Il ritmo dell' essere Wilhelm Senoner

Page 1

WILHELM SENONER Der Rhythmus des Seins Il ritmo dell’essere 25.08-20.10.2018


Il ritmo dell’essere Der Rhythmus des Seins


Il ritmo dell’essere

Un percorso fra le opere di Wilhelm Senoner di Elena Filippi

Scolpite dal ghiaccio, rifinite dal vento, dall’acqua e dalla neve... di che cosa stiamo parlando? Delle montagne che creano la ideale cornice di questa mostra, oppure delle opere di Senoner? Chi è il vero protagonista qui? In realtà, ce lo rivela il titolo di questa esposizione, “Il ritmo dell’essere”: da un lato il ritmo per lo più quieto e ripetitivo della natura, misurabile e numerabile (i Greci lo chiamavano arythmòs, da cui “aritmetica”) dall’altro quello dinamico, irregolare e spesso imprevedibile degli eventi umani (rhythmòs). Ciò che accomuna i due è l’esperienza del tempo, elemento qualificante ed essenziale per chi visita una mostra, come per chi fa escursioni in montagna, chi suona uno strumento, balla, dorme o veglia. Il ritmo connota ogni nostra azione, anche a riposo, ma diventa peculiare e “nostro”, se assumiamo in prima persona un atteggiamento, se facciamo qualcosa, se prendiamo in mano la nostra vita. Questo è il primo momento di riflessione che le opere di Wilhelm Senoner ci offrono: ci vengono incontro, le sue figure, con passo risoluto; oppure stanno per conto loro, intente a sentire, a governare un divenire interiore. Sono in coppia, talvolta, quando si tratta di prestare cura, dedizione. O isolate, su alti piedistalli, si fermano a ricordare, a riflettere sull’andamento della realtà circostante.

Der Rhythmus des Seins

Ein Weg zum Werk von Wilhelm Senoner von Elena Filippi

Aus Eis geformt von Wind, Wasser und Schnee vollendet... wovon ist hier die Rede? Von den Bergen, die den idealen Rahmen für diese Ausstellung bieten oder von den Werken Wilhelm Senoners? Wer steht hier wirklich im Mittelpunkt? Die Antwort enthüllt im Grunde der Titel dieser Ausstellung: „Der Rhythmus des Seins“. Einerseits der durchaus ruhige, sich wiederholende Rhythmus der Natur, der gemessen und beziffert werden kann (im antiken Griechenland wurde er als arhythmòs bezeichnet, daher der Begriff „Arithmetik“); andererseits der dynamische, unregelmäßige und oft unvorhersehbare Rhythmus der menschlichen Ereignisse (rhythmòs). Beiden gemein ist die Erfahrung der Zeit. Sie ist qualifizierendes und wesentliches Element für den Ausstellungsbesucher wie für den Bergwanderer, für den Musiker, den Tänzer, den Schlafenden und den Wachenden. Jede unserer Handlungen ist von Rhythmus bestimmt, auch der Stillstand. Eigenartig und unser eigen wird der Rhythmus jedoch erst, wenn wir eine innere Haltung annehmen, wenn wir etwas tun, unser Leben in die Hand nehmen. Dies ist die erste Anregung zum Nachdenken, die uns die Werke Wilhelm Senoners bieten: Seine Figuren kommen uns festen Schrittes entgegen oder stehen einzeln für sich, gespannt lauschend und ein inneres Werden zu beherrschen. Manchmal, wenn Fürsorge geleistet und Hingabe gezeigt wird, sind sie zu zweit. Oder sie halten isoliert auf hohen Podesten inne, um die Erinnerung wach zu rufen und über den Wandel der sie umgebenden Wirklichkeit nachzudenken.


“L’arte è una sorta di rivelatore di vuoti. Vuole almeno una temporanea sospensione dei principi che definiscono il nostro interesse per il movimento inteso come un progresso inarrestabile. L’arte cerca il vuoto nel nostro sistema di difesa che si fa scudo con l’esercizio della pura ragione…” (Klaus Luttringer). Prendo spunto da questa metafora dell’arte come strumento per scoprire vuoti, interstizi inattesi, in grado di mettere fuori uso principi che regolano il consueto andamento dei rapporti fra individuo e società. Nell’allestire la mostra, il problema che per primo si presentava ai nostri occhi era un enorme open space, uno spazio indefinito e molto grande cui dar forma e senso. Evitare l’accumulo, non diventare preda di un modello di catalogo ostentativo di tutto quanto Senoner ha prodotto, anche solo negli ultimi anni. Tenendo presente il Leitmotiv del percorso espositivo – “Il ritmo dell’essere” – ci ha soccorso il pensiero della pittura cinese, espressione di una cultura in cui arte e sapere si fondono in una inscindibile, coerente unità. Quando François Cheng si sofferma sul valore del Vuoto come principio originario e al tempo stesso chiama in causa il suo contrario, il Pieno, quale “segno indiziale” da cui discende una serie di significati, plasmando forme ma non per questo rendendole cristallizzate, con ciò ci ha suggerito una direttrice: Vuoto e Pieno si coappartengono, possono anzi divenire motivo ritmico, capace di imprimere alla realtà valore semantico, a patto che questa coappartenza sia rispettosa dell’uno e dell’altro di tali momenti. A ben vedere, anche nella tradizione occidentale, e proprio da queste parti, già ci aveva pensato il grande teologo e filosofo dell’Umanesimo, il vescovo di Bressanone Nicola da Cusa, portando l’attenzione sull’idea fondamentale della coincidenza degli opposti. Nel nostro caso all’artista è data la possibilità di esprimere le diverse note del ritmo delle cose e dell’esistenza, giocando con i suoi poli estremi: il vuoto e il pieno, la stasi e il movimento. L’uno senza l’altro non crea vita, né flusso dinamico, non suscita nemmeno emozioni! Muoversi negli spazi di queste montagne, che fanno da sontuose quinte prospettiche allo spazio espositivo, dove vibrano energie millenarie, significa entrare in contatto con la vera essenza della natura e di noi stessi. In quel moto, che è al tempo stesso atto di contemplazione, i sensi si acuiscono e percepiscono suoni, colori, profumi e consistenze; la mente li accompagna, dapprima ammaliata, poi trascinata da una consapevolezza nuova. Chi ha dimestichezza con la montagna conosce questa vertigine così vicina al filosofare nel suo senso più originario. Una saggezza antica, quella dei “guardiani delle montagne”, come li ha definiti Philippe Daverio, accoglie chi varca la soglia di questo spazio aperto: è un’apertura con accenti e situazioni diverse, pensata in modo tale che ciascuno trovi il suo percorso, la sua sosta, il suo ritmo, il suo incontro con le opere di Wilhelm. Da ultimo, il visitatore potrà portare con sé un prezioso cameo, una riflessione in forma di breve essay di Marcello Ghilardi, docente di Estetica all’Università di Padova, che si sofferma a pensare “Il ritmo dell’arte”, il significato del ritmo per l’arte. È una domanda fondamentale e connaturata ad ogni gesto artistico, in ogni epoca e società, in Occidente come in Oriente. Si parla esplicitamente di “ritmo” almeno a partire dal VII secolo a.C. Dopo poco meno di duecento anni il termine entra prepotentemente nel lessico artistico, specialmente in musica. A Platone dobbiamo una sistemazione teorica e normativa di questo concetto. Esso descrive un ordine, un andamento regolato, misurato (in nome di tale uniformità, i Romani sostituirono il termine con numerus). Così si cercò nei tempi antichi di dare un ordine al movimento di ciò che è veloce, come di ciò che va lentamente; similmente, si cercò di regolare l’andamento del tempo – tempi brevi e tempi dilatati; perfino di regolare i modi della percezione di sé, delle passioni e dei sentimenti. In età classica e nella storia della musica fino al Rinascimento “ritmo” fu sostanzialmente il pendant di “armonia”. Più in generale – e mi pare utile ricordarlo – va sua derivazione etimologica recupera motivo del flusso, dello scorrere. Ci torneremo. Ma questo termine fu usato nei contesti più diversi, nelle varie comunità e latitudini per definire l’alternanza di fortuna e malasorte, di ordine e disordine sociale, il manifestarsi delle forme e della vita, con un accento ricorrente sul motivo della regolarità ordinata. Poi la frattura: concetti come ordine, armonia, ritmo regolare non costituiscono più per l’uomo d’oggi obiettivi da guadagnare, semmai incorrono nel sospetto di imbrigliare, o peggio, di imbalsamare il flusso dell’esistenza. La disposizione delle opere proposte in mostra consentirà a ciascuno di riconoscere la nota di fondo che caratterizza il pensiero di Wilhelm Senoner riguardo al tema indicato dal titolo di questa esposizione.


