Librando l'anima

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WIP Edizioni

ISBN 978-88-8459-250-7

Gaetano Cuffari Alessandro D’Angelo Palma Di Bello Stefano Gherbi Giuseppe Guidolin Dora Luiso Gianni Antonio Palumbo Giovannangelo Salvemini

Librando l’anima Librando l’anima

€ 10,00

AA. VV.

La parola, d’altronde, come verseggia Giuseppe Guidolin (Inner) è spesso “scia di labirinti”. E l’inquietudine che essa veicola ci àncora alla terra/sentiero (Come sfoglie), lasciando lo sguardo smarrito scolpirsi “su stanze inanimate” di un “quartiere d’inverno” che antepone inevitabilmente l’intimità alla condivisione, senza però arroccarsi in tentazioni solipsistiche (Ciglio d’inverno). La freccia del tempo preoccupa e genera malessere che non trasforma mai il kronos in kairós, ma piuttosto incede segreta come l’ombra di ciascuno di noi, svanendo “nel sonno sotterraneo / di notti vegliate / a distanze lontane” (Ombra, di Dora Luiso). Tempus fugit, sembra suggerire Gianni Antonio Palumbo, che nei colti richiami classicheggianti della sua poetica lamenta il rischio del divorzio (irreversibile?) dall’amore arcadico, non appesantito dall’ipoteca di un bieco moralismo (Desaparecida Arcadia). Come nell’alternarsi di luce e ombra, anche il presente sembra efficacemente rappresentato nel Congedo dell’Autore nel poemetto L’asfalto e la grazia, laddove la notte scende “col suo argento di stracci”. Senza necessariamente evocare le tenebre dell’anima, perché, come ricorda con il salutare entusiasmo della propria età Giovannangelo Salvemini, la notte è anche compensazione alla frenesia del giorno e può suggerirci come giocare persino con le stelle (Ho cercato per gioco). Dopotutto, l’aspetto ludico è il più portentoso elemento di trasformazione della datità. Alessandro Lattarulo

Arduo ma affascinante il tentativo di rintracciare un minimo comune denominatore nella produzione di poeti altamente differenziati sotto il profilo di genere, anagrafico, territoriale. Eppure l’operazione può riuscire perché nessuno è straniero alla propria epoca, sebbene i tratti omologanti che questa porta in dote siano, soprattutto per un poeta, una gabbia asfissiante da scardinare. D’Angelo rivolge il proprio sguardo al Cielo (Inno all’Alto), rintracciando tra Luna e pianeti del sistema solare la geometria del vivere, onde riportare su un piano essoterico ciò che negli ultimi secoli è diventato sapere esoterico. Gaetano Cuffari ripropone con costanza lo stupore della scoperta di tutto quel che lega i “vapori di parvenze / e paradisi” (moto ascensionale) che fanno lievitare “incanti” (dimensione contemplativa dell’esistenza), sia pure prendendo atto che essi perdono la propria aura magnetica e diventano “irrisolvibili dentro circuiti / di bocche senza posa” (ritorno sulla terra) (17 Giugno 2012). Dinanzi alla refrattarietà di una società incupita a rimodulare la scala valoriale, l’amore, con un succulento condimento passionale, delimita confini mobili, tra i quali si incuneano i versi di Palma Di Bello (Come tu mi vuoi), fondendo complicità e desiderio senza trasalimenti edonistici. Dietro l’amore totalizzante e alla passione come suo lubrificante, vi è infatti la realistica presa d’atto che, oggi più di ieri, cresce il bisogno di un disegno attraverso cui decodificare l’intorno senza rassegnazione. Di notte (Prospettiva) o di pomeriggio, vicini o lontani da quel mare, oniricamente idealizzato o respirato a pieni polmoni, sul quale comunque ri-alzarsi come aquila (Il grido). Il battito d’ali è probabilmente la metafora di libertà più castrante per l’essere umano, che non di rado sembra voler barattare il logos che ne determina l’illusoria supremazia sulle creature terrestri con la capacità di volare degli uccelli (Ali, di Stefano Gherbi).


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