Il Faro N. 67 mar 2021

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ANNO IX – n. 67 – Marzo 2021

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INIZIA L’IMPRESA DEL REPARTO MESSINA 13 “DON BOSCO” AL PARCO DI MONTALTO

28/03/2021 - Dopo il lancio e la progettazione del 7 marzo nel parco di Montalto, inizia l’impresa vera e propria del Reparto “Don Bosco” del Gruppo Agesci Messina 13. Tante le attività previste: “botanica” con la predisposizione di aiuole dei 5 sensi; “pionieristica” con l’installazione di recinzioni e cestini porta rifiuti differenziati in legno e predisposizione di percorsi “Herbert”; “artistica” con l’esecuzione di disegni e quadri con soggetti scout; “mani abili” con la costruzione di oggetti per la S. Pasqua; “reporter” per comunicare l’attività. Tutto questo fa parte del progetto “Montalto Ape-rto” per rendere fruibile il parco sia alla cittadinanza che alle nostre amiche api. Ai capi, alle guide e agli esploratori auguriamo una Buona Strada! Hanno collaborato a questo numero: Giuseppe Barilà, Nino Bongiovanni, Lillo Brigandì, Nino Camuto, don Lorenzo Campagna, Daniela Carnazza, Carmelo Casano, Patrizia Ciappina, Irene Manganaro, Saverio Pavone.

IN QUESTO NUMERO Inizia l’impresa del Reparto Messina 13 “Don Bosco” al Parco di Montalto La “Tempesta sedata” di Giorgio De Chirico di carmelo Casano Relazioni tra adulti: maestri di quali parole? di Patrizia Ciappina La flora del Parco di Montalto: L’albero di Giuda di Daniela Carnazza Agenda 2030 – Obiettivo 9 di Carmelo Casano Visita alle Barette e alla copia della Sacra Sindone di Patrizia Ciappina Notizie brevi Montalto com’era L’angolo della poesia di Patrizia Ciappina Date da ricordare Calendario Campi on line “I care”

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La “Tempesta sedata” di Giorgio De Chirico di Carmelo Casano

04/03/2021 Nella chiesa di Porto Salvo si è tenuto l’incontro di spiritualità e cultura su "La tempesta sedata" dipinto realizzato nel 1948 da Giorgio De Chirico, oggi nella galleria d’arte sacra contemporanea all'interno dei Musei Vaticani. Ha condotto Mons. Letterio Gulletta, commenti musicali di Giulia Greco, soprano, e Francesco Allegra, pianista.

«La tempesta sedata» è un quadro molto particolare che risente dell’influsso subìto, durante il periodo parigino, dall’incontro dell’autore con le opere di Delacroix e con il neoclassicismo.

sono Gesù che dorme, coricato sul fondo della barca e il discepolo che siede a poppa e regge la barra del timone. La tiene inserita tra il suo braccio e il fianco. Non fa nessuno sforzo per condurre la barca. D’altra parte, lui Gesù lo vede: è coricato proprio davanti a lui, anche se dorme. È Gesù che gli ha chiesto di portarlo sull’altra riva, si è fidato e affidato a lui. Come può dubitare della sua parola, dal sentirsi essere dalla stessa parte? Forse il timoniere non ha paura, perché ha un compito preciso: sta conducendo la barca; non si può permettere di avere paura. Negli altri apostoli, invece, la paura prevale, e così l’ansia, l’affanno. Certo, aiuterebbe la navigazione se, anziché starsene tutti ritti in piedi, a gesticolare, si coricassero in silenzio, sul fondo della barca, per renderla più stabile, come ha fatto Gesù, aspettando che il vento cessasse e la tempesta passasse.

Nel quadro vediamo: una barca che affronta i marosi, che sembrano quasi sommergerla; un cielo tempestoso; alcuni discepoli in piedi che si danno da fare col l’alberatura e le vele, cercando di arrotolarle; un discepolo al timone e Gesù che dorme davanti a lui, mentre un altro discepolo, al suo fianco, cerca di svegliarlo, scuotendolo. Gli unici tranquilli, nel quadro,

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Relazioni tra adulti: maestri di quali parole? di Patrizia Ciappina

18/03/2021 Nell’ambito del MascIncontri, “Relazioni tra Adulti: Maestri di quali parole?”, il nostro Segretario nazionale MASCI, Mimmo Cotroneo, ha moderato l’incontro con Monica Lazzaretto, Responsabile del Centro Studi Olivotti.

Sollecitata ad esprimersi sull’armonia nelle relazioni lei ha evidenziato il suo mettersi in gioco quotidiano che emerge anche dai racconti che affresca sui “suoi ragazzi” della comunità di recupero e sulle “loro famiglie”. Chi sono questi ragazzi? Da quali realtà provengono? Quali sono i bisogni di queste famiglie e le loro vulnerabilità? Emerge un quadro di famiglie variegate, dalle ricomposte alle mononucleari, sono molto spesso “famiglie che sono passate velocemente ad una concentrazione spasmodica sul proprio figlio”. In circa cento anni da famiglia patriarcale, numerosa, con generazioni diverse, nonni, genitori, figli, nipoti, dal celibe alla vedova, Il Faro – Marzo 2021

con un impianto gerarchico e un normativo, per forza di cose, complesso poiché chi ne era a capo doveva governare su molte persone, si è traslati ad una famiglia “centrica” con 1 o 2 figli, in cui le competenze relazionali risultano notevolmente ridotte poiché nel vivere in 3 o 4 persone “non occorre mettere tantissime regole” ma in questa famiglia si fa fatica a comprendere che le “prime regole familiari sono propedeutiche all’esperienza di socializzazione dei propri figli”. Sono questi i genitori del “noi ce la possiamo fare, ci bastiamo” al posto del “vogliamo crescere figli autonomi, responsabili, capaci di progetti”; sono i genitori che rientrando tardi la sera, evitano accuratamente di generare conflitti con i propri figli, mettendo così a tacere il proprio senso di colpa per la loro “assenza” e i pargoli vengono su senza quelle regole fondamentali per una crescita sana e l’assenza di limiti genera la sindrome del piccolo tiranno, colui che pensa di essere onnipotente e a cui tutti devono inchinarsi, salvo poi ritrovarsi nella realtà del fuori e vedersi “ridimensionato” in maniera per lui inconcepibile. Ecco serviti i genitori amici dei figli, alleati dei figli contro gli altri adulti significativi: insegnanti, allenatori, capi scout ecc., sono genitori che hanno spostato pericolosamente la barra dell’alleanza verso i loro figli, nascondendo la fatica di stabilire confini, di fare l’adulto, di dire no senza capire che quel loro piccolo tiranno diventato adolescente non riuscirà a rispecchiarsi nell’altro, non lo riconoscerà e si troverà inevitabilmente a scontrarcisi. Allora noi genitori alziamo la guardia, “facciamo spogliatoio”, come dice Monica, alleiamoci tra adulti e cerchiamo di mettere insieme strategie per capire come far crescere degli adulti responsabili. Un altro rischio emerso è che “la madre si allei con i figli isolando il padre, arrivano in comunità ragazzi con relazione di questo tipo: madre accentratrice e padre periferico, questa madre si sposa con i figli, tradisce l’iniziale alleanza con l’uomo che si era scelta per vivere insieme e con cui crescere i figli che poi sarebbero andati via, invece i figli sono Pagina 4