Respiro Atem


„Kunst ist Lückendetektor. Sie will die zumindest zeitweilige Außerkraftsetzung der Prinzipien, die unser Bewegungsinteresse auf ein uneingeschränktes Vorwärts festlegen […]. Sie sucht in unserem vernuftarmierten Abwehrsystem die Lücke…” (Klaus Luttringer) Ich möchte von dieser Metapher ausgehen, die die Kunst als Instrument zum Entdecken von Leerstellen, von unerwarteten Zwischenräumen begreift. Diese letzten sind nämlich in der Lage, Prinzipien außer Kraft zu setzen, die den gewohnten Gang der Beziehungen zwischen Individuum und Gesellschaft steuern. Das erste Problem, mit dem wir uns bei der Entwicklung der Ausstellung konfrontiert sahen, war ein riesiger offener Raum, ein undefinierter open space, den wir formen und mit Sinn erfüllen mussten. Keine einfache Anhäufung von Werken, kein Katalog, der augenfällig Senoners gesamtes Schaffen – und sei es nur der letzten Jahre – präsentieren will. „Der Rhythmus des Seins“ blieb als Leitmotiv der Ausstellung bestimmend! Zu Hilfe kam uns der Grundgedanke der chinesischen Malerei, Ausdruck einer Kultur, in der Kunst und Wissen zu einer untrennbaren, in sich stimmigen Einheit verschmelzen. Wenn sich François Cheng explizit über den Wert der Leere als Ursprungsprinzip äußert und sich zugleich auf ihr Gegenteil, die Fülle, als „Anhaltspunkt“ beruft, aus dem sich verschiedene Bedeutungen ableiten lassen, die Formen gestalten, ohne sie erstarren zu lassen, gibt uns damit einen Fingerzeig: Leere und Fülle sind Teil voneinander und können sogar ein rhythmisches Motiv werden, das der Wirklichkeit einen semantischen Wert verleiht, sofern die gemeinsame Zugehörigkeit von gegenseitigem Respekt geprägt ist. Bei genauerer Betrachtung hat gerade in dieser Gegend und damit auch in der westlichen Tradition der Theologe und Philosoph des Humanismus Nikolaus von Kues, bereits Bischof von Brixen, unseren Blick auf die Grundidee des Zusammenfalls der Gegensätze gelenkt. In unserem Fall erhält der Künstler die Möglichkeit, die unterschiedlichen Rhythmen der Dinge und der Existenz im Spiel mit dessen Extremen auszudrücken: Leere und Fülle, Stillstand und Bewegung. Eines vermag ohne das andere kein Leben, keinen dynamischen Fluss zu erschaffen. Ja, nicht einmal Emotionen vermag es zu wecken. Sich in den Weiten dieser Berge zu bewegen, die dem Ausstellungsraum eine so großartige Kulisse, ein so eindrucksvolles Panorama bieten und in denen Tausende Jahre alte Energien wirken, bedeutet, mit dem wahren Wesen der Natur und unserer selbst in Kontakt zu treten. In dieser Bewegung, die zugleich auch Einkehr bedeutet, werden die Sinne schärfer und nehmen Klänge, Farben, Gerüche und Texturen wahr. Der Geist begleitet sie zunächst wie verzaubert, dann endlich von neuem Bewusstsein geleitet. Wer mit den Bergen ausreichend vertraut ist, kennt das Schwindelgefühl, das dem Philosophieren in seinem ursprünglichsten Sinne so nahe ist. Wer die Schwelle dieses offenen Raumes überschreitet, den empfängt die alte Weisheit von den „Hütern der Berge“, wie sie einmal Philippe Daverio bezeichnet hat. Die Offenheit mit verschiedenen Akzenten und Situationen soll jedem die Möglichkeit bieten, seinen eigenen Weg mit individuellen Pausen, den eigenen Rhythmus, die persönliche Begegnung mit den Werken von Wilhelm Senoner zu finden. Zum Abschluss kann der Besucher ein wertvolles Gedankenstück mitnehmen, eine Reflexion in Form eines kurzen Essays von Marcello Ghilardi, Professor für Ästhetik an der Universität Padua, der mit uns seine Überlegungen zur Bedeutung des „Rhythmus in der Kunst“ teilt. Die Frage ist so grundlegend, dass sie jeder künstlerischen Gestaltungsform aller Epochen und Gesellschaften im Abend- wie im Morgenland innewohnt. Der älteste Beleg des Wortes Rhythmus (griech. rhythmòs) stammt aus dem 7. Jh. v. Chr. Spätestens im 5. Jh. v. Chr. geht es in der Terminologie der musischen Künste ein. Die Römer übersetzen das griechische Wort mit dem lateinischen „numerus“. Die grundlegenden Definitionen finden sich bei Platon. Demnach ist Rhythmus ein normativer Begriff. Er beschreibt eine Ordnung: diejenige Ordnung der Bewegung, des Langsamen und Schnellen, oder der Zeit, des Langen und Kurzen, die dem menschlichen Sinn fasslich ist und deren Apperzeption sich mit dem Gefühl der Lust verbindet. So verwickelt die Geschichte des Terminus und der Sachen, die er bezeichnet, im Einzelnen sein mag, diese seine Grundbedeutung, die Bedeutung als ‚Prinzip einer fasslichen Bewegungs- und Zeitordnung‘, steht fest. Die Stellung des Terminus im Spektrum der musikalischen Fachbegriffe hat sich im Verlauf der Musikgeschichte verändert. In der Antike ist er zentral: das Pendant des Terminus Harmonie. Allgemeiner ausgedrückt – daran sollte hier erinnert werden – greift die Etymologie des Begriffes das Motiv des Flusses


