Violini infuocati

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WIP Edizioni

ISBN 978-88-8459-274-3

Enrico Andreini Carlo Antonio Bertolo Mariella Binetti Agata Comandè Alessandro Grimaldi Ida Paola Notarnicola Anita Nuzzi Francesco Tanzi

Violini Infuocati Violini Infuocati

€ 10,00

AA. VV.

che si impasta, senza consentire ad alcuno di tirarsi fuori dal pantano, con il tratto antropologicamente socievole e altruistico dell’essere umano. Ancora una volta, cioè, gli autori della raccolta riescono a partorire una creatura antropomorfa, alla cui nascita ciascuno ha contribuito con una peculiare visione del mondo, tessera di un più ampio mosaico che assume significato soltanto accostandone le singole componenti. Mosaico nel quale, come suggerito dal titolo, il violino come sussidio espressivo porta in dote una fertile ambiguità, che si estrinseca nel proprio essere strumento quasi divino o nella rappresentazione metaforica di una sua parte, fatta propria dalla saggezza popolare, di un irrisolto rapporto con se stessi e l’ambiente circostante (“sei teso come una corda di violino!”). E il fuoco, in questa prospettiva, senza essere come in Eraclito l’elemento dal quale tutto trae origine e a cui tutto ciclicamente ritorna, né tanto meno venire indicato quale strumento di purificazione dal peccato, come nelle sadiche pratiche dell’Inquisizione, riveste piuttosto il ruolo di forza in nuce sia creatrice che distruttiva. È questa dialettica irrisolta tra critica del presente e gioia/stupore di vivere che traspare, con cromatismi unici, nelle poesie rabbiosamente giovanili della Notarnicola e in quelle ireniche di Grimaldi, nella polisemia d’amore di Bertolo e negli interrogativi della Binetti, nella tensione dell’anima della Nuzzi e nella dolcezza dissacrante di Tanzi, nella notte pregna di ricordi di Andreini e nei grumi dell’anima della Comandè. Alessandro Lattarulo

L’assurdità dello sforzo poetico, la sua erasmiana “follia”, risiede nella volontà di affrancarsi dal linguaggio della comunicazione e cionondimeno comunicare qualcosa. In ogni lirica può rintracciarsi, quale elemento imprescindibile del proprio caratterizzarsi come tale, il dissidio tra la necessità di impiegare parole e la tendenza a risolvere l’elemento semantico, tendenzialmente riflessivo, razionale, nell’assoluta liricità, oppure, addirittura, a trascenderlo. Il verso, quindi, finisce con il configurarsi alla stregua di una pratica esoterica con velleità essoteriche, nel senso che il problema, come ben teorizzò Eugenio Montale, non risiede banalmente nel farsi capire. Se questo fosse l’obiettivo esclusivo, basterebbe adoperare una modalità espressiva più diretta. La poesia, invece, punta a far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano. In ciò può cogliersi una marcata aderenza con la musica, benché quest’ultima, in quanto arte che adopera materiale asemantico, è spesso stata maggiormente in grado di presentarsi come sostrato di composizioni dal carattere oggettivo, meglio resistenti al tempo di quanto non accada per le liriche, in cui l’oggettivazione verbale sconta un dazio di natura storica, che lascia affiorare l’elemento soggettivo. Il parallelismo tra parola poetica e musica, tuttavia, non solamente è lungi dall’essere inedito, ma vede oggi le distanze tra le due arti tornare a ridursi. Accorciarsi perché la rutilante consunzione del presente e dei suoi codici espressivi, favorita non secondariamente da una Tecnica liberatasi dall’imprinting del proprio creatore, l’Uomo, da essa soggiogato, demolisce quotidianamente stili, convenzioni e usi. Da un lato vagheggiando infinite capacità di creazione originale, anzi originaria, dall’altro sovraccaricando la memoria fino al punto da renderla superflua, dando vita a una società schiacciata sulla presentificazione estrema delle esperienze dei suoi membri. Anche in questi aspetti vi è il malessere rinvenibile in alcune composizioni,


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