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di Bruno Petronilli Here we are at the second issue of James, although this could perhaps be seen as the first real issue. In fact, while reviewing the numerous articles contained in this new release, I realised that James has taken on a real, complete, definitive, and cathartic aspect. There’s a common thread found within each article. A real journey, like those described in these pages, which we experienced in Sri Lanka, Chile, Denmark, or among the Austrian or Tyrolean mountains. Or perhaps a journey of beauty, thanks to the wonderful pages of a work of art, or the perfection of a great wine, or an extraordinary piece of mechanical jewellery. We always come back to that one word that we love so much, and probably even abuse sometimes: beauty. But we haven’t been able to come up with an alternative to this sublime term, whose six letters encompass an entire universe of sensations, lifestyles, truths, projects, joys, and, sometimes, illusions. I debated with myself (I know, it may seem somewhat suspect, but I assure you that this activity is extraordinarily effective for understanding whether you can get along with the people around you as well...) about the things that I hate the most in this world. I drew up a long list of images, circumstances, situations, attitudes, all of which were quite different, but had a single factor in common: violence. Physical violence of course, especially if perpetrated on the weaker members of society, or on those who are unable to defend themselves; but what I hate even more is intellectual violence, which often manifests itself with the common presumption of always being right, and wanting to impose one’s reasoning on others. Without a single doubt... ever. And there are so many other forms of violence as well, all of which are deplorable, typical of scumbags and disgusting types of characters: the irreverent, the self-absorbed, the disrespectful, those who don’t greet people on the street, who don’t stop to help others in need, who don’t smile at children, and who only think of their own personal gain, oblivious to the fact that what they so adamantly seek to obtain is merely part of a greater common good known as the “world”. I often find myself stopping to pick up litter on the street and placing it in the appropriate waste bins. But I don’t often see others doing the same. Maybe because “it’s not their litter”. And they might even look at you with contempt. And that’s another form of violence, one that’s even more devious and piercing, and threatens to ruin everyone’s lives. Why should I feel uncomfortable doing something that makes me feeling good, and perhaps could even serve as a good example for children, who will gradually come to understand that the world in which they live belongs to both them and me. It belongs to all of us. The common good, and the exaltation of this concept, is beauty. The non desire to live in harmony with it, is violence. Simple as that. Here at James, we’ll continue to do so. Always. We’ll play music, rather than scream. We’ll paint the walls, rather than smearing them disgracefully. We’ll read books to our children, rather than sticking a smartphone in their hands. Of course we’re not saints, and we often fail to do these things. But we still believe in them, and belief (along with hope) is the most important quality that we have. JAMESMAGAZINE.IT
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Eccoci al secondo numero di James, anche se forse è proprio questo il primo vero numero. Rileggendo i tanti articoli di questa nuova uscita, infatti, mi sono reso conto che James ha assunto il suo aspetto reale, completo, definitivo, catartico. C’è un filo conduttore in ogni articolo, il viaggio. Un viaggio reale, come quelli raccontati in queste pagine che abbiamo vissuto in Sri Lanka, in Cile, in Danimarca oppure tra le montagne austriache o tirolesi. Oppure un viaggio della bellezza, grazie alle pagine preziose di un’opera d’arte, oppure della perfezione di un grande vino o di uno straordinario gioiello meccanico. Ritorna sempre quella parola che tanto amiamo e di cui probabilmente a volte abusiamo, la bellezza. Ma non siamo riusciti a trovare un’alternativa ad un termine così sublime, che in otto lettere racchiude un universo di sensazioni, stili di vita, verità, progetti, gioie, o a volte illusioni. Discutevo con me stesso (lo so, è un’azione che può incutere qualche sospetto, ma vi assicuro che è una pratica di straordinaria efficacia per capire se puoi andare d’accordo anche con chiunque ti circondi…) sulle cose che, in assoluto, odio di più al mondo. Ho stilato un lunghissimo elenco fatto di immagini, circostanze, situazioni, atteggiamenti molti differenti ma tutti riconducibili ad un fattore comune, la violenza. La violenza fisica ovviamente, specie se perpetrata sui più deboli o su coloro che non sono capaci di difendersi; ma odio ancora di più la violenza intellettuale, che si concretizza spesso con la pretesa comune ad essere sempre convinti di aver ragione e di volerlo imporre agli altri. Mai un dubbio, mai. Poi ci sono tante altre forme di violenza, tutte deprecabili, tipiche di personaggi reietti e disgustosi: gli irriverenti, i menefreghisti, tutti coloro che sono sgarbati, che non salutano per strada, che non si fermano se qualcuno è in difficoltà, che non sorridono a un bambino, che pensano solo al proprio tornaconto non sapendo che quello che tanto difendono è solo parte di un beneficio comune più grande che si chiama “mondo”. Mi capita spesso di fermarmi a raccogliere una cartaccia per strada e di depositarla negli appositi secchi della spazzatura. Ma non mi capita con altrettanta frequenza di vedere persone che fanno lo stesso. Forse perché non è “la loro cartaccia”. E magari ti guardano con commiserazione. Ed ecco un’altra forma di violenza, quella più subdola, più penetrante, che rischia di rovinare la vita di ognuno. Perché mi dovrei sentire a disagio nel compiere un’aziona che mi fa star bene, e magari può essere un esempio per un bambino, che piano piano capirà che il mondo in cui vive è di tutti, suo e mio. Il bene comune, l’esaltazione di questo concetto, è bellezza. Non condividere la volontà di vivere in armonia con essa, è violenza. Semplice. Noi di James continueremo a farlo. Sempre. Suoneremo musica invece di urlare. Dipingeremo i muri invece di imbrattarli ignobilmente. Leggeremo un libro ai nostri figli, invece di impalarli davanti ad uno smartphone. Certo, non siamo Santi, e spesso non ci riusciamo, Ma ci crediamo, e crederci è il sentimento (e la speranza) più importante che abbiamo.
N. 02 . A. II . 02.2019 Supplemento trimestrale a: Quarterly supplement to: jamesmagazine.it febbario 2019 / february 2019
Direttore Responsabile Editor In Chief Bruno Petronilli direttore@jamesmagazine.it
Testata registrata presso il Tribunale di Perugia n. 6 del 12/05/2017
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Hanno collaborato Contributors Giovanni Angelucci Luca Bonacini Pietro Carlo Ferrario Andrea Gori Manlio Giustiniani Sofia Landoni Valentina Macciotta Carlo Mandelli Bruno Petronilli Gualtiero Spotti Giordana Talamona
giordana talamona
giovanni angelucci
pietro carlo ferrario luca bonacini carlo mandelli
bruno petronilli manlio giustiniani
valentina macciotta
gualtiero spotti
andrea gori
sofia landoni
hanno collaborato contributors
Valentina Macciotta
Destinazione Cile, la terra degli estremi
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Il Rolex di James Bond
Il segreto di Seefeld
Pier Carlo Ferrario
Bruno Petronilli
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Dom Pérignon 2008, la perfezione
La “Rosa Alpina” più bella
Manlio Giustiniani
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Giovanni Angelucci e Gualtiero Spotti
Copenaghen, la capitale gourmet del nord
Bruno Petronilli
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Bruno Petronilli
Tratterhof, il benessere assoluto
28
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Tutto il gusto di Lisbona
Grand Hotel Fasano, ai vertici dell’ospitalità
Gualtiero Spotti
32
Giordana Talamona
Una giornata in Valtellina
36
Luca Bonacini
La “Strada della Felicità” tra Slovenia e Croazia
Luca Bonacini
56
Bruno Petronilli
Una gemma preziosa chiamata Sri Lanka
72
Sofia Landoni
Divina Sicilia
78
Bruno Petronilli
Marroneto, “Il” Brunello
84
Giordana Talamona
Mixology & Grappa 2.0
90
Carlo Mandelli
Come Steve McQueen per domare le Mustang
94
Carlo Mandelli
Harley Davidson Iron 1200 Special, tra rock e libertà
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Bruno Petronilli
Crepax Limited Edition by Skira Editore JAMESMAGAZINE.IT
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di Pietro Carlo Ferrario
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JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
the Rolex of James Bond
Nel 1927 Mercedes Gleitze, nell’attraversare il canale della Manica, portava al collo un Rolex Oyster Perpetual d’oro, un mese prima che quest’ultimo venisse lanciato sul mercato inglese. Un giornalista del Times lo notò e così nacque la leggenda, superando le più rosee aspettative di Hans Wilsdorf, fondatore della casa di orologi, che aveva intuito i vantaggi della sponsorizzazione dell’evento. Una ventina d’anni dopo, durante la seconda guerra mondiale, grazie ad uno speciale servizio organizzato dallo stesso Wilsdorf, i prigionieri inglesi potevano ordinare, per corrispondenza e direttamente dal campo di prigionia, un Rolex Oyster, solitamente uno Speedking; così il Caporale Clive Nutting, uno degli organizzatori della “grande fuga”, ordinò un costoso cronografo 3525 e, sebbene non fosse un ufficiale, gli vennero concesse le stesse condizioni di consegna sulla base della sola fiducia e pagamento successivo. Si dice che l’orologio sia servito per cronometrare i movimenti delle guardie, favorendo i tentativi di evasione. Nel’53, in occasione dell’ascesa all’Everest, gli alpinisti Tenzing Norgay ed Edmund Hillary indossavano un Rolex Oyster, che funzionò perfettamente anche a 8844 m d’altezza. Nel 1960, poi, Jacques Piccard indossava una versione speciale del Sea Dweller durante l’immersione alla Fossa delle Marianne, il punto più profondo del mondo, raggiungendo i 10.916 m. Tante imprese che hanno reso celebre questo modello.
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In 1927, a month before it was launched on the British market, Mercedes Gleitze crossed the English Channel wearing a gold Rolex Oyster Perpetual around her neck. When a reporter from the Times took note of this, the legend was born... even surpassing the most optimistic expectations of Hans Wilsdorf, the watch company’s founder, who had anticipated the advantages of sponsoring the event. Some twenty years later, during the Second World War, thanks to a special service organised by Wilsdorf himself, the English prisoners could order a Rolex Oyster (usually a Speedking model), directly from the prison camp by mail; Corporal Clive Nutting, one of the organisers of “The Great Escape”, thus ordered an expensive 3525 model chronograph and, although not an officer, was granted the same delivery and subsequent payment conditions based on trust alone. Legend has it that the watch served to time the guards’ movements, thereby facilitating the escape attempts. In 1953, Mountaineers Tenzing Norgay and Edmund Hillary wore Rolex Oyster models during their ascent of Mount Everest, and the timepieces worked perfectly even at an altitude of 8844 m. In 1960, Jacques Piccard wore a special version of the Sea Dweller model on his journey to the bottom of the Mariana Trench, which, at 10,916 m, is the deepest point of all the world’s oceans. This model has been rendered famous by numerous undertakings.
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Anche se il più grande riconoscimento viene dalla fiction: Ian Fleming, che acquisterà un Explorer I Ref. 1016 solo tra l’autunno del 1961 e la primavera del ’62, fece indossare alla propria creatura letteraria un Oyster Perpetual d’acciaio già nel 1954, in “Vivi e lascia morire”, proprio per l’eccezionale resistenza all’acqua: Bond si trova immerso in tenuta da sub tra i barracuda in una baia giamaicana per collocare una mina alla ruota di prora del Secatur, vascello del terribile Mister Big: “Controllò il Rolex che aveva al polso: le undici e tre minuti. Estrasse una manciata di micce da una tasca laterale con la chiusura lampo, scelse quella da sette ore e la inserì nella mina. Le altre le seppellì nella sabbia. Se lo avessero catturato, non voleva che gliele trovassero addosso”. La menzione al marchio compare solo due volte in dodici romanzi e nove racconti brevi e proprio per questo rimane fortemente impresso nel lettore goloso di dettagli ottenibili nella realtà. Si aggiunga che, nella seconda apparizione letteraria, in “Al Servizio Segreto di Sua Maestà”, la robustezza dell’orologio, con braccialetto d’acciaio elastico, diviene strumento per la sopravvivenza di 007, che lo usa come tirapugni contro un facinoroso della Spectre e fuggire con gli sci sulle Alpi svizzere. I film non faranno che amplificare esponenzialmente la desiderabilità del grande pubblico per il segnatempo e ciò a partire dal colpo d’occhio, incorniciato dal sopracciglio alzato di un giovane Sean Connery, al quadrante scuro del Subamariner Ref. 6538 nel bel mezzo di un bacio appassionato in Licenza di Uccidere del 1962: trattasi, a seconda delle teorie, dell’orologio personale del regista Terence Young, di uno dei produttori Albert “Cubby” Broccoli o di un ex diver Royal Navy membro della troupe. Il connubio permarrà per 8 film. In Goldfinger del ’64 Bond emerge da acque scure messicane, colloca una bomba al plastico in un silos zeppo di oppio, si sfila una muta che cela un candido smoking con garofano rosso e, appena prima di recarsi a un appuntamento galante, consulta il quadrante dello stesso orologio già apparso in Licenza di Uccidere - Dr No e in Dalla Russia con amore, ma con una novità: il cinturino, non più di pelle scura, è un NATO Regimental color rosso, nero e verde, lo stesso che ricomparirà nel successivo Thunderball-Operazione Tuono del 1965. Quel cinturino viene considerato un elemento fondamentale nell’iconografia bondiana al punto che, dopo oltre cinquant’anni, Omega ha realizzato per Spectre del 2015 il Seamaster 300 Ref. 233.32.31.41.21.01.001 su cinturino NATO nei colori che, per anni, gli appassionati (dotati solo del VHS e non dell’attuale definizione digitale) ritenevano essere i colori del cinturino di Connery nei due film citati: grigio e nero. In Vivi e lascia morire, Q fa recapitare a Roger Moore un Submariner Ref. 5513 con cinturino d’acciaio, il primo orologio gadget di 007 (se si esclude il Breitling Top Time Ref. 2002 con contatore Geiger di Thunderball) in grado di generare un campo magnetico tale da deviare i proiettili e slacciare la lampo degli abiti di una agente italiana ma, soprattutto, munito di una ghiera rotante ad alta velocità funzionante come sega circolare per evitare squali e saltare sulle schiene dei coccodrilli. Nato da un progetto dallo scenografo Syd Cain, subì il taglio dei bordi della ghiera in modo che avesse dei denti affilati. Questa veniva attivata soffiando aria compressa, che la faceva sollevare e ruotare. Nel 2011 il pezzo, munito di un progetto originale, venne battuto all’asta per 242.655 dollari. Il modello riapparirà nel successivo L’uomo dalla pistola d’oro ma era già stato indossato da Bond anche al proprio matrimonio in Al servizio segreto di Sua Maestà del’69 (qualcuno JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
inorridirà all’idea di accostare un orologio da subacqueo al mezzo tight, al tight o allo smoking ma a Bond, quando non ha a disposizione il Gruen Precision 510 d’oro dei primi film, capita spesso…); in quest’ultimo caso trattasi del modello personale di George Lazemby che il misconosciuto fotomodello australiano si era acquistato appena prima dei provini per assomigliare a Connery, aggiudicandosi la parte. Da ultimo in Vendetta privata del 1989, appesi al chiodo Pulsar, Seiko e Tag Heuer dei precedenti film, Timothy Dalton, nel mare delle Bahamas, strappa ad un sicario uomo-rana un fucile da sub, colpisce il galleggiante di un idrovolante carico di dollari, fa sci nautico mostrando un Submariner Ref. 16610 con datario e prende il volo. Proprio il 30 ottobre 2018 è stato battuto all’asta di Fellows a Birmingham un Submariner Ref. 5513 alla base d’asta di 90.000 sterline per il solo fatto di essere stato utilizzato da una controfigura di Dalton durante le riprese di quel film.
Non solo Subamariner per l’agente britannico: in Servizio segreto di Sua Maestà 007, sotto le mentite spoglie di Hilary Bray, porta un Rolex Ref. 6238 cd pre-Daytona; nelle foto pubblicitarie di La spia che mi amava (1977) Moore in uniforme da comandante della Marina ha un GMT-Master; lo stesso che era apparso al polso sia, con monitor incorporato, di Peter Seller nella versione demenziale di Casinò Royale, sia, con Ref. 6542, di Honor Blackman-Pussy Galore mentre il jet privato di Goldfinger sta precipitando.
Majesty’s Secret Service”, the brand makes its second literary appearance in the form of a robust model with an elastic steel watch band, which becomes an instrument of survival for 007 when he uses it as brass knuckles against a member of Spectre and flees over the Swiss Alps on skis. These films exponentially increased the general public’s desire for the timepiece, especially after catching a glimpse of the dark quadrant of the Subamariner Ref. 6538 framed by the raised eyebrow of a young Sean Connery during a passionate
kissing scene in Dr. No (1962): depending on who you ask, this is said to have been the personal watch of director Terence Young, one of the producers, Albert “Cubby” Broccoli, or a former Royal Navy diver on the cast. This bond would endure throughout 8 films. In Goldfinger (1964), Bond emerges from the dark waters of Mexico, plants a plastic bomb in a silo full of opium, slips out of a wetsuit to reveal a white tuxedo with red carnation, and, just before heading out on a date, checks the quadrant of the same watch that already appeared in Dr. No and From Russia with Love, but with one major difference: the dark leather strap had been replaced with a red, black and green NATO Regimental version... the same that would reappear in the subsequent Thunderball (1965). That watch strap came to be seen a essential element of James Bond iconography, to the point that, after more than fifty years, Omega created the Seamaster 300 Ref. 233.32.31.41.21.01.001 for the film Spectre (2015) using a NATO watch strap in the colours that James Bond fans (who only had access to the films on VHS and not the modern digital versions) had believed to be the colours of Connery’s watch strap in the two films previously mentioned for many years: grey and black. In Live and Let Die (1973), Q sends Roger Moore a Submariner Ref. 5513 with steel strap, the first 007 gadget watch (if you don’t count the Breitling Top Time Ref. 2002 with a Geiger Counter in Thunderball) capable of generating a magnetic field powerful enough to divert bullets and instantly unfasten the clothing of a female Italian agent, and, above all, equipped with a high speed rotating bezel that worked like a buzz saw, allowing him to avoid sharks and jump on the backs of the crocodiles. Built according to the design of set designer Syd Cain, the edges of the bezel were cut off in order to give it sharp teeth. It was activated by compressed air, which caused the bezel to lift and rotate. The timepiece was sold at auction for $242,655 in 2011, accompanied by an original design. The model would later reappear in The Man with the Golden Gun (1974), but it had already been worn by Bond at his wedding in On Her Majesty’s Secret Service (1969) (some might have been horrified at the idea of matching a diver's watch with an elegant wedding suit or tuxedo, but Bond seems to do it often, whenever his gold Gruen Precision 510 from the earlier films isn’t available...); in this latter case, the watch in question was the personal model owned by George Lazenby, which the unknown Australian model had purchased just before auditioning in order to resemble Connery, thereby winning the part. Finally, in Licence to Kill (1989), leaving behind the Pulsar, Seiko and Tag Heuer models from the previous films, Timothy Dalton snatches a speargun from a frog-man assassin in the Bahamas, shoots the float of a seaplane loaded with money, goes water skiing, and takes flight, all while sporting a Submariner ref. 16610 with a calendar. On 30 October 2018, Fellows of Birmingham auctioned a Submariner ref. 5513 for the price of £90,000 due to the mere fact that it had been used by one of Dalton’s body doubles during the filming of that film. But the British agent wore more than just the Submariner model: in On Her Majesty’s Secret Service, in the guise of Sir Hilary Bray, 007 wears a Rolex ref. 6238, known as the Pre-Daytona; in the advertising photos for The Spy Who Loved Me (1977), Moore, dressed as Navy Commander, sports a GMT-Master, the same that appeared on the wrist of both of Peter Sellers (with built-in monitor), in the wacky version of Casino Royale, as well as Honor Blackman/Pussy Galore (with ref. 6542), while Goldfinger's private jet is plummeting out of the sky. JAMESMAGAZINE.IT
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That for which it is most famous, however, is a work of fiction: Ian Fleming, who purchased an Explorer I Ref. 1016 model of his own sometime between the autumn of 1961 and the spring of 1962, had the protagonist of his novels wear a steel Oyster Perpetual model as far back as 1954, in “Live and Let Die”, precisely because of its exceptional water resistance: Bond finds himself surrounded by barracudas while scuba diving in a Jamaican bay to plant a mine on the keel of Mr. Big’s boat, the Secatur: “He looked at the Rolex watch on his wrist. It was three minutes past eleven o'clock. He selected the seven-hour fuse from the handful he extracted from a zipped side-pocket and inserted it in the fuse pocket of the mine and pushed it home. The rest of the fuses he buried in the sand so that if he was captured the mine would not be betrayed.” The brand is only mentioned twice in twelve novels and nine short stories, and this is precisely why this reality-based detail makes such a big impression upon the reader. In “On Her
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Dom Pérignon
DOM PÉRIG LA PERFEZ di Manlio Giustiniani
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L’edizione limitata Dom Pérignon Chef de Cave Legacy Edition del Vintage 2008, è un champegne a 4 mani. La collaborazione creativa tra Richard Geoffroy, erede spirituale di Dom Pierre Pérignon e Vincent Chaperon culmina nel rilascio di questo Vintage, un Millesimato che fonde la conoscenza sofisticata e completa di Richard con l’audace intuizione di Vincent, due uomini che rappresentano il passato e l’avvenire, la continuità di questo straordinario nettare divino tra trasmissione e creazione, sul paradosso del tempo intimamente connaturato a Dom Pérignon. La bottiglia, infatti, riporta sullo scudo e sul coffret i nomi dei due Chef de Cave. Ogni Millesimato della Maison è il frutto di una dinamica che descrive la magica alchimia alla base della creazione di ciascun Vintage Dom Pérignon: creare trasmettendo, trasmettere creando. Il risultato finale della sfida interpretativa che lo Chef de Cave è chiamato a compiere in ogni vendemmia è individuare le migliori uve di un’unica annata, comprenderne le possibili e potenziali evoluzioni future, attuare il potere della creazione, “elevare il vino a dimensione spirituale, portare l’effervescenza alla sua Plénitude”, che è la cifra stilistica distintiva dello spirito di Dom Pérignon. Un compito non semplice, che richiede studio, applicazione, dedizione: in una parola, autentica maestria. Un bagaglio di competenze che va trasmesso come un’eredità immateriale ai futuri successori, con impegno e passione. Lo stesso impegno e la stessa passione che, negli ultimi 28 anni, hanno contraddistinto il lavoro di Richard Geoffroy, l’iconico Chef de Cave che ha dichiarato circa 15 millesimi, dal 1990 al 2009, decenni di tensione costante verso un ideale enologico ed estetico. Una visione fondata sulla ricerca e sulla reinterpretazione, sull’armonia come fonte di emozione. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
The 2008 Vintage limited edition Dom Pérignon Chef de Cave Legacy Edition is a symbiotic Champagne. The creative partnership between Richard Geoffroy (the spiritual heir of Dom Pierre Pérignon) and Vincent Chaperon has culminated in the release of this single-vintage version that brings together the sophisticated and comprehensive knowledge of Richard, with the daring intuition of Vincent: two men who represent the past and the future... the continuity of this extraordinarily divine nectar between transmission and creation, on the paradox of time inherent to Dom Pérignon. In fact, the shield on the bottle and the coffret bear the names of the two Chefs de Cave. Each of the Winery’s single-vintage varieties is the result of a dynamic that describes the extraordinary alchemy underlying the creation of each Dom Pérignon vintage: creation through transmission, and transmission through creation. The interpretative challenge that the Chef de Cave must face with every harvest is to identify the best grapes of a single vintage, to understand the possible and potential future developments, to implement the power of creation, “to elevate the wine to a spiritual dimension, and to bring effervescence to its Plenitude”, which is the distinctive stylistic figure of Dom Pérignon’s spirit. It’s a difficult task that requires study, application, and dedication: in short, genuine mastery. A skillset that must be conveyed, with commitment and passion, as an intangible inheritance to future heirs. The same commitment and passion that, over the past 28 years, have distinguished the work of Richard Geoffroy, the iconic Chef de Cave, who, from 1990 to 2009, has declared about 15 vintages to represent a constant trend towards an oenological and aesthetic ideal. A vision based on research, reinterpretation, and harmony as a source of emotion.
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Richard Geoffroy / Vincent Chaperon
NON 2008, IONE
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Ha esplorato con audacia ed eleganza tutte le sfaccettature e le potenzialità che un singolo Millesimato poteva esprimere. Ha osato inventare laddove gli altri si limitavano a ripetere. Da questa capacità unica nello studiare e comprendere l’evoluzione di un Vintage sono nate le Plénitudes, finestre temporali d’espressione durante le quali il Millesimato rivela nuove e sorprendenti caratteristiche. Un uomo cha ha dato un enorme contributo all’enologia mondiale, “la reinterpretazione del Vintage”, sempre fedele all’ideale di perfezione ricercato 350 anni prima da Dom Pierre Pérignon. Questa edizione da collezione dell’emblematico vintage 2008 celebra il passaggio di testimone tra i due enologi uniti da uno straordinario legame lavorativo: la complementarietà tra due uomini, l’emulazione di due visioni al servizio di un importante millesimo definito come un “nuovo classico” che lascerà un segno indelebile nella storia della Maison. A Vincent Chaperon, che dal 1° gennaio 2019 succede ufficialmente alla guida della Maison il compito di proseguire seguendo il solco tracciato dal suo predecessore, continuando ad attuare il potere della creazione. Enologo rigoroso e collaboratore instancabile di Geoffroy dal 2005, Chaperon ha partecipato a tredici vendemmie, dichiarando, accanto al suo mentore, quattro Millesimati: 2005, 2006,
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2009 e, oggi, il 2008. E mentre si attua la successione tra gli Chef de Cave della Maison, il paradosso del tempo di Dom Pérignon non accenna a chiudere il proprio ciclo. Dom Pérignon ha un’ambizione creativa: la ricerca di un’armonia che sia fonte di emozione, tendere verso la creazione di qualcosa di unico, ma è come disegnare qualcosa di singolare dentro un quadro con la sua cornice, un limite che per Dom Pérignon è rappresentato dall’annata: un impegno assoluto a essere testimone della vendemmia di un solo e unico anno. Il tempo è fondamentale così dopo oltre otto anni di permanenza sui lieviti lo champagne incarna la Première Plénitude, un vino di grande precisione, in un profondo equilibrio che è la firma di Dom Pérignon. Il 2008 mette la firma sull’interpretazione e sulla comprensione dell’annata in champagne, ne rappresenta l’archetipo champenois, è l’essenza stessa dello Champagne. Cosa definisce un grande vino? Cosa deve avere uno champagne per essere definito grande? La costanza qualitativa, la continuità, la consistenza e la capacità di sorprendere. E la sorpresa è il più grande dei lussi, la padronanza completa della materia sarebbe un ostacolo, l’elemento magia rende unici, ma per avere questa unicità bisogna correre dei rischi. Bisogna sempre avere la capacità di ricercare qualcosa di straordinario.
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A vintage that brings together the sophisticated and comprehensive knowledge of Richard with the daring intuition of Vincent
un Millesimato che fonde la conoscenza sofisticata e completa di Richard con l’audace intuizione di Vincent
He boldly and sumptuously explored all the various nuances and potentials that a single vintage could possible express. He dared to invent, while others limited themselves to repeating what they’d done in the past. This unique ability to study and understand the evolution of a Vintage gave rise to the Plenitudes, time frames of expression during which the vintage reveals new and exciting characteristics. A man who has made an enormous contribution to the world of oenology, “the reinterpretation of the Vintage”, while at the same time remaining faithful to the ideal of perfection sought 350 years earlier by Dom Pierre Pérignon. This collector’s edition of the emblematic 2008 vintage celebrates the passing of the torch between these two winemakers united by an extraordinary bond: the ways in which the two men complemented one another, and the emulation of their different visions to create an extraordinary vintage that’s been defined as a “new classic”... one that will leave an indelible mark in the winery’s history. Vincent Chaperon, who officially took over the winery’s management as of 1 January 2019, is charged
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DOM PÉRIGNON 2008, LA PERFEZIONE Dom Pérignon 2008: perfection
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with the task of continuing to blaze the trail begun by his predecessor, exercising the power of creation. A rigorous oenologist and a tireless collaborator of Geoffroy’s since 2005, Chaperon participated in thirteen harvests, and declared four vintages alongside his mentor: 2005, 2006, 2009 and, most recently, 2008. And while the succession between the winery’s Chefs de Cave is carried out, Dom Pérignon’s time paradox does not show any signs of closing its cycle. Dom Pérignon has a creative ambition: the pursuit of a harmony that’s a source of emotion, tending towards the creation of something unique. But it is like drawing something original inside a picture that’s already been framed... a limit that, for Dom Pérignon, is represented by the vintage: an absolute commitment to be a testament to one single vintage only. Time is fundamental. That’s why after more than eight years on the lees the champagne becomes the Première Plénitude, an extraordinarily precise wine with the exceptional balance for which Dom Pérignon is renowned. The 2008 marks the perfect interpretation and understanding of the champagne vintage... it represents the Champenois archetype. It’s the very essence of champagne. What defines a great wine? What qualities must a champagne have in order to be considered great? Constant quality, continuity, consistency, and the ability to surprise. And surprise is the greatest of all luxuries. complete mastery of the subject matter would be an obstacle. The element of magic, on the other hand, renders it unique, but in order to have this uniqueness you have to take risks. You always be striving to achieve something extraordinary. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
100/100
L’annata 2008 è stata caratterizzata dalla predominanza di un clima freddo anche durante la primavera e l’estate. Il mese di settembre miracolosamente ha salvato l’annata. Ad inizio vendemmia (15 settembre), le condizioni erano perfette: bel tempo e venti che spiravano da nord-nordest. La maturità e la sanità delle uve ha superato qualsiasi aspettativa, con un eccezionale equilibrio tra acidità e zuccheri. Vino fantastico, leggiadro, di spessore e profondità, orizzontale e verticale allo stesso tempo. L’attacco al naso è complesso, un bouquet di fiori bianchi, pesca e agrumi, di grande freschezza, quasi mentolato, con fantastiche speziature, nuances di legni orientali, cedro, note fumé e tostate. La coerenza tra il naso e il palato è totale, di grande equilibrio. Il suo profilo affusolato, slanciato, puro, tonico, ci porta a consideralo un Dom Pérignon atletico. All’intrigante acidità, caratteristica dell’annata straordinariamente ben integrata e alla purezza aromatica, Dom Pérignon apporta anche profondità, densità e complessità, senza paragoni. La persistenza è molto lunga e intensa con un finale di mineralità pietrosa. In questo caso, rivisitare l’archetipo significa vivere un’esperienza completamente diversa, più sofisticata, più intrigante, che va oltre, molto più lontano. Era dal Dom Pérignon 1985 che non ci capitava di degustare quello che si riconosce come “lo Champagne del cuore”. Il 2008, un Dom Pérignon che va verso una visione trascendentale, una dimensione cosmica che conduce a un ideale estetico, ci ha emozionato e stregato nuovamente.