diventati pregnanti nella vita di questa madre e spesso il marito fa fatica a riprenderseli e riprendersi anche la propria donna.” Alla domanda: Il ragazzo spesso vive momenti di difficoltà e solitudine perché non trova nella famiglia quel punto di riferimento che è proprio della genitorialità. Noi che facciamo parte della comunità scout, come possiamo rispondere a questa emergenza educativa adulta, è utile una comunità educante? È utile entrare a far parte di una comunità come quella del MASCI, di adulti scout? che “servono le comunità educanti, serve sicuramente il MASCI come punto di riferimento, che però non sia obbligatorio che queste famiglie arrivino alle comunità MASCI ma è fondamentale che le comunità MASCI aiutino queste famiglie a trovare una loro comunità cioè a trovare una loro appartenenza… c’è una situazione di emergenza, queste famiglie non sentono quasi il bisogno di confrontarsi con una comunità per cui c’è bisogno di un’alfabetizzazione che parta da questa consapevolezza.” L’invito che ci viene rivolto è il rivedere il nostro movimento, dar vita ad un “MASCI in uscita”, che orienti il suo dinamismo all’educare alla consapevolezza e alla comunità e a cercare per ciascuna di queste famiglie una comunità modellata “a misura” su di loro che dopo essere usciti dal percorso terapeutico non tornino nel mondo da soli. È importante far capire loro che se io come famiglia mi apro alla comunità, questa esperienza mi ritorna anche a livello familiare come dono. Inoltre è significativo non pensare alla famiglia come composta solo da padre, madre, figli ma famiglia come insieme di almeno cinque generazioni e nel passare dall’una all’altra fluiscano anche i valori, l’identità e l’attesa. Consideriamo che oggi noi non tramandiamo neanche più i nomi, mentre quando un bambino arriva al mondo, ha bisogno di sentirsi ancorato nel mondo, nelle sue generazioni. Nella famiglia MASCI si verifica tutto ciò, la nuova generazione ha radici lunghe e profonde che partono da a B.P. e raccontano la storia dello scoutismo e a sua volta trasmetterà questa eredità alle generazioni future. “Nasciamo tutti come figli e nasciamo tutti come eredi, come eredi ci mettiamo sulle spalle una storia e come uomini liberi Il Faro – Marzo 2021

sappiamo che questa storia dovremo trasformarla. Altra cosa che una comunità deve fare è ancorarsi nelle generazioni perché ognuno di noi, rispetto al sistema che gli è dato di vivere in questo momento, potrà dire parole antiche e anche parole nuove”. Ma quali maestri possiamo essere? E di quali parole?

Nelle acque profonde e tranquille del suo dire ho “tirato su” alcune perle … comunità, accoglienza, sguardo, attesa, reciprocità, relazione. Tra le pagine di “Alla fonte delle parole” della scrittrice Andrea Marcolongo, Monica ci sottolinea: “… le parole svilite devono essere recuperate. Le parole sono il nostro modo di pensare il mondo, il mezzo che abbiamo per definire ciò che ci sta intorno e quindi inevitabilmente per definire noi stessi. Ogni volta che scegliamo una parola diamo ordine al caos, diamo contorni e corpo reale, ogni volta che pronunciamo una parola, essa è il riflesso di noi, ci rivela. Senza il linguaggio non faremmo che brancolare scomposti nella confusione, incapaci di dire la realtà e ciò che sentiamo, proprio per questo delle parole dobbiamo avere estrema cura, sono un giardino da coltivare con pazienza ogni giorno, da mantenere fertile e vivo fino alle sue radici.”. Usiamo tante parole ma troppo spesso senza recuperare il loro significato, la parola è già gesto, pensiamo al tono della voce con cui è pronunciata, alla sua musicalità, al gesto che la accompagna. Don Milani diceva che era doveroso l’insegnamento della lingua per ridare voce ai poveri poiché così si spezzava il circolo vizioso secondo il quale le classi privilegiate condizionano la lingua rimarcando il divario tra le classi e ribadiva convinto: “io sogno che tutti possiedano la parola, ai miei

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alunni ho dato la parola, ho insegnato la parola e loro mi hanno insegnato a vivere”.

La prima delle perle che ho raccolto dal fiume di Monica è “COMUNITA’”, se io accetto di vivere all’interno delle mura accetto anche doveri e vincoli che mi sono richiesti e nello stesso tempo gli scambi che vi avvengono all’interno sono “gratuiti” cioè hanno la dimensione del dono. La seconda perla è “ACCOGLIENZA”, accogliere=a-cogliere, io colgo e quello che ho colto lo porto a me. È vero che siamo bravi a cogliere i problemi dell’umanità ma ci guardiamo bene di accoglierli, portarli a noi, cioè a farli nostri, farli diventare un nostro impegno, un nostro alter. Dove alter ha il significato non di emarginato, povero ecc, ma è colui che mi spinge oltre, è l’occasione che mi si presenta per tirar fuori parti di me che non conoscevo, di cui ignoravo l’esistenza. Occasione per riscoprirmi. L’esempio di Monica è calzante anche per me, il primo alter per entrambe è stato il primo figlio, lo sconosciuto, lo straniero che veniva ad abitare in noi, nel nostro ventre diventato culla, come madri abbiamo creato spazio, dilatato una parte di noi, e nutrito quel figlio mentre i padri hanno creato spazio nella loro mente, elaborato strategie per proteggere le proprie donne e preparare i contesti per l’arrivo di quei figli. Nelle nostre realtà, ogni giorno, siamo chiamati ad essere accoglienti ma non giudicanti e in quel dilatarci facciamo spazio per l’altro e contemporaneamente quell’accogliere ci arricchisce, ci porta a Il Faro – Marzo 2021

