Uh Magazine│2012 letteratura insolubile e materialismo liquido
1Long Summer
Taramà di sardicella e Lagana Sybaritica dei Tremuli Poeti meridionali della Disney Company Efemeridos│Luigi Fontanella La chastité corse du patagonisme│ Laetitia Casta e Alain Bonheur Valerio Magrelli │Giovani senza lavoro Day’s Pondus 21│ Alfred Hitchcoch, Doris Day, l’indice del pondus La Tiatraounga Cancareja dei poeti orientali del sud│ Manuel Vázquez Montalbán
Giancarlo Pavanello│Poemetto fa rima con fumetto Alessandro Gaudio│Lisbon Story di Wenders│ Fowles-Games │ Eric Berne│ John Fowles e V.S.Gaudio
SportivaMente│ Ilaria Bernardini, Marcel Duchamp, V.S.Gaudio│“Topolino” La Roux │Lo stereofonico e il
terzo
Romolo Rossi│Divagazione
Aurélia
Piedronte la torera piel roja e la Hechura
Raffaele Perrotta│La
filosofia può dormire
La boca inmoral e i poeti a shummulo│Marisa
G. Aino, Poesia Americana│Onaria │by Andie Bottrell e Alessandro Gaudio Nadia Cavalera │Rap Scupidù Alessandro Gaudio│ Nessuno, William Blake e Jim Jarmusch Rosa Pierno│ Né carne né pesce
Annie Lennox, il passeggiato androgino
Ettore Bonessio di Terzet│ Andie Bottrell │Two poems
Baci Perugina
with Bukowski
senso│
Roland
Barthes
Giovanni Titanic│ Ettore
Fontana│Sinergia e così sia Bonessio di Terzet │ Acetilene, lustrura e amore umore │Lucio Zinna│ Minitest sul film di Isotta Toso │V.S.Gaudio │sei un visiodiffusore demico o culturale? Antonio Verri│ Ballyhoo, Ballyhoo! Lino Angiuli │Tella Bruttebbona│ epica picaresca
Doris Day in The Man who knew too much incontra Alfred Hitchcock…
Poesia Americana 29 │51
│Andie
Bottrell
│
Day’s Pondus 21│ cinema, Alfred Hitchcoch,
Doris Day,
l’indice del pondus │70
La Roux dal video originale di Quicksand La Roux │Lo stereofonico e il terzo senso │musica, Roland Barthes │89
La locandina del film Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio Minitest
sul film di Isotta Toso │V.S. Gaudio │sei un visiodiffusore demico o culturale? │110
Giovani Marmotte │26 │54 │76
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G. Aino, Manuel Vázquez Montalbán e le Pagina
Marisa
Surpriseeb? ░ I TAG DI UH MAGAZINE│ Long Summer 2012│
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DesktopAnonima del Gaud │ ─Marisa G. Aino ─Blue Amorosi ─Alain Bonheur ─Bernardetta La Froscia
─Alessandro Gaudio
─V.S. Gaudio ─Gaudio Malaguzzi ─Mia Nonna dello Zen ─Simona Pisani │ Anonima del Gaud Desktop
Uh Magazine │©2012
ebook issuu │2014
Uh Magazine long summer 2012 │dal 5 novembre al 15 luglio ─
Romolo Rossi│Divagazione
Aurélia Piedronte la torera piel roja e la Hechura 22
Raffaele Perrotta│La
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filosofia può dormire 24
La boca inmoral e i poeti a shummulo │Marisa Poesia Americana │Onaria │by
G. Aino,
Andie Bottrell
Manuel Vázquez Montalbán e le Giovani Marmotte 26 e
Alessandro Gaudio 29
Nadia Cavalera
Taramà di sardicella e il poeta scientifico di via del Lutri
Alessandro Gaudio│
Rosa Pierno│
Annie Lennox, il passeggiato androgino │musica 46
Ettore Bonessio di Terzet│
Andie Bottrell
Le Lagana Sybaritica dei Tremuli Poeti meridionali della Disney Company 54
│Rap Scupidù │poesia visiva, scrittura e poesia 32 │ricette immorali e poesia 36
Nessuno e William Blake│cinema, Dead Man, Jim Jarmusch 39
Né carne né pesce scrittura e poesia 44
Alessandro Gaudio 51
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│Two poems with Bukowski│traduzione di
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Baci Perugina per l’autunno che s’avvicina 48
Efemeridos│Luigi Fontanella 59
La chastité corse du patagonisme│fotografia, Laetitia Casta e Alain Bonheur 65
Valerio Magrelli
Day’s Pondus 21│ cinema, Alfred Hitchcoch, Doris Day, l’indice del pondus 70
│Giovani senza lavoro │poesia 68
La Tiatraounga Cancareja Vázquez Montalbán 76 Giancarlo
dei poeti orientali del sud│ la boca inmoral, la manovra d’Alisandra e Manuel
Pavanello│Poemetto fa rima con fumetto│ poesia visiva 80
Alessandro
Gaudio│Lisbon Story di Wenders│ cinema, l’ombra sonora, Madredeus 82
Fowles-Games │narrativa, giochi e psicologia transazionale di Eric Berne│ John SportivaMente│
Ilaria Bernardini, Marcel Duchamp, V.S.Gaudio│ ping-pong, scacchi, tennis con i dadi, “Topolino” 88
Roux │Lo stereofonico e il terzo senso │musica, Roland Barthes 92
Fontana│Sinergia e così sia │poesia visiva 95
Titanic│ Ettore
Bonessio di Terzet │poesia 98
Acetilene,
lustrura e amore umore │Lucio Zinna│ poesia 105
Minitest
sul film di Isotta Toso │V.S.Gaudio │sei un visiodiffusore demico o culturale? 110
Antonio
Verri│ Ballyhoo, Ballyhoo! │compact-novel 113
Lino
Angiuli │Tella Bruttebbona│ epica picaresca e poetica post-rurale, Claudio Toscani
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La chastité corse e l’occhio dello scimpanzé 65
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Giovanni
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La
Fowles e V.S.Gaudio 85
lunedì 5 novembre 2012│
Romolo Rossi Divagazione In me vagano pensieri e ricordi sul cambiamento delle stagioni . Vario il tempo, il caldo, il freddo, l’aria dolce o rigida o dolorosa : mi invadono e mi investono la mente le immagini che mi raggiungono, da momenti lontano nel tempo : sono memorie di versi dei poeti, di sentimenti contrastanti, e tutte le parole evocano il paese intorno, il cielo, il mare, i prati , le città, gli alberghi, il traffico, il sole, la pioggia, la tranquillità e le paure, ritmano le stagioni, con reminiscenze, nostalgie, rimpianti, e con frasi ed emozioni evocate dalla poesia dei poeti : si associano, si accumulano e si depositano nella mia testa. Si affaccia una breve poesia che insiste nella mia memoria , sul tempo che muta nelle stagioni: TEMPO CHE MUTA Come varia il colore delle stagioni, così gli umori e i pensieri degli uomini.
Tutto nel mondo è mutevole tempo. Ed ecco, è già il pallido, sepolcrale autunno, quando pur ieri imperava
(Cardarelli)
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la rigogliosa quasi eterna estate.
Inizia l’anno,sempre coll’inverno. Tutti i popoli del nord, dei diversi paesi settentrionali, hanno sempre la mente in Italia con il clima mite e dolce: molti pensano che in Italia l’inverno sia tiepido e soleggiato . In realtà non è così, ed il freddo spesso è rigidissimo. Così è duro e terribile, e tutto l’Appennino è sempre sommerso da neve ghiacciata, ed è flagellato dai venti che vengono da nord-est sui monti e dalla schiena dell’Italia e scendono nelle pianure: solo preciso, espressivo e sicuro nella sua lingua, Dante in pochi versi dipinge il rigore della stagione con realtà e verità, ed è un netto quadro meteorologico. Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d’Italia si congela, soffiata e stretta dalli venti schiavi. (Pur.XXX,69-71). E si pensa che in inverno si accendono i fuochi. Ho visto ancora le stufe ed i camini dove si faceva la fiamma: un tempo esistevano le cucine a fuoco e nelle fucine c’erano i maniscalchi ed i fabbri nelle officine: col ricordo del fuoco ed il fumo ritornano antiche scene invernali. I pensieri tutti intorno ai fuochi ora scomparsi, e con le grandi nostalgie eccoli i ricordi: Quale nell’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani. (Inf.XXI,7-9)
E si che l’inverno è più corto:è vero, pare freddissimo, di un terribile freddo, ma solo in realtà per un mese,ed io ricordo l’inverno sempre più corto con il cielo limpidissimo, e le notti erano freddissime e stellate e si mescolano i miei ricordi con i versi di Dante:
sì, che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. (Par. XXV,101-102) .
Ho ricordi sempre diversi, giorni di luce ed il sole al mare è brillante ed il cielo luminoso, ma l’aria è ghiacciata; l’inverno trabocca di contentezza senza angoscia, anche se talora l’ animo è intirizzito e rabbrividisce. O felicità, un ornamento , decoro e bellezza ; ma improvvisa la tristezza è portata dall’inverno e arriva terribile e cupa. Mi ritorna la poesia di Leopardi, ahi la scoramento:
… In queste antiche Al chiaror delle nevi,intorno a queste Ampie finestre sibilando il vento, …
Ritorno a voi;che per andar di tempo,
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Della mia prima età!sempre,parlando,
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O speranze,speranze;ameni inganni
Per variar d’affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. (Leopardi)
Guardare attraverso la finestra, le ricordanze del chiarore delle nevi e delle luci livide portano a volte le angosce. Anche i versi di Montale sono delicati senza essere leggeri , ma le immagini sono impaurite, dolorose e cupe nell’inverno:
Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglio, era l’incartocciarsi della foglia riarsa,era il cavallo stramazzato.
Per rendere i vissuti ed i pensieri dell’inverno, evoca come cambia la natura, le foglie sono secche,arse e sono morte o morenti,il vento che sibila. Il poeta usa parole dure e chiuse,”strozzato” “incartocciarsi” “stramazzato”, la vita soffocata diventa “gorgoglio”. Penso che un altro poeta parlava d’inverno con Freud passeggiando, e l’amico poeta diceva che la natura muore e scompare nell’inverno. Penso ancora che l’Italia ha rigidi gennaio e febbraio,freddissimi , con un tempo mortale: gelo,neve,venti sibilanti,e l’Appennino è gelato specialmente dai venti del levante dai paesi slavi, che i russi chiamano il “buran” come noi diciamo bora o tramontana, e che arriva da levante superando i monti fino al ponente . Bravo Dante, bravo Leopardi e bravo Montale. Nell’animo i ricordi, le mie ricordanze sono mescolate coi versi dei poeti. O spesso la paura e l’angoscia esplodono nell’inverno ! Baudelaire in terribili versi,con le sue parole gelide racconta sentimenti di paura o morte:
Bientot nous plongerons dans les froides ténèbres; Adieu,vive clarté de nos étés trop courts! J’entends déjà tomber avec de chocs funèbres Le bois retentissant sur le pavé des cours.
Tout l’hiver va rentrer dans mon etre:colère, Haine,frissons,horreur,labeur dur et forcé,
(Baudelaire)
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Mon coeur ne sera plus qu’un bloc rouge et glacé.
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Et comme le soleil dans son enfer polaire,
Ecco l’inverno, con poca luce , le fredde tenebre,e dentro collera, paura, brividi, ed il cuore è un blocco di ghiaccio: essa porta con sé questo gelo e questa tristezza ; sono le emozioni che insinua l’inverno, l’oscurità e la morte: i versi di Baudelaire dipingono con pennello le parole, i vissuti ed i paesaggi dell’inverno. Ma spesso sentimenti d’amore e passioni arrivano in pieno d’inverno, ed il freddo febbraio può portare dolcezza ed affetto caldo, un bel contrasto : Shakespeare ricordava San Valentino . I cacciatori a febbraio suonano i corni e svegliano il giorno, e gli uccelli nel bosco saltellano e si accoppiano, in un’aria fredda e frizzante che dà un senso di spinta spumeggiante ed effervescente: alcuni sentimenti possono essere felici. Ecco, ecco:
Go, bid the huntsmen wake them with their horns. Horns, and they wake ; shout within ; they all start up Good morrow, friends – Saint Valentine is past! Begin these woodbirds but to couple now? (Shakespeare –A midsummer night’s dream)
Ma in inverno la contentezza spesso non è presente e quasi sempre l’animo è cupo, scuro, così corrotto ,e tutto scompare come involano le foglie di Sibilla, ulula il lupo all’uscio ed il vento lugubre sibila e passa la sventura, nel prato spelacchiato passa l’ombra della falce, come ci racconta il colore dei tempi la sua poesia di Sylvia Plath:
Temper of Time.
An ill wind is stalking While evil stars whir And all the gold apples Go bad to the core.
Black birds of omen Now prowl on the bough;
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Sybil’s leaves blow.
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With a hiss of disaster
Through closets of copses Tall skeletons walk; Nightshades and nettles Tangle the track.
In the ramshackle meadow Where Kilroy would pass Lurks the sickle-shape shadow Of snake in the grass.
Approaching his cottage By crooked detour, He hears the gruff knocking Of the wolf at the door.
His wife and his children Hang riddled with shot, There’s a hex on the cradle
ďƒ˘ v.s.gaudio
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And death in the pot. (Sylvia Plath)
La primavera viene dopo l’inverno, la bellissima primavera oppure la maledetta primavera , una canzone che ricordo. E’ una stagione mite e porta fresco e non caldo: la stagione è varia, soffiano leggeri e timide brezze, arie tranquille ma i venti intensi ed impetuosi talora portano le piogge, spesso arrivano i temporali; anche se l’acqua frequente serve alla terra, ma accade che l’acqua può essere violenta : le burrasche ed i torrenti investono e distruggono le coltivazioni, orti, viti, alberi di frutta. Ma la primavera è un po’ pazza. La fine di Marzo è cangiante, ed a Maggio cominciano a fiorire i fiori degli alberi, e le rose nel mese mariano. Il profumo dei fiori si diffonde dall’inizio primavera fino a giugno. Le rondini tornano sotto i tetti da lontano, e in questa la stagione le ragazze sciamano con le rondini,ed un poeta futurista mi ricorda di guardare nei tram: Le rondini in deliziose cappe di raso nero dattilografavano il risveglio dettato dall’aurora (Farfa-Vittorio Tommasino)
Ecco Alceo (tradotto da Quasimodo) , mi ricordo questo mondo rinasce:
Io già sento primavera Io già sento primavera coi suoi fiori: versatemi presto una tazza di vino dolcissimo. (Alceo)
Tutto ricorda Alceo che ci dice il dolce della stagione,ma lo so che in primavera tutti i fiori fioriscono,ma gli umani si ammalano nel corpo, e la mente si turba ed affiorano la depressione, l’ angoscia e la pazzia. In particolare e la primavera è inquieta ,è un turbamento,piena di tensione, di piacere e di dolore, nel corpo e nella mente,e mi viene da pensare ad una poesia di Sylvia Plath di fronte ad un acquerello : è primavera che è tranquilla ma nasce l’angoscia:
Watercolor of Grantchester Meadows.
Nothing is big or far. …..While the students stroll or sit,
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Stilled ,silvered as water in a glass
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There, spring lambs jam the sheepfold. In air
Hands laced ,in a moony indolence of loveBlack-gowned ,but unware How in such mild air The owl shall stoop from his turret ,the rat cry out. (Sylvia Plath)
Ecco la primavera: l’atmosfera sarebbe tranquilla,come un bicchiere d’acqua,ma gli agnelli devono essere sacrificati,e tra passeggiate d’amore, in un’aria così dolce, gli studenti sono avvolti in toga, neri , ed il gufo calerà dalla sua torre e striderà il topo . L’aria è dolce e tranquilla,ed il mondo è di fiori ed armonia ma , così per Petrarca, in cuore tutto questo diventa un deserto .
… ed era il cielo a l’armonia sì intento che non se vedea in ramo mover foglia, tanta dolcezza avea pien l’aere e ‘l vento. …. Zephiro torna,e’l bel tempo rimena E i fiori et le erbe,sua dolce famiglia, et garrir Progne et pianger Philomena, et primavera candida et vermiglia. … Et cantar augeletti et fiorir piagge, e’n belle donne honeste atti soavi sono un deserto,et fere aspre et selvagge.
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I fiori e le brezze profumate sono piene di bellezze ed uccellini,ma cosa succede? Nel mondo ci sono l’armonia e pace, ma nell’animo improvvise scompaiono la tranquilla natura e la felicità. Ciò perché Proserpina viene ratta nell’Averno, e la sua mamma Cerere dolorosa fa avvizzire i prati ed i boschi. Oh sì nell’umanità vi sarebbe una primavera,ma solo in un altro mondo: così germoglia in questa primavera sempiterna in Paradiso (Par.XXVIII,116). Ma Dante ci ricorda che in terra Cerere perdette la figlia rapita da Ade, e scomparvero i fiori.
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(Petrarca-Il canzoniere)
Qui fu innocente l’umana radice; qui primavera sempre ed ogni frutto; nettare è questo di che ciascun dice .
Tu mi fai rimembrar dove e qual era Proserpina nel tempo che perdette la madre lei,ed ella primavera. (Pur. XXVIII, 142-144,49-51)
Prima la primavera un giorno c’era, come ci racconta Ovidio , in questo mondo , prima che fosse ratta Proserpina , e la sua mamma Cerere faceva fiorire la natura, ma, perduta la figlia, la mamma fece oscura la natura.
Ver erat aeternum placidique tepentibus auris Mulcebant zephyri natos sine semine flores.
E scomparse la figlia rapita e Cerere:
…Primis segetes moriuntur in herbis Et modo sol nimius,nimius modo corripit imber, Sideraqua ventique nocent avidaeque volucres Semina iacta legunt;lolium tribulique fatigant Triticeas messes et inexpugnabile gramen. (Ovidio. Met. I,107; Met. V,482-486).
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E l’estate è spesso torrida , calda ed irrespirabile, ma se talora soffia il venticello è dolce e tiepida, e con brezze fragranti dal mare. Vacanza oggi è il momento : ma i giorni non molto lontani o già d’oggi , sono in realtà malsani . Spesso Noto, o si chiama lo scirocco, viene dall’Africa, dal deserto soffocante. Il sole brucia, i prati che perdono il verde e diventano gialli e riarsi, e l’estate non è mite e sono difficili le giornate di vacanze ; i viaggi complessi e si affollano, le strade si ingorgano e rendono i viaggiatori di malumore, e tutto il mondo è pieno di folla e calca.
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Ecco la primavera porta le malattie e la melanconia e l’angoscia. Tutti lo sanno!
Dante ricorda i periodi estivi ed i giorni insalubri. Grama l’estate, pieno d’insetti noiosi e nocivi, e nella pianura padana è rovente ed umida. Non molto ha corso, ch’el trova una lama, nella qual si distende e la ’mpaluda; e suol di state talor esser grama. (Inf.XX,79-81) In questa stagione le persone sono molestate , e Dante ci descrive che sono infastiditi i cani e gli uomini. non altrimenti fan di state i cani or col ceffo,or col piè,quando son morsi e da pulci o da mosche o da tafani. (Inf.XVII,49-51) Dante è preciso,e ci descrive che all’inizio ed alla fine dell’estate le mosche sono sostituite dalle zanzare. Noi oggi sappiamo che le mosche sono frequenti in primavera ed autunno,perché in estate sono decimate per un’epidemia di virus delle mosche, mentre le zanzare le sostituiscono. Ma le messi sono nei campi pieni di lucciole, il poeta ci ricorda il mondo così bellissimo. Sotto il sole rovente si vedono guizzare le lucertole, stupenda scena di vitalità e di vita grandiosa : Dante! Quante il villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede a la zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’è vendemmia ed ara (Inf.XXVI,25-30)
Come ‘l ramarro sotto la gran fersa Dei dì cunicular, cangiando sepe,
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Talora in estate, specialmente in agosto, arrivano rovesci di pioggia e temporali con intense grandinate . Alla metà di agosto un patrizio romano di nome Laterano incontrò in mattina il Papa Pasquale che gli raccontò un sogno : era nevicato nell’Esquilino,e Laterano gli disse di aver fatto lo stesso sogno. Così assieme arrivarono sull’Esquilino ed in cima il colle era bianco per la neve: miracolo ! ed il Papa costruì nel colle la grande chiesa, S. Maria Maggiore, e , all’interno della chiesa, in agosto, fa fresco . No, non era un miracolo,era una grandine,non neve. Dante lo dice bene che si scambia la grandine con la sua sorella neve. Ecco:
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folgore per se la via attraversa (Inf.XXV,79-81).
quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua sorella bianca, ma poco dura alla sua penna tempra; lo villanello a cui la roba manca, si leva,e guarda,e vede la campagna biancheggiar tutta; on d’ei si batte l’anca (Inf.XXIV,3-9)
E nell’estate, diciamo, i colori, sfumano : i rossi, gli azzurri, i gialli ,in tenui pastelli ; e così il marrone dei campi riarsi o il cilestrino del bleu marin , del bleu profondo del mare e azzurrino del cielo. I versi sono dovunque : nelle memorie ,nei pensieri,la poesia ed i sogni. Intanto nel sogno di una notte di mezz’estate, Shakespeare arriva il messaggero:
Oberon: I wonder if Titania be awaked: Then what it was that next came in her eye, Which she must dote on, in extremity. Puck:
Here comes my messenger .How now ,mad spirit? What night-rule now about this haunted grove?