Assemblage: 50% Pinot Noir, 50% Chardonnay Dosage: 5 g/L
The 2008 vintage was characterised by a predominantly cold climate, even during the spring and summer. The month of September miraculously saved the vintage. At the beginning of the harvest (15 September), the conditions were perfect: beautiful weather and winds blowing from the north-northeast. The grapes’ health and maturity exceed all expectations, with an exceptional balance of acidity and sugars. A fantastic and graceful wine with extraordinary depth and body, rendering it both horizontal and vertical at the same time. It boasts a complex bouquet of white flowers, peaches, and citrus fruits, extraordinarily fresh, almost mentholated, with fantastic spices, a hint of Oriental woods, and cedar, with smoky and toasted nuances. There's a complete and well-balanced consistency between the fragrance and the flavour. It’s sleek, slender, pure, and tonic profile leads it to be seen as an athletic Dom Pérignon. Dom Pérignon integrates the aromatic purity and the intriguing acidity characteristic of the extraordinarily well-integrated vintage with an unparalleled depth, body, and complexity. The persistence is quite long and intense, and is followed by a stony, mineral finish. In this case, revisiting the archetype means experiencing something completely different, more sophisticated, and more intriguing, that goes above and far beyond. We haven’t had the pleasure of tasting what can be referred to as “the Champagne of the heart” since the 1985 Dom Pérignon. The 2008 Dom Pérignon moves towards a transcendental vision, a cosmic dimension that leads to an aesthetic ideal, and is a vintage that has excited and enchanted us once again. JAMESMAGAZINE.IT
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DOM PÉRIGNON VINTAGE 2008
Assemblage: 50% Pinot Noir, 50% Chardonnay Dosaggio: 5 g/l
food
di Giovanni Angelucci e Gualtiero Spotti
KØBENHAVN LA CAPITALE GOURMET DEL NORD
Copenhagen, the gourmet capital of the north Per gli appassionati di cibo e di buone tavole la capitale danese è la destinazione perfetta. Risulta davvero difficile non rimanere affascinati da Copenaghen, oggi conosciuta in tutto il mondo per la sua cucina, diventata negli anni la meta prediletta di foodies e fini gourmand. Ad affascinare sono le ultime tendenze della cosiddetta Nuova Cucina Nordica, basata sulla stagionalità e il rispetto delle materie prime locali di alta qualità. La Danimarca vanta ben 31 stelle Michelin, di cui 14 solo in Copenaghen (e tra questi c’è anche il Noma di René Redzepi, forse il ristorante più famoso e celebrato al mondo), ma la meraviglia qui non la si incontra soltanto oltre le porte delle grandi insegne, ma in quelle continue aperture di locali che non ti aspetti, in ristoranti colmi di sorpresa, tra format unici ed entusiasmanti viaggi sensoriali. Copenaghen caput mundi, tra nuovi indirizzi e incrollabili certezze.
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The Danish capital is the perfect destination for lovers of fine cuisine and excellent restaurants. It’s truly difficult not to be fascinated by Copenhagen, a city that’s now known worldwide for its cuisine, and has become a preferred destination for foodies and fine gourmands over the years. One of the most appealing aspects of this destination are the latest trends in what is known as New Nordic Cuisine, which is based on seasonality, and maximum respect for the high quality local ingredients. Although Denmark boasts a grand total of 31 Michelin stars, 14 of which are in Copenhagen alone (including René Redzepi’s Noma restaurant, perhaps the most famous and celebrated restaurant in all the world), the culinary marvels that this city has to offer are not only found within its most famous venues, but also among countless other locales, small restaurants full of surprises, featuring unique formats and exciting journeys of the senses. Copenhagen Caput Mundi, amid new destinations and unwavering certainties. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
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Eric Vildgaard
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KØBENHAVN
JORDNÆR Un omone tatuato grande e grosso ma assolutamente innocuo, capace però di dare il meglio di sé nella cucina del suo ristorante Jordnær, appena decentrato dal cuore di Copenaghen (10 km a nord), assolutamente da visitare. A poco più di un anno dall’apertura Eric Vildgaard, insieme alla moglie e padrona di sala Tina Kragh, ha già ottenuto la prima stella Michelin, con il facile presagio che se ne vedranno ancora delle belle. Varcate la porta dell’antico hotel Gentofte e fate la conoscenza della cucina di Eric: tre intensi anni al Noma e tanta creatività lo hanno portato alla consapevolezza di poter osare davvero, presentando piatti sfrontati e coraggiosi, di grandi spinte sensoriali e accostamenti a tratti azzardati, ma da paragonare ad un sorpasso in curva comunque riuscito. In altre parole ha il merito di osare e farsi piacere. Per il suo ristorante ha scelto una parola danese che significa “down to earth” (“terra terra”), nonostante il livello di cucina proposto sia alto e di pregio, metafora per indicare che ogni grandezza parte e rimane legata alle basi. Il menù a disposizione è composto da tre diversi percorsi che si differenziano in base al numero di portate. Il più ampio conta tredici corsi (veri e propri assaggi in stile Copenaghen) e lo short otto. Sicuramente da provare il piatto con gamberi crudi, rafano e aneto, dalla spinta acida che convive con il candore del pesce. Al vino ci pensa Tina, tra macerati, artigianali e lunghe ossidazioni siete in buoni mani.
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Restaurant Jordnær Gentoftegade 29 2820 Gentofte www.restaurantjordnaer.dk JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
A large yet entirely harmless tattooed man lets his talent shine in the kitchen of his Jordnær restaurant, just outside the heart of Copenhagen (10 km to the north). It’s a place you won’t want to miss. Just over a year after opening his restaurant with his wife and hostess Tina Kragh, Eric Vildgaard already obtained his first Michelin star, and it looks like the sky’s the limit. Walk through the door of the ancient Gentofte hotel, and prepare yourself to be amazed by Eric’s cuisine: three intense years at Noma and an abundance of creativity have led him to the realisation that he truly can take some risks, offering bold and courageous dishes of enormous sensory appeal, and with sometimes daring yet always successful combinations. In other words, he’s earned the right to be daring and do what he pleases. The name that he chose for his restaurant is a Danish word meaning “down to earth”, despite the fact that the cuisine offered is of an exceptionally high level, thus metaphorically indicating that every great thing starts from and somehow remains bound to the basics. The menu is made up of three different pathways, which differ based on the number of courses. The largest consists of thirteen courses (a veritable Copenhagen-style sampler), while the smallest consist of eight. Be sure to try the dish with raw shrimp, horseradish and dill, in which a strong acidity is combined with the candour of the seafood. Tina handles the wine, and, amid macerated, craft, and oxidative varieties, you’ll have plenty to choose from.
GERANIUM
If you want to get an idea of what a three Michelin star restaurant is all about, this is a comprehensive destination that you won’t want to miss. The Geranium is a legitimate son of the world’s “big” family of restaurants, whose image is represented by the mild-mannered Rasmus Kofoed, who, with his Michelin stars, took 19th place among the World’s 50 Best Restaurants of 2018, and is the only one to have won bronze, silver and gold at the Bocuse d’Or. Immerse yourself within an itinerary of consistencies and little-known products, through one of the four seasonal menus. The sampler menu consists of 5 appetizers, 5 main dishes, and 5 desserts, in which freshness is the sensory common thread, with very few cooked items and meats. Everything works splendidly... the large team of employees goes almost entirely unnoticed. The Geranium has vigour and rigour in both its dishes and its service. It’s a finely tuned machine that operates beautifully under the direction of restaurant manager Søren Ledet, and authoritative head sommelier, Norbert Nudinski. After having tasted the razor clams with minerals and sour cream, the marvellous “stones” with dill and mackerel, horseradish and frozen cucumber juice, or the “marbled” hake with caviar and buttermilk, it’ll take you some time to realize how the aesthetics, the flavours, and the journey are all able to come together in one dish. Be sure to try the classic “marbled hake”, whose complex preparation involves burnt parsley stalk powder, a buttermilk sauce, and a reduction of mussels, caviar and parsley oil.
Restaurant Geranium Per Henrik Lings Allé 4, 8 DK-2100 Copenhagen www.geranium.dk JAMESMAGAZINE.IT
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KØBENHAVN
Se volete avere idea di cosa sia un ristorante con tre stelle Michelin, questo è un indirizzo esauriente e imperdibile. Geranium è figlio riconosciuto della famiglia dei “big” mondiali la cui immagine è rappresentata dal mansueto Rasmus Kofoed che con le sue tre stelle Michelin è piazzato al 19° posto nella World’s 50 Best 2018 ed è l’unico ad aver vinto bronzo, argento e oro al Bocuse d’Or. Proiettatevi in un itinerario di consistenze e conoscenza di prodotti probabilmente sconosciuti, attraverso uno dei quattro menù stagionali. Il percorso degustazione vede 5 appetizers, 5 piatti principali e 5 dessert in cui il filo sensorial-conduttore è la freschezza con pochissime cotture e carni. Tutto funziona alla perfezione, la numerosa squadra di ragazzi quasi sembra non esserci, il Geranium ha vigore e rigore nei piatti e nel servizio, una macchina da nobil guerra che funziona alla perfezione sotto la direzione del restaurant manager Søren Ledet e l’autorevole head sommelier Norbert Nudinski. Dopo aver assaggiato i cannolicchi con minerali e panna acida, le meravigliose “pietre” all’aneto con sgombro, rafano e succo ghiacciato di cetriolo o il nasello “marmorizzato” con caviale e latticello, avrete bisogno di qualche tempo per rendervi conto di come possano estetica, sapore, viaggio convivere in un unico piatto. Da provare il grande classico “merluzzo marmorizzato” (marbled hake) la cui complessa preparazione richiede della polvere bruciata di steli di prezzemolo, una salsa di latticello e riduzione di mitili, caviale e olio di prezzemolo.
KØBENHAVN
108
I discepoli del Noma ormai si sono fatti largo in città e hanno le spalle larghe per costruirsi la propria storia da soli. È il caso del cuoco di origini coreane Kristian Baumann al 108, in un ristorante ormai sulla breccia da quasi tre anni e diventato subito un punto di riferimento a Copenhagen sia per le ottime colazioni o per un bicchiere di vino a tarda serata (da consumarsi nel vicino The Corner, perché la cucina è la stessa), oppure per una cena stellata, informale, in una grande sala dai toni industriali. Il 108, tra fermentazioni, juices e prodotti di stagione che arrivano da una farm vicina, gioca bene la carta della materia prima fresca e di qualità soprattutto nella stagione estiva, ma sa colpire nel segno anche nei mesi qui più complicati, come dice bene il menù invernale che passa con agilità dai funghi, proposti in un brodo di pollo arrosto, alla mousse di orzo tostato con nocciole e tartufo. Il rigore maniacale nel gesto e la cura estetica del piatto fanno il resto e non a caso trovare un tavolo libero, soprattutto nei fine settimana, è impresa ardua. The disciples of the Noma restaurant have now made their way into the city, and have gained the experience necessary to write their own stories. This is the case of Korean-born cook Kristian Baumann, at his restaurant 108, which has been at the forefront of Copenhagen’s restaurant scene for almost three years now, and is known for its excellent breakfasts, for relaxing with a glass of wine late in the evening (to be consumed at the nearby locale The Corner, because the cuisine is the same), or for enjoying an informal Michelin star dinner in a large industrial-style dining room. Amid fermented beverages, juices, and seasonal products from a nearby farm, restaurant 108 plays the fresh raw materials and quality cards extremely well, especially in the summertime, but can even hit the mark during the more complicated months here, as seen on the winter menu, which ranges from mushrooms served in a roast chicken broth, to roasted barley mousse with hazelnuts and truffle. The obsessively rigorous service and the aesthetic care of the plating do the rest, and its no coincidence that a free table is hard to come by, especially on the weekends.
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Restaurant 108 Strandgade 108 1401 København K www.108.dk JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
Kristian Baumann
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KØBENHAVN
ALOUETTE
Un po’ speakeasy e un po’ ristorante, Alouette nasce non molto tempo fa, in un quartiere defilato dal centro, vicino all’ingresso di un luogo di culto islamico, le sale prove di band metal (durante la cena vi potrebbe capitare di riconoscere qualche brano in lontananza...) e molte porte anonime che, presumibilmente, celano altre sorprese. Ai fornelli spadella il simpatico Nick Curtin, un cuoco arrivato dagli States e che ha trascorso del tempo nelle cucine di ACME, Rosette e Compose a New York per poi farsi vedere nella Copenaghen del post Noma prima maniera, in alcuni bistrò come Almanak e Spuntino. A dargli una mano c’è Andrew Valenzuela, talentuoso cuoco già passato oltre che da Noma anche da El Coq a Marano Vicentino, da Lorenzo Cogo, e al Taller. L’approccio di Alouette al tavolo è quello di uno stile glocal ormai diffuso, con il fuoco a legna che occupa un angolo della sala, la sostenibilità a dettare i ritmi del menù e i legami stretti con i produttori (anche quelli della birra artigianale). I piatti si susseguono con brio tra cotture veloci, sapori tostati e bruciati, misti a piacevoli freschezze che spezzano il ritmo. A little bit speakeasy, and a little bit restaurant, the Alouette was established not long ago in an area just outside the city centre, near a mosque, several heavy metal recording studios (over dinner you might recognise some of the songs playing in the distance...), and many other anonymous doors, presumably concealing other surprises. The stove is manned by Nick Curtin, a likeable American chef who has spent some time in the kitchens of ACME, Rosette and Compose in New York City, and later came to Copenhagen during the early years of the Noma restaurant, working at bistros like the Almanak and Spuntino. He’s assisted by Andrew Valenzuela, a talented chef who, in addition to the Noma, has also worked at locales like Lorenzo Cogo’s El Coq restaurant in Marano Vicentino, and the Taller. The Alouette’s approach to dining is that of a now widespread global style, with a wood fire occupying one corner of the room, sustainability dictating the rhythms of the menu, and close ties being maintained with producers (even those of the craft beers). The dishes are served with vivacity, one after another, amid fast cooking, toasted and burnt flavours, and a pleasant mix of fresh ingredients to slow down the rhythm.
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Restaurant Alouette Sturlasgade 14P, 1. 2300 Copenhagen S www.restaurantalouette.dk
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Lisbon now occupies one of the highest rankings among Europe’s most successful tourist destinations. Whether for the fascinating blend of history and culture found among its various districts, the elements of the ancient and modern worlds found on every street corner, or the lively culinary scene that’s taken hold over the past fifteen years, the Portuguese capital overlooking the river Tago is a charming, must-see destination. Lisbon has been injected with new lifeblood, and its restaurants are breathing an air of new vitality, above all due to the race to rediscover the Lusitanian culinary traditions, mediated by the modern techniques and the novelties introduced by the Spanish. JAMESMAGAZINE.IT
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di Gualtiero Spotti
All the flavours of Lisbon
Tra le mete turistiche di maggior successo in Europa, Lisbona occupa ormai un posto di primissimo piano. La capitale portoghese affacciata sul fiume Tago, vuoi per l’affascinante mix di storia e di cultura che si respira nei suoi quartieri, per il connubio di antico e moderno che si presenta ad ogni angolo di strada, ma anche per la vivacità gastronomica che si è evidenziata con forza da tre lustri a questa parte, è una meta irrinunciabile e di grande fascino. Soprattutto per la corsa verso la riscoperta delle tradizioni lusitane a tavola mediate dalle tecniche moderne e dalle novità portata dall’ondata lunga dei cugini spagnoli, a Lisbona è stata consegnata nuova linfa vitale e una ventata di freschezza nei ristoranti.
food
Joao Rodrigues / Restaurante Feitoria
Tutto sembra accadere ormai a ritmi vertiginosi, e lo si avverte osservando il numero sempre crescente di bar e locali che occupano i luoghi strategici della vita notturna e non solo, perfino nei quartieri più periferici che un tempo venivano snobbati dai turisti. Oltre all’apertura di negozi dedicati a prodotti specifici (formaggio, dolci, caffè, birre), di bar per un cocktail fuori dall’ordinario, e di situazioni alternative (come nel caso del polo del divertimento dell’LX Factory o dello speakeasy Red Frog), è stato fatto il passo decisivo verso un merchandising più attuale e ammiccante, come nel caso delle classiche scatole di sardine. I maggiori protagonisti di questa sensibile rinascita sulle rive dell’Oceano Atlantico, soprattutto se guardiamo dalle parti del fine dining e della cucina più raffinata, sono un manipolo di cuochi cui prestare grande attenzione. A partire da Joao Rodrigues, del ristorante Feitoria, ospitato all’interno dell’Altis Belem Hotel. Nel suo background c’è la presenza in molte cucine di Lisbona che hanno giocato un ruolo fondamentale nella crescita della scena cittadina, da quella dell’hotel Ritz fino al ristorante Pragma di Fausto Airoldi e al Bica do Sapato. Con l’arrivo al Feitoria nel 2008 e il ruolo di executive dal 2013, Rodrigues ha intrapreso un percorso di studio finalizzato alla riscoperta e alla valorizzazione della materia prima portoghese. Il suo menù parla la lingua dei prodotti locali più significativi (dalle erbe che vengono da Quinta do Poial, vicino a Setubal, fino alle pregiate carni trasmontane e alla frutta della tenuta Lugar do Olhar Feliz in Alentejo), ma non mancano contaminazioni con la cucina d’oltre confine e internazionale, spesso con qualche tocco esotico.
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Everything seems to be happening at a dizzying pace, and can be seen in the increasing number of bars and clubs occupying the strategic nightlife spots, as well as in the more peripheral neighbourhoods once snubbed by tourists. In addition to shops dedicated to specific products (cheese, sweets, coffee, beers, etc.), bars for unusual cocktails, and alternative locales (such as the entertainment centre at the LX Factory or the Red Frog speakeasy), the decisive step was taken towards a more modern and coy type of merchandising, like in the case of the classic sardine boxes. The greatest protagonists of this sensory renaissance taking place along the shores of the Atlantic Ocean, above all in terms of fine dining and cuisine, are a handful of promising chefs. Starting from Joao Rodrigues of the Feitoria restaurant, housed inside the Altis Belem Hotel. His background includes many kitchens that have played a fundamental role in the city of Lisbon’s growth, from that of the Ritz hotel, to Fausto Airoldi’s Restaurante Pragma, and Bica do Sapato. With his arrival at the Feitoria in 2008 and his appointment as executive chef in 2013, Rodrigues undertook a study course aimed at rediscovering and exalting the value of Portuguese ingredients. While his menu speaks the language of all the major local products (from the herbs obtained from Quinta do Poial, near Setubal, to excellent transmontana meats, and the fruits of the Lugar do Olhar Feliz estate in Alentejo), there is an abundance of international elements as well, often with an exotic touch. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
Alexandre Silva / Restaurante Loco
The type of cuisine offered by Alexandre Silva, the chef of the Loco restaurant, is somewhat more daring and modern. Located in the Estrela district, this locale boasts a modern approach, made up of fermentations, homemade cheeses, a series of exciting snack items, and two sampler courses, for those accustomed to visiting Lisbon. While there are naturally also some digressions into local flavours, these are almost always just a transitional part of a more universal journey of textures and flavours. A entirely unique venue, with the discretion of an amiable chef, and the pleasant intrigue of an open kitchen visible to the entire dining hall. And while the restaurant may bear the name Loco to reflect its unusual approach to dining, the end result is extremely pleasant and well-structured. The third address not to be overlooked nowadays is that of Henrique Sa Pessoa’s Alma restaurant, located in the heart of the Chiado district. The chef recently received his second Michelin star, giving further prestige to an already well-established career as both an executive chef and a glamorous media presence, including television programs and book releases. Sa Pessoa’s cuisine (which in Lisbon can also be enjoyed at the Tapisco bistro) tends to be exploratory and to incorporate new flavours, just as it was during his stint at the Panorama restaurant, and at the Alma restaurant’s former location in the Santos district. Today, however, it has been further refined, and manages to stylishly bring together various aspects of Portuguese, Mediterranean, and international cuisine. Eclectic, never trivial, and with certain daring aspects that never seem to fail. Then again, that’s the soul of the city itself (as the name of the restaurant suggest)... a city that’s seeking to grow, proposing exciting new developments with almost every change of season. Joao Rodrigues, Alexandre Silva and Henrique Sa Pessoa are three different individuals who represent the constantly changing scenario in the city of Lisbon: a city that, not coincidentally, recently hosted the awards event held by the Michelin Guide for Spain and Portugal. And for those who want to delve even deeper, the Peixe em Lisboa event in April is the perfect opportunity to enjoy all the most traditional and innovative aspect of Lusitanian cuisine. It’s hard to believe that some people think baccalà is all they eat around these parts. JAMESMAGAZINE.IT
Henrique Sa Pessoa / Restaurante Alma
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Più spinta e contemporanea nella forma è forse la cucina di Alexandre Silva il cuoco del ristorante Loco. Pochi coperti, nel quartiere di Estrela, e approccio moderno tra fermentazioni, formaggi fatti in casa, una serie di snacks avvincenti e due percorsi degustazioni da affrontare con giudizio per chi è abituato a frequentare Lisbona. Ci sono anche digressioni nei sapori locali, certo, ma quasi sempre questi sono di passaggio in un viaggio di consistenze e sapori più universale. Un unicum in città, con la discrezione di un cuoco gentile e la piacevole osservazione da parte di tutta la sala di una cucina aperta e a vista. Loco di nome, il ristorante, ma non di fatto, perché se è vero che l’approccio è inusuale, il risultato è concreto e piacevolissimo. Il terzo indirizzo da non perdere di questi tempi è quello di Alma, il ristorante di Henrique Sa Pessoa posizionato nel cuore del quartiere Chiado. Il cuoco da pochi mesi ha ricevuto la seconda stella Michelin, che dà ulteriore prestigio a una carriera già avviata da diversi anni sul doppio binario di una solidità esecutiva nella casa madre e di una frizzante esposizione mediatica tra programmi televisivi e uscite editoriali in libreria. La cucina di Sa Pessoa (che a Lisbona ha anche il bistrò Tapisco) tende all’inclusione di sapori e all’esplorazione, come è sempre stato dai tempi della sua permanenza al ristorante Panorama e nella precedente sede di Alma nel quartiere di Santos. Oggi però si è ulteriormente raffinata e riesce a raccontare con stile gli incroci tra Portogallo e il resto del Mondo, passando per il Mediterraneo. Eclettica e mai banale, con qualche azzardo che non guasta. Che è poi l’anima, come dice il nome del ristorante, della città stessa, che di questi tempi ha voglia di crescere e propone quasi a ogni cambio di stagione succose novità. Joao Rodrigues, Alexandre Silva e Henrique Sa Pessoa sono tre diverse facce capaci di raccontare una scena cittadina in perenne evoluzione e che non a caso ha visto proprio nei mesi scorsi l’evento, per la prima volta a Lisbona, che assegna i riconoscimenti annuali della guida Michelin per la Spagna e il Portogallo. Poi, se si vuole approfondire, il mese ideale è aprile, con la manifestazione Peixe em Lisboa, per vivere intensamente tutta la gastronomia lusitana, fra tradizione e innovazione. Alla faccia di chi pensa che da queste parti si mangi solo baccalà.
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di Giordana Talamona
UNA GIORNATA IN
JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
A day in Valtellina
travel
From Tirano to Poschiavo: red wine and the Bernina Express Tirano is the only European city with two train stations located in the same square, both serving as a terminus: the railway station of the Italian state railways, and the Bernina Express that leads to St. Moritz. Before climbing on board the famous red train, we recommend stopping for a visit at La Gatta in Bianzone, one of Valtellina’s local wineries. Owned by the Triacca family from Switzerland, this winery offers guests the opportunity to visit the vineyards and the wine cellars, as well as to sample their wines, accompanied by charcuterie, cheeses, and a plate of steaming hot pizzoccheri. Be sure to bring at least two bottles home with you: the Sassella Riserva 2013, and the Giovanni Segantini 2014, whose label features the works by this famous artist. To stretch your legs, starting from the winery, you can head up along the Wine Trail among the vineyards and the suggestive drystone walls, which have recently been declared UNESCO World Heritage sites. Afterwards, you can make your way back down to Tirano to visit some of the cultural venues. Don’t miss out on Palazzo Salis, owned by the eponymous family of Counts, which features ten beautifully frescoed rooms, the Sanctuary of Our Lady of Tirano, with its giant organ supported by eight slender columns, and the collegiate Church of San Martino. Heading off the beaten path, at no. 2 Via Arcari you’ll find an interesting ante litteram intercom, consisting of a simple hole in the wall, which, thanks to a series of acoustic effects, allows the voice to be conveyed into the inner courtyard. Before evening comes, take the red Bernina Express to Poschiavo, a small Swiss tourist town that boasts 100% organic agrifood production. Orlando Lardi, a repentant former banker, will be waiting to pamper you at the Hostaria del Borgo with his Capunet, Salamais, Furmagin de Cion, and other delicacies typical of the Valposchiavo area.
Se si desidera una vacanza che coniughi arte, sport, natura, adrenalina, buon cibo e vini da agricoltura eroica, c’è un luogo ideale: la Valtellina. Questa meta turistica con i suoi 400 km di piste, i 200 punti di scalata, gli 850 ettari di vigne, i 2500 km di muretti a secco e gli oltre 1000 luoghi d’arte e religione, offre itinerari per tutti i gusti. Ne abbiamo scelti tre, ognuno percorribile in una giornata. Da Tirano a Poschiavo: rosso vino, rosso Bernina Tirano è l’unica città europea con due stazioni situate nella stessa piazza, entrambe con funzione di capolinea: la stazione FS delle ferrovie italiane e il Bernina Express che porta fino a St. Moritz. Prima di salire sul noto trenino rosso, suggeriamo una tappa a La Gatta in località Bianzone, una delle cantine da viticoltura eroica della Valtellina. Di proprietà della famiglia svizzera Triacca, quest’azienda offre la possibilità di visitare le vigne, le cantine e di degustare i vini abbinati a salumi, formaggi e a un piatto di fumanti pizzoccheri. Portatevi a casa almeno due bottiglie, il Sassella Riserva 2013 e il Giovanni Segantini 2014, che riporta in etichetta le opere di questo noto artista. Per sgranchirvi le gambe, partendo proprio dalla cantina, potete percorrere la Wine Trail, un sentiero tra le vigne e i suggestivi muretti a secco recentemente diventati Patrimonio dell’Unesco. Tornati a Tirano per una visita culturale, non perdete il Palazzo Salis di proprietà degli omonimi Conti, che racchiude dieci sale riccamente affrescate, il Santuario della Madonna di Tirano, col suo organo titanico sorretto da otto esili colonne e la Collegiata di San Martino. Fuori dagli itinerari classici, in via Arcari n. 2, trovate un citofono ante litteram, composto da un semplice buco nel muro che, grazie a una serie di giochi acustici, permette di diffondere la voce fino alla corte interna. Prima che venga sera, prendete il trenino rosso del Bernina, facendo sosta a Poschiavo, una piccola perla turistica svizzera, che vanta una produzione agroalimentare 100% bio. Orlando Lardi, ex bancario pentito, dell’Hostaria del Borgo vi aspetta per coccolarvi coi Capunet, il Salamais, il Furmagin de cion e altre prelibatezze della Valposchiavo.
