1a edizione: febbraio 2012 ISBN 978-88-8459-211-8 Annotazioni musicali e iIlustrazione di copertina a cura di Giovanni Sette ©
Un sentito ringraziamento va a Pietro Sette per la preziosa collaborazione nella revisione del testo
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LA PARTENZA DEL GABBIANO
Maestre d’asilo, carabinieri in divisa, pensionati. Maestre di scuola elementare, carabinieri in borghese, poliziotti in divisa. Professori di scuola media superiore, poliziotti in borghese, professoresse di scuola media inferiore, applicate, impiegati nei ministeri, professori di scuola media inferiore. Finanzieri in divisa, finanzieri in borghese; pensionate, applicati, uscieri, bidelli, segretari e segretarie, maestri di scuola elementare, impiegate nei ministeri, bidelle, professoresse di scuola media superiore… Quasi tutti i livelli e tutti i gradi e tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici e tutto il personale in quiescenza di tutte le mansioni della Repubblica Italiana erano ammassati, vocianti e impazienti, in un vasto intrico. Ad Erasmo pareva che mancassero pezzi grossi come generali, docenti universitari o alti burocrati e funzionari: “Possono venire quando gli pare” pensava. Due carabinieri, la mitraglietta a tracolla, l’indice della mano destra al grilletto e il palmo della sinistra sopra la canna piegata verso il basso, ritti ai lati dell’ingresso sopra l’ultimo gradone, gli occhi fissi nel nulla, sembravano ignorare la presenza della gente scomposta che ferveva ai loro piedi. Erasmo si trovava al centro, premuto alle spalle e ai fianchi da una folla disarticolata che di fronte prendeva la forma di geometriche terrazze umane. Il dorso di un uomo altissimo gli schiacciava il naso, spingendogli la testa entro il solco di due grossi seni d’una prosperosa signora alle sue spalle. A sinistra, un ometto con lenti multistrato, gli omeri sollevati dalla stretta della folla, pareva sorridergli torcendo microscopiche 11
pupille, mentre il suo elegante cappello di feltro assumeva sempre più l’aspetto di un copricapo da bovaro texano. A destra, una donna anziana stringeva in una mano il manico di un ombrello che gli aveva conficcato dentro le costole per mantenere le distanze, pur costatando che non poteva evitare di premergli il fianco con la sua grassa anca. Poco più avanti due individui, quasi la stessa altezza, stretti nella morsa, immobili come statue, erano costretti a guardarsi negli occhi senza vedersi, naso contro naso, respirando l’uno il fiato dell’altro, mentre le tese dei loro cappelli socializzavano spingendosi vicendevolmente verso l’alto. Sopra le teste della folla aleggiava una bruma densa di respiri vaporosi in un cocktail olezzante di profumi, dopobarba e deodoranti d’ogni gusto e marca. Il brusio iniziale, con il passare del tempo e l’avvicinarsi del momento dell’apertura, andava sempre più trasformandosi in un vociare chiassoso e impaziente. «Orario!» gridò dentro la folla uno stentore sconosciuto. Vi fu di colpo un silenzio inaspettato, e subito dopo i grossi battenti del monumentale portone cominciarono a spalancarsi. La folla ondeggiò, quindi cominciò a spingere con tale veemenza che Erasmo si sentì quasi sollevato e portato in avanti senza muovere le gambe. I carabinieri si allontanarono dagli stipiti di marmo lucente, e il portone ormai completamente aperto assunse l’aspetto di un antro che succhiava gli statali come la bocca di un mostro gigantesco. Erasmo iniziò a spingere come gli altri, ma se ne vergognò e immediatamente rallentò il passo. In breve fu superato da tutti coloro che erano alle sue spalle. Mentre saliva timido le scale, fissò la grossa scritta dorata al di sopra del portale: BANCA D’ITALIA. 12
