SpazioTempo
Collana di Narrativa e Poesia/11
curata da Alessandro Lattarulo
Alessandro Lattarulo
ARCIPELAGHI
Edizione febbraio 2015 ISBN 978-88-8459-318-4 WIP Edizioni Srl Via Capaldi, 37/A - 70125 Bari tel. 080.5576003 - fax 080.5523055 www.wipedizioni.it - info@wipedizioni.it
In copertina: Arcipelaghi di uomini fotografia di Manlio Ranieri In quarta di copertina: Cantando poesie fotografia di Manlio Ranieri
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a mamma e papĂ
Indice Introduzione.......................................................11 Nota......................................................................21 Fumiganti vapori................................................23 Case ricoperte.....................................................24 Catrame oleoso...................................................25 Linguaggi urbani................................................26 Periferia di città ..................................................27 Non si può lenire l’umore.................................28 Demiurgo fallito.................................................29 Insonnie vagabonde...........................................30 Ruota la testa.......................................................32 Cerchiamo rovine...............................................33 The dream is gone..............................................34 Spargo nebbia.....................................................35 Accordi dissonanti.............................................36 Echi di rimorsi....................................................36 Angelo..................................................................37 Coagulazioni mentali........................................38 Scie di fango........................................................39 Nuvole di passaggio..........................................40 Traforata di luce..................................................41 Uccelli..................................................................42 Fanghiglia distratta............................................43 Notte stellata.......................................................44 Lucciole................................................................45 La prossima fermata..........................................46 Tappeti di occhi..................................................47
Osservo l’aria......................................................48 Paesaggi di cenere..............................................49 Spettri di parole..................................................50 Immobile al capolinea.......................................52 Cantami o Musa.................................................53 Compagni di coriandoli....................................54 Gli eventi.............................................................55 Ruvida violenza..................................................56 Call center............................................................57 Cortigiana vivace...............................................58 Stelle sui lampioni..............................................59 Dimenticate le stelle...........................................60 Lo aveva atteso...................................................62 Scrivere sui muri................................................64 Alla scoperta dell’amore nascosto...................65 Amori segreti......................................................66 Conobbi lo stordimento....................................67 In silenzio guardi...............................................68 Nei tuoi sguardi..................................................69 Ricorre l’alba.......................................................70 L’amore perduto.................................................71 L’amore è un caleidoscopio..............................72 La tua soave presenza........................................73 Scacchi con il mare.............................................74 Seme nella terra..................................................75
Introduzione Il Mare per eccellenza, l’archipélagos, la verità del Mare, […] si manifesterà […] là dove esso è il luogo della relazione, del dialogo, del confronto tra le molteplici isole che lo abitano: tutte dal Mare distinte e tutte dal mare intrecciate; tutte dal Mare nutrite e tutte dal Mare arrischiate. Massimo Cacciari, L’Arcipelago