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If you’re looking for a holiday that combines art, sports, nature, adrenaline, and excellent food and wines, then Valtellina is the ideal place for you. With its 400 km of ski trails, 200 climbing points, 850 hectares of vineyards, 2500 km of dry-stone walls, and over 1000 artistic and religious venues, this tourist destination has itineraries for everyone. We’ve chosen three, each of which can be enjoyed in just one day.
travel
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Aprica: sport, neve e stambecchi Con i suoi 50 Km di piste, Aprica è la meta ideale per gli sciatori e gli amanti della natura. L’innevamento artificiale che scende dai 2300 metri al paese, consente l’apertura quotidiana della skiarea di Aprica&Corteno, un vero paradiso per gli sciatori esperti che possono cimentarsi su piste rosse e nere, come il “Pistone” della Magnolta. Per i principianti è consigliata la Superpanoramica del Baradello, lunga oltre 6 km, mentre i bambini possono divertirsi nelle piste di zona Campetti. Chi ama ciaspolare per provare il brivido di sentirsi affondare nella neve fino alle ginocchia, ha a disposizione decine di sentieri che si inoltrano nel bosco, mentre chi non rinuncia alla bici neanche d’inverno può scegliere i percorsi per le fat bike. Per un’esperienza a contatto con la natura vi suggeriamo di entrare nell’Osservatorio Eco-Faunistico di Aprica, proprio vicino alle piste, ideato e diretto dal biologo naturalista Bernardo Pedroni. Esteso su oltre 25 ettari, comprende specie animali in semi-libertà, come camosci, stambecchi, caprioli, rapaci, scoiattoli, cince e anfibi, osservabili a poca distanza. I bambini vi ringrazieranno.
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Chiesa in Valmalenco: suite in alta quota Si sale all’Alpe Palù con la moderna Snow Eagle, la più grande funivia d’Europa, che può portare 160 persone, per affacciarsi su un paesaggio mozzafiato. All’Alpe Palù sono i 60 i km di piste con buon contenuto tecnico a fare la differenza rispetto ad altre zone sciistiche: lo snow-park è attrezzato con piste da sci tradizionale, snow-board e sci da freestyle, oltre a una pista per le gare di boardercross e ski cross. Con le ciaspole si può fare un bel tratto attorno al lago Palù, completamente ghiacciato durante l’inverno, oppure camminare fino al Rifugio Motta, dove Nando, chef e rifugista, prepara i piatti della tradizione valtellinese, tra cui i zigoiner e i taroz. I più romantici possono pernottare presso 2CUORI in pista, la prima suite costruita su un gatto delle nevi, con una vasca idromassaggio e vetrata panoramica sulle montagne.
INDIRIZZI addresses
DOVE MANGIARE where to eat Trattoria Altavilla Via ai Monti, 46 23030 - Bianzone (SO) www.altavilla.info Hostaria del Borgo Via da Mez, 138 7742 - Poschiavo (Svizzera) www.hostariadelborgo.in
Chiesa in Valmalenco: high-altitude suites Take Europe’s largest cable car, the Snow Eagle (capable of carrying 160 people), up to the Alpe Palù ski area, and enjoy the breathtaking scenery. That which distinguishes Alpe Palù from other ski areas are its 60 km of slopes and trails with excellent technical content. In fact, the snow-park is outfitted with slopes and trails for traditional skiing, snow-boarding and freestyle skiing, as well as an area for boardercross and ski cross competitions. With snow shoes, visitors can trek around lake Palù, which is completely frozen over during the wintertime, or can hike up to Motta Lodge, where the host and chef, Nando, prepares traditional Valtellinese dishes, including Zigoiner and Taroz. For a romantic getaway, couples can book a stay with 2CUORI in pista, the first suite built on a snowcat, complete with a jacuzzi and panoramic windows overlooking the mountains.
Piccolo Chalet Via Magnolta - Loc. Parade 23031 - Aprica (SO)
DOVE DORMIRE where to sleep Grand Hotel della Posta Piazza Garibaldi Giuseppe, 19 23100 Sondrio (SO) www.grandhoteldellaposta.eu 2 Cuori in Pista Prenotazioni e Info: www.valmalencoskiresort.com Depandance Binario Zero Piazza delle Stazioni 23037 - Tirano (SO) www.saintjane.it
ACQUISTI shopping Macelleria Storica Besseghini Largo Pretorio, 1 23037 - Tirano (SO) La Gatta Az. Agr. Triacca Via La Gatta, 33 23030 - Bianzone (SO) JAMESMAGAZINE.IT
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Aprica: sports, snow and alpine ibex With its 50 Km of slopes and trails, Aprica is an ideal destination for skiers and nature lovers. The artificial snow that descends from 2300 meters into the village allows the Aprica & Corteno ski area to be kept open daily: a true paradise for experienced skiers, who can test their skills on the red and black slopes, like the “Pistone” on Magnolta. Beginners can enjoy the magnificent panoramic view of the Baradello, over 6 km long, while children can have fun on the Zona Campetti slopes. For those who love to snowshoe and feel the chill of sinking into the snow up to their knees, there are dozens of trails through the woods, while biking enthusiasts can enjoy wintertime fat bike excursions. For an experience in close contact with nature, we suggest venturing into the Aprica Nature and Wildlife Observatory, right next to the slopes, conceived and directed by the biologist and naturalist Bernardo Pedroni. Spanning over 25 hectares, it features various animal species in a state of semi-freedom, such as chamois, alpine ibex, roe deer, birds of prey, squirrels, chickadees and amphibians, all of which can be observed at a short distance. Your children will thank you.
Rifugio Motta Località Alpe Palu 23020 - Chiesa in Valmalenco (SO) www.rifugiomotta.blogspot.com
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travel
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di Luca Bonacini
LA “STRADA DELLA FELICITÀ” TRA SLOVENIA E CROAZIA The “Road of happiness” between Slovenia and Croatia Oggi la Slovenia è un Paese moderno ed europeo e le atmosfere da Guerra Fredda, ricreate con sapienza dal regista Terence Young, quando nel 1963 girò “Dalla Russia con amore”, sono solo un ricordo. Molti ricorderanno, sul finale di pellicola, 007/Connery insieme alla bella Tatiana Romanova scendere dall’Orient Express e fuggire verso l’Italia attraverso la Jugoslavia. Un inseguimento ad alta tensione, per sottrarsi alle mitragliatrici di un elicottero della Spectre e una sfida all’ultima pallottola, ingaggiata da Bond contro i motoscafi dei cattivi, tra le insenature della costa e il Golfo di Trieste, fino a raggiungere Venezia. Luoghi incontaminati a tratti selvaggi, con circa 500 orsi liberi, che dal 1991 si chiamano Slovenia, dove ha inizio la Route du Bonheur Slovenia-Croazia. Un itinerario a tappe, attraverso boschi secolari e una natura lussureggiante, che raggiunge Lubiana e le coste dalmate. E’ una delle 133 “Strade della felicità” di Relais & Chateaux dislocate nel mondo, create per valorizzare gli hotel associati, e le bellezze dei luoghi che li circondano. Relais & Chateaux, un’associazione di albergatori fondata in Francia nel 1954, che è anche la rete di chef più grande al mondo, con 760 ristoranti (221 dei quali stellati), la maggior parte di essi wine factory, produttori di miele, olio e altre eccellenze, con un proprio orto biologico e collaborazioni sinergiche con il territorio e i suoi produttori.
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Slovenia is now a modern European country, and the Cold War atmospheres masterfully recreated by director Terence Young, when he filmed “From Russia with Love” in 1963, are just a distant memory. Many will remember Sean Connery getting off the Orient Express with the beautiful Tatiana Romanova and fleeing to Italy through Yugoslavia at the end of the film. These scene was intense, as Bond fled the machine guns of a Spectre helicopter, and fought to the last bullet against the motorboats driven by the villains through the coastal canals and the Gulf of Trieste, all the way to Venice. Since 1991, this area of unspoiled wilderness, with approximately 500 free bears, has been known as Slovenia, and is where the Slovenia-Croatia Route du Bonheur begins. An itinerary with various stops through secular woods and lush natural landscapes, extending all the way to Ljubljana and the Dalmatian coast. It’s one of the 133 worldwide “Roads of Happiness” proclaimed by Relais & Chateaux to bring added value to the associated hotels, and their surrounding attractions. Relais & Chateaux, an association of hoteliers founded in France in 1954, also represents the world’s largest network of chefs, with 760 restaurants worldwide (221 of which have been awarded Michelin stars). Most of these restaurants even produce wine, honey, oil and other extraordinary products, and have their own organic gardens, with synergistic relationships being maintained with the local communities and their producers.
travel Helena Pregelj Tušar / Hotel Relais & Chateau - Kendov Dvorec
IN VIAGGIO VERSO L’ANTICO BORGO DI SPODNJA IDRIJA
ROTTA VERSO I VIGNETI DI BALE
Entrati in Slovenia da Trieste, si raggiunge Potoce nella Valle del Vipava, dove si può visitare la tenuta vinicola Tilia di Melita e Matjaž Lemut e assaggiare gli ottimi Rebula e Pinot. Giunti a Spodnja Idrija, un borgo che risale a 800 anni fa, con un maniero del 1377, si fa tappa all’Hotel Relais & Chateau - Kendov Dvorec, 11 camere eleganti, con legni intarsiati e soffitti a cassettone, dove si fa la conoscenza di Helena Pregelj Tušar, maître de maison. La sontuosa cena tipica, preparata dallo Chef Klavdij Pirih è a base di trota di Trebušcica con polenta e olio di oliva istriano; Smukavc, una zuppa locale di cavoli e patate; Žlikrofi, una pasta ripiena di cervo e finferli; e Štruklji, un rotolo di pasta di grano saraceno dolce. Breakfast da non perdere, con i salumi e formaggi locali, e una degustazione di 9 mieli differenti prodotti in zona.
Si raggiunge Bale (in italiano, Valle), un villaggio istriano, dove soggiornò anche Casanova, che vanta oltre il 30% di popolazione di origine italiana, costruito intorno al castello medioevale, dalle famiglie nobili Soardi e Bembo nel XV secolo. Si soggiorna al Meneghetti Wine Hotel & Winery, un resort country chic, realizzato nei pressi della costa, con un accomodation di alto profilo, e 24 camere di nuova concezione. La maître de maison Suzana Vriticevic Tica, vi accompagna a visitare l’intima e tranquilla dimora, la spa, la spiaggia, i vigneti e l’azienda vinicola, concludendo il mini tour con una degustazione con i vini e gli oli della tenuta. L’executive chef Fabio Vitale e la pastry chef Dragana Kovacevic, propongono una cucina mediterranea decisamente confort food, con prodotti e piatti istriani e italiani, come la tartar di manzo con tartufo, le Linguine My Way, la Guancia di manzo con gli gnocchi; il gelato di olive nere e cioccolato extra-dark, parfait alla vaniglia, olive disidratate.
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A journey to the ancient village of Spodnja Idrija Upon entering Slovenia from Trieste, we come to Potoce, in the Vipava Valley, home of the Tilia di Melita e Matjaž Lemut winery, where visitors can sample the excellent Rebula and Pinot wines. Once in Spodnja Idrija, a village with a manor house built in 1377 and a history that dates back 800 years, we stop at the Hotel Relais & Chateau - Kendov Dvorec, boasting 11 elegant rooms, with inlaid wood and coffered ceilings, where we meet the maître de maison, Helena Pregelj Tušar. The sumptuous traditional dinner, prepared by Chef Klavdij Pirih, features Trebušcica trout with polenta and Istrian olive oil; Smukavc, a local soup made with cabbage and potatoes; Žlikrofi, pasta stuffed with venison and chanterelle mushrooms; and Štruklji, a sweet roll made with buckwheat flour. The breakfast, with local charcuterie, cheese, and a sampling of 9 different honeys produced in the area, is absolutely not to be missed. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
Heading towards the Bale vineyards We come to Bale (Valle, in Italian), an Istrian village where Casanova once stayed, with a population 30% of Italian origin, built around a medieval castle by the noble Soardi and Bembo families in the 15th century. We check in to the Meneghetti Wine Hotel & Winery, a country chic resort built near the coast offering high profile accommodations with 24 recently renovated rooms. The maître de maison, Suzana Vriticevic Tica, accompanies us on a tour of the quiet and intimate residence, followed by the spa, the beach, the vineyards and the winery, culminating with a sampling of the estate’s wines and oils. Executive chef Fabio Vitale and pastry chef Dragana Kovacevic offer comfort-food style Mediterranean cuisine, with Istrian and Italian products and entrées, including beef tartare with truffles, linguine My Way, beef cheek with gnocchi, black olive and extra-dark chocolate gelato, vanilla parfait, and dehydrated olives.
IL MARE DELLA CROAZIA
The Croatian sea We come to Opatija, (Abbazia, in Italian), an ancient fishing village that’s now become the most important tourism centre in all of Istria, where visitors can stroll along the 12 kilometres of illuminated waterfront, visit the vast green parks, and admire the buildings in typical Belle Époque style. The maître de maison, Mercedes Serafimova, welcomes us upon our arrival at the restaurant Hotel Bevanda. A contemporary style Hotel, featuring ten exclusive suites with designer furnishings, each named after the celebrities who have stayed in Opatija, like Joyce, Einstein and Puccini. The cuisine, inspired by chef Damir Tomljanovic, offers a wide range of meat and seafood dishes, and dinner is served on the panoramic veranda overlooking the nearby river and the neighbouring islands.
FUGA TRA I BOSCHI SLOVENI Si torna in Slovenia, a Otocec, per soggiornare all’Hotel Grad Otocec, unico maniero in riva all’acqua della Slovenia, collocato su un’isola al centro del fiume Krka. 16 camere, dove soggiornarono Tito, Mitterrand, Alberto di Monaco, Richard Burton e Roger Moore. Si visita la struttura, il parco e il campo da golf 18 buche, con il maître de maison Marko Dežman. Dopo l’aperitivo nella suggestiva Vinoteca, si cena con i piatti dello chef Nejc Ban, la Tartar di cervo, aceto di mele e barbabietola; gli Žlikrofi con salsa al formaggio di capra; il pudding con lavanda, more e fichi. A getaway into the Slovenian woods We head back to Slovenia, to Otocec, where we check in at the Hotel Grad Otocec, Slovenia’s only waterfront manor house, located on an island in the middle of the river Krka. The hotel features 16 rooms, which have accommodated the likes of Tito, Mitterrand, Alberto di Monaco, Richard Burton and Roger Moore. Maître de maison Marko Dežman accompanies us on a tour of the structure itself, as well as the park and the 18-hole golf course. After an aperitif in the picturesque vinoteca, we sit down to dinner with the entrées of chef Nejc Ban, featuring venison tartare with apple cider vinegar and beetroot; Žlikrofi with goat cheese sauce; and pudding with lavender, blackberries and figs. JAMESMAGAZINE.IT
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Arrivati a Opatija, (in italiano chiamata Abbazia), un antico villaggio di pescatori, che oggi è il centro turistico più rilevante dell’Istria, si può passeggiare sui 12 chilometri di Lungomare illuminato, visitare i grandi parchi verdi e ammirare i tipici edifici in stile belle époque. E’ la maître de maison Mercedes Serafimova, a fare gli onori di casa al ristorante Hotel Bevanda. Un Hotel in stile contemporaneo, con dieci esclusive suite e oggetti di designer, intitolate ai famosi che soggiornarono a Opatija, come Joyce, Einstein, Puccini. La cucina, ispirata dallo chef Damir Tomljanovic, offre un’ampia scelta di piatti di mare e di terra, e si cena sulla panoramica veranda che guarda alla vicina Fiume, e alle isole vicine.
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di Bruno Petronilli
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Seefeld è una località unica del Tirolo austriaco che racchiude in sé un piccolo universo di bellezza e benessere. Un nome facile e intuitivo, che letteralmente tradotto significa “il campo del lago”, che già ispira pace, serenità, beatitudine. Ma dietro la semplice terminologia c’è un progetto molto complesso, che da qualunque parte lo si guardi, parla di evasione, vacanza, relax. Seefeld è a due passi dall’Italia, una cittadina tranquilla, dove si respira la cultura dell’accoglienza in ogni angolo. E dopo il primo soggiorno è difficile resistere alla tentazione di tornarci presto. Ecco qual è il segreto più importante che Seefeld custodisce con amore: il calore assoluto delle persone che ti ammanta in ogni momento, quell’ospitalità vera, profonda e sincera che come un vestito su misura ti viene consegnato il primo girono che arrivi e che riporterai in valigia al tuo ritorno, riponendolo nel tuo armadio, insieme ai ricordi. E da indossare nuovamente alla prima occasione. Difficile non innamorarsi di Seefeld. Qui vige un sistema di offerta turistica di straordianrio livello a tutto tondo. Per chi ama lo sci, specialmente il fondo, dichiariamo subito che siamo in un vero “paradiso”. La natura è la cornice che fa da sfondo ad ogni sguardo. I servizi, di primissimo livello. Difficile desiderare di più.
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The Secret of Seefeld
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Seefeld is a unique little place nestled within Austria’s Tyrol region, where visitors will discover a small universe of beauty and personal wellness. An easy and intuitive name, whose literal translation (meaning “field of the lake”) already inspires an air of peace, serenity and happiness. But behind the simple terminology lies a much more complex design... one that exudes a sense of freedom, vacation, and relaxation everywhere you look. Seefeld is just a stone’s throw from Italy. It’s a quiet little town where a culture of hospitality radiates from every corner. And after your first stay it’s hard to resist the temptation to go back again soon. This is the most important secret that Seefeld cherishes with love: the absolute warmth of the people who surround you at all times... that true, profound and sincere sense of hospitality, which, like a tailor-made suit, is given to you on the day you arrive, and that you’ll bring back with you in your suitcase when you return, keeping it safe in your closet, along with your other memories. It’s to be worn again the first chance you get. It’s hard not to fall in love with Seefeld. Here there’s an all-round offering of tourism services at an exceptional level. We can tell you right away that, for cross-country skiing enthusiasts, this is a true “paradise”. The natural scenery creates a picturesque backdrop everywhere you look. And the local services are of an exceptional level. It’s hard to ask for more.
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È noto come “Regione Olimpica” il territorio di Seefeld, grazie alle sue strutture che hanno ospitato i recenti Campionati Mondiali di Sci nordico. Un quadro incastonato dal mondo alpino, fra il parco naturale del Karwendel, i monti del Wetterstein e la zona protetta del Wildmoos. La regione è l’eden per gli amanti dello sport e comprende le località di Leutasch, Mösern/Buchen, Reith, Scharnitz e Seefeld. E’ facile intuire come l’offerta invernale sia centrale per Seefeld, con il suo candore perenne: sull’altopiano assolato ben 37 km di piste, 34 impianti di risalita e la garanzia di neve fino a fine marzo. Ma è con oltre 279 km di piste preparate per il fondo che la Olympiaregion Seefeld brilla come la meta più ambita d’Europa per questa disciplina. La nostra attenzione si è concentrata però su un altro aspetto fondamentale di Seefeld, che idealmente la pone come obiettivo di una vacanza in ogni periodo dell’anno, il benessere. Innumerevoli Resort offrono la possibilità di soggiorni indimenticabili, punti di eccellenza in un contesto naturale incredibile, in cui anche una semplice passeggiata sul lungo lago o in montagna rappresenta una terapia per il corpo e per l’anima. Ne abbiamo visitati quattro, tutti diversi per caratteristiche e tipologia di offerta. Ma tutti accomunati dalla medesima peculiarità: farti vivere, per qualche giorno, un’esperienza indimenticabile.
La natura è la cornice che fa da sfondo ad ogni sguardo
THANKS to its facilities that recently hosted the Nordic World Ski Championships, the Seefeld area has come to be known as the “Olympiaregion”. An idyllic landscape immersed within the Alpine world, amid the Karwendel nature park, the Wetterstein mountains, and the Wildmoos nature reserve. The region is a paradise for sports enthusiasts, and encompasses the towns of Leutasch, Mösern/Buchen, Reith, Scharnitz and Seefeld. Famous for its snow, Seefeld naturally attracts large numbers of tourists in the wintertime: the sunny plateau boasts 37 km of slopes and trails, 34 lifts, and guaranteed snow until late March. But it is thanks to its over 279 km of cross-country skiing trails that the Seefeld Olympiaregion has become Europe’s most coveted destination for this sport. But we focused our attention on another fundamental aspect of Seefeld... one that renders it an ideal holiday destination all year round: personal wellness. Countless local resorts offer excellent services and unforgettable accommodations in an extraordinary natural setting, where even a simple stroll along the lake or hike in the mountains can be therapeutic for both the body and the soul. We visited four of them, all offering different features and services. But all of them shared the same goal: to ensure that your stay is an unforgettable experience.
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The natural scenery creates a picturesque backdrop everywhere you look
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ASTORIA RESORT SEEFELD
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L’Astoria Resort Seefeld è un “sogno” a due passi dal centro di Seefeld. Quando varchi la soglia del Resort ti sembra di entrare in un luogo senza tempo. Hai la percezione di vivere nel moderno, ma comprendi di essere in un luogo “storico”. Questa suggestione si traduce con una semplice parola: “classe”. Ecco, l’Astoria è “pura classe” a 360°, grazie ai mille dettagli di cui forse non hai la completa percezione, ma che contribuiscono a creare un’atmosfera unica. L’Astoria è il risultato di un mix equilibrato di lusso, tradizione e innovazione, nel quale confluiscono l’expertise alberghiera viennese di altissimo livello e l’autentica accoglienza fatta di mille attenzioni e gioia di vivere tipica del Tirolo austriaco. Un vero gioiello Alpine Chic di rara bellezza, in grado di dettare gli standard contemporanei dell’alta ospitalità: è, a ragione, uno dei migliori hotel dell’Austria. E l’Astoria ha il volto luminoso e affettuoso di Elisabeth Gürtler, Grand Dame dell’hôtellerie viennese e anche proprietaria dell’Hotel Sacher Wien. E’ lei che ha dipinto ogni angolo di questa “casa” incantevole, esaltando ogni dettaglio che sa regalare pure emozioni. Dicevamo del culto dell’accoglienza di Seefeld. L’Astoria è un esempio di come si possa porre a proprio agio il cliente e soddisfare ogni sua legittima pretesa di benessere. Con le sue 82 lussuose camere e oltre 4.700 mq di centro benessere costituito da Spa-Chalet e Astoria Aktive Alpine Spa, è facile farsi “imprigionare” per tutta la durata del soggiorno. Ma se una passeggiata è d’obbligo per ammirare la bellezza di Seefeld, è altrettanto piacevole il rientro all’Astoria, con il suo silenzio e il suo calore. La Spa la meta in cui abbandonarsi all’ozio e al risposo, con una piscina interna collegata a quella esterna, ambedue riscaldate tutto l’anno, un idromassaggio con acqua salina al 4% riscaldato a 34 gradi, una vasca esterna riscaldata di 20 metri, un laghetto naturale di ben 800 metri quadri con annessa spiaggia alpina attrezzata con comode sdraio, una ricca varietà di bagni a vapore e saune dove esperti “Saunameister” tirolesi, ovvero maestri qualificati nelle tipiche gettate di vapore, garantiscono esperienze indimenticabili. Impossibile desiderare di più. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
The Astoria Resort Seefeld is a “dreamlike” facility located just a stone’s throw from the centre of Seefeld itself. When you walk through the doors to the Resort, it feels like you’ve entered a place where time stands still. While you perceive the modern day luxuries, you nevertheless get a sense that you’re in a “historical” place. This concept is best conveyed by one simple term: “class”. Well, the Astoria is “pure class” all-round, thanks to the thousand details that you may not even fully perceive, but that contribute to create the unique atmosphere. The Astoria is the result of a well-balanced combination of luxury, tradition and innovation, where exceptional Viennese hotelier expertise and the authentic hospitality and joy of living typical of the Austrian Tyrol are brought together. A true Alpine Chic gem of rare beauty, capable of dictating the modern standards of superior hospitality: it is rightly considered to be one of the best hotels in all of Austria. And the radiant and affectionate face behind the Astoria is that of Elisabeth Gürtler, Grand Dame of Viennese Hôtellerie, and owner of the Hotel Sacher Wien. She’s the one responsible for every corner of this enchanting “house”, bringing out every breathtaking detail. Like we were saying, in Seefeld hospitality is an obsession. The Astoria is an excellent example of how a hotel can put a guest at ease and satisfy each of their needs in terms of personal wellness. With its 82 luxurious rooms and a wellness centre of over 4,700 m2, consisting of the Spa-Chalet and the Astoria Aktive Alpine Spa, it’s easy to spend the entire duration of your stay indoors. But if you should feel the need to get out for a stroll, and admire the beauty of Seefeld, your return to the warmth and silence of the Astoria will be just as pleasant. The Spa is the ideal place in which to indulge in rest and relaxation, with an indoor pool connected to the outdoor one (both of which are heated all year round), a whirlpool with 4% salt water heated to 34 degrees, a 20-metre heated outdoor pool, an 800 square metre natural lake with an adjoining alpine beach equipped with comfortable deckchairs, and a wide variety of steam baths and saunas, where Tyrolean “Saunameisters” (qualified experts in the field of traditional steam jets) guarantee unforgettable experiences. What more could you possibly want?
Astoria Resort Seefeld Geigenbühelstraße 185 6100 Seefeld in Tirol www.astoria-seefeld.com
KRUMERS POST
Krumers Post Dorfplatz 25 6100 Seefeld in Tirol www.krumers.com JAMESMAGAZINE.IT
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Per chi invece desidera vivere nel cuore pulsante di Seefeld consigliamo un soggiorno al Krumers Post, hotel quattro stelle superiore che affaccia proprio sulla piazza centrale della cittadina tirolese. L’ubicazione e lo straordinario rapporto qualità/prezzo fanno del Krumers un luogo ideale per una vacanza rilassante a tutto tondo. Dimentichi l’orologio al Krumers, che ti indulge ad afferrare un libro e a perderti in lunghe e tranquille letture. Poi magari una passeggiata nel centro, ad ammirare, in stagione, i mercatini o qualche ora di shopping negli innumerevoli e accoglienti negozi del centro storico. Magari ci si può spingere fino al lago di Seefeld, a pochi minuti di cammino per poi ritornare al Krumers e ritemprarsi nella grande Spa, fiore all’occhiello della struttura, come d’altronde di ogni hotel qui a Seefeld. Ecco, infatti, un altro comune denominatore dell’offerta turistica di Seefeld: le Spa. Un requisito imprescindibile da offrire ai propri clienti e soprattutto un elemento distintivo che rende la località meta turistica in ogni momento dell’anno. La Spa del Krumers vanta una scenografica piscina interna e un idromassaggio riscaldato con vista panoramica sconfinata sulle montagne e le piste da sci. Il trattamento “La forza del cirmolo” è un vero rituale che dura quasi dure ore, in grado di infondere profondo benessere a chiunque. Inizia con un peeling al sale montano del Karwendel ammorbidito da un voluttuoso olio di pino cembro biologico, dalle proprietà rilassanti, disinfettanti e supercalmanti e termina con un massaggio lunghissimo e distensivo. Quasi due ore di puro benessere che possono continuare da un punto di vista strettamente gastronomico, nell’accogliente ristorante dell’Hotel. L’aspetto culinario è l’ennesimo tassello vincente di Seffeld: ogni struttura, come il Krumers, offre tradizione, classicità, ma anche vere esperienze gourmet. Oltre alle rinomate colazioni ricchissime e gustose, e le altrettante “merende” pomeridiane, veri banchetti luculliani.
For those who want to immerse themselves in the heart of this Tyrolean town, we recommend staying at Krumers Post, a 4-star superior hotel overlooking Seefeld’s central square. The location and the outstanding value for the money make the Krumers an ideal place for spending an all-round relaxing vacation. Time seems to stand still at the Krumers, and the atmosphere invites you to sit down with a good book and indulge yourself in long, relaxing reading sessions. Then perhaps a stroll through the town centre, to admire the seasonal markets, or to spend some time shopping at the quaint little shops in the old town. Perhaps you might even take a few minutes to venture up to Seefeld Lake, and then come back to the Krumers to warm back up at the Spa, which, like for every hotel here in Seefeld, is the facility’s flagship amenity. In fact, the Spa is another common element found among most of Seefeld’s hotel facilities. It’s an absolute must to be offered to guests, and, above all, is a distinctive element that renders the resort a yearround tourist destination. The Krumers Spa features a picturesque indoor swimming pool and a heated jacuzzi with sweeping panoramic views of the mountains and ski trails. The “Forza del Cirmolo” treatment is a true ritual that lasts almost two hours, and is capable of instilling anyone with a profound sense of personal well-being. It begins with a peeling with Karwendel mountain salt, softened by a sensuous organic stone pine oil, with relaxing, disinfecting and super-calming properties, and ends with a long, pleasant massage. Almost two hours of pure personal wellness, which, from a strictly culinary point of view, can be continued at the Hotel’s intimate restaurant. In fact, the culinary aspect is another excellent feature that Seffeld has to offer: every facility offers traditional and classic dining, as well as true gourmet experiences, and the Krumers is no exception. Not to mention the vast and flavourful breakfasts, and the wide range of afternoon “snacks” for which they are renowned.
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NIDUM CASUAL LUXURY HOTEL Il Nidum merita un discorso a parte rispetto alle atmosfere classicheggianti delle strutture alberghiere di Seefeld. E’, innanzitutto, un progetto di design di grande fascino. Il Nidum è decentrato rispetto al centro della città, incastonato in un’oasi di pace senza confini. L’architetto austriaco Arkan Zeytinoglu ha immaginato linee pure in sintonia con il paesaggio e poi le ha unite seguendo quei codici di assoluto rispetto per l’ambiente tanto cari al giovane proprietario altoatesino Maximilian Pinzger, che desiderava creare un luogo di benessere a impatto zero, ecosostenibile e privo di costrizioni. Il nome stesso dell’hotel è un ossimoro di ciò che offre: un “nido” di serenità, lussuoso ma assolutamente confidenziale, disinvolto, informale. Qui la giacca non è ben vista, tanto per intenderci. Un luogo perfetto per soggiorni di coppia, alla ricerca di intimità e felicità. Se il lusso non è ostentato e il formalismo non è di casa, tutto è semplicemente perfetto: ogni dettaglio degli arredi, ogni più piccola attenzione verso l’ospite, ogni scelta, anche la più invisibile è mossa dalla sapienza e dal desiderio di accogliere chi sceglie il Nidum in maniera familiare. Grande attenzione ovviamente al wellness con una Spa di 1500 metri quadrati, realizzata in una posizione strategica dell’albergo proprio per garantire la massima privacy a chi decide di ritagliarsi momenti di riservatezza. Le 57 camere tutte con vista panoramica sono le alcove di questa meraviglia, che ha nel lato gastronomico uno dei suoi tanti punti di forza. L’offerta culinaria è di straordinario livello, dalla colazione fino alla cena, grazie alla bravura dello Chef e del suo staff e a una ricerca minuziosa delle materie prime impiegate.
