trasforma un senso in forma. Ruba la figura dell’iguana, non per farne un simbolo o un esempio, ma per naturalizzare mediante essa l’accettazione delle logiche capitalistiche più diffuse. Nel far ciò sfrutta una lingua che non impone un senso pieno,
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indeformabile, al concetto di ‘iguana’ e della parola che la designa: impiega una lingua che resta vaga, che (disponendo di uno spessore virtuale) lascia sospesi gli altri sensi. In questa intercapedine il mito dell’iguana si gonfia. Lo stile della Ortese e gli sviluppi argomentativi del suo primo romanzo risiedono proprio in questo interstizio. Scegliendolo come modo, la scrittrice fa del mito la chiave per ribadire, a un livello secondo, la funzione che essa accorda alla letteratura: produce, insomma, un mito artificiale, un mito al secondo grado. Mentre sul piano diegetico l’autrice pone un attore (Daddo) incaricato di percepire il mito (l’iguana) e di farlo significare su se stesso, la significazione finale, complessiva, sarà data, sì, dall’opera, dall’iguana, dal lettore, ma anche da una disposizione contro-mitica, propriamente nostra, che la Ortese suggerisce e preconizza letterariamente. Tale inclinazione supera la mera notificazione intrinseca al mito che, allo stesso modo dello specchio, non nasconde nulla. L’ingenuità di Daddo (così come quella che traspare dagli occhi della creatura) è ancora lontana dalla piena riflessione dell’io; è, invece, lo specchio di cui si serve il mito alla seconda per raddrizzare l’immagine del mondo, per risignificarla. Il disegno che ne viene fuori consente di passare dall’ultrasignificazione del mito all’infrasignificazione della poesia. Il regime di questa immagine, così codificata (lo si vedrà) anche sul piano grammaticale, è mistico: nella sua segreta intimità, nella sua ambivalenza, nel continuo processo di raddoppiamento delle immagini, la Ortese trova una risposta-colore; una sorta di realismo sensoriale che anima le cose, ma che non accontentandosi di descriverle dall’esterno sfocia in un certo panteismo; il modulo è ripreso efficacemente nell’opera della Ortese più simile all’Iguana: in Alonso e i visionari tutto respira convulsamente intorno ai protagonisti.[14] La profondità dello spirito ortesiano è data dai colori e dalla natura dell’oggetto che permette di localizzarlo e di rivelarne l’intima significazione, un po’ alla maniera della letteratura romantica. Ma non soltanto da ciò. È uno spirito che anima l’oggetto, lo penetra con la stessa esasperazione cromatica del Van Gogh più maturo: piena d’angoscia, ma forte del suo impegno morale, la Ortese dell’Iguana si interroga sul significato dell’esistenza; lo fa mediante un’idea di letteratura, dotata di un fare etico, che mira alla scoperta della verità e si pone contro ogni tentativo di alienazione e di mistificazione. In effetti, non si tratta di rappresentare la realtà in superficie o in profondità: l’autrice indaga la struttura della sensazione, superficie limite dolorosa, miscuglio di essere e di niente, servendosi della perseveranza percettiva e della coscienza che – allo stesso modo che per Van Gogh – si fa esistenza. Per affrontare il reale e scoprirne il contenuto essenziale, essa oppone al senso delle parole il senso delle cose: una pronunciata ricerca etica che, passando attraverso la piena comprensione dell’alterità (che non la ignora, non la nega, né la trasforma), ritrova l’identità frammentata del proprio essere e della propria coscienza. Come l’artista di Arles, la Ortese scopre il limite delle cose, ma pur paventando un margine di virtualità positiva e auspicabile, non riesce a liberarsene del tutto.[15] Quella della Ortese è, dunque, una visione colorata che si serve dello specchio e (è stato detto) delle regole antifrastiche dell’aporema:[16] io dico di quelle dell’eufemismo, inteso come riflessione (talvolta finemente ironica) sui sensi contraddittori del reale e sulla loro incomprensibile
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comunione. Qui, colore (superficie) e sostanza (profondità) coincidono: il primo, anzi, diventa l’assoluto simbolico della seconda. Nel momento in cui la materia comanda la forma, la varietà delle sfumature di colore diviene il riflesso di una realtà ricchissima, velo di Mâyâ-Melusina che promette risorse inesauribili che, però, non possono essere viste dal battello-guscio di Daddo. È appena il caso di precisare la commistione tra l’aspetto femminile e materno e quello negativo e temibile di Mâyâ, grande dea acquatica, Mamma-mare, ingannatrice e seduttrice al medesimo tempo, con il suo corteo di veli e di specchi, che trova la sua immagine privilegiata nella grande varietà di sfumature di colore proposta dalla Ortese; come negli esempi che seguono, tutti concentrati in sequenze attigue:[17] trombette e certi carrettini di legno giallo e verde, col cavallino bianco bardato di rosso (p. 22); Il tempo era sempre buono, ma non vi era più quello smagliante azzurro, quel sole, anzi la luce appariva vagamente velata, come se vi fossero nuvolette, che invece non c’erano. E il mare non era più turchese: aveva preso una tinta di argento brunito, come il dorso di un pesce (ibidem); Una luminosità gialloambrata era tutto ciò che appariva all’orizzonte (p. 23); si presentò lontanissimo, in quella luminosità, un punto verde bruno (ibidem); Uno di loro, il più giovane, dalla testa biancodorata, leggeva qualcosa (p. 24); vestiva, come gli altri, di panni poveri e colorati […] ma, diversamente da quelli degli altri, ch’erano sul verdone e il blu, con un effetto generale di viola, i suoi erano chiarissimi: un gilet di velluto giallo, calzoni celesti, anche di velluto, calze rosse e, per finire, una camicia di tela verde, riccamente ricamata e logora (p. 27); una bestiola verdissima […] con una sottanina scura, un corsetto bianco […] e un grembialetto fatto di vari colori […] a nascondere l’ingenuo muso verdebianco, quella servente portava una pezzuola anche scura (pp. 29-30).
Molto spesso la sfumatura scelta è la sintesi inedita di due toni che corregge i due semi-colori da cui trae origine e intensifica quell’effetto di stupefacente e inquieta illuminazione del reale. Si è già rinvenuto gialloambrata, biancodorata, verdebianco; si trovano anche doratolivido (p. 53), rosaaurora (p. 89), bigiorosato (p. 134) grigio-oro (p. 140); ma tali sintomi della pulsione a correggere, a ridefinire e ad animare della Ortese si riscontrano anche in altre formazioni nominali ambivalenti, come fanciulla-bestia (p. 78), pulcino-immagine (p. 83), Segovia-Mendes (p. 85), Soavifischianti (p. 100), Mendes-Marchese (p. 105), don Jeronimo-Ilario (p. 87), alternato a don IlarioJeronimo (p. 120). L’eufemismo, luogo della confusione tra un senso passivo e uno attivo, dispone di un equivalente figurativo nel pozzo (che, danneggiato, apre il romanzo e ritorna nelle ultime pagine), sul quale piegarsi nel tentativo di guardare di discernere dentro di sé la realtà esteriore: mondo notturno, esatta immagine capovolta del nostro mondo, all’interno del quale discendere «spezzandosi in tutto il corpo per trarne la misera Iguana» (p. 169).[18] Questa figura della sostituzione, come Ocaña, piccola isola fortunata su un mare tempestoso, è la radice dell’immagine cardine dell’Iguana; essa ha tre peculiarità: l’ocularità, attitudine naturale a tradurre ogni sensazione e ogni traccia percettiva in temi visivi, la profondità, quella intesa più in senso psichico che geometrico di cui si è appena parlato, e l’ubiquità, che allude allo statuto plenario del luogo simbolico.
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L’immagine che ne risulta si serve, altresì, della forza spirituale della lingua che sfrutta e ripete, spesso compulsivamente, sostantivi e fenomeni linguistici, secondo un modo d’impiego ripreso significativamente molti anni più tardi nella «scrittura quasi automatica»[19] di Alonso; il periodo che segue mostra esemplarmente gli automatismi della sintassi ortesiana all’altezza dell’ultimo romanzo: Restammo un pezzo seduti là; Camera ogni tanto guardava l’orologio – dovevano venire a chiamarci perché le visite, in alcuni casi, erano decise di volta in volta, nel quadro dalle dodici alle quattordici – e non solo Camera, ma anche Ingres temeva che ci fosse un rinvio a causa di qualche imprevisto.[20]
Tra i fenomeni più frequenti nell’ordito sintattico e grammaticale dell’Iguana è necessario segnalare l’uso degli indefiniti e dei dimostrativi spesso in funzione anaforica e anche di disarticolazione della deissi, la ripetizione di uno o più frammenti sintattici, il servirsi di periodi ovattati o corretti tramite le parentesi, gli avverbi di dubbio, le locuzioni avverbiali e gli aggettivi con valore avverbiale e, in genere, una marcata aggettivazione, usata (come si è in parte visto) non soltanto in funzione qualificativa. L’immagine, così definita linguisticamente e sintatticamente, rinuncia alla precisione (ma non alla presa di coscienza della situazione), per lasciare spazio alla fantasia del lettore. La presenza di quantificatori indefiniti (aggettivi e pronomi quali qualche, qualcosa o qualcuno, alcun, alcuno, alcuni o alcune, tale o taluni, certa o certe, qual siasi, alquanto) è funzionale ovviamente alla rappresentazione dell’indeterminato: qualcosa, nel suo carattere, di punto in bianco s’incantava (p. 24); leggeva qualche cosa, a ridosso del grande albero (ibidem); qualche vanità doveva pure, nella sua misera vita, esserle rimasta (p. 31); Essa mormorò qualcosa d’incomprensibile (ibidem); una qualche verità sfuggita alla dura mente (ibidem); quasi in un angolo di quello scenario qualcuno andasse ripetendo su una ukulele una frase musicale assai dolce (p. 53); qualcuno toccò la sua porta (p. 57); per qualche grave fatto o mutamento intervenuto nella vita di quegli esseri (p. 80); Ci fu, da parte della creatura, un altro lieve movimento del collo, come se proprio là qualcosa dolesse (pp. 147-148); Essa, in qualche modo, ne aveva sentito parlare (p. 153); siamo tenuti a testimoniare di alcune deboli grida che si udirono LASSÙ (segno che il viaggiatore era in qualche GIÙ) (p. 162).
Si vede bene dagli esempi proposti (il cui effetto è accentuato dal fatto che spesso siano compulsivamente concentrati in una stessa pagina o, comunque, in parti contigue del romanzo) il modo in cui la particolarità appena riferita non necessariamente si compie e, invece, induce a dubitare della identità di una essenza, di una descrizione, trasportando il lettore in un mondo miracoloso (forse più che mistico e, senz’altro, più che nichilistico) in cui è più difficile recuperare l’informazione. Lo si può agevolmente comprendere dal tono indefinito di moltissimi passaggi rintracciabili lungo tutto il romanzo: simili alle nervature che coprono taluni petali di fiori (p. 27); e raccontò come fosse in viaggio da alcuni giorni (ibidem); e fecero una tale confusione, dentro e sotto la sciarpa bianca (p. 32); aveva messo un tale slancio (p. 33); alcune guaste suppellettili (p. 54); alcuni fazzoletti da testa e, in una carta velina, insieme a qualche pietrina colorata (p. 55); alcune nocelle, semi abbrustoliti e… nient’altro (ibidem); essi si
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scambiarono alcune parolette (p. 59); Così, in certo modo, io ero nel giusto (p. 60); E decise che l’indomani, a qualsiasi costo, avrebbe chiesto al marchese di lasciargli portare la servetta a Milano, dove qualche istituto religioso avrebbe preso cura della sua rieducazione (p. 65); suonò a un certo momento la voce bassa e pur alterata d’Hipolito (p. 104); dopo aver sostato alquanto in sua contemplazione […] e dopo aver fantasticato alquanto sulla camerina piena di tappeti (p. 105); l’unica cosa da fare, in taluni frangenti (p. 112).
Morfologie dell'Iguana. Anna Maria Ortese tra letteratura e cinema, a cura di Margherita Ganeri e Bruno Roberti, 2012.
Anche i dimostrativi mirano a creare un binario linguistico all’interno del quale può disporsi il pensiero non ancora compiuto, evocando così la forza immaginativa del lettore. Da un lato, quindi, tale pratica disarticola la deissi, dall’altro, il frequente richiamo anaforico e cataforico operato da aggettivi e pronomi dimostrativi e dalle particelle avverbiali rafforza la coesione tra le varie sezioni
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del periodo, nonché la relazione fra le idee e spesso comporta, con essa, una nuova intuizione delle cose: il Daddo si recò a Siviglia in cerca di quel gioielliere, che l’azzurro si sarebbe tagliato a fette, tanto era azzurro. E vi era una calma, un silenzio, un tal piacere di vivere! […] e il Daddo si consolò girovagando per quelle bianche stradine, e comprando inutili cianfrusaglie, ma che tali non sarebbero parse alla contessa madre […] e fra queste era una sciarpa di seta bianca […]. (p. 21) Allora, quegli occhi, tornati piccini e seri, gli fecero una impressione di gravità, come se la follia del marchese non avesse di molto risparmiato quella tenera mente. […] Non sapeva neppure lui in che modo lo guardava, ma certo vi era in quegli occhietti una severità e una lacera interrogazione, al di là del discorso, che si avviò in questo modo […]. (p. 78) O forse egli, sempre per i risultati di quel colloquio, che lo avevano fatto ormai sicuro di se stesso, era in quello stato di forza che favorisce non diremo disprezzo, ma certo noncuranza di quella opinione che altri può farsi del nostro comportamento. Così, il suo atteggiamento verso il lombardo, poc’anzi amico dell’anima, era improntato in quel momento (come per un rapido riscaldarsi di detta forza, e una specie di sollevamento del suo intimo) a una superficialità indicibile, che non celava una netta impazienza. (p. 150)
Nell’ultimo frammento citato l’indicibilità della realtà e il suo retroterra spirituale sono accentuati dalla presenza della parentesi (altro elemento fortemente caratterizzante la prosa della Ortese), specialmente adoperata come luogo per una riflessione a margine dell’idea principale che, di fatto, crea una relazione tra l’autore e il lettore, tra due personaggi o tra due episodi: Allora, di certi forti sapori (che poi non sono affatto forti, anzi banalissimi), va a caccia e darebbe la vita per quelli (p. 15); Avevano comprato molto, finora; e intendevano (cioè, era la contessa madre che intendeva) comprare ancora (p. 16); Tutto il cielo di Ocaña stava diventando rosso (senza, per questo, perdere certe bianche e opaline trasparenze), come per una seconda levata della luna. (p. 71); Erano (vedi un po’, Lettore, come il segreto delle cose è spesso assai più modesto di quanto l’infantile immaginazione dell’Universo intenderebbe, per non so quali fini, dimostrare), erano niente più che una compitissima e molto dabbene famigliole del ceto medio mondiale (p. 89); Ketty (così si chiamava la domestica dei Hopins) (p. 138); Così non meravigliarti, Lettore, se la malattia (così possiamo chiamare il pensiero) […] è esplosa nei modi tremendi che vedi (p. 161).
La funzione pedagogica e didattica dei periodi posti tra parentesi (e, in genere, delle frasi incidentali) crea un secondo piano del discorso (come su un piano diverso del discorso si pongono anche le lettere disseminate lungo la narrazione di Alonso e i visionari): è questo il luogo privilegiato della letteratura ortesiana. Essa comporta il distanziamento di chi narra dall’io che vive, ma allo stesso tempo una temporanea separazione tra sfera oggettiva e sfera immaginaria. A riavvicinare i due ambiti – assecondando così quel movimento ininterrotto praticato dalla Ortese tra le varianti del reale – provvedono alcune serie incessanti di avverbi di dubbio (quali quasi, forse, probabilmente) o di locuzioni indefinite (un che di, non so che, per così dire, una specie di). Nei due periodi che seguono, mediante la ripetizione di un medesimo avverbio, di un frammento sintattico o di una congiunzione che regge una comparativa ipotetica, si crea quell’effetto caleidoscopico tanto caro al modo di narrare della scrittrice:[21] prendendo nella sua quella piccola sudicia mano […] pensò ancora che, forse, non era una menzogna, quanto una immagine; legava quella tetraggine, quello stupore, quel rapido «altre cose», e gli parve di capire che ciò fosse affetto, umanità, espressioni di graziosa simpatia, che probabilmente, per qualche grave fatto o mutamento intervenuto nella vita di quegli esseri, o forse nessun mutamento, ma solo indifferenza, come accade nella vita, erano cessate. Dopo di ciò, forse per compensare quel distacco e quella sofferenza con valori di ordine materiale, essi avevano deciso di pagarla. (p. 80)
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Il Daddo […] senza quasi rendersene conto […] andava ritrovando in sé la primitiva e quasi cupa dolcezza del vero lombardo […] una severa e quasi stupida semplicità del cuore […] e dentro gli si muoveva di nuovo quella passione di padre e figlio devoto ch’egli portava a tutto, quasi ciascuna creatura fosse stata da sempre affidata alle sue forze, e su di essa egli si dovesse inchinare per proteggere, vegliare. (p. 116)
Il senso ulteriore, quella certezza indefinibile tanto amata dalla Ortese, viene spesso cercata seguendo una sorta di isoglossa della deformazione che sfrutta un paradossale e perseverante rovesciamento dei principi di definizione deittica, come nel passo che anticipa e prepara l’ultimo citato: Il Daddo, mentre queste parole ora ascoltava, ora no, distratto ora dalla pietà di quei biondi capelli e quel morto viso, ora dalla nuvolosa dolcezza del cielo, ora […] da una figurina che vedeva arrancare in barchetta verso la spiaggia, ed era don Fidenzio. (Ibidem)
La presenza molto marcata di avverbi di luogo (dove, là), di tempo (allora, già, ormai, poi), di modo (così, come), di quantità (in più) – soltanto per citare quelli rintracciabili all’interno del primo capitolo, ma usati estesamente lungo tutto il romanzo e, come si è appena visto, nell’incipit del quattordicesimo capitolo – consente di determinare eufemisticamente (o, il che è lo stesso, negativamente) le coordinate di una realtà disarticolata, che sfugge da tutte le parti. Anche la sintassi ortesiana attraversa, per così dire, un suo stadio dello specchio che limita le tentazioni centrifughe che minacciano la stabilità del testo: «le storie – dice Jimmy Op all’inizio di Alonso e i visionari – sono piene di mutamenti; si comincia con lui, si finisce con lei o loro, o il contrario: con nessuno, con tutti».[22] Ciò può avvenire perché l’autrice ha assimilato globalmente la struttura dell’immagine-iguana e, prendendo a mano a mano coscienza della sua unità, ha potuto risolvere l’illusione insita in essa: e l’ha risolta evitando che la favola, come anche in altri romanzi, quali il Cardillo addolorato e Alonso, curvasse verso l’evasione lirica o il sogno.[23] La Ortese ha compreso gli sviluppi virtuali della conoscenza del reale, ma non imitando la forma della realtà in maniera parziale o a tastoni; bensì ricostruendo, frammento per frammento, la sua identificazione con una seconda natura – al limite tra l’animale e il vero essere umano – e, su questa («come se il senso delle cose fosse un altro», p. 16), ponendo le basi per instaurare la sua prospettiva. La rivendicazione di tale rottura si rivelerà distopica e, lo si è detto, incline (fino alle ultime prove narrative) ad approdi nichilistici («troppo al di sotto vedo il mondo, al di sotto di una qualsiasi speranza di mutamento e di direzione»);[24] tuttavia, muovendo dalla considerazione del nulla e nella piena consapevolezza dello stato del reale e della possibilità sempre più flebile di potersene liberare, la scrittrice pone nella poesia, in un modo mai scontato di rapportarsi al proprio corpo e alla realtà, in un nuovo stile di vita («l’essere davvero reali»)[25] l’alternativa globale alla società capitalistica che, ancor più in Italia, non rispetta nulla di ciò che non comprende. La determinazione antiutopica, insomma, non fa del romanzo un divertimento, un esercizio letterario torbido, sensuale e fine a se stesso: l’intenzione della Ortese nel momento in cui scrive L’Iguana è certamente antifrastica, se non negativa; ma insieme a «un invincibile disgusto» di fronte agli orrori di questo mondo, lo scrittore-animale[26] mantiene un certo interesse per la sua verità, per la sua «innominabile realtà» (p. 138), che tralasciando le strade comode e passando attraverso le petraie del mondo, tenta il «superamento delle antiche concezioni di natura e spirito, di immaginario e di reale» (p. 60) e giunge nell’esilio di chi vuole scrivere il reale; in quella dimora provvisoria, interna ed esterna simultaneamente e frutto di una resistenza irritata, si ritrova l’uomo che forgia il suo mondo e che non è toccato dalla realtà intesa come mera riduzione simbolica. Come sembra segnalare il finale del romanzo, il letterato esercita un dubbio ma, pressato dalla realtà, non sospende il giudizio: lo pratica con la sua immaginazione, selvaticamente protratto oltre il buon senso, oltre un uso domestico del mondo, oltre quello che in Alonso viene definito «un concimaio
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del tempo»,[27] aprendosi a una comprensione che non è quella perfetta e rigida dello specchio, né quella totale ma svuotata e immobile del mito: è quella etica e storica, un po’ svalutata e fuori moda, di chi la letteratura, come la vita, la fa e la rifà continuamente e riconcilia, con il suo spirito intimo e naturale, tanto il reale con gli uomini, quanto l’oggetto col sapere.