1. La poesia è oggi bersaglio di una ostentata diffidenza, che affonda le proprie radici nel costume delle società occidentali, che stride fragorosamente con una tradizione millenaria che ha affidato al verso la fondazione della storia e delle tradizioni di interi popoli. Il poeta, per la natura ostinatamente volatile e per nulla avvezza alla massimizzazione produttivistica del proprio sforzo, assume non di rado i lineamenti dell’eccentrico, del folle, del diverso e finanche del misantropo. Di colui, insomma, che tende a rifugiare la propria mente altrove in attesa dell’ispirazione. E che, pertanto, osserva la società con malcelato fastidio, come se sia regolata da sciocchi affanni a lui estranei, percorsa da sentimenti consumati superficialmente, con attenzione quasi esclusiva alla compatibilità con il proprio budget, quasi 11
che ci si trovi in un supermercato. La misantropia, intesa come giudizio sul carattere distruttivo della norma sociale e della conformità agli usi correnti, ha ripetutamente preso possesso del pensiero politico, filosofico e ancora più diffusamente delle arti e del loro linguaggio. Molta della poesia moderna potrebbe essere definita “misantropia del linguaggio” (se è vero, come diceva Baudelaire, che c’è una certa gloria nel non essere capiti o che, come sostenuto da Montale, nessuno scriverebbe poesia se il problema fosse soltanto quello di comunicare). La misantropia sociale viene riassorbita, quanto meno in parte, nei momenti in cui la società e le sue impalcature vengono criticate da un vasto e articolato orientamento culturale. Oggi, nonostante una perdurante crisi economica, che sta rimodellando il tessuto connettivo e minando la coesione costruita con i sistemi di welfare del secondo dopoguerra, non si manifestano, se non sporadicamente, movimenti di contestazione organicamente impegnati a configurare alternative percorribili. Ma forse, anche qualora tali movimenti vi fossero, il poeta rimarrebbe parzialmente estraneo al riflusso normalizzatore. Se alla parola detenuta, pronunciata, brandita, agitata dai componenti del consorzio umano può essere affidato un compito meramente descrittivo, egli si sente investito di una missione costruttiva, che si dipana sul 12
limaccioso terreno dell’essere-parte di qualcosa e del simultaneo estraniamento da quel qualcosa. Compito costruttivo non in senso biecamente programmatico o declinato come impegno per la redazione dell’ennesimo manifesto che orienti forzosamente la propria creatività, bensì volto alla costruzione delle premesse di riappropriazione del potere delle parole, della loro capacità di evocare il complicato intreccio tra fatticità e trascendenza attraverso cui la parola si distanzia dall’oggetto e rimette in discussione la propria aderenza ad esso. Ciò è possibile non in un mondo fantastico autoprodotto dalle idee, bensì nella quotidiana convivenza con gli altri, che lascia emergere, persino nella inevitabile tragicità che li impregna, i rapporti di forza, le differenze di genere, di credo religiosi, politici e così via. O, quanto meno, quella insopprimibile tendenza alla differenziazione che attualmente sembra incagliarsi nelle secche dell’omologazione alle ferree regole del capitalismo tecno-nichilista, che ha colonizzato l’immaginario collettivo e, non trovando sbocchi politici e/o culturali alla naturale tendenza alla differenziazione, inaridisce il lessico collettivo e scava un vuoto antropologico talvolta riempito da accessi di violenza qualitativamente diversi da quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi secoli. Al poeta, che indulga nel verseggiare con fini esplicitamente civili o che ricerchi l’archetipi13
ca essenza dell’uomo attraverso l’esplorazione dell’anima, spetta configurare un mondo nuovo, anticipandone i cambiamenti. Tale azzardo, che investe emozioni e sentimenti, transita inevitabilmente per una ristrutturazione del linguaggio, il tratto distintivo dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi. Si tratta di un’operazione che ripudia l’idea dominante in base alla quale il mondo sia retto da leggi oggettive, indipendenti dall’essere umano, al quale viene assegnato uno statuto cognitivo impermeabile ad azioni consapevoli e intenzionali, che osino ipotizzare alternative alle leggi dominanti in campo economico, tecnico, informatico. Non si tratta di aderire all’illusione di una auspicata fuoriuscita dal cerchio del linguaggio in nome della possibilità di un accesso diretto alla vita biologica e alla formazione originaria delle sensazioni. Il linguaggio, come già ricordato, è infatti parte integrante della costruzione identitaria dell’individuo e delle comunità al cui interno lo stesso opera ricoprendo vari ruoli. Cionondimeno il poeta, nuotando nell’oceano privo di frontiere dell’odierna società liquida, ha la possibilità di ridimensionare quell’arcano del potere che inerisce al lessico, incuneandosi tra le pieghe di quest’ultimo e rimettendo in discussione il linguaggio dei vincitori, specialmente quando questo sia improntato alla riproduzione di odiose diseguaglianze. D’altronde, il consegnarsi al solo linguaggio 14