The Nidum distinguishes itself from the classical atmospheres of Seefeld’s other hotel facilities. The facility itself was built according to an extremely aesthetically appealing design. The Nidum is located outside the town centre, nestled within a seemingly endless oasis of peace and tranquillity. Austrian architect Arkan Zeytinoglu imagined pure contours in harmony with the landscape, and then joined them together in complete respect for the environment, in accordance with the wishes of the facility’s South Tyrolean owner, Maximilian Pinzger, whose desire was to create a zero impact and eco-sustainable wellness centre free of restrictions. The hotel’s name is somewhat contradictory to what it offers: a “nest” of serenity that’s luxurious, but at the same time entirely intimate, casual, and informal. Let’s just say that the dress code here doesn't require a jacket and tie. It’s the perfect place for a pleasant and intimate romantic getaway. And if you’re not the kind of person who demands absolute luxury and formalism, everything is simply perfect: each detail of the furnishings, every choice and accommodation made, even those that pass unobserved, is driven by the wisdom and the desire to welcome the Nidum’s guests in a familiar manner. A great deal of attention has naturally been devoted to the wellness centre, which boasts a 1500 m2 Spa strategically positioned to ensure the absolute privacy of its patrons. The 57 rooms, all of which feature panoramic views, are the alcoves of this splendid hotel, one of whose many strengths lies in its food services. From breakfast to dinner, the culinary offering is of an exceptional level thanks to the expertise of the Chef and his staff, and their meticulous pursuit of the very best ingredients.
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Nidum Casual Luxury Hotel Am Wiesenhang 1 6100 Telfs www.nidum-hotel.com JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
HOTEL KLOSTERBRÄU & SPA Chiudiamo il nostro magico tour tra le meraviglie dell’hôtellerie di Seefeld con un vero e proprio pezzo di storia del luogo tirolese. L’Hotel Klosterbräu & SPA è qui “soltanto” dal 1516, costruito dall’imperatore Massimiliano I, un tempo appartenuto a un monastero e adiacente alla chiesa di Sant’Osvaldo, nel cuore di Seefeld. Siamo quindi nel fulcro palpitante del borgo, eppure varcata la soglia si piomba in un’atmosfera di ieratica distensione. Date le premesse è facile intuire come al Klosterbräu tutto si declini attraverso canoni estetici e culturali. Un mirabile mix di modernità e tradizione, di classe e accoglienza, di lusso, quello vero, quello che sprigiona valori concreti. Il Klosterbräu è il calssico luogo che si ama vivere, nella lobby, al bar, al ristorante. Che ti accoglie e ti fa vivere un’esperienza unica. Intimità o condivisione, relax o attività di benessere, tutto è pensato e creato per una vacanza indimenticabile, d’altri tempi. La Spa, orgogliosamente ostentata nel nome, è un’esperienza nell’esperienza: Live.Younique®, tra mure antiche, cambierà il vostro concetto di benessere con servizi e trattamenti di straordinario livello. I momenti indimenticabili saranno molti, soprattutto quelli gastronomici, grazie ad un’offerta che in ogni istante della giornata sarà di appagamento totale. Se Seefeld ha molte stelle nel cielo, ne ha altrettante nel suo grembo. Stelle di un piacere memorabile da vivere ogni giorno dell’anno. Il segreto della felicità a due passi da casa nostra.
Our enchanting tour of Seefeld’s extraordinary hotels concludes with a true piece of this Tyrolean town’s history. Built by Emperor Maximilian I, the Hotel Klosterbräu & SPA has been here since 1516, and once belonged to a monastery adjacent to the Church of Sant’Osvaldo, in the heart of Seefeld. It therefore lies directly in the beating heart of the village itself, yet once you cross its threshold you find yourself immersed within an atmosphere of spiritual relaxation. Given its history, it’s not difficult to imagine how everything at the Klosterbräu revolves around aesthetic and cultural canons. A splendid blend of tradition and modernity, class and hospitality, accompanied by a true sense of luxury that exudes concrete values. Whether in the lobby, at the bar, or in the restaurant, the Klosterbräu is the ideal place to relax and enjoy yourself. That welcomes you and offers you a unique experience. Whether you’re in search of intimacy or conviviality, relaxation or personal wellness, everything is conceived and designed to ensure a timeless and an unforgettable holiday. The Live. Younique® Spa is an experience within an experience: enclosed within the ancient walls, it offers services and treatments of an extraordinary level that will change your concept of personal wellness. You’ll enjoy countless unforgettable moments, even of a culinary nature, thanks to an offering designed to satisfy every desire of the palate at any time of day. While the sky over Seefeld is full of stars, there are just as many on the ground, offering unforgettable moments of pleasure to be enjoyed all year round. The Secret to happiness a just stone’s throw from home.
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Hotel Klosterbräu & SPA Klosterstraße 30 6100 Seefeld in Tirol www.klosterbraeu.com
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LA“ROSA ALPI PIÙ BELL di Bruno Petronilli
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San Cassiano in Badia nel cuore delle Dolomiti, luogo di magica bellezza e enclave gourmet per eccellenza, una caratteristica che nasce oramai oltre due decenni fa e che ha fatto da traino ad un fenomeno diffuso in tutto l’Alto Adige. Se oggi questa regione è una stella di vivida grandezza sia da un punto di vista naturalistico che, soprattutto, da un punto di vista enologico e gastronomico, molto lo si deve proprio all’esempio di luoghi come il Rosa Alpina, pioniere assieme ad altri, di una rivoluzione tutta all’insegna dell’eccellenza e della qualità. Il Rosa Alpina è un intimo e spettacolare rifugio di bellezza e lusso non ostentato: 18 camere, 30 Junior Suite e Suite, 1 Penthouse e 1 Chalet Zeno, 3 ristoranti, una zona wellness per famiglie e una per soli adulti, poi una libreria, un cinema, una sala biliardo, una palestra, una sala Yoga e anche due baite a 2.000 metri di altitudine. Le Dolomiti la cornice incomparabile di cotanto seducente incanto e se resistete alla tentazione di abbandonare i dorati anfratti del rosa Alpina, le possibili alternative sono molteplici, dalle camminate alle scalate, dal ciclismo da strada alla mountain, per non parlare poi dello sci ovviamente. Ma siccome personalmente ho appeso gli sci e le ciaspole al chiodo da un bel pezzo, ho preferito vivere il mio soggiorno al Rosa Alpina cullato da un’atmosfera e un servizio incomparabili, per vivere ore di semplice e puro godimento. Gli arredi eleganti e accoglienti di ogni angolo del Rosa Alpina sono una panacea per gli occhi e per l’animo. Ma il ricordo che serbo con maggiore emozione sono i sorrisi delle donne e degli uomini che lavorano qui per rendere ogni istante dell’ospite speciale e indimenticabile. Un calore umano e una professionalità che non scorderò mai. D’altronde il Rosa Alpina é JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
di proprietà della Famiglia Pizzinini da generazioni. Mariangelo Pizzinini comprò un‘osteria nel 1939 e nei decenni a seguire anche l‘annesso maso che venne trasformato da lui assieme al figlio Paolo in un hotel. Oggi Hugo Pizzinini gestisce assieme a sua moglie Ursula l‘azienda con più di 100 collaboratori con un approccio internazionale ma con lo spirito familiare di sempre. Se vi scorderete dell’orologio solo soggiornando nella vostra suite, magari ammirando il panorama dalla terrazza, l’alternativa sono piacevoli chiacchierate negli ambienti comuni, impreziositi da materiali tradizionali con pezzi selezionati di design. Poi arriva il momento della cena e qui si apre un universo di sensazioni difficili da descrivere. “I piatti rivelano la personalità dello chef. Quelli di Norbert Niederkofler, del ristorante St. Hubertus, sanno raccontare mille e una storia. I protagonisti sono la natura, la cultura e i gusti schietti e intensi delle sue montagne, la passione e la fatica quotidiana dei contadini e degli allevatori, la qualità eccelsa dei loro prodotti, le tradizioni e i metodi tramandati, il calore dei masi, il desiderio di viaggiare per imparare e di ritornare per ritrovare il proprio stile di vita, l’impegno, la cura, la costanza che si sposano con l’entusiasmo e la leggerezza. Nei piatti di Norbert Niederkofler si gustano questi sapori, si vedono le montagne, si ascoltano queste storie. L’incontro con questa cucina non è un pasto, ma un’indimenticabile esperienza umana. Per gli ispettori Michelin, tre stelle emozionanti”. Ecco come la “rossa” descrive il regno di Rorbert Niederkofler, quel Sant’Hubertus che ho avuto la fortuna di frequentare tanti anni fa per la prima volta e di cui già allora si intuivano le immense potenzialità. Lo stile e la filosofia di Norbert sono cambianti con il tempo, percorrendo un intenso viaggio verso un minimalismo e un’eccellenza che ha pochi altri esempi in Italia. Una tavola magica, dove la ricerca degli aspetti più reconditi e profondi dell’alta cucina ha raggiunto livelli impensabili. E dove si raggiunge il punto più alto di un’emozione senza fine.
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Rosa Alpina Hotel & Spa Strada Micurá de Rue, 20 39036 San Cassiano in Badia (BZ) www.rosalpina.it JAMESMAGAZINE.IT
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The most beautiful “Alpine Rose”
San Cassiano in Badia, in the heart of the Dolomites, is a place of enchanting beauty and a gourmet enclave par excellence, and has been known as such for almost two decades, on the heels of a widespread phenomenon that swept the entire Alto Adige region. And the fact that this region has become renowned for both its naturalistic attractions and its oenological and culinary offerings is largely is due to the example set by places like the Rosa Alpina, which, among others venues, launched a revolution in pursuit of absolute quality and excellence. The Rosa Alpina is an intimate and spectacular haven of beauty and modest luxury: 18 rooms, 30 Junior Suites and Suites, 1 Penthouse and 1 Chalet Zeno, 3 restaurants, one family and one adults-only wellness area, not to mention a bookstore, a cinema, a billiard room, a gym, a yoga room, and even two huts at 2,000 meters in altitude. The Dolomites serve as the breathtaking backdrop to all this, and if you’re able to resist the temptation to remain within the golden confines of the Rosa Alpina, there are numerous outdoor activities available, including hiking, climbing, cycling, mountain biking, and, naturally, skiing. But since I personally hung up my skis and snowshoes a long time ago, I decided to spend my stay at the Rosa Alpina immersing myself within the extraordinary atmosphere and service, for hours of pure and simple enjoyment. The cozy and elegant furnishings throughout every corner of the Rosa Alpina are therapeutic for both the eyes and the soul. But my fondest memory are the smiles of the men and women who work there, who strive to make every moment special and unforgettable for the guest. It’s a warmth and professionalism that I’ll never forget. Then again the Rosa Alpina has been owned by the Pizzinini family for generations. Mariangelo Pizzinini bought a tavern in 1939, and over the following decades purchased the adjoining farm as well, which he and his son, Paolo, transformed into a hotel. Today, the company has over 100 employees and is managed by Hugo Pizzinini along with his wife, Ursula, who have adopted an international approach, but with the same family spirit as always. If the time doesn’t slip your mind while staying in your suite, perhaps while simply admiring the view from the terrace, you might want to enjoy a pleasant chat in the common areas, which have been embellished with traditional materials and designer furnishings. When it’s time for dinner, guests will find themselves faced with a vast range of tempting choices. “A chef's dishes reflect his personality. And those of Norbert Niederkofler, at the St. Hubertus Restaurant, tell a thousand and one tales. The main themes are the natural surroundings, the culture, and the intense flavours of these mountains, the passion and the daily hardships of the farmers and breeders, the excellent quality of their products, the traditions and methods handed down for generations, the warmth of the farms, the desire to travel in order to learn, and to return to rediscover your lifestyle, the dedication, the care, and the consistency, which are combined with enthusiasm and a carefree attitude. In the dishes of Norbert Niederkofler, you can taste those flavours, admire those mountains, and listen to those stories. An encounter with this cuisine is more than dining... it’s an unforgettable human experience. The Michelin inspectors awarded him three big stars.” These are the words with which the Michelin guide describes the reign of Norbert Niederkofler, that Saint Hubertus chef who I had the good fortune to encounter for the first time many years ago, and whose immense potential was already apparent at the time. Norbert’s style and philosophy have changed over time, and have continued down a pathway of minimalism and excellence that few others in Italy have been able to achieve. An extraordinary dining experience, in which the pursuit of the most obscure and profound aspects of haute cuisine has reached almost unimaginable levels. It’s where the climax of endless pleasure is reached.
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absolute wellness di Bruno Petronilli
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Normalmente esistono magnifici hotel con Spa, e più raramente magnifiche Spa con hotel. Il Tratterhof appartiene a questa seconda categoria. A 1.500 metri di altitudine nella soleggiata località di Maranza in Alto Adige, l’Hotel Tratterhof si affaccia sul panorama mozzafiato delle Dolomiti e della Valle Isarco. Dichiariamo subito che questa è una vera e propria oasi per rigenerare mente e corpo grazie ad un’area wellness di ben 3.500 metri quadrati. Certo, il luogo, invita ad attività sciistiche ed escursioni. Ma è il benessere il segno distinivo di questa meravigliosa struttura. Il Tratterhof ti offre il lusso di dedicare tempo a noi stessi, merce assai rara dati gli attuali stili di vita a cui siamo abituati. Una filosofia esistenziale che da oltre trent’anni la famiglia Gruber-Hinteregger garantisce ai suoi ospiti. Il nome deriva dal tedesco antico “Tratte” che significa “il più piccolo maso del luogo”: proprio da questo piccolo maso nel 1981 viene ricavata la struttura che ha poi dato vita all’hotel Tratterhof. I dettagli lineari e moderni e gli arredamenti con il legno della regione come l’abete rosso, il larice e il cirmolo, conferiscono agli ambienti interni un’atmosfera accogliente e preziosa: il Tratterhof è membro dei Belvita Leading Wellnesshotels Südtirol, che riunisce i migliori hotel wellness dell’Alto Adige. L’area wellness e benessere “Monte Silva” offre 8 saune, 2 piscine e un’oasi relax in un meraviglioso contesto verde. E qui le giornate scorrono lente e rilassanti, tra momenti di intimità e sollievo. Anche l’alimentazione dell’hotel segue i principi del benessere: la cucina si compone di soli ingredienti genuini con un’attenzione particolare alle intolleranze alimentari. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
While it’s not unusual to find a magnificent hotel with a Spa, it’s somewhat rare to encounter a magnificent Spa with a hotel. The Tratterhof falls under this latter category. At 1,500 metres in altitude, in the sunny village of Maranza in the South Tyrol region, the Tratterhof Hotel overlooks the breathtaking scenery of the Dolomites and the Eisacktal Valley. It’s a true oasis for regenerating the body and mind, thanks to a wellness area spanning 3,500 square metres. The location naturally attracts a large number of hikers and skiers. But this amazing facility is entirely dedicated to the pursuit of personal wellness. The Tratterhof offers you the luxury of dedicating time to yourself, which is extremely rare given the current lifestyles to which we’re accustomed. An existential philosophy that the Gruber-Hinteregger family has been offering its guests for over thirty years. The name is derived from the old German term “Tratte”, which means “the smallest local farm”: yet it was precisely at this small farm that the facility was established in 1981, which would later give rise to the Tratterhof hotel. The modern, linear contours and the furnishings made from local spruce, larch, and Swiss pine wood give the interiors a warm and elegant appeal: the Tratterhof is a member of the Belvita Leading Wellnesshotels Südtirol, a group that unites the South Tyrol region’s best wellness hotels. The “Monte Silva” wellness area features 8 saunas, 2 swimming pools,
Bergidyll Hotel Tratterhof Großbergstr 6 Maranza 39037 Rio di Pusteria www.tratterhof.it JAMESMAGAZINE.IT
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Lo chef della “culina alpina” predilige prodotti locali e regionali di prima qualità. Le sue combinazioni tra cucina tradizionale e cucina moderna e mediterranea per molti ospiti sono motivo a sé stante per ritornare qui al Tratterhof. Tra le otto saune della Spa “Monte Silva” particolarmente esclusiva è l’Outdoor-Event-Sauna, la sauna finlandese esterna (con luci stroboscopiche, musica ed effetti fumo), la più grande dell’hotel. Caratterizzata da una temperatura di 80-90 gradi, ogni venerdì è anche “night sauna” con l’apertura dalle 18.00 alle 22.30 durante la quale vengono effettuate tre gettate di vapore. Nella Biosauna dress-on la temperatura di 60 gradi consente l’ingresso anche alle famiglie con bambini, e nelle due saune a raggi infrarossi il calore della luce regala numerosi benefici in particolar modo alla schiena. Questo tipo di sauna è disponibile anche in alcune delle suite dell’hotel, l’ideale per chi non ama frequentare le saune di gruppo. Nello splendido Chalet Monte Silva è disponibile una sauna finlandese con vista panoramica. Oltre all’incredibile mondo delle saune, la grande Spa “Monte Silva” offre un magnifico universo acquatico per rilassarsi o nuotare: una grande piscina interna ed un’altra esterna, entrambe aperte già dalla prima mattina, la cui acqua, grazie ai sofisticati impianti a clorozono Ospa, risulta altamente igienica e dall’elevato contenuto di ossigeno. Nel giardino dell’hotel l’Infinity-Pool permette, sia in estate che in inverno, di godersi una sana nuotata sotto il cielo dell’Alto Adige e lo sguardo rivolto alle Dolomiti della Valle Isarco e con i suoi 12,5 metri si presta perfettamente ad essere percorsa in tutta la sua lunghezza, per un intenso momento di pace e relax.
and a relaxing oasis in a beautiful green setting. Here, the days pass slowly and peacefully, amid moments of comfort and intimacy. Even the hotel’s culinary services adhere to the principles of personal wellness: The cuisine consists exclusively of genuine ingredients, with special attention being paid to food intolerances. The chef of the “Culina Alpina” restaurant prefers top quality local and regional products. For many guests, his combination of traditional cuisine with modern and Mediterranean cuisine alone constitutes an excellent reason to come back to the Tratterhof. Among the “Monte Silva” Spa’s eight saunas, the hotel’s largest, the Outdoor-Event-Sauna (a Finnish outdoor sauna with strobe lights, music and smoke effects) is particularly exclusive. Featuring a temperature ranging from 80 to 90 degrees, every Friday from 6:00 pm to 10:30 pm it also becomes a “night Sauna”, during which time three jets of steam are generated. The temperature of 60 degrees in the Dress-On Biosauna even allows access for families with children, while the warmth of the light in the two infrared saunas provides for numerous physical benefits, especially for the back. This type of sauna is also available in some of the hotel’s suites, ideal for those who would rather enjoy a sauna in private. A Finnish sauna with panoramic views can be found at the beautiful Chalet Monte Silva. In addition to the incredible range of saunas, the large “Monte Silva” Spa offers a magnificent series of water features for swimming or relaxation: a large indoor swimming pool and another outdoors, both open early in the morning, whose water is highly hygienic and has a superior oxygen content thanks to the use of sophisticated Ospa chlorozone systems. The 12.5 metre long Infinity-Pool in the hotel’s garden allows guests to enjoy a healthy swim beneath the South Tyrol sky, while admiring the Dolomites of the Eisacktal Valley, during both summer and winter, for intense moments of peace and relaxation.
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GRAND HOT FASANO AI VERTICI DELL’OSPITA di Luca Bonacini foto di Roberto Carnevali
The Grand Hotel Fasano, the peak of hospitality
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“Non è possibile esprimere a parole l’incanto di questa lussureggiante riviera”. Così Goethe, in viaggio verso Verona, descriveva Gardone Riviera e i paesi limitrofi, nel settembre 1786. Fin dai tempi del Grand Tour, oltre due secoli fa, la celeberrima località del Lago di Garda, è meta di un turismo colto ed elitario, richiamato dalla bellissima e frastagliata costa, dal clima mite e dalle splendide acque blu-pavone. Una solida tradizione alberghiera caratterizza questa località, dove spicca per fascino ed eleganza il Grand Hotel Fasano, 130 anni dalla sua fondazione che non accusano per nulla lo scorrere del tempo, grazie alla dedizione della famiglia Mayr, proprietaria dell’hotel da tre generazioni. Eretto in stile neoclassico nel 1888, fu residenza estiva di Francesco I D’Austria e dal 1989 è Patrimonio Nazionale dal Ministero dei Beni Culturali. Tanti gli illustri ospiti, che figurano nel libro d’oro, a partire da Gabriele D’Annunzio rimasto così colpito dalla bellezza dell’hotel, da vergare una lunga dedica. Ma anche lo scrittore tedesco Paul Heyse, premio Nobel per la letteratura nel 1910, o l’artista Gustav Klimt, che sostò nel 1913, senza dimenticare l’attrice bambina Shirley Temple, Marcello Mastroianni e Federico Fellini. Nel corso dei due conflitti mondiali, l’hotel mutò in ospedale militare, venne sequestrato dal comando tedesco, poi dalla Quinta Armata Americana e infine dagli Inglesi, per riaprire finalmente nel 1948 in tutta la sua sfolgorante bellezza. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
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“Words cannot express the charm of this lush riviera.” These are the words with which Goethe described Gardone Riviera and its neighbouring towns during his journey to Verona in September of 1786. Boasting a beautiful jagged coastline, a mild climate, and splendid peacock-blue waters, this famous Lake Garda resort town has been a popular destination for cultured and elitist tourism since the time of the Grand Tour, more than two centuries ago. In this town, which boasts a strong hotel tradition, the Grand Hotel Fasano stands out from the others thanks to its charm and elegance. Despite being build 130 years ago, the building shows few signs of the passage of time thanks to the dedication of the Mayr family, who have owned the hotel for three generations. Built in neoclassical style in 1888, it was the summer residence of Francis I of Austria, and was named a National Heritage Site by the Ministry of Cultural Heritage in 1989. It has hosted many illustrious guests, including with Gabriele D’Annunzio, who was so impressed by the hotel’s beauty that he wrote a lengthy dedication in its honour. Others include German writer Paul Heyse, who won the Nobel Prize for Literature in 1910, artist Gustav Klimt, who stayed there in 1913, the child actress Shirley Temple, Marcello Mastroianni, and even Federico Fellini. During the course of the two World Wars, the hotel was transformed into a military hospital, was subsequently seized by the German command, the United States Fifth Army, and finally the British, and ultimately reopened its doors in 1948, in all of its glory. A luxury 5 star hotel with 84 luxurious rooms and suites, mostly with balconies and lake views, surrounded by a magnificent 12,000 m2 park, 4 restaurants, an American bar, a gourmet boutique, a beach club, and a SPA, which has been recognised as the world’s Best Wellness Resort by Readers Travel Awards. The lifeblood of the Fagiano restaurant is the inspiration and creativity of Chef Matteo Felter. The dishes include Seared cuttlefish with dehydrated tomato and buffalo stracciatella; Duck foie gras scallop with Garda black olive powder, kumquat pulp, gin jelly and basil foam; Smoked Risotto cooked in Grana Padano water with curry, balsamic vinegar powder and Trentino green apple; Panbrioche with grape, chantilly, star anise, and strawberry grape wafer, prepared at the table. The cuisine, which is a reductive to describe as Lake Garda style, does not pose itself any limits, and looks to the Italian regional specialties with respect and curiosity, in a refined mix of tradition and territory, and always with a keen eye on seasonality and wellbeing, through menus that integrate perfectly with the Spa’s personalised fitness programs. JAMESMAGAZINE.IT
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Un hotel 5 stelle lusso, con 84 lussuose camere e suite, in buona parte con balconcino e vista lago, circondate da un magnifico parco di 12.000 mq, 4 ristoranti, un american bar, una bottega gourmet, il beach club, e la SPA, premiato da Readers Travel Awards come migliore Wellness Resort al mondo. Il ristorante Fagiano, vive di luce propria grazie all’estro e alla creatività dello chef Matteo Felter. Tra i piatti, le Seppioline scottate con pomodoro disidratato e stracciatella di bufala; la Scaloppa di foie gras d’anatra con polvere di olive nere del Garda, polpa di kumquat, gelatina al gin e schiuma al basilico; il Risotto affumicato cotto in acqua di Grana Padano con curry, polvere di aceto balsamico e mela verde del Trentino; il pan brioches all’uva, chantilly, anice stellato e cialda all’uva fragola, preparato al tavolo. La cucina, che è riduttivo definire di lago, non si pone steccati, e guarda con rispetto e curiosità alle specialità regionali italiane, in un raffinato mix di tradizione e territorio, mantenendo sempre un occhio attento alla stagionalità e al benessere, attraverso menù che si integrano perfettamente ai programmi personalizzati di remis en forme della Spa.
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Poi il ristorante Magnolia sotto le due ombrose magnolie secolari, la Trattoria del Pescatore, tradizione ittica e mediterranea a seconda del pescato del giorno; il ristorante La Darsena e il beach club, raggiungibili anche dal lago, e il Bar Terrazza, dove sostare per un tè, un infuso, un caffè, e una fetta di torta. Amabile e professionale lo chef Matteo Felter guida l’ospite nell’esperienza, raccontando l’origine dei prodotti e la genesi del piatto, in un proficuo scambio di saperi: “il Grand Hotel Fasano si avvicina sempre di più al concetto di Casa Albergo” ci racconta Matteo “portiamo l’ospite dietro le quinte, per vivere in totale armonia e relax l’intera struttura e farlo sentire a casa. SI può cenare in camera, in terrazza, sotto la magnolia, nella nuova sala o nel ristorante gourmet, scegliendo ciò che più si preferisce”. Tra i punti forti del successo del Gh Fasano, il Gin Lounge, una vera e propria immersione nella mixology, dove le atmosfere sono quelle fin de siècle.
Il ristorante Fagiano, vive di luce propria grazie all’estro e alla creatività dello chef Matteo Felter The lifeblood of the Fagiano restaurant is the inspiration and creativity of Chef Matteo Felter.
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Sul ponte di comando il bartender Rama Redzepi, un percorso professionale di alto livello, la partecipazione a numerosi concorsi internazionali e tanta ricerca, a suo agio tra oltre 50 etichette di gin che arrivano da tutto il mondo e una carta che esplora i grandi classici di ieri e le più contemporanee misture. Tra i drink signature, il “1888”, nato per celebrare i 130 anni del Grand Hotel Fasano, oppure “The Great Temple”, ispirato al cocktail analcolico che beveva l’enfant prodige Shirley Temple. L’ampio e confortevole centro benessere è quello che ci vuole per ritemprarsi dopo una giornata di passeggiate ed escursioni. Esteso su 35.000 mq. attivo in modalità DaySpa tutto l’anno, guarda al lago, ed è dislocato tra l’hotel e il parco, con piscine, saune, bagni di vapore, percorso Kneipp, docce emozionali, zona relax, e trattamenti con essenze di fiori e piante di origine biologica, anti stress, insieme alla rinnovata gim panoramica, per i più sportivi, con attrezzature Technogym di ultima generazione.
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Then there’s the Magnolia restaurant, underneath two shady secular magnolias; the Trattoria del Pescatore, which offers seafood and Mediterranean cuisine, based on the catch of the day; the La Darsena restaurant and beach club, which can even be reached from the lake; and the Bar Terrazza, where visitors can stop for a tea, an infusion, a coffee, and a slice of cake. With his friendly and professional demeanour, chef Matteo Felter guides the guest’s experience, explaining the origins of the products and the genesis of the dish itself, in a fruitful exchange of knowledge: “The Grand Hotel Fasano is increasingly approaching the concept of the House Hotel”, Matteo explains. “We bring the guest behind the scenes, so they can experience the entire facility in total harmony and relaxation, making them feel at home. You can dine in your room, on the terrace, under the magnolia, in the new dining room, or in the gourmet restaurant, wherever you prefer.” One of the strong points of the Grand Hotel Fasano’s success is the Gin Lounge, a true immersion in mixology, which features a turn of the century atmosphere. At the helm is bartender Rama Redzepi, a professional barman of the highest level who, having conducted a great deal of research and taken part in numerous international competitions, finds him self ease among the over 50 gin labels from all over the world, with a menu that explores the great classics of the past, as well as the contemporary mixtures of today. His signature drinks include the “1888”, created in honour of the Grand Hotel Fasano’s 130th anniversary, and “The Great Temple”, inspired by the non-alcoholic cocktail named after child prodigy Shirley Temple. The large and comfortable wellness centre is the ideal place to relax after a busy day of walking and hiking. Extending over an area of 35,000 m2, and available as a Day-Spa year round, it overlooks the lake, and is positioned between the hotel and the park, with swimming pools, saunas, steam baths, a Kneipp path, emotional showers, a relaxation area, and anti stress treatments with organic plant and flower essences, not to mention a recently renovated panoramic gym, for the more athletic, complete with the latest Technogym equipment.