Indice di Morfologie dell'Iguana: il bel volume, che ha origine dalla giornata di studi dedicata, nel gennaio 2008, a Anna Maria Ortese dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università della Calabria, Corso di Laurea Magistrale in Linguaggi dello Spettacolo, del Cinema e dei Media, pubblicato grazie al sostegno finanziario della Fondazione Carical, si avvale dell'impaginazione di Massimo Barberio , dell'Art Direction di Emilio Arnone e della Stampa Zaccara di Lagonegro.
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[1] Verso di Georg Trakl, autore peraltro caro alla Ortese, citato in T.W. ADORNO, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa [1951], trad. di R. Solmi, Torino, Einaudi, 2006, p. 74. [2] Riporterò la semplice indicazione del numero di pagina nel rimandare all’edizione dell’Iguana cui si fa riferimento (Milano, Adelphi, 2003). I corsivi sono sempre miei. [3] Per una interessante e suggestiva ricostruzione delle virtù dello specchio nella storia si veda il noto J. BALTRUŠAITIS, Lo specchio. Rivelazioni, inganni e science-fiction [1981], trad. di C. Pizzorusso, Milano, Adelphi, 2007. [4] Sul modo in cui l’esasperato processo correttivo praticato dall’autrice partecipa anche alla genesi del romanzo si veda A. BALDI, Nota al testo, in A.M. ORTESE, Romanzi, volume II, Milano, Adelphi, 2005, pp. 895-1017. [5] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari, in ivi, p. 881. [6] Cfr. ivi, pp. 758, 870 e 880. [7] Ivi, p. 744. [8] Sarà la stessa Ortese a fissare la parentela tra i due personaggi in uno degli appunti di commento ad Alonso, citato in F. SECCHIERI, Nota al testo, in A.M. ORTESE, Romanzi cit., p. 1125. [9] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari cit., p. 689. [10] Il riferimento obbligato è a J. LACAN, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io, in ID., Scritti [1966], a cura di G.B. Contri, volume primo, Torino, Einaudi, 2006, pp. 87-94. Ma, nello stesso volume, si veda anche Aldilà del «principio di realtà», pp. 67-86. [11] Cfr. U. ECO, Sugli specchi, in ID., Sugli specchi e altri saggi [1985], Milano, Bompiani, 1987, in particolare p. 15. [12] Cfr. la lettera di Anna Maria Ortese a Henry Martin del 5 luglio 1996, riprodotta in F. SECCHIERI, Nota al testo, in A.M. ORTESE, Romanzi cit., p. 1142. [13] A tal proposito, si veda R. BARTHES, Il mito, oggi, in ID., Miti d’oggi [1957], trad. di L. Lonzi, Torino, Einaudi, 1994, pp. 189-238. [14] Sul contesto espressivo proprio dell’eufemismo e dell’antifrasi e, in generale, del regime notturno dell’immagine, cfr. G. DURAND, Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale [1963], trad di E. Catalano, Bari, Dedalo, 1984, in particolare pp. 201-236. Cfr. anche A.M. ORTESE, Alonso e i visionari, in ivi, p. 863. [15] Sulla dimensione politica della pittura di Van Gogh si veda G.C. ARGAN, Una pittura vera fino all’assurdo, in Van Gogh, Milano, Rizzoli, 2003, pp. 7-14; sul regime della sua pittura G. DURAND, Le strutture antropologiche cit., pp. 269-279. [16] Si veda, in questo stesso volume, l’intervento di Margherita Ganeri. [17] Cfr. G. DURAND, Le strutture antropologiche cit., pp. 224-227. La sensibilità della Ortese al colore della luce è emersa spesso nelle sue dichiarazioni; è nota quella rilasciata nel 1977 a Dario Bellezza e inclusa nell’edizione citata dell’Iguana (cfr. D. BELLEZZA, Intervista all’autrice, pp. 185-195). [18] Cfr. G. DURAND, Le strutture antropologiche cit., p. 219. [19] Cfr. gli appunti di commento ad Alonso della stessa autrice e riportati in F. SECCHIERI, Nota al testo cit., p. 1126. [20] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari cit., p. 831; i corsivi sono miei. [21] Sulla funzione e il tono di alcuni elementi sintattici e linguistici frequenti nella prosa ortesiana dell’Iguana si veda L. SPITZER, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna [1959], Torino, Einaudi, 1977, passim. [22] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari cit., pp. 646-647; i corsivi sono nel testo. [23] A tal proposito, cfr. L. CLERICI, Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese, Milano, Mondadori, 2002, p. 444 e passim. [24] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari cit., p. 840. [25] Ivi, p. 839. [26] L’espressione è tratta da P. CITATI, La principessa dell’isola, postfazione all’edizione citata dell’Iguana, p. 199. [27] A.M. ORTESE, Alonso e i visionari cit., p. 657. ▬ post del 21 aprile 2012
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Julie e l' analemma esponenziale del poeta:da "Swimming pool" passa al mare al meridiano del visionatore
LE SCALE DI BESICOVITCH E IL PUNCTUM DI LUDIVINE di V.S.Gaudio Se all’improvviso in un film, che si dà su “Cult” il 24 aprile 2009, di cui peraltro una parte mi sembrava di averla già vista, passa in un fotogramma una “fotografia” che da tempo, non so quanto, posso controllare e riportare la data, se la rinvengo, qua sotto in una nota, tenevo in un file, intitolato a “Linda Kozlowski”[1], l’attrice di “Mr.Crocodile Dundee”(1986), per intenderci, e questa figura, che, in questo file, ho denominato, non so perché, Julia Vygotsky o Vysotsky[2], insomma è come se non smettesse di saltellare, o, meglio, passa al
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meridiano dell’osservatore che, allora, finalmente, risolve l’enigma, è la “Julie” del film “Swimming pool” di Ozon(Fr.2003)[3], e quindi è l’attrice francese Ludivine Sagnier[4] la figura irredenta, l’oggetto a che, per essere così coniato per erigere la libido del poeta, non può che essere pervaso da una “scala del diavolo”, che è la funzione di Lebesgue della polvere di Cantor, se non dalle scale diaboliche di Besicovitch[5]: c’è una sorta di energia di un rumore durante un intervallo di tempo, che è quello dell’osservazione, che si distribuisce uniformemente lungo la verticale secondo la denominazione matematica della funzione di Lebesgue della polvere di Cantor y=f(x) in cui ciascuna delle intermissioni f(x) è costante. La corrispondenza inversa x=f-1(y) che indica in che modo questa regolarità si rompe fratta lizza la distribuzione molto irregolare del rumore-punctum che l’osservatore “vede” nel fotogramma immobilizzato di Ludivine Sagnier, ovvero “Julia Vysosky”, in piedi davanti alla piscina e con una evidente ecchimosi sullo zigomo. Sotto questa “scala del diavolo”, ci sono tre scale di Besicovitch, che, in rapporto alla scala del diavolo, hanno il tratto più sorprendente se si suddivide l’ascissa in un gran numero di piccoli segmenti, nessuno dei quali corrisponde a un gradino orizzontale; tuttavia una proporzione molto grande dello spostamento verticale totale ha luogo su uno spostamento orizzontale assai piccolo, insomma è come se queste scale diaboliche di Besicovitch aumentassero la dimensione frattale quando si allontanano dalla scala di Cantor; deve essere così, non c’è altra spiegazione, quantunque ce ne fossero non ho che questo da scrivere, questo fantasma in costume da bagno con un’ecchimosi sul volto e un corpo che è un oggetto frattale per come il suo insieme abbia una dimensione frattale superiore alla dimensione topologica, ordinaria, del corpo, perché c’è questo spostamento verticale del corpo che ha luogo su uno spostamento orizzontale assai piccolo, che fa continuamente aumentare la dimensione frattale e nello stesso tempo ne rompe la regolarità , la fa “saigner”•. Perché non potrebbero che essere le “scale di Besicovitch”, che, così sottese dal corpo di Julie nel fotogramma immobile, non fanno che attivare costantemente
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la funzione y=f -1(x) nella libido del poeta che, allora, più che dei trema da ritagliare e da asportare dall’ oggetto a, lo ricopre non per mezzo di palle di un determinato raggio ma vede la dimensione di ricoprimento continuamente espandersi come la dimensione di entropia dalla macchia che è l’ecchimosi sullo zigomo, questo punctum-saigner che evidentemente in rapporto alle scale di Besicovitch fa espandere obliquamente la entropia del punctum-saigner a tutto l’insieme frattale del corpo-Sagnier. E’ questa -entropia del “punctum-ecchimosi” che fa eiaculare il visionatore, il sangue di Saigner che è poi l’insieme “S” in uno spazio metrico, e con un raggio r>0 , la dimensione di ricoprimento che è la dimensione di entropia, è come se fosse la liquidità della piscina e quindi di Ludivine a ricoprire S, che è la Sagnier, per mezzo di ecchimosi di raggio uguale a • usando il metodo che richiede il minor numero di ecchimosi, N( ). L’eccesso che c’è nel nome proprio dell’attrice [che il poeta per anni non ha mai conosciuto, o è stato il caso che ha randomizzato l’oggetto a rendendolo così irredento, tale,avrebbe detto Barthes] è questa ottusa “turbolenza”• che, oltre il corpo, è in qualche modo resa viscosa dalla dimensione topologica della piscina, ed è la liquidità dell’acqua; in quanto corpo, è il “punctum-saigner”• che come sangue, essendo stata la sua turbolenza così dissipativa e densa, non è che la liquidità somatica tumefatta, e per questo diabolica, della libido; il seme, essendo “salila”•, fluttua, è ondata e inondazione, pioggia e sorgente, se si fa aggettivo gioca, si diverte, è l’acqua; il sangue, essendo “asra”, è sangue e lacrima, se si fa aggettivo getta, e se si fa sostantivo archetipo come "ắsrava" apre all’acqua il varco, è la sensibilità che spinge l’anima verso gli oggetti esterni. La denominazione matematica della funzione di Lebesgue della polvere di Cantor y=f -1(x) in cui ciascuna delle intermissioni f(x) è costante va da sé che, se riferita o percepita in una fotografia per un fotogramma reso immobile, dovrebbe essere, quanto meno nella parte che formalizza una identità o un luogo, commutata in una formula che, con la sua costante e nell’intervallo di
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tempo ∆x “avvisi”del passaggio al meridiano del visionatore di questo fantasma o analemma esponenziale in cui ∆y , che sarebbe l’energia di un rumore durante l’intervallo di tempo ∆x nella scala del diavolo, qui, quando l’oggetto a che è L.(udivine) S.(agnier) nel fotogramma immobilizzato di “Swimming pool”, passa al meridiano del visionatore che è il poeta. [ da: V.S.Gaudio, Swimming pollis ou Bil-ludivine? © 2009] [1] Che è datato 5-2-2008, mentre, invece, ne rinvengo un’altra di
immagine jpeg, in una cartella intitolata “Claire Danes”, che risale al 12-06-2007. Anche Linda Kozlowski viene randomizzata al meridiano del poeta
Julia Vysotsky [2] Julia Vysotsky è l’attrice bielorussa; ha recitato in “Menno Meyjes”,
“Max”, “Not come back”. E’ la protagonista di “House of Fools” [3] “Swimming pool”, France 2003, regia di François Ozon. Con Ludivine Sagnier, nella parte di Julie, e Charlotte Rampling, che è Sarah Morton. Durata: 102 minuti. In Ireland e in Canada è vietato ai minori di anni 18; in Italy a quelli di 14; in Switzerland ai minori di anni 16. [4] In argot “saigneur” sta per “assassino” e nella lingua francese lo stesso sostantivo sta per “sgozzatore”, “sanguisuga”, “scannatore”, “flebotomo”; “saignée”, invece, è il “canaletto di scolo” o la “piega interna del gomito” se non “intaglio” o “tacca”. E’ incredibile come il flebotomo , che è saigneur, finisca con l’essere analogo archetipo al pappataci, che, frattale, come ricoprimento o scala del diavolo?, è già nella losanga desiderativa del poeta, quando in La 22^ Rivoluzione Solare(Laboratorio delle Arti, Milano 1974) “transita con intenzione inibita”[“(…)-il dubbio/si tuffa in acqua, cade/Sinus Gallicus/analogie+simboli, il golfo del Leone/con effetto di spostamento/pappataci transita/con intenzione inibita, brandelli stribbiati/con cerimoniale di sotituzione/pappataci è sotto la branda/con espressione verbale indefinita”: V.S.Gaudio, La 22^ Rivoluzione Solare, ed.cit.: pag. 33] nella stessa raccolta chiusa dal diavolo che “osa sapere, ascolta/steso sul fornice(vaginale)/ad arco succhia feticci di sangue”(18 settembre ’73)[ibidem:pag. 102] e Ludivine Sagnier non era ancora nata! Senza sottolineare il fatto che il “pappataci”, il succhiatore di sangue, sia nella strofa in cui il dubbio si tuffa in
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acqua e viene indicato il Leone, segno in cui Ludivine ha ben tre fattori(Mercurio, Giove e Lilith francese) e che, cosa ancora più frattalmente determinativa, il Mercurio del 16-17 luglio del ’73 in cui tanto scrisse il poeta è sul grado 121, nell’orbita, ancorché fosse in movimento retrogrado, dell’omologo pianeta di Ludivine Sagnier e Marte è sul grado che occupa Cerere alla nascita di Ludivine Sagnier. Ci sarà, invece, da chiedersi se possa esserci, tra il pappataci della 22^ Rivoluzione Solare del poeta e l’analemma esponenziale di Ludivine Sagnier nel fotogramma immobilizzato, proiettati sul Rapportatore Aquino, un esempio di moto browniano vero, per cui dire che il “caos” ivi rappresentato è omogeneo perché D=2 e il piano viene riempito uniformemente, oppure il volo browniano di Ludivine Sagnier, che succhia libido, e del pappataci del ’73, che succhiava sangue, debba essere considerato di tipo frazionario a persistenza media, e tutto sarebbe imputabile al nostro simulatore pseudo aleatorio del 2009? [5] Per questi riferimenti e altri che, nel testo, attengono alla geometria dei frattali, cfr. Benoît B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali, trad.it. Einaudi, Torino 1987.