«La Banca d’Italia!» esclamò in un impercettibile sussurro e, prima di entrare, si sentì toccare dagli sguardi dei due militi. Varcato il portale, fu intimidito dalle colonne e dalle arcate monumentali in marmo lucido, dai fregi dorati e dagli immensi maestosi corridoi che gli parvero navate di una cattedrale. Non uso a riscuotere stipendi, attese dietro una fila e si presentò davanti all’impiegato consegnandogli un biglietto sul quale era scritto il numero del suo mandato. Dopo avergli chiesto il nome, il bancario gli fece notare, sollevando l’indice verso l’alto dello sportello, che l’iniziale del suo cognome non era compresa tra le due lettere dell’alfabeto che vi capeggiavano. Erasmo capì il meccanismo e, passando in rassegna tutte le finestre dietro le quali frusciavano fiumi di banconote, trovò la sua. E fu l’ultimo della nuova coda. Rimasto pressoché solo, gli furono richiesti numero di mandato e documento di riconoscimento che egli posò nella fessura bassa e stretta dell’arco di cristallo. Quindi l’impiegato consultò un registro sul quale, aiutandosi con la punta di una biro, incominciò a scorrere i nominativi posti in ordine alfabetico. Tornò più volte su pagine già esaminate e, dopo numerose ricerche, Erasmo, trepidante e timoroso, si sentì dire che non era in elenco. Gli si sciolse l’anima dentro lo stomaco e impallidito si avviò verso l’uscita. «Signore! - lo rincorse la voce dell’impiegato - Ma lei è di ruolo o è supplente?» «Supplente» rispose volgendo solo il capo verso lo sportello. «Venga, venga: guardiamo nell’elenco dei supplenti» lo incoraggiò. «Alfo… Attanasio… Bal… Balza… Corsa… Clemente… Cen… Calcaterra… Can… Can… Canta… mura. Cantamura Erasmo: eccolo qua! - e prelevato un libro assai spesso di banconote strette 13
tra loro da un elastico - Poteva dirmi subito che lei è supplente!» esclamò. Sfilò l’elastico, sfogliò velocemente un numero di banconote che pose davanti a sé e conservò il grosso che restava dentro un cassetto. Riprese quelle giacenti sul ripiano e questa volta, molto lentamente, le contò una per una, facendole schioccare tra le dita, mentre Erasmo riprendeva colore e sentiva ricomporsi l’anima e lo stomaco. «Dieci, venti, trenta… - cominciò l’impiegato, mentre il cuore del ragazzo accelerava i battiti e gli bussava al petto - … novanta, cento… centotrenta, centoquaranta, centocinquanta, centocinquantamila, centocinquantacinquemila - e dopo aver raccolto alcune monete da una cassetta, sbirciando il totale sul tabulato - trecento e sessantacinque lire» concluse l’impiegato che spinse verso di lui l’intero ammontare con la punta delle dita. Erasmo estrasse il portafoglio dopo aver lasciato cadere gli spiccioli dentro una tasca dei pantaloni e, le mani tremanti, stentò nell’introdurvi il suo primo stipendio, mentre un signore, il mento quasi poggiato sopra un suo omero, controllava quella somma che sembrava eccessiva per un giovane poco più che ventenne. In effetti, il ragazzo aveva percepito una mensilità e mezzo, non essendogli stata precedentemente corrisposta la somma relativa ai primi quindici giorni di supplenza. La mano destra premuta sulla parte sinistra del cappotto, là dove aveva infilato il portafoglio, si avviò quasi intontito verso l’uscita e distrattamente sfiorò la canna della mitraglietta d’uno dei carabinieri. Chiese scusa e s’arrestò poco oltre il portale della banca, scrutando guardingo i due lati del viale sotto di lui. Quindi si avviò verso la Cinquecento parcheggiata in una strada vicina, aprì con la sinistra la portiera, si sedette, abbassò la sicura e, finalmente, poté sollevare la destra che proteggeva il portafoglio. 14
Mise in moto, imboccò la strada del lungomare, distese i muscoli contratti del volto che gli avevano conferito un aspetto eccessivamente serio e, urlando a squarciagola, si sciolse in un canto chiassoso assai gioioso che inneggiava alle centocinquantacinquemilatrecentosessantacinquelire, le cui sillabe, con grande fatica e scarsa musicalità, furono associate alle note dell’aria più famosa del Barbiere di Siviglia. Raggiunse una spiaggia isolata e vi sostò. Quel giorno, Erasmo aveva raccolto il primo frutto di un traguardo per lui altissimo, maturato attraverso sacrifici che avevano arricchito la sua anima, pur rigata dalle cicatrici delle ferite inferte dal vomere della vita. Guardò il sole, ne fu piacevolmente accecato, gli sorrise e gli disse grazie. Poi si voltò a osservare il mare, e i suoi pensieri si persero dietro il volo solenne di un gabbiano che si recava in Albania.
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