Rama Redzepi / Bartender JAMESMAGAZINE.IT
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Matteo Felter / Chef
Grand Hotel Fasano via Zanardelli, 190 tel. +39 0365.290.220 25083 Gardone Riviera (BS) www.ghf.it
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UNA GEMMA PREZIOSA CHIAMATA di Bruno Petronilli Mi sono sempre chiesto quale sia il reale valore di un viaggio. Non parlo di arricchimento della nostra conoscenza nozionistica, benché meno del suo aspetto economico. Ci sono viaggi straordinari che possiamo fare senza muoverci da casa nostra e ci sono esperienze inutili alla fine di un percorso di migliaia di chilometri in giro per il mondo. Il vero patrimonio che ci lascia in eredità un viaggio è l’esperienza umana ed emotiva che è capace di regalarci. La capacità di filtrare la nostra sensibilità attraverso l’esperienza di altre persone è l’unico modo per addentrarci nei meandri del nostro animo, mettendoci a confronto con persone magari lontanissime dalla nostra cultura e dalla nostra realtà quotidiana, ma che in realtà condividono le stesse paure, le stesse gioie, le stesse sicurezze e gli stessi desideri che ogni giorno descrivono la nostra personale esistenza. E non è affatto necessario parlare la stessa lingua per poter condividere queste esperienze: le relazioni umane si intrecciano con uno sguardo, un sorriso, una suggestione. Lo Sri Lanka è una terra di straordinario fascino. Ricca di bellezze naturalistiche, storiche, artistiche e spirituali. Ma il ricordo più vivido che serbo nel cuore dopo un viaggio di sette giorni in quella terra lontana è legato ad un episodio che a prima vista può sembrare banale e insignificante.
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I’ve always wondered where the real value of a journey lies. I’m not talking about enriching our superficial factual knowledge, and much less the financial aspects. There are extraordinary journeys we can take without ever leaving our homes, and there are unnecessary experiences at the end of a thousand-kilometre journey around the world. The real asset that a journey leaves us with is the human and emotional experience that it allows us to take home. The ability to filter our awareness through the experiences of others is the only way to delve into the intricacies of our soul, comparing ourselves to people with vastly different cultures and daily routines, but who actually share the same fears, joys, securities, and desires that are part of our own personal existence. And it’s not even necessary to speak the same language in order to share these experiences: human relationships are instilled with a mere look, smile, or intimation. Sri Lanka is a land of extraordinary charm. One that’s abounding in naturalistic, historical, artistic and spiritual beauty. But after a seven-day trip to that distant land, my fondest memory is linked to an episode that may even seem trivial and insignificant at first glance. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
le relazioni umane si intrecciano con uno sguardo, un sorriso, una suggestione...
A precious gem called Sri Lanka
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human relationships are instilled with a mere look, smile, or intimation...
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In nostro autobus stava viaggiando in lungo e in largo per l’isola, alla affannosa rincorsa delle preziose mete da mostrarci: luoghi di culto, panorami mozzafiato, città, bellezze. Durante questi lunghi trasferimenti era inevitabile che lo sguardo annotasse ogni dettaglio dal finestrino, cogliendo qua e là gli spunti più interessanti che interrompevano uno sfondo teatrale invariabile fatto di rigogliosa fauna tropicale. Puntualmente, quasi ci fosse stato uno schema logico precostituito, al bordo della strada apparivano dal nulla capanne di legno dall’aspetto talmente dimesso che sembravano essere state costruite solo pochi minuti prima del nostro passaggio. In realtà quelle casupole erano lì da sempre, le pietre miliari di ogni strada che attraversa lo Sri Lanka. Ed in ognuna di esse la stessa scena: banchi ricolmi di frutta e un paio di persone sorridenti e tranquille lì ad aspettare i clienti. Ad un certo punto ho chiesto alla nostra guida di fermarci. Più spinto dalla curiosità di assaggiare quella frutta che dalla volontà di scambiare due chiacchiere con persone che sicuramente non parlavano né la mia lingua, né l’inglese. Mi sono avvicinato ad uno di quei banconi e ho subito notato che, in realtà, nella vermiglia piramide di frutti ben esposti, due sole erano le varietà: il mango e il cocco. Il prezzo di quella colazione, che tradotto in moneta non ha raggiunto i due euro, non ha avuto prezzo. Ho scelto un mango e una signora che indossava un vestito leggero colore blu cobalto e le immancabili infradito (ecco una delle costanti cosmiche dello Sri Lanka, le infradito che sono ai piedi di chiunque) mi fa capire che quello avevo individuato non era maturo al punto giusto, anche se sinceramente mi erano sembrati tutti uguali e della stessa consistenza. E lei a sceglierne uno per me e me lo porge tagliato ad arte in modo che possa estrarne agevolmente le fette. Avvicinando la prima alle labbra ho sentito un aroma pungente di pepe di una freschezza d’incomparabile soavità. Il sapore di quella prelibatezza mi ha fatto capire di non aver mai assaggiato un mango in vita mia: dolcissimo, persistente, ma delicatamente acido, profondo, un gusto assoluto e inconcepibile prima di allora. Ho ostentato il mio grado di goduria alzando gli occhi al cielo, emettendo un mugolio di libidine, e alla fine abbassando le palpebre quasi in un atto di doverosa reverenza ver-
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Our bus driver was taking us all over the island, in pursuit of the best destinations to show us: places of worship, breathtaking scenery, cities, things of beauty. During those long trips, it was inevitable that your gaze would take note of every detail seen through the window, seizing upon each interesting point that stood out from the invariable background of lush tropical fauna. And right on cue, almost as if there had been a logical preconceived scheme, several wooden huts appeared out of nowhere by the roadside, looking so threadbare that they seemed to have been built just a few minutes before we passed by. But the fact of the matter was that those huts had been there forever, like the milestones on every road that traverses Sri Lanka. And its the same scene at each one of them: counters covered with fruit, and a couple of people relaxing and smiling, waiting for customers. At a certain point I asked our guide to stop. I was driven more by the curiosity to taste that fruit, than the desire to chat with people who certainly didn’t speak my own language, nor English. I approached one of those counters, and immediately realised that the vermilion pyramid of well-displayed fruits actually consisted of two varieties: mangoes and coconuts. While in terms of currency it cost less than two Euros, that breakfast was, in fact, priceless. I picked out a mango, and a lady wearing a light cobalt blue dress and the ubiquitous thongs (one of the cosmic constants of Sri Lanka is that everyone is wearing flip-flops) intimated that the one I had selected wasn’t ripe yet, even though, to me, they all seemed to have the same consistency. So she picked one out and prepared it for me, cut to perfection, so that I would easily be able to extract the slices. Bringing the
so tanta bontà. Quando ho riaperto gli occhi la signora era lì, davanti a me. In quel momento abbiamo parlato, ma non con le parole, con gli sguardi. E lei mi ha insegnato il valore della dignità e dell’umanità. Lei non ha nulla se confrontiamo la sua esistenza ai nostri parametri occidentali. Vive a due metri da quella baracca, all’ombra di un immenso albero di mango. La mattina si alza, ne raccoglie i frutti e li offre a coloro che passano davanti alla sua casa. Ed è felice così, nella sua semplicità e nella sua profonda spiritualità. Felice di amare quella sua terra unica, ancora di più se può raccontarlo con un gesto naturale a curiosi personaggi come il sottoscritto che vengono da lontano, convinti di aver imparato tutto dalla vita, ma ignari che c’è sempre qualcuno disposto a insegnarti qualcosa di straordinariamente prezioso come la purezza. Dopo aver visitato lo Sri Lanka questo ho ripotato nella mia valigia. Il valore umano di un popolo orgoglioso, fiero, allegro, trasparente, dotato di una limpidezza d’animo che gli invidierò per sempre. first slice to my lips, I smelled the almost spicy aroma of an incredibly fresh sweetness. The taste of that delicacy made me realise that I had never before tasted a mango in my life: it was sweet, persistent, yet delicately acidic, profound... an absolute flavour that I could never have conceived of before that moment. I displayed my level of enjoyment by raising my eyes to the sky, groaning, and, finally, closing my eyes, almost as if in reverence of such extraordinary goodness. When I opened my eyes again, the lady was right there in front of me. And in that moment we spoke... not with words, but with the looks we gave each other. And she taught me the value of dignity and humanity. If we were to compare her existence to our own Western standards, you could say that she has nothing. She lives two metres away from that shack, in the shade of a large mango tree. In the mornings she gets up, collects the fruit, and offers them to those who pass in front of her house. And she’s perfectly happy, in her simplicity and her profound spirituality. Happy to love her unique land, even more so if she’s able to share a part of it with curious characters like myself who come from afar, convinced that they know everything there is to know about life, but unaware that there’s always someone out there willing to teach you something extraordinarily precious, like the value of purity. This is what I took home with me in my suitcase after my visit to Sri Lanka. The human value of a proud, dignified, cheerful, and straightforward people blessed with an inner clarity that I will envy forever.
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The human value of a proud, dignified, cheerful, and straightforward people...
Il valore umano di un popolo orgoglioso, fiero, allegro, trasparente...
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SRI LANKA, IL VIAGGIO Sri Lanka, the journey
Difficile non trovare il proprio “viaggio” in Sri Lanka. Spiagge incontaminate, foreste tropicali, lussuosi resort, città d’arte, spiritualità, natura, tradizioni culturali, monumenti storici, ma anche safari o immersioni. Il nostro personale viaggio in Sri Lanka inizia da Colombo, la capitale, una città moderna e vivacissima, a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale e quindi prima tappa ideale per un viaggio in Sri Lanka. Una giornata a Colombo può trascorrere per familiarizzare con il clima (tropicale, quindi caldo umido), per visitare i templi, ma anche per un po’ di shopping compulsivo. Oppure, appena fuori dalla città, molti resort sull’oceano indulgono, invece, all’ozio. Noi abbiamo soggiornato al Colombo Pragasus Reef, un po’ scomodo perché defilato rispetto al centro città, ma molto tranquillo. Il secondo giorno puntiamo verso Sigiriya, a 200 chilometri a nord est rispetto a Colombo. La nostra meta è una delle attrattive più affascianti di tutto lo Sri Lanka, il Dambulla Golden Rock Cave Temple. Questo è uno dei luoghi di culto più importanti del paese, meta di fedeli del buddhismo e anche, ovviamente, di molti turisti. La visita vale il lungo tragitto per raggiungere queste grotte affascinanti: sono 5, nel ventre del complesso naturale che si erge maestoso sulla valle. All’interno delle grotte ci sono centinaia d’immagini e statue del Buddha, le prime risalenti a oltre 2000 anni fa. Un vero museo di opere d’arte religiose, indiscutibilmente suggestive in un luogo di culto che ha origini antiche, visto che nel Iº secolo a.C. Re Valagamba sì rifugiò proprio a Dambulla dopo la sua cacciata da Anuradhapura. La nostra giornata prosegue per una piacevolissima escursione al Minneriya National Park. Lo Sri Lanka è ricco di Parchi Nazionali, dove è possibile vivere un safari all’insegna della natura selvaggia. Il Minneriya è famoso per gli elefanti, che beatamente trascorrono il loro tempo nella pianura lacustre mangiando erba. Più rara la vista di altri animali, ma gli elefanti sono dei bravissimi e consumati attori e danno molta soddisfazione ai numerosi turisti armati di macchina fotografica.
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It’s difficult not to find your own “journey” in Sri Lanka. Pristine beaches, tropical forests, luxurious resorts, cities of art, spirituality, nature, cultural traditions, and historical monuments, not to mention safaris and scuba diving. Our journey to Sri Lanka began from Colombo, the capital: a modern and vibrant city just a few miles from the international airport, making it an ideal first stopover for a trip to Sri Lanka. A day in Colombo can be spent familiarising yourself with the climate (tropical, and therefore warm and humid), visiting the temples, and doing some compulsive shopping. Otherwise you can relax at any one of the many beach front resorts just outside the city. We stayed at the Colombo Pragasus Reef, whose location in the city centre was a little inconvenient, but it was nevertheless very quiet. On the second day we headed for Sigiriya, 200 km northeast of Colombo. Our destination was one of the most charming attractions in all of Sri Lanka: the Dambulla Golden Rock Cave Temple. This is one of the country’s most important places of worship: a mecca for followers of the Buddhist faith, as well as for many tourists. And the long trip to reach these fascinating caves is certainly worth it. There are a total of 5, located in the belly of the natural complex majestically overlooking the valley. Inside the caves there are hundreds of images and statues of Buddha, the oldest of which is over 2000 years old. Its a true museum of indisputably evocative religious artworks, in a place of worship with ancient origins, where King Valagamba took refuge after his expulsion from Anuradhapura during the first century B.C. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
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La notte la trascorriamo all’Amaya Lake Dambulla, splendido resort che non tradisce le aspettative: lusso, ottima cucina, eccellenti servizi e Spa di gran livello. Il nostro terzo giorno in Sri Lanka lo dedichiamo ad un altro simbolo immortale del paese come il Sigiriya Rock Fortress, probabilmente il sito archeologico più amato dai turisti stranieri, che si affollano felici sulle rapide ascese che portano alla sommità del cosiddetto “Lion Rock”. Confessiamo che questo luogo merita la visita: sarebbe come andare a Roma ed evitare di visitare al Colosseo. Il monolite è impressionante, sia che lo si osservi dal basso, che, dopo un’ascesa di un’ora e mezza, dall’alto. Molte sono le leggende all’origine di questa cittadella fortificata. La più accreditata riguarda Kasyapa, figlio del Re dello Sri Lanka Dhatusena, che uccise il padre usurpandone il trono che, per diritto di successione, sarebbe dovuto spettare al fratello Mugalan. Questi, che era fuggito in India, tornò il Sri Lanka per consumare la sua vendetta e Kasyapa non si fece trovare impreparato, avendo fatto costruire il suo palazzo sulla sommità della collina di Sigiriya. Non gli fu sufficiente: durante la battaglia finale con Mugalan, il suo esercito lo abbandonò e Kasyapa si suicidò. Mugalan riportò la capitale ad Anurādhapura e trasformò Sigiriya in un monastero. In effetti, altri racconti collocano Lion Rock o come luogo di culto, o come cittadella del piacere. In ogni caso, comunque sia andata, è una bellissima esperienza che si comincia dal fossato più esterno, intraprendendo un percorso a piedi abbastanza lungo, ma non difficile. Si scala la roccia, ci si inoltra in meandri nascosti, si ammira un panorama incredibile dalle balconate che via via si conquistano. Alla fine davanti alla porta dei Leoni, i resti delle zampe anteriori dell’antica sfinge anticipano che siamo verso la fine. L’ultima arrampicata verso la sommità e il cielo è conquistato.
Our day continued with a pleasant visit to Minneriya National Park. Sri Lanka is full of national parks where visitors can enjoy wildlife safaris. Minneriya National Park is famous for its elephants, who blissfully spend their time eating grass on the lake-side plains. Sightings of other animals are more rare, but the elephants are excellent entertainers, and love to put on a show for the tourists’ cameras. We spent the night at the Amaya Lake Dambulla, a beautiful resort that certainly didn’t betray our expectations: luxury, extraordinary cuisine, excellent services and a top notch Spa. Our third day in Sri Lanka was dedicated to another one of the country’s immortal symbols: the Sigiriya Rock Fortress, likely the most popular archaeological site among foreign tourists, who happily crowd their way up the steep inclines leading up to the summit of the so-called “Lion Rock”. We have to admit that this place is worth the visit: skipping it would be like going to Rome without visiting the Colosseum. Whether seen from below or above (after an hour and a half climb), the monolith is certainly impressive. There are numerous legends about the origins of this fortified citadel. The most accredited regards Kasyapa, the son of Sri Lankan King Dhatusena, who murdered his father to usurp the throne, which, by right of inheritance, should have gone to his brother, Mugalan. The latter, who had fled to India, returned to Sri Lanka to take his vengeance, only to find that Kasyapa had prepared himself by building a fortress on top of Sigiriya rock. His defences weren’t enough, however, and his army abandoned him during the final battle with Mugalan, at which point Kasyapa committed suicide. Mugalan returned the capital to Anuradhapura and transformed Sigiriya into a monastery. In fact, other legends describe Lion Rock as either a place of worship or a citadel of pleasure. Whatever the case, it’s a beautiful experience, which starts from the outer moat, where visitors embark on a lengthy, but not too difficult hike. There are rocks to be climbed, and hidden twists and turns to be taken, culminating in incredible panoramic views to be enjoyed from the ledges as you gradually ascend. Upon arriving at the Lions Gate, the remains of the front paws of the ancient sphinx reveal that you’ve almost reached the end. Just one last climb up to the summit, and you’ve conquered the sky.
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La nostra successiva meta è Kandy, una delle città più importanti dello Sri Lanka e cuore economico del paese. Nel tragitto una piacevolissima sosta in un “Spice Garden”, dove approfondiamo volentieri la conoscenza delle piante che sono alla base della filosofia Ayurvedica. A Kendy soggiorniamo al Kandy Mahaweli, un bellissimo resort in stile coloniale che si affaccia sul fiume che attraversa la città. La nostra camera è spaziosa e ariosa, dalla finestra si gode un bel panorama sulla corte interna e sulla magnifica piscina. Sul vetro della finestra notiamo un sinistro messaggio: “abbiate cura di tenere le finestre chiuse”. C’è il rischio (così è indicato), che le scimmie entrino in camera. Sorridiamo, convinti ancora di vivere in una metropoli occidentale, dove le scimmie sono relegate negli zoo. Non diamo retta alla raccomandazione e lasciamo le finestre spalancate: filtra una brezza profumata che assomiglia molto al paradiso. Usciamo dal bagno, dopo una rinfrancante doccia ed ecco la sorpresa: un primate alto almeno 80 centimetri, muscoloso, completo di zanne e occhi vispi, ci osserva incuriosito davanti a noi. La scimmia non sembra spaventata e non ha fatto nessun danno. Forse cercava solo un po’ di frutta. E si gira indietro deluso, ritornando sui tetti del resort. Questo simpatico episodio ci serve per far capire come in Sri Lanka uomini e animali vivano in perfetta simbiosi. Le scimmie sono dovunque, gli animali selvaggi facili da osservare, i cani domestici vivono letteralmente lungo le infinite arterie che tagliano da nord a sud e da est a ovest lo Sri Lanka: non hanno padroni quei cani tutti simili color champagne, e gli uomini gli concedono la libertà di scorrazzare tra i milioni di motorini, autobus, autocarri e automobili che sfrecciano di continuo. E per la verità non ne abbiamo visto uno spiaccicato per strada. Poi c’è un altro animale che è un simbolo dello Sri Lanka: il pavone. All’inizio l’urlo acuto e indecifrabile del pavone lo sentirete da lontano, come un’eco che viene da un passato jurassico. Poi all’improvviso ne vedrete a decine: sono liberi, selvaggi. I pavoni stanno allo Sri Lanka come i piccioni da noi.
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Appare chiaro che qui, in Sri Lanka, la spiritualità permea ogni atto, ogni momento della giornata dei suoi abitanti, in perfetto equilibrio con tutte le cose che li circondano. La visita che abbiamo fatto a Kandy al Tempio che custodisce la reliquia del Sacro Dente è un perfetto esempio di questa filosofia. Il Dente del Buddha, unica parte rimasta intatta dal rogo del suo corpo avvenuta in India, è la reliquia più adorata dai praticanti di fede buddhista: all’interno del Palazzo Reale che splende lucente come un gioiello al centro di Kandy, due volte al giorno è possibile osservare la reliquia, custodita in un cofanetto. Un po’ come la nostra Ostensione della Sindone tanto per intenderci, solo che qui avviene due volte al giorno. Vengono da tutto il mondo per poter partecipare alla cerimonia: ne abbiamo preso parte anche noi, e pur nella nostra totale ignoranza culturale, abbiamo percepito profondamente l’importanza di un momento così spirituale. A Kandy abbiamo anche visitato una compagnia di trasformazione e commercializzazione di pietre preziose: gioielli meravigliosi che, semplicemente, qui in Sri Lanka si trovano letteralmente “sotto i piedi”. Basta scavare e trovi zaffiri, ametiste, rubini. Incredibile.
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Our next destination is Kandy, one of the most important cities in Sri Lanka, and the economic heart of the country. On the way, we stop for a pleasant visit at a “Spice Garden”, where we have the opportunity to learn more about the plants underlying the Ayurvedic philosophy. In Kendy, we stay at the Kandy Mahaweli, a beautiful colonial-style resort overlooking the river that traverses the city. Our room is spacious and airy, and the window affords a beautiful view of the inner courtyard and the magnificent swimming pool. There was a sinister message on the window pane: “Be sure to keep the windows closed.” Indicating that there’s a risk of monkeys entering your room. We smiled, having forgotten that we weren’t in a western city any longer, where the monkeys are relegated to the zoos. We didn’t heed the warning and left the windows wide open, filling the room with fragrant breeze that smelled a lot like paradise. Upon leaving the bathroom, after a refreshing shower, we were surprised to find a muscular little primate at least 80 cm tall, complete with fangs and sprightly eyes, watching us curiously. The monkey didn’t seem frightened and hadn’t done any damage. Perhaps he was just looking for some fruit. And after some time he disappointedly returned to the resort’s rooftops.
This fun little episode shows how, in Sri Lanka, people and animals live in perfect harmony. The monkeys are everywhere, the wild animals are easy to find, and the domestic dogs literally live along the endless streets that traverse Sri Lanka from north to south and from east to west: homeless champagne-coloured dogs who the people allow to run free among the millions of scooters, buses, trucks and cars that are constantly whizzing by. And to tell the truth, we didn’t see a single one dead on the road. And then there’s another animal that’s a symbol of Sri Lanka: the peacock. At the beginning, the peacock’s sharp and indecipherable scream can be heard from afar, like an echo from the Jurassic past. Then, suddenly, you see dozens of them, wild and free. Peacocks are the pigeons of Sri Lanka. For the inhabitants of Sri Lanka, spirituality seems to permeate every activity, every moment of the day, in perfect balance with everything around them. Our visit to the Temple of the Sacred Tooth Relic in Kandy is a perfect example of this philosophy. The tooth of the Buddha, the only part of his body left intact after it was burned in India, is the relic most adored by practitioners of the Buddhist faith: inside the Royal Palace, which sparkles like a gem in the centre of Kandy, the relic itself can be viewed in its protective casket twice a day. You might say it’s a bit like the way the Shroud of Turin is displayed, only that here happens twice a day. People come from all over the world to participate in the ceremony: we took part too... and despite our complete cultural ignorance, we could nevertheless sense
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Il nostro quarto giorno in Sri Lanka è dedicato alla visita nela regione di Nuwara Eliya, la cosiddetta “piccola Inghilterra” dello Sri Lanka. E il motivo è facilmente intuibile: questa è la regione in cui si produce una delle qualità di Tè più importanti del mondo. D’altronde, non sarà sfuggito ai più attenti, che lo Sri Lanka, prima di assumere questo nome, si chiamava “Cylon”, che nel gergo comune è in pratica il sinonimo della preziosa piantina. Si sale parecchio per arrivare nelle migliori piantagioni: il clima si rinfresca (e di molto), tra tornanti tortuosi e improvvise spettacolari cascate d’acqua. Visitiamo la Heritance Tea Factory, tra le aziende più antiche e prestigiose della zona. Ed è una vera sorpresa: consigliamo vivamente di inerpicarsi fin quassù, perché sembra di essere in cima al mondo. Tutt’attorno miliardi di quelle che avremmo giurato essere “perfette siepi da giardino europeo”, ma che in realtà sono risultate essere piante di tè. La visita prevedere un piccolo ma stimolante viaggio nel mondo tè, dalla coltivazione alla raccolta, alla trasformazione, con immancabile e compulsivo acquisto finale di ogni singola tipologia di tè prodotta nello shop aziendale. Nel nostro penultimo giorno in Sri Lanka raggiungiamo la città di Ella con il tradizionale (e lentissimo) treno che sembra uscito direttamente da un film: è un’esperienza che rifaremmo, si viaggi lenti, ma si ammira un panorama incredibile ed è un sorso di Sri Lanka che ci mancava. Ci propongono un trakking lungo il Little Adam’s Peack, ma preferiamo abbandonarci al fascino indiscreto del Jetwing Kaduruketha Wellawaya, incontestabilmente il miglior resort tra quelli che abbiamo visitato: piccolo e intimo, con i bungalow disseminati nella giungla tropicale, questo luogo è un piccolo angolo di paradiso in cui avremmo voluto soggiornare volentieri per più giorni. Il lusso non ostentato, la calma assoluta dell’atmosfera serafica, un servizio eccellente e anche ottimo cibo ci rimarranno per lungo tempo nel cuore. L’ultimo giorno in Sri Lanka abbiamo finalmente fatto la conoscenza con quelle spiagge “da paradiso” di cui avevamo solo letto. In effetti, qui ci sono anche spiagge incredibili e molti sono i resort che offrono tutti i servizi ti aspetti in posti del genere. Noi eravamo a Bentota, presso l’Ahungalla Heritance, perfetto luogo per una vacanza, anche in famiglia, di almeno una settimana. Bentota è a sud di Colombo, non molto distante quindi dall’aeroporto che ci riporterà a casa il giorno dopo. Non senza però aver prima versato qualche lacrimuccia. Lo Sri Lanka, una volta che lo vivi profondamente, come abbiamo fatto noi, è difficile da dimenticare.
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the importance of such a profound spiritual moment. In Kandy we also visited a company dedicated to processing and marketing precious stones, which, here in Sri Lanka, are literally found “under foot”. All you have to do is dig, and you’ll find sapphires, amethysts, and rubies. Incredible. Our fourth day in Sri Lanka was dedicated to visiting the Nuwara Eliya region, known as Sri Lanka’s “Little England”. And the reason for this nickname is evident: it’s where one of the world’s most important types of tea is produced. Then again, some of our more attentive readers may have already been aware that before assuming its modern name, Sri Lanka was called “Ceylon”, which in the local jargon is a synonym for this precious tree. You have to climb high to reach the best plantations: the climate cools down (quite a bit), and the winding roads offer amazing views of spectacular waterfalls. We paid a visit to the Heritance Tea Factory, one of the oldest and most prestigious companies in the area. And it was a real surprise: we highly recommend making the trip up there, because it feels like you’re on top of the world. We were surround by billions of what we could have sworn were “perfect European garden hedges”, but were actually tea trees. The visit entails a short yet interesting journey into the world of tea, from cultivation, to harvesting and transformation, with the mandatory impulse purchase of every single type of tea produced from the company shop. On our second to last day in Sri Lanka we arrived at the city of Ella on the traditional (and very slow) train, which seemed to have been taken directly from a film: it’s an experience that we would certainly repeat... sure, it was slow going, but it gave us the opportunity to admire the incredible scenery in a part of Sri Lanka that we hadn't yet visited. We were offered the chance to go for a trek along Little Adam’s Peak, but we opted to abandon ourselves to the indiscrete charm of the Jetwing Kaduruketha Wellawaya, which was hands down the best of all the resorts we visited: small and intimate, with bungalows scattered throughout the Tropical jungle, this place is a little corner of paradise where we would have liked to have stayed for several days. The modest luxury, the absolute calm of the laid back atmosphere, the exceptional service, and even the excellent food will remain in our hearts for a long time. On our last day in Sri Lanka we finally got to enjoy the beaches “of paradise” that we’d only read about up until then. In fact, the beaches are amazing, and there are numerous resorts offering all the amenities you’d expect from such places. We were in Bentota, at the Ahungalla Heritance, the perfect place for a holiday of at least a week, even with the family. Bentota is south of Colombo, not far from the airport where we would catch our flight home the following day. But not after having cried a few tears. Once you’ve experienced it thoroughly, like we did, Sri Lanka is hard to forget.
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di Valentina Macciotta
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Se c’è un Paese in cui è possibile vivere esperienze ed emozioni tanto diverse quanto straordinarie è senza dubbio il Cile. Lungo circa 4300 km e largo a malapena 180 km, offre infatti una varietà incredibile di climi e paesaggi: si va dall’estremo nord, in cui si trova il deserto più arido del pianeta, al sud australe che conserva i ghiacciai millenari della Patagonia, passando per la zona centrale della capitale - Santiago del Cile - dal clima più mite e in cui oggi vive circa il 40% dell’intera popolazione cilena. Eppure, ciò che spinge ogni anno milioni di turisti a visitare il Cile, non è solo la sua natura incontaminata, ma anche la storia e la cultura di un Paese che è rinato dopo i tempi bui della dittatura di Pinochet, diventando una delle Nazioni più sviluppate ed economicamente stabili di tutta l’America latina.
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DESTINAZIONE CILE
destination Chile, the land of extremes
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If there’s a country where you can enjoy experiences and emotions as diverse as they are extraordinary, Chile is certainly the one. About 4300 km long and barely 180 km wide, it offers an incredible variety of climates and landscapes: from the far north, home to the planet’s driest desert, to the austral south, home to the millenarian glaciers of Patagonia, with the capital city (Santiago de Chile) located in the milder climate of the central region, where about 40% of the entire Chilean population currently lives. Yet that which drives millions of tourists to visit Chile each year isn’t just its untouched nature, but also the history and culture of a country that’s been reborn after the dark times of Pinochet’s dictatorship, and is now becoming one of the most developed and economically viable nations in all of Latin America.