Ludivine Sagnier nel fotogramma del film
La tagcloud-wordle del punctum di Ludivine│▬ post del 12 aprile 2012
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Il metodo dell’eccitazione, la cucitura della vertigine Per quanto attiene l’immagine in cui “The Seamstress”, che è in piedi su una lapide, senza gonna, con una girdle open bottom e tacchi da 5 pollici, piegata per leggere meglio, e che ostende il culo anche lei in una posizione obliqua rispetto al visionatore e all’obiettivo, devia e accenta l’azione ostensiva con un effetto-sentimento che, in questo caso,non è però possibile cogliere nel suo sguardo ma nel culo stesso, o, se vogliamo essere più precisi, nel rapporto di ostensione longitudinale che è dato tra quel culo(da 36”) e le gambe(da longilinea
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ectomesomorfa di 172,72 centimetri) in sicuro innalzamento sugli stilettos di oltre 12 centimetri e mezzo: l’emozionante ostensione tiene in equilibrio una potenza(da 36”), e non inquadrata frontalmente, che, in questa prospettiva e con questa luce notturna, non si fa che ombra di se stessa e doppio della luce che non ha più ombra. Qui, l’esplicita donazione non è dal lato della “mansuetudine potente” o dell’ “insediamento arrendevole” ma dal lato di un punctum doppio che ha un effetto di “profondo proponimento”, “proposta interdetta”, “impedimento(=sentimentale) silenzioso”, “misura(=passionale) della quiete(=sentimentale)”. E’ l’unica delle immagini, prodotte a target definito,di cui stiamo trattando, in cui non c’è possibilità di cogliere lo sguardo del personaggio: ed è forse in ragione di questa mancanza che l’immagine potrebbe non avere un paradigma sentimentale/passionale,che, lo abbiamo visto,per costituirsi, deve poter operare nell’opposizione del fattore caratterologico Attività: Attività( che c’è nel tipo Passionale:EAS ) vs Non-Attività( che c’è nel tipo Sentimentale:EnAS ). E allora se l’effetto sentimentale si pone per la contrapposizione inerente il fattore caratterologico Emotività, avremo, per The Seamstress, un paradigma in cui il doppio è nE, non-Emotivo, e, mantenendo inalterati gli altri due fattori(nA e S), sarebbe Apatico, cioè nonEmotivo, nonAttivo, Secondario, che,essendo caratterialmente un tipo ordinato, puntuale, dall’umore costante, non può che connettere queste qualità con l’intimità mobile e potente del Sentimentale: come se la fotogenia della Seamstress realizzasse un paradigma sentimentale meccanizzato[1] : difatti, l’automatismo, l’ordinato suo disporsi in scena è talmente elevato che riesce a trasferire sull’immagine fotografica le qualità proprie all’immagine mentale o, se vogliamo, riesce a proiettare i turbamenti emotivi del sentimentale innescandoli, non dai consueti canali espressivi ma, dagli stessi elementi morfologici esposti. E’ per questo che il suo punctum doppio ha un effetto di “assetto inquieto”, o di “schema dello sconvolgimento”,“organizzazione dell’incomprensibile”, “metodo dell’eccitazione”, ”cucitura del brivido, o dell’orgasmo” che, per farvelo intendere meglio, se fossero azioni, e ad azioni sessuali si pensa quando il visionatore fantasmatizza, sarebbero del tipo “disciplinare lo slancio”, “osservare la vertigine”, “regolamentare il brivido”, oppure “cedere all’impeto delle emozioni rispettandole”, “eccitarsi, turbarsi, vibrare attenendosi a una
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norma, ad uno prescrizione”.
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schema,
Sandrine
a
una
Laurence
consuetudine,
un
uso,
una
Cartolina postale
Foto da sito Web: The Seamstress Senso ottuso Vedere il Compiacenza Impresa Disciplina dello segreto tenera romantica slancio Sguardo del Obiettivo Obiettivo Obliquo(verso il personaggio fervido praticante) Figura Metonimia Metonimia Ossimoro tra Polisindeto retorica dello sguardo dello sguardo sguardo e culo Simmetria (iperbole del podice) EffettoIl culo Il culo Il culo Il culo del seduzione del recondito compiacente ubbidiente brivido doppio Tavola del senso ottuso e della figura retorica
[da : v.s.gaudio, il terzo senso fotografico, © 2003] Per Sandrine , cfr. Sandrine Gluck, qui: il-punctum-doppio-di-sandrine-gluck ; per Laurence e la cartolina postale, i riferimenti iconici saranno prodotti prossimamente in un post che le riguarda.
[1] I
sentimentali meccanizzati come i sentimentali placidi costituiscono le due categorie che Le Senne comprende nella famiglia dei SENTIMENTALI PARAPATICI: «la loro vita trascorre nel regolare comportamento di meccanismi predisposti. Si può ancora sentire nella loro attività la presenza dell’emotività, sia dalla forza con la quale aderiscono al loro regime, sia dai turbamenti che ne accompagnano l’interruzione»:René Le Senne, Trattato di Caratterologia,trad.it. Sei, Torino 1960: pag. 247.
La tagcloud-wordle della cucitrice della vertigine: pingaci sopra e vedi a tutto schermo la window-wordle! ▬ post del 31 maggio 2012
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Rosa Pierno • Artificio
LA MAPPA DEL TESTO
Se si volesse tracciare il diagramma dei loro incontri, avvicinamenti, disguidi, mancate coincidenze, fughe, ritorni, incomprensioni, addii definitivi e sovrapposizioni carnali si avrebbe una mappa illeggibile, piena di tumuli, di itinerari che s’incrociano, di puntini sospensivi e di stendardi caduti, di profezie e di affermazioni successivamente negate, di documenti falsificati e di baci rubati, di dediche d’amore eterno e di rifiuti poi rinegoziati. Di questa cartografia d’amore si tenta, qui, di ricostruire il perduto testo attraverso un mosaico composto da citazioni prelevate da varie fonti: testi classici o memorie personali, il tutto impiantato in un
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terriccio misto a detriti e reperti, in cui ciò che è antico è riportato alla luce e ciò che è attuale proviene da atavica memoria. Passato e presente senza distinzione.
TAPPE
Qui si narrano gli eventi della storia, si racconta di come la nostra eroina insegua il suo amato e lo eviti a bella posta, di come lo aneli e lo ripudi senza sosta, sfidi a duello il malcapitato o intinga le dita nel brasato. Che cosa non fece mentre lo inseguiva, cercando le strade che incrociavano la sua! Donzella, raccolte le voci sul suo cavaliere e le testimonianze sui suoi passaggi, delle sue visite ai postriboli, dei suoi imbarchi e dei suoi sbarchi, felice nel sentirne le valorose imprese e triste nel conoscerne gli abbattimenti e i funesti avvenimenti, fece il periplo del mondo più e più volte, saggiando la polvere e soffrendo i morsi della fame. Tutto sembrava perso, ma, poi, avutolo di nuovo, tutto fu dimenticato. Dolore in cielo terso non regge. Il che considerando, lei trasse che, in amore, non vale la pena di scrivere memorie.
OPERA
Contemplazione idillica e lirica meditazione, pagine ferventi, tormentate e strappate, luoghi di sussulti sentimentali, di confessioni sensuali; imitazioni fugate, moti contrari, canoni, palpiti e languori, egloghe e tragedie colme di vari suoni; virtuosismi retorici e scritti segreti, getti coerenti e serrati in svariate associazioni con cornetti, trombe e tromboni, violini, viole e violoni; stanze di canzoni, sestine e sonetti; frottole e ballate, strambotti e pendii cadenzati, canti fermi e toni movimentati: parole e musica, nella loro insopprimibile autonomia e irriducibile diversità compongono il testo della insensata storia d’amore.
TEATRO
Teatro è mondo in cui vigono condizioni particolari: qualsiasi cosa può accadervi e in un solo luogo e in una sola ora. Inizio del mondo, conversazione col serpente o tradimento con mandragola. Tutto ciò che è immaginabile vi viene rappresentato. Tempo ideale coincide col tempo della festa. La celebrazione è proiettata sui fondali, sui visi, sulle vesti. Fra matrimoni e ingressi del principe o del papa, tutto scorre senza soluzione e Reginella non ne salta alcuna di parata o di elegante e sontuosa comparsata. Che sia comica, tragica o satirica la rappresentazione, lei è presente sempre. A cavallo o a piedi, vestita con una rete, mezza digiuna e mezza sazia, si offre come enigma. E a tratti è doppia: principessa o lazzara, dipende dalle storie che attraversa. Città è scenografia ideale. Città è mentale. Punto prospettico equivale a retorico artificio: si accentri il mondo, gli si dia forma immutabile, ordine inalienabile! Si vada a dare inizio allo spettacolo!
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Tiziano Salari
L'artificio dell'amore povero Singolare retablo, diviso in due scomparti, questo testo di Rosa Pierno*. Nel primo scomparto, dal titolo “Artificio”, siamo in presenza di un’analisi oggettivata di quella che un tempo si sarebbe chiamata “storia di un amore” nelle sue varie fasi. Ma dallo stesso titolo, “Artificio”, inteso come serie di espedienti per raggiungere uno scopo, assistiamo a una svalutazione della stessa storia, in cui l’essenza della decisione – amare e disamare – si può determinare solo partendo dalla sua fine. E la decisione sembra concretizzarsi in un giudizio sul fallimento di un’esperienza senza vinti né vincitori, in cui l’unico ad essere sconfitto è lo stesso Amore, Amore nel senso attribuito alla parola dalla Diotima di Platone, “ di generare e procreare nel bello”. Ma è anche la stessa Diotima a dirci che Poro (artificio, espediente) fu sedotto da Penia (povertà) durante un grande banchetto e restando incinta di Amore.”Poiché, dunque, è figlio di Poro e di Penia, ad Amore è toccata la sorte seguente. In primo luogo è sempre povero e ben lontano dall’essere delicato e bello, come credono i più, anzi è duro e lercio e scalzo e senzatetto, abituato a coricarsi in terra e senza coperte, dormendo all’aperto sulle porte e per le strade e avendo la natura di sua madre, è sempre di casa col bisogno: ”È sempre Diotima a parlare, a dire che tale è Amore dalla parte di Penia, della povertà. “Per parte di padre, invece, è insidiatore dei belli e dei buoni, coraggioso, audace e teso, cacciatore terribile, sempre a tramare stratagemmi, avido di intelligenza e ingegnoso, dedito a filosofare per tutta la vita, terribile stregone, fattucchiere e sofista”. Che Rosa Pierno abbia rievocato la storia da parte di Poro (Artificio) per distanziarla da sé lo vediamo fin dall’ apertura, da quella “mappa del testo” in cui essa dispiega di fronte a noi il diagramma degli incontri, avvicinamenti, disguidi, mancate coincidenze,fughe, ritorni, incomprensioni, addii definitivi e sovrapposizioni carnali, diventata una mappa illeggibile e di cui ella cerca di ricostruire il perduto testo attraverso un mosaico di citazioni prelevate da testi classici e memorie personali. Sembra poi che Rosa Pierno voglia immergerci all’origine dell’Amore nel senso occidentale del termine, cioè all’amore come processo fantasmatico, tra il Roman de la Rose e l’Orlando furioso, tra credenze occulte e rapimenti, amore e guerra, donzelle al galoppo come Angelica che danno la caccia al loro amore per miglia e miglia, feste e fughe, ninfe, fanti e amanti, alchimia, fino a voler spezzare “il circolo fantasmatico
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nel tentativo di appropriarsi dell’immagine come se fosse una creatura reale” (Agamben). E a trovarsi di fronte a delle maschere. “Il cavaliere ha un volto impenetrabile. Lo sguardo fisso e insidioso”. Già intravediamo, dietro lo scenario fastoso, far capolino il secondo scomparto, dal titolo Amore fossile, in cui, memore di essere alla fine della tradizione occidentale, della fantasticheria romantica, Rosa Pierno passa alla lucida analisi dell’evento, allo “Stato del non amore” come “vuoto teatro, polveroso palco”. L’anima poetica, l’anima “straniera sulla terra”, ha visto con il “lucido sapere del ‘folle’, il quale altro vede e pensa che non i cronisti dell’attualità che si esauriscono nella cronaca degli avvenimenti del presente” (Heidegger) in una storia d’amore l’Assoluto irripetibile di chi ha vissuto un istante di perfezione. Nel secondo scomparto vengono ripercorse le stesse fasi del primo scomparto, ma attraverso un linguaggio preciso, unione e separazione, somiglianze e differenze, rapporti tra la mente e il corpo, effimere certezze del possesso, fino alla trasformazione del “corpo amato” che diventa assoluto e perenne pur nella sua assenza”, come “funzione della mente”. E si potrebbe concludere, dicendo, come per Rilke nella prima Elegia duinese, che “colui che veramente ama non è quello che trova adempimento, ma quello che resta inappagato e che tuttavia serba intatto l’amore” (Romano Guardini). Il linguaggio del testo perduto di Rosa Pierno attinge la sua parola da Penia mascherata da Poros, e tale linguaggio canta la degradazione e il difficile rapporto tra i sessi nell’epoca del tramonto della tradizione occidentale. [* Rosa Pierno “ARTIFICIO”, Robin Edizioni, 2012, presentazione di Gilberto Isella ]
Leggi anche: robinedizioni:artificio ▬ post del 12 giugno 2012
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IL MARCUZZI Dal nome proprio al nome comune: il podice Alessia
fabrizio ferri
Il nome proprio del posteriore Il linguista Bruno Migliorini,nella rassegna dei nomi del tipo B della sua tassonomia dei nomi propri, che riguarda nello specifico nominazioni e personificazioni suggerite da “evoluzioni di gruppo”, trattando degli “oggetti inanimati che sono stati battezzati con un nome proprio per
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una specie di personificazione”[1], nell’ambito delle parti del corpo per “Posteriora” ci indica:
toni, touno, bernardin, bórtol, marcantonio, martin, Polo, Thomao, Tiberio, Saint Jean Le Rond [2]. Il modo di scelta del nome da imporsi, per il tibo B, è quello dell’evocazione, che si differenzia dal tipo A, che è il modo dell’allusione che è più particolarizzata e individuale; dal tipo C, che è il modo del simbolismo fonetico, e dal tipo D, che è quello della trasparenza, in cui il nome è scelto per l’identità o l’affinità che la sua forma presenta con un altro vocabolo[3]. L’evocazione veneta furbesca di TONI o quella trentina di BÓRTOL o quella del Polesine di MARCANTONIO permette l’adesione al proprio gruppo sociale oppure a un altro gruppo che goda agli occhi dell’evocatore di speciale prestigio. Quando si tratta, invece, di denominare uno speciale tipo di podice, il modello a cui ci si può riferire potrebbe sintetizzare tutte e quattro le modalità stabilite da Migliorini: l’allusione (a un individuo determinato), l’evocazione, il simbolismo fonetico (non si può negare al suono dei nomi la potenza di risvegliare nella nostra mente certe immagini e certi caratteri determinati[4]), la trasparenza (la trasparenza del nome fondata su quella congruenza magica fra il nome e la persona che lo portava:”Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam”[5]). Paradigmi del podice e sottotipi Noi, in studi recenti, abbiamo definito alcuni paradigmi del podice: quello SENTIMENTALE,che, in merito alle opposizioni dei fattori caratterologici di Heymans e Le Senne, è suddiviso innanzitutto in due sottotipi: a)sentimentale paraapatico e b)sentimentale paranervoso, che, poi, all’atto pratico, in virtù del punctum doppio sottolineato dalla variante PASSIONALE, ci permise la delimitazione di altri quattro specifici sottotipi; quello INDIFFERENTE, che, in correlazione con la tipologia Falmer, è suddiviso anch’esso in vari sottotipi, senza tacere del podice iconico-
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emotivo, modello istituito sulla base di una foto di Roy Stuart, e, quindi, non conoscendo il nome della modella, potremmo denominare, per l’evocazione di tipo B, “Stuart” o semplicemente “Roy”, appunto come “Martin”, “Toni”, “Bórtol” e “Tiberio”[6]. Volendo dare il nome, per allusione o per evocazione, ad alcuni di questi sottotipi delle due tipologie “Sentimentale” e “Indifferente”, avremmo: il GLÜCK [►il-punctum-doppio-di-sandrine-gluck], che è quello della confidenza palpitante, la violazione dolce e tenera, la lirica indiscrezione di Sandrine Glück in una foto di Dahmane; il LAURENCE, che è quello della sicurezza sottomessa, la compiacenza serena, la tranquilla subordinazione di Laurence in un’altra foto di Dahmane; il SEAMSTRESS, che è quello della misura della quiete, dell’assetto inquieto, del metodo dell’eccitazione, della cucitura del brivido di una modella denominata “The Seamstress”,la cucitrice, che realizza il paradigmasentimentale meccanizzato[7]; il CASSINI, che è quello di Nadia Cassini, che condensava, tra i tipi di Falmer, il modello 9(estroverso), il 5(sexy)e il 2(capriccioso) e che realizza il paradigma sentimentale paranervoso; il GLORIAGUIDA, quello della potente estroversione del podice 9 di Falmer; il LOREN, che è quello che condensava ed esprimeva le qualità dei sederi Falmer10,8 e 5: stabile, deciso, tollerante, affabile, intraprendente; il ROSAFUMETTO, un culo non-emotivo,attivo e primario, tipo Falmer 1/9, realizzazione del paradigma sanguigno; il CARDINALE, che è il podice 3/8/10, potente estroversione di Claudia Cardinale; il BARDOT, o il BRIGITTEBARDOT, che è l’esemplare comprensivo e dinamico, sintesi dei tipi 9 e 5 di Falmer realizzato dalla mitica Bardot; il DANE, un podice di una modella web dotata di un pondus altissimo(=10.61), una brevilinea mesoendomorfa alta 5 piedi e 2 pollici e ½, che sintetizza il paradigma 9/8/10 della Falmer: estroverso, cortese, affabile, maestoso; il PASSION, il podice posto ad esemplificare il paradigma iconicoindifferente [8]di una normolinea mesomorfa alta 5 piedi e 4 pollici, altra modella web;