(Shakespeare. A midsummer night’s dream)
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v.s.gaudio
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Ecco nel mondo c’è intenso incanto nei boschi per tutti, grazie alle parole dei poeti , e colori, e discorsi sottovoce, soffi, brezze si possono ascoltare dovunque. Ascoltiamo Camillo Sbarbaro:
Era color del mare e dell’estate La strada tra le case e i muri d’orto Dove la prima volta ti cercai. All’incredulo sguardo ti staccasti Un po’ incerta dall’altro marciapiede. Nemmeno mi guardasti .Mi stringesti, con la forza di chi s’attacca,il polso. A fianco procedemmo un tratto zitto. (Sbarbaro) Ecco melograno, rosso, come il geranio è il vermiglio, dovunque s’ introduce nei ricordi dei fiori e dei giardini, e dei muretti riarsi , con il colore monotono dell’oscurità dell’animo. Sentiamo Pascoli , Gozzano e Montale, ed i colori portano con se il lutto. O il rosso del melograno, dove io ricordo che unisce il rosso ed il caldo,il colore, ed il sole dovunque, ed intorno sempre sento il frinire delle cicali nell’afa,e lontano nella canea abbaiano i cani, lontani? Sogno d’un d’estate. Quanto scampanellare Tremule di cicale! Stridule pel filare Moveva il maestrale Le foglie accartocciate. Scendea tra gli olmi il sole In fascie polverose; erano in ciel due sole nuvole,tenui,ròse: due bianche spennellati in tutto il ciel turchino. Siepi di melograno, fratte di tamerice,
l’angelus argentino… dov’ero?Le campane
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d’una trebbiatrice,
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il palpito lontano
mi dissero dov’ero, piangendo,mentre un cane latrava al forestiero, che andava a capo chino. (Pascoli) Ed è vivacissimo del geranio, pennellate sulle finestre e sui balconi, ed un’altra pennellata è una grande variopinta farfalla che svolazza col suo andare tremula, vediamo: E intorno declina l’estate. E sopra un geranio vermiglio, fremendo le ali caudate si libra un enorme Papilio… (Gozzano) L’estate tutte le cose sono riarse, e la vita è stentata, di aria amara, non c’è l’ombra , e ciò che vediamo è tutto secco, l’arsura dà angoscia, e ci aspettiamo la pioggia che non arriva: Gloria del disteso mezzogiorno quand’ombra non rendono gli alberi, e più e più si mostrano d’attorno per troppa luce,le parvenze,falbe. Il solo alto,-e un secco greto. Il mio giorno non è dunque passato: l’ora più bella è di là dal muretto che rinchiude in un occaso scialbato. L’arsura,in giro;un martin pescatore Volteggia s’una reliquia di vita. La buona pioggia è di là dallo squallore, ma in attendere è gioia più compita. (Montale)
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L’autunno è una stagione turbolenta , scendono piogge a rovescio , talora inondazioni , temporali e tempeste. I fiumi ed i torrenti, dall’alto si riversano in violenza in mare, e spesso i ruscelli prima secchi diventano impetuosi in autunno scendendo dall’appennino e si precipitano in breve in mare, ma si creano alluvioni e distruzioni,ed i monti si sfaldano e si disgregano,con frane rovinose. Questi ricordi si sollevano col poeta che racconta:
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♫L’url del video di Chris Rea
Come ai meridional tiepidi venti, che spirano dal mare il fiato caldo, le nievi si disciolveno e i torrenti, e il ghiaccio che pur dianzi era sì saldo; così a quei prieghi, a quei brevi lamenti il cor de la sorella di Rinaldo subito ritornò pietoso e molle, che l’ira, più che marmo, indurar volle. (Orlando .XXXVI,14) Il nostro Ludovico Ariosto mi fa capire che in autunno il terreno solido e la terra si sfaldano: molle, non salda e in questa stagione il territorio è precipitoso e franoso, e dei paesi diventano ruderi. Attenzione! L’autunno è una grande allegoria della morte, così la vita è fragile come le foglie che cadono dai rami degli alberi: Diceva Virgilio: Quam multa in silvis autumni frigore primo Lapsa cadunt folia,aut ad terram gurgite ab alto Quam multae glomerantur aves,ubi frigidus annus Trans pontum fugat et terris inmittit apricis (Aen.Vi,309-312)
Così al primo freddo autunno volteggiano e cadono le foglie nei boschi, o gli uccelli si spingono dal profondo mare verso le terre aperte al sole. Tutti versi di Virgilio, me li ricordo, e anche Dante ha Virgilio in mente ed ha pensato all’antico latino: Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso dell’altro,fin che ‘l ramo vede alla terra tutte le spoglie, similemente il mal seme d’Adamo gittansi di quel lito ad una ad una,
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Gli umani come le foglie,uno ad uno,si raccolgono assieme nella morte, e la similitudine così, come questo il dolce raggio giallo del morente autunno, per Baudelaire è l’effimera dolcezza d’un glorioso autunno e di un sole al tramonto ! Ma oggi com’è tutto amaro! Il tuo amore, il salotto, il focolare, nulla vale il sole sfolgorante là sul mare. L’autunno di Baudelaire:
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per cenni come augel per suo richiamo (Inf.III,112-116).
v.s.gaudio
J’aime de longs yeux la lumière verdatre, Douce beautè, mais tout aujourd’huy m’est amer. Et rien, ni votre amour, ni le boudoir, ni l’atre, Ne me vaut le soleil rayonnant sur la mer. Et pourtant aimez-moi, tendre coeur!Soyez mère Meme pour un ingrat, meme pour un méchant; Amante ou soeur, soyez la douceur éphémère D’un glorieux automne ou d’un soleil couchant.
Courte tache! La tombe attend ; elle est avide! Ah! laissez-moi , mon front posé sur vos genoux, Gouter, en regrettant l’été blanc et torride, De l’arrière-saison le rayon jaune et doux! (Baudelaire. Chant d’automne)
Sempre angoscioso l’autunno in Baudelaire, ed è triste ma più dolce in Quasimodo, come“ed è subito sera:” Finita è la notte e la luna
E’ così vivo settembre in questa terra
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tramonta nei canali.
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Si scioglie lenta nel sereno,
Di pianura,i prati sono verdi Come nelle valli del sud… (Quasimodo) Come la tristezza risalta dal vissuto di turbamento di un oscuro giorno autunnale, dove la burrasca è via, lontano: l’immagine è espressiva, moderna ,“stracci di nubi chiare”: il poeta ci insegna a scrivere. Temporale Un bubbolìo lontano… Rosseggia l’ orizzonte, come affocato,a mare; nero di pece,a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano.(Pascoli) I versi di Sylvia Plath parlavano dell’autunno, con la melanconia ,la morte, e le sue parole ritornavano alla poesia di cent’anni fa di Baudelaire: nella Plath ritorna l’eco del poeta francese . Lo scenario è ostinato: alberi avari si tengono strette le foglie dell’altr’anno, rifiutano il lutto, la veste di sacco, e si trasformano le driadi elegiache,e l’erba austera custodisce lo spietato della sua erbosità , a dispetto dell’intelletto magniloquente che disprezza la povertà. Nessun grido di morti fa fiorire nontiscordardimé in mezzo alle pietre che lastricano questa terra greve: il dolore fa finire la stagione,e lentamente fievole il tempo svanisce. November grave yard The scene stands stubborn: skinflint trees Hoard last year’s leaves, won’t mourn ,wear sackcloth ,or turn To elegiac dryads ,and dour grass Guards the hard-hearted emerald of its grassiness However the grandiloquent mind may scorn Such poverty. No dead men’s cries Flower forget-me-nots between the stones Paving this grave ground… (Sylvia Plath)
Lungi del proprio ramo, Povero foglia frale ,
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Imitazioni.
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Le mie divagazioni possiamo finirle con lievi ma gravi parole di Leopardi, che egli tradusse dal francese Antoine Vincent Arnault
Dove vai tu? Dal faggio Là dov’io nacqui,mi divise il vento. Esso ,tornando,a volo Dal bosco alla compagna, Dalla valle mi porta alla montagna. Seco perpetuamente Vo pellegrina,e tutto l’altro ignoro. Vo dove ogni altra cosa. Dove naturalmente Va la foglia di rosa,
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E la foglia d’alloro.
mercoledì 31 ottobre 2012│
V.S.Gaudio
Aurélia Piedronte la torera piel roja
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Il poeta, come si usa presso gli Algonchini, al torear di Aurélia Piedronte usa esclamare “Manitu”, “Questo è un dio”, oppure “Lei è un dio”, Ummanitowok, l’interiezione di stupore e di ammirazione che è alla base
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Aurélia Piedronte non sappiamo se sia Algonchina, o dei Sioux, degli Irochesi, degli Apaches , Vakanda per lei è il cuanto di hechizo o el cuánto coño, una cualidad leve y libera piuttosto che una determinata entità, tra spirito e mistero Manitu è nelle veronicas o nei volapiés se non nel suo bolero, nel suo cachetero, di ritorno da una corrida disse al poeta “Matame en el culo”, e un’altra volta “Cacheteme el trasero”, abbassandosi la taleguilla de seda, “Corridame en mi agujero”, e poi aggiunse: “Mi agujero no es un espacio hueco,abierto; no es una abertura, no es una hueca: chorra en mi agujero, mi amor!”.
etimologica del Vakanda dei Sioux fu presto sostituita da “Hechura” fin tanto che non sopravvenne “Cuánto de coño”. Adesso che vive a Puerto Peñasco nella Baja di California Norte a est della foce del Colorado tra Mexicali ed Hermosillo nella terra dei muli in un lugar tra i più aridi dell’America del Nord, con gli stessi minimi pluviometrici della Mesa del Norte, e non è messicana come non fu spagnola a Sevilla, è una pellerossa, una jodida de piel roja, la torera si esibisce durante feste private organizzate per uomini d’affari e politici del Texas, del Colorado e della California o per poeti dell’Europa del Sud, come la coppia dei contorsionisti artisti du Cirque d’Hiver di cui narra Harry Mathews[1] , fa la “corrida” per questi uomini che fanno la battaglia dei Gesuiti guardando le sue volapiés, su veronicas per poi corridarle addosso, sul traje de luces, chi sul bolero, chi sulla taleguilla, chi sul trapo, chi pica corto e chi arriba, chi sul pecho, chi sulle nalgas, chi sulle piernas, chi en cara, chi sullo hocico, chi sulle zapatillas, o nell’ agujero più stretto. Ricorda Aurélia che quando faceva la torera a Sevilla , e ora sta aquí in questo porto del culamen, confessava ciclicamente la sua inveterata abitudine a masturbarsi e quando il sacerdote l’assolveva lei si alzava dal confessionale e sollevava la gonna o abbassava i jeans o i fuseaux rivelando che proprio nel momento della confessione aveva commesso il peccato appena confessato aveva fatto la Corrida! [1]Cfr . Harry Mathews, Piaceri singolari, trad. it. Es, Milano 1993: pag.75.
da:
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AURÉLIA STEINER de PUERTO PEÑASCO LA TORERA PIEL ROJA [© 2009]
sabato 27 ottobre 2012│
Raffaele Perrotta La filosofia può dormire in tranquillità
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la lezione è nel porsi nel vagabondare ché la mèta non è plausibile, e si è nel temprarsi! non si è per questo saccenti, il dizionario è rimandato al destinatore lessicale: non una prova né del sangue né del cerchio che restituisca al fattore alfabetico una summa di secolo incerto; e ci si trova a casa nostra con l'invito al viaggiare -
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oggetto soggetto e capitali modi di venire a conoscere il vuoto del caos che forma formantesi attende escludendone il fantasma d'opera tu sai o non sai che il materico non è scritto in lapidarie geste marmoree se non per quel dono di natura che la sa lunga oltre l'album di famiglia la pioggerellina di marzo ebbe a contendere il massiccio della competenza significante e ben altro da dove è coltivabile il segno senza termine alcuno così non fan tutte perché così non fan tutti; nella memoria risuona il vento che al fine lègge i moti del cor - e qui, di nuovo, a indagare la carta bianca del laboropera, grande che sìa la verace e feroce onda della figura geometrica i miei giovani perseguono una rotta che del limite ha la conseguenza del tornante e se è limite, è tutto non dispiegato che nel qui-e-ora: sicché la filosofia può dormire in tranquillità
come se si fosse al primo giorno di mirabili iniziative -, stagioni e fenomeni i cui
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contrassegni dovrebbero giustificare il contraddistinguere - ma il referente è della referenza -: il segno natural/artificiale, non ermeneutica scopre l'arcano.
mercoledì 24 ottobre 2012│La boca inmoral ■ Piperitessolana delle Giovani Marmotte
per i Poeti a Shummulo
Piperitessolana delle Giovani Marmotte per PAP e Pnap che ancora fanno lo shummulo
stroncature che sembravano Il Libro dei Morti tibetano o forse anche i Sutta del Canone dell’Asino di Mia Nonna dello Zen. Tracciando un tenue parallelo fra i interpretarsi in svariate maniere. suoi versi e quelli di Caproni, o Specialmente a tavola. Mi anche di Giovanni Giudici, e, sembrava, non dico una necessità, aggiunse questa volta anche ma quasi un obbligo. E che cazzo! Giovanni Raboni, e inveendo Poi, d’un tratto lo vidi sollevarsi contro i critici a pagamento della dalla sedia per metà o intero, Confindustria e di Bilderberg, e ammutolire, annaspare quindi a lui stesso associati, con freneticamente con le braccia e eloquente furia pitagorica, anche se quindi afferrarsi la gola. Si era fatto non è di Metaponto ma poco ci bluastro in viso, poveretto, e non manca, il poeta, anche isso, era stato in spiaggia ad abbronzarsi, divorava frattanto un piatto colmo di quella sfumatura di turchino che, di Piperitessolana. invariabilmente, fa pensare al Io, s’intende, non potevo fare altro colore archetipo di alcuni poeti del che porgere orecchio, darmi un’aria Golfo di Taranto per via dell’aria compunta e assicurargli che la salubre che quivi si respira, e anche frase, “l’ archetipo-sostantivo di a Roseto Capo Spulico. questo poeta è molto vicino Più tardi, non tornando a casa, all’archetipo-sostantivo della sua avendo pranzato proprio a casa, per presunta funzione spostando la la Traversa Q, che mi fa pensare seconda lettera alla fine a cui viene sempre al famoso Q di cui ho soppressa la a”, poteva anche riferito in Il Marcuzzi[il-
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fare la Piperitessolana come la fa Marisa G.Aìno, fui costretto a sorbirmi anche un poeta di mia conoscenza[1], il quale non fece altro che difendere il suo ultimo capolavoro da una serie di
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Pranzando l’altro giorno non al mio abituale ristorante sulla costa jonica degli ombronia mmâšcânti [·laleggenda-delle-ntrocchjeammascanti·il kamasutra-equinodi-giovanna-i], dove non possono
marcuzzi], della mitica via del Lutri, mi chiesi se il medico d’Alisandra, il cui nome è ormai celebre, quale inventore di quella efficace manovra che avevo visto eseguire poco prima qui a casa e di cui ho evitato accuratamente di rendervene conto, sapesse che c’era
mancato poco che qualora non gli fosse riuscita la manovra io avrei dovuto pagare il conto a mio zio, che è un famoso “barista”(nel senso non di gestore di quel locale pubblico ma di venditore di bare), per il poeta del Capo Aulico, così detto per i capelli unti e oleosi.
Comunque ebbi modo di appurare, e questo mi lusinga, come, all’epoca, una critica di un Piromalli, che il suddetto luminare d’Alisandra conosceva bene il mio saggio sulle valenze dei sali minerali e della vitamina P e C nei peperoni e nelle patate, che, come scrisse Marisa G.Aìno, nel borsino per la ricetta fatta per “GM”, la consistenza del tergo di una Aurélia Steiner dalla compattezza mesoendomorfa che ha un po’ dell’aria “solana” di una abituale lettrice quarantenne delle storie e delle babbaloccherie della Disney, purché abbia almeno una volta letto qualche racconto di Hemingway.
degli esorcismi di Sant’Apollinare di Magonza, santo fornito di tre testicoli e di una cresta sperone con cui uccideva le fidanzate degli eretici”[i]. Insomma, “Piperitessolana” è un piatto facile, come il “Rombo alla diavola”, per stregoni, e poeti, poco pazienti ma di effetto sicuro quanto
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“Peperoni&Patate”[=Piperitessola na] che, per quanto riportiamo la ricetta fatta per le “Giovani Marmotte” della The Walt Disney Company da Marisa G.Aìno, con un po’ di fantasia si può pensare che sia come il “Rombo alla diavola” che, secondo Manuel Vázquez Montalbán, “figura nei palinsesti
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La ricetta "Peperoni & Patate" nella rubrica "Cucina da campo" di Marisa G.Aìno per "GM.Giovani Marnotte" n.4, maggio 1995
le “Fave alla Catalana”, e, come queste, dovrei mangiarla in compagnia di donne voluminose, e non certo in compagnia di questo poeta rompi cazzo, dialettale e massone. “Peperoni & Patate” sono del genus Robustum, con e per un sistema nervoso lento e un paradigma mesoendomorfo: se la partner non ha gli occhi grigi che indossi almeno una gonna grigia e, se proprio si vuole che tutto il paradigma abbia la testura del pesante bagnato, che abbia mutande dello stesso colore. Ricca di sali minerali e di idrati di carbonio, ma con sintagmi da vitamina P e vitamina C, e la soda persistenza della carne, o del tergo, come lo intendeva Merleau-Ponty, speculare al potassio e alle fibre che tengono lontano irritabilità e stanchezza.
La copertina di "GM" n.4, The Walt Disney Company Italia, Milano maggio 1995: a pagina 93 la rubrica di Marisa G. Aìno: "Cucina da campo"
[1] Manuel Vázquez Montalbán, Ricette immorali, trad. it. Feltrinelli, Milano
1992: pag.121.
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Insomma, la “Piperitessolana” , “Cirò” di almeno due anni, si intende il rosso, va da sé, e poi lo Shummulo[ shummulon-vs-shumullar]con la mesoendomorfa da Indice Costituzionale oltre 56 e l’Indice del Pondus altissimo, pari a 9-10(si sa che il valore è decrescente: si va dal primo grado di “altissimo” che è pari a 11, scendendo, scalando, cresce!): ad esempio, una partner con un’altezza pari a 165 cm, che, per avere l’I.P. tra 9 e 10, deve pesare più di 61 chilogrammi, cosicché l’I.C. sia superiore a 57: Hips 95 x 100 : altezza 165= Indice Costituzionale 57.57[che è quello di una normolinea mesoendomorfa]; I.P.: 165 -[Hips 95 + peso 61=]156= Indice del Pondus 9
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Il sommario del n.4 di "GM"
domenica 21 ottobre 2012│Andie Bottrell ■Onaria
ONARIA ROUND LITTLE DUMPLING by Andie Bottrell A round little dumpling with red hair and oil for skin that shines and reflects and her dimply checks get fatter by the meal. Onaria, Onaria in a state of being. She is always in a dream-ward state. She plucks her fingers and sucks at teats, Onaria is a hungry, pretty-little beast and her favorite color is purple.
A round little dumpling,
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Onaria, Onaria in a state of being, she is always heaving and believing, but her beliefs live only in her head where squirrels mate and scurry and her actions are as good as dead.
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She tumbles down hills at the speed of whales and rumbles on swings in a wake of her bouncy curls. She blows kisses to the orange tree.
born of Irish descent, she jigs in her sleep and she’ll never think too deep but she’ll always succeed at role-playing.
Onaria Piccola polpetta rotonda di Andie Bottrell italian version by alessandro gaudio Una piccola polpetta rotonda con i capelli rossi e l’olio per la pelle che brilla e riflette e le sue guance a fossetta ingrassate dal pasto. Onaria, Onaria in uno stato d’essere. Lei è sempre in uno stato rivolto al sogno. Si pizzica le dita e si succhia i capezzoli, Onaria è una bestia piuttosto piccola e affamata e il suo colore preferito è il viola.
Una piccola polpetta rotonda,
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Onaria, Onaria in uno stato d'essere, sempre ansando e credendo, ma le sue convinzioni vivono solo nella sua testa dove gli scoiattoli si accoppiano e corrono velocemente e le sue azioni sono praticamente morte.
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Rotola giù per le colline alla velocità delle balene e rimbomba in un lontano oscillare lungo la scia dei suoi riccioli gonfi. Soffia baci all’albero di arance.
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di discendenza irlandese, si maschera nel sonno e non penserĂ mai troppo a fondo ma riuscirĂ sempre nel gioco di ruolo.
giovedì 18 ottobre 2012│Nadia Cavalera ■ Rap scupidù
Nadia Cavalera Rap scupidù
superrealismo allegorico © nadia cavalera
Rap scupidù Eliminiamo il parlamento lallamento tout court
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È serpente abbiente inefficiente dracula del committente È mediatore sfiduciato intossicato d’ogni reato È appendice infelice che dice e non produce È parassita cosmopolita che s’agita e non s’avvita È bubbone buffone che propone e non dispone
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A che serve dimmi tu a che serve dimmi tu scupidù
È un peso letale sul nostro groppone (: grida rivoluzione) Eliminiamo il parlamento lallamento tout court A che serve dimmi tu a che serve dimmi tu scupidù 1 aprile 2012
Il poeta un innocuo che gioca col fuoco ma non cambia niente lascia tutto uguale immantinente 4 aprile 2012
© nadia cavalera superrealismo allegorico
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Dopo l'acme del sessantotto scoccò per i superiori sfruttatori la reconquista a dirotto spotto e subaltenamente per gli inferiori loro sostenitori intraprendenti cialtroni la recessione al botto trotto scotto Ché chi ha avuto tutto gode dell'altrui totale umiliazione
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Dopo l'acme del sessantotto
(: pronte però per i media le lacrime di scena) 29 marzo 2012
Il trio dello sfrigolìo popolare E voila ecco qua il trio dello sfrigolìo popolare Alfano il pescatore che ci tiene a farsi ritrarre di fianco alla preda del padrone. Bersani il tonno in sonno tonto che par colto di sorpresa nella rete da decenni tesa Casini il ruffiano esecutore di longo piano che qui si finge indifferente per non pesare troppo sulla spompata gente 28 marzo 2012
Madre Nostra Orsù donna con la madre terra nella gonna già bimba seme di miele negli occhi stelle di stele Riprendi le redini di Cibele Riplasma il mondo rotto corrotto Senti è un assolo strambotto sfuggito al tuo motto rimbrotto Soffia vita pulita su questa croce avita Liberaci dal male fatale prima della morte sorte lì alla nere porte Donaci la giustizia smarrita nel profondo custodita riverita rinverdita E così Maria sempre sia
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5 dicembre 2011
© nadia cavalera superrealismo allegorico
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© nadia cavalera superealismo allegorico
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© nadia cavalera superrealismo allegorico
domenica 14 ottobre 2012
La boca inmoral ■ Taramà di sardicella e il poeta scientifico in via del Lutri
“Lei - dissi- è veramente poeta. In ogni caso fa venir da ridere, anche dopo averla ascoltata, e soprattutto dopo averla vista mangiare la Taramà di sardicella, paragonare quello che è lei con ciò che sono i poeti di queste parti…e ce ne sono, come le macchine diesel, 3 per ogni famiglia, compreso il cane e il gatto, i ciucci son pochi adesso e quelli, si sa, volano tutti…” “Amico mio, già gliel’ho detto, gliel’ho già provato - e giù bocconi grandiosi di Taramà di sardicella -…e adesso glielo ripeto…La differenza è solo questa: loro sono poeti solo in teoria, io lo sono in teoria e in pratica; loro sono poeti mistici e io scientifico- e qui mi stava andando il boccone di Taramà di traverso- loro sono poeti che si sottomettono, io sono poeta che combatte e libera…In una parola: loro sono pseudo-poeti e io sono poeta!”
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Pranzando l’altro giorno al mio abituale ristorante sulla costa jonica degli ombroni ammâšcânti [la-leggenda-delle-ntrocchjeammascanti·il-kamasutra-equino-digiovanna-i], dove fanno una Taramà di Sardicella veramente squisita, fui costretto a sorbirmi anche un poeta di mia conoscenza[1]: “Sì - diceva il poeta- che uno nasca poeta, nasca naturalmente poeta e pertanto incapace di qualunque sforzo per liberarsi…Ma in quel caso…in quel caso…che cosa ha a che fare lui con la società libera o la libertà? E questa ‘via della Libertà’…dopo via del Lutri e via Kennedy…Se un uomo nasce poeta, la libertà, essendo contraria alla sua indole, che cazzo ci fa in via della Libertà con la contiguità del Lutri?” Fece una breve pausa. Ciucciò un pezzo di pane nella sardicella commista all’uovo. D’improvviso, penso adesso gli prende un colpo…, no, rise forte.
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Taramà di sardicella e la libera tiritera del poeta scientifico in via del Lutri nel paese dei poeti mistici
E ruttò. E ci alzammo da tavola. Senza che nessuno avesse ancora chiesto il conto.
E' da qui che provengono tutti i poeti mistici , dal locus dondeha origine la manovra d'Alisandra, è una questione naturale e notarile? E il poeta scientifico che sgombra più piatti Taramà di sardicella e tracanna pessimo vino degli Ogliaroni che cosa ha tatuata in fronte? La Rosa Mistica? La sardicella non è qui chiamata anche "rosa marina"?