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SANTIAGO DEL CILE
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Prima tappa imprescindibile di un viaggio in Cile è la sua capitale. Vivace, cosmopolita, moderna e in continuo fermento culturale, Santiago del Cile è una città tutta da scoprire passeggiando per i suoi barrios, quartieri dalle anime differenti: il centro, cuore della vita cittadina, con il palazzo presidenziale de la Moneda, il Museo Cileno di Arte precolombiana, il chiassoso mercato centrale e i paseos, le vie pedonali dello shopping; Lastarria e Bellas Artes, i quartieri alla moda che ospitano tre musei d’arte, il centro culturale intitolato a Gabriela Mistral (poetessa e prima donna cilena a ricevere il Nobel per la Letteratura) e alcuni tra i locali più di tendenza della città; il barrio Bellavista con la Chascona, una delle tre case museo del poeta Pablo Neruda, tributo alla donna dai capelli ribelli che sarebbe diventata la sua terza moglie, e ancora il Cerro San Cristóbal, uno dei parchi collinari cittadini raggiungibile con la funicolare e da cui godere del panorama più bello su Santiago. Mentre a Las Condes, quartiere finanziario della città fatto di grattacieli, centri commerciali di lusso, negozi e ristoranti esclusivi, troviamo lo Sky Costanera, il più alto edificio del Sudamerica (300 metri di altezza per 63 piani) con un belvedere aperto al pubblico e una vista mozzafiato su Santiago.
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Santiago de Chile The first mandatory stop on a trip to Chile is its capital city. Lively, cosmopolitan, modern and in constant cultural turmoil, Santiago de Chile is a city to be discovered by exploring its various barrios (districts with different souls): the vibrant city centre, home to the La Moneda presidential palace, the Chilean pre-Columbian art museum, the noisy central market, and the paseos (pedestrian shopping streets); the trendy Lastarria and Bellas Artes districts, which boast three art museums, a cultural centre named after Gabriela Mistral (a poet and the first Chilean woman to receive the Nobel Prize for Literature), and some of the city’s most trendy venues; and the Barrio Bellavista district, with La Chascona, one of the three museum houses of poet Pablo Neruda (dedicated to the wild-haired woman who would become his third wife), as well as the Cerro San Cristóbal, one of the city’s hilly parks, which can be reached by cable car and offers stunning panoramic views of Santiago. While exploring Las Condes, the city’s financial district made up of skyscrapers, luxury shopping malls, exclusive shops, and restaurants, we come across the Sky Costanera, South America’s tallest building (300 metres high, with 63 floors), which features a lookout open to the public that offers breathtaking views of Santiago.
Valparaíso and Casablanca Valley About an hour and a half drive from the capital, in the direction of the coast, lies the bustling port town of Valparaíso, a destination that’s always been beloved by artists and writers, above all Pablo Neruda, who owned a hilltop home there overlooking the city known as “La Sebastiana”. The interior houses collections of objects, furniture and artworks that tell the story of Neruda himself, a man who was deeply intertwined with Chile’s political and social affairs. “Valpo” (as the city of Valparaíso is affectionately referred to by the Chileans) is also famous for its cerros, steep urban hills with old cable cars climbing up them (ideal for visiting the city), as well as its colourful and evocative graffiti, which covers the walls, archways and staircases of many districts. About 100 km south of Valparaíso is Isla Negra, the third and favourite home of poet Pablo Neruda, which is now open to the public thanks to the recovery and restoration work carried out by his eponymous foundation. And it is precisely here, on the terrace overlooking the ocean, that the poet and his third wife, Matilda, were laid to rest. Heading back along the road that links Valparaíso to Santiago, we come to a cool valley where some of the world’s best Chardonnay and Sauvignon Blanc wines are produced: this is the Casablanca Valley, which is dotted with organic and biodynamic wineries offering tours and tastings for tourists and wine lovers alike. Two of Chile’s other wine-producing zones are the Colchagua and Maule Valleys, south of Santiago, which are mainly famous for their full-bodied international red wine varieties, like Cabernet Sauvignon and Carménère, whose maximum expression is brought out by the local conditions in these areas. JAMESMAGAZINE.IT
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VALPARAÍSO E VALLE DEL CASABLANCA
A circa un’ora e mezza di auto dalla capitale, in direzione della costa, si trova la frenetica cittadina portuale di Valparaíso, meta da sempre amata da artisti e scrittori, primo fra tutti Pablo Neruda che visse qui nella casa detta “La Sebastiana”, posta in cima a una collina che si affaccia sulla città. Al suo interno collezioni di oggetti, mobili e opere d’arte vi racconteranno la storia di Neruda così profondamente intrecciata alle vicende politiche e sociali del Cile. “Valpo”, nomignolo affettuoso dato dai cileni alla città di Valparaíso, è famosa anche per i suoi cerros, ripidi colli urbani sui quali si arrampicano vecchie funivie, mezzo ideale per visitare la città, e per i suoi suggestivi e variopinti graffiti che decorano muri, portoni e scale di molti quartieri. A circa 100 km a sud di Valparaíso si trova invece Isla Negra, la terza casa del poeta Pablo Neruda, nonché la sua preferita, oggi visitabile grazie al lavoro di recupero e restauro della fondazione a lui dedicata. Ed è proprio qui, nella terrazza che si affaccia sull’oceano, che riposano il poeta e la terza moglie Matilde. Tornando indietro, lungo la strada che collega Valparaíso a Santiago, c’è una valle dal clima fresco in cui si producono alcuni tra i migliori Chardonnay e Sauvignon blanc del Paese: è la Valle del Casablanca, costellata di aziende vitivinicole biologiche o biodinamiche che offrono visite in cantina e degustazioni a turisti e appassionati. Altre due zone vinicole del Cile sono la Valle del Colchagua e del Maule, a sud di Santiago, famose principalmente per i rossi corposi da vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon e il Carménère, che qui hanno trovato le giuste condizioni per esprimersi al meglio.
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SAN PEDRO DE ATACAMA E DINTORNI
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Lasciandosi alle spalle gli agi della città e il fascino delle verdi valli vitate e spingendosi verso l’estremo nord del Cile, i paesaggi cambiano completamente: qui la vegetazione è pressoché inesistente e lascia spazio a brulle distese di rocce e pietre, lagune andine, vulcani innevati e pianure salate. Siamo nel Norte Grande e la prima tappa non può che essere San Pedro de Atacama, piccolo villaggio di edifici in adobe (mattoni in terra cruda), che si trova nella precordillera andina a un’altitudine di 2400 metri. Qui le viuzze polverose in terra battuta conducono tutte a una piccola piazza centrale dove sorge la Iglesia San Pedro, chiesetta coloniale del XVII secolo, costruita in adobe e legno di cactus. Anche i dintorni di San Pedro sono molto affascinanti: a circa due ore di auto si trova El Tatio, il campo geotermico più alto al mondo (4300 metri sul livello del mare). Il momento ideale per visitarlo è all’alba, quando i suoi 64 geyser gorgoglianti sparano nel cielo terso getti di vapore bianco e fasci di luce illuminano le oltre cento fumarole e i vulcani circostanti. E poi c’è la Valle della Luna, un’immensa distesa di pietra e sabbia, modellata nel nei millenni dall’azione del vento e dell’acqua, che ricorda appunto un paesaggio lunare. È da ammirare possibilmente al tramonto, quando inizia lo spettacolo dei colori e la sabbia si tinge prima di rosso, poi rosa, oro e giallo, risaltando sullo sfondo dei vulcani e della Cordillera del Sal. Incredibile anche le Lagune Miscanti e Miñiques, laghi d’alta quota di un azzurro intenso su cui svettano i vulcani innevati e dove è facile avvistare esemplari di vigogna, camelide andino dal corpo tozzo che vive solo ad altitudini superiori ai 4000 metri. Altrettanto suggestiva è la Laguna Chaxa nel Salar de Atacama, dove invece vivono e si riproducono tre delle specie oggi conosciute di fenicotteri: il James, il cileno e l’andino. Ma forse una delle esperienze più memorabili qui nel deserto di Atacama è osservare le stelle, la cui visibilità è ottima vista l’altitudine e la quasi totale assenza di inquinamento luminoso e atmosferico. Qui sorge uno dei complessi astronomici più grandi del mondo – l’Alma –, ma ci sono anche diversi osservatori più piccoli, gestiti da astronomi appassionati, che vi guideranno alla scoperta degli astri e dei pianeti dell’emisfero australe.
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San Pedro de Atacama and its surrounding areas Leaving behind the comforts of the city and the charm of the lush green vineyards, we make our way to Chile’s far north, where the landscape changes drastically: here the vegetation is almost non-existent, and leaves room for barren expanses of rocks and stones, Andean lagoons, snow-capped volcanoes and salt-covered plains. We’ve reached the Norte Grande, and our first mandatory stop is San Pedro de Atacama, a small village of adobe buildings located in the Andean Precordillera, at an altitude of 2400 metres. Here the dusty dirt roads all lead to a small central square occupied by the Iglesia San Pedro, a seventeenth century colonial church made from adobe and cactus wood. San Pedro’s surroundings are also quite fascinating: El Tatio, the world’s highest geothermal field (4300 metres above sea level) is about a two hour drive away. The ideal time to visit it is at dawn, when its 64 gurgling geysers shoot jets of white steam into the clear sky, and beams of light illuminate the over one hundred fumaroles and surrounding volcanoes. And then there’s the Valley of the Moon, an immense expanse of stone and sand that’s been moulded by wind and water over the millennia, which bears a striking resemblance to the lunar landscape. It’s recommended to visit at sunset, when the spectacle of the colours begins and the sand turns red, then pink, gold and yellow, all with the enchanting backdrop of the volcanoes and the Cordillera del Sal. Two other incredible destinations are the Miscanti and Miñiques lagoons, high altitude lakes of an intense blue colour overlooked by snow-capped volcanoes, where it’s not uncommon to encounter vicuñas, stocky Andean camelids that only live at altitudes above 4000 metres. Equally impressive is Laguna Chaxa in the Salar de Atacama, where three of the currently known species of flamingos live and reproduce: the James, the Chilean and the Andean. But one of the most memorable experiences here in the Atacama desert is perhaps that of observing the stars, which are extremely bright due to the altitude and the almost complete absence of light and atmospheric pollution. While this place is home to one of the world’s largest astronomical complexes (the Alma), there are also several smaller observatories managed by enthusiastic astronomers, who will take you on a tour of the southern hemisphere’s stars and planets.
All’estremità opposta del Cile, nel profondo sud delle Americhe, c’è una terra selvaggia, incessantemente battuta da forti venti: è la Patagonia meridionale, che attira ogni anno orde di turisti affascinati da quello che può essere considerato il parco naturale più bello di tutta l’America Latina ovvero il Parco Nazionale Torres del Paine, circa 242 mila ettari di foreste verde smeraldo intervallate da laghi turchesi, torrenti impetuosi e ghiacciai dai riflessi blu, su cui svettano imperiose le tre guglie granitiche del Massiccio del Paine. Nei dintorni del Parco c’è la Cueva del Milodón, famosa perché nel 1896 vi furono scoperti i resti di un bradipo terrestre gigante (alto circa 4 metri): il Mylodon erbivoro che si estinse probabilmente migliaia di anni fa - e citato nell’incipit del libro In Patagonia del noto scrittore e viaggiatore britannico Bruce Chatwin. Un buon punto di partenza per scoprire questa parte di Patagonia cilena è Punta Arenas, placida cittadina sullo Stretto di Magellano. Da qui partono per esempio i traghetti per la Isla Magdalena, isola abitata da una colonia di oltre 60.000 coppie di pinguini di Magellano nidificanti, dichiarata nel 1982 Monumento Natural Los Pinguinos. Al centro dell’isola c’è un faro rosso costruito agli inizi del ‘900 e oggi accessibile ai visitatori che si spingono fin qui. Un’altra colonia di pinguini (questa volta pinguini reali) si trova nella parte cilena della Tierra del Fuego, la landa selvaggia, spesso avvolta da una nebbia plumbea e battuta da venti impetuosi, conosciuta per essere l’ultimo lembo di terra del continente sudamericano. Siamo alla “fine del mondo” e qui è stato istituito un parco per la conservazione e osservazione del Pinguino Reale, splendido esemplare dalla livrea nera, bianca gialla e arancione. Tra le esperienze da fare in Patagonia cilena, oltre ai trekking nei parchi naturali e nei ghiacciai, ci sono le crociere tra i fiordi durante le quali potrete ammirare paesaggi incredibili, avvistare esemplari di fauna marina locale come delfini e balene e magari arrivare fino alla Patagonia argentina per coglierne peculiarità e differenze. E se amate il silenzio, il benessere e la natura non c’è niente di meglio che alloggiare in uno degli eco-lodge remoti e di lusso di cui è ricco questo meraviglioso angolo di mondo. Insomma, da nord a sud il Cile offre esperienze ed emozioni uniche e memorabili in grado di scaldare il cuore anche ai viaggiatori più incalliti. Sarà come fare un viaggio nel viaggio, sempre viziati però dalla splendida accoglienza cilena.
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PATAGONIA MERIDIONALE E TIERRA DEL FUEGO
Southern Patagonia and Tierra del Fuego At the opposite end of Chile, in the deep south of Latina America, lies a wild land incessantly lashed by strong winds: this is southern Patagonia, which every year draws hordes of tourists fascinated by what can be considered the most beautiful natural park in all of Latin America: Torres del Paine National Park, consisting of approximately 242,000 hectares of emerald green forests, interspersed with turquoise lakes, rushing streams, and crystal blue glaciers, all overlooked by the three granite spires of the majestic Paine Massif. The park is home to Cueva del Milodón Natural Monument, where the remains of a giant terrestrial sloth (about 4 meters tall) were discovered in 1896: the herbivorous Mylodon, which is believed to have died out thousands of years ago, is cited at the beginning of the book In Patagonia by the famous British author and traveller Bruce Chatwin. A good starting point for discovering this part of Chilean Patagonia is Punta Arenas: a peaceful town on the Strait of Magellan. From there you can catch a ferry to Isla Magdalena, for example, an island inhabited by a colony of more than 60,000 pairs of breeding Magellanic penguins, which was formally recognised as the Los Pinguinos Natural Monument in 1982. At the centre of the island stands a red lighthouse built in the early 1900s, which is now open to any visitors who venture that far out. Another colony of penguins (this time royal penguins) can be found in the Chilean part of Tierra del Fuego, the last strip of land on the South American continent, which consists of an expanse of wild terrain often enveloped by a heavy fog and lashed by harsh winds. It’s essentially the “end of the world”, and a park has been established there for the preservation and observation of the splendid Royal Penguin, with its magnificent black, white, yellow and orange plumage. In addition to trekking in the natural parks and glaciers, visitors to Chilean Patagonia can also take cruises among the fjords in order to admire the incredible landscapes, spot specimens of local marine fauna (like dolphins and whales), and perhaps even venture all the way to Argentine Patagonia to observe the local differences and peculiarities. And if you love silence, nature, and personal wellness, nothing beats a stay at one of the numerous remote and luxurious eco-lodges found in this wonderful part of the world. In short, from north to south, Chile offers unique and memorable thrills and experiences capable of warming the heart of even the most seasoned travellers. It’s like taking a journey within a journey, but with the added pleasure of wonderful Chilean hospitality.
wine
divine Sicily di Sofia Landoni
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Qualcuno lo chiama “mal di Sicilia”. Nessuno se ne spiega il motivo, nessuno ne definisce precisamente le cause, ma è certamente vero che alcune persone, qui, lasciano un pezzo di cuore. E’ come se ogni orma rimanesse impressa indelebilmente nel suolo siculo e, al contempo, il suolo siculo fosse entrato a far parte per sempre della storia della persona. La tridimensionalità siciliana abbraccia ogni capacità del sentire umano, ridestandone la vivacità assopita. È lì che la persona respira un’aria tiepida e frizzante, è lì che gli occhi si riempiono di colori accesi, portati alla realtà da una luce fra le più brillanti, è lì che i profumi connotano lo spessore delle cose ed è sempre lì che, chi si innamora di questa terra, vorrà sempre tornare, come fosse finalmente a casa. Le isole Eolie introducono come un capace presentatore la bellezza di quella regione triangolare – forse proprio per questo chiamata anche Trinacria – che è baciata dal Mar Tirreno, dal Mar Mediterraneo e dal Mar Ionio. In queste propaggini di Sicilia ha trovato dimora un vitigno molto particolare, la Malvasia delle Lipari. Tale bacca bianca ha il magico dono di assorbire e regalare nel calice quello sfarzo aromatico solare, che dipinge come il pennello di un artista gli scorci delle sue isole. Quando dalle Eolie si approda sulla “terra ferma”, il piede tocca il suolo di Milazzo, nel palermitano. Da qui ci si addentra verso l’interno, verso il cuore di Sicilia, forse nascosto ai più. Le sue colline brulle raccontano la spontaneità di un luogo indomabile, ma sono quegli stessi profili armonici e dolci a dire anche di un’accoglienza tenera, calma dove l’occhio scivola con una corsa placida. Qui, nell’entroterra siciliano, fiorisce la viticoltura del Grillo, del Catarratto, del Grecanico, del Nero d’Avola e del Perricone, dei vitigni internazionali e di un eccellente Syrah. Ci si sposta verso il lato ovest, verso Marsala. In questo paesino il tempo sembra essersi fermato e il vino liquoroso che qui viene prodotto ne è la prova. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
Some refer to it as “Sicily sickness”. No one knows exactly why, or for what reason, but it’s certainly true that some people leave a piece of their hearts here. It’s as if each footstep were to remain indelibly etched in the Sicilian soil, and the Sicilian soil itself were to simultaneously become part of the person’s life forever. The three-dimensionality of Sicily embraces all of the human senses, reawakening them from their slumber. It’s there that one breathes a warm and effervescent air, where the eyes are filled with bright colours, brought to life by the brightest of lights, it’s there that the fragrances denote the substance of things, and it’s there that those who fall in love with this land will always want to return, as if they were finally home. Like an excellent host, the Aeolian Islands introduce visitors to the beauty of that triangular region (perhaps this is why it’s also called Trinacria), which borders on the Tyrrhenian, Mediterranean, and Ionian Seas. These offshoots of Sicily are home to an extraordinary grapevine variety: Malvasia delle Lipari. This white grape has the exceptional gift of absorbing the splendour of the sun and releasing it into the taster’s glass, painting the scenery of the islands themselves like an artist’s brush. When we leave the Aeolian islands and make landfall, the first place we set foot is Milazzo, in the area of Palermo. From here we head inland, towards the heart of Sicily, an area that tends to remain hidden from most. While its barren hills tell the story of an indomitable place, their sweet and harmonious contours are gentle on the eyes, offering a warm welcome. This Sicilian hinterland is a place where various grape varieties flourish, including Grillo, Catarratto, Grecanico, Nero d'Avola, and Perricone, not to mention international varieties, and an excellent Syrah. We make our way to the western side, towards Marsala. In this village, time seems to have come to a standstill, and the liqueur-like wine produced here bears witness.
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It’s there that one breathes a warm and effervescent air, where the eyes are filled with bright colours...
È lì che la persona respira un’aria tiepida e frizzante, è lì che gli occhi si riempiono di colori accesi...
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Procedendo in direzione di Agrigento si scorge l’Isola di Pantelleria, dove lo Zibibbo strizza un occhio alle sponde africane e l’altro alla costa sicula. Si prosegue ancora e si arriva rapidamente a sud, dove due rossi veraci si abbracciano nell’unica DOCG della regione: il Cerasuolo di Vittoria, composto da Nero d’Avola e Frappato. Risalendo verso nord-est si attraversa la zona del catanese, luogo di eccellenza gastronomica insieme alla Palermo degli street food e della tradizione. Già dai dintorni di Catania si intravede qualcosa. È Iddu, ‘A Muntagna: è l’Etna. L’Etna, dove la terra è scura, quasi nera, e le foglie delle viti sono intensamente verdi. Sono il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Carricante e la Minnella ad abitare i vigneti della Muntagna e a tradurre la complessità in una chiave di eleganza del tutto riconoscibile. Il vino parla della terra che lo genera, comprensiva di fattori pedoclimatici, tecnici, umani e di quei fattori inspiegabili, misteriosi, che lo rendono quasi dotato di personalità. La Sicilia è tutto questo, così come lo è inevitabilmente il suo vino, che si rivela uno dei mezzi più entusiasmanti per scoprirla.
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Continuing in the direction of Agrigento, we glimpse the island of Pantelleria, where the Muscat of Alexandria variety grows, overlooking the shores of Africa and the Sicilian coast. Proceeding further, we quickly come to the south, where two red varieties are brought together to create the region’s only DOCG wine: Cerasuolo di Vittoria, made from the Nero d’Avola and Frappato varieties. Heading back towards the north-east, we traverse the area of Catania, a place which, like Palermo, is known for the excellence of its street food and traditional dining. From the outskirts of Catania, we already begin to glimpse something extraordinary. It’s Mount Enta, locally known as Iddu, or 'A Muntagna. Etna, where the soil is dark, bordering on black, and the leaves of the grapevines are an intense green. The vineyards of Mount Etna are populated by the Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante and Minnella varieties, which transform the complex properties of this land into inimitable forms of oenological elegance. The wine speaks of the land that produces it, conveying the pedoclimatic, technical, and human factors, as well as the inexplicable and mysterious factors that give it personality. The land of Sicily is precisely as it is expressed by its wines, which have proven to be one of the most compelling means for discovering it.
DUCA DI SALAPARUTA FLORIO
Niente sa mantenere vivo il tempo passato, quanto il vino. Specialmente un certo tipo di vino come il Marsala. I Florio sono stati creatori di un prodotto che ha saputo resistere alle intemperie del tempo e della storia umana. Il loro nome è risuonato fra le corse automobilistiche e l’imprenditoria dell’800, rimbombando fra la nobiltà europea avvinta dal fascino di Donna Franca Florio, per poi rimanere tutt’oggi vivamente ancorato ad uno dei vini più misteriosi di sempre. Eclettici, i Florio. Eclettici e creativi, con la capacità di saper guardare lontano. Il Marsala è un nettare complesso che necessita di tempo, di spazio e di scommesse. È un vino capace di interagire con il tempo in modo imprevedibile, risultando in un’identità sempre diversa per ogni botte e per ogni bottiglia. Le cantine Florio sono passate di mano in mano fino a diventare parte del gruppo Duca di Salaparuta, proprietà della famiglia Reina. Sono loro che, oggi, hanno scelto di continuare a scommettere su questa cantina, ad investire sul tempo e a credere fortemente nel vino Marsala. Eredità e tempo presente: l’armonia custodita teneramente dentro una botte.
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Nothing knows how to keep the past alive like wine. Especially a particular type of wine, like Marsala. The Florio family has created a product that’s been able to withstand the tests of time and history. Their name resonates among the car races and the business world of the 19th century, echoing among the European nobility won over by the charm of Donna Franca Florio, and, today, still maintains strong ties with one of the most mysterious wines of all time. The eclectic Florio family. Eclectic and creative, and gifted with foresight. Marsala is a complex wine that takes time, space, and risks. It’s a wine that interacts with time in an unpredictable manner, resulting in a different identity for every barrel and each individual bottle. The Florio winery has passed from hand to hand, ultimately becoming part of Duca di Salaparuta Group, owned by the Reina family. It is they who have now chosen to continue to bet on this winery, to invest the necessary time, and to believe in Marsala wine. The past and the present: harmony carefully nurtured in a barrel.
wine
FIRRIATO Ci sono realtà che sono in grado di offrire non delle etichette, non dei vini, ma un vero e proprio viaggio per la Sicilia, raccontandone capitolo dopo capitolo le diverse sfumature di terroir. Firriato è una delle aziende capaci di fare questo, conducendo per mano il consumatore alla scoperta della Sicilia marina nell’Isola di Favignana, della Sicilia di montagna all’ombra dell’Etna e del profilo collinare nella provincia di Trapani. Proprio in quest’ultima zona – precisamente presso i 110 ettari della tenuta Baglio Sorìa – l’avventura di Firriato mosse i primi passi nel 1984. Crebbe rapidamente, con un incedere rapido e incalzante, arrivando oggi a contare 6 tenute e 36 etichette prodotte. Il protagonista è la vigna, che procede a braccetto con il terroir sulla strada della valorizzazione di ciò che scandisce da sempre la tradizione sicula. Ecco perché Firriato dedica la maggior parte delle proprie energie alla viticoltura delle varietà autoctone e si coinvolge sempre di più in tutto ciò che è ricerca. Studi, vigneti sperimentali, prove e osservazioni. Firriato vuole riscoprire quei vitigni legati alla storia agricola siciliana che rischiano l’estinzione dal patrimonio ampelografico e vuole studiare la risposta delle viti a piede franco nelle differenti tipologie di territorio. La proprietà della famiglia Di Gaetano dispone di ceppi con età superiore ai 150 anni, sopravvissuti fieramente alla devastazione della Fillossera. Rappresentano uno scrigno prezioso di cultura e storia passata, sempre vive nella visione tesa al futuro che contraddistingue la filosofia produttiva di Firriato.
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There are wineries that are capable of offering more than just labels and wines, but actual journeys to Sicily, conveying the various nuances of the terroir, chapter after chapter. Firriato is capable of doing just that, taking the consumer on a guided tour of maritime Sicily, on the island of Favignana, the mountains of Sicily, in the shadow of Etna, and the hilly profiles of the province of Trapani. And it is precisely in this latter area – among the 110 hectares of the Baglio Sorìa Estate – that Firriato’s adventure began back in 1984. It grew rapidly, at a fast and insistent pace, reaching a current total of 6 estates and 36 labels produced. The protagonist is the vineyard, whose terroir consistently exalts the qualities that have always distinguished the Sicilian tradition. That’s why Firriato dedicated most of its efforts to cultivating indigenous varieties, and became increasingly involved in research activities. Studies, experimental vineyards, tests, and observations. Firriato wanted to rediscover the grapevine varieties of Sicily’s past that risked going extinct, and wanted to study the response of rootstock vines in different types of soil. The property of the Di Gaetano family had vines over 150 years old, which had boldly survived the regional devastation wrought by phylloxera. In terms of the vision of the future that distinguished Firriato’s production philosophy, they represented a precious treasure chest of the culture and history of the past. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
DONNAFUGATA Si è fatta conoscere in tutto il mondo per il suo pluripremiato passito, divenuto un nome garante dell’uva Zibibbo. Oggi l’azienda vitivinicola Donnafugata afferma un’altra incredibile declinazione di sé, raggiungendo le pendici dell’Etna per raccontarsi in una chiave di finezza e di appuntita mineralità vulcanica. Donnafugata nasce nel 1851 in quel della Sicilia occidentale, ove la fondatrice famiglia Rallo possiede tre differenti tenute. Negli anni, la produzione è andata definendo due principali vini icona, ben rappresentativi dello stile aziendale: il Mille e Una Notte - blend di Nero d’Avola, Petit Verdot, Syrah ed altre uve - e il noto Passito di Pantelleria Ben Ryè. La conquista dell’Etna - e della zona di Vittoria nella Sicilia sud - per Donnafugata ha significato la realizzazione di un sogno. Oggi questo sogno prende vita in 18 ettari di vigneto, ripartiti in 5 diverse contrade afferenti ai comuni di Passopisciaro e Randazzo, dove è sita anche una cantina di vinificazione. Nerello Mascalese e Carricante sono i protagonisti della vigna, dapprima dipinti dall’Etna “Sul Vulcano” DOC nelle rispettive versioni Rosso e Bianco, ed ora anche nell’espressione di un cru di eccellenza, che risponde al nome di Etna “Fragore” DOC. Quest’ultimo nato di casa Donnafugata si annuncia come il terzo vino icona aziendale, affiancabile ai due best seller storici. La sua limitata produzione a meno di 15.000 bottiglie lo rende già una perla rara, capace di offrire l’espressione preziosa di un terroir affascinante e difficile.
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It became known all over the world for its award-winning Passito, a guarantor of the Muscat of Alexandria variety. Today, the Donnafugata winery has assumed yet another incredible variation, reaching out to the slopes of Etna to express itself with the excellence and the sharp volcanic minerality of that land. The Donnafugata winery was established in 1851 in western Sicily, where its founders, the Rallo family, owned three different estates. Over the years, the production focused upon two main types of iconic wines, which are perfectly representative of the company’s style: the Mille e Una Notte (a blend of Nero d'Avola, Petit Verdot, Syrah and other grape varieties), and the well-known Passito di Pantelleria Ben Ryè. For the Donnafugata winery, the conquest of Etna (and the Vittoria area in southern Sicily) was a dream come true. Today this dream has been realised with 18 hectares of vineyards, divided among 5 different areas belonging to the municipalities of Passopisciaro and Randazzo, where there’s even a wine cellar. Nerello Mascalese and Carricante are the protagonists of the vineyard, and after initially being brought together in their respective red and white versions in the Etna “Sul Vulcano” DOC, they have now also become the expression of an excellent cru plot, known as Etna “Fragore” DOC. This most recent product from the Donnafugata winery has been heralded as the company’s third iconic wine, flanked by its two historical best sellers. Its limited production of less than 15,000 bottles already makes it a rare pearl, capable of expressing all the charm and complexities of a difficult terroir.