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lo STUART, di cui abbiamo riferito, che è il podice del paradigma iconico-emotivo, modello che sintetizza il paradigma indifferente e quello sentimentale, delizioso esemplare 9/2/5,vero assetto somatico “nervoso-sentimentale”, l’inquieta protensione introversa che evoca le qualità del “meraviglioso”, “tenero”, “sorprendente”, “sensibile”, “infinito”, “romantico”, “tollerante”, “insolente” [9]; il BETTYPAGE, il podice della culità naturale, quello dotato del noumeno speculare del fallo implosivi, che fu somatizzato negli anni cinquanta dalla pin-up cult model Betty Page, una normolinea mesomorfa alta 5’5” con 36” di Bust, 24” di Waist e 36” e ½ di Hips per un peso forma di 129 libbre: denominato anche “culo plutonico”, per via della Unheimlich con cui perturbava il paradigma sentimentale[10]. La specificità individuale e l’assolutezza anonima di qualcosa: la meridiana plutonica nel Marcuzzi La specificità individuale del podice, se dotato di quello che noi abbiamo “punctum doppio”, per via di quella opposizione di significato o di senso che sembra che faccia da “ombra” al significante, al sintagma, al carattere di superficie, va sempre cercata e che, se rinvenuta, non è detto che sia automaticamente ripetibile; la specificità individuale è un carattere talmente istantaneo che ha, appunto, la temporalità e il paradigma del Sentimentale, emotivo, non-attivo, secondario, intensione che appare sotto, momento irripetibile, magari non osservato, impatto sottaciuto, o non avvertito. Anche nelle foto più esibite, più guardate, più evidenti ed esplicite, quelle con l’ostensione totalmente aperta e priva di ogni ermeneutica, c’è l’istante , che è speculare all’impatto che origina il turbamento come senso ottuso ; c’è in questa evidenza sintagmatica quel “qualcosa” di Unheimlich che inquieta tanto e così poco percettibile in tutti gli altri momenti dell’osservazione, che, in quel dato momento,allora, colpisce,esplode, fuori-sintagma nell’ordinarietà, nella ripetitività, nella banalità dell’osservazione. C’è questo qualcosa, questo effetto Unheimlich, in una foto di un servizio, preparato da Fabrizio Ferri, per “GQ Italia”, nel luglio 2000 in Sardegna, in cui appare, nella sua ostensione totalmente aperta, una donna di schiena, che sembra sdraiata, oppure si può credere che sia in
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piedi, e in cui non c’è che una “treccia”, che si fa meridiano per come è deissi, sottesa, questa sì, indicatore(plutonico?)di una evidenza di un podice che, essendo troppo in primo piano, si è finito per non dargli senso, ma che, ora, all’improvviso, questa meridiana plutonica lo indica nella sua assolutezza anonima, l’incommensurabile senso ottuso che esprime una certa emozione, una passione,una inversione, la “treccia”, che è meridiana, ma che non è “plutonica”, segnala il punctum meridiano, ovvero indica da dove ha origine la meridiana, ovvero si introverte da qualche parte, e si introverse meridiano del podice, laddove non può entrare nel metalinguaggio dell’osservatore o del critico, perché questa meridiana plutonica è il metalinguaggio che intorbida e isterilisce, l’ elusione del senso è qui che si è fatta erotica, in questa impudenza del paradigma sentimentale che mantiene in permanente deplezione lo stato di eretismo della libido del visionatore, ma come può essere impudente il paradigma sentimentale se non c’è in scena il viso, l’identità della persona che ostende l’immagine posteriore? Come può essere il sentimento trattenuto e vago, come può farsi desiderio travolgente, irrefrenabile tentazione, voglia irreprimibile, se, appunto, non essendoci in scena la ragione del senso, la sua ovvietà, il viso, e quindi non avendo la profondità lieve, il sentimento lirico, la tenera emozione, la dolce fiducia del viso che ti guarda? Il sentimento trattenuto e vago si fa desiderio travolgente, eccitazione bassa, sentimento volgare e morboso nel nome che è posto, dato, all’immagine. Per quello che, con l’allusione, l’evocazione, la trasparenza, il visionatore coglie, avendola vista nel suo significato di individuo, l’impudenza della meridiana plutonica, così determinata nella sua essenzialità individuale e irripetibile nell’istantaneità del senso ottuso, ha un nome: Alessia Marcuzzi. Il nome proprio che daremo a questo podice plutonico illuminato dalla meridiana, e che personifica questa indescrivibile elusione del senso è Marcuzzi. Alessia Marcuzzi[11]. Se ne farà uno dei nostri sottotipi chiamandolo “il Marcuzzi”, “l’Alessia” o l’ “Alessiamarcuzzi”[12]. Che, l’avrete capito, non è rappresentabile né con “toni”, né con “touno”, né con “bernardin”, né
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con “bórtol”, né con “Thomao”, né con “Tiberio”, né con “Bardot”, “il Loren”, “il Cardinale”, “il Bettypage”, il “Laurence”, “il Glück”. L’appellativo Marcuzzi, il WHR, la meridiana stretta è lunga 1 piede? L’esemplare, l’appellativo, Marcuzzi, l’Alessiamarcuzzi, è nell’ordine del paradigma Sentimentale, altrimenti non avrebbe lasciato errare questo segreto inquietante, questa tranquilla, piena e tenera, ma non larga, stretta, toccante, come l’emozione dell’istante, meridiana, che è l’ heimlich di una longilinea mesomorfa a diffrazione Bust/Hips(c’è una differenza di 2 pollici tra Bust e Hips che è speculare alla differenza tra WHR(Waist Hips Ratio) e WBR(Waist Bust Ratio): il WBR sarebbe +15(38”-23”), se non +16(39”-23”) e il WHR un +12(se non +14), nel primo equivale a 0.63, nel secondo a 0.66, con un rapporto medio di o.64, che, difatti, in superficie copre, annulla il prodigioso senso ottuso della sua meridiana plutonica) [13]. Questo sintagma alto che il WBR , con il suo +15( o ò16), ostenta e mostra in alto, e quindi nell’ovvietà, nella frontalità, della scena, o nella sequenzialità del quotidiano, è , però, l’allusione, l’evocazione, di una misura, di un qualcosa di heimlich, che sta dietro, o sotto, come se l’esplicita deissi somatica contenesse una implicita deissi anatomica: dall’heimlich unheimlich, che è questo WBR +15(o +16), all’Unheimlich unheimlich, che è la meridiana plutonica, che, se la misurate, non può che essere 12 pollici, 30 centimetri e 48, 1 piede, misura canonica dell’Unheimlich di cui alla nostra Regola del Piede, che, anche quando non è data, non è visibile, come dato antropometrico, se c’è ha l’atopos del senso ottuso: il rapporto di 15” tra W e B di Alessia è una trappola antropometrica, difatti se il visionatore vede l’immanenza di questo rapporto frontale non può non pensare che ad una “meridiana ampia e larga”, in proporzione alla ratio +15” se non +16”, si ritrova, invece,la misura nascosta del piede,compatta e serrata, meridiana del podice, meridiana del piede.
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Il punctum doppio del Marcuzzi, carattere e figura retorica della meridiana L’affettività nascosta, da cui il visionatore è preso per la meridiana Marcuzzi, è spiegata innanzitutto dal paradigma Sentimentale: il punctum doppio è allora questo carattere sentimentale che c’è come segno evidente ma ottuso e che è , nello stesso tempo e allo stesso modo evidente e ottuso, contrapposto al suo doppio, che, nella caratterologia francese, ha il nome di Passionale, cioè il tipo Emotivo,Attivo,Secondario. E’ questo l’effetto immobile di Marcuzzi, nell’immagine da cui il punctum doppio è reso ottuso dalla meridiana plutonica:di “fantastica (che attiene al Sentimentale) concentrazione (che attiene al Passionale)”, “ostinata bontà”, “tenerezza potente”, “tenero contegno”, “dolcezza profonda”, “dolcezza riflessiva”, o di “sicurezza emozionante” se non di “inquieta tranquillità”, “pathos intangibile”, “pesante dolcezza”, “pondus sobrio”[14]. Se vogliamo trovare per il Marcuzzi altri elementi di comparazione, diremo che esprime, come il Glück, l’emozione recondita o un sentimento inaccessibile, una confidenza palpitante, una lirica,oscura, verticalità; come il Laurence, esprime una ubbidiente premura, un fremito paziente, una compiacente serenità; come il Seamstress, esprime la misura della quiete, la proposta interdetta, il proponimento silenzioso ma anche lo schema del brivido, la disciplina dello slancio, la vertigine osservata, il brivido regolato, l’impeto rispettato, la norma eccitata, lo schema del turbamento. L’effetto-seduzione del tipo Seamstress, che, lo abbiamo scritto, è un tipo sentimentale meccanizzato[15] , è molto vicino al tipo Marcuzzi anche perché, in questo caso, come nell’altro, lo sguardo del personaggio fotografato non c’è, perciò il senso ottuso è sempre nell’ordine di un paradigma in cui c’è la “disciplina dello slancio” o la “misura della quiete”; il meridiano plutonico o l’iperbole del podice, quando entrano in scena, eludono lo sguardo del personaggio, o almeno questo non è mai in relazione con l’obiettivo. Ma quel che è più rilevante è che la figura retorica patente è quella del polisindeto e della simmetria: nel “Seamstress”la simmetria dà l’iperbole del podice; nel “Marcuzzi” simmetria e polisindeto fanno,rendono, plutonico il meridiano del podice[16].
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Un particolare inquietante in questa convergenza di senso è che costituzionalmente, pur avendo età diverse, sia Seamstress che Marcuzzi sono delle longilinee dello stesso dolicotipobiondo, dotate della stessa “aria fredda” e un po’ annoiata, prototipo del personaggio femminile di Marguerite Duras, che è , di volta in volta, e a seconda dell’età, Valérie Andesmas, Lol V.Stein, Aurélia Steiner. PODICE Senso ottuso
SEAMSTRESS
MARCUZZI
Disciplina dello slancio
Misura,vertigine, verticalità della quiete
Sguardo del personaggio Figura retorica
Simmetria:
Effetto-seduzione del doppio
Iperbole del podice Culo del brivido
Polisindeto,Simmetria:
Meridiano del podice Culo della vertigine recondita Culo della verticalità silenziosa
[1] Bruno Migliorini,Dal nome proprio al nome comune,Casa editrice Olschki, Firenze-RomaGinevra 1927:pag.240. [2] Cfr. Ibidem:pag. 241. [3] Cfr. Ibidem:pag. 27. [4] Cfr. Ibidem:pag. 26. [5] Cfr. Ibidem:pag. 28. [6] Per l’arte fotografica erotica di Roy Stuart, si vedano i tre volumi editi da Taschen tra la fine del’ultimo secolo e l’inizio di questo: Jean-Claude Baboulin(a cura di), Roy Stuart,Vol.I,200 pp.;Dian Hanson(a cura di),Roy Stuart,Vol.II, 240 pp. ; Alison Castle(a cura di),Roy Stuart,Vol.III, 240 pp. [7] Il sentimentale meccanizzato e il sentimentale placido costituiscono le due categorie che Le Senne comprende nella famiglia dei SENTIMENTALI PARAAPATICI:”la loro vita trascorre nel regolare comportamento di meccanismi predisposti. Si può ancora sentire nella loro attività la presenza dell’emotività, sia dalla forza con la quale aderiscono al loro regime, sia dai turbamenti che ne accompagnano l’interruzione”: René Le Senne, Trattato di Caratterologia, trad.it. Sei, Torino 1960: pag.247. [8] Vedi: V.S.Gaudio, Il paradigma indifferente nella denotazione erotica, © 2003: contiene anche la tipologia Falmer e riferimenti a tutti i modelli fin qui nominati a partire da quello della Cassini. [9] Vedi: Il podice iconico emotivo nell’arte fotografica erotica di Roy Stuart, appendice in : V.S.Gaudio, Il paradigma indifferente, op.cit. [10] Vedi: V.S.Gaudio, Body Page,L’assolutezza anonima del paradigma sentimentale, © 2003. [11] “Le singole traslazioni da nomi propri ad appellativi non sono in fondo che nuovi appellativi creati secondo un’allusione a un determinato personaggio”: Bruno Migliorini, op.cit. : pag.86. [12] Se si pensa a quanto afferma Migliorini, ovvero che “Il tipo solito della metafora è quello che si è visto negli esempi or ora citati: un Dante da Castiglione, un Girardengo: il parlante fa cioè, di un personaggio noto al gruppo a cui si rivolge, un tipo, mettendone implicitamente in rilievo quelle qualità che più lo hanno colpito( e che saran parse rilevanti anche al gruppo)”[op.cit.:pag.87], un Marcuzzi, un Alessiamarcuzzi formalmente attua la generalizzazione metaforica nel modo più semplice, dando al significato metaforico tutti gli elementi che noi abbiamo trascelto dal paradigma sentimentale(vedi paragrafo finale) e che sono quelli che, in circostanze di paragone, costituirebbero il termine di identificazione della comparazione esplicita, es. una meridiana plutonica così stretta e verticale come un Marcuzzi. [13] Cfr. , per il WHR e anche il WBR: Nigel Barber, Secular changes in standards of bodily attractiveness in American women, “The Journal of Psychology”, vol. 132, 1-1-1998; N.L. Etcoff, Survival of the prettiest: the science of beauty, Doubleday, New York 1999; Jeremy
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Freese, Seven tenths incorrect: heterogeneity and change in the waist-to-hip ratios of Playboy centrefold models and Miss America pageant winners. “Journal of Sex Research”, May 2002; R.Mestel, What’s so great about 36-24-36 ?, “Healt” n.13, 1999; cfr. anche i nostri: Il Waist Hip Ratio e le long pied de la Page, La Pin-up cult model 1950’s e le pin-up web 2000’s, La Regola del Piede e il culo plutonico, La sorpresa del vasto Heimlich, tutti in: V.S.Gaudio, Body Page,© cit. Si hanno i seguenti dati antropometrici sulla Marcuzzi venticinquenne-ventinovenne, a seconda della fonte: A)Bust 39”, Waist 23”, Hips 37” per un’altezza di 5 piedi e 11 pollici; B)Bust 38”, Waist 23”, Hips 35”½ per un’altezza di 5 piedi e 10 pollici. Nel caso di A), il WHR(il Waist Hips Ratio) è pari a 0.63, mentre il WBR(il Waist Bust Ratio) sarebbe pari a 0.59. Nel caso di B), il WHR è pari a 0.66, mentre il WBR sarebbe 0.61. Con le misure B), il WHR contiene la Regola del 12, ovvero i 12” di differenza tra Hips e Waist, che le darebbe il canonico WHR 0.66, come quello della citata modella web Seamstress e della pin-up cult model Betty Page. [14] Cfr. V.S.Gaudio, Il paradigma sentimentale nell’ostensione erotica © 2003. [15] Vedi nota 7. Leggi anche: la-cucitrice-della-vertigine. [16] D’altronde il Marcuzzi non può non connotare, di questo podice, il punctum che allude anche al simbolismo fonetico, se si iene conto che ha in sé la radice marque, marca e quindi il nome proprio Marco e il furbesco marcone, che è il “mezzano” che, a sua volta, non solo per simbolismo fonetico ma anche come forma del contenuto, indica, appunto, ciò che si dirama da lì in mezzo, la meridiana. Ed è questo, sempre questo gnomone, che trasforma Diana in demone meridiano(cfr. Migliorini, op.cit.:pag.313):il Marcuzzi è la marca di questo demone meridiano colto nella Sardegna assolata per il “GQ” di luglio. Testata che è forma eufemistica del Gran Q o del Q che dà Godimento, Gaudio. Il Q, va da sé, è naturalmente il Q, il culo, come lo intende l’Aretino in Talanta.
[Il Marcuzzi è stato pubblicato nel numero 76 di “Zeta”, rivista internazionale di poesia e ricerche, Campanotto editore, Udine marzo 2006]
▬ post dell’1 agosto 2012
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58 di
v.s.gaudio
DENTRO LA BOLLA DELLA "I" DEL PUERCO DI GIORDANO BRUNO CON L'OGGETTO "a" DI LACAN AL MERIDIANO E UN POETA PIU' ITIFALLICO CHE PATAGONICO Torino, se ci sei dentro, ci stai bene anche se sei costretto a starci un po’ come a Meridiana per Cybersix. Se, poi, te ne allontani, è difficile che ci ritorni. Non fosse stato per l’eroina di Meridiana, che, per l’intervista e i due test di Vuesse Gaudio per “La Stampa”, il poeta non sarebbe ora al “Baratti&Milano”[dove, non è solo leggenda urbana, tese il dardo per il podice di Geena Davis post “Thelma&Louise” con quegli epici jeans lì ] in piazza Castello seduto di fronte a Cybersix e a Data, la pantera.
VS: Ci sono due tipi di bona, a giudizio di un poeta semiologo: tu sei la “bona polisemica” o la “bona primaria”? CY: Ci sono due tipi di intervistatore: tu sei quello che ci fa? O quello che ci prova? VS: Costituzionalmente sei una longilinea mesomorfa, con un indice costituzionale superiore a 52 e un indice del pondus vicino a 16-17(che è il grado medio tra 20 e 12 che è la forchetta decrescente del valore ALTO). Pensi che questo stato morfologico tuo sia imputabile alla tua formula genetica?
CY: Von Reichter probabilmente ritiene di sì. Anzi, no: avendo sbagliato le dosi… VS: Ami davvero Lucas Amato? Secondo te, che relazione amorosa sarebbe, erotica, ludica, solidaristica, maniacale, pragmatica, amor puro? CY: Se ti dico amor puro ci credi? VS: Lo ami o hai bisogno di altri uomini, non solo per la “sostanza”? E, poi, in sostanza,la “sostanza” è il fluido che alimenta le creature di Von Reichter, quindi quegli uomini del tuo ceppo te li succhi solamente? CY: In sostanza, tu ci fai? O ci provi? E lo fai con tutte?