[1] Scrive Manuel Vázquez Montalbán che “Durante il pasto si può citare un poeta orientale di altri tempi che abbia lodato il piatto, particolare colto che quasi nessuno sarà in grado di controllare”[M.V.M., Ricette immorali, trad.it. Feltrinelli, Milano 1992]. Noi non sveliamo il nome del poeta calabro-orientale con cui abbiamo dovuto condividere il piatto che, nella versione originale, viene fatto con 250 g di bottarga, 2 fette di pane, 1 tuorlo d’uovo e che , secondo Manuel, solo gli ebrei di Paris riescono a ottenerne una edizione bianca, deliziosa, preparata senza dubbio con uova di pesci trasparenti, un po’ come qui che se la Taramà di sardicella viene fatta con le alici, la Taramà s’annerisce e c’è la mano del popolo ombrone d'Alisandra e gl’Albedonë e fa venire in gola la versione greca di Taramà fatta con rancido purè di patate e che chiamano taramasalata .
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Natura, ma nell’applicazione della qualità. Per questo le dico: quelle che sono esclusivamente disuguaglianze naturali, la poesia, io e la Taramà con la sardicella, su di esse nessuno ha alcun potere, nemmeno i ‘gliaroni, né c’è mutamento sociale che le modifichi, tanto si può venire qui e, tac, si è poeti e facciamo la sardicella, così come non si può diventare me alto e lei basso”. Ormai, ero sicuro: oltre alla Taramà di sardicella, il poeta scientifico s’era ingozzato una pinta del banchiere anarchico di Fernando Pessoa. Che, a dire il vero, più che scientifica questa finzione sociale a me pare del tutto mistica. ▬
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Il poeta scientifico mi prese sottobraccio e mi sussurrò all’orecchio: “Ah, amico mio: la Taramà con la sardicella, questa sì che è disuguaglianza naturale e non sociale… Con questa la poesia non c’entra nulla. Il grado di intelligenza o di volontà di un individuo ha a che fare con lui stesso e con la Natura, la poesia non c’entra un cazzo; le stesse finzioni sociali in questo non ci mettono né l’uovo, né..’u pipirûssë. Ci sono qualità naturali, come le ho già detto ( ‘u puètë, scientifico, mi dava del lei…’u ‘mbrônë!), che si può presumere siano state corrotte dalla lunga permanenza dell’umanità nelle finzioni sociali; ma la corruzione non è nel grado della qualità della Taramà con la sardicella, che è dato totalmente dalla
La Taramà dovrebbe avere in sé il paradigma di ή, “agitazione”, “turbamento”, “scompiglio”, “confusione”, se ci si riferisce al greco antico; per il greco moderno, è ός, il termine traducibile con “agitazione” e “turbamento”. Per prepararla, si sbriciolano due fette di pane in una tazza di latte e si amalgama con i 250 g di bottarga(uova affumicate di muggine, di merluzzo o di tonno) pestando nel mortaio insieme al sale, il pepe, il tuorlo d’uovo, l’altra tazza di latte, una cucchiaiata di aceto e il succo di limone. Vi si versa a poco a poco l’olio, lavorando il tutto come si fa con la maionese, e si continua sino a quando l’impasto acquista un’analoga consistenza. La Taramà di sardicella è, in verità, una designazione impropria,anche se la “confusione” può essere ascritta alla commistione della frittura della
sardellina impeperonata con le uova: il mortaio, in questo caso, sarebbe a monte, cioè quando viene pestato il peperone secco con cui condire la sardicella. C’è comunque da dire che, come la Taramà viene spalmata sul pane più rustico o su crostini, così la Taramà di sardicella, senza la frittura con le uova, cruda può essere stesa sul pane casereccio della Culabria tutta canticchiando Abbandonato o Scivola vai via di Vinicio Capossela, insomma un brano da Rebetiko, sempre che, volendo sentirsi come uno degli ebrei a Paris, che ottengono una deliziosa taramà bianca, non si viri di brutto verso la François Hardy di Tous les garçons et les filles consumando un piatto intero di Taramà di sardicella condita con olio e cipolletta tenera con una partner che abbia almeno lo stesso ectomorfico pondus(roba da indice costuzionale al di sotto di 50) della cantante negli anni sessanta.
L’url di Vinicio Capossela ♫Abbandonato
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♫ L’url del video di Tous les garçons…
mercoledì 10 ottobre 2012│Alessandro Gaudio ■ Nessuno e William Blake
Nessuno, due allotropi e una precaria allegoria
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Il nome del singolarissimo indiano di Dead Man, lungometraggio del 1995 del regista americano indipendente Jim Jarmusch (che prima del ’95 ha già firmato, tra gli altri, film come Coffee and Cigarettes, Down by Law e Mystery Train), è Nessuno. La funzione principale di quest’indiano, educato in Inghilterra e dotato di un carattere complesso e nevrotico, è guidare uno spaesato contabile di Cleveland, chiamato William Blake, attraverso un West visionario e popolato di iperboli visive e tematiche allucinanti, quasi psichedeliche. L’indiano àncora questo calembour alle sue massime che, con paterna perseveranza, continua a propinare al recalcitrante William. «L’aquila non perse mai tanto tempo come quando si lasciò insegnare dal corvo» e «Non si possono fermare le nuvole, costruendo una barca» sono solo alcune delle espressioni proverbiali che l’indiano alterna e confonde con i Proverbs of Hell e con altre locuzioni tratte da The Marriage of Heaven and Hell, scritto nel 1790 dal poeta inglese Blake. Ciò che Nessuno dice sembra fungere da didascalia alle immagini deliranti (colte, in prevalenza, dal punto di vista di William) di questa micro-epopea che descrive il progressivo ricongiungimento dell’«uomo morto» (ancora William Blake) con lo spirito dell’omonimo poeta e prospetta, in questo modo, una rigenerazione, una «nuova nascita». Blake fu anche pittore e incisore e, da autodidatta, disponeva di un incrollabile interesse per la ricerca di quelle forme non convenzionali di cultura che gli consentissero di mettere in questione la condizione sociale dell’uomo. Le sue poesie, spesso originate da una sorta di misticismo del quotidiano, trovano la loro significazione più piena se accostate alle sue opere figurative o alle illustrazioni pensate per esse, così come le sequenze di Dead Man meglio raccontano se affiancate
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Alessandro Gaudio
alle massime di Nessuno. È affascinante osservare come la concezione della realtà del poeta preromantico, basata sulla ricostruzione dei tipi e delle idee eterne partendo dalle cose di tutti i giorni («vedere un Mondo in un granello di sabbia / e un Paradiso in un Fiore Selvatico, / tenere l’Infinito nel palmo della mano / e l’Eternità in un’ora», recitano alcuni famosi versi di Blake), riecheggi nell’impostazione del film di Jarmusch: si perviene a una ricostruzione dell’essenza del mondo che, attraverso il processo critico di demitizzazione (fatto di innocenza e di esperienza) attuato dall’attività immaginativa, prende le mosse dalla visione dell’infinitamente piccolo, dal dubbio, dall’esperimento e dal desiderio di trasformazione che consentono tanto al poeta quanto al regista di drammatizzare (o, che è lo stesso, di riconsiderare) i problemi evocati dalle loro opere│1│.
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Dead Man, in sostanza, è il viaggio che William e Nessuno compiono attraverso un West popolato di figure mitiche e stereotipate e segnato da avvenimenti surreali e macabri│2│. William, senza lavoro, fugge attraverso un universo a lui sconosciuto (la tragedia senza fine dell’esistenza), inseguito da temibili e spietati cacciatori di taglie. Intimorito, in un primo momento, dalle esagerazioni visive che gli sbarrano il cammino, trova in Nessuno – «Colui che parla ad alta voce senza dir niente» è il suo nome indiano – una guida infallibile che, con il passare del tempo, finisce per regolare il suo sistema di attese, secondo un codice di valori fatto di principî senza tempo che, di volta in volta, imparerà ad adattare a ciò che vive. Non si tratta, dunque, di una mitologia bianca che decreta una dimensione neutra e astorica, bensì di una elaborazione razionale dell’immaginazione che, partendo dall’infinitamente piccolo, ricava, antropologicamente e ipnoticamente (che, nella prospettiva intellettuale adottata da Blake, equivale a dire criticamente), un nuovo stadio del reale. In un primo momento, William è scettico riguardo al potere conoscitivo e visionario (più che previsionale) di Nessuno. Man mano che il viaggio dei due prosegue, tuttavia, egli sembra accettare istintivamente gli insegnamenti dell’indiano che, così, finiscono per orientare la sua stessa percezione. L’universo idiomatico di Nessuno diventa la chiave di volta per rendere le visioni di William agibili o, che è la medesima cosa, verificabili logicamente. Con il passare del tempo, Blake è sempre più consapevole che è quella imposta da Nessuno la sola significazione attendibile, la sola in grado di annunciare la verità. Gli oracoli dell’indiano aggiungono o tolgono qualcosa all’ordine esausto del reale: non si limitano semplicemente a restituirne gli aspetti più evidenti; hanno la capacità di rivelare l’orientamento timico di un simbolo o il valore preparatorio di una data azione, indicando, con processi reiterati, maniacali e deliranti, una dimensione che, da surreale, diventa gradatamente l’unica possibile. Le appoggiature di Nessuno anticipano e sanzionano tutte le azioni di William Blake e sono volte a favorire il ricongiungimento con lo spirito del suo allotropo temporale. Il luogo in cui il contabile di Cleveland acquisisce le competenze necessarie al compimento del suo viaggio è quello in cui vagano, pronte a essere carpite, le massime di Nessuno: lo si chiamerà spazio paratopico. In conformità con ciò che William conquista in tale luogo di lotta, seguono le performances (spesso violente) orientate all’interno di una estensione utopica. Le massime dell’indiano sono il preludio del passaggio da uno spazio all’altro, da un intervallo temporale e comportamentale a un altro: nell’insieme costituiscono lo spazio topico della narrazione, quello all’interno del quale si preparano le trasformazioni da uno stato a un altro. Si tratta di variazioni puramente illusorie se prese in sé: ma di fatto, favorendo il ricongiungimento tra l’anima e il corpo del poeta e svolgendosi in uno spazio monocromatico, allestiscono una sorta di contro-spazio, un luogo reale –
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L’url di Dead Man
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Questi, è bene ricordarlo, è studioso di surrealismo (in particolare, dell’opera di André Breton), nonché cultore e scrittore di letteratura beat: da ciò nasce quella estensione particolare della realtà che, all’interno dei suoi film, egli riesce a creare unendo e confondendo elementi tratti dal quotidiano e vedute e correlazioni puramente filmiche. Down by Law, Night on Earth e, ovviamente, Dead Man sono buone esemplificazioni del modo in cui Jarmusch sia in grado di giocare linguisticamente con le immagini di cui dispone: spiegano la maniera in cui egli si diverte a rovesciare o a riposizionare il cliché letterario e cinematografico che ha appena evocato. Anche in Ghost Dog, film del 1999, è facile scorgere un’organizzazione logico-strutturale simile a quella riscontrata in Dead Man: il racconto e le immagini sono un residuo fantasmatico della visione di un unico soggetto, la cui distorsione (o rivisitazione) agisce (linguisticamente) sull’impianto e la distribuzione dei vari episodi e (letterariamente) sull’allestimento visivo e le suggestioni tematiche delle singole sequenze.
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dice Foucault – ma fuori da tutti i luoghi│3│. Un piccolo luogo di lotta mentale all’interno del quale è possibile scorgere la complessità della visione. Da un punto di vista cineastico, a sanzionare gli intervalli tra gli spazi nonché una certa essenzialità narrativa, intervengono quegli iàti spazio-temporali costituiti dalle dissolvenze su nero│4│: tali spaziature (spesso impiegate da Jarmusch per sottolineare il carattere soggettivo della figurazione) suggeriscono un orientamento diacronico, una continuità che sembra contraddire il tempo azzerato, il circolo del destino predisposto da Jarmusch. Si tratta di uno spazio topico dal quale William si allontana definitivamente disteso sulla sua canoa, nella sequenza finale del film. La morte per William è il vero spazio eterotopico, il cui raggiungimento sancisce la conclusione della sua fuga, la fine di quel viaggio predisposto e costellato dai consigli dello strano indiano e portato a compimento mediante un’azione immaginativa (e dunque intellettuale, se non poetica) costante sulla realtà. Le parole di Nessuno, con la loro ambiguità e la loro allusività, rimandano a una sapienza anteriore. Questa si manifesterebbe al profeta mancato (William Blake) attraverso le frasi del divinatore (Nessuno). L’indiano è il mezzo di una violenza differita, luogo in cui una sfera oltre-umana (ma ancora terrena) entra in comunicazione con quella propriamente umana. Il carattere differito (e dunque malvagio, immorale) della divinazione indurrebbe a decretare una distanza tra la sfera divina e quella umana: William, in quanto profeta, cerca di interpretarne il significato che, pur essendo spesso ordinario, mantiene un ché di angoscioso, perché eterno e assoluto. L’evolversi della narrazione prescinde dallo scioglimento degli enigmi o dalla loro mancata risoluzione: la tracotanza tutta indiana del logos di Nessuno decreta una fine che non può essere evitata in alcun modo da William Blake. È appena il caso di notare come questa struttura unica e complessa dio-divinatore ricordi quella costituita da Apollo (inteso come un dio malvagio che non vuole che l’uomo comprenda) e la Pizia (la farneticante invasata dell’oracolo delfico)│5│: essa trova una condensazione parziale, temporanea e, allo stesso tempo escatologica, nell’uomo dell’immaginazione, nel genio poetico, nell’umanissimo dio-poeta paventato da Blake e ripreso da Jarmusch.
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Tornando al film del ’95, al di là della determinante funzione di appoggiatura esercitata da Nessuno, risultano rilevanti all’interno del film i due problemi onomastici cui si è fatto riferimento all’interno di questo scritto e che riassumo qui, cercando di considerarne, in conclusione, le rispondenze filosofiche. Il primo riguarda ovviamente il nome dell’indiano: nonostante la componente semantica dell’appellativo sia insolita, Nessuno mantiene la normale funzione di rimando del nome a un corpo sradicato, ma essenziale e dotato di un tempo evolutivo. La sensazione di straniamento che si produce nel chiamare qualcuno con questo nome costituisce l’ennesimo tassello nello scenario paranoico-demenziale di Jarmusch. Il secondo problema è costituito dall’omonimia che lega il nome del contabile a quello del poeta visionario William Blake. L’accostamento a livello discorsivo di due figure denominate allo stesso modo ne fa quasi due allotropi della stessa persona distanziati temporalmente. Questa connessione tra momenti diversi di una stessa ontogenesi è sancita proprio da Nessuno (che a sua volta rimanda al dio nascosto, al dio morto, al Nobodaddy di Blake) che scorterà William fino al ricongiungimento con lo spirito del poeta. L’«uomo morto» – la cui volontà d’esserci (o coscienza di sé) si condensa in quella che si rivelerà ben più di un’armatura vuota – porterà a termine il suo viaggio, disteso su una canoa coperta di rami di cedro e salutato come se fosse un essere che non fa più parte (o, più propriamente, che non ha mai fatto parte) del West descritto da Jarmusch o le cui azioni sono ascrivibili esclusivamente a un contesto idiomatico (o poetico) a-temporale. William, dal canto suo, cerca una prova tangibile del proprio essere, e la troverà all’interno della dimensione nominale ma essenziale, concreta e, nello stesso tempo, astratta e letteraria, messa in piedi con l’aiuto dell’indiano Nessuno. Tuttavia, il suo apparente fallimento (che, in definitiva, è invece un’agognata acquisizione sul piano ontologico e cognitivo) porta ancora una volta allo scoperto il problema della mitologizzazione della vita, la riduzione del disordine della vita all’ordine del mito (o alla sua letteratura, che è il luogo comune o il cliché). Il film può leggersi, insomma, come un canto del cigno dell’allegoria e del feticcio e di quell’ordine retorico che essi implicano: Nessuno prova, con ironia e serietà, a designare in William Blake lo scatto eterotopico, soggettivo e visionario della forma allegorica che deve misurarsi con le cose materiali perché, a quanto pare, non possono essere tralasciate. La dimensione mitologica di riferimento (quella indiana e americana, quella del West e del western, dei bounty killer, del poeta scomparso, ecc.) deve fare i conti con un processo costante di formazione che passa attraverso il corpo e l’esperienza e che non può prescindere dal mantenere un rapporto costante con la realtà quotidiana, pur entrando costantemente in relazione con l’altrove e con il possibile: è per questo che sia Nessuno sia William Blake superano la sfera arcaica e astratta del mito e dell’allegoria e si conficcano invece, tanto con le loro azioni quanto con le loro parole, nella consistenza infernale e fuorilegge, e colorata seppure informe, della loro vita, colta sempre nella sua penultimità│6│; vale a dire nel suo costituirsi come sistema autopoietico che si mantiene con i suoi stessi mezzi e allestisce un personale ordinamento della realtà, ma che ritorna costantemente ad essa (alla sua vera indeterminata consistenza e non alla sua visione meccanica o statica), perché è frutto tanto dell’emergenza di una serie infinita di correlazioni e retroazioni tra i soggetti (generati sul legame indissolubile di spirito e corpo, di passione e ragione, di desiderio e moderazione) e di interazioni tra questi e gli oggetti, quanto della complementarità e della simmetria tra le parole (di Nessuno), i versi e le opere figurative (del Blake poeta, incisore e illustratore) e la visione critica dell’«uomo morto». Ne scaturisce, infine, un’allegoria costantemente rinnovata che, proprio perché continuamente annullata e rinegoziata (sia sul piano paradigmatico sia sul versante sintagmatico) dalla percezione e dalla ricognizione visionaria di William, sancisce una volta per tutte la precarietà e, quindi, l’opportunità del proprio punto di vista. ░
│1│Sull’opera
poetica di William Blake si veda M. PRAZ, Storia della letteratura inglese [1937], Firenze, Sansoni, 2007, pp. 413-415; ma anche l’utilissimo G. FRANCI, R. MANGARONI, Blake: la lotta mentale, in «Per la critica», n. 3, luglio-settembre 1973, pp. 29-43. │2│Dead Man stravolge, di fatto, le marche di identificazione del film western, genere fortemente codificato nel cinema hollywoodiano. │3│Cfr. M. FOUCAULT, Le eterotopie [1966], in ID., Utopie Eterotopie, trad. di A. Moscati, Napoli, Cronopio, 2008, p. 13. │4│Le dissolvenze, a loro volta, si accordano alle svisate della chitarra di Neil Young (compositore delle musiche del film). La chitarra accompagna anche quei picchi emotivi, costituiti dalle sequenze più crude (il cacciatore di taglie che schiaccia la testa dello sceriffo o che rosicchia – con soddisfazione – la mano del suo collega) o quelle dotate di un’accentuata valenza simbolica o mitologica. Sull’argomento cfr. U. MOSCA, Jim Jarmusch, Milano, Il Castoro, 2000, p. 105. │5│Cfr. G. COLLI, La nascita della filosofia [1975], Milano, Adelphi, 1996, p. 20. │6│Per una definizione dell’area semantica del termine, cfr. G. DELEUZE, L’esausto [1992], trad. di G. Bompiani, Napoli, Cronopio, 2005, p. 15 e passim.
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Nessuno, due allotropi e una precaria allegoria è stato pubblicato in: "Zeta" n.90, Campanotto editore, Udine settembre 2009.
domenica 7 ottobre 2012│
ROSA PIERNO NÉ CARNE NÉ PESCE L’unito si annienta da sé. L’avvicendamento delle opposizioni mantiene teso un filo su cui scorrono ricordi, memorie, brani e brandelli, in cui l’io resta presente a se stesso in modo continuo. Solo nell’unità infinita è collocato il corpo e l’inseguo senza sosta e mai demordo e mai concedo fiato. Quel punto di conciliazione dell’unito in quanto opposto, dell’opposto solo perché prima era unito, viene saldato al punto originario per creare un nastro percorribile ad oltranza, senza né capo né coda. La coppia, se unita è stata, ora non è più che l’opposto. Invariabilmente l’opporre e il conciliare rendono silenti gli attori nel medesimo lasso di tempo. Ponendo unitezza e opposizione in congiunzione se ne ottiene che solo io sono infinitamente io. E tu finito sei.
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L’io armonicamente opposto concilia l’armonicamente diverso, ma resta in contraddizione con se stesso e, quando determinato da un terzo elemento, appare unito, ma a un altro ancora, non all’unico e solo.
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L’io può conoscersi come opponente o come relazionante, ma all’interno di una relazione non può conoscersi. Né può essere colto come conosciuto dal conoscente o viceversa, madama bella, né colto come conosciuto e conoscente dalla conoscenza. L’io non è mai puro, è solo transeunte.
Se ci si pone in opposizione con una sfera esterna, sulla cui superficie l’ombra gradatamente sfumi, si può divenire l’altro con sfera. L’io resta non riconoscibile fintanto che rimane disgiunto, anche se appartiene alla più canonica e meno astratta morta natura, coi bicchieri, le lepri, le razze e i coltelli. C’è una differenza importante rispetto al modo di agire dell’io nella condizione precedente, quando si vuole unito a prescindere dalla consapevolezza della separazione. Ed è assimilabile non a paradosso, quanto a incerto stato, da cui immantinente precipita al suolo e rimbalza.
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Nella condizione della solitudine, la natura armonicamente opposta non poteva farsi unità riconoscibile, perché l’io non poteva riconoscersi né come unità attiva, senza negare la realtà della distinzione con l’amato, né come unità passiva, senza negare la realtà dell’unità pur sperimentata. Né carne, né pesce e senza divenire.
venerdì 5 ottobre 2012│V.S.Gaudio ■ Il passeggiato androgino di Annie Lennox
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Annie Lennox non è Shakira che forse non è che potrebbe inscenare un concerto nell’Auditorium della Conciliazione ma come lei va a segno rapidamente, ma senza precipitazione; per questo, chi ascolta pensa che si stia affrettando, invece, come ogni andatura allettante, d’altronde è questo il suo “passeggiato”, ha la leggerezza laterale e la lentezza dell’avanti: come un’allure di
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Posso dire che Annie Lennox pare che abbia un paradigma amorfosanguigno che connota solitamente chi non ha potenza affettiva né profondità, ed è vano cercare in essa il doppio o il punctum o un’ombra, è un paradigma assolutamente iconico, “secco” e “indifferente” che, per farsi vedere e sentire, sembra che s’allarghi come la “tolleranza” o si distenda come la “benevolenza”? Quel che mi attrae del modus cantandi sta proprio in questa apparente mancanza di potenza affettiva che, se vai a sentire, nulla toglie all’intensità o alla esuberanza della melodia, anzi la depriva dei fronzoli inutili e ne sottolinea la larga disposizione. La mancanza di profondità, che non vuol dire che non sia bassa o con la tenerezza androgina, rende più vivace e più impulsiva l’allure, con dei movimenti verticali e centripeti, e, in periodi in cui prevale l’assetto sanguigno, è come se l’iconicità del corpo si facesse più marcata e potente.
bolina stretta, in cui, negli angoli stretti, il senso non può mai essere ottuso, ecco perché questa ostensione erotica quasi sillabica non ha nessuna affettività nascosta da doppiare: e la sensualità secca cosa ha di essenziale se non lo stile distinto, chiaro, netto del Sanguigno e l’atteggiamento brusco e sbrigativo, asciutto e aspro del non-emotivo primario, è così che l’emozione si rompe, con un’ampiezza o una inflessione che va per spiegarsi e ha l’implosione della carezza, che mi ricorda quel che Cocteau scrisse di Marlene Dietrich: ”Il vostro nome comincia con una carezza e finisce con un colpo di frustino.(…)La vostra voce, il vostro sguardo sono quelli di Lorelei; ma Lorelei era pericolosa. Ma voi non lo siete; perché il segreto della vostra bellezza consiste nel prendervi cura della linea del cuore. E’ la vostra linea del cuore che vi pone al di sopra dell’eleganza, delle mode, degli stili;al disopra anche del(…)vostro passo(…)e delle vostre canzoni”.