conoscerci sempre più profondamente. “Io non so chi sarà l’altro che verrà a bussare però verrà a dire una parte di me e della mia vita e insieme potremo trovare la possibilità di svelare un po’ di più.”. Dobbiamo avere sempre la parola che accoglie e mai quella che divide. Quali sono le parole che ci potrebbero far buttare il cuore oltre l’ostacolo, che non ci fanno arrendere e credere che il nostro impegno sarà sempre più importante per una società migliore, più giusta? La terza perla è “SGUARDO”, lo sguardo dice ancora Monica “con questa s che sembra privativa che cioè non devi guardare qui vicino perché così è un vedere ma lo sguardo è la capacità di andare oltre, di vigilare, di cercare quello che sta nascendo, quello che sta arrivando.”. È lo sguardo della sentinella dell’aurora, è lo sguardo raccontato da Arturo Paoli, petit frère de Foucauld, operante per anni in America Latina, originario di Lucca e lì ritornato al finir dei suoi giorni quando “non posso fare più tutto quello che ho fatto, io adesso sono un vecchio senza risorse, senza energie e dorme anche pochissimo per cui alla mattina prestissimo l’unico mio compito sarà quello di alzarmi quando è ancora buio, di salire sulle mura della città ad osservare l’arrivo dell’aurora, io farò la sentinella dell’aurora e dirò alla città svegliatevi, è ora, la vita comincia, andate avanti”. È anche il cogliere quel che sta germogliando e qui Monica cita il parallelismo che monsignor Nervo fa con le cime degli alberi “in primavera gli alberi, pini, larici, esprimono i propri potenziali di crescita proprio nelle punte dei rami dove si concentra il massimo di fragilità e potenzialità. Così le gemme terminali, fragili e potenti, sono un futuro che accetta tutti i rischi di questa sfida, così è necessario oggi cercare e riconoscere le gemme del cambiamento sociale. Questo è lo sguardo, cercare e riconoscere le gemme del cambiamento, chi sa avere lo sguardo coglie il nuovo, lì è il massimo della nostra fragilità e il massimo del cambiamento possibile, basta poco per scoraggiarlo, per fermarlo, per trasformarlo in conflitto, per fare della vita il suo contrario.”. La quarta perla è “ATTESA”, ad-attendere vuol dire tendere verso qualcosa che ancora non so, è il tempo del kairos cioè è il tempo Pagina 6


per me, è l’occasione. L’attesa è un atto generativo prima ancor che arrivi il generato, è come un nido, una condizione di apertura e disponibilità.

La quinta perla è “RECIPROCITÀ”, letteralmente vuol dire andare avanti-indietro, è un atto gratuito, che esce dalla logica del contratto e l’esempio più incisivo lo rendono i Karo, tribù etiope di etnia Kuhn, che popolano la bassa valle dell’Oma, reciprocità per loro “è quando prendo un oggetto di valore e te lo cedo, in seguito molto più tardi quando tu trovi qualcosa di buono me lo dai. Quando io poi trovo qualcos’altro di buono te lo do e così trascorriamo insieme tutta la vita. La reciprocità è la madre della pace”. La sesta e ultima perla è “RELAZIONE”, è il connubio di due parole, religo e relazio, che ci dice che la relazione è generata dall’equilibrio tra legame e scoperta di senso. Penso che l’Armonia nasca proprio nel raggiungimento di questo equilibrio instaurato tra noi e l’altro. Sono rimasta incatenata allo schermo per ben più di un’ora ma è stato il lasso di tempo più proficuo da anni. Che dire di Monica e di questo incontro? La pacatezza nell’esporre le sue riflessioni, il linguaggio semplice e forbito insieme, sono stati elementi che hanno reso questo incontro gradevolissimo ed estremamente stimolante e ricco di spunti da sviluppare sia da sola che in comunità. Si è accomiatata con un’ultima chicca che trascrivo integralmente poiché’, come dice lei, è una provocazione che ci lancia: “Dobbiamo essere capaci di non dire parole di potere ma parole potenti e dobbiamo essere maestri di parole incerte perché quando una parola è incerta, e non dico parola ambigua, c’è automaticamente un invito a continuare la ricerca per renderla sempre più certa. Quando Il Faro – Marzo 2021

invece io sono maestra di una parola certa io chiudo la relazione perché non c’è più niente da dire, accetto o non accetto, ma dentro quella certezza, dentro quella verità, dentro quella sicurezza c’è poca strada da fare insieme. Maestri di parole fragili, perché se la mia parola si pone come parola fragile allora chiede che gli altri e permette agli altri la libertà di poter fare delle aggiunte o delle correzioni. Se invece la mia parola è sicura chi si avvicinerà a me per dire qualcosa sulle mie parole, sui miei pensieri, sui miei comportamenti? Se invece la mia parola è fragile è una parola che invita ad aggiungere, a fare correzioni. Parole aderenti che non devono smascherare la realtà in maniera impietosa, lo sanno i medici, lo sanno coloro che vivono dentro dimensioni soprattutto di dolore o scoperta, ci vuole sempre prudenza a svelare la realtà che la gente può temere, che magari è molto meno di quello che vedi tu ma tu devi sempre pensare quanto quell’uomo lì può portare sulle sue spalle. Allora prima il rispetto della persona e la mia parola sarà aderente ma misurata. Poi amo le parole fedeli, la parola fedele ti dice io non ti abbandonerò, io non sono perfetto, non sono invulnerabile, non sono magico però io non ti abbandonerò, nella mia fragilità, nella mia imperfezione io starò vicino a te. Queste sono parole che ci possiamo scambiare senza fare vuoti intorno e senza doverci misurare tra di noi, per cui siamo maestri non di parole di potere ma di parole potenti.”.

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La Flora del Parco di Montalto L’albero di Giuda o di Giudea Cercis siliquastrum, L. 1758 di Daniela Carnazza IV parte - Oggi presentiamo un genere di pianta legata al periodo della passione di Gesù: l'albero di Giuda o di Giudea, dal francese arbre de Judée o Siliquastro, Cercis siliquastrum, L. 1758) è una pianta appartenente alla famiglia delle Fabaceae (o Leguminose) e al genere Cercis.

Il nome deriva dal termine greco kerkís, ad indicare la forma di una “navicella” o di una “spola”, e dal latino siliqua, ovvero “baccello”, entrambi in relazione alla forma dei suoi frutti. Anticamente poi, il frutto era spesso confuso con il comune capsicum (peperoncino), quest'ultimo invece appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Il nome "Albero di Giuda" invece, è riferito alla regione della Giudea, nel Vicino Oriente, da dove originerebbe, e da presso la quale si diffuse in tutto il Bacino del Mediterraneo. Il Faro – Marzo 2021

Grazie anche alla sua zona di origine e alla intensa fioritura approssimativamente in tempo di Pasqua, antiche leggende, legate al primo Cristianesimo, nacquero per rappresentare simbolicamente alcune vicende degli ultimi giorni di Gesù nei Vangeli. Il repentino apparire dei fiori di un intenso colore lilla-violaceo sulla nuda corteccia, ancor prima delle foglie, rappresenterebbe simbolicamente il tempo della Passione di Gesù, così come il colore dei paramenti liturgici cristiani relativo ad esso. Più in particolare, la pianta sarebbe legata all'episodio presso il quale, sotto questo albero, lo stesso Giuda Iscariota avrebbe dato il famoso "bacio" traditore a Gesù e, più tardi, tormentato dal rimorso, vi si impiccò. La forte diffusione di questa credenza pare suggerire che il siliquastro avesse comunque un particolare significato, sempre di carattere passionale, anche presso alcuni culti precristiani europei.