VS:Sai, anni fa, abitavo qui a pochi CY: Ci vai da solo o bisogna passi in una mansarda come la tua a mandartici? Meridiana…speravo sempre di vederti VS:Druuna, a proposito di pantere e di apparire alla finestra…sul tetto… cavalcatura di Durga, è una normolinea CY:Un poeta visionario…o prendevi mesoendomorfa con una forma delle sostanze? complessa di manifestazioni pulsionali, VS:Sei mai stata al mercato della un tipo che nella Schicksalsaanalyse di Crocetta qui a Torino? Leopold Szondi combinerebbe erotismo CY:A farmi toccare il culo da un poeta sadico, tendenza all’esibizionismo e psichedelico che ha chiesto alla mia bisogno di conquistare, insomma amica Aurélia Steiner d’Ushuaia di avrebbe una pulsione di sorpresa intervistarmi? elevatissima…in poche parole, si fa VS:E dove sei stata allora? sodomizzare con relativa facilità… CY:Indovina un po’, poetino compreso CY:Si vede che le va bene così. tra l’asino di Giordano Bruno e il porco VS:E tu? di Circe del medesimo!... CY:E io che cosa? VS:A proposito dell’asino e del porco, VS:Vorresti essere un po’ come che ci fai qui a Torino con la pantera Druuna(0)? Data che è maschio? Sai che ti si CY:E tu vorresti sodomizzarla un bel aspettava ad Ushuaia, è lì in Patagonia po’? che saresti stata davvero patagonica, VS:Messa Meridiana dentro una bolla no? un po’ sadiana va là che ti piacerebbe CY:Sai quanto mangia una pantera? farti un po’… VS:Beh, lì ad Ushuaia c’era il cuoco CY:Messa Meridiana dentro una bolla degli U2 che faceva aragoste alla sadiana mi piacerebbe inculare tutti i sibarita… poeti…impertinenti come te e anche CY:E c’era pure un poetino sibarita che quelli morigerati che tanto ,anche se a se fa lo stronzo qui a Torino figuriamoci parole fate i fallici , siete casti lì nell’emisfero australe come avrebbe integrali, ce l’avete tutti moscio…altro fatto girare le palle… che meridiano e “rizza cazzi”, come VS: Ma perché sempre ‘sta pantera chiami tu Druuna, sei come un artículo appresso, non basti tu? de fundo, un editorial, ti definisci de CY:Il leone, e talvolta la tigre, il primera necesidad, sei invece giaguaro, la pantera, svolgono nelle indefinito, una maza, una cachiporra civiltà tropicali ed equatoriali quasi la che vanta el palo e sta attaccato al stessa funzione del lupo. La pantera, palo del padrone, un editorial, questo come il leone, è come se fosse la sei. cavalcatura di Durga e mangia la VS:Lo hai constatato di persona? luna… CY:No. Me lo ha detto la tua amica VS:L’oscura luce, il sole nero… Aurélia Steiner d’Ushuaia… CY: Durand, poetino…l’hai mai letto? VS:Che cosa? VS: Mai. Chi è? CY:Che anche a emisfero capovolto stava sempre a sud. Aurélia me dijo: “Son siempre las seis y media. Será poético…pero a las doce, a mediodía almorzamos de más”(1) .
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VS:Tu saresti un’eroina cibernetica?
CY: E tu saresti un poeta patagonico? VS:Senti, Cyber.Allora, i test che ti ho fatto: in uno, quello sul tipo di sportiva che saresti, hai fatto 40 e saresti aerobica:a vederti, nel XXI secolo, assomigli molto alla triatleta Julie Dibens[ pingapa 2012/02/julie dibens ] anche se sei più mesomorfa. Però, se ti vai a leggere il ritratto che dava per “La Stampa” nei primi anni Novanta ti si incolla addosso come il bird-dressing che indossi. Nell’altro test, sulla bellezza, hai fatto 41 e senti un po’ che scrivevo: “(…)ti senti colma della bellezza-dolore di Ariane, la top model che interpretò ‘L’anno del dragone’ con Mickey Rourke, ma che è così ‘bellezza reale’ nel vestire la comoda sensualità dello stilista americano Geoffrey Beene”. In più, la forchetta estenderebbe il punteggio a 42-43, allora vagheggeresti essere un po’ come Ashley Richardson Montana, la bionda
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top-model che “illumina e dà movimento alle collezioni di Donna Karan”… CY:Aurélia Steiner mi aveva detto che avevi fatto questi test per “La Stampa” e volevi testarmi. Okay. E adesso che sono un po’ tra la bellezza-dolore di Ariane, che fece ‘L’anno del dragone’ con Michelino Rocca, e Ashley o Christie Brinkley, “bellezza solida e compatta come la concretezza americana”, che facciamo, la cibernetica del dominio cinese o del dominio americano? VS:Ma no. Semplicemente: se ti rifacessero, vorresti essere fatta così? CY:E tu come mi rifaresti, come sono adesso o come vorrei essere secondo i tuoi test? VS:Io ti rifarei come vuoi tu, non fosse altro per la pantera…soltanto.. la lasciamo sul tetto fuori dalla finestra, la pantera?
… CY:Sarà dunque Cybertrescuatro o Cybertreintaycuatro? O Cybragalla? VS:In caso d’emergenza estrema, mettiamo che l’unico da cui puoi VS:Aspetta Cyber, non chiudere la finestra. A proposito della porca di Circe, lo sai che la lettera dell’assolutezza è la I [ ilpost.it/francescodisa/2011/04/29/ilritorno-di-i ]? Fosse stata una porca cibernetica, come te, che cosa potrebbe significare questa I tenuta fuori dal paradigma alfabetico del porco? CY:L’Irredentismo di Baudrillard…ma te, Vuesse, non sai proprio un cazzo: poetino Idiota, Insignificante, Inutile o Insipiente, non era tale la casata che regnò sulla terra in cui sei nato e non è tale quella setta che, come in Meridiana, fa ombra su tutto e dispone geneticamente e ciberneticamente con il dispositivo di sessualità e il dispositivo di alleanza di tutto il patrimonio umano? VS:Tu sai Cybersix che cosa si intende in argot per “Calibistrix”?Pensi che, ciberneticamente parlando, il tuo “Cyberstrix” strizzi di più o almeno stringa digitalmente? CY:Sei proprio un bobo, Vuesse, tonto y estúpido! Non dipende dal Calibistrix o dal Cyberstrix, dipende dall’arnese, el armamento, el trasto, che shummula!... VS:Oh,Cyber…non mi dirai che sei dentro anche le delizie dello Shummulo? CY:Due sono i tipi di poeti: quelli che vivono nel Pantano del Delta del Saraceno e gli altri. Tu, nel Pantano, poverino, ormai ci sei dentro fino agli occhi.
VS:A proposito del tuo abbigliamento, la tuta o la calzamaglia, il tuo dressing operativo, lo sai che c’era una volta un villaggio, non so dove ma di sicuro in Culavria, chiamato Bragalla, dove, si dice che si imbragallasse, con o senza braghe ma quasi sempre, nella 34 del Foutre du Clergé, l’Hercule? CY:E allora? VS:Non pensi che , senza nessuna finalizzazione cosciente, il tuo oggetto a possa un giorno portarsi a Bragalla e… colà colmare in modo definitivo e assoluto la tua libido? CY:Vuesse, non pensi che, senza una finalizzazione cosciente, che il tuo oggetto a , anche quello che hai a 2.0, possa essere un giorno trasportato nella 30 del Foutre du Clergé, la Carriola,la Brouette, sul punto più alto di Bragalla e una volta in cima si possa colmare in modo definitivo e assoluto la tua libido rispedendoti nel Pantano giù lungo la scarpata e le valli a calci in culo? VS:In ogni modo, la 34 , una volta in Bragalla, realizzandola, annulleresti l’artificio dei risultati dei due test che ti ho fatto: il 40, quando si vede che sei aerobica e quindi anche a letto sei per la pratica prolungata e aerobica dello Shummulo, in cui avresti potuto fare l’Attrazione non di Milano, come avviene nel citato Foutre, ma l’Attrazione di Meridiana; il 41, che altro non è che un vorticoso e vertiginoso 69 da fare anche in piedi e quindi sarebbe anche una possibile variante della 34, in cui, bella come Ariane e Ashley messe insieme, ibrida longilinea mesomorfa, sorta di uccello notturno con due teste una sopra e una sotto , cammini o voli per Meridiana ingoiando sostanza.
CY: Sarà dunque Cybertrescuatro o Cybertreintaycuatro ? O Cybragalla? VS: In caso d’emergenza estrema, mettiamo che l’unico da cui puoi ricevere la sostanza sia Joseph, ma tu a succhiarlo proprio no, che schifo, e allora…che fai? Bevi alla tedesca? CY:Ma dài, Vuesse!...No, gli do un VS:La chose, Cyberstrix…oh, calcio in culo al nano e vengo a pardon.Calibistrix, oh, dài,, scusa, succhiare la sostanza da te dopo averti Cybersix…ma tu hai letto L’amante di cybernetizzato nella stessa serie creata Lady Chatterley di D.H.Lawrence, visto da Von Reichter. Contento? che, come Adrian, insegni letteratura? VS:Uaoo!Ascolta, Cyber: secondo te il CY:Vuesse, L’amante di Lady nano ce l’ha enorme il coso?Più di Chatterley l’hanno letto pure le quello di Lucas Amato? tuffatrici…non solo quelle italiane. CY:Ascolta, Vuesse: secondo te, un VS:Tipo Emilie Heymans? poeta quando intervista, il coso ce l’ha in bocca o in testa? La cibernetica Heymans ha letto L'amante di Lady Chatterley?
CY:Ti piace la Heymans, dì la verità!? VS:E' cibernetica come te. Un po’. E non è lei che ha letto L’amante di Lady Chatterley. CY:Avrà letto la tua teoria del Mullar…o il tuo poemetto con Beckett sullo Shummulo..o l’altro, quella Stimmung su Plousia…come si chiama? Me…Mekuon.
VS:Pensi che capirebbe Shummulon vs Shumullar, la Stimmung-Shqip con Samuel Beckett? CY:No. VS:Perché non è irlandese? CY:No. Perché non è albanese. VS:E tu l’hai capita? CY:La vuoi sapere una cosa? I poeti mi stanno tutti sul cyber. VS:Vuoi dire sul Cyberstrix?... CY:Seee… VS:Toglimi un’ultima curiosità. A Meridiana che lingua parlate?
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CY:Quella che parlavi tu e Aurélia Steiner d’Ushuaia. VS: Davvero? Quindi tedesco roba da passaggio al meridiano del tuo frammisto ad italiano, tanto che oggetto a, oppure, quando una è Aurélia, quando eravamo in italiano, così…niente, non ti va volare lassù in diceva di essere Aurelia Petrone…e io alto al meridiano…niente, un cazzo, andavo in tilt a “cosare” con il nome e come dite voi, e una cola, come si cognome di mia nonna! dice noi, anche cojones, ma non è il CY: Sai una cosa, intervistatore del col, caso, tu sei singolare, Vuesse, cojón, della picha, del carajo per non dire de por lo tanto. mierda? VS: Ah…Però ti assomiglia di più la Mi piacerebbe essere interpretata al Carolina argentina, non ricordo il cinema da Milla Jovovich(2) …che non cognome(3) , che ti ha interpretato in è una bona polisemica, è più l’altra, la tv, anche lei è una bella panterona, bona primaria anche se ha del non trovi? ▬ polisemico, ti fa subito verticalizzare, Cyber si alza, la pantera Data pure e mi dà la mano, l’intervistata, ruggisce la bestia. Cyber mi tocca la guancia sinistra e mi dà un bacio sulla destra: “Alla prossima, poeta, sempre che non sei sprofondato del tutto nel Pantano, laggiù in Culabria…ma puoi sempre pégarte non con cola ma a la cola …”(4) E si allontana con quel suo passo di bolina stretta ma allascata che mi ricorda il novembre di via Micca di Sandra Alexis del Circo Orfei. Haría cola hacia aquélla cola …(5)
Cybersix, le gambe: da "Cybersix"n.24: Carlos Trillo, Carlo Meglia,"Un erede per von Reichter", Eura Editoriale, novembre 1995.
Torino resta così: oggi c’era il sole
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bella cosa ieri era piovuto a catinelle e se a volte mi piace la pioggia il sole mi piace sempre siamo arrivati dalla germania ma siamo nella parte d’italia che più somiglia alla germania discreta, ordinata non mi fraintendete SONO in italia! Come l’ha trovata a luglio Joan as Police Woman: leggi torino la liquirizia e il nero di seppia
[0] Il poeta non a caso tira dentro Druuna: è una numero 6 come Cybersix e come Valentina di Crepax: anzi, sembra che, usando l'Alfabeto Numerologico dei Rosa Croce che è alla base dell'astrologia onomantica, il numero-tarocco delle 6 sia il 15, che è , tra gli arcani maggiori, la carta del Diavolo, il Becco di Mendes o il Bafometto del Tempio, che, in corrispondenza con Plutone e il numero 60, la lettera Samech, è l'arcano della libido assoluta tesa tra bisogno di aderire e bisogno di conquistare: cfr. V.S.Gaudio, Tipologia di Druuna, in "Lunarionuovo" n.12, Catania novembre 2005: in particolare la nota 3. [1] “Son sempre le sei e mezza. Sarà poetico ma alle dodici, a mezzogiorno, mangiamo di più”. [2] L’Alice di “Resident Evil” diretto dal marito Paul W.S.[qualcosa sottentra, Cyberstrix…è maritata la Milla con uno che si chiama W.S…]Anderson. [3] E’ Carolina Peleritti che, per via della pantera e della cavalcatura di Durga che mangia la luna, essendo nata a luglio, quantunque al sud dell’emisfero, è dentro il paradigma dell’archetipo genetico di Cybersix. [4] Più o meno, Cyber dice: “Puoi sempre attaccarti non con la colla ma al cazzo, alla coda”. [5] Poetico doppiosenso del poeta anche in spagnolo:”Farei la coda(o il pene) per quella coda…”.
Cybersix alias Carolina Peleritti?
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Carolina Peleritti alias Cybersix
Milla Jovovich alias Alice
Il Test "Ma se ti piaci la più bella sei tu" di Vuesse Gaudio, "La Stampa" n.329 del 17.09.91 dovresti poterlo visualizzare qui: archiviolastampa.it/1991 : in questo, Cybersix ha fatto 41, con la sequenza 5, 0, 0, 5, 5, 5, 2, 5, 5, 2, 5, 2. Alcuni personaggi in alcune domande sono stati cambiati, commutati con altri più consoni al mondo di Cybersix. Il Test ""Che sportivo sei?" di Vuesse Gaudio, "La Stampa" n. 327 del 3.09.91 dovresti poterlo visualizzare qui: archiviolastampa.it/1991sportivo : in questo, Cybersix ha fatto 40, con la sequenza 2, 4, 4, 2, 4, 2, 4, 0, 8, 8, 2, 0. Naturalmente, i personaggi della domanda numero 8 sono stati commutati con alcuni relativi al mondo di Meridiana o della Correaltà Patagonica.
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Il porcus circaeus: cfr. nel testo il link: "il ritorno di I"
Da comicsando riportiamo l'esatta: ANTROPOMETRIA DI CYBERSIX di V.S. Gaudio CYBERSIX (di Trillo e Meglia), sostanzialmente, è una longilinea mesomorfa con delle gambe stupende, alta tra 170 e 172 cm dovrebbe pesare tra 60 e 62 kg, seno da 89 e fianchi da 91. L’indice del Pondus 170 – (91+60=)151= 19 alto; 172-(91+62=)153=19 alto; 170-(91+62=)153=17 più alto. L’Indice Costituzionale: 91(00): 172= 52.90; se l’IC 91(00):170=53.52, sarebbe più normolinea mesomorfa che longilinea. Il viso è ovale allungato, espressione di una forte opposizione, dovuta all’identità negativa, tra Primarietà e Secondarietà : PS; e anche tra Emotività e non-Emotività: EnE e Attività vs non-Attività: AnA, in una costellazione complessa che fa gambe atletiche e solide e di notevole impatto per movimento e proporzione. L’allure è da vento in poppa a fil di ruota se al trotto (un po’ come quello della ex sciatrice Maria Walliser); di bolina se al galoppo o al passo. ▬ post del 7 agosto 2012
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v.s.gaudio
Quand che parlèva e’ parlèva ad scatt: è vèrra? O l’è tótt buséi? Divagazione ziffiana sulla poesia di Tonino Guerra
Tullio De Mauro: “Ziff, palesemente, non ha letto Gramsci” E’ vero? V.S.Gaudio: “Guerra, probabilmente, non ha letto Ziff”. E’ vero? Tonino Guerra: “Gaudio, evidentemente, non legge “Il Resto del Carlino”. E’ vèrra?
1. Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira a fè la vègia tra i paier; i méur i è vécc al crépi al vén d’in zò com’è di fólmin. E’ ciód dla méridièna l’è caschè.[1] Così diceva Tonino Guerra. E’ vero?
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Voglio raccontarvi un’altra storia, che ve la vorrebbe ancora raccontare Paul Ziff, è quella del monaco che domandò a Fuketsu: “Senza parlare, senza silenzio, come puoi esprimere la verità?” Fuketsu, ricordate?, osservò: “Ricordo la primavera nella Cina del sud. Gli uccelli cantano tra molti fiori”. Il commento del maestro Zen Mumon su questo koan è illuminante: “Fuketsu aveva spesso delle illuminazioni Zen. Ogni volta che ne aveva la possibilità, le esprimeva. Ma questa volta non riuscì a farlo e si limitò a citare un’antica poesia cinese. Non preoccupatevi dello Zen di Fuketsu se volete esprimere la verità, fate a meno delle vostre parole, fate a meno del vostro silenzio e parlate del vostro Zen”[2]. 2. E a proposito di Zen e di silenzio questa ve la racconto io: I pullë oncantënë cchiù A sera ascìse asùp’umùnnë. Jè vacãnt’a vìrtulë i’cùpàssëdë.[3] Così diceva V.S.Gaudio; o la nonna di V.S.Gaudio? Gli uccelli non cantano più, la sera è discesa sul mondo, la bisaccia del viandante è vuota. E’ un haiku di mia nonna. E’ un’affermazione vera? “Fare un’affermazione è compiere un certo atto del parlare. Così, noi pronunciamo una certa espressione nel modo appropriato e nelle circostanze adatte. Recitare una poesia e fare un’affermazione non sono la stessa cosa”. E’ vera l’affermazione:” I pullë oncantënë cchiù , a sera ascìse asùp’umùnnë. Jè vacãnt’a vìrtulë i’cùpàssëdë ”? E’ vera l’affermazione: “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira”? Guerra diceva : “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè”…, ma non faceva un’affermazione: scriveva una poesia. O l’ha trascritta Roberto Roversi. “Andé a di acsé mi bu ch’i vaga véa” può essere un ordine. Ora, io non vi ho dato un ordine: non ho l’autorità per farlo; vi ho dato l’esempio di un ordine. L’ordine “ Andé a di acsé mi bu ch’i vaga véa” sarebbe un ordine sciocco: ma non ne segue che io abbia fatto qui qualcosa di sciocco. “Dare l’esempio di un ordine e scrivere una poesia non sono cose molto simili; tuttavia, hanno questo in comune: dare l’esempio di un ordine non è dare un ordine, e scrivere una poesia non è fare un’affermazione”. Anche perché rimane il dubbio su chi l’ordine l’abbia dato per davvero, chi lo ha detto o chi lo ha trascritto? 3. Ci fa preoccupare di più la difficile parola affermazione? O è la parola poesia che ci preoccupa? Se io dico: “E’ ciód dla méridièna l’è caschè”, faccio un’affermazione? O scrivo una poesia? O se dico che ne ho abbastanza delle stravaganze dei poeti dialettali, che uno dice e l’altro trascrive, faccio un’affermazione? E’ Roversi che fa l’affermazione? Roversi trascrive che “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè…”: è vero quello che trascrive? Le parole “Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira a fè la vègia tra i paier” si trovano nella poesia “La féin de’ mond” di Tonino Guerra: ciò non significa che Tonino Guerra abbia detto che al ródi mi carétt a’l s’è farmè. Io dico che non è vero che non vale la pena leggere Baldini, e ora è vero che ho detto che non vale la pena leggere Baldini, ma non è vero che abbia detto non vale la pena leggere Baldini: ho detto invece il contrario. Ma chi l’ha scritto?