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♫ L’url di Why di Annie Lennox
martedì 2 ottobre 2012│Ettore Bonessio di Terzet ■ Baci Perugina per l'autunno che
s'avvicina
BACI PERUGINA
per l'autunno che s'avvicina
•Abbiamo bisogno di persone intelligenti come Adriano Olivetti.
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• Eugenio Scalfari che da del "niente" a Matteo Renzi, che lo etichetta come "più di centrodestra", non si ricorda che nei suoi compromessi è riuscito a strappare "La Repubblica" grazie ai favori di Giulio Andreotti? Nessuno è perfetto, neanche nel PCIPDSPD... • Benniana: La Germania è in pericolo ed è un pericolo, o s'inquadra nell'Europa o il suo cammino è finito. La storia è la sfera di esperienza del pover uomo, così come natura e amore sono la produttività dell'uomo limitato. Rimanere nel proprio cerchio: questa sì che è una grande legge. Sono del'opinione che è venuto più male dalla spugnosità che dalla durezza. La realtà come metro, la vita come fine, la natura come modello - ecco lo schifo tedescoeuropeo. • Italia, Bel Paesone. E' finita la prima Repubblica con le monetine, è finita la seconda Repubblica con lo scandalo Lazio. Siamo entrati nella terza Repubblica. Passiamo da una Repubblica all'altra senza cambiare mai le regole generali del gioco - senza cambiare la Costituzione - a differenza della Repubblica Francese che ad ogni cambio istituzionale ha cambiato la Carta Costituzionale. Chi è più corretto? • Non si sente molto la voce della Regione Puglia sulla questione Ilva. • L'artepoesia modifica le cose, trasforma la realtà in reale. Verso Poesia che è perfezione e fascinazione. • Duchampiana: Gli uomini sono mortali, i quadri sono mortali. C'è grande differenza tra un Monet di oggi, completamente nero, e un Monet appena compiuto, così brillante. Gli happening hanno introdotto nell'arte un elemento nuovo: la noia. Non credo al cinema come mezzo di espressione. Forse potrà esserlo, ma in futuro. E' come la fotografia, entrambi sono mezzi meccanici. Non può fare concorrenza all'arte. Rimango all'ombra.[parla di cosa fa a Cadaqués] E' meraviglioso. Tutti, al contrario, prendono il sole per abbronzarsi, cosa che io detesto. Sarebbe preferibile credere in un'altra vita, si morirebbe allegramente.
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Ettore Bonessio di Terzet
• I problemi attuali della Fiat, e non solo, derivano dalla gestione politica dell'Italia postbellica, barcamenata tra libero mercato, dirigismo, assistenzialismo ovvero tra Dc-Pci e comprimari. • (I vescovi italiani hanno ragione a criticare la politica italiana.) I vescovi italiani non devono interessarsi della politica interna ed estera dello Stato Italiano. • Dobbiamo rispettare tutte le religioni e smetterla di satireggiare su di esse per sventolare il diritto di parola e pensiero. Aveva ragione Auden, la libertà è un dovere come la felicità. • De Benedetti teorizza sulla Fiat. Che non ci metta mano altrimenti la sfascia come l'Olivetti. • Storia della Fiat. L'avvocato Agnelli Gianni si trovò una fabbrica, ci visse sopra, mise da parte i dollaroni e se la vendette. • Ma il dottor Giampaolino come faceva a non sapere niente? O il "caso Fiorito" è stato pensato a tavolino e quindi doveva essere lasciato scoppiare? • Ma che cosa vi aspettavate da una borghesuccia arrivista come la principessa di Cambridge? • In genere ogni generazione o due i poteri forti ridistribuiscono la povertà. E si ricomincia daccapo. • Non ci si può fidare della Germania. • Tutti i morti italiani sono solari. Specie i giovani. Mah! • Ad ogni occasione il popolo applaude, anche ai funerali. Senza saper distinguere le situazioni. Molto preoccupante e grave. • Qualunque percentuale prenda, il Sindaco di Firenze Renzi è già la spina di Bersani & company. • Lo sappiamo bene che a molti conviene sopravvalutare il M5stelle. • Che Vendola sposi chi vuole, ma la smetta di fare il doppio gioco in politica. • Fassina non è Fassino. • 19 luglio 1940 • Vorremmo sapere quanti e chi sono al di sopra della legge, in Italia? • Bersani è caduto nel tranello di litigare bassamente, ma ciò lo ha dispensato di parlare di programmi. Ma così non si è autorevoli. Comunque per tutti: beati monoculi in campo orborum. • Basta con il lavoro ignorante! • L'Italia va male (e andrà così finché non si federalizzerà alla Cattaneo) non perché comunista, ma perché è comunalista. • Ma chi è sempre in contatto con Moody's and Company? • C'è più differenza tra un insegnante precario e un insegnante vincitore di concorso nazionale? • Londra. Le 30me Olimpiadi ci hanno insegnato che per volare alto occorre il conoscere e il capire. E hanno polverizzato happening videoart performance ecc. che sono solo archeologia inutile. • I premi letterari valgono meno del Festival di Sanremo. • L'indifferenza della gioventù italiana per la cultura è più pericolosa della Mafia e della Germania. • La Luciana Littizzetto incarna la volgarità sessuomane che ben s'accompagna con il perbenismo ipocrita, piccoloborghese, di Fabio Fazio. • Come mai tanto nazionalismo alle Olimpiadi di Londra? e tanta muscolisità inglese?
• Il presidente Giorgio Napolitano per attuare i suoi piani avrebbe chiamato i carri armati, forte della tradizione ungherese. Poi si è accorto di qualcosa e ha chiamato i professori.
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• Se questa crisi finanziaria indotta non viene controllata, per riequilibrare l'economia si proverà con una guerra regionale, con dietro le "grandi potenze", vecchie e nuove?
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• Gli Italici non sanno né vincere né perdere con misura ed intelligenza.
• Oscar Pistorius. Pone un problema e rivela una contraddizione. Se è accettato ai Giochi Olimpici, non può partecipare a quelli Paraolimpici. Accettato, non possiamo non pensare agli sviluppi che pongono il solito problema tra mente e scienza. • Sono passato tra il vero e il bello, rimanendo sempre nel reale. • Christo ho copiato la sua "formuletta" da H. Moore: Folla che guarda un oggetto legato, 1942. • La Pop Art, e i suoi nipotini legittimi e non, sono per l'Occidente, l'Europa non ne ha bisogno.
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ilcobold.it/baci-perugina
sabato 29 settembre 2012│Andie Bottrell ■ Two Poems with Bukoski
Two Poems with Bukowski by Andie Bottrell
BOOKS THAT BECOME FRIENDS
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Sitting on Public Toilets
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I realize I’m not alone in this (though selfishly I wish I were)I’ve read so much Bukowski that he now feels like an old friend and every book is like a letter or a page out of his diary that he is only ever going to share with me. That is exactly what all poetry should strive to be.
I don’t know why I prefer being alone in public. I’d rather watch than participate, even though I know it makes people feel uncomfortable. You’re not supposed to enjoy being alone. People are pack animals, though I’ve always been more akin to the wolf. In middle-school, I was home-schooled for the latter half and I lost all my school friends who deemed me too weird. And when we moved down south, and I had to go back to public school, the kids ostracized me. It was a small town and outsiders were considered some kind of a threat, though I’m not sure to what. In high school I did some time in the public restrooms. I guess I used to be embarrassed about being alone, too. I guess it’s an acquired taste, like how I now also quite enjoy public restrooms. Panara has a quaint little ladies room. I like to listen to their classical music station while I read Bukowski on the pot.
da: thetakakareview
Libri che diventano amici
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italian version by Alessandro Gaudio
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Due Poesie con Bukowski
Mi rendo conto che non sono sola in questo (anche se egoisticamente vorrei esserlo) ho letto così tanto Bukowski che adesso lo sento come un vecchio amico e ogni libro è come una lettera o una pagina del suo diario che sta sempre e soltanto condividendo con me. Questo è esattamente ciò che tutta la poesia deve sforzarsi di essere.
Seduta nei bagni pubblici Io non so perché preferisco stare da sola in pubblico. Piuttosto che partecipare preferisco guardare, anche se so che fa sentire le persone a disagio. Non dovrebbe piacerti restare sola. Le persone sono animali da soma, anche se mi sono sempre sentita più simile al lupo. Durante le scuole medie, ero scolarizzata a casa per la seconda metà di esse e ho perso tutti i miei compagni che hanno pensato fossi troppo strana. E quando ci siamo trasferiti a sud, e sono tornata in una scuola pubblica, i ragazzi mi hanno rifiutato. Era una piccola città e i forestieri sono considerati una sorta di una minaccia, anche se non so per cosa.
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Suppongo che sia un gusto acquisito, il modo in cui adesso mi piacciono anche molto i bagni pubblici.
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Al liceo ho trascorso un po’ di tempo nei bagni pubblici. Credo che mi sentissi in imbarazzo anche nel restare da sola.
Panara ha un piccolo caratteristico bagno delle donne. Mi piace ascoltare la sua stazione di musica classica mentre leggo Bukowski sul vaso.
mercoledì 26 settembre 2012│La boca inmoral ■ Le Lagana Sybaritica dei tremuli poeti
meridionali della Disney Company
di stroncature che sembravano Il Libro dei Morti tibetano o forse anche i Sutta del Canone dell’Asino di Mia Nonna dello Zen. Tracciando un tenue parallelo fra i suoi versi e quelli di Caproni, o anche di Giovanni Giudici, e inveendo contro i critici a pagamento della Confindustria e di Bilderberg, e quindi a lui stesso associati,
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Pranzando l’altro giorno al mio abituale ristorante sulla costa jonica degli ombroni ammâšcânti[→ ·la-leggenda-dellentrocchje-ammascanti·ilkamasutra-equino-di-giovanna-i], dove fanno le Lagana Sybaritica veramente squisite, fui costretto a sorbirmi anche un poeta di mia conoscenza, il quale non fece altro che difendere il suo ultimo capolavoro da una serie
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Le LaganaSybaritica: la tremula frittura della terra del principe della Cerchiara
interpretarsi in svariate maniere. Specialmente a tavola. Mi sembrava, non dico una necessità, ma quasi un obbligo. E che cazzo! Poi, d’un tratto lo vidi sollevarsi dalla sedia per metà o intero, ammutolire, annaspare freneticamente con le braccia e quindi afferrarsi la gola. Si era fatto bluastro in viso, poveretto, e non era stato in spiaggia ad abbronzarsi, di quella sfumatura di turchino che, invariabilmente, fa pensare al colore archetipo di alcuni poeti del Golfo di Taranto per via dell’aria salubre che quivi si respira. Più tardi, tornando a casa per la Traversa Q, che mi fa pensare sempre al famoso Q di cui ho riferito in Il Marcuzzi[→il-
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schema verbale archetipo di questo poeta è molto vicino allo schema verbale che dovrebbe dare senso al suo fare versi senza la o”, poteva anche
marcuzzi], della mitica via del Lutri, mi chiesi se il medico d’Alisandra, il cui nome è ormai celebre, quale inventore di quella efficace manovra che avevo visto eseguire poco prima al ristorante e di cui ho evitato accuratamente di rendervene conto, sapesse che c’era mancato poco che qualora non gli fosse riuscita la manovra io avrei dovuto pagare il conto anche al poeta del Capo Aulico, così detto per i capelli unti e oleosi. Comunque ebbi modo di appurare, e questo mi lusinga, come, all’epoca, una critica di un Piromalli, che il suddetto luminare d’Alisandra conosceva bene il mio saggio sull’uso della cipolla nelle frittelle di zucchine,che, come vuole anche Manuel Vázquez Montalbán, è di rigore anche nelle Frittelle di fiori di zucca, e che, come queste, ne fa un piatto che potrebbe non solo comparire in una tragedia di Tennessee Williams ma anche in una Stimmung di V.S. Gaudio, sempre che vengano mangiate insieme a una Aurélia Steiner un po’ più rossa che bionda, e non è vero che le Lagana Sybaritica non abbiano lo stesso sapore sottile e transitorio, e quindi del tutto
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con eloquente furia pitagorica, anche se non è di Metaponto ma poco ci manca, il poeta, anche isso, divorava frattanto un piatto colmo di Lagana Sybaritica. Io, s’intende, non potevo fare altro che porgere orecchio, darmi un’aria compunta e assicurargli che la frase, “lo
palermitani del Regno, che venne con quella bella pellicola kodak a filmarli forse per via di qualche parente acquisito, ancorché la centrale idroelettrica del Molinello(che serviva tutto il comprensorio degli Ombroni e dei depredati e sudditi degli Ombroni) negli anni Cinquanta era proprio là sotto all’agglomerato di casupole dove i Dimenticati achei facevano il palo della cuccagna on demand per chi veniva nel nome del Pignone, della Pigna , di Pinerolo, Cavour e Pignatelli, e , quando se li erano bell’e dimenticati, venivano giù a dorso di ciuccio, anche volando, ad occupare le terre dei miei avi,
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Mi rivelò, il valente medico, che aveva letto anche L’idea, il desiderio, la menzogna di Marisa G. Aino e che si chiedeva ancora se chi l’aveva scritto fosse una persona femmina dai capelli rossi e se, soprattutto, le piacesse di più il neorealismo o il postmoderno anglosassone. Disse, questo medico d’Alisandra, che le Lagana Sybaritica erano di provenienza achea, e che sua nonna, quella materna, di quel famoso
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privo di quella che i caratterologi francesi chiamano “secondarietà” o “risonanza”, che hanno le Frittelle dei fiori di zucca, specialmente se, invece, di mangiarle in uno di questi dozzinali ristoranti della costa jonica mangiate quelle preparate dalla poetessa Marisa G. Aìno, che, va da sé, ne confezionò ricette e procedure anche in commistioni con fiori per la sua rubrica che tenne per un lustro per la rivista “Minni & company” della The Walt Disney Company . ceppo di cucinieri e ladri della terra e del nome altrui, era solita friggere con un olio, da quel che lui rammentava, densissimo dall’aroma, olezzo, persistente(io “vedevo” i miasmi che manco Lovecraft e sentivo l’aria intrisa di quel puzzolente liquido, più sansa che olio, un mosto di colza, fritto che dall’Alisandra arrivava fino al mar delle Tre Bisacce se non alle paludi del Casalnovo) e non solo lei friggeva ma anche l’altra antenata, la bisavola paterna, denominata anch’essa con uno dei cognomi che, compreso tra i Dimenticati d’Alisandra di cui all’eccelso regista, figlio di burocrati catanzaresi e
comune luogo delle Tre Bisacce a nome del Popolo Italiano qui solennemente rappresentato e onorato tra frittelle di zucchine, alici fritte e carne di porco, ancorché sia proibito anche nelle enclavi d’Israele, che solo loro sanno cucinare, arroganza che non esclude una calibrata bravura di alcuni soggetti privi della pulsione depredatoria e quindi capaci di preparare un gustoso pane casereccio, una abbastanza buona salsiccia e un olio d’oliva dignitosamente umano.
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Sostiene che gli Ebrei delle Trebisacce fanno anche loro le Lagana Sybaritica con le zucchine e che quelle che mangiai a Parigi, così croccanti e delicate, fatte, con cipolle tritate, buccia di limone grattugiata e un cucchiaio di birra leggera, da quei galli Ebrei, anche accompagnate da pane casereccio della Cerchiara di Pignatelli, non ne eguaglia la tremula frittura meridionale, che ha sempre in sé un po’ dell’ombra, e della tragedia , che a Parigi non c’è.
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che non erano Achei e nemmeno Troiani, e neanche della nobile schiatta dei Fiscalrassi arbrëshë e montenegrina, e adesso i suoi discendenti partecipano all’espropriazione, con monumenti abitativi gestiti dalla Manomorta e dalla amministrazione gerosolimitana per conto della Chiesa Romana Cristiana e Cattolica e Dio sa quante altre consorterie variamente denominabili, massoniche, mattoniche e anche similsessuali, amministrando il Comunque, per la provenienza achea delle Lagana Sybaritica, gli Achei maestri son tutti alessandrini, alcuni anche Ombroni d’Albedone e Rïulêsi. Degli Arbëreshë, che hanno l’altra bisaccia delle Tre Bisacce, ne declameremo le qualità e l’istinto di rapina e di soppressione in un altro elogio. Il fatto strano è che anche lui delira per pane e pomodoro, ci mette addirittura il cancaricchio. Così sembrerebbe simpatico, ma se, poi, il cancaricchio, specialmente se un po’ secco, ti si impiglia in gola?
Lagana Sybaritica di Marisa G. Aino
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4 zucchine tagliate sottili e salate 1 cipolla tagliata sottilissima 4 cucchiai di parmigiano 2 uova 4 cucchiai di farina 1 ciuffo di basilico sale e pepe olio per friggere
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Ecco gli ingredienti usati da Marisa G. Aino per le sue Laganica Sybaritica dal sapore così sottile e transitorio in cui l’identità di percezione è come se fosse un tutt’uno con il suo oggetto a che gli sta passando, come analemma esponenziale, al meridiano del dèsir.
domenica 23 settembre 2012│Luigi Fontanella ■ EFEMERIDOS
LUIGI FONTANELLA
Efemeridos Efemeridos (racconto di una giornata) per A.D.P.
In treno nel respiro di giorni straniti… Mi riscrivo (non è forse sempre così?), Leibowitz stamattina discetta di possibili reincarnazioni dopo il fatale congedo e anche – da scaltro leguleio – di mediazioni e di auspicabili faustiane negoziazioni nei suoi occhi di antico ebreo l’inestinguibile fiducia per il gruzzolo d’anni che ancora ci rimangono, a noi condannati a morte fin dalla nascita.
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Poi ci siamo scambiati consigli e ammonimenti propositi e medicamenti
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A un certo punto l’Heritage mi è sembrato un barcone alla deriva e noi due gli unici sopravvissuti: novelli Vladimiro ed Estragone scampati al disastro con la sola parola rimastaci come lascito estremo in attesa che Qualcuno o Qualcosa venisse a salvarci, indicandoci una via d’uscita, una scelta, uno spiraglio, una risoluzione, uno scampo.
come fanno vecchi amici frattanto divenuti amici vecchi… “A maggio potremo rigiocare un po’ a tennis… sì, ma, però, forse, magari in quattro, chissà, o anche a tre.”
Più tardi accompagno Irene ad Islip il MacArthur dieci del mattino quasi deserto, come a dirci inutile partire o ritornare perché non restate dove siete?
Le effemeridi di giugno e, a lato, luglio 2011 (dalle effemeridi dell' U.S.Naval Observatory): periodo di eclissi: due parziali di sole e una totale di luna
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Uno dei due festeggiati ha raccontato della sua fortuna di ricco palazzinaro, oggi
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Sylvia che al solito vive soprattutto per riflessi e riporti era ansiosa di sapere ogni particolare del Gala americo-italiota dell’altra sera dove si è parlato soltanto di quattrini di genitori di nonni o bisnonni emigrati fratelli cognati nipoti cugini esuli trapiantati in questa terra di tutti e di nessuno, l’unica secondo loro che Dio ha benedetto e bontà sua continua a benedire, e anche di misfatti e di glorie di sacrifici e di guadagni di successi folgoranti per sé e per altri amici e parenti più o meno benestanti.
più che ottantenne, fiero della sua collezione di 32 Ferrari (dico trentadue), mentre con affettata indolenza (o senile demenza) ha annunciato d’aver già ordinato la trentatreesima del 2012 e quella del 2013 e del 2014, sicuro sicurissimo, senza alcuna paura della sua sopravvivenza. Tutto qua il discorsetto della sua cultura.
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Il taxi-driver guida incurante di niente e di nessuno infilando a memoria uno dopo l’altro versetti del Corano: un sordo brontolio senz’altro segno che mi accompagna fino alla settantaduesima. L’appuntamento per l’intervista al Cafè Aroma è con un tale mezzo giornalista mezzo professore un po’ saccente un po’ seccante un po’ deficiente. Dopo qualche melenso convenevole comincia non richiesto a sciorinarmi notizie indizi indirizzi e perfino familiari ascendenze del mio borgo natio Carifi: località del tutto inesistente in qualsivoglia carta stradale della nostra italica peninsula “Vi nacque Ovidio Serino uno dei Mille, che da prete si fece rivoluzionario garibaldino.” Questa, in effetti, l’unica gloria della mia angusta contrada, fatta di un’unica stradetta che tutta la taglia a metà ove mio padre nel settembre del 43 trovò rifugio insieme con la sua
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Arrivo infine alla Penn, gente-matassa s’addensa a fiotti sulle scale, tanta ch’i’ non avrei mai creduto che morte tanta n’avesse disfatta culi diversi e deformi davanti a me ascendono in fila, striscianti semoventi silenziosi sudoranti come animali da carneficina. Mi sono improvvisamente rivisto 34 anni prima quando da Princeton arrivavo in questa Caina mezzo imbambolato tra migliaia di volti muti e stravolti e mi avviavo verso la Columbia. Primavera millenavocentosettantasette.
sposa bambina, una diciottenne fresca e aulente cresciuta nel Cilento ma di origine vaporina sùbito incinta del suo Luigi Augusto e molto poco Guerriero… (Ora che sono andato negli anni rimpiango non averli mai interrogati - né lui Tenente della nostra regia armata né lei bellissima e nullatenente su quella rocambolesca fuga dal porto di Salerno tra i continui bombardamenti dei neo-alleati, sul come di quello sfollamento, sul perché di quello spostamento proprio a San Severino e in quella borgata Carifi…).
Soprappensiero intanto la mia controfigura risponde con sufficiente convinzione alla prevedibili domande del questuante, mentre lui – faccia da mastino – mi guarda con occhi bolsi e sospetti fingendo di prendere qualche inutile appunto. Arrivano due sfigati si siedono alla mia sinistra, sgombrando bruschi e sgraziati il mio cappotto e le mie carte, accelerando di fatto la fine di questa stolida intervista.
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Un’ora più tardi sono da Alfredo incartato nel suo bugigattolo. Ed eccoci qualche minuto dopo sulla Sesta all’incrocio con Bleeker e poi in Cornelia Street. Presso l’omonimo Cafè ci aspetta Luigi con il suo fido Gil che ama ritrovare l’odore del Chianti e del sigaro del nonno nel suo Connecticut.
Lu Celania Sierra in una foto di Cristina Ghergo per Wa-Tho-Chu di V.S.Gaudio in "La Corte" Rivista di scrittura teoria e industria edita da Alessandro Gennari e diretta da Ruggero Guarini: n.12 Estate 1991: NEW YORK CITY
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La serata tra una sbevazzata e una risata volge presto al termine. Alfredo alla mia sinistra fruga invano nel piatto alla ricerca dei suoi ricci di mare, Beppe ora diventato Joseph alla mia destra è un gemello rovesciato eterno ragazzo strapaesano, proprio con lui cominciai trent’anni fa la mia recitazione. Ora mi sembra impossibile che
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Il mio amico si ostina da anni e io con lui a tradurre e catalogare non so con che ragione autori espatriati, per poi ritrovarci periodicamente in questa oscura cantinetta buio budello del Village ove ci leggiamo addosso i nostri versi. Una sfida che sfiora un’eroica incoscienza o la più gratuita demenza della nostra tribù. Ma forse solo un pretesto per ritrovarci insieme a cena nella chiassosa Lupa Romana o al Pitti sulla Sesta, immaginando d’essere in qualche trattoria di Trastevere o San Frediano.
tra un boccone e l’altro parliamo ancora di poesia cinema donne sesso viaggi un improbabile congresso e… della prossima pensione. Seguo non seguo l’incessante chiacchiericcio e già penso al dopo, all’ansia di non perdere il treno…
“Alla prossima” mi dice l’amico presso la Penn quasi parlando a se stesso … sì alla prossima… fra un mese o fra un anno, che importa? Sono già seduto nel treno, spalle rivolte alla mia destinazione, mentre davanti ai miei occhi socchiusi tutto vertiginosamente regredisce, sfuma e si fa sogno oblìo ombra aria illusione.
