Veliero amare la flora 3

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ISTITUTO COMPRENSIVO SAN CESARIO CON SAN DONATO SCUOLA SECONDARIA 1째 PASCOLI -SAN DONATO


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L’habitat dunale, fortemente minacciato dal disturbo antropico, ha una vegetazione straordinariamente interessante

Vilucchio marino

Il litorale del Salento Leccese è in buona parte costituito da coste basse e sabbiose, sia lungo la fascia ionica che adriatica. Le sabbie sono di natura calcarea. Quelle adriatiche sono più fini e contengono frammenti di rocce appenniniche e vulcaniche, versate in mare dal fiume Ofanto e distribuite lungo la costa dal ramo discendente della Corrente Adriatica; quelle joniche, provengono dai bassi fondali, sono più grossolane e mescolate a micro conchiglie.


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Sull’Adriatico, tra Casalabate e San Foca, la spiaggia è continua, chiusa alle spalle da cordoni dunari. Tra San Foca e Otranto si alternano sabbie e costa rocciosa. Sul canale d’Otranto le spiagge sono praticamente assenti e le falesie, alte fino a più di 100 metri, si tuffano direttamente nel mare. Sul versante jonico le spiagge tornano ad essere ben estese tra Torre Vado e Torre San Giovanni.


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La formazione di una duna costiera è

un processo molto lento che inizia con l’azione del vento. Questo trasporta le particelle di sabbia che, una volta depositate possono essere

fissate dall’attecchimento di un particolare tipo di vegetazione, costituita da specie dette psammofite, cioè piantine

che crescono su terreni ancora non consolidati. Questi vegetali hanno escogitato grazie all’evoluzione, adattamenti particolari per

sopravvivere in luoghi difficili ed ostili. Esse hanno adottato una straordinaria capacità di reperire ed immagazzinare la scarsissima acqua disponibile, resistendo così alla calura, dovuta alla forte insolazione cui sono soggette


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In realtà lungo le spiagge l'acqua spesso non è disponibile non per mancanza di precipitazioni perché la sabbia, per sua natura, è molto drenante e non trattiene l'acqua a lungo. L’ambiente della duna è caratterizzato dall’elevata salinità delle acque, dal terreno non consolidato e dalle elevate temperature. La forte salinità, soprattutto nel tratto di spiaggia più vicino al mare, non costituisce un

problema per le piante alofile, che possiedo radici in grado di superare questo inconveniente. Come:

Halimione porulacoides

Salsola soda

Limonium


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Il litorale, nella sua fascia più esterna, quella a diretto contatto con il mare, il cosiddetto

bagnasciuga, prende il nome di zona “afitoica” in quanto esso è sempre privo di vegetazione per le condizioni ecologiche estreme, determinate dalle variazioni che si succedono con molta rapidità. In questa fascia si accumulano i detriti vegetali portati dalle onde, costituiti spesso da resti di Posidonia oceanica, che proteggono le spiagge dall’erosione e sono ingiustamente trattati come “rifiuto”. Nella prima fascia, quella delle cosiddette “linee di deposito marine”, si sviluppa una flora costituita da specie a ciclo breve: si tratta di piante che germinano in autunno oppure alla fine dell’inverno ed hanno un periodo vegetativo che a volte dura soltanto 1-2 mesi. La specie più comune è il ravastrello marittimo (Cakile maritima), di aspetto succulento, la Salsola erba-cali (Salsola kali) e l’Euforbia delle spiagge (Euphorbia peplis); alla fine del periodo vegetativo rimangono in questa zona soltanto pochi sterpi secchi, che vengono portati via dal vento, e i semi, che germineranno nell’anno successivo.


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Nel processo di formazione dei primi stadi della duna (duna embrionale) si inserisce la gramigna delle spiagge (Elytrigia juncea, più nota con il nome di Agropyrum junceum), una graminacea perenne psammofila, cioè adattata alla vita sulla sabbia, che si propaga rapidamente su rizomi orizzontali.

Elytrigia juncea Un ulteriore processo di sviluppo si avvia quando sulla duna embrionale compare un’altra graminacea psammofila perenne: lo sparto pungente (Ammophila littoralis = A. arenaria), che ha robusti culmi (fusti) eretti, alti fino a un metro e mezzo, foglie anch’esse erette a formare un denso cespo alto un metro e più, e che costituisce una barriera alla sabbia portata dal vento, che si deposita tra i suoi fusti.

Ammophila littoralis


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Nell’ammofileto troviamo ancora l’erba medica marina (Medicago marina), assieme a vilucchio marittimo (Calystegia soldanella), euforbia marittima (Euphorbia paralias), calcatreppola marittima (Eryngium maritimum),

erba medica marina

euforbia marittima

vilucchio marittimo

calcatreppola marittima


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papavero cornuto (Glaucium flavum)

ginestrino delle spiagge (Lotus commutatus)

finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa),

giglio marino comune (Pancratium maritimum),

violaciocca (Matthiola Spp.