Tuttavia, per lo stesso motivo, ovvero per le bacche color rosso vivido, lo stesso albero legato alla figura passionale del sangue di Giuda, per altre leggende potrebbe essere anche il sambuco mentre, sempre in altre tradizioni di carattere popolare, viene proposto anche il fico comune, o anche il fico sicomoro, quest'ultimo appunto diffuso in Palestina, Pagina 8


alberi similmente "traditori" come Giuda Iscariota poiché i loro rami appaiono robusti ma, in realtà, sono fragili, fino a spezzarsi facilmente se vi si sale sopra. Nell'ultimo caso comunque, tale simbologia negativa del sicomoro non ebbe seguito, poiché in contraddizione con il suo significato positivo nella tradizione biblica sia giudaica che cristiana. Il siliquastro si presenta come un piccolo albero caducifoglie e latifoglie alto fino a dieci metri e più spesso come arbusto. Cresce molto lentamente. La corteccia è di colore grigio nerastro tendente al rossiccio nei giovani rami.

Le foglie sono di colore verde carico e dall’aspetto liscio e lucido; la pagina inferiore è glauca. Da giovani le foglie possono avere tonalità rossastre; esse appaiono abbastanza tardivamente, in aprile; in autunno assumono un bel colore giallo e cadono a novembre inoltrato. Le foglie hanno la tipica forma a cuore e le foglie hanno le nervature più chiare.

I fiori sono ermafroditi, con corolla papilionacea e di colore rosa - lilla o bianchi. Sono riuniti in racemi che compaiono prima delle foglie, in marzo - aprile; caratteristica di questa specie è la caulifloria: i fiori spuntano direttamente dalla corteccia dei rami e del tronco. Inizia a fiorire verso i sei anni di età. Ne esiste una varietà a fiore bianco (Cercis siliquastrum var. alba). L'impollinazione è entomofila. Una leggenda racconta che i fiori hanno il colore del sangue di Giuda. I frutti sono dei baccelli scuri, pendenti, molto numerosi, che restano attaccati alla pianta fino alla fine dell'inverno. Il siliquastro si trova in tutta l'Europa del Sud e in Asia minore, fino ad un massimo di 500 metri circa. È una pianta tipica del bosco di latifoglie, prediligendo quelli misti in associazione a quercia, orniello e altre essenze forestali. Il siliquastro cresce difficilmente in boschi umidi e ombrosi, mostrando elevata capacità di adattamento e arrivando a colonizzare sia pendii aridi e scoscesi sia addirittura luoghi sassosi, come cave e pareti rocciose naturali. Questa pianta preferisce i terreni calcarei e sassosi, senza ristagno idrico ma tollera anche quelli moderatamente acidi. È abbastanza resistente al freddo. I fiori sono commestibili e possono essere usati in cucina nella preparazione di ricette. Come le altre leguminose, è una pianta in grado di fare azotofissazione, cioè cattura azoto dall'atmosfera e grazie a dei batteri situati nelle radici lo rilascia nel terreno, arricchendolo. È molto usato come albero ornamentale nei giardini e per le alberature stradali, grazie alla sua resistenza all'inquinamento. FONTI: WIKIPEDIA https://it.wikipedia.org/wiki/Cercis_siliquastrum

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Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile Obiettivo 9 – Imprese, innovazione e infrastrutture a cura di Carmelo Casano

L’Agenda 2030 con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) esprime un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. In questo modo viene definitivamente superata l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e si afferma una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. Ma quali sono questi obiettivi da raggiungere entro il 2030? Analizziamo il nono:

Costruire una infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile

Lo sviluppo industriale inclusivo e sostenibile è la prima fonte di generazione di reddito; esso permette un aumento rapido e sostenuto del tenore di vita delle persone e fornisce soluzioni tecnologiche per una industrializzazione che rispetti l’ambiente. Il progresso tecnologico è alla base degli sforzi per raggiungere obiettivi legati all’ambiente, come l’aumento delle risorse e l’efficienza energetica. Senza tecnologia e innovazione, non vi sarà industrializzazione, e senza industrializzazione non vi sarà sviluppo.

Fatti e cifre

Gli investimenti in infrastrutture – trasporti, irrigazione, energia e tecnologie della informazione e della comunicazione – sono cruciali per realizzare lo sviluppo sostenibile e per rafforzare le capacità delle comunità in molti paesi. Si riconosce ormai da tempo che la crescita della produttività e dei redditi, così come migliori risultati nella sanità e nell’istruzione, richiedono investimenti nelle infrastrutture. Il Faro – Marzo 2021

Infrastrutture di base come strade, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, servizi igienici, energia elettrica e acqua sono ancora scarsi in molti Paesi in via di sviluppo • Circa 2,6 miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo incontrano impedimenti nell’accesso continuo all’elettricità • 2,5 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso a servizi sanitari e quasi 800 milioni di persone, di cui molte di centinaia di milioni si trovano in Africa subsahariana e Asia meridionale, non hanno accesso all’acqua • 1-1,5 miliardi di persone non possiedono servizi di telefonia affidabili Pagina 10


• La qualità delle infrastrutture è legata positivamente al raggiungimento di obiettivi sociali, economici e politici • Infrastrutture inadeguate impediscono l’accesso a mercati, posti di lavoro, informazione e formazione, creando forti barriere alle attività economiche • Infrastrutture non sviluppate limitano l’accesso alle cure mediche e all’istruzione • Per molti Paesi africani, specialmente in quelli a basso reddito, le restrizioni infrastrutturali esistenti inibiscono la produttività delle imprese di circa il 40% • L’industria manifatturiera rappresenta una delle principali fonti d’impiego, fornendo circa 470 milioni di posti di lavoro nel mondo – pari a circa il 16% delle 2,9 miliardi di unità della forza lavoro. Si stima che nel 2013 le manifatture abbiano offerto più di mezzo miliardo di posti di lavoro • L’effetto moltiplicatore di posti di lavoro dell’industrializzazione ha un impatto positivo sulla società. Ogni posto di lavoro nell’industria manifatturiera crea 2,2 posti di lavoro negli altri settori • Le piccole e medie imprese attive nel settore della manifattura e della lavorazione sono i soggetti più decisivi nei primi stadi dell’industrializzazione, e creano tipicamente il maggior numero di posti di lavoro. Esse costituiscono oltre il 90% delle imprese a livello mondiale, e sono responsabili per circa il 50-60% degli impieghi • Nei Paesi di cui i dati sono disponibili, il numero di persone impiegate nel settore delle energie rinnovabili si aggira attualmente sui 2,3 milioni. Considerate le lacune statistiche, si tratta sicuramente di una cifra prudente. Dato l’interesse in forte crescita verso le energie alternative, il livello di impiego più alto previsto nel settore delle rinnovabili si aggira intorno ai 20 milioni di posti di lavoro entro il 2030 • I Paesi meno sviluppati hanno un potenziale di industrializzazione immenso per quanto riguarda l’industria alimentare (cibo e bevande), l’industria tessile e dell’abbigliamento, con buone prospettive per la generazione sostenuta di posti di lavoro e una maggiore produttività • Paesi a medio reddito possono trarre vantaggio dall’ingresso nel settore delle Il Faro – Marzo 2021