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(Mount Sinai, Long Island, marzo – luglio 2011)
giovedì 20 settembre 2012│■ L'occhio dello scimpanzé e la chastité corse du
patagonisme?
Ça la chastité corsedu patagonisme? By
alain bonheur
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Oggi, mentre facevo la mia passeggiata di mezzogiorno, ho avuto ancora dei pensieri morbosi. Che cosa c’è nello scimpanzé, che è in questa campagna fotografica o pubblicitaria che sia[vanityfair:laetitia-casta-scimpanze-servizio-fotografico], con Laetitia Casta che mi turba tanto? Probabilmente il fatto che assomigli tanto a Chimpo, lo scimpanzé di Sandra Ogilvie nel fumetto di Hermann della serie “Jeremiah”. Ogilvie stessa dice che l’animale è insostituibile e continuerà a essere il suo oggetto a, anche dopo che si è separato dal suo Dasein(=Esserci), ma se il mio oggetto a esistesse senza il mio corpo sono convinto che i jeans che di solito indossa Laetitia Casta, sempre quando fa pubblicità, gli starebbero dannatamente a quel modo lì, un po’ corso e un po’ corsaro, a cozz’a’mmûmmula. Comunque, lasciamo perdere.
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Laetitia Casta adesso entra nella mia Stimmung con Hermann[ barebacked-love ] e, anziché sulle scale del ponte Alexandre III a Paris, è sulla palafitta dove abitava Sandra Ogilvie e dice a Chimpo, il suo scimpanzé, che l’anima è immortale e continua a vivere anche dopo la separazione dal corpo, specialmente se è vestita come lei sul ponte Alexandre III a Paris. D’altronde, parlando della bellezza di una donna, Bataille che faceva? Evitava di parlare genericamente della bellezza, giungeva ad ammettere che vi sono animali più o meno belli a seconda della rispondenza, più o meno valida, attribuita all’ideale delle forme della specie. Non per questo la bellezza cessa di essere soggettiva; il valore erotico è legato alla scomparsa di quella pesantezza naturale che ricorda l’impiego materiale delle membra e la necessità di un’ossatura. Comunque, detto questo, “la bellezza della donna desiderabile preannuncia le sue parti vergognose: ossia le sue parti pelose, le sue parti animali.(…)La bellezza negatrice dell’animalità, che risveglia il desiderio, sfocia nell’esasperazione del desiderio stesso, nell’esaltazione delle parti animali!”│1│ Da qui all’occhio dello scimpanzé, che fotografa Laetitia, c’è l’irredentismo di Jean Baudrillard, o tutto questo pelo della bestia, seppur in calzoncini, c’est-ça la pataphisique corse et chaste du Bonheur? Ça, la chastité corse du patagonisme?
"I jeans al mio oggetto a gli starebbero a quel modo lì, un po' corso e un po' corsaro, a cozz’a’mmûmmula"
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│1│Georges Bataille, La contrapposizione di purezza e sozzura nella bellezza, in: Idem, L’erotismo, trad. it. Mondadori, Milano 1970: pag.153.
venerdì 14 settembre 2012│
Valerio Magrelli “Giovani senza lavoro” I Giovani senza lavoro con strani portafogli in cui infilare denaro che non è guadagnato. Padri nascosti allevano quella sostanza magica leggera e avvelenata per le vostre birrette. Condannati a accettare un regalo fatato sprofondate nel sonno mortale dell’età,
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II Giovani senza lavoro chiacchierano nei bar in un eterno presente
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la vostra giovinezza, la Bella Addormentata, langue nel sortilegio di una vita a metà.
che non li lascia andar. Sono convalescenti curano questo gran male che li fa stare svegli senza mai lavorare. Di notte sono normali, dormono come tutti gli altri anche se i sogni sono vuoti anche se i sogni sono falsi. Falsa è la loro vita, finta, una pantomima fatta da controfigure, interrotta da prima.
La tagcloud -Wordle di Giovani senza lavoro: pinga sull'immagine e ottieni l'original-wordle
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[da: Valerio Magrelli, Il Sessantotto realizzato da Mediaset. Un dialogo agli inferi, Einaudi 2011] â–
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lunedì 10 settembre 2012│ ■ Day's Pondus 21
Day’s Pondus by Alfred Hitchcock di V.S.Gaudio L’operazione Heimlich di Hitchcock, nel fare protagonista, del suo remake L’uomo che sapeva troppo del 1956, Doris Day, la “fidanzatina d’America”, è tutta sottesa o contenuta nel suo vero cognome che è von Kapplehoff che contiene: 1) Kapelle “cappella”, ma anche “orchestra”, “banda” 2) Hof “cortile”, ma anche “alone”, che, nel film, è l’enigma-punctum di “Ambrose Chapel” che si raddoppia anche come “alone dell’orchestra” essendo, come punto-Heimlich del film, l’assassinio che un orchestrante inconsapevolmente, con il suo strumento-assolo, deve decretare. Ma l’”alone della cappella”, ma anche la “macchia dell’orchestra”, è anche fatta sottentrare diabolicamente da Hitchcock scegliendo questa attrice-cantante che, bionda e pudica donna di mondo, una vera signora, ha quel quid allusivo del suo poter essere, trasformarsi in, una puttana in camera da letto: non diceva lo stesso Hitch che le donne più interessanti, sessualmente parlando, sono, oltre che inglesi e svedesi, le tedesche del nord, e questa pudica attrice non ha nella sua Herkunft sangue tedesco?
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C’è qualcosa di diabolico in Hitchcock nel prendere questa apparentemente banale attricecantante, affidarle un ruolo di ex cantante sposata a un medico, che, trepidamente madre, e quindi sempre più dentro la superficie dell’Heimlich, tra l’Unheimlich dell’orchestra e quella della cappella, fa, senza che ve ne rendete conto, le carezze a un’altra cappella, l’alone c’è e basta osservarlo da vicino per capire di che si tratta, senza dimenticare la scena in cui la von Kapplehoff
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Il tenue, noncurante, lieve Hitch dov'è che si mette? Dietro, a lato...
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si appresta ad entrare in “Ambrose Chapel” e il perverso Hitch, lieve, quasi tenue se non esile, noncurante, dopo averne mostrato il passo pieno e apprensivo nell’attraversare la strada, ne inquadra, quando è sull’uscio della cappella, il podice, lieve e deittica immagine, che ci costituisce come l’ alone della cappella(=KapelleHof), la sua essenza, il suo essere quel qualcosa. E’ tutto in questo quadro dell’entrata, o dell’entrare, di Jo in “Ambrose Chapel”, il punctum, l’Heimlich del film: “The Man Who Knew Too Much” è, in effetti, l’uomo che vede troppo: “The Man Who See Too Much”; è Hitch che vede, inquadra e consacra l’alone della cappella; la macchia della Cappella di Ambrogio(l’Ambrose Chapel), d’altronde, sempre in tema clericale, non è l’”attraction de Milan” la posizione numero 40 de “Les quarante maniere de foutre, dèdiées au Clergé de France”, che, appunto, per essere definita come “attrazione di Milano” è l’”attrazione ambrosiana”. Senza dimenticare che l’ambrosia è in qualche modo affine a Doris, che, in quanto “Day”, “giorno”, ne illumina, ne mostra la parte in ombra. Questa delizia dorata che sulla porta, sull’uscio, della cappella.
[©2007-2008]
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Hof è anche “corteggiare”, “corteggiatore”, quindi è Heimlich questo corteggiamento sulla porta della cappella; come è Heimlich anche il corteggiamento della cappella, il corteggiamento visivo della c. sul c. e intorno al c. della Kapplehof, cioè il corteggiamento della cappella nel cortile della Cappella…o la corte in cappella musicale, il canto, l’urlo a cappella…Non si sorvoli sul fatto che il “corteggiamento della cappella” è lo “shummulo” che si fa per l’ambrosia della cappella! Anche nella sequenza in cui Jo Conway seduta al piano canta “Que sera sera”, e canta a cappella, il regista, se guardate bene, assolutizza, corteggiandolo, il dorso. Hof è anche la cappella, l’errore grossolano: prendere una cappella, fare una cappella, è appunto “l’uomo che sapeva troppo” e invece non sapeva niente…se non che era solo il marito della …Kapplehof. E’ Jo Conway, in cui, in qualche modo, sottentra la “Josephine” che, in argot, è la “donna pudibonda, virtuosa”; e “Conway” è lo stato, il modo, la maniera del “con”, l’atteggiamento “connesso”, a modo, di superficie. Sotto, “con” è anche “bussata” per cui “conway” sarebbe la “maniera, il modo, della bussata”, che è oltretutto speculare alla bussata a vuoto alla porta della Cappella, nella scena in cui tutta la sequenza dell’appressarsi del suo ponderoso podice culmina come punctum…per il canto a cappella. All’epoca, essendo alta l’attrice 168 cm, stando alle immagini, poteva avere un peso-forma attorno ai 58 chilogrammi, che, in rapporto agli hips sui 35”(89 cm), le dava un indice del pondus pari a 21, il grado più elevato del valore “medio-alto”(scala decrescente tra 26 e 21): altezza 168 -[hips 89+peso 58=]147=21. L’indice costituzionale è, con questi dati, pari a 52.97, lievemente sotto il livello mesomorfo(che è 53) della normolinea: Hips 89 x 100=8900:altezza 168=52.97.
Surpriseeb?
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In questa foto in cui c’è la Day, Stewart e Hitch in un party post film, c’è questa sintomatica didascalia: “surprised” che si commuta in “surpriseb”, ovvero “sorpresa dal sebo, dalla crema della torta”, per la crema-torta sulla punta della scarpa…Kappe è lo spunterbo, la mascherina, e sulla Kappe c’è “ambrose”(il “cibo di Dio”, il boccone divino). La cappella, la mascherina, della scarpa e il “See” di “vedere” che è nella sorpresa dell’Heimlich di “sed” che si fa “seb”, cioè l’”insebatura” tra cappella e Cappella, l’”alone” è ormai una “macchia” evidente, esposta, espressa, eccola, cercatela nel film, sembra dire l’artefice. Quando, con quella scarpa, la Kapplehof muove il suo Hof, l’orto, il giardino, la corte, il cortile, verso la Cappella, Kapelle.
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giovedì 6 settembre 2012│La boca inmoral ■ La Tiatraounga Cancareja, il singhiozzo di
zi' Lucrezia e la manovra d'Alisandra
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Annamita veramente squisita, fui Pranzando l’altro giorno al mio abituale ristorante sulla costa jonica degli ombroni costretto a sorbirmi anche un poeta di ammâšcânti[la-leggenda-delle-ntrocchjemia conoscenza[1], il quale non fece altro ammascanti·il-kamasutra-equino-diche difendere il suo ultimo giovanna-i], dove fanno una Tiatraounga capolavoro da una serie di stroncature che sembravano Il Libro dei Morti tibetano o forse anche i Sutta del Canone dell’Asino di Mia Nonna dello Zen.
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La tiatraounga cancareja dei poeti orientali del sud
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E' da qui che s'ingenera la "Manovra d'Alisandra"
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Tracciando un tenue parallelo fra i suoi versi e quelli di Caproni, e inveendo contro i critici a pagamento della Confindustria e di Bilderberg, e quindi a lui stesso associati, con eloquente furia pitagorica, anche se non è di Metaponto ma poco ci manca, il poeta trangugiava frattanto una Tiannamita anche lui. Io, s’intende, non potevo fare altro che porgere orecchio, darmi un’aria compunta e assicurargli che la frase, “i versi di questo poeta sono molto vicini al sostantivo della sua presunta funzione senza la “o”, poteva anche interpretarsi in svariate maniere. Specialmente a tavola. Mi sembrava, non dico una necessità, ma quasi un obbligo. E che cazzo! Poi, d’un tratto lo vidi sollevarsi dalla sedia per metà o intero, ammutolire, annaspare freneticamente con le braccia e quindi afferrarsi la gola. Si era fatto bluastro in viso, poveretto, e non era stato in spiaggia ad abbronzarsi, di quella sfumatura di turchino che, invariabilmente, fa pensare al colore archetipo di alcuni poeti del Golfo di Taranto per via dell’aria salubre che quivi si respira. Più tardi, tornando a casa per la Traversa Q, che mi fa pensare sempre al famoso Q di cui ho riferito in Il Marcuzzi[il-marcuzzi], della mitica via del Lutri, mi chiesi se il medico d’Alisandra, il cui nome è ormai celebre, quale inventore di quella efficace manovra che avevo visto eseguire poco prima al ristorante e di cui ho evitato accuratamente di rendervene conto, sapesse che c’era mancato poco che qualora non gli fosse riuscita la manovra io avrei dovuto pagare il conto anche al poeta del Capo Aulico, così detto per i capelli unti e oleosi. Comunque ebbi modo di appurare, e questo mi lusinga, come, all’epoca, una critica di un Piromalli, che il suddetto luminare d’Alisandra conosceva bene il mio saggio sul singhozzo, che feci in memoria di zi’Lucrezia Petrone(che fece erede universale mio padre e questi donò tutto, era rinsavito, non c’è che dire, a un tale Tarsitano, forse in virtù della provenienza da Tarsia?), che vantava, la zia, performances estenuanti di singhiozzo, alcune con durata ultracircadiana. Mi rivelò, il valente medico, che aveva letto anche le mie Sindromi Stilistiche e che non ci aveva capito un cazzo.
Il fatto strano è che anche lui delira per pane e pomodoro, ci mette addirittura il cancaricchio. Così sembrerebbe simpatico, ma se, poi, il cancaricchio, specialmente se un po’ secco, ti si impiglia in gola?
Sostiene che gli Ebrei delle Trebisacce fanno la Taramà con la sardicella e che quella che mangiai a Parigi,così bianca e delicata, fatta, con uova di pesci trasparenti, da quei galli Ebrei, anche spalmata sul pane casereccio della Cerchiara di Pignatelli, non la eguaglia.
Manuel Vázquez Montalbán che “Durante il pasto si può citare un poeta orientale di altri tempi che abbia lodato il piatto, particolare colto che quasi nessuno sarà in grado di controllare”[M.V.M., Ricette immorali, trad. it. Feltrinelli, Milano 1992]. Noi non sveliamo il nome del poeta calabro-orientale con cui abbiamo dovuto condividere il piatto, che, secondo Manuel, è connesso all’atletica sessuale orientale, e che, per questa inquietante spartizione, nel nostro paradigma culinario è ormai codificato come la Tiatraounga Cancareja .
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│1│Scrive
Quello che Manuel Vázquez Montalbán ritiene che sia un autentico manicaretto e non una semplice frittata campagnola, come, ad esempio, si può fare all’Alisandra, necessita di 500 g di filetto di porco, 200 g di champignon, 1 cucchiaio di scalogno tritato, 2 peperoni tagliati a listarelle, un pizzico di pepe di Caienna, 100 g di gamberetti grigi sgusciati, 2 dozzine di cozze lessate, strutto( ‘anzÛgn), basilico, menta,salvia e peperoncino in polvere, sale, 6 uova.
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La Tatraounga Annamita è connessa all'atletica sessuale orientale: il quadro tantrico di Klelia Kostas è connaturale: la gula inmoral vs kundalini?
lunedì 3 settembre 2012│
Giancarlo Pavanello
poemetto fa rima con fumetto []
la pulsione comunicativa subisce un’eclissi, essendo il messaggio una lettera non spedita, scritta con strumenti inconsistenti, ma resta il sorriso rivolto a se stessi la concezione ellittica del mondo si identifica in uno sguardo lunare, che non rivela nulla, essendo vuota la mente, vuoto l’universo la scomparsa come una strategia cancellata dopo un’intensa visione: voltare le spalle alla finestra chiusa aspettando la fine dei bagliori inquinati in cammino al buio, pezzi di vetro in bocca: parole indicibili, il corpo dell’automa
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[su cartoncino grigio]
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lo specchio rotto riflette oggetti banali e il silenzio penetra la musica nera: devastato il pensiero coltivato come un giardino in una prospettiva inclinata?
[testo su carte da regalo]
[formato originale]
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[assemblaggio con manichino chiaro]
mercoledì 29 agosto 2012│Alessandro Gaudio ■ Lisbon Story di Wenders
L’ombra sonora sulla Lisbona di Wim Wenders by
Alessandro Gaudio
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Lisbon Story (1995) di Wim Wenders è un film assoluto in quanto è svincolato da preoccupazioni narrative, nonostante sia dotato di un debole plot. In Berlin di Friedrich Wilhelm Murnau, e in molte altre “sinfonie di grandi città”, la forma scaturiva dall’incontro tra architettura e musica. In Lisbon Story, fondamentalmente, accade la stessa cosa: nato come documentario e prodotto con il contributo della capitale lusitana per il centenario del cinema, il film racconta di un regista (Frederich Monroe) che, ritenendo incompleto e superato l’universo muto costituito dalle immagini della città, contatta un suo amico fonico (Phillip Winter) affinché trovi i suoni che ne àncorino la polisemia. Attraverso un procedimento meta-filmico, viene portata a livello discorsivo la ricerca della “sinfonia” perfetta. Il film non coglie Lisbona nella sua mera significanza alla maniera degli abstrakterfilm del primo Walter Ruttmann. Wenders dipinge la città da un punto di vista scevro da implicazioni culturali: la modalità ostensiva scelta dal regista tedesco è basata sull’accentuazione della sonorità del paesaggio di Lisbona: ciò accorda alla sua visione una certa freddezza, una scientificità che prescinde dal culturale, ma che ne indica, comunque, il sentimento, la Stimmung. Il panorama di suoni di Lisbona porta con sé un particolare sentimento che non è quello dell’autore del film, bensì quello, specifico, di quel paesaggio. Un paesaggio inteso, non come semplice luogo dagherròtipico, bensì come spazio anamnestico che gli abituali percorsi sensoriali non riescono a svelare completamente. Wenders supera la facciata e consuma la città che
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│L’url del video Lisbon Story
percorre, abbassando gli occhi in un’apparente indifferenza emotiva che, tuttavia, è molto meno blasé di quanto possa credere lo spettatore di Lisbon Story. Il flaneur che attraversa la Lisbona di Wenders dilata i tracciati, le immagini, le distanze solite nella logica della folla, del semplice visitatore; si abbandona ad un’ebbrezza che, mai vissuta passivamente, vìola la città per scoprirne il suo doppio, l’ombra sonora. Per limitare questa incontrollata distruzione dell’ordine metropolitano della superficie di Lisbona, il regista tedesco utilizza dei suoni tipici, nei quali è facile riconoscere una civiltà urbana. Lisbona, insomma, non scompare: il viaggio di Wenders ne restituisce, in ogni caso, lo spazio e il tempo ad un punto tale che non sappiamo se quella città sia la sua o un’altra, lontana.
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A differenza del documentario classico, Lisbon Story travalica la semplice planimetria dell’oggetto rappresentato, per raggiungere una significanza oggettiva che non può risiedere nella plurivocità delle immagini. Wenders usa, per far ciò, dei suoni essenziali, fortemente connotati, che limitino la verticalità sonora di un senso che, senza appoggiature, sconvolgerebbe le abituali modalità di visione del fruitore. Il cinema di constatazione del Ruttmann di Berlin è completamente superato a favore di un cinema che piega i canali di fruizione usati abitualmente, a favore di una percezione altra che accorda all’udito una funzione preminente. Lisbon Story si può collegare al genere filmico inaugurato nel 1931 da Tabu, anche se nel semi-documentario di Murnau viene accordata una maggiore importanza all’andamento diegetico e alle sfumature psicologiche dei personaggi. In Lisbon Story, invece, Wenders accentua la percezione delle sfumature della città, mentre la fabula è molto meno ostesa. Sia chiaro: nel film di Wenders, Lisbona è un oggetto che, comunque, può essere sottoposto ad un giudizio estetico. Tale giudizio, oltre ad essere basato su dati iconografici, si completa│1│ attraverso l’ascolto dei suoni prodotti dalla città, attraverso la sua ombra sonora│2│. Nella co-occorrenza di elementi attualizzati, la ripresa sonora acquista maggiore importanza: il procedimento di costruzione in progress del découpage sonoro è affiancato da frammenti di un intreccio che passa in secondo piano. I suoni e i rumori di Lisbona assurgono ad elemento profilmico, scenografico. Tale elemento orienta la percezione del paesaggio in se stesso e la salienza dei programmi narrativi. Nella gerarchia dei sensi da utilizzare per cogliere l’insieme cittadino, l’udito diventa il più importante. Il profilmico, così orientato, influenza quello che, secondo Eric Rohmer, è lo spazio virtuale prodotto nella mente dello spettatore: lo spazio filmico. Dimensione molto più complessa che si serve dell’aiuto dell’osservatore per realizzare, sia a livello figurativo, sia a livello grammaticostrutturale, quel sur-plus semantico irraggiungibile, se si considera l’immagine dinamica come un oggetto concluso. Un oggetto indipendente, cioè, dai processi interpretativi che, abitualmente, seguono la percezione primaria dell’oggetto stesso. Lo spazio filmico è uno spazio costituito dai rimandi mnesici dell’individuo o del gruppo che funge da osservatore: l’immagine trova la strada della sua piena enunciazione attraverso la connotazione che ne completa il senso. L’illusione parziale, che l’immagine cinematografica produce su chi la guarda, è rafforzata da un’altra componente che, contemporaneamente, si mantiene fedele alla realtà percepita e produce una sorta di vertigine. Wenders dilata i suoi spazi attraverso un procedimento che forza il dispositivo di lettura dello spazio architettonico, ma, ancora, non ne infrange i canoni abituali. È la nostra rappresentazione mentale di Lisbona, intesa come oggetto immediato, a mutare sensibilmente e a suggerirci le sue illimitate direzioni. Nonostante questo sbilanciamento di prospettiva, l’opera ha una sua organicità, tutto sommato, piacevole e, attraverso una produzione di senso controllata nella sua verticalità, suggerisce un nuovo modo per limitare gli investimenti eccessivamente soggettivi dello spettatore.
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L’url del video ♫ Madredeus │Alfama
Se si contrappone “movimento” a “emozione”, Lisbon Story è, senz’altro, maggiormente pregno del primo dei due termini. L’emozione scaturisce dal movimento stesso: non da quello dei personaggi, bensì dalla non-staticità di un’inquadratura che non subisce la hybris del personaggio: al contrario, la suggerisce, la rende meglio visibile, più staccata dallo sfondo. L’emozione che trasmette Lisbon Story non dipende da un solo significante, ma da una figura più complessa, perché sempre in movimento, non definibile nel carattere statico di un’inquadratura, un personaggio o uno sfondo. Chiameremo questa figura vettore-significante: termine che, nel caso di Wim Wenders, incrocia le tematiche di superficie che il regista ha frequentemente raccontato: in particolare, quelle riguardanti il viaggio. ░ │1│Sarebbe meglio parlare di un giudizio che, attraverso l’ascolto della
Umwelt urbana, matura un orientamento psicosensoriale sempre più preciso, ma mai completo. │2│Wenders, attraverso tale semplice procedimento, si allontana, in un certo senso, dal luogo geografico e mentale.