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La copertina dell'edizione Maggioli del 1993 di i bu
4. Che cosa dice Guerra? Andé a di acsé mi bu ch’i vaga véa che quèl chi à fat i à fatt, che adèss u s’èra préima se tratour.[4] Dice davvero Guerra che i buoi se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello dopo una fatica che hanno fatto per mille anni? E’ lui che lo dice? E’ importante sapere chi stia parlando? O importa solo se qualcuno nella poesia abbia detto o no che i buoi dopo mille anni di fatica se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello: e ci dobbiamo commuovere? E l’ordine di andare a dire ai buoi che l’è finita chi lo dà? “Il senso di ciò che si dice dipende da chi lo dice e in quali circostanze e perché; questa è generalmente la norma; perché quindi non dovrebbe valere in poesia?”[5] 5. Perché Tonino Guerra dice che “E’pianz e’ cór ma tótt, ènca mu mè, avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann e adèss i à d’andè véa a tèsta basa dri ma la córda lònga de’ mazèll”[6] ? E perché lo dice in dialetto? Ci sono dei buoi che hanno lavorato mille anni e che adesso basta è finita, c’è il trattore si fa prima. E’ giusto allora che i buoi se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello? C’è una domanda: Perché dovrei andarglielo a dire? C’è n’è un’altra, di domanda: Perché dovrei commuovermi pure a pensare alla fatica che hanno fatto per mille anni? Si ipotizza dunque che bisogna dire ai buoi che è finita. Ed è in risposta e in opposizione a questa ipotesi che si dice che “E’pianz e’ cór ma tótt, ènca mu mè avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann…”. Se dico semplicemente “Ditelo ai buoi che è finita” può darsi che io stia parlando del fatto che ora abbiamo il trattore e abbiamo chiuso con i buoi. Insomma, è finita, non vi è nessun altro significato implicito. Ma se mi si esorta a commuovermi, allora la cosa è diversa: in questo caso, infatti, è
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implicito che al tempo che risparmio corrisponde la temporalità che mi viene sottratta, la corda lunga del macello, lunga mille anni. 6. Si tratta di un gioco di parole? Senza dubbio è difficile forzare le parole di Tonino Guerra per sostenere che nella féin de’ mond si dica proprio questo o quello. Anche perché tra realismo e fantastico, quel popò di populismo crepuscolare tipicamente romagnolo, come dice Mengaldo, che s’aggira nella cantica in versi di Guerra, come uno dei tanti “strati” che si aggirano nella pianura tra Sant’Arcangelo e Rimini, illumina in modo fantastico quel Dasein che sembrava che, contestualmente, avesse smarrito il senso. Nonostante ciò, prima o poi si esaurisce l’analisi e si può definire che cosa vi sia detto, per poi domandare: è vero? E’ vero che cosa? E grazie all’azzeramento espressivo e affettivo de I Bu, possiamo semplificare le cose supponendo che tutto I Bu consista soltanto dei 10 versi de “La féin de’ mond” e dei 7 versi di “Sivio e’ matt”: Tonino Guerra avrebbe anche potuto scrivere, considerando anche la poesia “I bu”, un componimento di questi soli 24 versi. E il nostra problema è “verità e poesia dialettale”, non questo o quel componimento pienamente poetico. Possiamo dunque supporre che Guerra abbia scritto solo i 17(o 24) versi citati: essi costituiscono l’intera opera in versi. Dovrebbe allora risultare meno difficile vedere che cosa vi è detto. 7. Guerra si comporta sempre, tuttavia, in modo ambiguo. Non solo perché da un lato “si pone in strettissima relazione col territorio romagnolo e con la sua popolazione rivisitati soprattutto nei loro tratti ancestrali di civiltà contadina” e dall’altro la matrice realistica ha idilli crepuscolari e fantastici. Una sorta di forma soggettiva , come la intende Whitehead, la cui carica edenica connessa al Dasein, ha uno spirito quasi gaudioso che fa implodere la materia lessicale e l’anima, l’essenza meditativa, dello Zen. Dov’è dunque la risposta? O meglio: qual è la risposta? Dirlo ai buoi, mandarglielo a dire da Sivio e’ matt che quand che parlèva e’ parlèva ad scatt, tott un brandèll, col se brètt cun la visira arvólta indrì[7]? Le ruote dei carri si sono fermate, alla sera le pipe di cotto si sono spente durante la veglia nei pagliai; i muri sono vecchi, le crepe scendono, come fulmini. Il chiodo della meridiana è cascato. Ma chi dice “Il chiodo della meridiana è cascato”? Tonino Guerra? Sivio e’ matt? Roberto Roversi? La nonna di V.S. Gaudio , quella dello Zen o quella di Sant’Arcangelo? Che aveva spesso delle illuminazioni Zen, come il maestro Mumon di cui narra Ziff, e ogni volta che ne aveva la possibilità, le esprimeva. E quella volta che rise e disse al Guardiano dell’Acqua: “Chi usa macchine è macchina nelle sue azioni: chi è macchina nei suoi atti acquista cuore di macchina. E chi ha cuore di macchina ha perduto la semplicità. Chi ha perduto la semplicità ha acquisito l’inquietudine. Nello spirito inquieto non ha dimora il Tao. Non è che io non conosca il vostro congegno; mi vergognerei di farne uso”[8]. Si dice che mia nonna per questo scrisse questa poesia, memore del Tanka 55(quello di Dainagon Kintō, della Centuria Poetica): Purë-ca u l’aqquãrë damò cajè-cchjùsë e senzag’acquë, sent’u rumòrë du laccuarìll e u rumòrë chjùggrùs da cascàtë. U nomë suj vadaffinìsc ‘ndà vignë mij, allaghedë u campë, dàcqquëdë l’anima mij.[9] E’ vero quello che dice la nonna di V.S.Gaudio? 8. Leggo un haiku a un bambino e dico: L’aria l’è roba lizira
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cla sta datonda la tu testa e la dvénta piò cèra quand che t’roid.[10] Il bambino mi chiede: “Davvero l’aria gira intorno alla mia testa?” e io dico: “Sì”. Oppure: “No, è soltanto un haiku”. Se io dico a una donna: “Cu Lijìsë sittàta asùpa u banc A varca du marìtë ormeggëdë avvàrv’igàtt On’volëdë na musk asùp’a’banchìna”[11]. E lei mi dice: “Non gli faceva senso la barba di gatto?”, allora è stupida. Oppure, può darsi che lo stupido sia io e che lei sia equilibrata come la barca. Esistono vari modi di guardare le cose, e uno è quello di chiedere: “E’ vero?”mentre si guarda, anche Lijìsë sittàta asùpa u banc. Se guardo una barca e mi chiedo: “E’ vero che la donna seduta sia Luisa?” guardo la barca in un dato modo. Supponiamo che io prendo la barca per andare a pesca, cioè gettare e tirare le reti, e poi mi chieda: “E’ vero il pontile dove ormeggerò a barba di gatto?”, che devo rispondere? 9. Confrontiamo: Mariuccia, prim tettin de la mia vita, malius surris tra i lìster di linghér, tì d’ében, ögg de fuìn, tusetta ‘ntiga, ch’aj sfrang di verd recàmm la tener essa là, sot un taul, com’i gatt brasciâ, tra i scarp di mamm e vegg che sigulava, là, cum’un fiur azerb che me basàss[12] con: Sivio e’ matt Quand che parlèva, e’ parlèva ad scatt, tott un brandèll da in chèva fina i pi, se brètt cun la visira arvólta indri, che l’era avstéid de chéursa Sivio e’ matt. Qui, al di fuori del loro contesto, come si leggono? “Intendo forse dire se li leggiamo con sentimento, a voce alta o sottovoce? No, non è questo; il punto è: cosa fate quando li leggete? Guardo la pagina stampata: leggo da sinistra a destra. Ecco che cosa faccio. Ma non è tutto quello che io, o chiunque altro, facciamo quando leggiamo qualcosa. Chiunque, infatti, può per lo meno rivolgere l’attenzione a quanto sta leggendo o no, può farlo in modi diversi, o può rivolgersi a cose diverse”[13]. Leggendo i versi di Franco Loi, vedete che il poeta sta facendo una novella in versi, una romanza che è una romanza-metafora che, con almeno tre funzioni di Isenberg, specchia la situazione iniziale che è sempre la sua biografia; così, pur non avendo come riferimento la macrostruttura narrativa di Isenberg, combina il
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paradigma con l’attante, che è sempre l’io di chi narra, rammenta: l’epica della memoria tra il grottesco e il visionario dell’affettività ispida e difficile del suo Dasein. Leggendo i versi di Guerra, vedete che c’è una correlazione tra la struttura della poesia e quella del racconto; la macrostruttura narrativa contiene sempre almeno tre delle cinque funzioni di Isenberg e la funzione discorsiva ha una concatenazione monotematica che smeriglia la ridondanza semantica; e vedete, infine, che la circolarità semica è speculare all’interazione tra l’io che narra e l’altro di cui si narra[14]. La domanda di Ziff “Come si legge una poesia?”non ha, è vero, una sola risposta. Non c’è un solo modo di leggere una poesia. Figuriamoci se si tratta di una poesia dialettale. Che parla almeno tre linguaggi. Chiunque legga una poesia in dialetto romagnolo di Sant’Arcangelo come se fosse una poesia in lingua nazionale è tanto sciocco quanto chi tracanna Sangiovese di Romagna e sorseggia Sprite. Guerra( è asciutto, piacevolmente salato, talvolta un po’ tannico; il suo verso azzerato e assoluto, amarognolo, dall’ampiezza secca) non è Franco Loi, che fa la romanza-metafora che si fa specchio della situazione iniziale che è sempre la sua biografia, ma non scoprirete neppure quello che merita di essere scoperto se leggerete I Bu come se fosse “Il Resto del Carlino”. 10. E’ inutile dire che normalmente non ci si domanda “E’ vero?” quando si legge una poesia, mentre lo si domanda quando si legge un articolo di giornale. Ma quando si legge una poesia di Tonino Guerra ci si può domandare “E’ vero?”, come ce lo si domanda leggendo un articolo sul “C’akå’r”, che per antonomasia è “Il Resto del Carlino”: lo lèt int al c’akare’n, l’ho letto sul giornale. Se stessimo leggendo su “Il Resto del Carlino” “La féin de’ mond” e vi si dicesse: “Al rodi mi carétt a’l s’è farmè, al pépi ad tèra cota al s’è brusè la saira a fè la vègia tra i paier(…)”, non resterei sbalordito alla domanda: “E’ vero?”. Ma se stiamo leggendo Guerra e una persona adulta, indicando il verso “E’ ciód dla méridiena l’è caschè”, chiede “E’ vero?”, allora penso che quella persona sia stupida. O non ci crede? Insomma, non è sufficiente dire che non si può rispondere alla domanda, perché questa serve soltanto a farla sembrare una domanda difficile, anche perché non è una domanda: è una trappola della poesia dialettale. Ed è tale sia che la si ponga a proposito dei versi di Guerra, sia che la si ponga a proposito dello Zen di mia Nonna, sia che la si ponga a proposito della poesia connessa Dasein di Franco Loi, viepiù, a proposito della poesia diacronica di Ruffato, in cui, mancando la macrostruttura narrativa, non c’è ballata moderna o cantica che venga a riferirvi di Sivio il matto, della fine dei buoi, una nonna che fa lo Zen e se ne fotte della Macchina dell’Acqua, e quindi, priva del silenzio assoluto dell’azzeramento stilistico, quale verità può esprimere, se non fa a meno delle parole anche se sta parlando dello Zen della sua ascendenza? 11. Dico a qualcuno: “Se devi leggere la poesia dialettale, il solo modo intelligente di leggerla è quello di leggerla con occhio critico”. Che è anche il solo modo di leggere i giornali. Voglio quindi che, mentre legge Tonino Guerra, egli si chieda con una certa frequenza “E’ vero?” E’ uno dei modi di leggere “Il Resto del Carlino”, “L’Unità”, “il Manifesto”. Non credo però che abbia molto senso nella lettura della poesia. Esistono modi diversi per leggere componimenti poetici diversi, ma nessuno di questi implica che ci si domandi “E’ vero?”. Per lo meno, non credo che un componimento poetico comporti mai una domanda del genere. Tuttavia, non posso provarlo: esistono troppi modi diversi di fare e quindi di leggere la poesia”. Ma se un lettore romagnolo di Tonino Guerra stesse leggendo sulle pagine locali del Resto del Carlino: “Al rodi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pepi ad tèra còta a’l s’è brusè la saira a fè la vegia tra i
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paier; i méur i è vecc al crépi al vén d’in zò com’è di folmin: e’ ciod dla méridiena l’è caschè” potrebbe ipotizzare che è la féin de’ mond? La poesia dialettale connessa al Dasein del poeta non ha procedimenti metaforici, come non ne avrebbero le pagine locali del Resto del Carlino se scritte in dialetto, non va, l’una, e non andrebbero le altre, dal termine di partenza per arrivare a quello di arrivo con la proprietà comune che permette la metafora: a) attuando una traduzione più o meno letterale; b) ridefinendo l’oggetto di partenza. Diciamo che usa, il poeta, e userebbe il giornale in dialetto, il “linguaggio di crescita”, per cui ha un uso corrente, contestuale e situazionale del linguaggio che rende più vera, o verosimile, la referenza al Dasein. L’aria l’è cla roba lizira cla sta datonda la tu testa e la dvénta piò cèra quand che t’roid. Che dice? E’ poetico? E’ iperreale? O è correale? 12. Al ródi mi carétt a’l s’è farmè, a’l pépi ad tèra còta a’l s’è brusé le saira a fè la vègia tra i paier; i méur i è vécc al crépi al vén d’in zò com’è di fólmin. E’ ciód dla méridièna l’è caschè. Così diceva Tonino Guerra. E’ vero? Nella filosofia il verum, dice Ziff. E aggiunge: “ma in vino veritas: nella poesia , come nel vino, c’è della verità e in modo molto simile”. Dico a qualcuno: “C’è della verità nella poesia “La féin de’ mond” di Guerra”; costui, metti che sia Cucchi o uno di quei custodi di antologie dell’industria culturale che è come l’altro di Watzlawick che compie il suo gesto nell’ambito della logica formale, che postula che ogni affermazione può essere vera o falsa, e che non esiste una terza soluzione(tertium non datur), allora esamina attentamente i versi alla ricerca di una affermazione vera. E se gli dicessi “In vino veritas” vuoterebbe una bottiglia di Sangiovese di Romagna aspettando che ne stilli la verità. Il poeta è invece quell’enfant terrible, quel classico bugiardo che disse “Io mento” anche in perfetto santarcangiolese. Se davvero mentiva, allora diceva la verità, e quindi mentiva quando diceva “Io mento”. Cosa ne pensate voi, oggi, nel secolo dopo, dell’affermazione “Il custode dell’Antologia ha l’aria che gli gira intorno alla testa e diventa più chiara quando ride”: è vera o falsa? Se dite “E’ vero” a proposito dei componimenti poetici di Tonino Guerra, il soggetto di “E’ vero” è simile al soggetto nell’espressione “L’aria l’è cla roba lizira”. Che cosa è vero, infatti? “Il componimento poetico è vero”: sarebbe un’affermazione strana se riferita a La féin de’ mond e “Questo è vero” sarebbe un’affermazione strana se riferita a un verso qualunque, anche di Loi o di Baldini, preso isolatamente e fuori dal suo contesto. Non si deve dire pertanto “E’ vero”, ma “C’è (della)verità in essa”. Ma, poi, è vero, non è vero,è vèrra, u’n’è vèrra, a m’so insugnè, csèll ch’e’ vó déi? Non vuol dire niente, un vó dì gnént? L’è mèi stè zétt? [1] La féin de’ mond, in: Tonino Guerra, I Bu, 1972: La fine del mondo. Le ruote dei carri/si sono fermate,/alla sera le pipe di cotto/si sono spente/durante la veglia nei pagliai;/i muri sono vecchi/le crepe scendono/come fulmini./Il chiodo della meridiana/è cascato. (Trascrizione di Roberto Roversi). [2] Paul Ziff, “Verità e Poesia”, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici [Philosophical Turnings.Essays in Conceptual Appreciation, 1966], introduzione di Tullio De Mauro, trad.it. Laterza, Bari 1969: pag.79.