und Fließens auf. Wir werden darauf zurückkommen. Dieser Begriff wurde in verschiedensten Lebensbereichen, in unterschiedlichen Gemeinschaften und Breitengraden verwendet, um den Wechsel von Glück und Unglück, von sozialer Ordnung und Unordnung, die Verwirklichung von Formen und Leben mit wiederkehrender Betonung der geordneten Regelmäßigkeit zu beschreiben. Dann der Bruch: Konzepte wie Ordnung, Harmonie und regelmäßiger Rhythmus stellen für den Menschen von heute keine erstrebenswerten Ziele mehr dar. Bestenfalls laufen sie Gefahr, den Fluss der Existenz zu zügeln oder gar aufzuhalten. Die Anordnung der hier gezeigten Werke lässt den Besucher den Hintergrund erkennen, der den Gedanken von Wilhelm Senoner zum Titelthema der Ausstellung prägt.

Pneuma - Ombre Pneuma - Schatten


Respiro (2015), pneuma, in greco antico, “respiro”, “soffio vitale”, ci viene incontro. E non in una forma qualsiasi. Questa donna, quasi schiacciata dalle condizioni ambientali, si pone nei nostri confronti nella modalità di un respiro che riempie lo spazio, uno spazio però, tale da essere percepito nella sua dimensione ulteriore, grazie a uno squarcio, una lacerazione che apre questa figura. Il suo ventre pieno, le sue forme turgide accolgono il vuoto aperto da una profonda fessura, attraverso cui ci viene suggerita la possibilità di guardare oltre, andare oltre, respirare oltre… “Il soffio e il ritmo sono due nozioni solidali, riunite nel primo dei Sei Canoni della pittura che Xie He fissò nel V secolo: generare e animare il soffio ritmico” (Fr. Cheng, Vuoto e pieno, ed. it. 2016, p. 65). Rocce dietro di lei, in cui mani enormi evocano il millenario rapporto dell’uomo con la natura. Di fronte a questa scena ci coglie la domanda sui bisogni primari, sul respiro indispensabile alla vita, sulla fatica di vivere, specie in condizioni avverse. Il ritmo dell’essere (2013), nell’interpretazione che ne ha dato Senoner, quest’uomo se ne sta per conto suo, non entra subito in relazione con noi, che gli passiamo a fianco, gli giriamo intorno… Poi capiamo che dobbiamo rispettare con discrezione il suo ritmo interiore, un mondo che ci è precluso, non è bene sapere tutto, penetrare le intime pieghe della profondità dell’humanitas altrui. A meno che non diventi dono. In mostra incontreremo anche questa modalità del ritmo dell’essere. Credo che Wilhelm non fatichi certo a condividere un detto di Romano Guardini, teologo e scrittore italiano naturalizzato tedesco: “Siamo diventati attivisti e ne siamo pure orgoliosi; in verità abbiamo dimenticato di assumere e far propri momenti di silenzio, di raccoglimento, di disposizione all’apertura, di guardare con attenzione e di accogliere quanto è essenziale. Per questo, nonostante tutti i discorsi sull’arte, così pochi hanno un autentico rapporto con essa… Nella quiete, con i sensi ben desti e un animo ben disposto, si guarda, si ascolta, si condivide l’esperienza. Ecco che allora l’opera si rende accessibile, un mondo si dischiude”. Pneuma, ovvero quelle Ombre dell’esistenza che lo sprigionano (2005) stanno lì, sulla parete, in un’esplosione di tinte viola e una serpentina gialla – quasi rilevazione medica, ma non lo è – ci trasmette il soffio vitale: “È l’ombra che porta la fantasia ad individuare, a creare nuove forme personali, andando fra le rocce, camminando fra le rocce c’è la luce, c’è l’ombra, nell’immaginazione si creano dei personaggi fuori dalla realtà, quindi diventa anche un’arte personale” (Senoner). Possiamo ricordare anche quest’altro fatto: presso molti popoli, specialmente al Nord, s’incontra un mito che ha radici antichissime, quello dello “spirito che segue”. Secondo tale mito l’uomo esiste una volta come è visibilmente, in carne ed ossa; e poi esiste una volta ancora, e così egli è in modo autentico. Quest’uomo autentico viene però a trovarsi sempre dietro l’uomo immediato; perciò è chiamato spirito che segue. L’uomo immediato, perciò, non vede quello autentico: egli percepisce solo che c’è, ma nell’ambito di ciò che non si manifesta. Una volta però lui fa il giro, gli si para davanti e lo guarda. Allora l’uomo immediato vede quello autentico; in questo modo egli viene a conoscenza di sé. Questo racconto viene a volte ripreso anche per spiegare la funzione dell’arte. Se le ombre possono provocare la vita, tanto da consentirci di fare “un elogio all’ombra” – questo è il titolo di una mostra di Senoner presso la Biblioteca del Daverio (Milano, 2017) – bene accompagnano la Donna del vento (2010). Qui il ritmo è quello della forza della folata e della resistenza che la tenacia vi oppone. Si tratta invero di un’eccezione fra le figure femminili di Wilhelm: l’accentuazione della linea mediana del corpo è infatti un attributo che ricorre in genere nelle sue sculture maschili e rimarca la tensione infaticabile della perseveranza. Mentre nel Ritmo dell’essere l’andamento altalenante viene assecondato, e l’uomo si immedesima nel ritmo della natura, la Donna del vento combatte caparbia: s’inarca, ma pianta saldamente i piedi al suolo, impone il proprio radicamento.