L’url del video ♫
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L'ombra sonora sulla Lisbona di Wim Wenders è stato pubblicato in "Lunarionuovo" n.12, Catania novembre 2005
venerdì 24 agosto 2012│
Fowles-Games di v.s.gaudio
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Chi e? Isobel Dodgson. Che fa? La fidanzata momentanea del figlio di John Marcus Fielding, 57enne stimato amministratore di società, parlamentare conservatore, uomo di successo, che è scomparso nel nulla. Dove si trova? sandali sui piedi nudi…ma non era solo A Londra a casa. E’ rientrata da Parigi il 15 quello.” Forse, sotto il vestito non aveva le agosto (1973). Aspetta il poliziotto Michael mutande. Jennings che indaga sulla scomparsa di Lei che dice? J.M.Fielding, un tipo, il poliziotto capace di “Suppongo che non possiamo andare nei fare due scalette informali, una, che è il campi…Ma questo caldo mi sta uccidendo. Quadro della situazione, con 8 punti, dal Sembra che in casa mia non scorra un filo suicidio alla scelta del momento; l’altra, che è d’aria.” Ipotesi azzardate, con 12 punti, dall’Amore Lui che risponde? all’Omosessualità, al Figlio, alla Logistica , al “Perché no”. Deve esserci qualche prova circostanziale da La gente? qualche parte: Cazzo, questa con l’aria fresca aspetta il “Sergente Mike Jennings. Il poliziotto” poliziotto che deve interrogarla sulla “Oh.Chiedo scusa”: una ragazza minuta, dal scomparsa del padre del fidanzato viso ovale e arguto, gli occhi marrone scuro e momentaneo senza mutande e dice che in i capelli corvini; un semplice vestito bianco a casa sua non scorre un filo d’aria!... righe azzurre che le arrivava alle caviglie, Come finisce?
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1. Il gioco dei bigliettini a domanda e risposta per L’enigma di John Fowles
Siamo nel 1973. L’Aids e la monomania anti-Mullis[Aids/aids-Mullis] e antichiavatori liberi è di là da venire: 3 a 0 per Jennings! Oppure 6 a 1 per Isobel: 1, beh, si sa, se si comincia dall’alto, sarebbe la bocca; sarebbe 6, se si comincia dal basso; con le mani se ne segnano due. Anche perché, e Jennings l’aveva capito, un segugio,”sotto era priva di difese, anche se non fu certo una vittima innocente di quello che seguì”.
John Fowles, L'enigma, trad.it. Passigli Editori 2007
2. Il falso indovinello
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La struttura è quella del limerick. La risposta è già contenuta nei versetti: il signor John Marcus è fuggito perché se l’era legata al dito . 3. Che cosa accadde dopo E dopo? Domandano i bambini quando il i balli, il cinema, le crociere nelle Baleari e narratore si interrompe. l’inchino delle navi. La stessa matrigna, un Anche a racconto finito, c’è sempre la po’ come Isobel Dodgson, è piena di interessi, possibilità di un “dopo”. quella va alle conferenze e ai Martedì Oppure: adesso che J.M.Fielding è sparito nel Letterari, questa lavora in una casa editrice e nulla, che accade? Dio sa quante bozze ha corretto e C’è una famosa continuazione di Cenerentola sicuramente, avendo già scritto un libro per i in chiave parodistica. Cenerentola, anche ragazzi, ne erigerà senz’altro più di cento per dopo aver sposato il Principe Azzurro, resta gli adulti. fedele alle sue abitudini: guarda il focolare, Da Gianni Rodari [nella Grammatica della fantasia, Einaudi 1973, che, guarda il caso, è cucina, scopa, sempre in grembiule, sciatta e lo stesso anno in cui Fowles ambienta la spettinata. Di una moglie simile il Principe scomparsa di John Marcus Fielding], segue non può che annoiarsi in poche settimane. una tragedia della gelosia con tutti i Molto più divertenti le sorellastre che amano
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Un signore conservatore di nome John Marcus è fuggito, è stato rapito, o è semplicemente annegato. Si domanda: è così sparito perché è semplicemente fuggito o perché se l’era legata al dito?
particolari in cronaca. Qui, in John Fowles, ne L’enigma[© 2005], il pollo alla fin fine è il figlio di J.M.Fielding che, sparendo per conservarsi meglio, scioglie l’enigma del “tenero pragmatismo della carne”: la poesia, credete davvero che possa essere suscitata in un poliziotto da una post-hippy e ante-Mullis che, ancora non l’ha visto il poliziotto, l’aspetta per farsi sciogliere l’enigma senza mutande?
Comunque, non segue nessuna tragedia della gelosia e non vi sarà né cronaca né gossip, così il fallo mancante si conserva anamorfico e immortale, viepiù che, essendo a Londra, passerà sempre al meridiano di Greenwich. Semmai, un racconto post-moderno e postMullis, in cui, finalmente, la Isobel di turno si fa fare l’escussione, dal poliziotto che capita, sul fallo mancante( o sparito) in casa, dotata correttamente di mutande.
4. Il "Vedetevela tra voi " postumo
vantaggi sociali interni ed esterni. Un po’ come nel Perché non…Sì, ma[che è un semplice “gioco di società” nella tassonomia di Eric Berne] , in cui il vantaggio sociale interno ha funzione parentale e quello esterno ha funzione di tipo infantile. Resta il fatto che il vantaggio sociale interno (al momento della scomparsa) ed esterno (che è futuro) di John Marcus Fielding è proprio quello di Vedetevela tra voi combinato con quello biologico, che annette scambi sessuali e polemici.
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la sua manovra a chi sta cercando l’innesco e conseguentemente lo colmi con la poesia del tenero pragmatismo della carne, “che nessun enigma, né umano né divino, può sminuire o degradare”. 2. Come rituale, tende alla tragedia. L’uso esige che due uomini combattano per la donna , anche se lei non vuole o se ha già fatto la sua scelta. Qui, la donna ha fatto la sua scelta, è fidanzata col figlio del manovratore, ma visto che la manovra l’ha fatta, appunto, il padre del fidanzato momentaneo, lei attua la transazione sessuale con il poliziotto addetto alla scoperta, con cui, infine, gioca “a pelare quel pollo” del fidanzato momentaneo, figlio dello scomparso manovratore, il Deus absconditus, il Dio che scompare, senza spiegare il perché, per questo non ce ne siamo dimenticati.
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Come gioco transazionale, giusto per tirar dentro Eric Berne[ A che gioco giochiamo,trad.it. di Games People Play(© 1964), Bompiani, Milano 1967], questo enigma, cioè questo sottrarsi al proprio Dasein messo in opera da John Marcus Fielding, è un gioco sessuale sublimato o traslato. Una sorta di Vedetevela tra voi , in cui la tesi , nel gioco formalizzato da Berne, può essere una manovra, un rituale e un gioco. In ogni caso, la psicologia è essenzialmente femminile, e difatti è Isobel che tira fuori le possibili soluzioni. 1. Come manovra, è romantica. La donna manovra in modo da spingere due uomini a battersi promettendo implicitamente o esplicitamente che si darà al vincitore. Risolta la questione, rispetta il suo impegno. Qui, nel racconto di Fowles, è Fielding che manovra in modo da far sì che la ragazza del figlio “riveli” 3. Come gioco, è comico. La donna dà il via al duello, e mentre i due spasimanti si battono, lei se la squaglia con un altro. Nel racconto di Fowles, sembra che sottentri un soffuso complesso di Edipo e mentre questo aleggia, e il manovratore tira giù il sipario, lei se la fa con l’addetto alla scoperta del segreto o del mistero. I vantaggi psicologici interni ed esterni per Isobel e Mike derivano dal presupposto che non farsi fare è da stupidi, mentre la buffa vicenda vissuta da loro fornisce la base di
La copertina dell’edizione de L’enigma distribuita il 19 agosto da Il Sole 24 Ore per “I libri della Domenica”
domenica 19 agosto 2012│Ilaria Bernardini: scacchi e ping pong ■ Marcel Duchamp:
scacchi ■ V.S.Gaudio: tennis...con i dadi! ILARIA BERNARDINI
Idea per una città ilpost.it/ilariabernardini/2011/07/12/idea-per-una-citta/ ░
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VSGAUDIO says: 12 luglio 2011 at 17:46 TAVOLI DA TENNIS…CON I DADI Ma sta scherzando la nostra Blogger, tavoli da scacchi e da ping pong, addirittura, con questo caldo? Tavoli, sì, ma per giocarci a tennis…con i dadi: NUMERO DEI GIOCATORI: due. NUMERO DEI DADI:due per ciascun giocatore.
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Tavoli da scacchi e da ping pong in pietra, lungo le strade e i marciapiede dei semigiardini dei viali alberati (al posto dei parcheggi selvaggi: cfr viale abruzzi a milano, ecc).
STRUMENTI PER IL GIOCO: un bussolotto per dadi per ciascun giocatore(=tennista), un foglio di carta e una penna. SCOPO DEL GIOCO: ottenere la combinazione di valore più alto per aggiudicarsi il punto, quindi il game e,infine, il set. SVOLGIMENTO DEL GIOCO: entrambi i tennisti tirano, contemporaneamente, i due dadi personali, ma li tengono coperti con i rispettivi bussolotti. Ogni “tennista” controlla il punteggio ottenuto e, se non si ritiene pago del risultato, può tirare una seconda e una terza e ultima volta. Quando entrambi i “tennisti” sono soddisfatti del risultato del proprio tiro, i dadi di ognuno vengono scoperti e fa il punto chi ha la combinazione più alta. Superfluo star qui a spiegare i punteggi del tennis e anche la variante del doppio. Comunque, ecco la GRADUATORIA DELLE COMBINAZIONI, dalla 1^ alla 21^, il valore decresce: 1-1;6-6;6-5;6-4;6-3;6-2;5-5;5-4;5-3,5-2;4-4;4-3;4-2;3-3;3-2;2-2;2-1;3-1;4-1;5-1;6-1.
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[da: “GIOCHIAMO A TENNIS…CON I DADI” di Vuesse Gaudio, “Topolino” n.1356, Milano 22 novembre 1981]
VSGAUDIO says: 13 luglio 2011 at 00:06
Che sbadato che sono stato…Ma è bastata la foto di Julian Wasser in cui Marcel Duchamp gioca a scacchi con Eve Babitz nuda[→ lacan.com/ArtAndLacanArchive5. ] a riportarmi alla mente il fatto che Marcel Duchamp sia stato anche l’autore di un libro sugli scacchi. Ed era questo che sottentrava nell’idea di I.B., giocare a scacchi con M.D. che in quel libro mostra tutti i problemi connessi alla conclusione delle partite, che, per questo motivo, è di scarso interesse per i giocatori i quali, se ne prevedono la conclusione, in genere abbandonano la partita e chiedono al cameriere di portare al tavolo un drink con ghiaccio e le palline
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per il ping pong.
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VSGAUDIO says: 25 luglio 2011 at 21:55
Ilaria, ho appena messo un commento a “Bari”nel blog di Joan as Police Woman [→ilpost.it/joanaspolicewoman/2011/07/25/bari/], e allora, mi sono detto, perché non mettere dei tavoli per giocare a tennis con i dadi in via Sparano, che è una delle meraviglie della natura, per niente seconda al tiro a segno? Ma se lei non torna, io i tavoli dove li prendo? E se intanto Joan se ne torna su, i baresi in quella via, senza tavoli da gioco, che stanno a dire? “Angiuli’ mề vieni via, che quelli spềreno!”
2. VSGAUDIO says: 31 luglio 2011 at 11:56
Questa è tagcloud di Wordle della città con i tavoli da tennis con i dadi:
il-drop-di-clara-lukacs
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Leggi anche:
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wordle.net/show/wrdl/3882184/ilaria_bernardinitavoli_da_tennis_con_i_dadi
lunedì 13 agosto 2012│ V.S.Gaudio ■ Lo stereofonico e il terzo senso di La Roux
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1. C’è nella presenza scenica di LaRoux, intendo nella presenza che abbiamo nel fotogramma immobilizzato o meno di un video, un qualcosa che fa pensare al contrappunto: non solo in ragione di quanto scrive Barthes, per cui il punctum o il terzo senso in una fotografia ha sempre qualcosa del contrappunto o dello stereofonico, ma anche in ragione del fatto che c’è in atto, plateale ma talmente sottesa, quella contrapposizione correlativa tra significante di deplezione, che le dà un denotatum di diminuzione al punctum che costituisce il terzo senso del fotogramma o della sequenza dei fotogrammi, e tra significante di accrescimento, che, invece, dà, anche a lei, un connotatum di ingrossamento. Non si può dire dove o quali siano i fotogrammi, ma lo stereofonico che la ragazza proietta è come uno schema verbale riflessivo e proairetico, il farsi fare, che è sempre dal lato del significante di accrescimento e perciò designa sempre e comunque uno stato permanente di ingrossamento, come tutti i verbi pieni a connotazione univoca, che implicano, nella corrispondenza sinestesica, lo schema verbale del farsi suonare, che, appunto,prima allude al contrappunto e allo stereofonico e, poi, inscena la fisica del significante di deplezione, che è quello che attiene ai verbi vuoti. D’altra parte, il fotogramma, come il sogno e la fotografia, è un fenomeno strettamente visivo in cui manca l’altro senso della distanza,l’udito:se,nel sogno, «ciò che è detto all’orecchio viene in esso percepito visivamente»[1],si potrà dire che il terzo senso nel fotogramma, o nella fotografia, funziona sempre come una sorta di impercettibile traslato da sguardo in ascolto. Tanto che il contrappunto, che ha una ragione uditiva, annodando legami di complementarietà tra il significante di deplezione e il significante di accrescimento, non può che sovrapporre un’immagine acustica per poter dare alla scena più linee melodiche simultanee.
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Lo stereofonico di LaRoux: ma io che la guardo che musica sento?
Voglio dire che se ascolto nel sogno un suono, un rumore, un grido, nel fotogramma di un video di LaRoux, in cui c’è il senso ottuso, che è perciò qualcosa che fa sentire, che cosa ascolto?
♫ L’url di Quicksand
2. Il grido del punctum o il rumore ottuso o il suono dall’interno, non ascolto la presenza di un significato ma l’accento, il contrappunto, una doppia melodia simultanea della deplezione e dell’ingrossamento. Ora,quando oltre al punctum, nella scena “avviene” il désir, e in ragione di questa jouissance il farsi fare abbia, nella complementarietà tra significante di deplezione e significante di accrescimento, una ragione sensoriale uditiva, io che ascolto che musica sento? «Ci sono due tipi di musica –almeno così pensava Barthes-: quella che si ascolta, quella che si suona»[2]. La manualità della musica che si suona, intendo dire questa musica della diminuzione, che è femminile e attiene al désir, e dell’accrescimento, che è maschile e attiene al contrappunto a cagione del fatto che il valore della nota depleto della metà vada ricaricato della metà, io che scruto quel fotogramma la ascolto come una opposizione significante dei piano e dei forte, da cui la melodia ha gli stessi contrasti di intensità che ha il désir, sia quello che è in scena sia l’altro che la scena l’ha fissata. Questa circolarità, che va dall’immobilità sospesa della scena in quell’istante allo scrutare uditivo dell’osservatore e che sembra che stia suonando il farsi fare del désir del personaggio femminile, lega il contrappunto musicale all’ermeneutica: «ascoltare significa mettersi in condizione di decodificare ciò che è oscuro, confuso o muto, per far apparire alla coscienza il ‘di sotto’ del senso(ciò che è vissuto,postulato,voluto come nascosto)»[3]. Il segreto, che è sempre possibile, nel paradigma del segno marcato, più che essere visto va ascoltato,anche perché il désir e la jouissance non possono essere nemmeno toccati. Il sondare è come l’ascolto, in cui non solo si catturano dei significanti e dei significati ma,piuttosto,si percepiscono dei rumori, delle grida, dei suoni, dei gemiti. L’ascolto è sentire il gemere dell’altro, sia che stia stillando désir sia che stia gocciolando jouissance.
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Barthes, L’ovvio e l’ottuso, trad. it. Einaudi,Torino 1986 :pag. 249. [2] Roland Barthes, op.cit.: pag. 252. Ci si chiede perché, in psicoanalisi o in una semiotica dell’immaginario sessuale, non si sia ancora connesso le strutture della musica con le fantasie, e non si capisce come il fantasma, che, quando è fallico è sempre anamorfico, e quindi non è mai univoco nella sua sensorialità, non essendo visibile, non abbia mai avuto una lettura interdisciplinare . Il désir, che svuota il personaggio femminile, per l’ingrossamento cui protende, nell’ambito del contrappunto può fantasmare nota contro nota, due note contro una, quattro note contro una, il sincopato, il florido, e quindi farsi
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[1] Roland
suonare col contrappunto doppio, triplo, quadruplo. Che è semplice da eseguire: nota contro nota, è un colpo del suonatore e la signora, o la signorina, che risponde; due note contro una, è due colpi del suonatore e la risposta della signora (gemito, o fremito,o contro spinta); quattro note contro una, quattro botte alla signora, o signorina, e risposta della stessa. L’esecutore ha una “dinamica” o “intensità” che, essendo la prima volta e a cagione impulsiva nell’immediato del movimento “presto” , “prestissimo” o “vivace” , non può che essere di tipo “forte” o “fortissimo”, senza nessuna concessione al “dolce”,”piano”,”pianissimo”. [3] Roland Barthes,op.cit.:pag.241.
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mercoledì 8 agosto 2012│Giovanni Fontana ■ SINERGIA E COSÌ SIA
Giovanni Fontana
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Ecco. Arrocco. Strabocca e sblocca finalmente il flusso della contaminazione inquietante. Quella che stempera la densità dei segni. Ecco le confluenze. Quali le intersezioni. Quali le interferenze. Dritto dritto al pluripotenziale. Colori, architetture. Corpo e gesto. Grafie. Manie. Rumori, suoni. Un disastro. Demolizioni. Sedimenti. Azioni di recupero. Quando il gioco è poetico. Quando la voce è inscritta nelle pieghe. Negli interstizi dell’interlinguaggio. Dove la glottide apre bolle fluide e sgrana balle variopinte. Chiude. Monta e smonta. Percorre. Scassa. Rimuove. Assegna. Raccatta ed ha funzione riparatrice. Portante. Strutturale. Benedicente quando mira a cosce tornite. Correttamente abbronzate. La voce catalizza e media. Organizza. Dinamizza. Ri-testualizza. Suda sulle carte. L’oralità traspare. La vocalità precipita. Come sali in soluzione satura. Qui la fonosfera s’ispessisce di giorno in giorno e il suono è fluido. Lo affido al grido talvolta. Per libido attraversa tempo e spazio. Ti può seguire sempre e ovunque. Per questo la riorganizzazione del progetto poetico appare urgente. L’interazione tra vocalità e scrittura, quando l’una attraversa l’altra e viceversa, offre speciali zone d’intervento. Ecco che l’elettronica richiede le sue sintassi. Allora. Ecco: una scrittura che non produce testi. Ma sesti e archivolti spinti oltre confine. Pre-testi da trasfigurare. E già trasfigurati. Visualmente. Acusticamente. Plasticamente. Territori d’azione primaria. Luoghi rovesciati. Centri di gravitazione perturbata. Per la riperimetrazione del senso. Oltre il vocabolario. Oltre il consenso. Oltre la pagina. In termini di spazio-tempo. Per un’elaborazione testuale azimutale. In prospettiva elicoidale. Catastrofica e frattale. Che sfida il maestrale sulla barca di linguaggi definitivamente sfasciati. Filosofie perdute in situazioni ritmiche. Tragiche e irridenti. Dove la vocalità attraversa l’immagine. Attraversa la scrittura. Versa il suo contributo al progetto poetico con bollettino di conto corrente intestato all’arbitrarietà. Alla spinta ideale congeniale ai termini di funzioni rinnovate di voce-segno-gesto che amplificano il testo. Lo condizionano in sede tecnica. Montaggio. Coraggio liminale. Coscienza intermediale. In azione. Oltre il “cut up”. In simultaneismo multifunzionale. Viscerale e razionale. Sensoriale. Emozionale. Iperrelazionale. Conflittuale. A tratti sapienziale. Senti il sound di strada e della sala da concerto. Quello mediatico. Quello asmatico dei poeti d’altri tempi. Rap o jam hip hop o “toast” o scat o dozens, rock, jingle, pop e modi popolari e arcaici. Affabulazioni, litanie, formule apotropaiche e scioccherie di sesso e di cesso. Melodie a colori. Monodie d’immagini semiografiche. Prefiche magiche. Eutrofiche e distrofiche. Ipertrofiche.
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SINERGIA E COSÌ SIA
Sinfoniche e schizofreniche. Ma sempre in armonia polifonica. Insomma: spartiti straniti. Sfiniti. Abortiti o pervertiti. Aguzzi. Squisiti. Inviperiti. Inauditi e invisi. Come dovrebbe essere la poesia di questo secolo. Forse. Il gioco delle confluenze e degli sconfinamenti esagitati. Sbrindellati e scoglionati a volte. Testi integrati, spesso. Ultratestuali. Politesti in risonanza. Ipertesti verbo-sonori. Visivi e multi poietici. Ultratesti trasversali. Polifonie intermediali e interlinguistiche. Nel pre-testo i germi metamorfici per la complessità di tessiture dinamiche in serie. Iper-hyphos. Nel dissesto pluridirezionale. Il pre-testo pluripotenziale. Multilaterale. Policentrico. Poliritmico. Multivalente e multidimensionale. Ipergrafico e strafottente. Per ampliare e snervare i confini della poesia. Mentre la materialità dei linguaggi s’aggrappa a voce, a corpo, a nuovi media, a strappi, a inchiostri, a incastri in hypervox.
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Giovanni Fontana ■ Partenope
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venerdì 3 agosto 2012│
Ettore Bonessio di Terzet
TITANIC E (TRA PARENTESI) Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come è veramente, infinita. Blake
L’adrenalina dell’orgoglio strinse ogni bullone rinserrando paratia a paratia, ferro a ferro costruendo una macchina feroce e alta. Non benedetta e senza cerimonie con tracotanza e boria si varò la nave, preoccupandosi solo del lusso e dello sfarzo perché era l’inaffondabile progresso: altera ed egoista si curava solo di risplendere tra i mari d’oceano.
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Divisi su tre gironi danteschi uomini e donne attendevano impotenti lo scorrere del viaggio quando le viscere della nave furono completamente riempite dalle gelide acque. Uniti aspettarono del viaggio la fine diversa dalle aspettative.
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* ..... (ricostruire una casa di campagna, ripristinare il tetto e comporre una mansarda, adeguare termoconvettori al futuro inverno, disporre paratie e colonne rasate di fresco, colorare di rosso e di azzurro i bagni, accomodare la scala lucidata di grigio, sistemare divani e poltrone, arredare lo studio la lineare stanza da letto con Melisante, riorganizzare il giardino e piantare dalie, camelie, rose, quadrifoglio, alloro, margherite, e i tulipani le ortensie i gerani i giacinti, dimenticata fatica oltrepassando la memoria del rudere, disponendosi pace, dondolandosi sul vimini giallo) .....
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La disperazione sommerse ogni cosa mista ad un tremito come di gioia
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* ..... (i lavori di riordino non cessano mai, ora un cornicione, adesso la gronda ecco qualche mattone sconnesso, il camino non tira troppo bene, perde il tubo dell’acqua poi cambiare il rivestimento delle sedie cambiare posto al tavolino, riassestare quella credenza coi i vetri di murano da cui si vedono i calici un armadio nuovo con la misure sbagliate cambiare l’ordine delle piccole cose d’affetto ripensare al tappeto coordinato con il copriletto i lavori di casa e di giardino giornalieri. Ma è bello rendere viva una casa di campagna sentire che ansima come un mulo lungo l’erta che si raffredda poi si riscalda e poi si arrabbia si ribella alle imposizioni, si addolcisce alle abitudini una casa non è muro di pietra o intonaco e mattoni non è il pavimento in cotto scelto con cura e rigore non è il rivestimento del bagno della cucina è una vita se è stata una vecchia casa di campagna) .....