dei vincitori, come la storia non manca di ricordarci, equivale a facilitare la cancellazione del sapere dei vinti, della lingua dei soccombenti, che, pur avendo ceduto non soltanto per cause militari o economiche ma spesso anche perché sguarnita della medesima lucidità concettuale del discorso dei vincitori, sarebbe comunque stata un formidabile scrigno con il quale relazionarsi dialogicamente. Il poeta appare spesso claudicante, soffocato dal dubbio, attanagliato dalle incertezze. Proprio perché la sua rilevanza pubblica è stata ridimensionata, egli, sempre combattuto tra il rifugiarsi nella turris eburnea (anche se a tale scelta plaudirebbe Alessandro Piperno, sulla scia di Nabokov) dell’autocelebrazione sprezzante verso la sordità del mondo e il farsi spugna degli umori della società, necessita in ogni caso di tempo per filtrarne malesseri ed entusiasmi e costantemente presenta oscillazioni nella propria produzione che travalicano il fisiologico avvicendarsi delle stagioni della vita. Può dunque cantare l’assenza totale – di regole, valori, speranze – e sceneggiarla in maniera annichilente, melanconica, concludendo che nella fugacità di quanto lo circonda risuoni beffarda la dissoluzione dell’essenziale, il calore dei rapporti umani, di amore e di amicizia. In quanto architetto del linguaggio, scalpellino della parola, però, egli non può sottrarsi alla vocazione profetica. Può assecondarla con di15
verse gradazioni e sfumature, ma si candida, benché talvolta involontariamente, all’eccezionalità, all’espressione di una sensibilità extra ordinaria, mediante la quale inventa il futuro e nomina gli eventi possibili. Riappropriandosi della autenticità della parola (o per lo meno sforzandosi di farlo), illumina ciò che viene dalle viscere della vita, che appartiene a tutti ma che non tutti riescono a toccare con mano e a pronunciare con la bocca. La sua Musa non è aliena dall’enigma che interroga e gli ispira il racconto di una trasformazione permanente nella continuità del divenire umano, che, appunto perché scaturente dall’intreccio di trasparenza e opacità, non garantisce ireniche ricette di ecologia linguistica, ma nient’affatto raramente lo sottopone a un tramestio interiore prolungato, che beneficamente si alimenta anche di continua sperimentazione stilistica e di egologia linguistica. Questa, se non finisce per avvitarsi in un monologo senza pubblico, è sia la premessa indispensabile per mantenere alla parola un potenziale di mutamento, sia il primo passo – che necessita poi di incardinarsi in un percorso collettivo – di opposizione alla corruzione di alcune parole nella lingua viva, nella consapevolezza che la loro perdita di significato è palese indice del degrado di una civiltà, che riflette e non di rado aggrava il disagio della società postmoderna.
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2. La presente silloge, anche alla luce della tesi brevemente esposta, è stata concepita come un fluire privo di partizionamenti, di intervalli, benché sia evidente, osservando la disposizione delle poesie, lo sforzo di tessere una precaria trama tra i singoli componimenti. Tentativo alieno da pretese di successo, come dopotutto inevitabile in virtù del tenore dell’opera, raccolta di frammenti, di istantanee, di emozioni accavallatesi con abissali contraddizioni in questi ultimi anni. In fondo, circoscrivere i temi da parte dell’autore sarebbe una pretesa velatamente pedagogica e risibilmente ermeneutica, che toglierebbe al lettore l’indispensabile libertà di deglutire e metabolizzare con i propri strumenti e i propri ritmi gli input disseminati nelle liriche. La pagina, come ogni esercizio creativo, si colloca dietro uno specchio, che è un doppio asimmetrico della realtà, perché per mezzo degli occhi dell’Altro la riproduce e nel contempo la deforma. La distorsione creata dal riflesso rimanda alla presenza di un mondo ulteriore dietro lo specchio, istituisce una sottile e permeabile linea di confine tra simbolico e immaginario, laddove appunto si apposta il potenziale rivoluzionario della parola per rappresentare altrimenti il mondo, assecondando un mutamento di paradigma in termini qualitativi e non quantitativi, estetici e non esclusivamente o preminentemente proni al dogma dell’effi17