Atem (2015), pneuma, altgriechisch für „Atem“, „Lebenshauch“, strömt uns entgegen. Und das nicht in irgendeiner Form. Diese von ihrer Umwelt beinahe niedergedrückte Frau stellt sich uns gegenüber auf wie ein Atemzug, der den Raum erfüllt. Einen Raum, der durch einen Riss, der die Figur geradezu öffnet in einer besonderen Dimension wahrgenommen werden kann. Der volle Bauch und die prallen Formen nehmen die mit einem tiefen Riss geöffnete Leere auf, die die Möglichkeit andeutet, über den eigenen Horizont hinauszuschauen, darüber hinwegzugehen und atmen zu können. „Atem und Rhythmus sind zwei solidarische Konzepte, die in der ersten von sechs Regeln des Kanons der Malerei des Xie He aus dem 5. Jahrhundert vereint sind: Erzeugung und Belebung des rhythmischen Atems“ (übers. nach Fr. Cheng, Vuoto e pieno, it. Ausg. 2016, S. 65). Felsen: hinter ihr ist ein Werk, in dem übergroße Hände die Jahrtausende alte Beziehung zwischen Mensch und Natur verkörpern. Angesichts dieser Szene stellt sich uns die Frage nach den Grundbedürfnissen, nach dem lebensnotwendigen Atem und den Mühen des Lebens vor allem unter widrigen Bedingungen. Der Rhythmus des Seins (2013), in der Interpretation Senoners, ist ein Mann, der abseits für sich steht. Er tritt nicht unmittelbar in Beziehung mit uns, wir gehen seitlich an ihm vorbei, ja um ihn herum. Schließlich verstehen wir, dass wir mit Takt und Feingefühl seinen inneren Rhythmus beachten müssen; eine Welt, die vor uns verschlossen ist. Es ist nicht gut, alles zu wissen, in die privatesten Winkel der tiefen Menschlichkeit der anderen einzudringen. Es sei denn dies wird zum Geschenk. In der Ausstellung begegnet uns auch diese Variante eines Rhythmus des Seins. Ich denke, Wilhelm Senoner stimmt ohne Weiteres einer Aussage des italienischen, in Deutschland eingebürgerten Theologen und Schriftstellers Romano Guardinis zu: „Wir sind Aktivisten geworden und stolz darauf; in Wahrheit haben wir verlernt, still zu werden, uns zu sammeln, zu öffnen, zu schauen und die Wesenheiten in uns aufzunehmen. Darum haben auch, trotz allen Redens von Kunst, so wenige ein echtes Verhältnis zu ihr. […] Es besteht darin, dass man still wird, sich sammelt, eintritt, mit wachen Sinnen und offener Seele schaut, lauscht, miterlebt. Dann geht die Welt des Werkes auf.“ Pneuma, die Schatten der Existenz, die den Hauch verströmen (2005) finden sich dort an der Wand in einer Explosion violetter Farbtöne und einer gelben Schlängellinie – wie eine medizinische Erhebung, die es aber nicht ist – überträgt es uns seinen Lebenshauch: „Schatten bringt die Fantasie dazu, neue, persönliche Formen zu entwickeln, zwischen das Felsgestein zu gehen, zwischen Felsen und Licht zu wandern. Dort ist Schatten. In der Phantasie erschafft man Figuren außerhalb der Wirklichkeit, so wird es auch eine persönliche Kunst.“ (Senoner) Auch an folgende Tatsache sollten wir uns erinnern: Insbesondere bei vielen nordischen Völkern gibt es einen Mythos mit uralten Wurzeln; den Mythos des „Geistes, der folgt“. Nach diesem Mythos existiert der Mensch einmal sichtbar in Fleisch und Knochen; und dann existiert er ein weiteres Mal in authentischer Weise. Dieser authentische Mensch steht jedoch auch immer hinter dem unmittelbaren Menschen und gilt daher als der Geist, der folgt. Der unmittelbare Mensch sieht daher den authentischen nicht. Er nimmt nur wahr, dass er da ist, jedoch in der Sphäre dessen, was nicht in Erscheinung tritt. Einmal jedoch dreht er sich um, stellt sich vor ihn und schaut ihn an. Der unmittelbare Mensch erblickt den authentischen und wird sich in dem Moment seiner selbst bewusst. Diese Erzählung wird gelegentlich aufgegriffen, um die Wirkung der Kunst zu erklären. Wenn die Schatten Leben derart beeinflussen können, dass wir ein „Lob auf den Schatten“ anstimmen – so der Titel einer Ausstellung Senoners in der Biblioteca del Daverio (Mailand, 2017) – dann sind sie eine willkommene Begleitung der Windfrau (2010). Hier ist der Rhythmus der des kräftigen Windstoßes und des Widerstands, den die Entschlossenheit ihm entgegensetzt. Im Grunde haben wir hier eine Ausnahme unter Senoners Frauenfiguren vor uns: Die Akzentuierung der Mittellinie des Körpers ist ein Merkmal, das er normalerweise seinen männlichen Skulpturen verleiht und die unermüdliche Spannung der Beharrlichkeit unterstreicht. Während der Rhythmus des Seins der schwingenden Bewegung folgt, der Mann sich in den Rhythmus der Natur hineinversetzt, kämpft die Windfrau hartnäckig: Sie krümmt sich, stemmt dabei aber die Füße fest gegen den Boden und erzwingt ihr tief verwurzeltes Sein.



La Donna sulla pedana (2018) enfatizza, anche in ragione delle sue dimensioni altrettanto notevoli, il tema dell’incedere risoluto e consapevole dell’essere umano, che affronta la passerella della vita e occupa lo spazio intorno trasmettendoci saldezza di modi, una volontà decisa. Non si accorge, ovvero non si lascia distrarre e non si preoccupa del fatto che sotto i suoi piedi, sotto la sottile membrana che la supporta, ci sia il vuoto (di nuovo, eccoci a scoprire la compresenza di pieno e vuoto, il gioco dialettico degli opposti che si appartengono).

Die Frau auf dem Laufsteg (2018) betont, nicht zuletzt angesichts der eigenen beachtlichen Ausmaße, das Thema des entschlossenen und bewussten Fortschreitens des Menschen, der sich dem Lebensweg stellt, den Raum um sich herum in Anspruch nimmt und uns damit Unerschütterlichkeit im Handeln und einen entschlossenen Willen vermittelt. Die Frau wird nicht gewahr oder lässt sich nicht ablenken und sie sorgt sich nicht darum, dass unter ihren Füßen, unter der dünnen Membran, die sie trägt, Leere ist. Auch hier erleben wir übrigens wieder das Nebeneinander von Fülle und Leere, das dialektische Spiel der Gegensätze, die Teil voneinander sind.


Una parete nera fa da sfondo a una scena ad alta densità dialettica, un muto dialogo fra il movimento e la riflessione filosofica sulla natura e gli effetti di ogni azione, di ogni dinamica del reale. A due figure femminili è assegnato il compito di tematizzare proprio la relazione – mai statica – fra pensiero e azione. Davanti a noi stanno La Filosofa (2014) e Io respiro (2007). Incarnano diverse modalità di postura, di atteggiamento, di Haltung: la prima è lo Einhalten, fermarsi a riflettere, aprire l’occhio interiore, fissare, trattenere per un attimo il ritmo delle cose, afferrarlo concettualmente, e con ciò condurlo al Begriff. La seconda è invece tutta lievità, danza, elevazione; è mossa dalla forza dei sentimenti (ergriffen). La prima trattiene e blocca il moto delle cose: lo stupore sul mondo è all’origine del filosofare; l’altra disposizione, invece, vi si intona come la danzatrice alla musica. La figura di questa giovane che della propria leggerezza, bellezza e avvenenza fa una joie de vivre. “Si tratta di un momento interiore, che qui diventa però visibile a tutti. […] Questa ragazza ci sorride, come a dire: ‘respiro, dunque vivo!’ Leggerezza o arte di vivere: ecco la questione” (G. Bitter). Il ritmo del respiro è indice di come si vive: rilassato, in pace, oppure in affanno, o in preda all’euforia e all’adrenalina, che fa accelerare il battito cardiaco.