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Alessandro Mori
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di Bruno Petronilli foto di Gabriele Guarnieri
Marroneto, “the” Brunello Sometimes we’re lucky enough to taste the best wine in the world. It doesn’t happen very often... but it happens. And when it happens we feel a sense of impalpable and unrestrainable happiness, but also feelings of profound sadness, because while that “best wine in the world” experience will fortunately not be the only one in our lifetime (this is the advantage of dealing with a human and natural creation that cannot be replicated, but can be repeated), we nevertheless know that we’ll have to search for a long time before we can enjoy that experience once again. This is an excellent description of the feelings I had after enjoying my first glass of Marroneto Brunello di Montalcino Riserva Madonna Delle Grazie 2013: the perfect wine, which I personally assessed at 100/100. And the
person who filled my glass with so much excellence is Alessandro Mori. In 1974, his father Giuseppe Mori fell in love with the medieval village of Montalcino, the city to which the Mori family had traced its origins, and in particular an ancient mid-11th century tower (which was used to dry marroni, the typical local chestnuts, hence the name Marroneto). He therefore purchased a small farm that afforded views of the city of Siena and the entire Val d’Orcia area. The farm was overlooked by the 11th century church dedicated to Our Lady of Graces, after which the first vineyard planted on the north side of the farm was named. That was the first piece of the puzzle that led to this legendary winery’s success: the North. JAMESMAGAZINE.IT
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Capita, a volte, di assaggiare il vino più buono del mondo. Capita, non molto spesso, ma capita. E quando accade provi un senso di felicità impalpabile e irrefrenabile, ma anche sentimenti di profonda mestizia, perché se quel “vino più buono del mondo” per fortuna non sarà l’unico della tua vita (è il vantaggio di avere a che fare con una creazione umana e naturale, non replicabile, ma ripetibile) sei sicuro che prima di provare quelle medesime emozioni dovrai cercare e cercare per molto tempo. Questa descrizione si adegua molto bene alla commozione che ho provato dopo aver messo nel mio calice il Marroneto Brunello di Montalcino Riserva Madonna Delle Grazie 2013, il vino perfetto, valutato personalmente 100/100. E colui che ha versato tanta grazia nel mio bicchiere si chiama Alessandro Mori. Nel 1974 suo padre Giuseppe Mori s’innamora del borgo medioevale di Montalcino, città della quale i Mori sono originari e, in particolare, di un’antica torretta di metà 1200 (nella quale si mettevano ad essiccare i marroni, la tipica castagna da cui da cui il nome Marroneto). Acquista così un piccolo podere dal quale si domina con lo sguardo dalla città di Siena a tutta la Val d’Orcia. Il podere sorge sotto la chiesa del 1200 dedicata alla Madonna delle Grazie che darà il nome proprio al primo vigneto impiantato, sul versante che guarda a nord. Ora ecco il primo tassello su cui si fonda il successo di questa leggendaria cantina: il nord.
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Il mio vino ha un padre e una madre, la terra in cui nasce. Niente di complicato 80
My wine has a mother and a father: the land from which it is produced. It’s not complicated. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
Il Marroneto LocalitĂ Madonna delle Grazie, 307 53024 Montalcino (SI) Italy www.ilmarroneto.com
Everyone, even those with minimal experience in the field of oenology, knows that the best vineyards need southern exposure, due to the particularly favourable climatic conditions. But the fact of the matter is that this rule is not written in stone. Montalcino itself proves the opposite, boasting extraordinary vineyards with northern exposure that produce excellent wines. Given the exceptional wines produced by the vineyards, one might think that such excellence is also owed to a modern and complicated oenological system, an technologically advanced wine cellar, and the work of scientists. But there’s not of that. And, frankly, that’s the biggest surprise. The words that Alessandro said during our visit were sincere and enlightening: “It’s the vineyard that makes wine... My job only consists of not preventing the entirely natural process from being carried out. My wine has a mother and a father: the land from which it is produced. It’s not complicated.” An incredible philosophy, in a world in which the agrarian science invent new and innovative techniques and methods every day. The Marroneto was born during the early years of the winery in Montalcino, when the Consortium had only been around only seven years. The landscape was quite different back then, and the vineyards have since become aesthetic decorations upon the territory. Giuseppe Mori began his adventure during pioneering times, and his sons Andrea and Alessandro accompanied him throughout the process, although they also continued to follow in his footsteps as a lawyer. But every weekend they were there on their farm, planting the first 3000 metres of vineyard in 1975, the greatest portion in 1979, and the last 9000 metres in 1984. “Our family didn’t come from the world of wine, and none of us initially thought that it would have become the job of our lifetime”, Alessandro says. But an encounter with a somewhat legendary duo in the field of Italian oenology, Mario Cortevesio and Giulio Gambelli, triggered a unique passion within the Mori family, and especially in Alessandro himself. From the very first meeting, Gambelli made it clear to the young Mori brothers that wine was something to be taken seriously. It wasn’t a game, but a child to be reared. Harvest after harvest, therefore, the passion for this world and a true love for Marroneto grew within the two young brothers, especially Alessandro, who in the meantime had earned his degree and began a professional career. He carried on with his activities as both a lawyer and a “vigneron” for nine years, but the latter eventually gained the upper hand. “Every Monday I would go back to my studio, but my mind was constantly elsewhere... I was thinking about the vineyard, what I had done on the weekend, and what I should have done. The vineyard had become my life, and, with it, I could express myself.” Since the very first vinified vintage of 1976, and throughout all the wines bottled from 1980 up until the present, the story of Marroneto and that of Alessandro have gone hand in hand. Each year does not only consist of a rainy summer, or a windy and bitter winter, but is also marked by the indelible journey of his life. A journey during which Alessandro has increasingly dedicated himself to Marroneto, with the year 1990 representing a major milestone. “1990 was a big year for both myself and my wine. In addition to having been a perfect year for Sangiovese, it was also the year that I decided to break away from my mentor and role model, and embark on my own journey. I was ready. From that moment onward I would only engage the services of an oenologist, to oversee the health of my vineyards, and I alone would be the one to decide which characteristics my wine would have.” Each harvest after that of 1990 was a time for personal growth, and for learning more about his land, his vineyards, his wines, and the entire Marroneto world. Alessandro Mori proudly continues to dedicate himself to his vineyards to this day. JAMESMAGAZINE.IT
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Chiunque, anche i meno esperti del mondo enologico, sanno che i migliori vigneti hanno un’esposizione a sud, per via delle particolari condizioni climatiche più favorevoli. Ma non è una legge assoluta, anzi. Proprio Montalcino dimostra il contrario con vigneti straordinari e conseguenti vini straordinari proprio con esposizione a nord. Data per acquisita la fortunata allocazione dei vigneti, verrebbe da pensare che tanta delizia sia anche il frutto di un sistema enologico moderno e complicato, di una cantina all’avanguardia, di un lavoro da scienziati. Niente di tutto ciò e questa, sinceramente è la sorpresa più grande. Le parole di Alessandro durante la nostra visita sono sincere e illuminanti: “è la vigna che fa il vino, io ho solo il compito di non impedire che un processo assolutamente naturale vada a compimento. Il mio vino ha un padre e una madre, la terra in cui nasce. Niente di complicato”. Una filosofia incredibile, in un mondo in cui la scienza agraria inventa ogni giorno tecniche e metodi innovativi. Quando nacque il Marroneto erano i primi anni della Montalcino vinicola e il Consorzio era nato da soli sette anni. Il panorama era ben diverso dalla meraviglia attuale in cui le vigne sono decori estetici del territorio. Giuseppe Mori inizia un’avventura in tempi pioneristici e i figli Andrea e Alessandro lo accompagnano nonostante continuino a seguirne le orme nella professione forense. Ma ogni fine settimana sono lì, nel loro podere in cui impiantano i primi 3000 metri di vigna nel 1975, la maggior parte nel 1979 e gli ultimi 9000 metri nel 1984. “La nostra famiglia non proveniva dal mondo del vino e, inizialmente, nessuno avrebbe pensato di farne il lavoro della propria vita” ci dice Alessandro, ma l’incontro con un duo quasi leggendario per il mondo dell’enologia italiana come Mario Cortevesio e Giulio Gambelli innesca una passione unica nella famiglia Mori ed in particolare proprio in Alessandro. Fin dal primo incontro Gambelli chiarì ai giovani Mori quanto il vino fosse una cosa seria, non un gioco, ma un figlio da allevare. Vendemmia dopo vendemmia, quindi, la passione per questo mondo e l’amore reale per Il Marroneto crescono nei due giovani, specie Alessandro, che nel frattempo si laurea ed inizia un percorso professionale. Per nove anni porta avanti le due attività, quella di avvocato e quella di “vigneron”, ma la seconda alla fine prende il sopravvento. “Ogni lunedì tornavo in studio, ma la mia mente era continuamente impegnata altrove, pensavo al vigneto, a cosa avevo fatto durante il fine settimana e a cosa avrei dovuto fare. La mia vita era diventata la vigna ed io, con lei, riuscivo ad esprimere me stesso”. Dalla prima annata vinificata, il 1976, alla prima imbottigliata nel 1980, fino ad oggi, la storia del Marroneto e quella di Alessandro vanno di pari passo. Ogni annata non rappresenta soltanto un’estate piovosa oppure un inverno ventoso e aspro, ma è anche la traccia indelebile della sua vita. Un percorso durante il quale Alessandro ha sempre di più dedicato tutto se stesso al Marroneto, di cui il 1990 è stato tappa fondamentale. “Il 1990 è stata una grande annata, sia per me che per il mio vino. Oltre ad essere un anno perfetto per il Sangiovese, ho deciso di affrancarmi dal mio mentore e maestro di vita e di camminare in totale autonomia. Ero pronto. Da questo momento in poi avrei avuto bisogno soltanto di un enologo che si occupasse della salute delle mie vigne, ma sarei stato solo io a dare l’impronta al mio vino”. Ogni vendemmia, da quel 1990, è stata una crescita ed una scoperta dei propri terreni, delle proprie vigne, dei vini e di tutto il mondo Marroneto. Oggi Alessandro Mori continua orgogliosamente a farlo.
vini wines
VERTICALE BRUNELLO DI MONTALCINO MADONNA DELLE GRAZIE IL MARRONETO 2003/2012 Verticale Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2003/2012
2009
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Colore scintillante e trasparente, cuoio, alloro, lampone in confettura, sandalo e ginepro, si allarga su amarena e pomodoro confit, bocca di polpa spalla, tannini sottili e pronti che tengono botta alla sostanza e materia, vino materico e ricco ma per niente asciutto come molti suoi pari età. Resta calore e traccia aromatica persistente, divertente e croccante. Non elegantissimo ma ti innamori della sua carnosità e della sua struttura debordante. With a sparkling and transparent colour, a hint of leather, laurel, raspberry jam, sandalwood and juniper, the aroma expands to include sour cherry, tomato confit, and pork shoulder, with subtle and ready tannins to keep the substance and matter at bay... a wine that’s rich and full-bodied, but not at all dry, like others aged to the same degree. The aftertaste is warm, with a fun and crisp trace of persistent aromatic nuances. It’s not overly-elegant, but you’ll fall in love with its richness and overflowing structure.
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Degustazione firmata da Andrea Gori
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2005
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Note di confettura, lamponi ribes, arancio e bergamotto, liquirizia, alloro e rafano, tabacco biondo e carrube. Al sorso è carnoso e compassato con meno cedimento alla grassezza e al frutto pieno rispetto al naso, tannino sontuoso e denso che rende l’esperienza di beva piacevolissima, carnosità sfacciata, lunghezza e persistenza, amarena, humus e umami.
Naso tumultuoso e monolitico di prugne, ribes rosso, tabacco anice e ginepro, china, pepe nero. Sorso imperioso e potente, carnoso e piccante, con i nervi a fior di pelle ma con un equilibrio particolare, ancora in evoluzione con aromi che si confermano in bocca: allunga bene e si arresta un po’ veloce, ma resta il segno di un’annata particolare, vino affascinante.
Notes of jam, raspberries, black currants, orange, bergamot, licorice, laurel, horseradish, blond tobacco and carob-beans. It’s meaty and self-restrained on the palate, yielding less to the fatness and the full-fruitiness with respect to the nose, with dense and sumptuous tannins that render the drinking experience extremely pleasant, blatant full-bodied, with a marked persistence of sour cherry, humus and savouriness.
A tumultuous and monolithic aroma of plums, red currant, tobacco, anise, juniper, cinchona, and black pepper. Imperious, powerful, full-bodied and spicy on the palate, with hints of leather, but with a particular balance, and constantly evolving in the mouth with various aromas: it has excellent persistence and stops a little quickly, but the sign of a particular vintage and a fascinating wine remains.
2010
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Di una freschezza algida e polare che cristallizza le bacche del mirtillo rosso e i petali di rosa in una fisicità croccante, ultraterrena, aulica e sofisticata. Il tannino è tratteggiato con meticolosità e sfuma all’aerografo balsamicità di radici,resine e piccantezza materica. Persistenza aristocratica dalla pulsante energia. Veramente una meraviglia che rende giustizia a tutta Montalcino, un vino che scappa via dal bicchiere da quanto è balsamico e fruttato, timo, alloro, vetiver e sandalo, fragolina di bosco in confettura, camemoro. Bocca struggente con un frutto esplosivo ma una definizione incredibile di un sangiovese che affascina e travalica i confini della Toscana, di Montalcino e dell’Italia. It has a cold and polar freshness that crystallises cranberries and rose petals within a crisp, otherworldly, refined and sophisticated physicality. The tannin component is meticulously subtle, and gives off nebulous hints of roots, resins and textured spiciness. Haughty persistence with a pulsating energy. A true marvel that does justice to all of Montalcino... a wine that flees from the glass due to its balsamic and fruity nuances, with hints of thyme, laurel, vetiver and sandalwood, wild strawberry jam, and cloudberry. Poignant, with an explosive fruity component, but incredibly well-defined, for a sangiovese that fascinates and crosses the boundaries of Tuscany, Montalcino and Italy itself.
2011
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Sottile, balsamico, timo, mentuccia, lavanda, amarena, ciliegie e cannella, fragole e rabarbaro, buccia di peperone, bocca ammantata di grazia e levità senza la profondità della 2010 né la sua lungimiranza, ma che da bersi oggi è una festa per il palato. Traccia sapida e frutto dritto che allunga il piacere per diversi secondi, da abbinare e gustarsi a tavola con sue note dolci e calde ben supportate dal tannino scorbutico ma adeguato al corpo e struttura del sorso. Subtle and balsamic, with hints of thyme, mint, lavender, sour cherry, cherries, cinnamon, strawberries, rhubarb, and bell pepper peels, it cloaks the mouth with grace and levity, with neither the depth nor the foresight of the 2010 vintage, but is nevertheless a feast for the palate. Savoury nuances and direct fruity flavours, which extend the pleasure for several seconds, to be accompanied and enjoyed at the table, with its sweet and warm notes well supported by a tannin component that’s well suited to its body and structure.
2008
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Frutta scura e fresca, lamponi, mirtillo, lavanda e ribes rosso, amarene e pittosporo, bergamotto, tabacco Kentucky, cacao e ginepro. Bocca sontuosa, ricca e placida all’inizio poi risale su sapidità umami e tocchi speziati, lunghissimo e carnoso, energico profondo equilibrio, un peso massimo che danza come un’ape alla Cassius Clay: sandalo, vetiver, aloe vera, cipresso che si manifestano alternati al frutto, meraviglioso e lungimirante. Notes of dark and fresh fruit, raspberries, blueberry, lavender and red currant, sour cherries and cheesewood, bergamot, Kentucky tobacco, cocoa and juniper. Sumptuous on the palate, it presents itself rich and peaceful at the beginning, with increasing notes of savouriness and spiciness, extremely persistent and full-bodied, a profound and energetic balance, a heavyweight that dances like a bee, just like Cassius Clay: sandalwood, vetiver, aloe vera, and cypress, which manifest themselves in alternation with the fruit.
2012
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Registro simile alla 2010, esce da note balsamiche, sandalo vetiver, amarene con spruzzata di pepe e peperoncino, stupendo tannino affilato e ritmato che accarezza e schiaffeggia il palato senza mai far male come a far sentire sempre la sua presenza. Bocca di amarene fragole in confettura, pesca, mela annurca, macis e miele di castagno, tannino felpato e arrotondato, ma ancora foriero di meraviglie a venire che vedranno svelarsi lati ancora nascosti ma che già si intravedono nel loro fulgore e nitidezza. Similar to the 2010 vintage, it gives off balsamic notes, with hints of sandalwood and vetiver, sour cherries with splash of pepper and chili, and a sharp and rhythmic tannin component that both caresses and slaps the palate, just enough to make its presence felt. The flavours of sour cherries strawberry jam, peach, annurca apple, mace spice and chestnut honey, and a soft and rounded tannin component that heralds the wonders to come, which will reveal hidden sides, whose brightness and sharpness are already glimpsed.
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2003
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di Giordana Talamona
È il distillato italiano per eccellenza, quello che richiama immediatamente nell’immaginario popolare il corroborante degli Alpini o il dopo pasto del nonno. Un’immagine cristallizzata nel tempo, che in realtà va decisamente stretta alla Grappa, che sta vivendo una nuova vita grazie al suo utilizzo nella mixology. Sarà che il consumo della Grappa è cambiato sostanzialmente negli ultimi dieci anni, sarà che lo stile si è evoluto strizzando l’occhio a nuovi consumatori più esigenti, fatto sta che questo distillato ricavato dalla lavorazione delle vinacce si sta ricavando un posto anche nell’affollato settore della miscelazione.
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It’s the Italian distillate par excellence, that which immediately calls up popular images of Italy’s alpine troopers, or a grandfather’s after-dinner drink. An image that’s been consolidated over time, and has in fact become inextricably linked to Grappa, whose popularity is currently increasing thanks to its use in the field of mixology. Whether its because Grappa consumption has changed considerably over the past ten years, or because the style has evolved to meet the needs of new and more demanding consumers, the fact remains that this distillate derived from grape marc is even carving out a place for itself in the crowded mixing industry.
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DAL PUNCH ALLA GRAPPA, RITORNO AL FUTURO
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L’utilizzo della Grappa non è in realtà nuovo nei cocktail del passato. A confermarlo è Paola Soldi, presidente di Anag, Assaggiatori Grappa ed Acquaviti. “Come ha anche evidenziato il libro La grappa nello shaker pubblicato dal Consorzio Tutela Grappa del Piemonte e Grappa di Barolo, il nostro distillato è tra i protagonisti de La Cucina Futurista di Marinetti e Fillìa. In quel libro del 1932 sono racchiuse alcune ricette di polibibite, ossia di cocktail, come erano allora stati ribattezzati dai futuristi”. Tra quelle più strane c’è il Diavolo in tonica nera (polibibita dell’aereopittore futurista Fillìa, che prevedeva 2/4 di sugo di arancio, 1/4 di grappa, 1/4 di cioccolato liquido e l’aggiunta del tuorlo di un uovo sodo. Una fortuna durata poco meno di un decennio, che si è scontrata con le caratteristiche organolettiche di un prodotto di non facile utilizzo nella miscelazione. “La grappa è l’unico prodotto al mondo che non ha bisogno di invecchiamento per sprigionare degli aromi intensi, proprio perché la materia prima da cui nasce, le vinacce, sono già di per sé molto profumate” continua Paola Soldi. “Ecco perché nel passato i suoi aromi e il suo sapore pungente l’hanno resa molto difficile da usare, rispetto ad altri distillati dalle caratteristiche più neutre, come Gin o Vodka”. La storia della miscelazione, d’altra parte, ci racconta di come il primo cocktail dell’era moderna, il punch, sia nato nel XVII secolo a bordo delle navi britanniche della Compagnia delle Indie Orientali da una base di acqua, agrumi, zucchero, spezie e alcol, sostituito quest’ultimo nel tempo da Rum e Brandy, per le classi più abbienti. Anche il progenitore del Gin Tonic ha visto la luce con ogni probabilità su una nave, durante i pericolosi viaggi transatlantici che portavano schiavi e spezie, sia per dare coraggio ai marinai, che prevenire alcune malattie come la malaria. Il Jenever olandese, poi diventato Gin in Inghilterra, univa, infatti, le proprietà del ginepro a quelle della tonica, prodotta quest’ultima con la corteccia di chinchona, il chinino. Uno spruzzo di limone per prevenire lo scorbuto, e voilà, il drink medicinale era fatto: entrava nella storia il Gin Tonic ante litteram.
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From Punch to Grappa, it’s back to the future The use of Grappa in the cocktails of the past is actually nothing new. This is confirmed by Paola Soldi, president of ANAG, the National Association of Grappa Tasters. “As highlighted in the book titled La Grappa nello Shaker (Grappa in the Shaker), published by the Consortium for the Protection of Piedmont and Barolo Grappa, our distillate is one of the protagonists of the futurist cuisine of Marinetti and Fillìa. That book published in 1932 contained several recipes for cocktails, known as polibibite, as they had been renamed by the futurists.” One of the strangest was the Devil in Black Tonic (the polibibita of the futurist aereopainter Fillìa, which was 2/4 orange juice, 1/4 grappa, 1/4 liquid chocolate, and one hard-boiled egg yolk. Its popularity lasted just under a decade, and was curtailed by the organoleptic properties of a hard-to-mix product. “Grappa is the only product in the world that doesn’t need to be aged in order to release its intense aromas, and this is due to the fact that the raw material from which it is made, grape marc, is already very aromatic,” Paola Soldi continues. “That's why, in the past, its aromas and pungent flavour made it extremely difficult to use compared to other more neutral distillates, like Gin or Vodka.” The history of mixing, on the other hand, tells us how the first cocktail of the modern era (punch) arose in the seventeenth century aboard the British ships of the East India Company, and was based on a combination of water, citrus juices, sugar, spices and alcohol, the latter of which eventually came to be replaced with Rum and Brandy by the upper classes. In all likelihood, the precursor to the Gin and Tonic also came about on board a ship during the dangerous transatlantic voyages carrying slaves and spices, both to lend courage to the sailors, as well as to prevent certain diseases, such as malaria. In fact, the Dutch Jenever, which later became known as Gin in England, combined the properties of juniper with those of tonic, the latter of which was produced from cinchona bark. A splash of lemon to prevent scurvy, and voilà, the medicinal drink was ready: the Gin and Tonic ante litteram went down in story.
GRAPPA 2.0 Come siamo arrivati a questo utilizzo della grappa nella miscelazione lo spiega nuovamente Paola Soldi, presidente di Anag. “Si tratta di un’evoluzione naturale del suo utilizzo, legato principalmente a un certo cambio di stile e di consumatore. Se prima la Grappa old style aveva caratteristiche organolettiche molto forti e pungenti, con l’ultimo decennio e l’arrivo anche del gentil sesso tra i consumatori, le distillerie hanno iniziato a produrre Grappe molto più gentili, che meglio si prestano al loro utilizzo nei cocktail. Siamo all’inizio di una nuova era, che ritengo, durerà a lungo anche per l’attenzione che gli stessi bartender stanno dando ai prodotti nazionali. Recentemente il terzo premio per un concorso promosso da una scuola alberghiera toscana è andato a un cocktail a base di grappa. Che a un giovane venga in mente di utilizzare questo prodotto nella miscelazione è un segnale, che la dice lunga su dove stiamo andando”.
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Grappa 2.0 The way that grappa came to be used in mixing is explained by Paola Soldi, president of the National Association of Grappa Tasters. “We’re talking about a natural evolution of its use, mainly linked to a certain change in terms of style and consumers. While the previous old style Grappa had quite strong and pungent organoleptic properties, over the past ten years, and with the fairer sex joining the ranks of its consumers, distilleries began producing much milder types of grappa, which are more suitable for use in cocktails. We’re at the start of a new era, which I believe will last for a long time, also due to the attention that the bartender themselves are paying to our domestic products. In fact, he third prize for a recent competition sponsored by a Tuscan hotel school went to a grappa-based cocktail. The fact that a young individual thought to use this product in a cocktail says a lot about where we’re headed.”
distillati spirits
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Le regole per preparare un cocktail a base di Grappa non sono molte, ma certe. “Innanzitutto va trattata in maniera gentile, senza utilizzare ingredienti che possano sovraccaricare il drink. Meglio note leggere di miele e vaniglia, che aromatizzino la Grappa, senza snaturarla, perché la sua riconoscibilità è fondamentale per renderle giustizia”. A spiegare i segreti per utilizzare il nostro italianissimo distillato, è Alfio Liotta, Food&Beverage Manager di Belmond Villa Sant’Andrea, che ha inventato uno degli otto migliori cocktail al mondo secondo la classifica di Condé Nast Traveler USA, l’Etna Spritz. “È chiaro che nella preparazione di un cocktail incide molto il gusto e la personalità del bartender. Nella mia personale interpretazione di questo distillato, preferisco utilizzare delle Grappe giovani, come delle Prime uve non invecchiate, senza alcun passaggio in legno. E per la preparazione, suggerisco sia mescolata e non shakerata. D’altra parte la creazione di un cocktail non è una scienza esatta, ma un rito liturgico”. Nel caso volessimo reinterpretare con la Grappa un cocktail famoso Alfio Liotta propone il Sidecar, un classico della miscelazione a base di Cognac o Brandy, liquore all’arancia e succo di limone, probabilmente preparato per la prima volta all’Hotel Ritz di Parigi sul finire della Seconda Guerra Mondiale. “Personalmente utilizzerei una Grappa bianca, aggiungendo delle arance e delle note di miele, che controbilancino la tipica pungenza del distillato”. Tra i drink più gettonati del Belmond Grand Hotel Timeo di Taormina, nati proprio dalla creatività di Liotta, guarda caso, ce n’è proprio uno a base di questo distillato. “Nato come una scommessa, col Baronetto abbiamo cercato di cambiare vestito alla Grappa, rendendola una proposta estiva molto gradevole. Si prepara con Grappa dell’Etna (Rovitello Benanti), Amaro Amara, Solerno e miele dell’Etna”. Assolutamente da provare, per un gemellaggio nord-sud: abbiamo fatto la Grappa, facciamo l’Italia.
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Mixology, a liturgical rite There are only a few certain rules for preparing a grappa-based cocktail. “Firstly, it is necessary to use mild components, without using any ingredients that might overload the drink. It’s better to have light notes of honey and vanilla, which aromatise the grappa without altering it, because its recognisability is essential for doing them justice.” The secrets to using this ultra-Italian distillate are explained by Alfio Liotta, Food & Beverage Manager for Belmond Villa Sant’Andrea, who, according to the Condé Nast Traveler USA ranking, invented one of the eight best cocktails in the world: the Etna Spritz. “The tastes and personality of the bartender naturally have an impact on the preparation of a cocktail. In my personal interpretation of this distillate, I prefer to use young grappas, like the first unaged grapes, without any time spent in wood. And in terms of preparation, I recommend stirred, not shaken. Then again creating a cocktail isn’t an exact science, but a liturgical rite.” If we wanted to reinterpret a famous cocktail with grappa, Alfio Liotta proposes the sidecar, a classic drink made with Cognac or Brandy, orange liqueur, and lemon juice, likely prepared for the first time at the Hotel Ritz in Paris at the end of the Second World War. “Personally I would use a white grappa, adding oranges and hints of honey to counterbalance its typical tartness.” In fact, a drink based precisely on this spirit is among the most popular that Liotta has created at the Belmond Grand Hotel Timeo in Taormina. “It was the result of a bet... with the Baronetto we tried to give grappa a different appeal, rendering it a pleasant summer drink. It’s made with Grappa dell’Etna (Rovitello Benanti), bitter, Solerno and Etna honey. Absolutely worth a try, for a north-south pairing: we made the Grappa, let’s do Italy.
Alfio Liotta / Belmond Villa Sant’Andrea
MIXOLOGY, UN RITO LITURGICO
Se nel Bel Paese la tendenza è in piena ascesa, all’estero la Grappa non viene ancora contemplata come base per i cocktail. “Le dirò di più: all’estero il nostro distillato nazionale è ancora poco conosciuto rispetto agli altri, a parte una certa sensibilità di tedeschi e austriaci, che amano consumarla a fine pasto”. Luca Picchi, una vera autorità al mondo sul Negroni e Bar Manager del Caffè Gilli 1733, è molto chiaro a riguardo: il mondo della Grappa rimane ancora un affare tutto nostrano. “Il segreto per un cocktail ben fatto è il bilanciamento. Se il primo sorso ti conquista, l’ultimo dev’essere evocativo, per questo ci sono poche ricette rimaste nella storia, che sono amate tutt’oggi da un vasto pubblico, come il Martini o il Negroni”. Ma la Grappa può essere utilizzata sia per preparare long drink, pre dinner che after dinner? “E’ evidente che si tratta di un mio parere, ma per le caratteristiche stesse della Grappa, ritengo che la sua giusta collocazione sia in un after dinner, giocando con dei liquori al caffè, all’anice, alla liquirizia, alla menta, cacao e cioccolato. Come pre dinner ci potrebbe stare se utilizzata come taglio, assieme al Brandy, per esempio, nella rivisitazione di un Manhattan. In questo caso potrebbe essere un buon un co-protagonista assieme a quello che, per materia prima, ha una lontanissima attinenza. Come long drink, invece, se si tratta di un cocktail fermo si potrebbe anche osare, ma se effervescente trovare il giusto equilibrio diventerebbe molto complicato. La gassatura con la soda, infatti, attiva le molecole del distillato, facendo da cassa di risonanza”. E abbiamo detto che il bilanciamento è tutto, soprattutto quando si miscela un distillato come la Grappa.