industrie di base e dei metalli lavorati, che offrono una vasta gamma di prodotti in risposta a una domanda internazionale in rapida crescita • Nei Paesi in via di sviluppo, quasi il 30% della produzione agricola viene sottoposta a lavorazione. Nei Paesi ad alto reddito ne viene lavorato il 98%. Ciò suggerisce grandi opportunità per i Paesi in via di sviluppo nell’industria agroalimentare.

Traguardi 9.1 Sviluppare infrastrutture di qualità, affidabili, sostenibili e resilienti – comprese quelle regionali e transfrontaliere – per supportare lo sviluppo economico e il benessere degli individui, con particolare attenzione ad un accesso equo e conveniente per tutti 9.2 Promuovere un’industrializzazione inclusiva e sostenibile e aumentare significativamente, entro il 2030, le quote di occupazione nell’industria e il prodotto interno lordo, in linea con il contesto nazionale, e raddoppiare questa quota nei paesi meno sviluppati 9.3 Incrementare l’accesso delle piccole imprese industriali e non, in particolare nei paesi in via di sviluppo, ai servizi finanziari, compresi i prestiti a prezzi convenienti, e la loro integrazione nell’indotto e nei mercati 9.4 Migliorare entro il 2030 le infrastrutture e riconfigurare in modo sostenibile le industrie, aumentando l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e adottando tecnologie e processi industriali più puliti e sani per l’ambiente, facendo sì che tutti gli stati si mettano in azione nel rispetto delle loro rispettive capacità 9.5 Aumentare la ricerca scientifica, migliorare le capacità tecnologiche del settore

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industriale in tutti gli stati – in particolare in quelli in via di sviluppo – nonché incoraggiare le innovazioni e incrementare considerevolmente, entro il 2030, il numero di impiegati per ogni milione di persone, nel settore della ricerca e dello sviluppo e la spesa per la ricerca – sia pubblica che privata – e per lo sviluppo 9.a Facilitare la formazione di infrastrutture sostenibili e resilienti negli stati in via di sviluppo tramite un supporto finanziario, tecnico e tecnologico rinforzato per i paesi africani, i paesi meno sviluppati, quelli senza sbocchi sul mare e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo 9.b Supportare lo sviluppo tecnologico interno, la ricerca e l’innovazione nei paesi in via di sviluppo, anche garantendo una politica ambientale favorevole, inter alia, per una diversificazione industriale e un valore aggiunto ai prodotti 9.c Aumentare in modo significativo l’accesso alle tecnologie di informazione e comunicazione e impegnarsi per fornire ai paesi meno sviluppati un accesso a Internet universale ed economico entro il 2020

Il contesto italiano Avviata in Italia una nuova stagione di politiche infrastrutturali e migliorate le tecnologie dell’informazione e il supporto all’innovazione. Bisogna rafforzare l’innovazione basata sulle tecnologie digitali e ridurre i divari regionali, dice l’ASviS. Un ulteriore impegno Onu sottoscritto dall'Italia è quello di aumentare significativamente, entro il 2020, “l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e sforzarsi di fornire un accesso Il Faro – Marzo 2021

universale e a basso costo a Internet nei Paesi meno sviluppati” (Target 9.c). Nel corso dell’ultimo anno è cresciuta nella società e nell’imprenditoria italiana la consapevolezza che per rimettere in moto uno sviluppo economico di dimensioni adeguate è necessario innovare guardando simultaneamente alla dimensione tecnologica, all’aumento di produttività e alla riduzione del consumo di risorse naturali. Di conseguenze, le attuali tendenze che si registrano sono: un’innovazione basata sulle tecnologie digitali, il passaggio all’economia circolare e lo sviluppo di una nuova generazione di infrastrutture adeguate al 21esimo secolo. Con il nuovo “Codice degli Appalti” (D. Lgs. 50/2016) e con il DEF 2017, che contiene l’Allegato che individua i fabbisogni infrastrutturali al 2030, si è ufficialmente entrati in una nuova stagione di politiche infrastrutturali. Tra gli aspetti innovativi del documento si segnalano la centralità della pianificazione strategica, cioè l’individuazione delle reti di infrastrutture necessarie, come quelle ferroviarie, stradali, portuali, aeroportuali, per la connessione del Paese, nonché la valutazione ex-ante delle opere, cioè la considerazione dei costi e dei benefici delle singole infrastrutture. Tra le priorità in termini di infrastrutture fisiche che richiedono investimenti significativi si segnala l’ammodernamento della rete stradale, sostanzialmente fermo da anni, che necessita di uno specifico piano nazionale e della trasformazione digitale di tali infrastrutture. Relativamente al settore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, l’anno trascorso ha visto importanti passi in avanti. Dal punto di vista della copertura, infatti, la disponibilità dei servizi di accesso a reti fisse a velocità compresa tra i 2 e i 20 Mbit/s ha ormai raggiunto il 97% delle abitazioni, mentre a fine 2016 le linee di rete fissa a banda larga con velocità pari o superiore ai 10 Mbit/s hanno superato per la prima volta il 50% del totale. Per sostenere l’innovazione e la ricerca e sviluppo (R&S), tema portante per il nostro Paese che vede nel tessuto produttivo (prevalentemente formato da piccole e medie imprese) una struttura potenzialmente ricettiva di istanze innovative e di avanzamento tecnologico, il Governo ha istituito la Pagina 12