Eine schwarze Wand stellt den Hintergrund für eine dialektisch besonders dichte Szenerie, einen stummen Dialog zwischen Bewegung und philosophischer Reflexion über die Natur und die Auswirkung allen Handelns, jeder Dynamik der Realität. Zwei weiblichen Figuren wird die Aufgabe auferlegt, die niemals statische Beziehung zwischen Gedanke und Aktion zu thematisieren. Vor uns stehen Die Philosophin (2014) und Ich atme (2007). Sie verkörpern verschiedene Grundeinstellungen, verschiedene Standpunkte, die Haltung: Erstere ist das Einhalten, das Innehalten zum Nachdenken, das Öffnen des inneren Auges, das Festund Zurückhalten des Rhythmus der Dinge für einen Augenblick lang, um ihn konzeptionell zu erfassen und damit auf den Begriff zurückzuführen. Letztere hingegen ist ganz Leichtigkeit, Tanz, Erhöhung; sie ist bewegt von der Kraft der Empfindungen – sie ist ergriffen. Die Erste hält die Bewegung der Dinge zurück, blockiert sie: Das Staunen über die Welt ist der Ursprung des Philosophierens. Die andere Figur in ihrer Haltung verhält sich hingegen wie eine Tänzerin zur Musik. Diese junge Frau zeigt durch Leichtigkeit, Schönheit und Anmut ihre joie de vivre. „Ein tiefes inneres Ereignis, aber hier wird es für alle sichtbar. […] Diese junge Frau lächelt uns an: ‚Ich atme, also lebe ich!‘ Leichtsinn oder Lebenskunst, das ist hier die Frage.“ (G. Bitter) Der Rhythmus des Atems ist ein Zeichen für die Lebensweise: entspannt und friedvoll oder gehetzt, euphorisch, im Adrenalinrausch, der das Herz rasen lässt.



Osservare il ritmo dell’essere e dell’arte è come sfogliare un libro sulla vita, su tutto ciò che è: a un tempo ripetizione, ritorno del medesimo (è questo che costituisce il ritmo) e insieme novità assoluta, esclusiva, unica (caratteristica dell’essere, che non è mai lo stesso, come pure del gesto artistico): come il parto, sempre uguale e sempre diverso, così è di tutto ciò che diventa vita. Dorothée Veronesi ha saputo cogliere questo aspetto distintivo: “A prima vista, le sue figure si somigliano molto, eppure l’osservatore vi coglie un’espressione assolutamente individuale e irripetibile”. La realtà è una creazione continua. La relazione di coppia non è meno importante, anzi è tale da generare vita: Tensione Simbiotica (2017), corpi nudi che si sfiorano, metafora di un incontro a un livello tanto profondo da essere intangibile, indicibile.


Den Rhythmus des Seins und der Kunst zu beobachten, ist wie in einem Buch über das Leben zu blättern, über alles, was es ausmacht: Einerseits Wiederholung, Rückkehr desselben (das ist es, was den Rhythmus ausmacht) und andererseits absolute, ausschließliche, einzigartige Erneuerung (Merkmal des Seins, das wie die künstlerische Geste nie gleich ist). Wie die Geburt, immer gleich und immer anders. So ist es bei allem, was zum Leben wird. Dorothée Veronesi ist es gelungen, diesen besonderen Aspekt zu erfassen: „Auf den ersten Blick wirken seine Figuren sehr ähnlich, und doch stellt der Betrachter in ihnen einen ganz individuellen und einzigartigen Ausdruck fest.“ Die Wirklichkeit ist eine fortlaufende Schöpfung. Die Paarbeziehung ist nicht weniger wichtig. Sie ist gar in der Lage, Leben zu erzeugen: Symbiotische Spannung (2017), nackte Körper, die einander berühren, Metapher für die Begegnung auf einer Ebene, die in ihrer Tiefe unfassbar und unsagbar ist.


Attivarsi per gli altri, donare attenzione e cura, è il tema dai molti risvolti affrontato da Wilhelm Senoner nella sua nuova versione de Il Bacio, qui visibile per la prima volta (agosto 2018), che occupa un grande spazio, perché questo gesto è certo uno dei momenti par excellence che regolano le dinamiche sentimentali e affettive, senza cui vi sarebbe indifferente stasi, desolato vuoto, alienazione. “Nel totale abbandono a quest’istante, nel congedo da ogni altra cosa, tutto è dedizione. […] Il momento immediatamente prima del bacio è anche quello in cui chi lo riceve sviluppa una grande attesa […] Ecco che questo istante si rivela anche per colui che lo riceve [il dono, il bacio] un momento in cui tutto il resto della sua vita dilegua, si relativizza” (E. Volgger). Ecco che possiamo intendere l’andamento di quel ritmo stupendo del dare e del ricevere gratuitamente: l’uno senza l’altro non avrebbe senso. Qui, davvero, “forma e contenuto si condizionano a vicenda”, secondo quel concetto già antico di armonia che è ritmo nella sua forma più nobile.

Für andere tätig werden, Aufmerksamkeit und Achtsamkeit schenken, das ist das vielschichtige Thema, dem sich Wilhelm Senoner in seiner Neuinterpretation Der Kuss zuwendet, die im Rahmen dieser Ausstellung erstmals dem Publikum präsentiert wird. Das Werk nimmt viel Raum ein, denn die Geste ist sicher einer der Momente schlechthin, die die sentimentalen und affektiven Dynamiken steuern, ohne die es nur gleichgültigen Stillstand, eine desolate Leere und Entfremdung gäbe. „Ganz dem Augenblick hingegeben und losgelöst von allem, was es sonst gibt, geschieht Zuwendung. […] Der Augenblick unmittelbar vor dem Entgegennehmen des Kusses ist auch der Augenblick, in dem der Empfangende eine hohe Erwartung entwickelt. […] So ist dieser Augenblick auch im Menschen, der den Kuss entgegennehmen darf, ein Augenblick, in dem alles Übrige seines Lebens verblasst, verschwimmt und sich relativiert.“ (E. Volgger) So können wir den Lauf dieses wundervollen Rhythmus vom selbstlosen Geben und Nehmen verstehen: Eines wäre sinnlos ohne das Andere. Hier bedingen sich Form und Inhalt tatsächlich gegenseitig nach dem uralten Konzept der Harmonie, die ja selbst Rhythmus in seiner höchsten Form ist.