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[3] “Gli uccelli non cantano più/la sera è scesa sul mondo/è vuota la bisaccia del viandante”:V.S. Gaudio, Uzzèn ‘inonnamijë, © 1999. [4] “Ditelo ai miei buoi che l’è finita/che il loro lavoro non ci serve più,/che oggi si fa prima col trattore.”: I bu(I buoi). [5] Paul Ziff, op.cit.:pag.81. [6] “E poi commuoviamoci pure a pensare/alla fatica che hanno fatto per mille anni/mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa/dietro la corda lunga del macello”: è la seconda parte de I Bu. [7] “Silvio il matto che quando parlava, parlava di scatto, tutto un brandello, da capo a piedi, e il berretto con la visiera voltata indietro”: da Sivio e’ matt. [8] V.S. Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna, © 1999. [9] “Sebbene da tempo il canale di irrigazione/sia chiuso e asciutto, odo il rumore/del ruscelletto e quello ben più fragoroso/della cascata./Il suo nome sfocia nel mio giardino/inonda il campo/irriga la mia anima”:V.S. Gaudio,Uzzèn i’nonnamijë, cit. [10] L’aria. L’aria è quella roba leggera/che ti gira intorno alla testa/e diventa più chiara quando ridi.(trascrizione di Roberto Roversi). [11] “Con Luisa seduta sopra la panca, la barca del marito ormeggia a barba di gatto. Non vola una mosca sulla banchina”: V.S. Gaudio, Uzzèn i’nonnamijë, cit. [12] “Mariuccia,/prime tettine della mia vita,/malioso sorriso tra le liste di ferro delle ringhiere,/tu, di ebano,/occhi di faina, bambina antica,/che alle frange sfilacciate dai verdi ricami la tenerezza”: da III.Mariuccia: in Franco Loi, Stròlegh, 1975. [13] Paul Ziff, op.cit.:pag.83. [14] Come abbiamo avuto modo di spiegare per la poesia dialettale diacronica[vedi : V.S. Gaudio, La poesia dialettale connessa al dasein, in: Idem,La semantica gergale e razionale dell’idioletto corporeo e della poesia dialettale diacronica, “Quaderni di Hebenon” n.1, Ivrea 1999]la verifica degli Indicatori Globali [ Intelligibilità; Complessità; Ambiguità; Pregnanza; Carica Connotativa; Codice Ristretto/Elaborato] e dell’I Ching in questa poesia dialettale connessa al Dasein indica che l’esagramma risultante è il numero 18.Ku, l’emendamento delle cose guaste, in cui, sopra, c’è il trigramma Kenn, il Monte, e, sotto, il trigramma Sunn, il Vento. Iconicità alta: 9 sopra Complessità media: 8 al 5° posto Ambiguità alta : 6 al 4°posto Pregnanza: 9 al 3°posto Carica connotativa: 9 al 2°posto Codice ristretto: 6 all’inizio L’immagine: giù sotto il monte soffia il vento. La sentenza: propizio è attraversare la grande acqua. L’esagramma che più di altri trova nei segni intrinseci Cenn [ il Tuono: ; ; ] e Tui [ il Lago: ; ; ] il nucleo essenziale dello stile di Guerra: difatti, l’esagramma-Heimlich è 54.KUI ME, “la ragazza che va sposa”, è la fine e l’inizio dell’umanità, il mondo frattale di cui non si dà equazione né sommatoria in nessun luogo, anche se tutto è riconducibile a Sant’Arcangelo, lì, in quel luogo, visto nel dettaglio, colto di sorpresa, il mondo rende conto del suo stato in nostra assenza. Da questo altrove, dal suo proprio luogo, dal cuore della sua banalità, dal cuore della sua oggettività, l’altro fa irruzione da tutte le parti, con la delicatezza patafisica del suo senso che non vuole riflettersi, vuole essere colto direttamente, illuminato nel dettaglio, è l’oggetto stupefatto che capta l’obiettivo del poeta, il bagliore didonico della ragazza che va sposa , questo bagliore di impotenza e di stupefazione che manca completamente alla mondanità della lingua, della poesia nazionale. Questa rivelazione fotografica fa procedere tutto: ad ogni linea dell’esagramma c’è il fotografico , che esiste solo in ciò che è violentato e sorpreso, rivelato suo malgrado, in ciò che non avrebbe mai dovuto essere rappresentato perché non ha immagine né coscienza di se stesso: all’inizio, se è uno sciancato, può procedere; al secondo posto, se è un orbo, può vedere; al terzo posto, la ragazza va in sposa come schiava e non si trova ancora nella posizione che le compete; al quarto posto, procrastina il tempo; al quinto posto, la complessità rende evidente che le vesti della figlia del sovrano non erano così sfarzose come le vesti della servente; al sesto posto, la moglie tiene la cesta e dentro non v’è nessun frutto. Questo è KUI ME, il 54, l’esagramma intrinseco dello stile 18.KU di Guerra: è qui il suo bagliore didonico che svela, fulminandolo, l’infinita immobilità stupefatta del
senso.
Leggi anche : la divagazione ziffiana sulla poesia di mario grasso in esclusiva su "il cobold" ▬ post del 28 agosto 2012
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v.s.gaudio
Modesty Blaise at genital mith
Modesty Blaise mantiene il riserbo sul suo Pondus ma non si sta incamminando verso l’Esaltazione della Castità VS Non so se conosci Cybersix… MB No. VS E’ un personaggio che ho intervistato…un prodotto cyber ma dotato di un tergo, come lo intende il filosofo francese Merleau-Ponty, favoloso… MB Ah… VS Tu sei abbastanza libera nei rapporti con l’altro sesso.Sei un po’ nel paradigma del prototipo nordico, o anglosassone, com’è inteso da Alfred Hitchcok, un po’ priva di scrupoli, prendi il taxi con me e, parlando di nuvole e nuvolette, com’è e come non è, va a finire che mi ritrovo con la patta…Insomma, che tipo di amore prediligi? MB Cioè? VS Come ti piace farlo?
MB Come mi piace farlo? Secondo te e Hitchcock, come mi piace farlo?...Prendo il taxi con te e, tra una nuvoletta e l’altra, com’è e come non è, tua sorella e tua zia, va a finire che…volando fuori dal taxi…uccello devi diventare, altrimenti quell’uccellino lì , vai a vedere, rischia di farsi proprio male male… VS … MB …E a te, bel poetone arrapato, come ti piace farlo? VS A me? …Con te?...Beh…ti vorrei mettere nella posizione dell’Attraction de Milan…anche se siamo da tutt’altra parte… MB E tu come ti metti? VS Io mi metto dietro e ammiro…l’Attraction… MB E io che ammiro? VS Non so. Cosa vorresti guardare? MB La tua faccia…si? Mentre ti do un bel calcio nelle palle? Ti piacerebbe? VS Non credo. … Ascolta, Modesty. Tu sei una longilinea mesomorfa, ma non sappiamo qual è l’esatto Indice del Pondus. Allora: quanto pesi esattamente, quanto sei alta e quanto misuri di Hips e di Breast?
MB Ascolta, Vuesse. Tu sei un paralongilineo che forse quando eri giovane, pur essendo altrettanto minchione, eri pure ectomorfo. Ma non abbiamo mai potuto avere il tuo esatto Indice del Pondus(1). Cioè, facci un po’ sapere: è più alto il tuo Indice del Pondus o il tuo Indice dello Stultus? VS Dai, Modesty. Il Pondus…sei tra 17 e 14, non c’è dubbio. E hai, è sicuro, l’Indice Costituzionale tra 51 e 52 se non 53. Vuol dire che la tua allure, tra l’impassibile e il superbo, ha la misura della pesante immediatezza…Tornando ai tuoi rapporti con gli uomini, che tipo ti piace? MB Mi piacciono i tipi che non sono come te. Quelli che non fanno domande a cazzo e che quando hanno il metro in mano non per forza deve significare che è a sbarra o a nastro metallico o snodabile, e, invece di stare a misurare, a pollici e a piedi, il culo alla donna che hanno di fronte, hanno il coraggio di misurarsi, pur avendo in mano il minimetro o il micrometro, il proprio uccello. VS Per essere un personaggio dei fumetti degli anni Sessanta sei abbastanza sfrenato… MB Per essere un intervistatore del ventunesimo secolo, sembri un perfetto coglione di quelli grossi prima della bonifica dell’Aids. VS Certo, sono stato sempre con Mullis. MB Certo, Vuesse. Sei stato sempre con Mulllis. Ma a sparare cazzate sembri quel cannone americano del XIX secolo, come si chiama?...Un Parrott…quello dal calibro piccolo, però.
VS Nel test sulla castità che ti ho fatto, hai ottenuto 21 punti:”Per te il mito della sessualità non è tramontato, anzi ritieni che ognuno faccia sesso sotto qualsiasi forma, tollerando anche quelle forme un tempo considerate anormali e ora tollerate in virtù del rispetto del Genital Mith. Insomma, anche senza partner, anche senza amore, bisogna andare avanti e fare sesso a ogni costo”(La Stampa, Forzati dal sesso o casti e puri?, test di Vuesse Gaudio, 20 luglio 1993). MB Sì. D’accordo. Questa va bene. VS Secondo una certa teoria numerologica, essendo tu una numero 20 nella correlazione cabalistica delle lettere del tuo nome con l’alfabeto della Rosa Croce(2), saresti il soffio e l’ispirazione, hai qualcosa della propaganda; non è che, ricordando che nel raffigurare la carta XX nel Tarocco c’è sempre la bandiera dell’angelo trombettiere che riporta una croce di Malta, tu saresti un Cavaliere ospitaliero di Gerusalemme? MB Non è che l’angelo suonatore della tromba nell’arcano XX sia il qui presente poetino saraceno? VS Comunque, sei il numero dello splendore e della lettera ebraica Resh, un qualcosa tra Mercurio in Vergine e Giove in Pesci(3), la transizione tra idea e azione… MB La generazione della Terra, no? VS Anche. E sei lo scioglimento improvviso, la modificazione prossima inattesa. La sorpresa. MB E il soffio redentore… VS Sei patagonica. MB Pata che?
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Monica Vitti Modesty Blaise nel film di Losey
VS Dentro la bolla del patagonismo di Baudrillard. MB E se scoppia la bolla? VS C’è lo schiamazzo e l’agitazione da cui non nasce altro che vento. MB Per questo opero con uno che lancia coltelli e infilza i poeti trombettieri. VS Resh è la lettera ebraica della testa: lo splendore del tuo esserci patagonico, noi che leggiamo i fumetti lo vediamo che viene tutto dalla tua testa… MB Altri per la carta XX danno Shin…che è il dente. VS Monica Vitti era quella giusta per fare Modesty Blaise?
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MB Non lo so. Sì, forse, come struttura generale. E anche per la conformazione del viso. Però, avrei preferito quell’attrice di Hitchcock, non abituale, quella di “Vertigo”…Kim Novak. Te la immagini quella di allora con certi leggings che fanno adesso? VS Te lo sei fatto quel Willie Garvin, quell’ex mercenario nel sud-est asiatico? MB Non te le sei fatte le sei seghe quotidiane, oggi, eh? VS Qual è il tuo piatto preferito tra questi che traggo dalle Ricette Immorali di Manuel Vázquez Montalbán: “Tiatraounga Annamita”, “Baccalà al pil pil”, “Frittelle di fiori di zucca”? MB “Frittelle di fiori di zucca”.
MB Seee…Mi piace. Si, si, mi piace quello che fa e che si fa fare… VS Davvero? MB Sì. Davvero. Vuoi sentire questo? Sì, mi piace, ah, se mi piace quella Druuna!E a Druuna gliel’hai misurato…com’è che lo chiami? L’Attraction de Milan…Eh? 36, 37 pollici come minimo, no? E come Indice Costituzionale quanto fa la tappa? 57 o 58? VS Tu sei una donna attiva, intelligente e priva di scrupoli e frequenti ambienti malfamati e individui poco raccomandabili. Quali italiani poco raccomandabili per la reputazione di una bella signora, un po’ refrattaria alle manovre attivabili per l’Attrazione di Milano, hai conosciuto? MB Io sono stata a capo di un’organizzazione criminale denominata “Network”…in Algeria. Continuo? VS E poi? MB E poi che cosa? VS Frittelle di fiori di zucca con uno che poi ti fa… MB Mi fa…un caffè. L’amaro non lo sopporto proprio. VS Vorresti essere come Druuna disegnata e sceneggiata da Paolo Eleuteri Serpieri? MB Vorresti essere come un omunculo di Crumb con una superfemmina di Crumb che ti cavalca e ti fa volare come un manico di scopa? VS Druuna… MB Ti piace proprio Druuna, eh, Vuèsse? VS A te?
VS Ma hai saputo redimerti. Sei al servizio di Sua Maestà. Diana, l'avresti voluta al tuo fianco in un’avventura nel sud-est asiatico? MB Se è per questo anche quella…come si chiama? La sorella di Kate…quella del melone al matrimonio della sorella…E’ forte, no? L’hai vista in jeans? Sai come farebbe alzare la tiratura! VS Tra i registi odierni chi vorresti che ti portasse sullo schermo? Almodovar o Tarantino?
MB Tutti e due. VS Interpretata da? MB Da Uma Thurman per Tarantino. E da Victoria Abril, quella di “Lègami!” e di “Tacchi a spillo”, per Almodovar. VS La Carmen Maura della “Ley del deseo” no? MB Non l’ho visto quel film.
VS Ti ci vedresti sceneggiata, anziché da O’Donnell, da uno come Robin Wood, che sceneggia “Dago”, “Martin Hel”, “Amanda “, "Morgan"? MB Se dico si che succede? VS Beh, immagina come saresti in una storia scritta da Robin Wood e perciò disegnata da Carlos Gomez… MB Che, lo so, mi fa più figa…Sì? E’ questo che vuoi? VS Ha un bel tratto Carlos Gomez, e con il tuo IP e l’IC che ti ritrovi, sai che bomba, ti fa esplodere, el señor Gomez!
MB E tu, poi, fai boom-boom e spari in aria? Quante volte al giorno? In Italia , negli anni Novanta, c’erano 1 milione e mezzo di sparatori col tesserino venatorio. Il tesserino sparacazzo, negli anni Venti del XXI secolo, ce l’hai solo tu! VS E allora Willie Garvin che lancia coltelli? MB Lanciava, V.S. Perché adesso non lancia più. Altrimenti, ‘sta intervista del cazzo l’avrebbe tagliata già da un pezzo!... ▬
(1) Per l'indice del Pondus, leggi: il-pondus-alto-di-modesty-blaise. (2) Usando l’alfabeto della Rosa Croce, questo il calcolo cabalistico del nome di Modesty Blaise: M=4x7=28 B=2x6=12 O=7x6=42 L=3x5=15 D=4x5=20 A=1x1= 1 E=5x4=20 I=1x3= 3 S=3x3= 9 S=3x2= 6 T=4x2= 8 E=5x1= 5 Y=1x1= 1 45 128 Facciamo la somma cabalistica: 1+2+8+4+5= 20.Il Giudizio:il rinnovamento, la sfera di Saturno il XX giorno della luna, la perfezione. Cybersix è una 6; Druuna una 15. (3) Che è equiparabile con la quadratura Mercurio/Giove di Monica Vitti tra Scorpione e Leone, supportata viepiù dalla Luna in Leone in quadratura col Sole( è la luna calante) sempre nel segno che, virtualmente, più di ogni altro, dovrebbe essere il segno di Modesty Blaise, tra l’avventura e la risoluzione immediata, senza dimenticare la patafisica di Plutone che carica Mercurio di quell’effetto ainico, che è il bagliore, lo splendore del patagonismo.
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La Kim Novak dell'anno di "Vertigo" in leggings come vorrebbe Modesty Blaise
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Queste le risposte di Modesty Blaise al test di Vuesse Gaudio: 1c-2c-3a-4a-5b-6b-7c-8a-9a-10b-11b-12a-13b-14c; ha totalizzato 21 punti, vedi l'ultima interpretazione. Il test può essere consultato anche nell'Archivio de La Stampa ottenendo addirittura un pdf: queste le coordinate, che qualora non permettano, come avviene facilmente, di ottenere quanto richiesto, vanno sostituite con la ricerca mediante l'indicazione del titolo del test("forzati del sesso o casti e puri?") o dell'autore("vuesse gaudio") e la data("20 luglio 1993"): lastampa/forzati del sesso o casti e puri?
â–Ź post del 27 settembre 2012
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v.s. gaudio
Aurélia Barthélemye Steiner Corsicano Aurélia Steiner d’Ajacciu
Aurélia Steiner, quella che abita ad Ajaccio, non girovaga spesso nella sua città, della quale altro non sa se non che aveva dato i natali all’imperatore Napoleone. Non è nella camera oscura, Aurélia Steiner non mi ha parlato di quegli amanti
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del rettangolo bianco che si ritrovano nell’atrio del Musée Fesch con in mano una moleskine, la matita e il biglietto d’ingresso. Lì dove ho incontrato Aurélia Steiner, elle m’a raconté l’histoire. Elle m’a parlé , et j’entendais l’histoire Elle la sentait sous soi, minérale, de la force irréfragable de Dieu, l’histoire In quel museo, tutto quel tempo restammo a guardare la Madonna di Cosmè Tura e quella della Ghirlanda di Botticelli e altri dipinti tra cui quello di Pietro Paolini che tanto affascinò W.G. Sebald, e, così ricordo, non guardammo per niente La Pentecôte de Mariotto di Nardo, une tempera sur bois du XIVe siècle, la Vierge à l'enfant de Giovanni Bellini (XVe siècle), la Vierge à l'enfant dans une gloire de séraphins, une huile sur bois du XVIe siècle réalisée par un anonyme ombrien et Midas à la source du fleuve Pactole, huile sur toile de Nicolas Poussin, datant du XVIIe siècle : étaient posées sans la moindre surveillance e difatti les quatre tableaux furent dérobés au musée Fesch le 19 février 2011. Aurélia écrit tout le temps, toujours ça, rien d’autre que ça. L’avrei voluta vedere in spiaggia, col suo bikini Calzedonia e il cappello, cette femme qui se fait mousser le créateur, quand se colle une douce et vient d’avoir le sixième bonheur consécutif. Aurélia à genoux, en soutenant soi sur une main libre entre les jambes ell’a à peine fini de se pénétrer l’histoire par
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derrière ; maintenant, mise à genoux, avec les fesses sur les talons, elle se lance contre un dildo anamorphique, désormais complètement enfoncé, en mouvant les hanches, avec la précision et la force d’une danseuse. C’est que je désire. Que cela vous soit destiné. Où êtes-vous ? Comment vous atteindre ? Comment nous faire nous rapprocher ensemble de cet amour, annuler cette apparente fragmentation des temps qui nous séparent l’un de l’autre ? Non è una bella giornata, piena di luce, i rami delle palme sulla Place Maréchal Foch si muovono appena nella brezza che arriva dal mare, al porto non vi è attraccata una nave da crociera e io che passeggio per i vicoli, mi infilo ora nell’uno ora nell’altro di quegli androni bui e simili a gallerie, leggo con una sorta di raccoglimento i nomi sconosciuti sulle cassette delle lettere in lamiera sperando di trovare quello di Aurélia Steiner, che, prima, mi aveva lasciato al museo, con la sua gonna grigia e il top viola, camminando sui sandali blu col tacco di due pollici, dopo avermi detto: « Aujourd’hui vous étiez un marin à cheveux noirs. Avant que vous rejoindriez votre hôtel, vous me venez après, vous m’avez emboîté le pas, mais je vous ai donné l’endroit du monde ; moi, je vous tienne entre mon cadran solaire, je vous montre l’heure du bonheur, le méridien du désir, entre mes fesses, nues dessous la jupe grise, je sente votre braquemart, ou bien votre bizouart !» Ma prima di seguire Aurélia mi ero fermato a lungo davanti a quel duplice ritratto che tanto incantò Sebald [1] e prima di
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lasciare il museo, sono sceso ancora nei sotterranei, dove è esposta una collezione di ricordi e cimeli napoleonici. Je sentais que vous me reveniez de l’envers du monde dessous la jupe grise avec votre méridien, le voyez-vous encore mon méridien d’Ajaccio sous la jupe grise? C’est gros, votre méridien napoléonique, la création unique, le petit caporal, che potevamo anche chiamare « L’autre » o « L’ancien » : « Ah ! Si l’ autre était encore là ! » C’est grand votre petit caporal, je vous disais Aurélia Steiner, e poi quando sentivamo il deflagrare di una bomba dopo un silenzio assoluto ci mettevamo a ridere e all’unisono esclamavamo: “C’est Barthélemy!” Ou bien: “C’est Joubert [2] (le canonnière qui fait tousser le brutal, il tire le canon!” E allora la canonnière d’Aurélia Steiner non la chiamavo più “Petit Caporal” ma “Joubertière, le Barthélemy ou la Machine-à-moulure ou la Giberne de Joubert, la Joubertière : «Ah ! Si le Joubert était encore là ! »
Ils disent que tout avait été construit sur la terre.