fattispecie delle “Startup innovative” e promosso uno “Small Business Act” ed uno “Startup Act” in linea con le politiche europee dirette a finanziare un’aumentata capacità di innovare e applicare tecnologie intelligenti. Per progredire rispetto al Goal 9 si avanzano diverse proposte, tra cui: rafforzare ulteriormente i piani relativi ad Industria 4.0 e all’Agenda Digitale, individuando più efficaci forme di collaborazione tra centri di ricerca e imprese, non solo quelle medio-grandi; disegnare interventi dedicati ad accrescere le dimensioni del sistema industriale del Mezzogiorno e a potenziare le sue connessioni con le imprese fornitrici di servizi ad alta intensità di tecnologie e innovazione, anche per bilanciare le ricadute fortemente eterogenee e a netto favore delle regioni del Nord che avrà l’attuale Piano Industria 4.0; promuovere e incentivare maggiormente l’openinnovation come modalità di R&S delle imprese, che in questo modo si aprirebbero a collaborazioni con piccole e medie imprese, università e centri di ricerca, generando una complessiva crescita del livello di competenze; nuove e importanti opere aeroportuali e ferroviarie che utilizzino al meglio gli investimenti già fatti e le infrastrutture esistenti, puntando all’integrazione delle diverse modalità di trasporto, alla modernizzazione dei servizi e a più stretti ed armonici rapporti con il territorio; prevedere una leva premiale in tutti gli appalti pubblici in cui il servizio digitale viene inserito nella progettualità di infrastrutturazione, cogliendo in tutti i settori le potenzialità derivanti dall’emergente tecnologia della comunicazione di rete Internet of Things (IoT).

Il Faro – Marzo 2021

Fonti: https://unric.org/it/ http://www.obiettivo2030.it/

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Visita alle Barette e alla copia della Sacra Sindone di Patrizia Ciappina

21/03/2021 Hanno condotto il programma Salvo Scuderi e Carmelo Casano con ospiti Nino Artese, cultore della Sindone, in diretta da Trabia (PA), il Governatore della Confraternita SS. Crocifisso Pietro Corona e l’ex governatore Giacomo Sorrenti, collegati dal Nuovo Oratorio della Pace che ospita da tantissimi anni ormai i simulacri che rappresentano la Passione di Cristo.

Il termine Barette, con la quale vengono indicati i fercoli, trae origine dalle “macchine d’argento e finissimi cristalli” chiamate “bare”, portati a spalla, nella Sicilia dominata dagli Spagnoli, e dei quali riecheggiano la plasticità, i colori e l’atmosfera. È dal lontano 1610 che la processione è gestita dalle Confraternite che si sono avvicendate negli anni. All’inizio era competenza della Confraternita dei Bianchi successivamente fusasi con quella degli Azzurri, nel 1950 non riuscendo a far fronte all’organizzazione, è subentrato il Comitato dei Battitori fino al 1991, anno della costituzione della Confraternita del SS. Crocifisso che man mano si è allargata agli altri confrati che hanno perpetuato nel tempo questa processione che, insieme alla Vara, è tra le più importanti di Messina. Nei suoi quattrocento anni di vita ha subito diverse interruzioni: la peste del 1740, il terremoto del 1783, il colera del 1800, il sisma del 1908, la prima e seconda guerra mondiale e oggi dal 2020 a causa della pandemia. L’attuale Oratorio della Pace, nella quale sono custodite le Barette dalla fine della seconda Il Faro – Marzo 2021

guerra mondiale, è in realtà la ricostruzione dell’antica chiesa distrutta dal sisma del 1908, non sorge esattamente sul perimetro originario ma ha visto la luce grazie all’intervento dell’arcivescovo Paino proprio per allocare i gruppi architettonici che si trovavano anticamente nella Cappella Balsamo dei principi di Roccafiorita, e l’Oratorio della Pace era attiguo alla Cappella. Successivamente furono ospitate in diverse chiese della città. Le Barette sono di proprietà della Città di Messina, la Curia Arcivescovile ha conferito l’incarico della loro custodia alla Confraternita del SS. Crocifisso, come si può notare nelle fasce laterali dei fercoli, è riportato l’emblema della Confraternita che è la Croce sul porto di Messina, testimonianza ulteriore della responsabilità di questa custodia. Sono 11 simulacri, importanti dal punto di vista artistico e non solo devozionale, disposti lungo i laterali dell’altare sul quale è stata posizionata la copia della Sindone e scandiscono i momenti salienti della Passione di Nostro Signore: l’Ultima Cena, Gesù nel Getsemani, Gesù alla colonna, l’Ecce Homo, La Veronica, la Caduta, il Cireneo, il Crocifisso, l’Addolorata, la Deposizione e il Sepolcro, cinque di loro sono sotto la tutela della Sovraintendenza ai beni Culturali, in quanto opere d’arte che risalgono al 1500/1600. Le Barette non hanno ruote perché vengono trasportate a spalle. Sotto l’impianto figurativo vi sono dei fori in cui si inseriscono delle stanghe che i portatori si posizionano sulle spalle e alla base vi è una piccola piastra metallica che viene percossa con un martello dal “battitore”, colui che da il segnale ai portatori della sosta e della ripartenza della Baretta, durante il percorso processionale: un colpo segnala ai portatori di posizionarsi sotto le stanghe, uno per iniziare a camminare e un altro secco, per il fermo temporaneo. Ognuna ha il suo battitore. Questo ruolo, come in altri della processione, si tramanda da padre in figlio da diverse generazioni e deve essere Pagina 14


componente della Confraternita. I portatori sono circa 200. È possibile visionare il sito previa prenotazione, una guida accompagnerà il visitatore, dotato anche di puntatore laser e gli farà scoprire tutti i particolari.

- La prima Baretta è l’Ultima Cena, un’opera impressionante per la mole, che si fa apprezzare nei particolari, nella bellezza dei volti degli Apostoli e del Cristo, è stata realizzata nel 1919 dalla Bottega di Carmelo Bruno poiché quella ottocentesca era andata distrutta dal sisma del 1908. Il modello ispiratore di questo gruppo, realizzato in cartapesta, è il Cenacolo di Leonardo; l’artista ha fissato l’attimo in cui i discepoli si interrogano su chi sia il traditore. È la più grande e la più pesante anche se le statue al loro interno sono vuote. Venne realizzata grazie alle elargizioni di personaggi illustri ma anche di singoli cittadini. - L’episodio successivo, la seconda Baretta, vede Gesù nell’orto degli ulivi che prega il Padre poiché da lì a poco avrà il suo patire ed il Padre manda un Angelo consolatore per dargli conforto. Il volto del Cristo è rigato di sangue, come già narrato nel Vangelo; i suoi discepoli, Giacomo e Giovanni, stanno dormendo ai suoi piedi. I rami che rappresentano gli alberi vengono sostituiti ogni anno con fronde fresche d’ulivo e cipresso, per riprodurre in maniera scenografica il Getsèmani. È più recente della precedente ed è stata realizzata, sempre in cartapesta, nel 1958 a Ortisei. - La terza Baretta rappresenta l’arresto di Gesù e l’inizio del supplizio, dopo essere stato condotto nel Pretorio, legato ad una colonna e fatto flagellare da Pilato. Viene denominata “Cristo alla colonna” proprio per la sua posizione. È una delle più antiche, risale al ‘700, è sopravvissuta alle varie calamità ed è interamente realizzata in legno ed è anche tra Il Faro – Marzo 2021