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ineffabile brivido che corse nel cuore, il nero invadendo l’intorno, solo le luci che affondavano si rispecchiavano nella calma agghiacciante del mare; solo qualche urlo, un pianto, un nome rumori e schianti, il suono dell’orchestra poi, il bollore schiumoso del gorgo che calò il silenzio sopra ogni cosa. Tutto finì. Nessuno parlò più. Solo rancore e rassegnazione per il maestoso bastimento che incolpevole aveva tradito.
* …. (curavo da quattro anni nove tulipani tutti di colore differente con religiosa dedizione maniacale ogni anno prendevo i bulbi ben asciutti e in primavera li ponevo sottoterra perché riposassero sino all’autunno e spuntassero così i nuovi fiori che andavo guardando nelle diversità coloristiche, se mai fossero ohimè screziati il disastro dei parassiti che portava il bulbo alla morte: quando sparì nella notte acquosa s’immaginò un tappeto di tulipani che ricopriva completamente il giardino con colori cristallini e vellutati mai visti prima.)….
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Non avrebbe più collezionato modellini di rifinitissime e smaglianti automobili da quelle più antiche alle nuovissime appena prodotte disposte in tripla fila, distanziate, in varie bacheche fatte fare su misura da un buon ebanista. L’orgoglio del suo svagarsi, del suo prendersi la porzione di libertà che poteva per periodi brevi tumultuato dal comprare e rivendere fabbriche questo suo svago e piacere andò ad infrangersi nella mancanza di scialuppe occupate tutte dalle donne dai piccoli dai vecchi, irritato è rimasto a guardare l’affannarsi dei superstiti distante e impaurito dall’idea di morire annegato. * Spingo con tutta la forza possibile con la spalla contrastando la spinta dell’acqua assieme ai compagni piantando bulloni e chiodi sapendo sforzo di lavoro inutile penso al paese lontano ignoto gli amici le belle donne di sera
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la birra il vino con il biliardo al caldo fuori la nebbia muto velario ripenso alla casa ai ragazzini ai vecchi agli amori lasciati all’amore trascurato poi via, un ordine, e l’acqua si rovesciò nel locale senza dare scampo, rapida e travolgente e subito fu sommerso da un’ondata che proseguendo lo coprì definitivamente.
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* Mi lasceranno qui nel fondo della nave siamo già sotto il pelo dell’acqua cercavo una rivincita e un riscatto alla miseria della mia vita e per i miei una speranza che mi viene tolta adesso senza saperne le ragioni senza sapere perché sono qui tra altrettanti disperati a sentire solo roboanti colpi mostruosi come se la nave dovesse scoppiarci addosso
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* Che posso fare io povero cameriere se non raccogliere i compagni e calmare la loro ansia la loro paura: essi mi credono forte e saldo di nervi io ho paura non vorrei morire così in una enorme lussuosa scatola eppure devo farmi coraggio e pensare a loro anche ai passeggeri agli sbandati ai piccoli ai deboli, altro non so ma i pensieri e il daffarsi furono improvvisamente interrotti da una specchiera sfondata l’acqua inondò la mia sala da pranzo e non vidi più niente.
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* ..... (l’affanno viene dopo. Quando la casa è casa di campagna compiuta o quasi, mancano pochi arredi e ninnoli, risale al cuore al cervello il desiderio di farne dimora stabile, luogo definitivo dove passare le ore e curare il lavoro scrivere delle cose amate preoccuparsi dell’indispensabile attività artistica insomma nasce il problema di stabilirsi in questa casa di campagna un poco lasciandosi andare solitari lasciando i disturbi della città circondati dal sole dalla nebbia bianca dai cadenzati rumori di chi si affaccenda alle cose agricole senza fretta con modi più lenti che accadono secondo gli intervalli dell’unico semaforo testimone della civiltà che da qualche altra parte continua a movimentarsi incurante anche delle piccole cure che ti affliggono incurante delle occupazioni che nella calma assicuri alla tuo incalzante egoismo che non è morto neppure tra i canti dei galli i muggiti delle vacche i trattori ansanti civiltà che continua a correrti dentro e si stampa negli strumenti di cui sei circondato. Abitare un casa di campagna ma qui non nati
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mentre strisce acquose serpeggiano per ogni lato della stivata gabbia e quando non ci sarà più tempo annegai soffrendo in cerca di aria i polmoni scoppiati di liquido schiumoso.
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* Da solo tra i miei ufficiali mi affannai a dare ordini a tentare l’impossibile solo vero colpevole dentro questa nave mi paralizzai e non seppi più che fare quali comandi in sequenza far eseguire vedendo l’ineluttabilità della cosa [tanto dannarsi per un sicuro lasciare] fortunato quando qualcosa mi precipitò addosso e muoio senza più dover dar di conto agli uomini.
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prolunga un certo stato di schizofrenia che ti allarma alla sera quando il sole cala alla notte quando il silenzio è tanto al mattino quando ti svegli senza suoni e poi inizi il lavoro senza badare all’esterno come se fossi ancora in una casa di città con tutti i piaceri le comodità fintanto che non ti fermi un momento. Allora la testa ronza il cuore batte diversamente una scossa istantanea e breve percorre il corpo sai che è questa dicotomia che continui a vivere anche se a mente tranquillizzata sei contento quasi felice, sicuro e sereno certo di uscire in giardino a sentire i profumi, gustare i colori fuori a passeggiare tra le strade deserte, al bar a chiacchierare con i paesani, in bicicletta tra i vialoni di ippocastani a respiro pieno prima di rientrare e concederti alla ben disposta tavola tra un giornale una rivista una notizia della radio la benedetta televisione che ascolti di meno le dolci sigarette e la musica che riempie la casa e l’amata che stravolge le ragioni di prima) .....
domenica 29 luglio 2012│Lucio Zinna ■ Acetilene, lustrura e amoreumore
Lucio Zinna
Acetilene, lustrura e amoreumore
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L’odore grasso violento dell’acetilene per il lume sulla bancarella del lungomare a rischiarare salati semi di zucca casalinghi bonbons grani di càlia ottobre-novembre struggenti dopo il tramonto (si sa) le onde in basso − oltre l’inferriata − percettibili appena quasi musica tenue alle spalle dell’uomo dal volto di bestemmia taciuta. Venti lire non erano molte (poche neanche a quell’epoca) per considerare nostra semenza. Si sgranocchiavano serate blu e nostalgie campestri un seme appresso all’altro in solitudo paesana la mente a vagare su trascurati compiti di scuola su aggrovigliate vicende di Montepin («Il medico delle pazze») extra vaganti evasive o su una
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■ ODORE DI ACETILENE
fanciulla sempre intravista avvicinabile mai un nome (Ambretta − mi pare) pronunciato da una compagna uno sguardo due sguardi tre sguardi nella rigorosa piuttosto eguaglianza dei giorni e il tutto smarrito nella chiara sensazione di una vita in fondo da vivere ancora trascinando (comunque) una pena segreta speriamo di no. (da “Abbandonare Troia”, Forum, Forlì,1986) Nota: Sono chiamati “càlia”, in siciliano, i ceci abbrustoliti e “simenza” i semi di zucca tostati e salati: ambedue sono spesso abbinati e sgranocchiati, anche deambulando, come passatempo.
■ LAGUNA VENETA
Mai altro luogo in cui s’azzeri come su questa fluida putrescenza ogni contrasto e integra ne permanga l’essenza gioioso struggimento amara festa oh vita che negandosi s’afferma ricamata solitudine gaia malinconia (un fremito d’archi trascorre su quest’erba a pelo d’acqua) tremuli pinnacoli morte di broccato. (da “Abbandonare Troia”, Forum, Forlì,1986) ■ AMOREUMORE
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Stilla il mio amore da minute gocce trasuda sulle rocce nelle foglie traluce all'alba settembrina. Della tua terra m'alimento - radice sono — e traggo (per la mia pianta) amore. Umor panico umore mio solare aereo umore amor acqueo mio corpo mia speranza (e sangue e flemma e bile). Ridi con me umoramore
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A Maria Nalù
vanne umoramaro. Con me pecca t’inquina in me t’illimpidisci semina i veli — umore mio tabù e canta (vedi — brucio d’umore). Canta e disperdi il canto alle maremme canta fra rovi di giummare canta la tua umorosa canzone — amore nudo — spicca l'ali nel vento «Amore-umore che m'hai fatto fare...». (da “Bonsai”, ILA-Palma, Palermo-São Paulo, 1989)
Compendia sapore d’infanzia
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Ti giunge improvvisa una brezza mattutina che sorvola le sonnolente finestre ti residua un misto di salsedine ed erbe selvatiche i gas di scarico – appena un sospetto – avranno avvento nella giornata metropolitana assapora il filo che transita carico di frettolose fragranze accoglilo con (inquieta) gratitudine.
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■ TRE MOMENTI SUL TEMA “ASSAPORARE”
la rianata effluvi di domestica consuetudine esaltati di forno mollemente invadevano angoli di cortile pittavano nei volti (care scomparse immagini) il fugace sollievo – la tregua – alla rassegnata fatica di vivere. Ambra la tua pelle sapida di mare (miraculum nel nostro fragmentato iter lunare) e quanto verde di onde e di lecci e quanta dolcezza di sorrisi (non sprecarli i sorrisi destinali a sicure consonanze fanne dono non stereotipo) a degustare per quanto possibile questo cosiddetto nostro tempo visto e considerato che passa tutto (anche il futuro). (da “Poesie a mezz’aria”, LietoColle, Como, 2009)
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La pioggia fitta persistente appena cessata ci lascia questa chiarìa che rende traslucidi corpi e cose alberi e case nel viale inzuppato di resina e l’asfalto riflette percettibili sfrigolii di ruote veloci intanto che come ombre noi due procediamo sul marciapiedi che affianca la villa mano nella mano silenti verso e oltre l’arco di nessun trionfo mentre nella piazza che pare spoglia il caffé dal grande chiosco ottagonale a vetri si offre per uno per due
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■ LUSTRURA
per tre quarti d’ora di addormire il destino intepidire l’intrepidezza dell’ignoto la soffusa irrealtà del giorno paghi di essere comunque qui comunque insieme fatti certi dalla stessa incertezza nella lustrura post-pluviale di un imbronciato mattino qualsiasi.
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(da “Poesie a mezz’aria”, LietoColle, Como, 2009)
mercoledì 25 luglio 2012│
Minitest sul film di Isotta Toso: visiodiffusore demico o culturale?
V.S.Gaudio Ho fatto un minitest a cui potrebbero sottoporsi i volenterosi spettatori e lettori, anche se ho dubbi in proposito. Comunque, rispondi, se vuoi fare il test, a ognuna delle domande senza pensarci tanto su e poi calcola il punteggio ottenuto. Scoprirai se sei un visionatore, alla Morin, che crede più alla diffusione demica o è un convinto sostenitore della diffusione culturale( il ritratto per ognuno è ricavato da sostanziali considerazioni del genetista Cavalli-Sforza, provare per credere…).
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1. Secondo te, il pesce finto è… a) un pesce spada b) un Marlin azzurro c) un’aguglia ingrassata dopo le feste natalizie d) quale pesce finto?
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Domande
2. Un film così, prodotto dalla Disney ,e non dalla Rai con i contributi statali, avrebbe avuto… a) Minni nel ruolo di Giulia b) Paperino nel ruolo del Manfredini avvocato che fa il corso di dottorato 15 anni dopo la laurea c) Maga Magò nel ruolo della padrona del cagnetto, la moglie di Fantozzi d) Gastone che fa il fratello “cagnaro” 3. Invece che a piazza Vittorio a Roma l’ascensore l’avresti visto a: a) piazza Vittorio Veneto a Torino b) piazza Vittoria, che dà sul lungomare Caracciolo, a Napoli c) piazza Vittorio Veneto a Verona d) piazza Vittorio Emanuele Orlando a Palermo 4. Invece della musica di Gabriele Coen e Mario Rivera avresti voluto semplicemente come branopunctum: a) ”Cucurrucucù Paloma” cantata da Caetano Veloso come nel film “Hable con Ella”di Almodovar b) ”Pigs on the wing” di Waters per i Pink Floyd c) ”Sotto le stele del Messico a Trapanàr” di Francesco De Gregori d) ”Forgiveness” di Elisa 5. Pensi che avrebbe fatto più cassa se l’avesse diretto… a) Pupi Avati b) Bernardo Bertolucci c) Tinto Brass d) Roberto Faenza, quello dei Vicerè di De Roberto che, a conti fatti e da quel che ne so, è quello che ha avuto più contributi statali per le sue regie 6. La Rai, che lo ha prodotto, pensi che lo trasmetterà in tv entro il 2020… a) alle due di notte b) alle ventuno del mercoledì di Champions League per la squadra del tuo cuore, quando incredibilmente resti pure bloccato in ascensore c) dopo che Sky lo ha passato su tutti i suoi canali di cinema settimana dopo settimana e per almeno 5 anni d) non lo trasmette perché probabilmente deve dare qualcosa alla regista 7. Un film così è più adatto per… a) la tv b) il web c) il dvd d) il cinema a)
b)
c)
d)
1 1 1 1 2 1 4
2 2 2 2 3 2 2
3 4 4 3 1 3 3
4 3 3 4 4 4 1
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Do Man de 1 2 3 4 5 6 7
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Tabella dei punteggi
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│da pingapa-cinema-nuovo-metodo-di-critica-│
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Se hai ottenuto da 7 a 12 punti Tu pensi ancora che a viaggiare siano solo i mercanti; l’analisi dei dati archeologici ha dimostrato che la diffusione dell’agricoltura è stata molto lenta, e che è stata accompagnata da un aumento considerevole della densità della popolazione. Dovresti sapere che ogni diffusione puramente culturale è di solito rapida e ha raramente effetti demografici. Se hai ottenuto da 13 a 18 punti Sei un po’ come gli archeologi tra le due guerre mondiali, che avevano la tendenza a interpretare la comparsa di qualsiasi innovazione culturale come il risultato di grandi migrazioni e conquiste. Dopo l’ultima guerra mondiale ci si è accorti, soprattutto in Inghilterra, qua non ne sapevamo niente, che queste interpretazioni potevano essere errate, poiché poteva trattarsi di mode che si diffondevano in un’area abbastanza densamente popolata, grazie a una rete commerciale ben sviluppata. Se hai ottenuto da 19 a 23 punti Di primo acchito, uno ti vede e pensa che tu abbia inconsapevolmente adottata la teoria genetica sviluppata da R.A.Fisher ai problemi ecologici e demografici della nostra civiltà: ecco perché c’è stato questo esaurimento rapido dei terreni coltivati senza l’uso di fertilizzanti, e il sovrappopolamento locale ha fatto sì che la migrazione riguardasse le regioni più vicine, a meno che queste siano già occupate, come è successo sulle coste joniche della Calabria,occupate totalmente dagli italo-albanesi migrati dai monti attorno. Se hai ottenuto da 24 a 28 punti A pensarci bene, dopo che ti si conosce, uno si rende conto che tu devi essere uno di quei discendenti canadesi di quelle mille donne francesi che poco più di tre secoli fa furono reclutate da Luigi XIV come spose per gli uomini che “abitavano” il Canada francese e non avevano altra possibilità di trovare mogli(francesi). Luigi XIV diede una dote a ciascuna delle donne che accettarono di sposarsi in queste condizioni, spesso senza conoscere il loro futuro marito e le adottò come figlie, erano chiamate le “figlie del re”. Questa popolazione cresceva velocemente; ed è simile a quella di un’altra colonizzazione: il popolamento dell’Africa meridionale da parte dei contadini olandesi. Ciò non vuol dire che il tuo avo fosse necessariamente un coltivatore europeo.
sabato 21 luglio 2012│Antonio Verri ■ Ballyhoo, ballyhoo!
Antonio Verri Ballyhoo, ballyhoo!
Antonio Verri │Ballyhoo, ballyhoo! Compact Type Nuova Narrativa
Pensionante de' Saraceni
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Lecce 1990
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Tella bruttebbona
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Lino Angiuli
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domenica 15 luglio 2012│
Vergognare? E perché mi devo stare a manco una ‘o’ col bicchiere mi sono vergognare io? Mica è una malazione! E imparata a fare. mica è la mia la colpa se non sono andata Mi dispiace assai, ma però – accome ho manco alla scuola elementare, ché mio detto prima – io non mi vergogno anzi − padre era buono e caro, ma era contro di se lo vuoi proprio sapere − apposta voglio mandare le figlie femmine alle scuole e parlare sempre intaliano non indialetto, allora mi mandò soltanto alla maestra di pure a mia casa, ma dippiù se devo cucire: «Sempre maestra è; quello che ti andare al dottore: lì mi spizzarrisco pure devi imparare della vita te lo impari da con le parole sanitarie che mi piacciono tuo padre e da tua madre». assai, che se nasco un’altra volta devo Per questo fatto forse a me la cultura mi è vedere di fare la medichessa. lasciata in gola e – non ci crederai – mi Esempio, l’ultima volta che tengo andata piacciono di più i libri del mangiare: a al dottore gli ho detto che mi sentivo vederli e a toccarli, però, no a leggerli, ché come una specie di affanno a salire le scale o puramente a lavare a terra con la pezza, tanto che mi stavo a fissare di una cosa che ho sentito alla televisione: se da piccolo hai avuto le donzelle ti può pure venire una malattia alla valvola mitraglia o addirittura ai ventriloqui del cuore che non sono una fesseria. Invece lui dice che può essere solo un dolore vicino al reno che mi è sparato a lavare a terra senza mazza, datosi che mi spezzo in due, e che devo stare attenzione all’impressione, perché se mi fisso mi possono venire le malattie del cervello. Io me n’avverto che se la ride sotto ai baffi, il gaggio, aqquando dico le parole sanitarie che certamente le sbaglio a dire,
lo so, come non lo so! ma a me che me ne freca? Abbasta che mi capisce e mi dà le medicine esatte. Tanto vedo che non sono solo io a sbagliare al dottore. Ne sento che ne sento nella stanza dell’aspetto, aqquando ai pazienti gli viene la susta e cominciano a parlare sopra e sotto, mischiando fave e cicorie! Quello dice che si deve adoperare all’insetto nasale, una donna prena dice che tiene i cognati di vomito, quell’altro si lamenta per gli artrosi verticali e si deve fare gli analisi.
L’altra che a me mi tratta come mi tratta il dottore è quell’altra, Mariarosa, la commarella mia bibliotecaia, che la madre veniva alla sarta con me. Beh, aqquando io mi metto col pensiero che devo parlare pulito, lei si fa le meglie risate e, propriamente, le parole che dico se le scrive sopra al compiù, che chissà da dietro quante risate che si fanno sopr’a me lei e le compagne sue. Oh, e che è cos’è? La caricatura? Solo perché non sono andata alle scuole? Questo vi hanno imparato i libri e le
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Non ne capisco assai, ma mi penso che pure loro qualche sbaglio come a me lo fanno, o no? Insomma, che insomma, vuol dire che sulla faccia della terra ne stanno assai non solo di guai, ma pure di gnoranti come me che vanno aggirando alla luce del sole! Meh! E che devono fare: si devono sparare? Tanto, sono gnoranti pure quelli che hanno fatto le scuole, certe volte: chi la quarta, chi la quinta e pure quelli che hanno fatto le scuole alte. Guarda, è roba da rimanere illibati altrocché!
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L’altro giorno, una donna invece di dire che teneva il dolore al trigesimo diceva “al trigemino”. A uno poi gli era nato un figlio dauno e una volta stava pure una bambina che teneva il labbro pecorino.
Se io tenevo le scuole e tenevo pure i soldi, anziché di fare un rivestimento bancario, dovevo comprarmi tanti di quei libri che la casa me la dovevo riempire sana sana di loro, io. Insomma, certe volte la vado a trovare apposta dentro alla biblioteca per sentirla di parlare: a me, aqquando la vedo che ragiona coi cristiani, mi sembra peggio di una professoressa, e prende i fatti da sotto e da sopra, e nomina tanti e tanti nomi che si sentono solo dentro alla televisione ed escono sopra ai giornali, pure i nomi delle trasmissioni scienziate di Pierangela. Che ti devo dire: Ludovico Arrosto, Camillo penso di Cavùr, Giacomo Leopardo, e uno che non l’ho sentito mai di nominare, Ugo Fosco – se non vado a rate – lo scrittorio che lei tiene fatta la tesi di laura proprio sopra a lui. L’altro giorno che sono andata stava a dire a un cristiano i libri sopra al buco della zona, e a un altro quelli sopra la musica dota cafonia, e con uno studente parlava – come se era nulla – delle guerre tuniche, mi pare. Quanta roba è bello a sapere, però. Ma però non ti devi fare tanto bella, eh Mariarosa, che la vera gnorantità non è di non sapere le parole difficili, che più ne sai e più puoi frecare al prossimo. Lo vedi alla televisione? Tutti questi politicanti che stanno sempre a parlare dire parlare, e sono tutti emorroici che gli
fa pure la schiuma alla bocca? Parlano, si prendono a capelli, si menano a stutare con tante di quelle parole e di quei verbi difficili e inutili. E il risultato? E il risultato? Lo vuoi sapere il risultato? Il risultato è che io devo aggirarmi tre quattro supermark per vedere addove sono più mercati il latte, la farina e le uova, ché mi piac-ciono assai i dolci a me, a farli e pure a mangiarli, propriamente la crema scintillina accome la spiegano alla televisione della mattina. A chi gli manca l’affetto – l’ho sentito là – gli piace assai il dolcetto. Io dico, pure che non ho fatto le scuole alte, io dico che la vera gnorantità sta dentr’al petto non dentr’alla testa. Se no Gesù perché se la doveva fare con i poveri cristi? Pure i suoi aposti erano quasi tutti mezzi cozzali e pescivendi e, chi lo sa, forse solamente uno o due erano di lettura. Magari – che ne sai? – magari pure San Pietro era un capo vastaso che davanti alla tavola bandita dell’ultima cena magari gli poteva pure scappare di parlare alla mano al Maestro «Na’, Maestro, oggi sono andato a pescare le vonghe voraci per dartele proprio personalmente a te». Poi, a buono a buono, gli scende il palombo dello spiritosanto sopr’alla testa e s’impara a parlare come i cristiani, lui e i suoi compagni di vangelo, cioè gli altri aposti che, levato Giuda, erano tutti cristiani a posto. E
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come dice il proverbio? – “meglio prenderla in gola che… che… che una gallina domani!”. Comunque che sia, ehi a te Mariarosa: inutile che mi fai quel sorriso smagliato aqquando parlo io e ti fai la bella con me che sono alfabetica. E grazie, che grazie. Ti sei presa la laura all’Università e capisci di tutte quelle cose che stanno sopra ai libri grossi con la copertura colorata. Come mi sento di fottere io, Mariarosa, ma non per la laura, ma perché stai sempre in mezzo a tutti quei sorti di libri di tutte le qualità e di tanti colori, con tante e tante figure sopra e dentro.