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Que tout avait été habité, occupé, par des peuples, des gouvernements. Qu’il avait des palais sur les rives des fleuves et, entre les palais, des fourrés d’orties, de ronces et de nuées d’enfants courants. Des femmes, maigres. Tu es une femme maigre, une ectomorphe, mais tu es un peu mesomorphe, une normomesomorphe avec un index du pondus moyen, tu a l’allure de travers, de femme sentimental-amorphe, in cui c’è l’ombra del paradigma nervoso, qui donne à ta allure un touche de tendre eclatance, de claireté tendue, come se il vento sferzasse il tuo podice con un angolo di 90°. Ecoutez, l’entendez-vous ? Non ? Vous n’entendez plus rien peut-être ? Non ? Ecoutez encore. Essayez. Essayez encore. Comment venir à bout de notre amour ? Avec le bout, je viens à bout de notre amour. Avec la punaise que j’entends. Ecoutez encore.
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L’étendue de mon cadran lunaire, l’étendue de votre méridien, l’heure du bonheur : l’inquiète étendue introvertie de mon allure, l’étendue joubertienne, le degré haut de votre cas, le Barthélemy. Je marche et je suis dans ma chambre avec le dildo, le godemiché, nous devrions nous rapprocher ensemble de la fin. De celle de notre amour. N’ayez plus peur. J’ai la peur bleue, la peur friponne du désir, je veux votre Barthélemy quand je chante, je chante pour vous, je ne réussis pas à chasser votre Bizouart. Ēcoutez... Mais qui êtes-vous? Qui? Comment cela se ferait-il? Comment cela se serait-il fait? Comment à votre nom? Dans cette île, ici ? Ici, à Ajaccio, vous croyez ? Non ? Moi, je ne sais plus.
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Io non ho conoscenza di quest’amore che ho per voi. Intero. Terribile. Bitchen. Je désire votre bizouart, è questo l’amore intero, terribile, terrible, che ho per voi.
E voi non siete qua per liberarmene. Mai. Mai, Non mi separo mai dal nostro amore.
Avec le Barthélemy, à genoux, mon cul sur les talons, jamais, je ne vous sépare de notr’amour. De votr’histoire. De votre ça.
Très, très longtemps, rien.
Et puis, une fois, vos yeux. Vos mains. Vos yeux et vos mains sur moi, sur mon cul. D’abord le bleu liquide de votre ça. Et puis, vous m’avez vue. Vous avez regardé l’immensité des choses dans le fracas des vagues, l’immensité de la force et puis vous avez crié Vous vous teniez au centre de la pierre des couloirs des voies de pierre de toutes parts
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Vous qui êtes nommé vous qui êtes doué d’identité je vous aime d’un amour indéfini Il fallait descendre la falaise vaincre la peur la peur bleue du méridien le vent souffle sur Ajaccio les vagues luttent contre le vent elles avancent ralenties par sa force et patiemment parviennent à la paroi Je vous aime plus loin que vous J’aimerai quiconque entendra que je crie que je vous aime J’appelle celui qui me répondra Je veux vous aimer je vous aime Depuis trente mille ans je crie devant la mer le spectre blanc Dicevate: delle storie si trascinano al Museo Fesch, questa lunghezza del tempo così dolce che lei vorrebbe coricarcisi contro e partire con lei nell’aria e nella storia, così calma e diurna, fresca, del mare, il mare tenuto stretto nella Baia di Ajaccio, questa inversione del mondo, questa potenza tenera e sfacciata, della mia allure, dicevate, da “polisseuse”, aggiungevate, da connasse , la Giberne Joubertienne, è così che avete detto e io avrei voluto farvi il servizio, la Manon d’Aiaccio, qui fait le truc, elle fait ça, anche un blow job rapido e calmo, sulla spiaggia col mio
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bikini Calzedonia e il cappello in testa e gli occhiali da sole o tirarvi le canon et faire une volée de coups nell’aria così fresca di Ajaccio sul mare, c’è del sentimento in questa aria di Ajaccio, avevate detto: “L’aria del mare mi carica il Barthélemy!” Oui. Vous avez tout oublié. Je ne vous sépare de votre corps. Je ne vous sépare pas de moi. Je ne vous sépare de notr’amour.
Comment faire pour que nous ayons vécu cet amour? Comment? Comment faire pour que cet amour ait été vécu?
Dovrò ridiscendere per Rue Cacalovo sino alla Playe Trottel, e basterà a farvelo fare duro con un copricostume Zara sul bikini Calzedonia e quel cappello scuro che tanto vi piace ? Avec mon allure, mon allure à la Joubert, dicevate, du sentiment-Barthélemy, mon allure-Ajaccio della prossemica dell’Ane, la proxémique de l’ânesse blonde ? Avez-vous oublié ? Le mie passeggiate per Rue Cacalovo o in Place Foch
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per scendere alla Cittadella con i jeans, je suis le jeans d’Ajaccio, che nell’ aria si sposta di traverso con una frescura calma che accarezza l’inquietudine, cette joie de mon allure en jeans, la joie, le bonheur, d’Ajaccio aussi blanche et bleue, e di là le forze e i monti selvaggi dell’interno, e che cosa ne sappiamo noi del corso della storia che procede – così scrive Sebald- secondo una legge la cui logica rimane indecifrabile e viene messo in moto da eventi minuti e imponderabili, tali da cambiarne spesso la direzione al momento decisivo, come la morte improvvisa [3] di Joubert in Italia e l’ascesa infinita e successiva di Napoleon: una corrente d’aria appena percepibile, una foglia che cade a terra, uno sguardo che corre da un occhio all’altro in mezzo a un gruppo di persone, et vous êtes le poète, et je suis, moi, Aurélia Steiner, e tu ami questo mio pondus d’Ajaccio così poco napoleonico, voi amate la letizia e il movimento joubertienne de mon allure, questo deflagrare improvviso
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che di notte sveglia il mondo, oggetto a al meridiano d’Ajaccio, et je suis là-haut in Rue Cacalovo ou sur la plage Trottel ad allietarvi l’anima di Barthélemy che scoppia in Corsica all’improvviso dopo un silenzio assoluto che forse non è durato che qualche secondo appena. Vous m’aviez dit dans la chambre obscure ou quand je vous croisé ce matin en Rue Cacalovo avec ma jupe grise sous laquelle mon con suintait: cette ville engloutie, c’est notre terre obscure. Il n’en reste rien, numerosissimi erano qui un tempo gli stambecchi, sopra i crepacci volavano in cerchio aquile e avvoltoi; fringuelli e lucherini saltellavano a centinaia in mezzo alle fronde, quaglie e pernici facevano il nido sotto i cespugli più bassi, e ovunque le farfalle ti svolazzavano attorno, così scrive W.G.Sebald e aggiunge: “Pare inoltre che gli animali in Corsica fossero di taglia alquanto piccola, come spesso accade sulle isole”[4]. Avez-vous oublié? Vous avez tout oublié?
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Si fraîche, Ajaccio, cette deuxième ville, vous disiez. Dicevate : delle storie arrivano fin qui dalla Bavella dalle colline sopra Sartène dove l’aria è così fresca, così calma e dinamica come il mare che attornia l’isola, e la Corsica è tenuta dentro questo rombo, questa losanga in cui sopra Sartène non è raro incontrare un entomologo di Dresda, come avvenne a Gregorovius che fece un viaggio in Corsica nel 1852, in questa inversione del mondo, questa potenza tenera e sfacciata, come la mia allure, dicevate, da Joubert, la Barthélemy, aggiungevate, è così che avete detto, che l’isola nei boschi di Bavella avevate visto di frequente il Cervus elaphus Corsicanus, e io ero la stambecca corsicana, ovvero la Stambecca Rossa del Tirreno tanto che avrei voluto farvi una branlette, rapida e calma, una battaglia corsicana nell’aria così fresca, intanto che il cervo rosso si era ormai estinto, un animale dall’eleganza per così dire orientale, con una grossa testa rispetto al resto del corpo e ci veniva di pensare alla custode del Museo Fesch quando, lei sotto il bancone e giù e io di qua vi dicevo che ero la stambecca corsicana, e sopra i crepacci nella Bavella volavano in cerchio aquile e avvoltoi; fringuelli e lucherini saltellavano a centinaia in mezzo alle fronde, e come spesso accade sulle isole, tenendomi bassa vi feci un blow job rapido e calmo mentre voi dall’alto del bancone guardavate esterrefatto la custode del Museo così napoleonica che come aveva osservato l’entemologo di Dresda era di piccola taglia come accade nelle isole. Ajaccio, avevate detto uscendo dal Musée Fesch: L’aria del mare mi tira su, vedo sopra i crepacci alla Bavella in cerchio aquile e avvoltoi, fringuelli e lucherini saltellano a centinaia in mezzo alle fronde, quaglie e pernici fanno
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i nidi sotto i cespugli più bassi, e ovunque le farfalle mi svolazzano attorno. Oui. Vous avez tout oublié. Je ne vous sépare de votre corps. Je ne vous sépare pas de moi. Je ne vous sépare de notr’amour. Comment faire pour que nous ayons vécu cet amour? Comment? Comment faire pour que cet amour ait été vécu? Dovremo ritornare al Museo e mentre voi guardate giù dal bancone verso lei, la cassiera di Casa Bonaparte, che forse si sta solo riposando dopo essere rimasta a lungo in piedi e anche così non è possibile accorgersi della sua presenza se non parla, e di qua dal bancone, accovacciata faccio la stambecca corsicana, la Stambecca Rossa del Tirreno anche se qui non fanno la Bataille de Saint-Joseph come a Péronne en Picardie [5], né li vedi saltellare in piazza Foch o, meglio, Letizia a inneggiare alla branlette tipica d’Ajaccio, la branlette corsée che per farla devi avere attorno la foresta della Bavella e quest’aria del mare che passa nel suo stretto canale, e sono al contempo seno di mare e culo di mare, e voi il navigatore, il marinaio dai lunghi capelli neri, il poeta saraceno che in questa losanga del desiderio viene a bagnare il suo oggetto a la capra ibex corsicana, Aurélia Steiner d’Ajacciu,
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il promontorio sacro, il capo corso, il culo. Il fallait descendre la falaise vaincre la peur la peur bleue du méridien le vent souffle sur Ajaccio les vagues luttent contre le vent elles avancent ralenties par sa force et patiemment parviennent à la paroi
Je vous aime plus loin que vous J’aimerai quiconque entendra que je crie que je vous aime J’appelle celui qui me répondra Je veux vous aimer je vous aime
Io mi chiamo Aurélia, Barthélemye, Steiner Corsicano.
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Io vivo ad Ajaccio[6]. Non ho più diciotto anni. Mi ha scritto: Qui, ad Ajaccio si trova Aurélia Steiner Stambecco[7]. Aurélia Barthélemye.Si trova qui Aurélia Capra Ibex Corsicana e da nessuna parte nelle terre protette dal mare puoi trovarla. Ciò che pulsa qui si spande sul mondo. Da qui, dal Capo Corso, il Sacro Promontorio, l’acqua pulsante tiene il mondo deliziosamente sulla soglia dell’orgasmo. Spalanchi le finestre e guardi fuori, oltre i tetti della città. Si sente ancora il rumore del traffico per le strade, ma poi all’improvviso c’è un silenzio assoluto, per qualche secondo appena, finché, evidentemente solo a poche strade di distanza, una di quelle bombe che non di rado scoppiano in Corsica deflagra con un colpo breve e secco. Mi corico e sto allerta col mio Barthélemy, nell’orecchio il suono delle sirene e lo zufolo del poeta che sta facendo deflagrare il mio Joubert. Quando l’oggetto a sarà al Sacro Promontorio[8] della Capra Ibex Corsicana di sicuro mi addormenterò.
[1] Cfr. W.G. Sebald, Breve escursione ad Ajaccio, in: Idem, Le Alpi nel mare, trad.it, Adelphi Milano 2011. [2] Barthélémy Catherine Joubert est né à Pont de Vaux(Ain) le 14 avril 1769, la même année que
Bonaparte. Joubert a vingt ans lorsqu’éclate la révolution. S’enthousiasmant pour les idées
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nouvelles, il s’enrôle avec ardeur dans la garde nationale à Dijon, puis à Pont de Vaux. Sa carrière militaire connaît une ascension rapide et brillante. Elle dure de 1791 à 1799 et se déroule presque entièrement en Italie. Général de brigade à 26 ans, à 27 ans il devient le plus jeune général de division en activité dans l’armée. Joubert joue un rôle primordial dans la célèbre victoire de Rivoli au côté de Bonaparte et se distingue dans le passage du Tyrol à la tête d’un corps d’armée de trois divisions. Il est l’un des généraux les plus marquants du Directoire ; sa mort prématurée à la bataille de Novi, à 30 ans le 15 août 1799, l’empêche de participer au coup d’état préparé par Siéyès et oblige ce dernier à lui chercher un successeur : c’est finalement Bonaparte qui accomplit le coup d’état du 18 brumaire à sa place. [3] Frappé d’une balle en plein cœur, le jour de l’anniversaire de Bonaparte. [4] W.G. Sebald, Breve escursione ad Ajaccio, in: Idem, Le Alpi nel mare, trad.cit.:pag.59. [5] Vedi V.S.Gaudio, La Bataille de Saint-Joseph, in “piṅgapā”:→ la-bataille-de-saint-joseph [6] Aghju vistu tante loche
.
Belli, ùn si ne po discrede Ma cumè a mo Cursichella Nisun’parte ùn si ne vede. Scritto in dialetto in calce al foglio. [7] Guarda à mè, cume sò grande, È po cume sò prufondu, Aghju acqua ancu à rivende, È copru u mezu mondu, Quandu in un scornu hè notte, In l'altru u sole sorte. Aggiunse in calce al foglio Aurélia Stambecco: “ Guarda me, come sono grande,/E poi come sono profonda,/Ho acqua anche da rivendere,/E copro mezzo mondo,/Quando in un angolo è notte,/ In un altro il sole sorge”: un po’ ricorda una poesia dialettale di G.P. Ristori. Tanto che il poeta saraceno avrebbe potuto risponderle: Ti portu disse fiume U cantu di u russignolu, Poi dinò u prufume Di u fiore campagnolu, Lampu ind'a to sciuma bianca, A dulcezza chì ti manca(“Ti porto disse fiume/Il canto del Rosignolo,/Poi anche il profumo/Del fiore campagnolo,/lancio nella tua schiuma bianca,/la dolcezza che ti manca”).
[8] Sempre in calce al foglio, Aurélia ha appuntato in dialetto: Da nantu à la mio tirazza Quandu l’alba s’avvicina Vecu risplende Ii monti E richjarà la cullina. Quando l’oggetto a del poeta sarà al Sacro Promontorio d’Ajacciu non potrà non pensare alla Corsicana sussurrandole: Si un ghjuvellu nantu à l'onda Una perla à mezu mare U to splendore o Cursichella Ad'alcunu ùn si cumpare. Cosicché Aurélia possa farsi mousser le créateur senza immobilizzare il fotogramma della sua allure joubertienne…
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▬ post del 2 dicembre 2012
Issuu for gaudia 2.0 █ Post-Almanac
2012
Almanacco dell’anno primaprima gaudia 2.0
POST-ALMANAC 2012
Da gennaio a dicembre 2012 I 12+1 Post Più visionAti dell’Anno su Da Lolou Brooks a Sada │cinema e letteratura, da Nagisa Oshima, Georges Bataille, Archivio di Uh│ un inedito di Nadia Campana→ 4
□ Arno Schmidt │da Zandonai editore e Dario Borso → 10 □ Miele il dolce kama-salila delle longilinee ectomorfe │da Milo Manara alla morfologia costituzionale e alla caratterologia francese, alla somatologia dell’immagine → 12 □ Il mistero del freddo│ da Ettore Bonessio di Terzet → 19 □ Annamaria Ortese. L’eufemismo dell’Iguana │da Alessandro Gaudio→ 25 □ Le scale del diavolo e Ludivine │cinema e fotografia, le scale di Besicovitch da Ludivine Sagnier e V.S. Gaudio→37
□ Artificio │da Rosa Pierno e Tiziano Salari→45 □ Il Marcuzzi│ linguistica , fotografia, somatologia dell’immagine │da Fabrizio Ferri, Alessia Marcuzzi, Bruno Migliorini e V.S. Gaudio→49 □ Cybersix │comics e intersviste da Trillo e Meglia, Lanciostory e V.S. Gaudio→58 □ Divagazione ziffiana sulla poesia di Tonino Guerra│da Paul Ziff, Tonino Guerra e V.S. Gaudio→67 □ Modesty Blaise │comics e intersviste da O’Donnell e Holdaway, Lanciostory e V.S. Gaudio→75 □ Aurélia Steiner d’Ajacciu │La Stimmung con Marguerite Duras e W. G. Sebald→81
□ La cucitrice della vertigine│fotografia e morfologia costituzionale→42
Miele , il personaggio di Milo Manara, è il post, tra quelli pubblicati nel 2012, più visionato ▌
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