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1.

La vegetazione delle dune raggiunge il massimo della complessità quando la superficie viene occupata dalle specie legnose; essa è costituita da ginepri (Juniperus oxycedrus macrocarpa)spesso di grandi dimensioni,

2.

e da specie accompagnatrici anch’esse per lo più arbustive, come lentisco (Pistacia lentiscus),

3. fillirea (Phillyrea latifolia)

4.

e cisti (Cistus spp.).


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Le salicornie sono specie commestibili. Anticamente le cime più tenere venivano raccolte e “ripulite” delle parti fibrose, lessate e condite con olio, sale e limone o aceto. Si possono anche far marinare per circa 12 ore le cime, mondate dalle parti fibrose, con aceto, sale, aglio e menta. Dopo averle scolate, si mettono in un vasetto di vetro con l’olio. Ricette gustose d’altri tempi, riscoperte e molto apprezzate, oggi, anche dai palati più difficili. Le salicornie sono specie commestibili. Anticamente le cime più tenere venivano raccolte e “ripulite” delle parti fibrose, lessate e condite con olio, sale e limone o aceto. Si possono anche far marinare per circa 12 ore le cime, mondate dalle parti fibrose, con aceto, sale, aglio e menta. Dopo averle scolate, si mettono in un vasetto di vetro con l’olio. Ricette gustose d’altri tempi, riscoperte e molto apprezzate, oggi, anche dai palati più difficili.


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Agno casto ( Vitex agnus-castus) Gladiolo bizantino (Gladiolus bYzantinum)

Garofanino maggiore (Epilobium angustifolium)


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Campanella palustre, Ipomea sagittata

Vicia giacominiana piccola leguminosa, raro endemismo puntiforme


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Cannuccia di palude

Giunchetto meridionale


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Cisto bianco, Cistus salvifolius

Fiori di cisto rosso, Cistus incanuse


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Molto rara in Italia, si trova sulle coste del Salento, tra Brindisi e Otranto, nell’oasi delle Cesine e in poche altre località. Alle Cesine la specie è localizzata nelle aree presso gli specchi d’acqua dove la macchia mediterranea sta spontaneamente sostituendo la pineta


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L'Elicriso (Helichrysum Italicum) è una pianta molto semplice, ma anche molto preziosa. I suoi fiori, caratterizzati da un giallo vivace, decorano le coste dell'Italia e di tutto il bacino del Mediterraneo. Il suo nome deriva dal greco helios =sole e crysos = oro: infatti questa pianta ricordava il sole e veniva utilizzata per decorare le statue delle divinità. Questo grazioso fiore è soprannominato "immortale" per la sua capacità di non appassire mai dopo la raccolta.


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La pianta dai boccioli dorati che fiorisce in giugno compare in un mito greco riportato nelle pagine dell'Odissea di Omero e contribuisce al suo mistero: la pianta si rivela essere il segreto di bellezza della principessa Nausica, figlia del re dei Feaci e benefattrice di Ulisse, che scopre durante il suo incontro le virt첫 energetiche dell'Elicriso.


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È il mirto una pianta tipica della macchia mediterranea e grandi cespugli modellati dal vento e dalla salsedine caratterizzano le dune sabbiose alle spalle della costa rocciosa che collega Mancaversa al Parco regionale di Punta Pizzo.


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Il myrtus communis è un bel cespuglio tondeggiante che cresce fino a circa tre metri, con belle e profumate foglie persistenti, di un verde intenso, ceroso, che al tatto emanano un profumo aromatico, intenso e gradevolissimo. Sullo sfondo di questa cortina compatta e lucente da maggio in poi si aprono i piccoli fiori bianchi profumati, dai lunghi stami piumosi. Le bacche , verdi in estate, diventano in autunno di un bel blu nero violaceo e, in genere, per S. Martino (11 novembre) sono mature. È pianta antica il mirto, che ha partecipato, fin dalla più remota antichità, alle gioie e ai dolori degli uomini e delle donne che hanno abitato ed abitano intorno a questo mare.


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Nella mitologia greca è spesso presente. Si narra che Myrsine, fanciulla attica così brava nella corsa da battere i giovanotti nei giochi ginnici, sia stata uccisa da un giovane invidioso della sua vittoria. Athena, dea della sapienza, della saggezza, della tessitura , delle arti e della guerra, impietosita, la trasformò in questo arbusto profumato (myrtos= essenza profumata). Per questo nel mondo classico si offrivano corone di mirto agli atleti vittoriosi ed ai poeti.


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Bacco, dio dell’uva e del vino, quando si recò agli Inferi per liberare la madre Semele fulminata da Giove, lasciò in cambio una pianta di mirto. Per questo il nostro arbusto decorava i sepolcri in segno di affettuoso ricordo.