le più leggere, essendoci solo un personaggio. Si fa apprezzare per la carica espressiva del volto di Gesù che ci ricorda i lavori di fra’ Umile da Petralìa. - La quarta Baretta è l’Ecce Homo, molto simile alla precedente, si vede Pilato che presenta al popolo Gesù dicendo: Ecce homo, ecco l’uomo. Gesù è qui presentato con i segni della beffa dei soldati, ammantato di porpora, in testa una corona di spine e una canna tra le mani. Probabilmente è dello stesso autore, anch’essa settecentesca e lignea. Risulta sorprendente come siano sopravvissute a tutte le calamita naturali e umane. - La quinta Baretta, ricordata come “la Veronica”, vede Gesù caricato della croce che si avvia al Calvario; è un’opera lignea realizzata ad Ortisei ed è del ‘900, dono di una nobile messinese; raffigura la Veronica che va incontro a Gesù per asciugargli il volto e il gesto emblematico di Gesù che lascia la sua immagine sul tessuto. Lo possiamo ammirare nel particolare del fazzoletto. È la più pesante, è interamente in legno e richiede una grande fatica da parte dei portatori. Notevole la bellezza intensa del volto di Gesù.

- La sesta Baretta raffigura la Caduta di Gesù e ne racchiude anche le altre due. È leggera, realizzata in paglia e cartapesta; la testa, le mani e i piedi sono in gesso e cartapesta mentre il corpo è di paglia rivestito di un abito purpureo in stoffa. La scelta dei materiali è stata finalizzata nel facilitare il trasporto. Per questa Baretta in particolare, il ruolo di battitore è rivestito dal Governatore della Confraternita. Una nota di Nino Artese puntualizza la dissonanza nella raffigurazione della Croce, in quanto Gesù non portò l’intera struttura, pesantissima tra l’altro, ma solo il “patibulum” cioè l’asse orizzontale su cui poi venne inchiodato ai polsi. Il palo verticale era già Pagina 15


infisso sul luogo dell’esecuzione. Dalla Sindone emerge che Gesù aveva un grande ematoma proprio lì dove pressava il patibulum.

Un’altra lettura viene data della corona di spine che in realtà non era una corona, come nella bella raffigurazione di Gesù alla colonna, ma era un casco che, dopo la fustigazione, non fu più tenuta sulla testa di Gesù ma tolta, perché altrimenti non si sarebbe potuto legare il patibulum. In realtà i tre condannati alla pena capitale, erano tutti e tre legati da corde attraverso il patibulum per cui anche la tradizione del Cireneo che aiuta Gesù era anche per evitare che gli altri che portavano il patibulum potessero cadere. Il tutto trova giustificazione negli anni di realizzazione dei gruppi statuari, che rispecchiano le conoscenze del tempo mentre gli elementi emersi dallo studio della Sindone sono frutto di studi recenti. La corona di spine e la croce intera sono elementi che rafforzano l’autenticità della Sindone. Se fosse stata opera di un falsario medievale avrebbe raffigurato il corpo con gli elementi di iconografia plastica cristiana conosciuti nel suo tempo. Nella Sindone è impressa una immagine che, grazie ai frutti di lavori incrociati, medici, radiologici, storici, ci restituisce un uomo flagellato, con ematomi evidenti sulle spalle compatibili con il patibulum. Artese lancia la proposta di portare in processione anche la copia della Sindone poiché raffiguriamo questo grandissimo momento di Passione a partire dall’Ultima Cena, ma il momento cruciale, più intenso in cui noi ci rapportiamo e cerchiamo di crescere nella fede è la Resurrezione, quindi perché non portare in una nuova baretta la Sindone? - La settima Baretta presenta la figura di Gesù che viene aiutato dal Cireneo a portare la Croce, realizzata interamente in legno, notevolmente pesante, è degli anni sessanta del Il Faro – Marzo 2021

‘900, dono della Mutua Società Barbieri di Messina. - L’ottava Baretta è la “Crocifissione”, raffigura l’apice della Passione. La Croce è stata sempre presente in processione, fin dal ‘600 mentre il Cireneo e la Veronica si sono aggiunte in un secondo tempo. Il Crocifisso è stato realizzato ad Ortisei negli anni cinquanta del ‘900, è apprezzabile l’espressione del suo volto. Visibile dietro al capo è una raggiera, opera del ‘700, benedetta da monsignor Sgalambro e posta sul Cristo in occasione del ventennale della Confraternita del SS. Crocifisso. - La nona Baretta presenta la Vergine Addolorata, non è l’originale del ‘600 ma è coeva al Crocifisso, è stata arricchita nel 2014 dal manto nero ricamato in filo d’ oro, eco spagnoleggiante dell’origine della processione, dono dell’Associazione Moglie Medici Italiani sezione di Messina. Altri elementi tipici, il fazzoletto e il pugnale d’argento conficcato nel cuore. È la Baretta con il maggior seguito di devoti in processione, soprattutto donne. - La decima Baretta rappresenta la Deposizione del Cristo dalla croce, la cosiddetta Pietà; La Vergine in terra accoglie nel suo grembo il capo del Figlio morto. È degli anni trenta del ‘900, realizzata a Messina, in cartapesta e gesso, non molto pesante. La Vergine e la Maddalena hanno l’interno in paglia.

- L’undicesima e ultima Baretta propone la bara del Cristo e presenta la stessa fattura della precedente. Gesù disteso nel sepolcro, che non è la grotta chiusa dal masso ma un sontuoso feretro di cristallo. La statua è in cartapesta e gesso ed è coperta da un velo. Dietro questa Baretta c’è la banda musicale, il corteo delle Confraternite, il Seminario Arcivescovile, i sacerdoti e il baldacchino con sotto la Reliquia della Santa Croce portata dal Decano del Capitolo della Cattedrale di Messina, vi è Pagina 16


anche la presenza dell’Arcivescovo, del Sindaco e delle autorità. Il corpo processionale viene aperto dalla prima Baretta, l’Ultima Cena, e davanti è posizionata la Confraternita con il suo stendardo, tutti i confratelli che non sono impegnati nelle funzioni di battitori e portatori, e i tamburini che aprono il corteo al suono dei tamburi. Al centro della navata, sull’altare è posizionata la copia della Sindone, l’oggetto archeologico più studiato al mondo, sulla cui autenticità o meno si è dibattuto e si continua a dibattere.