Luca Picchi / Caffè Gilli
GRAPPA, ITALIAN AFFAIR
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Grappa, an Italian affair While in Italy the trend is in full swing, grappa isn’t yet considered as a base for cocktails abroad. “Not only that: aside from a among the Germans and the Austrians, who love to drink it after meals, our national spirit is still relatively little known compared to others.” Luca Picchi, a real world authority on Negroni, and Bar Manager for Caffè Gilli 1733, is very clear in this regard: the Grappa business is still an entirely Italian affair. “The secret to a well-made cocktail is balance. If the first sip wins you over, the last one must resonate. That’s why only a few recipes have gone down in history, like the Martini or the Negroni, which are still extremely popular. But can Grappa be used to prepare both pre-dinner and after-dinner long drinks? “This is just my own opinion, of course, but due to its specific characteristics, I think that the right place for grappa is in an after dinner drink, mixed with coffee, anise, liquorice, mint, cocoa and chocolate flavoured liqueurs. It could be incorporated into a pre-dinner drink if used as a cutter, together with Brandy, in a reinterpretation of the Manhattan, for example. In this case it could serve as an excellent co-star, since Brandy already has a well-established reputation as a raw material. As a long drink, however, if we’re talking about a still cocktail, it might be worth a try, but it would get really difficult to find the right balance in a sparkling drink. In fact, the carbonation activates the spirit’s molecules, resulting in a amplification effect.” And like we said, balance is everything, especially when mixing a spirit like grappa.
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di Carlo Mandelli
COME STEVE PER DOMARE “La vita è correre. Il resto è soltanto attesa”. Se Steve McQueen la sapeva lunga in fatto di corse, motori e velocità, quando pensi a lui difficilmente la memoria non ti riporta alle scene di uno degli inseguimenti automobilistici più famosi della storia del cinema, ovvero quello di ‘Bullitt’, dove il buono (McQueen) rincorre sulla sua Ford Mustang gli imperturbabili cattivi, i due sicari, nei saliscendi delle strade di San Francisco. Impossibile, quindi, quando si accende il V8 di una Mustang, non sentirsi un po’ nei panni di un McQueen dei giorni nostri. Se poi la Mustang in questione non è degli anni Sessanta e nemmeno dei Settanta, poco importa, perché il fascino di allora è rimasto intatto anche nelle nuove Fastback che Ford ha rilanciato di recente con una nuova gamma, alla sesta generazione dal 1964 ad oggi, sempre all’insegna dei muscoli e ancora più potente dei modelli precedenti. A McQueen e alla storica pellicola, Ford ha addirittura dedicato un modello esclusivo, la Mustang Bullitt, che dell’auto di allora ripropone lo scenografico colore ‘verdone’. Per essere precisi, in omaggio all’iconica quattroruote protagonista del film, la nuova Mustang Bullitt è disponibile nella tonalità Dark Highland Green ed è arricchita da dettagli per gli interni, come il pomello bianco per la leva del cambio e il badge numerato, e per gli esterni, come le cromature per la griglia, i cerchi in alluminio e le scenografiche, oltre che funzionali, pinze rosse per i freni Brembo.
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“Life is racing. Everything else is just waiting.” Steve McQueen knew a lot about racing, engines and speed, and when you think of him you’re likely to recall one of the most famous car pursuits in the history of cinema, or rather that of Bullitt, where the good guy (McQueen) chases the imperturbable bad guys (two hit men) up and down the streets of San Francisco in his Ford Mustang. That’s why it’s impossible not feel a little bit like a modern day Steve McQueen when you start up a Mustang’s V8 engine. It doesn’t even matter if the Mustang in question isn’t from the sixties or seventies, because the charm of the past still remains in the new Fastback models that Ford has recently relaunched with a new range, marking the sixth generation from 1964 up until today, with even more power than the previous models. Ford has even dedicated an exclusive model to McQueen and the historic film, the Mustang Bullitt, which even comes in the same green colour as the car used on the big screen. To be precise, as a tribute to the film’s iconic four-wheel protagonist, the new Mustang Bullitt is available in Dark Highland Green, and features exclusive details in the interior, like the white gear shift knob and the numbered badge, as well as on the exterior, like the chrome grill, the aluminium rims, and the magnificent red Brembo brake callipers.
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Breaking the Mustang like Steve McQueen
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McQUEEN LE MUSTANG
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L’edizione limitata Bullitt è equipaggiata con un motore 5.0 V8 con cambio manuale a sei rapporti, con la nuova tecnologia rev-matching di Ford, che utilizza il sistema di controllo elettronico del motore per sincronizzare l’acceleratore mentre il guidatore scala la marcia verso il basso, facendo corrispondere la velocità di rotazione del motore a quella del rapporto selezionato, per cambi di marcia fluidi e precisi. Insomma, un richiamo al passato ma con tutto quello che serve dal presente. L’iconica Ford Mustang GT del 1968, guidata da Steve McQueen nel film della Warner Bros Pictures, ha fatto la sua prima apparizione al di fuori degli Stati Uniti, al Festival of Speed di Goodwood 2018, nel Regno Unito. Nel 1968, per le riprese del film Bullitt, trasmesso il 17 ottobre del medesimo anno, furono utilizzate due Mustang GT fastback, identiche tra loro. I due esemplari presero poi strade diverse: la Mustang guidata da Steve McQueen nel film fu venduta dalla Warner Bros ad un acquirente privato, mentre l’altra, quella chiamata jumper e utilizzata per la parte più intensa dell’inseguimento, fu inviata presso un centro di ripristino. Di recente, la Mustang jumper è stata scovata in un cantiere di recupero in Baja California (Messico) e restaurata. Di quella guidata da Steve McQueen si erano invece completamente perse le tracce fino a poco tempo fa, quando il proprietario che l’aveva ereditata dal padre ha contattato Ford in occasione del cinquantesimo anniversario del film. Oltre all’edizione limitata e dall’aria cinematografica, la nuova Mustang è però anche altro, come nel caso dell’aggressiva versione Orange Fury, ma anche in quella della Lightning Blue o della Convertible. Sotto il cofano, la certezza di un motore da 5.0 di cilindrata e da 450 CV dichiarati (464 per la Bullitt), con cambio manuale oppure automatico. Essendo stata pensata per il pubblico europeo, della nuova Fastback c’è anche la versione dal motore più in linea con le strade e gli usi del vecchio continente: un meno risonante 2.3 Ecobost alle prestazioni comunque da supercar. Dentro all’abitacolo, di tutte le versioni, il fascino della storia Mustang si respira sempre, anche se la dotazione tecnologica si è adeguata con tutto quello che serve oggi (a partire da un cambio automatico a dieci rapporti e dai sistemi di assistenza alla guida) per essere al passo con la concorrenza, soprattutto quella europea. Il divertimento alla guida della nuova Mustang è garantito anche dalla presenza dei nuovi ammortizzatori MagneRide e dalle funzioni di guida selezionabili che ora includono anche la modalità personalizzabile My Mode. La nuova tecnologia di regolazione del sound dello scarico, poi, offre l’innovativa modalità Good Neighbour, per una guida più silenziosa in alcune fasce orarie. Per gli altri orari, invece, fate ‘cantare’ i cavalli. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
“La vita è correre. Il resto è soltanto attesa”. Steve McQueen “Life is racing. Everything else is just waiting.” Steve McQueen
contacted Ford around the time of the film’s fiftieth anniversary. In addition to the limited edition model with its cinematographic allure, the new Mustang is also available in an aggressive Orange Fury version, a Lightning Blue version, or a Convertible version. These versions boast a 5.0 engine displacement and 450 declared HP (464 for the Bullitt), with manual or automatic transmission. Having been conceived for the European public, the new Fastback is also available in a version with an engine more consistent with the roads and customs of the old continent: a less resonant 2.3 Ecobost, which nevertheless offers supercar performance. The classic Mustang charm is felt in the driver’s seat of each version, but the technological features offer all the conveniences of today (including a tenspeed automatic transmission and driver assistance systems), in order to keep up with the competition, above all in Europe. The enjoyment of driving the new Mustang is also guaranteed by the presence of the new MagneRide shock absorbers and selectable driving functions, which now even include the My Mode customisable mode. What’s more, the new technology for adjusting the exhaust noise offers an innovative Good Neighbour mode, for a quieter ride at certain times of day. At other times, however, we recommend letting the horses ‘sing’. JAMESMAGAZINE.IT
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The limited edition Bullitt is equipped with a 5.0 V8 engine with a six-speed manual transmission featuring Ford’s new rev-matching technology, which uses the electronic engine control system to synchronise the accelerator while the driver downshifts, matching the engine’s rotation speed to that of the selected gear, for fluid and precise gear changes. In short, it’s a throwback to the past, but with all the conveniences of the present. The iconic 1968 Ford Mustang GT, driven by Steve McQueen in the Warner Bros Pictures film, made its first appearance outside the United States at the 2018 Goodwood Festival of Speed in the UK. For the filming of Bullitt in 1968, which was released on October 17 of the same year, two identical Mustang GT Fastbacks were used. Afterwards, the two specimens went their separate ways: the Mustang driven by Steve McQueen in the film was sold by Warner Bros to a private buyer, while the other one, called the jumper, and used for the most intense parts of the chase, was sent to a restoration centre. The Mustang jumper was recently discovered at a salvage yard in Baja California (Mexico), and was restored. That driven by Steve McQueen and sold to a private buyer, on the other hand, was unable to be tracked down until just recently, when the owner, who had inherited it from his father,
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HARLEY DAVIDSON IRON 1200 SPECIAL di Carlo Mandelli
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Un valido motivo per spiegare il fatto per cui la Sportster è il modello di Harley Davidson più longevo: è un’icona di meccanica e di stile che regge imperturbabile al passare dei decenni. Dagli anni Cinquanta ad oggi, restyling dopo restyling, la casa di Milwaukee ha continuato a scommettere sulla sua ‘piccola’, e anche oggi, quando il vento del grande rinnovamento ha raggiunto anche le fabbriche di Harley dove si è cominciato a pensare ad endurone da viaggio, moto elettriche e a grandi novità per il futuro del marchio che ha annunciato l’obiettivo tutt’altro che modesto di voler introdurre nei prossimi dieci anni un centinaio di nuove motociclette, la dueruote dall’inconfondibile e iconico serbatoio ‘peanuts’ prosegue inarrestabile la sua strada, per la felicità di un esercito di fedelissimi che si avvicinano ad Harley o che proprio hanno la Sportster nel DNA. L’ultimo rinnovaJAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
mento, per il modello in questione, è quello recente che ha portato la gamma ad avere nuove dueruote in listino, tra le quali anche la Iron 1200 Special, sorella maggiore della più datata 883 e con una verve in più, assicurata dai nuovi motori che hanno cambiato l’idea del viaggio in sella ad una HD, prima tutta ‘good vibrations’, ma pur sempre vibrations, sostituite oggi da un maggior confort di guida anche per i percorsi più lunghi di una gita fuori città. Proprio sulla Iron 1200 (che nella nuova gamma è affiancata alla Forty Eight Special), siamo saliti per goderci un viaggio di un migliaio di chilometri tra la Pianura Padana e le colline emiliane e romagnole, passando poi anche per le Marche, per capire le ragioni dell’appellativo Special e per testarne il fascino del suono inconfondibile. Un percorso misto, per intenderci, con bagaglio rigorosamente leggero e vento in faccia.
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One valid reason why the Sportster is the longest-lived Harley Davidson model: it’s an icon of mechanics and style that stoically withstands the passing of the decades. From the 1950s up until today, restyling after restyling, the Milwaukee-based motorcycle manufacturer has continued to bet on its ‘small’ model. And even today, with the winds of innovation having even reached the Harley Davidson factories themselves, with consideration being given to an Enduro model for travel, electric motorcycles, and big new developments for the future of the brand (which has announced the courageous goal of wanting to introduce a hundred new motorcycles over the next ten years), the two-wheeler with the unmistakable and iconic ‘Peanuts’ gas tank remains unstoppable, to the joy of an army of Harley loyalists who have the Sportster in their DNA. The latest renewal of the model in question has resulted in new two-wheelers for the range, including the Iron 1200 Special, the big sister of the older 883, but with some extra spunk thanks to the new engines, which have traded in the former “Good Vibrations” riding concept of Harley Davidson for the greater riding comfort required for journeys longer than a simple trip out of town. It was precisely on the Iron 1200 (which is flanked by the Forty Eight Special in the new range) that we took a thousand-kilometre trip through the Po Valley and the Hills of Emilia-Romagna, even passing through the Marche region, in order to better understand the reasons for its special designation, and to experience the allure of its unmistakable sound. A two-fold journey, you might say, with little baggage and the wind in our face.
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La prima novità degna di nota è che il motorone Evolution 1200 regala alla Sportster un bel 36% di coppia in più rispetto alla sorella più piccola, che non guasta mai, tanto sul dritto che sulle curve tutte da guidare. Il moderno propulsore limita anche quelle vibrazioni che fino a qualche tempo fa erano il marchio di fabbrica di Harley e che oggi, con buona pace dei puristi, sono sostituite in gran parte da una maggiore stabilità e confort di marcia. Il look poi è tutto nuovo: a partire dal manubrio, un mini-ape nero satinato che fa un po’ chopper, ma non troppo, e che rispetto all'originale è più alto di 22 centimetri. Una volta in sella, le mani sono più o meno all'altezza delle spalle e la posizione è comoda, con i gomiti naturalmente piegati per una guida decisamente rilassata. Lo smalto della Sportster non mente, snella, agile rispetto a tutte le sorelle maggiori (del resto è il modello con il quale Harley scendeva in pista per correre), anche loro tutte rinnovate di recente con i nuovi motori. la Iron 1200 non è una touring nel senso canonico del termine, sia chiaro, ma proprio per questo piace. Semplice nella sua impostazione, a partire dal 1957, anno di commercializzazione del primo esemplare sul mercato americano per contrastare Triumph, in gran voga negli Usa in quegli anni, la Sportster è stata interpretata nelle più svariate versioni, da bobber a scrambler e café racer, a seconda dell'uso per la quale veniva pensata. Le 'sporty', come si è soliti chiamarle tra appassionati, sono state da sempre, spogliate, smontate, ricostruite e riviste a proprio modo. Di sicuro impatto, sul nuovo modello, è anche la grafica seventies del nuovo serbatoio (12,5 litri contro gli 8,3 della sorella Forty Eight, rinnovata anche quella in dettagli e grafiche) che rimanda all'iconografia americana di qualche decennio fa, tra rock'n'roll e libertà, il cupolino nero lucido e tutta una serie di inserti neri distribuiti a piene mani. Tutti dettagli che contano, quelli elencati, per chi non è in cerca solamente una moto, ma di una Harley capace di portarti in giro, senza fretta e con il ritmo scandito del bicilindrico di Milwaukee. Per partire, non serve nemmeno inserire la chiave ma avere il telecomando in tasca, premere il tasto di avvio e lasciarsi trasportare. JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
the two-wheeler with the unmistakable ‘Peanuts’ gas tank remains unstoppable.
la dueruote dall’inconfondibile serbatoio “peanuts” prosegue inarrestabile la sua strada
keted on the American market to counter the Triumph, which was extremely popular in the United States during those years) the Sportster took on various forms, from the Bobber to the Scrambler and the Café Racer, depending on its intended use. The ‘sporty’ models, as enthusiasts typically refer to them, have always been stripped, disassembled, rebuilt, and revised in their own way. One feature on the new model that’s certain to have an impact is the 1970s graphics on the new tank (12.5 litres, as opposed to the 8.3 litres of its sister Forty-Eight model, which in turn boasts new detailing and graphics of its own), which are reminiscent of the American rock’n’roll and freedom iconography of a few decades ago, complete with a glossy black headlight fairing, and a whole series of black inserts distributed all around. In short, all the details that matter for those who aren’t just looking for a bike, but a Harley designed to carry you around at a leisurely pace and with the rhythm of the Milwaukee twin-cylinder. For starters, you don’t even have to insert the key... just make sure you have the key fob in your pocket, press the start button, and away you go. JAMESMAGAZINE.IT
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The first new development worthy of mention is that the large Evolution 1200 engine gives the Sportster a good 36% more torque than its little sister, making it a joy to ride on both curves and straightaways. This modern engine also reduces the vibrations, which, up until not long ago, were the Harley Davidson trademark, replacing them with greater stability and riding comfort, without even facing much opposition on the part of Harley traditionalists. The look is entirely new: starting with the satin black mini-ape handlebars, which give it a bit of a chopper feel, and are 22 centimetres higher compared to the original. Once in the saddle, your hands are more or less at shoulder height, and the position is comfortable, with the elbows naturally bent for a relaxing ride. The Sportster’s paint job renders it more slender and agile with respect to its big sisters (then again it’s the model with which Harley began racing), which have also been entirely renewed with the new engines. The Iron 1200 is clearly not a touring model in the canonical sense of the term, but that’s what people like about it. Boasting a simple design, starting in 1957 (the year in which the first exemplar was mar-
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di Bruno Petronilli
by Skira Editore Published as a tribute to the first edition of the graphic novel dated 1978, the Limited Edition of Magic Lantern by Skira Editore is a large-format book enriched by three numbered silkscreens authenticated by Archivio Guido Crepax, of which just 100 copies of each were printed, and an artistic plate designed by Lorenzo Mattotti. We met with Massimiliano Pagani (Special Project Manager for Skira) and Antonio Crepax (president of Archivio Crepax) in order to learn more about this special and incredibly exclusive project. Skira is a historic publishing house that celebrated its 90th anniversary in 2018. We asked Massimo Pagani when the need to bring the Limited Editions to the international market arose. “In my opinion Skira’s Limited edition catalogue arose for two reasons. The first is closely linked to the history of the publishing house itself. On the one hand, the catalogue is a natural evolution of what Skira has always done in the world of art. The core of Skira’s publications is art, not only in terms of its being, but also, and above all, in terms of its communication and its livelihood within society. JAMESMAGAZINE.IT
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Pubblicato per rendere omaggio alla prima edizione della graphic novel datata 1978, la Limited Edition di Lanterna Magica edita da Skira Editore è un libro di grande formato impreziosito da tre serigrafie, tirate in sole 100 copie ciascuna, numerate e autenticate dall’Archivio Guido Crepax e da una tavola artistica autografata da Lorenzo Mattotti. Abbiamo incontrato Massimiliano Pagani, Special Project Manager di Skira e Antonio Crepax, Presidente di Archivio Crepax, per entrare nel cuore di questo progetto speciale e davvero molto esclusivo. Skira è una storica Casa Editrice che proprio nel 2018 compie i suoi 90 anni. Chiediamo a Massimo Pagani quando è comparsa l’esigenza di presentare sul mercato internazionale le Limited Edition. “Ci sono a mio parere due ragioni alla base della nascita del catalogo Limited edition di Skira. La prima è strettamente connessa alla storia della casa editrice. Da un lato, il catalogo è un’evoluzione di quanto Skira ha sempre fatto nel mondo dell’arte. Il core delle pubblicazioni di Skira è l’arte, non solo nel suo essere ma anche e soprattutto nel suo comunicare e vivere nella società.
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Questo è evidente se consideriamo la storia della casa editrice e quello che attualmente Skira produce: il primo libro di Skira è stato il frutto di una strettissima collaborazione tra Albert Skira e Pablo Picasso, un’interpretazione elegante e unica delle metamorfosi di Ovidio - libro riedito in questo novantennale di Skira in forma anastatica e preziosa; i cataloghi ragionati, di cui Skira è uno degli editori più rappresentativi a livello internazionale, sono veri e propri strumenti di valutazione, valorizzazione e comprensione dell’artista contemporaneo, utili per i curatori, i galleristi e i collezionisti d’arte di tutto il mondo; le mostre e servizi museali, che sono gli strumenti attraverso cui il pubblico generico, in gran numero, ha il suo contatto diretto con l’arte, spesso per la prima volta, sono un altro ambito dove Skira gioca un ruolo da protagonista in Italia e all’estero. All’interno di questa propensione alla comunicazione dell’arte viva, Skira tende a favorire il rapporto diretto con gli artisti e a lavorare con loro, fianco a fianco, per aiutarli a vedere nel libro molto di più di un mero strumento di comunicazione. Questo approccio intimo e originale dell’artista al libro ha creato opere che hanno un valore e un’identità a sé, opere che richiamano nella filosofia che le ha ispirate e nel risultato ottenuto, le grandi creazioni d’artista dei primi del novecento. La seconda ragione è comune a tutti gli editori che si stanno dedicando ai cataloghi Limited ed è una motivazione strettamente produttiva: il catalogo Limited, per sua natura, restituisce all’editore, e dona all’autore, una libertà creativa che le leggi di mercato tendono a sottrarre sempre di più. Non dovendo lavorare in budget risicati per non sforare margini che tutto il sistema distributivo e produttivo riduce sempre di più, non ci sono limiti alla verve creativa di tutti i soggetti che partecipano a queste opere. Questo non è solamente uno stimolo per l’artista e per l’editore, ma spesso diventa uno sprono anche per le maestranze ad ogni passo del processo produttivo, con materiali, soluzioni, iniziative inaspettate e originalissime che contribuiscono tutte a rendere il libro un oggetto unico. Era sono una questione di tempo, Skira è nata con edizioni limitate, il Picasso di cui sopra, e per sua indole sarebbe prima o poi dovuta tornarci”. A proposito del progetto di una Limited Edition dedicata a Valentina di Guido Crepax Pagani ci spiega che “da tempo in casa editrice si rifletteva con gli amici Crepax sul progetto di una Limited del grande Guido. La qualità dell’opera, da un lato, e la assenza di testo, dall’altro, e dunque la possibilità di lavorare a livello internazionale senza modificare il progetto del Maestro, ci hanno condotti alla scelta di Lanterna Magica. Quello che posso dire è che il fumetto, come si diceva quando ero bambino, è sempre stato un ambito della creatività artistica messo ai margini dal mondo culturale italiano, cosa che ho sempre considerato un madornale errore. Gradualmente, negli anni, le cose sono cambiate e ci siamo avvicinati a paesi che offrono a questa forma d’arte la dovuta dignità. Nel nostro piccolo, a Skira, siamo orgogliosi di poter dare proprio a Guido Crepax, ahimè in modo postumo, lo spazio, l’importanza che merita”. Gli fa eco Antonio Crepax, Presidente di Archivio Crepax: “da circa quindici anni, noi di Archivio Crepax non ci limitiamo a tutelare e riproporre il ricco patrimonio di immagini e contenuti frutto del lavoro di nostro padre, ma, riunendo competenze di design, comunicazione e scenografia, sviluppiamo nuove idee e prodotti che vanno oltre la sua opera, in certi casi completando quello che lui avrebbe voluto fare ma gli è mancato il tempo. Mostre ed eventi, nuove edizioni, JAMES MAGAZINE 02 | FEB 2019
This is evident if we consider the history of the publishing house, and what Skira currently produces: Skira’s first book was the result of a close collaboration between Albert Skira and Pablo Picasso... an elegant and unique interpretation of the Metamorphoses by Ovid - a book that was republished over the course of Skira’s ninety years in an elegant print form; the catalogues in question, of which Skira is one of the most representative publishers at the international level, are veritable tools for evaluating, exalting and understanding contemporary artists, useful for curators, gallerists, and art collectors all over the world; art exhibitions and museums, which are the tools through which the general public tends to enter into direct contact with art (often for the first time), are another area in which Skira plays a major role, both in Italy and abroad. Within the context of this propensity for communicating living art, Skira tends to prefer establishing direct relationships with artists, and works with them, side by side, to help them see books as much more than simple communication tools. This intimate and original approach to the book on the part of the artist has created works that have a value and an identity of their own... works whose underlying philosophies and end results reflect the great creations of early twentieth century artists. The second reason is common to all publishers who are dedicating themselves to Limited catalogues, and is based strictly on production: by its very nature, the Limited catalogue grants the publisher, and gives the author, a certain creative freedom, which the laws of the market are increasingly restricting. When they don't have to work within tight budgets in order to avoid exceeding the margins, which the entire distribution and production system is increasingly reducing, there’s no limit to the creative zeal of all the subjects involved in these works. This is not only a stimulus for the artist and the publisher, but often spurs on the workers as well
we're proud to be able to give Guido Crepax the space and the importance that he deserves, albeit posthumously
throughout every step of the production process, with materials, solutions, and unexpected and original initiatives, all of which help render the book a unique item. It was just a matter of time... Skira was established doing limited editions, such as the Picasso mentioned above, and due to its very nature it would have ended up doing them again sooner or later.” With regard to the Limited Edition project dedicated to Valentina by Guido Crepax, Pagani explains that “for some time the publishing house had been considering doing a Limited Edition of the great Guido together with its friends at Crepax. The quality of the work on the one hand, and the absence of text on the other, which offered the possibility of working internationally without altering the Master’s original project, led us to choose the Magic Lantern. When I was a kid, people used to say that comics were a field of artistic creativity that had been somewhat marginalised by the world of Italian culture, and I always thought
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siamo orgogliosi di poter dare a Guido Crepax, ahimè in modo postumo, lo spazio e l’importanza che merita
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oggetti di design e progetti multimediali sono sviluppati nel rispetto dell’opera originale, eviden¬ziando la grande attualità delle intuizioni creative di Crepax. Quella delle Limited Edition in formato 1:1, era un suo vecchio pallino e secondo noi è oggi di estrema attualità e di sicuro interesse per appassionati, collezionisti e bibliofili. Nostro padre aveva già avuto tre esperienze analoghe, oggi molto ricercate e quasi introvabili: “L’Histoire d’O” e “Casanova”, edite in 900 copie da Franco Maria Ricci, rispettivamente nel 1975 e nel 1977, e la prima edizione della “Lanterna Magica”, realizzata in 300 copie dalla Galleria Angolare di Milano nel 1978. Siamo certi che avrebbe molto apprezzato questo progetto che si inserisce idealmente nel solco da lui stesso tracciato”. Chiudiamo il nostro incontro con una curiosità. La Limited Edition contiene una tavola artistica autografata, creata ad hoc da Lorenzo Mattotti e chiediamo a Pagani il perché della scelta di questo artista: “Lorenzo Mattotti è una figura primaria del panorama artistico internazionale, un interlocutore a livello di Crepax, più che idoneo a rappresentare un omaggio a Valentina. Ci è sembrata una scelta naturale volendo fare qualcosa di più di una copia anastatica di qualità dell’edizione originale della storia. Inoltre, nella sua storia, non mi pare abbia mai omaggiato Crepax e l’esclusività di questa interpretazione ha reso ancora più preziosa la nostra versione”. Parola finale ad Antonio Crepax, obbligatoriamente su Valentina Rosselli, che vive in ambientazioni e contesti fuori da dimensioni storiche. Questo la rende rétro ma sempre incredibilmente attuale. Ci chiediamo se anche in questo si misura la grande arte di Crepax: “realizzate nell’arco di due anni (tra il 1976 e il ‘77) le pagine di Lanterna Magica sono un caso esemplare di contaminazione tra fumetto e arte. Nostro padre è sempre stato un autore di confine tra queste due forme di espressione, essendo percepito come tale e quindi autore “colto” e di nicchia nel campo del fumetto e principale esponente di quei fumettisti che hanno contribuito in maniera determinante alla consacrazione del fumetto come nona arte”.
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that was a shame. Things have gradually changed over the years, however, and we’ve become more like other countries that give this art form the dignity it deserves. At Skira, in our own little way, we’re proud to be able to give Guido Crepax the space and the importance that he deserves, albeit posthumously.” His sentiments are echoed by the President of Archivio Crepax, Antonio Crepax: “For about fifteen years now, we at Archivio Crepax have not limited ourselves to protecting and reviving the rich heritage of images and content produced by our Father, but, by combining design, communication and scenography skills, we have aimed to develop new ideas and products that go beyond his work, in some cases even completing them in the ways he would have wanted if he’d only had the time. Exhibitions and events, new editions, design objects and multimedia projects, all developed with complete respect for the original work, thus revealing how the creative insights of Crepax still remain extremely relevant today. That of the 1:1 format Limited Editions was one of his old passions, and, in our opinion, is extremely relevant today, and is certainly interesting for fans, collectors, and bibliophiles alike. Our father had already had three similar experiences, which are now highly sought after, and are extremely difficult to find: “Story of O” and “Casanova”, published in 900 copies by Franco Maria Ricci, respectively in 1975 and 1977, and the first edition of the “Magic Lantern”, published in 300 copies by Milan’s Galleria Angolare in 1978. We’re certain that he would have greatly appreciated this project, which fits in perfectly with the niche he’d created for himself.” We conclude our encounter with a curiosity. The Limited Edition contains an autographed artistic plate custom designed by Lorenzo Mattotti, and we asked Pagani the reason why this artist was chosen: “Lorenzo Mattotti is a leading figure on the international art scene, someone who’s on the same level as Crepax, and is more than fitting to create a tribute to Valentina. It seemed like a natural choice, since we wanted to do something more than just a high-quality printed copy of the original edition of the story. Moreover, throughout his history I don’t think he’s ever paid tribute to Crepax, and the exclusivity of this interpretation has rendered our version even more precious. The last word goes to Antonio Crepax, who feels obliged to say something about Valentina Rosselli, who inhabits environments and contexts that go beyond the historical dimensions. This makes her both vintage as well as extremely relevant today. We wonder if the great art of Crepax is measured in this sense as well: “Completed within the span of two years (between 1976 and 1977), the pages of the Magic Lantern are an exemplary case of cross contamination between comics and art. Our father was always an author who straddled the boundary between these two forms of expression, and was perceived as such. This rendered him a “cultured” and niche author in the field of comics, and a major exponent of the comic artists who helped consecrate comics as the ninth artform.” .