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scuole? Esempio – tutto ti devo dire? – ogni volta che ci troviamo mi deve far contare il fatto che tiene già scritto sul compiù da aqquando, mo’ fa tre anni, andiedi a Roma col pulmo a vedere il Papa nuovo e ci fermammo a San Giovanni laterale. Dentro il pulmo stava l’aria condizionale; usciamo e ci prende un’acqua a zone, che pioveva a ridotto e mi abbagno sana sana, pure se tenevo in collo un sorto di kiwi. Madonna, pure i piedi nelle pozzanghe!!! Non mi venne una forte influenza che hai voglia a buffarmi di campomille e spremute di marange? La notte la febbre a quaranta: insomma l’avevo presa in gola, benedetto Papa Benedetto. Ma –
Sai cos’è il problema? Non tanto mio padre che era buono e caro, ma però mi stroppiava di mazzate solo al pensiero che io potevo pensare a quelle cose – non sai? quelle cose… – o pura-mente al pensiero che uno poteva stare a pensare a me. Il problema vero è che il padreterno con una mano mi ha dato e con l’altra mi ha levato. Da una parte − lo faccio per vantarmi − mi trovo un personale e una corporazione veramente di lusso, sanguellatte, e due “paraurti posteriori che sono un capolavoro”: queste proprio sono le pa¬role che mi dicono tutti i maschi che trovo da dietro e che mi fanno il sordellino o puramente mi vengono appresso per dirmi “bonazza” o “ti vorrei fare a un’ora di notte”. Ma solo da dietro però, perché come mi volto… è vero che tengo pure due sorti di “paraurti anteriori”, ma ci ho pure due occhiali doppi come due culi di bottiglia, che si prendono tutti paura solo a vederli. E che ci devo fare? Mi devo sparare? Meh, per il fatto che ci ho ’sti occhiali, appena io mi aggiro di faccia, subito loro si aggirano di tacchi. Solo qualche maiale mi dice le parole dei porchi, che non le posso dire, ché se lo sa mio padre mi sfracana di mazzate solo a sentire che le ho sentite certe parole. Insomma, m’assomiglio proprio a quella pera che la chiamano “bruttebbona” – non sai? – quella che da un quarto è bella
rossarossa e dall’altro quarto sembra proprio una ceramara. Comunque sia, o di lì o di là, sono rimasta vacantina a questa bell’età, e devo stare quasi sempre dentr’a casa, io, la gatta che mi cresco dall’an¬no passato, e mio padre, che mamma, piuttroppo, era ancora giovane aqquando alla complicazione di una grave danza se ne andò al creatore mentre si partoriva di Rocchino, il secondo fratello mio che sta col grande nell’Ussemburgo, che si sono accasati con due femmine germanesi, ma è accome che non le tengono, ché quelle dell’estro mica sono come noi che la famiglia è la prima cosa! E aspetta! Poi c’è pure il fatto del nome e cognome, che te lo voglio dire proprio. Accome mi vado a chiamare io? “Tella”, che poi è minutivo di Rocchitella, datosi che al mio paese il santo padrono è San Rocco di Nonpeglié. Allora da Rocco Rocca, da Rocca Rocchitella, da Rochitella Tella. Hai voglia a dire che sono Telluccia, non per avere un altro minutivo che già ne tengo assai, ma per levarmi da sopra lo sfottimento scemo di certi maschi scemi. Ma niente da fare. Tella ero, Tella sono e Tella devo morire. E quale si trova ad essere il mio cognome? Lo sai, no? “Metto”. Allora, datosi che dalle parti nostre per domandare a uno accome si chiama si
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quel caimano dello zio di essa, Rodrigo, un fame, un vero malinquente, e quella ruffiana traditora della serva negra di faccia, che per la forte celosia li vogliono per forza far scocchiare. Ma alla forza della passione, caro Rodrigo, non gli puoi andare da sopra, perché l’amore… l’amore la parola stessa lo dice! E devi vedere i baci – oh – gli strusciamenti, le parole capate da dentro al mazzo che ti fanno capponare il pellame! Ah l’amore, l’amore a me mi è incappato sempre in canna. E hai voglia a dire «San Pasquale Baylonne protettore delle donne, fammi acchiare un bel marito, bianco rosso e colorito».
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grazie! Mettimelo a me il palombo sopr’alla capa e poi vediamo se non sono capace pure io di parlare intaliano e in tutte le lingue di questa terra. Io, poi – addove è giusto è giusto – io voglio essere pure prezzata che faccio uno sforzo pa-recchio di dire intaliano le cose mie, pure se lo so che faccio tanti orrori di sbaglio. Voglio essere prezzata che certe volte parlo pulito, massimamente colle parole delle telenovele, che io le vedo tutti i santi giorni, pure se viene il terremoto. Mo’ mi sono attaccata assai a quella… la Forza della passione, che stanno lui e lei, Diego e Ramona, che ne passano un sacco e una sporta di tutti i colori sopra e sotto ma si amano sempre sempre, alla scusa di
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dice «come ti metti», è troppo facile fare risposte giuste all’uso mio, non sai? «E le sonate fesse sopra a me povera crista. tua madre come si mette?», oppure «Io La prima sonata: «Come ti metti, mi metto come mi Metto?». Che poi viene pure la seconda metto ma tu mettiti al costo e vai con la sonata: “Tella Metto”, e bonanotte, Madonna»; oppure «Certamente non mi figurati le risate dei porchi che non sanno metto come si mette tua sorella sopra al manco ridere zitto zitto, ma se la devono marcialappiedi». fare grasciosa la risata, che si deve sentire Insomma, questa storia del nome e del fino alla piazza. cognome mi dà proprio qui e non ci Hai voglia a dire che sono Metto Rocca: voleva proprio a me poveretta. non ci sta niente da fare! Ma certe volte, E la colpa non è dei minutivi? senza che lo sa mio padre, gli do le Invece alla televisione i nomi di donne si sentono accome nomi esatti, accome Vanessa Debora Azzurra Ilenia. L’hai sentita mai di chia¬mare Sisina a una Vanessa della televisione? E se la principessa Sissi la chiamavano Sisina, non dovevi sckattare a ridere? Meh, e a noi perché ci devono stroppiare tutti i nomi, che la maggioranza sono già fetenti per conto loro? Sei nato Salvatore? Diventi Toruccio. Sei Concezione non basta e diventa Concetta, nato Vito? Puoi diventare, a piacere, Concettina, Tina, e la devono stroppiare Tutuccio o Tuccino o, se sei di Polignano ancora: Titina o Titella, che però non a Mare, Vitullo. Da Onofrio puoi c’entra niente col nome mio. diventare Fiuccio; da Domenica Chechella Pure il nome della Madonna, che è tando o, a piacere, Chellina, no Chelina, che bello – Vergina Santissima – da Maria lo invece scende da Michele femmina. stroppiano a Iuccia. Ma non basta. Pure Nenenna può scendere da Maria o da Iuccella. Un altro poco la chiamano Lina, Rosa: che ci azzecca Nenenna co ’sti che poi vai alla pesca da addove scende nomi? Boh! Lino e Linuccio, poi, non si quest’altra. capisce neppure da addove scendono. Vai Non ne parliamo se uno si mette a vedere se si chiamavano Raffaele Angelo Francesco di nome: Franchino Francuccio Michele Pasquale Daniele o Natale. Ciccio Cillino Cic-cillino Cilluzzo Chi lo sa, forse che le mamme li vogliono Ciccilluzzo Checco… e Cucù, no? Dico io! tenere sempre sotto i figli. Per questo li Vieni qua, Cillino, a papà; vieni qua che ti chiamano coi nomi piccolini! Ma dico io devo imparare le ducazioni… a botte di alle mamme: li avete fatti? Li avete mazzate, stampate e pioni. cresciuti dentr’alla pancia per nove mesi? E pensare che tutti i nomi scendono dai Gli avete dato il latte pure fino a tre anni? Santi. Ah, i santi, i santi: aqquando si Li avete imparati di fare pappa pipì vuole onorare il padrono del paese, puppù? meh, e non vi basta? Che gli massimamente per avere qualche grazia, volete dare la menna fino aqquando ecco che cosa ti esce da sotto: una Tella o, devono fare vecchi i creaturi? Levatevi ancora peggio, un Madio, a Monopoli, la davanti agli occhi una santa volta, ché quale lì sta la Madonna “della Madia”, quelli devono crescere con le gambe e col non “dell’Armadio”. cervello loro. Non ne parliamo poi dei cognomi! Stanno E pure ai padri – non ti pensare – questo certi cognomi sdreusi che pare che li fatto gli conviene e come! Con la scusa del hanno fatti ap-posta per ridicolare le minuti-vo, se li vogliono tenere sempre persone. Il mio ancora ancora…, che a sotto i figli. Più piccoli sono e meglio è, il “mettere” si possono mettere tante robbe fastidio è di meno. Forse per questo – non solo quella cosa che pensano i Cosima non basta e diventa Mina; poi la maschi, che sempre a una cosa stanno a stroppiano ancora di più: Mimina o pensare, ’ngul’a loro. Stanno quelli più Mimma, che poi era meglio Mina, a sospinti: Menna, Zizza, Zinna, Tetta. Ma questo punto, accome la cantante. non ne stavano di cognomi più aggraziati,
dico io? Addove si va presentando una femmina che si chiama accosì? Quasi quasi mio padre fece bene a non mandarmi alle scuole. Chi lo sa, forse lui se lo pensava quello che mi dovevano combinare i compagni e le compagne: «Accome ti metti, Metto?». Sì. E accome si mette tua sorella? Mah, Gesù, fammi stare zitta, fammi stare, che è meglio!! Il mese passato ho sentito alla televisione che i cognomi di prima pri¬ma erano i soprannomi dei difetti delle persone. E i difetti, da in mano agli antichi – lo sappiamo – vanno a sfrugugliare
massimamente le cose sporche, come gli è capitato a una cristiana della Sicilia, che si chiamava Vanna Fecarotta. Ma, Vanna mia bella, sentimi a me, a Tella tua: ma a chi glielo andiamo a contare che al principio principio era stata la “feca” a rompersi? Come pure – secondo te – uno che si mette Grattagliano, che cosa si poteva grattare al principio principio, la capa? E allora non si doveva chiamare Grattalacapa? Alla sarta veniva con me una che si chiamava Cuzzolongo. E ci vuole tanto a capire il trucco che sta sotto questo
“cuzzo” di cognome? E poi, mi dovete dire a me: a una femmina che ci azzecca il cognome “cuzzo”, che se lo deve portare “longo” per tutta la vita sua? Come
Però, per piacere, le telenovele, per piacere, non me le dovete attoccare; se no faccio la guerrasanta come quelli, i slami. Dopo di mangiare, scappando scappando, mi lavo i piatti e mi levo i servizi davanti, accosì, verso le due, ho già pulito a terra e mi posso stendere finalmente sopra il divanoletto del tinello. Allora mi appiccio la televisione e vado subito a Telebella. Oh! E chi sta meglio di me? che tengo appresso pure la gatta mia, che me la sono chiamata Gabriella, lo stesso come la protagonistica di Libertà del desiderio, la storia da fare arrizzare le carni di una figliola cecata, ma però bella, che gli mancava l’affetto però. Da una cinquantina di appuntate lei va cercando il vero amore, quello colla A maiusca, e dopo tante e tante frecature della vita (il padre che si uccide per il fatto che ci aveva tanti debiti al gioco, la madre in manicomio, la casa bruciata, il fratello cornuto, la banca addove lavorava fallita) finalmente si incontra con Rodolfo, un bravo giovane, un musicisto, scorfano di padre, che per vivere imbastisce lezioni di musica; ma a Rodolfo lo vuole pure quella zoccolona di Teresita, una sorta di femminazza mastrodonta, che si mette come una cozza paterna per fare l’amante religiosa, ma non è cosa la sua, perché l’amore – oh – l’amore – inutile – l’amore – cacchio –
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quegli altri che si chiamano Crescimanno o puramente Cuzzocrea, veramente. Eh, quelli, mi penso io, al tempo del difetto, subito sono scappati al municipio a farsi scambiare il cognome, che poi era il soprannome, che poi era il difetto. Insomma! E i difetti, carissima cara, vanno pure dietro alla moda, che ti credi! Ti ricordi che proprio faccimbronte alla Cappella del Santissimo abitava quella che la chiamavano “culabbrusciata”? E perché? Perché la nonna della mamma, aqquando era bambina della menna, era caduta di culo dentro al braciere e si era bruciata lì proprio. E siccome che, a quei tempi, i bracieri stavano in tutti i paesi, in tutti i paesi stava almeno un culabbrusciato. Ma mo’ che stanno i termosifoni e le stufe, a nessuno più gli possono mettere “culabbrusciato” di soprannome. Eppure al figlio della figlia della “culabbrusciata” di fronte alla cappella del Santissimo – che poi sarebbe Ninuccio lo scarparo, che abita sopra al Castello, che si è sposato con la figlia di quelli di Remmoro, non sai? – lo chiamano ancora “quello della culabbrusciata”. Insomma! Sono tanti e tanti i fatti della vita, che uno veramente non si raccapezzola più, neanche se si vede tutti i santi giorni la televisione, che la meglia cosa è non vederla proprio.
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afferrata di queste cose di telamore. E pure se sono una vacantina grande, diciamo che non mi sento mica brigida come tante e tante della mia età, perché un poco alla volta mi sono imparata a «trasportare il sogno dentro alla realtà… per cornare il sogno d’amore». Lo vedi? Le novele della televisione mi bisognano a fare i sercizi per insegnarmi a parlare bene e difatti prima parlavo assai più peggio di mo’, uff! Ne ho fatte assai di migliorie. Meh, adesso è arrivato il momento che ti devo confessare un’altra cosa, una cosa che – giura – non la devi dire a nessuno nessuno – giura con la mano sopra al cuore «il motore della vita, che ci abbatte dentro al petto, e non si guasta mai». E scià, giura se devi giurare, fai subito, ché tengo da cucinare, ché mio padre vuole mangiare a orario ospedaliero, alle dodici in punta, e non sente ragione, e non tengo ancora pulito i fagiolini: io li faccio coi spaghetti, il sugo di pomodoro semplice e il vasinicola, col casoricottola bello sopra, non sai? E tu? Mo’ senti. Insomma, il fatto è questo. Ma non è che dobbiamo affliggere i manifesti eh! Sono cose delicate queste! Allora, sentimi a me: io mica sono una che va sempre in bianco accome tante e tante… pure sposate, non ti credere! Pure
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nonsiamai! Il cuore è grande – penso io – e accome ci stanno cuori a una piazza, accosì ci stanno cuori a una piazza e mezza o addirittura a due piazze. Pure se vuole bene alla sua bella cecata, non credo che Rodolfo, dopo quattro anni che me lo sto a vedere tutti i santi giorni, non credo che non mi può volere bene un poco poco pure a me, senza peccato. E non credo che io non mi posso strusciare col pensiero appena appena vicino a lui senza minimamente pensare di frecarglielo alla sua Gabriella, sia per l’amordiddio. Tanto lei a Rodolfo lo sente e non lo vede; io lo vedo e non lo sento: in un modo o nell’altro stiamo frecate tutteddue, l’unione fa la forza e mezzo Rodolfo per uno non fa male a nessuno.
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vince sempre! Nell’appuntata di ieri stava pure un uomosessuale mezzafemmina antipatico che si vuole mettere in mezzo, ma non c’è niente da fare: l’amore è l’amore e cacchi non ce ne vogliono! Sono quattro anni che mi vedo Libertà del desiderio, e più di una volta mi scappa il pianto; allora accarezzo a Gabriella, la gatta, accome per darci una mezza carezza alla protagonistica Gabriella che è cecata, ma però è bella bella, da dentro e da fuori, specialmente aqquando si mette quel bellissimo pilleccione di astragàno, che chi lo sa quanto lo tiene pagato. Anzi, ti confesso che mentre la carezza la sto a dare a Gabriella, la protagonistica, sotto sotto gliela vorrei dare pure a Rodolfo una mezza carezza, senza farmene avvertire, e senza volere il male di essa Gabriella – O no? Certo è che da aqquando sto a vedere questa novela – diciamo – «io mi sento una donna diversa, accosì piena di amore che lo posso dare all’intera umanità»: queste parole esatte le dice Gabriella, a sola a sola, due o tre volte ogni appuntata, mentre che si guarda davanti allo specchio, quella povera disgraziata. È proprio peccata! Lei non si può nemmanco vedere dentro allo specchio… Ma io però la vedo e, sinceramente sinceramente, levata la faccia e gli occhiali a culo di botti-glia, soprattutto da dietro, non per fare vandalismi, Gabriella e Tella tengono più o meno lo stesso personale, caro Rodolfo, non ti credere. Comunque sia, una guardata allo specchio, un paio di lacrime, una mezza strusciata a Rodolfo, una carezza alla gatta e passo un’oretta al giorno in compagnia, senza contare che certe notti − alla scusa di Gabriella − Rodolfo si viene lui a striguare vicino a me dentro al sonno.E bravo a Rodolfo! Da te non me l’aspettavo proprio! Mbah! Sia per l’amordiddio quest’altro mo’! Che devo fare? Glielo devo ruffianare alla tua bella Gabriella? Non abbastano i guai che tiene? Comunque sia, appuntata dopo appuntata, io sono diventata molto
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E chi lo sa quante persone sposate si sfrusciano appena appena aqquando si accocchiano nella carne, pure che stanno tutti i sandi giorni dentro allo stesso letto, scappando scappando, che manco un quinto lo assaggiano di quello che mi sento io aqquando Tella, Ramona e Gabriella diventano, tutt’e tre, «una persona sola prena d’amore». Ma la mia soddisfazione più grande te la voglio dire all’ultimo. Metti che Metto Rocca si trovava sopra a un’isola spersa dell’Oceano Adriatico, e metti che, combinazione, stavano pure una decina di maschi. Mbeh? Come la mettiamo? Mbeh, lo vuoi sapere? Tutti con Metto si dovevano mettere, per forza. Tutti a me dovevano venire i marcantoni, e dovevi vedere che, alla fine fine, doveva vincere per forza l’amore, con o senza occhiali. Insomma, come te lo devo dire? A me da una parte mi dispiace che sono poca di lettura, ma però dall’altra parte sono felice di essere troppa d’amore, io.
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io ci ho le mie soddisfazioni… che ne sai! E accome faccio? Ah, lo vuoi sapere, eh? Ma lo sai che sei proprio curiosa tu? Meh, vabbè, senti qua. Non sai che alle feste padronali vengono i cantanti a cantare sopra alla cassarmonica? O che certe volte in mezzo alla villa il Comune fa qualche manifestazione gutturale? O aqquando si tiene un comizio importante di qualche sfaccimo di onorevole famoso – che con tante ladrerie sta ancora a fare l’onorevole non lo so com’è? Insomma, ci deve stare gente assai, un cristiano appresso all’altro, strinti strinti. Allora io mi accocchio con qualche amica, mi vesto di lusso, con le scarpe anali alla borzetta e al rossetto, e mi “metto” – mo’ se ne viene il cognome – mi metto pure io dentro alla morra dei cristiani. Certe volte stutano pure le luci per far vedere i cantanti in mezzo al fumo, che è meglio ancora. Meh, io mi vado a mettere avanti, addove stanno i giovani patiti dei cantanti o degli onorevoli, strinti strinti. A buono a buono, pure che non voglio, mi sento che qualcuno mi sfruscia i paraurti posteriori. Io niente, faccio la finta tonda, come che non è a me. Sto attenzione solo a non avvoltarmi, per non farmi vedere in faccia. Beh! subito subito, alla chiamata arriva la risposta. Mi devi credere, a me mi basta solo uno strusciamento per buttarmi dentro alla telenovela che dico io. Mado’, mi sento di avvampare le viscere, e anche un poco più sotto; mi sento il rossore alla faccia e il petto che si abbotta come una cameradaria; mi sento le palpazioni del cuore, quant’è vero Cristo. Mi sento – come ti devo dire? – mi sento di alzarmi da atterra com’à un San Giuseppe da co-pertina. Sono i miei momenti d’amore puro. La Forza della passione e la Libertà del desiderio si sfogano dentr’a me e mi fanno sentire una donna vera con tutti i caldacini al posto giusto, una persona che «vuole offrire a tutto il pianeta la forza dell’amore che nutre nel seno». Proprio accossì!
■ Il picaresco epico e la lingua franca della poetica post-rurale nei racconti di Lino Angiuli La letteratura è la prova che la vita non basta, tant’è che occorrono racconti come questi dell’amicolino(uso un “affisso” dei suoi) per mostrarla e dimostrarla; goderla, subirla, o scostarla; dire che c’è, la si vede e la si vive. Una ventina di pezzi, metà cantati metà recitati: cinque terzine in rima per gli stornelli; pagina più pagina meno per i ritratti in prosa. Ma che siano ricordi, desideri, testimonianze o lagnanze, sono tutti in prima persona, facce di un io multiplo, coro di me stessi in un unico noi, scaglie di uno specchio a comporre un unanime poliedro. (…) Così i testi: tra picaresco, creolo, epico e passionale. E mi spiego: ora sono crepitanti crogioli di destini sfortunati ma di ingegni birboni; ora brani di lingua franca, nel senso di senza scrupoli ma anche indisponibile ai più; ora arie di leggende, credenze, favole, miti e tragedie; infine saggi di corporea concretezza e humour viscerale. (…) Più che di mimesi del parlato, i casi di Angiuli sono voci e croci trascritte, non senza l’astuzia del letterato che sa di idioletto, linguistica, morfologia e fonologia. E allora sono amabili dissonanze, o estri armonici, o sinestesie; o magari anche agglutinazioni, o ibridazioni, o solecismi. (…)Racconti da panchina che si spiegano da soli, tra confessioni e dialoghi, chiacchiere e chiacchiericcio, devozioni e litanie, “santi” e “madonne” e “gesucristi” tra similboccaccio e paravangelo, in maglie di parole, in fiati di sospiri, in schiene rotte dal tribolo quotidiano o coloriti raggiri da amaro far niente. Che Angiuli trae dai siti del suo Sud magnifico e magnanimo: da tipi e situazioni; colori, odori e umori: un immaginario figliato, coerentemente, dalla poetica “post-rurale” che Angiuli persegue da decenni. Claudio Toscani [dalla prefazione a: Lino Angiuli, La panchina dei soprannomi, Gelsorosso, Bari 2011]
Leggi anche: lorgasme-en-douze-recits
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La tagcloud di Wordle di Tella Metto: pingaci su e ottieni l'originale!
from Issuu 2014
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Uh Magazine Long Summer 2012 ▐
│photo© by guess jeans
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65│ La chastité corse e l’occhio dello scimpanzé
Long Summer 2012 Supplement integrale│Tutti i 29 post Dal 5 novembre al 15 luglio
Subito dietro, a poche visualizzazioni, la poesia, prima, con il Titanic di Ettore Bonessio di Terzet e, poi, Efemeridos di Luigi Fontanella.
Dalla sesta posizione: ancora cinema con l’ombra sonora del Wenders di “Lisbon Story”; Ilaria Bernardini tra il ping pong e gli scacchi di Marcel Duchamp, e il tennis con i dadi di “Topolino”; Laetitia Casta e l’occhio dello scimpanzé; Tella Metto di Lino Angiuli, quello della nuova narrativa post-rurale; i giovani senza lavoro di Valerio Magrelli.
Volume n.1
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Il terzo post è Fowles-Games, attorno a L’enigma di John Fowles.
In mezzo, il Minitest sul film di Isotta Toso.
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Il post più visionato è Nessuno e William Blake, il testo di Alessandro Gaudio su “Dead Man” di Jim Jarmusch; segue ancora un altro post di cinema: Day’s Pondus 21 , l’omaggio patafisico di Alfred Hitchcock a Doris Day in “The Man who knew too much”.