Tela: Sorgere Bild: Aufbrechen Madre in meditazione Meditierende Mutter


Il Bacio Der Kuss



In mostra c’è un soggetto che ritorna, tra i prediletti dunque di Wilhelm, quasi Leitmotiv della sua azione artistica: è “sorgere”, alle pareti come Magma (2016), poi come tela che si fa riguardare da un’altra figura pensante e più in là come gruppo plastico (2014). Il soggetto ben si presta a introdurre una citazione, che riproduce a parole – e che parole! – la quintessenza del tema di questa mostra: “Le rythme c’est l’architecture de l’être, le dynamisme interne qui lui donne forme, le système d’ondes qu’il émet à l’adresse des autres, l’expression pure de la force vitale”. A questo pensiero densissimo e stupendo sono stati affiancati un quadro e una piccola scultura. Sorgere (2018) e Madre in meditazione (2018): a corollario di quanto i versi esprimono stanno questi Denk-bilder di Senoner, opere che restituiscono presenza concreta alla profondità dell’espressione del poeta africano di cultura francese (1964). Sono capaci di provocare a una ri-flessione, come fisicamente accade con lo specchio d’acqua che si scorge nella tela – il flusso come ritmo dell’esistente – panta rhei, “tutto scorre”, secondo un celebre aforisma. Quando, in occasione della mostra presso la Manfred-Sauer-Stiftung, è stato detto che “Wilhelm ha riunito la forza delle montagne nella sua arte”, è stato toccato un motivo di grande importanza anche per spiegare il senso ritmico delle sue opere. Il ritmo della natura è estremamente potenziato: per un verso la regolarità “matematica” dei ritmi naturali (lo arhythmòs dei Greci) arriva a toccare le vette del sublime (“il sublime matematico”, diceva Kant, per indicare l’enorme divario fra le dimensioni umane e quelle colossali delle cime), dall’altro, la forza delle montagne sta nell’imprevedibilità e repentinità degli eventi che si manifestano (il rhythmòs dei Greci, il “sublime dinamico” di Kant). Ebbene, l’arte di Wilhelm – che mette insieme natura e uomo, relazionandoli – opera una conciliazione proprio di questi due momenti. Ecco perché rivela una “forza” nel senso più pieno del termine: la tensione nella quiete – la quiete nella tensione. Passando in rassegna le opere qui esposte mi sovvengono le parole di Leo Andergassen, che da tempo segue con attenzione “il ritmo dell’arte di Wilhelm”, per così dire. Vorrei lasciare a lui una battuta finale, nel mentre anche L’uomo col sigaro (2016) va con passo pacato e lento, ma saldo, per la sua via: “Senoner vive l’arte nell’armonia e nell’equilibrio formale. Quand’anche i movimenti delle sue figure restituiscono presunti commiati, partenze, slanci e cambiamento, questo non va a scalfire la quiete”.


Ein von Senoner bevorzugtes Sujet kehrt in der Ausstellung immer wieder, wie ein Leitmotiv seines künstlerischen Handelns: Es ist das Entstehen und Sich-Erheben, an den Wänden, wie Magma (2016), dann als Leinwand, die sich von einer anderen Figur gedankenverloren und weiter als Figurengruppe betrachten lässt (2014). Das Sujet eignet sich gut für ein Zitat, das die Quintessenz des Themas der Ausstellung in Worten wiedergibt – und was für Worte! „Der Rhythmus ist die Architektur des Seins, ist die innere Dynamik, die ihm Form gibt, ist das Wellensystem, welches das Sein dem Anderen entgegensendet, ist der eine Ausdruck der Lebenskraft.“ Dieser ungeheuer dichte und einnehmende Gedanke begleiten ein Bild und eine kleine Skulptur. Aufbrechen (2018) und Meditierende Mutter (2018): Die Denk-bilder Senoners sind Werke, die der expressiven Tiefe des afrikanischen Poeten mit kulturellem französischen Hintergrund (1964) eine konkrete Präsenz verleihen. Sie vermögen eine Re-Flexion zu erzeugen, wie es physisch auf der Wasseroberfläche geschieht, die auf der Leinwand erkennbar ist – der Fluss als Rhythmus des Bestehenden – panta rhei, „alles fließt“, so lautet ein bekannter Aphorismus. Als anlässlich der Ausstellung in der Manfred-Sauer-Stiftung festgehalten wurde, dass Wilhelm Senoner alle Kraft der Berge in seiner Kunst erneut vereint habe, wurde damit ein Element angesprochen, das auch für die Betrachtung der Rhythmik innerhalb seines Werks überaus wichtig ist. Der Rhythmus der Natur wird extrem verstärkt. Da ist zum einen die geradezu mathematische Regelmäßigkeit natürlicher Rhythmen (arhythmòs in der hellenistischen Kultur), die an die Grenzen des Erhabenen heranreicht (Kant sprach vom „MathematischErhabenen“, um die enorme Diskrepanz zwischen den menschlichen Dimensionen und der Riesenhaftigkeit der Berggipfel zu beschreiben). Zum anderen ruht die Kraft der Berge in der Unvorhersehbarkeit und der Abruptheit der hiesigen Ereignisse (rhythmòs im antiken Griechenland, das „Dynamisch-Erhabene“ bei Kant). Die Kunst Wilhelm Senoners bringt also nicht nur Natur und Mensch zusammen und setzt sie zueinander in Beziehung, sondern sie vermittelt und versöhnt. Darauf gründet ihr Ausdruck von Kraft im wahrsten Sinne des Wortes: die Spannung in der Stille – die Stille in der Spannung. Angesichts der Zusammenschau der hier ausgestellten Werke, kommen mir die Worte Leo Andergassens in den Sinn, der sozusagen seit langem den Rhythmus der Kunst Senoners aufmerksam beobachtet. Ich möchte ihm das letzte Wort überlassen, während auch der Mann mit Zigarre (2016) ruhigen und festen Schrittes seiner Wege geht: „Senoner erlebt Kunst in der Harmonie und im formalen Ausgleich. Wenn auch die Bewegungen vermeintlich Aufbruch und Veränderung simulieren, so gibt es diese nicht unter Preisgabe von Ruhe.“