cienza cibernetica. L’arcipelago è, in un contesto siffatto, una possibile metafora della propria ed altrui irriducibile pluralità, della convivenza dei distinti, dove i singoli elementi (le isole) convivono in quanto inevitabilmente separati. Sono geologicamente simili, geograficamente un complesso, ma mescolano le caratteristiche comuni in proporzioni differenti, garantendosi un’autonomia che resta indifferente al tentativo di procedere a una classificazione in ordine di importanza o di dimensioni, perché le stesse quasi sempre non sono indice di alcuna primazia. Il poeta è parte degli articolati arcipelaghi disseminati sul pianeta. È isola, soggetto al fenomeno dell’insularità/isolamento e all’infelicità, alla depressione che ne consegue, ma è al contempo membro vitale di un qualcosa che ne trascende l’essenzialità autistica e istituisce ponti relazionali. Dalla sua parola, quanto nascosto sui fondali del mare uterino da cui tutti veniamo può emergere e proliferare quasi per gemmazione, sdoppiamento, crescita rizomatica, aprendo le porte a una realtà differente, che liberi uno Zeitgeist disancorato dalle ossessioni contemporanee (per esempio dal peccato della fretta imputato ai contemporanei da Aldous Huxley). Ritorna dunque in gioco la parola poetica non come pretesa di sterilizzare il mal di vivere o, a livello macrosistemico, smarcare i suoi megafo18
ni dalle versioni preconfezionate della sintassi ufficiale, ma come strumento insostituibile per battere un sentiero alternativo a quello lungo il quale si incontrano pratiche di conciliazione interiore pienamente integrate nei meccanismi dell’industria culturale. La parola poetica, anche quando scaturisca da un malessere “isolano”, da una flebile fiducia nella capacità degli uomini di convivere pacificamente, non rappresenta un mondo già esistente e compiuto, ma ne configura uno venturo. Può riuscire nel proprio intento facendo leva sull’inappagato desiderio dell’uomo di comunicare con i propri simili. Nelle giuste dosi è il pharmakon per arrestare la deriva del logos in tecno-logos, il decadimento della ragione (del pensiero che pensa) da regola aurea dell’azione a ossessione verso il procedimento più economico per ottenere sempre e comunque, a partire dai mezzi disponibili, i risultati previsti. Incarna la speranza di tornare ad evocare invece che accontentarsi di denotare, di non cedere alla tentazione di addomesticamento simbolico dei nomi, che ne esautora la magia e, lasciando morire le parole, la loro fertile ambiguità, trascina con sé anche le relazioni umane, che di parole si nutrono.
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FUMIGANTI VAPORI Fumiganti vapori nel sonno lieve come una piuma rallentano intermittenze di grovigli emotivi in serrato colloquio con i recessi dell’anima. Immobile è il tempo, come granito porporino marcio di pioggia che indulgente trasforma la fuliggine in accenni rubati tra spigoli e sveglie. Nella dimora senza profilo dove l’aria esule torna necessaria mastico attimi porosi per sfiorare le domande appuntate prima di tuffarmi nell’acquario del giorno.
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CASE RICOPERTE Case ricoperte di vita libera, forse abbandonata, che svanisce sotterranea quando si scava fra ricordi felpati. Capriole e poi tramonti di follia su ordinazione, inserendo gettoni in cambio di atletiche pretese affannate. Quel che non diciamo traballa nei gesti mormorati nell’aria di pace che il vento ulula tra i comignoli fumanti.
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CATRAME OLEOSO Non è rimasto che catrame oleoso dove intingere i passi marinari. C’era un paesino attraccato agli scogli e pesci liberi tra i rintocchi di ore senza tempo. Adesso la vita si aggrappa ai contrafforti di pietre calcinate e annaspa tra bolle putrescenti, materasso di un presente con le ali sigillate.
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Pubblicati nella collana
SpazioTempo
1/Alessandro Lattarulo Senza 2/Giovannangelo Salvemini Bisbigli nella notte 3/Giusy Porzio Simulacra. Nuovi cosmi dell’anima 4/AA. VV. Librando l’anima 5/AA. VV. Tra sogno e realtà 6/Renato Nicassio Un moderato delirio. Sopravvivere a Bari 7/AA. VV. Violini infuocati 8/AA. VV. Passionali eccezioni 9/Lucia Sallustio Inter-city
10/Eduardo Kovalivker Ricordi e dissensi 11/Alessandro Lattarulo Arcipelaghi