Naturalmente la fede cristiana non poggia sulla Sindone e se un domani dovesse essere annunciata la sua non autenticità ciò non scalfirebbe la nostra fede. È un segno come possono esserlo le reliquie, che aiuta la nostra fede ma non ne è il fondamento. La sua autenticità sarebbe la conferma di quando scritto nei Vangeli. La scienza da sempre indaga su di essa, con strumenti sempre più sofisticati. Artese ci propone la lettura del libro “Gesù e la Sindone. Risposte scientifiche alle domande dei giovani” di Emanuela Marinelli, sindonologa, per una lettura didattica. “Anche a Trabia abbiamo una copia della Sindone – dice Artese- è stata esposta la prima volta il 6 settembre del 2020 in un’occasione apposita creata dal nostro parroco e nasce dalla nostra volontà di voler mostrare dal vivo ciò che risulta da essa. Similitudine con voi messinesi nella collocazione, entrambi abbiamo collocato la Sindone nella navata centrale, voi in alto sull’altare e tutta per intero, noi per problemi tecnici abbiamo dovuto segmentarla in due parti; voi avete esposto le Barette che rappresentano la Passione tutte intorno, noi, la nostra Madonna addolorata e il Gesù sepolto, che non sono assolutamente equiparabili alle vostre, li abbiamo collocati all’interno della navata del S. Sepolcro, per cui in una sola Il Faro – Marzo 2021

dimensione abbiamo sintetizzato la passione e la resurrezione di Gesù. La Sindone è lo specchio dei Vangeli e una provocazione per la scienza. È una realtà silenziosa ma eloquente e rappresenta il segno tangibile della Resurrezione.”. Giacomo Sorrenti, nel suo intervento, evidenzia che già alcuni anni fa in un convegno molto interessante, tenutosi dinanzi alla Sindone, il prof. Bruno Barberis, esperto sindonologo torinese, mise in luce diversi aspetti salienti della stessa. L’originale è custodita nella Cattedrale S. Giovanni di Torino dove vi è giunta da Gerusalemme e dopo un vuoto temporale, non si sa con certezza per quale via sia giunta in Europa, probabilmente via Costantinopoli, dato che come risulta da annotazioni di Crociati, lì nella Chiesa della Madre di Dio ogni venerdì veniva esposto il ritratto del Cristo e il suo lenzuolo. Compare, in seguito, in Francia portata probabilmente da Crociati e in passaggi successivi arriva a corte dei Savoia, i quali nel ‘500 la portano a Torino e la custodiscono in una cappella realizzata dal Guarini, attigua al palazzo reale. È scampata a ben due incendi, uno antichissimo in Francia e l’altro recente. La proprietà è della Santa Sede e Torino ne è il custode pontificio. È costituita da un telo che per tanti secoli è stato conservato arrotolato nella Cappella della Sindone, invece ora viene tenuto disteso e impregnato di una sostanza che ne impedisce il deterioramento. Presenta delle toppe applicate dalle suore francesi dopo l’incendio del ‘400, è stato rinforzato l’intero telo, inoltre sono visibili degli aloni provocati dall’acqua utilizzata per lo spegnimento dell’incendio. Nonostante fosse chiuso in una teca d’argento, quest’ultimo si è fuso con il calore, cadendo in gocce sul tessuto, producendo dei tagli. La datazione medievale è risultata, dagli ultimi studi effettuati, non valida e al momento è in atto un ulteriore studio con tecniche molto più avanzate per accertare, con un’approssimazione migliore delle precedenti, la datazione. Il 04 maggio è prevista la festa liturgica della Sacra Sindone che è stata istituita già dal 1500. Sarebbe bello – suggerisce Artese - l’anno prossimo poter realizzare con tutti i detentori di copie della Sindone un ponte culturale e organizzare una festa della Sindone. Chissà!

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NOTIZIE BREVI 1a serie di Campi “I care” on line

Cena a Casa accoglienza

13/03/2021 - Si sono svolti in modalità telematica i primi campi I care del 2021. Per la Comunità Messina 1 hanno partecipato: Patrizia Ciappina al Campo “Armonia nelle relazioni”, animatori Ernesto Albanello e Ambra Cusin;

19/03/2021 - Festa del papà a casa accoglienza “Aurelio” di Provinciale. Anche se in fascia arancione gli adulti scout della comunità non hanno fatto mancare il loro servizio, preparando e servendo la cena agli ospiti come ogni mese.

Dantedì a Porto Salvo

Irene Manganaro al Campo “Legalità e cittadinanza attiva”, animatori Antonio Pallone e Laura Mapelli;

25/03/2021 "Dantedì", la liturgia della poesia nella chiesa di Porto Salvo con Mons. Letterio Gulletta. Sono intervenuti la professoressa Patrizia Danzé, il pianista David Carfì, Aldo Liparoti, Salvo Calandra, Manuel Dionigi, Luca Morgante, Federica Oliva e Francesco Pellegrino come voci recitanti.

Carmelo Casano e Daniela Carnazza al campo “Agenda 2030 – Laudato si’”, animatori: Gianfranco Provenza e Patrizia Fratini; ospiti: P. Francesco Compagnoni e Sergio Cametti.

Nino Bongiovanni al Campo “Adulti nella Chiesa”, animatori Marino Monachini e Margi Giusto.

Il Faro – Marzo 2021

Veglia per Pasqua telematica

29/03/2021 “La vita è un dono e un dono c’è se lo si dona”: questo il titolo della veglia guidata da don Guido, in strada come i discepoli di Emmaus. Potete rivederla sul canale YouTube MasciAdultiScout

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Interno del Santuario ricostruito – Anni ’30-‘40

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L’angolo della poesia di Patrizia Ciappina

Silenzi

23/03/2021 Il Faro – Marzo 2021

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DATE DA RICORDARE

Tutte le domeniche ore 9-13 attività in sede- Ore 11,00 S. Messa; Tutti i fine-settimana: Campi lavoro al parco di Montalto; 18 aprile 2021: Consiglio di Zona; 23 aprile 2021 ore 19,30: Cena a Casa accoglienza “Aurelio”; 23-25 aprile 2021: San Giorgio.

Dal Regionale: 9 aprile 2021 ore 21,00: 53° Consiglio Regionale telematico.

Dal Nazionale: 8 aprile 2021: Webinar Retinopera “Sulla rotta dei Balcani”; 19 aprile 2021 ore 21,00: MascIncontri “Presenza politica e Bene comune” con Ernesto Preziosi; 24 aprile 2021 ore 15-18: 2° parte del Campo I care on line; 24 aprile 2021 ore 18,30: Consiglio Nazionale telematico.

Dall’Internazionale: 17-22 Agosto 2021: XXIX World Conference I.S.G.F. in Spagna, Madrid.

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