Donna del vento Windfrau


Il ritmo dell’arte di Marcello Ghilardi

In quanto è il respiro dell’opera, il ritmo è lo sfondo inapparente di ogni gesto artistico: esso va oltre il tempo calcolabile e rivela piuttosto un flusso che si sottrae alla misura. Quando si è assorbiti nel ritmo in cui l’opera prende forma, quando la si esegue o se ne osserva il nascere, non si pensa di “fare arte”, non ci si preoccupa di essere artisti. È in gioco qualcosa di diverso da quelle categorie che, solo in un secondo momento, gli studiosi e i critici utilizzeranno: è qualcosa che sfugge al concetto, perché appartiene a una durata, dunque è definibile soltanto in modo provvisorio, è cioè identificabile e comparabile di volta in volta attraverso tracce, assonanze, “somiglianze di famiglia”, linee di fondo che collegano le opere e le arti l’una all’altra. La civetta di Atena si leva al crepuscolo, il concetto definisce l’arte a cose fatte; l’opera invece è sempre allo stato nascente, non sa mai in anticipo a quale esercizio metterà capo. Nel farsi dell’opera tutto è contingente e necessario insieme, come per una vocazione. Il disporsi all’opera è un azzardo: è tutto fuorché una puntata sicura, sine cura, priva di preoccupazioni. È tutt’altro che pacifica serenità quella dell’ispirazione: questa annuncia una presenza che sparisce, o che si preannuncia ma tarda ad arrivare, e così facendo inquieta, scuote, fa vibrare il soggetto che ne è toccato. Tracciare un segno, comporre, disegnare, sbalzare un blocco di pietra o un ceppo di legno per modellare una forma sono soglie in cui si dà un contatto, e insieme sono luogo di un distacco: ogni tratto è un approssimarsi e uno staccarsi, un immergersi nel mondo e un astrarsene. Dal momento che il mondo non è mai soltanto “laggiù”, fuori dal proprio corpo e dalla propria intimità, ogni fessurazione e scissione non è mai frattura totale dal mondo, è invece uno stacco che avviene nel mondo e lo mette in vibrazione. Non c’è dunque bisogno che l’opera debba garantire una pacificazione. Attraverso l’opera ci si addestra a fare i conti senza fine con l’alterità che non si inscrive mai del tutto nell’identità, che pure vorrebbe comprenderla. Questa consapevolezza “relazionale” libera lo sguardo da ogni supposta indipendenza, da ogni presunta superiorità o esteriorità rispetto agli altri sensi. Lo sguardo che scruta l’invisibile per trarne forme sensibili è pervaso anche di una dimensione tattile; l’esperienza dell’occhio non è solo quella scopica che delimita e contorna il visibile a distanza, è anche immersiva come quella dell’orecchio che ode i suoni. Lo sguardo e la visione sono solcati da altre modalità di incontro con il sensibile, sono intrecciati con altri aspetti e di rivelazione del mondo secondo modi plurali e irriducibili l’uno agli altri, ordini diversi di una logica globale della sensazione. Vedere, per esempio, è al contempo uno stato – uno stare immersi nella visibilità – e un processo attivo; è una capacità ricettiva e un’azione produttrice. Si percepisce ricevendo stimoli sensibili, ma la ricezione è pratica attiva e si prolunga in funzioni interpretative, per corrispondere a ciò che si incontra. Quando si percepisce, si applicano i propri schemi cognitivi, si dispiegano rinvii e rimandi tattili, mnemonici, epistemici che rendono la visione una struttura complessa in cui soggetto e oggetto


si co-istituiscono e assumono poi, tramite il linguaggio, queste denominazioni e “posizioni” reciproche. Né il visibile né l’invisibile stanno a parte l’uno dell’altro come entità autonome, perché sono intessuti nel ritmo di una compartecipazione e di una compresenza. Ogni cosa è un ritmo, è parte di una composizione che si fa e si disfa in un gioco di evidenze, di apparizioni e sparizioni che non sono ininfluenti rispetto alla verità che in esse passa, si manifesta e sfugge. “Vedere” è andare verso le cose e sondarne la profondità. È una pro-vocazione che si leva in virtù di un’assenza. Come il senso di un testo viene trasmesso tramite le sue parole visibili e non risiede nell’inchiostro delle lettere, eppure non si darebbe senza quell’inchiostro e il foglio bianco che lo accoglie, così il senso di un fenomeno esula dalla forma, dalla materialità in cui appare, senza tuttavia trovarsi altrove. È come se l’aspetto sensibile, offrendosi ai sensi, implicasse un non-sensibile, con cui non è identico, ma dal quale non può essere disgiunto. Ciascuna realtà, presente e assente, necessita dell’altra, dona accesso alla realtà soltanto insieme alla sua controparte. È così che la singola opera diviene riflesso della totalità, microcosmo che riflette in sé l’intero, in quanto immagine o icona del Tutto. Di fronte a questo genere di opera, anche l’essere umano ritrova la propria dignità qualitativa, e non solo quantitativa: non numero intercambiabile di una serie, ma singolarità connessa sempre alla totalità. Da ultimo, l’opera non è la promessa di una liberazione finale dalle contraddizioni della vita: è il luogo sempre contingente, ogni volta da ri-comporre, in cui le contraddizioni sono ospitate nel loro restare irrisolte. Nell’opera – anche quando il nome di “arte” è dimenticato, o là dove nemmeno è pronunciato – non si deve cercare un momento fuggitivo che doni una tregua dal travaglio dell’esistere, né il sabato della vita che dispensi temporaneamente dalla prosa di ogni giorno. Essa è invece luogo di intensificazione dell’esperienza del mondo secondo una ri-organizzazione inedita di forme, in cui il mondo stesso non appare più come alcunché da afferrare o manipolare, ma viene incontro a se stesso come voce, come suono, come ritmo, come luce.


Der Rhythmus der Kunst von Marcello Ghilardi

Als Atem eines Werkes ist der Rhythmus der nicht wahrnehmbare Hintergrund jeder künstlerischen Geste. Er übersteigt die berechenbare Zeit und enthüllt einen Fluss, der sich jedem Maß entzieht. Vertieft in den Rhythmus, in dem das Werk Gestalt annimmt, als Ausführender oder als Beobachter seiner Entstehung denkt man nicht an das „Schaffen von Kunst“ und nicht an das Künstlersein. Es geht dabei nicht um Kategorien, die Kunstwissenschaftler und Kritiker zu einem späteren Zeitpunkt nutzen. Das, worum es geht, entzieht sich der Begrifflichkeit. Es gehört Dauer an, kann daher nur vorübergehend definiert werden und ist von Fall zu Fall erkennbar und vergleichbar anhand von Nuancen, Übereinstimmungen, Familienähnlichkeiten und Grundzügen, die die Werke und Künste miteinander verbinden. Die Eule der Minerva beginnt erst mit der einbrechenden Dämmerung ihren Flug; der Begriff definiert die Kunst, nachdem sich ihre Wirklichkeit entfaltet hat; Das Kunstwerk wohnt dagegen dem Schöpfen inne; nie weiß man voraus, wie es sich ausüben wird. Im Werden des Werkes ist alles zufällig und notwendig zugleich, wie die Antwort auf eine Berufung. Das Sich-ans-Werk-Setzen ist ein Wagnis: Es ist alles, nur kein sicherer Gewinn. Sicher – sēcūrus – sine cura: ohne Sorge. Und alles andere als friedliche Gelassenheit ist die Eingebung: Sie bekundet eine schwindende Anwesenheit, oder eine, die sich verspricht und doch erst wankend auftaucht. Eine Markierung festlegen, Elemente zusammenfügen, gestalten, eine Form aus einem Steinblock oder einem Holzstamm herausarbeiten – Schwellen, Kontaktpunkte. Gemeinsam sind sie Ort einer Trennung: jeder Strich, jede Geste ein Annähern und Entfernen, ein Eintauchen in die Welt und ein sich Lösen. Da die Welt nie nur „dort unten“ ist, außerhalb des eigenen Körpers und der eigenen Intimität, ist kein Riss und kein Spalt je ein vollständiger Bruch mit der Welt, sondern eine in der Welt vollzogene Trennung, die die Welt selbst in Schwingungen versetzt. Ein Kunstwerk muss Aussöhnung also weder versprechen noch garantieren. Durch das Kunstwerk übt man sich im ausweglosen Umgang mit der Andersheit, die sich nie restlos in die Identität einfügt, welche sie doch gerne einbeziehen möchte. Dieses „relationale“ Bewusstsein befreit den Blick von jeder vermeintlichen Unabhängigkeit, von jeder mutmaßlichen Überlegenheit oder Äußerlichkeit gegenüber den anderen Sinnen. Der Blick, der auf der Suche nach wahrnehmbaren Formen das Unsichtbare abtastet, ist auch von einer taktilen Dimension durchdrungen. Die Erfahrung des Auges ist nicht nur eine anschauende, die das entfernt Sichtbare begrenzt und umreißt, sie ist auch umfassend, wie die Erfahrung des Ohres, das Töne wahrnimmt. Der Blick und das Sehen sind durchschnitten von anderen Arten der Begegnung mit dem Wahrnehmbaren. Eng verknüpft mit anderen Aspekten eröffnen sie eine Welt vielfältiger Formen, die nicht aufeinander zurückgeführt werden können, verschiedene Ordnungen einer globalen Logik des Wahrnehmbaren. So ist das Sehen zugleich ein Zustand – versunken in der Sichtbarkeit – und ein aktiver Prozess, ist rezeptive Fähigkeit und produktive Handlung.


Beim Vernehmen werden sinnliche Reize empfangen, das Empfinden ist allerdings eine aktive Praxis, die sich dabei über auslegende Tätigkeiten erstreckt, welche dem Begegneten entsprechen. Beim Wahrnehmen kommen eigene Denkschemata zur Anwendung. Andeutungen und taktile, mnemonische und erkenntnisreiche Verweise machen das Sehen zu einem komplexen Vorgang, in dem sich Subjekt und Objekt gegenseitig bilden und schließlich mittels der Sprache ihre Benennungen und wechselseitigen „Positionen“ einnehmen. Das Sichtbare und das Unsichtbare sind nicht voneinander zu trennen wie selbständige Realitäten, weil sie im Rhythmus von Anteilnahme und paralleler Anwesenheit verwoben sind. Alles ist ein Rhythmus, ist Teil einer Komposition, die sich fortwährend erneuert und vergeht in einem Spiel aus Augenscheinlichkeiten, aus Erscheinen und Verschwinden, die nicht ohne Einfluss auf die in ihnen bestehende, sich manifestierende und entrinnende Wahrheit sind. „Sehen“ heißt, den Dingen entgegenzugehen und ihre Tiefe zu ergründen. Es ist ein Hervorrufen, das Dank einer Abwesenheit entsteht und neue Perspektiven für Leben und Sinn eröffnet. Der Künstler beschreitet neue, unbekannte Wege dank eines erneuerten, durchsichtig gewordenen Blicks. So wie der Sinn eines Textes nicht der Tinte auf dem Papier innewohnt, sondern über die sichtbaren Wörter vermittelt wird. Und dennoch gäbe es den Sinn nicht ohne Tinte und weißes Papier. Der Sinn einer Erscheinung übersteigt die Form, die Materialität, in der er erscheint, ohne jedoch anderswo zu existieren. Es ist, als ob der sinnliche Aspekt, der sich den Sinnen öffnet, einen nicht sinnlichen implizierte, ihm ungleichen, mit dem er untrennbar verbunden ist. Jede Realität, sei sie gegenwärtig oder abwesend, bedarf der anderen. Erst zusammen mit ihrem Gegenpart bietet sie Zugang zur Wirklichkeit. So wird das einzelne Werk zum Spiegelbild der Gesamtheit, zu einem Mikrokosmos, der als Bild oder Ikone des Ganzen in sich das Gesamtgefüge widerspiegelt. Angesichts eines solchen Werkes findet auch der Mensch zurück zu seiner eigenen qualitativen und nicht nur der quantitativen Würde; keine austauschbare Nummer einer langen Serie, sondern eine stets mit der Gesamtheit verbundene Einmaligkeit. Und schließlich ist das Werk nicht das Versprechen einer endgültigen Befreiung von den Widersprüchen des Lebens. Vielmehr ist es der stets zufällige Ort, der fortwährend neu zu einer Einheit wird, an dem die Widersprüche von ihrem ungelösten Dasein genährt werden. In den Werken – auch wenn die Bezeichnung „Kunst“ vergessen wurde oder nicht zur Sprache kommt – darf man weder einen Augenblick der Flucht vor der Realität suchen, der eine Ruheinsel inmitten existentieller Sorgen schafft, noch den Samstag des Lebens, in dem man vorübergehend vom trockenen Alltag befreit ist. Das Kunstwerk ist vielmehr ein Ort, an dem sich das Erleben der Welt nach einer unerwarteten Umgestaltung intensiviert, an dem die Welt selbst nicht länger als etwas Greifbares oder Beeinflussbares erscheint, sondern sich selbst als Stimme, als Klang, als Rhythmus und als Licht darstellt.


Wilhelm Senoner (1946) è scultore e pittore di Ortisei, centro in cui ha sede il suo atelier. Wilhelm Senoner – Bildhauer und Maler – ist in St. Ulrich in Gröden geb. (1946). Dort lebt und arbeitet er als freischaffender Künstler.

Mostre principali (dal 2000) – Wichtigste Ausstellungen (seit 2000) 2006 Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo 2007 Kartause Allerengelberg, Schanlstal 2009 Diözesanmuseum zu Brixen / Bressanone 2010 Fraunhofer-Haus, München 2011 “Im Duft des Windes / Nel profumo del vento”, UNESCO-Park Puetz-Odle 2011 54° Biennale – Padiglione Italia, Torino 2012 Fondazione Minoprio, Como 2012 EDO, Den Haag 2013 IX Festival Biblico, Complesso monumentale San Silvestro, Vicenza 2013 “Zum Leben geküsst”, Caritas Haus St. Michael, Bolzano / Bozen 2014 “IE IONA”, Stadtmuseum Klausen / Chiusa 2014 “Mensch – Berg – Mythos”, Churburg – Schludern, Castel Coira 2014 IMS Impulse – Mystik Berg, Forum Brixen 2014 19. Art Innsbruck, Francis Bacon & Wilhelm Senoner, Innsbruck 2016 “Murfrëit” – Installation – Am Grödnerjoch / Passo Gardena 2017 Manfred-Sauer-Stiftung, Lobbach, Heidelberg 2017 “Elogio all’ombra”, Biblioteca del Daverio, Milano 2018 “Squarci”, Palazzo Fogazzaro, Schio (VI) 2018 “Man with Shield / Kite”, Kaiservilla, Bad Ischl

Photo: Egon Dejori, Elena Filippi, Marion Lafogler, Attilio Pavin © Atelier Wilhelm Senoner 2018


Sorgere Aufbrechen


ISBN: 978-88-901599-9-2

Atelier Wilhelm Senoner Via Arnaria Str. 9/1 - Typak Center I-39046 Ortisei/St.Ulrich (BZ) Mob. +39 338 50 76 384 - Email info@wilhelmsenoner.com www.wilhelmsenoner.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.