Afrodite infine, dea della bellezza, dell’amore e della fertilità, appena sorta dalla spuma del mare trovò rifugio in un boschetto di mirto. Così il mirto divenne simbolo di amore felice; se ne intrecciavano ghirlande per le spose. Anche chi partiva per fondare una nuova colonia si cingeva di mirto, come augurio di buona sorte.


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In Salento, di queste doti propiziatorie della mortella, il mondo contadino manteneva memoria. Celebrato infatti un matrimonio e trascorsi gli otto giorni in cui gli sposi ricevevano il cibo già cucinato dalla madre dello sposo “gli otto giorni della brace”, le due consuocere impastavano il pane e panificavano insieme, possibilmente di lunedì ( il giorno della luna) dando alle pagnotte forma di seni accoppiati in mezzo ai quali sistemavano rametti di mirto. Inauguravano così la nuova madia e, dopo averla riempita, ribaltavano il coperchio e vi facevano sedere la nuova sposa.


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Recitavano allora, tutte tre insieme la formula ”ti ‘ncantinamiéntu cu lla bbona sorte” (di legatura con la buona sorte): “A lluna ca si corca/ sole ca si azza/ a ppasta scanata/ spica biunniggiata;/ a ffìgghiu ca nasce/ pane ca cresce./ nni bbinitica lu Patre/ nni binitica lu Figghiu/ nni bbinitica lu Spiritu Santu/ cu lla Matonna/ e tutti li Santi!”

La luna che si corica/ il sole che si alza/ la pasta lavorata/ la spiga che biondeggia/ ogni figlio che nasce/ il pane che cresce./ Ci benedica il Padre/ ci benedica il Figlio/ ci benedica lo Spirito Santo/ con la Madonna/ e tutti i Santi!).


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La luna era considerata propizia ad ogni gestazione: della terra e della donna. Il mirto inoltre, dalle belle bacche rotonde come un ventre gravido, trascorsi tre cicli lunari dal matrimonio, veniva legato, in fase di luna crescente, sul ventre delle nuove spose non ancora gravide per propiziarne la feconditĂ .


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Nel mondo ebraico compare il mirto dal buon profumo nel mazzetto della festa di Sukkoth.

Secondo antiche leggende arabe Adamo portò con sé dal Paradiso terrestre un ramo di mirto in ricordo della vita felice e senza peccato.


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In molti cerimoniali religiosi il mirto si bruciava come l’incenso e, più prosaicamente, conferisce un ottimo sapore alle carni arrostite sulla sua brace.

Con le foglie , i fiori , le bacche e la corteccia si preparavano sacchettini da immergere nell’acqua del bagnetto dei neonati.

“L’acqua degli angeli” è infatti un ottimo tonico e antisettico. Ancor oggi “l’acqua angelica” viene distillata ed usata in profumeria.


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• Mettiamo a macerare 1Kg di bacche ed un rametto intero ( con foglie e legno) in 1 litro di alcool a 90 gradi. • Lo lasciamo in infusione per un paio di mesi. (Quando passo davanti al barattolo lo sbatto un po’). • Prepariamo lo sciroppo con un litro e mezzo di acqua e 750 grammi di zucchero. • Una volta bollito e raffreddato lo mescoliamo con l’alcool aromatizzato dall’infuso di bacche. Filtriamo e imbottigliamo. Dopo sei mesi circa lo si può gustare: è digestivo, antisettico e gradevolissimo.


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Raccolte e lavate circa un Kg di bacche si cuociono in un pentolone con cinque o sei mele.

Si passa il tutto al passaverdura e si raccoglie la purea che se ne ricava.

Si pesa e si aggiunge lo zucchero in ragione di 8hg. per un Kg. di purea.

• Si cuoce e si versa in barattoli sterilizzati quando la marmellata è ancora calda. •

Ottima su una fetta di pane abbrustolito e un piccolo strato di ricotta.


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Quando si parla di orchidee il primo pensiero è per le orchidee tropicali, piante che crescono sui tronchi degli alberi con fiori di notevoli dimensioni.

Le orchidee che vivono nel continente Europeo invece sono terrestri e spesso di dimensioni minute. Così piccole che spesso scompaiono sotto l'erba che cresce intorno a loro; infatti un cercatore di orchidee deve avere un occhio attento, allenato... deve essere un abile osservatore.


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http://www.actaplantarum.org/acta/galleria1.php?aid=5992


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Scoperta dal botanico salentino Carlo Laicata negli anni Venti, è una specie rara e meritevole di tutela che si trova esclusivamente sulla costa tra il Capo di Leuca e Porto Tricase


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Percorrendo il litorale adriatico che da San Cataldo conduce a S. Foca ci si può fermare presso una delle più importanti zone umide del Salento: "le Cesine". Vi si può anche giungere attraversando quel che rimane di un’antica strada romana che collegava Lecce al borgo fortificato di Acaya e il secondo tratto che collega il magnifico castello alle Oasi. La riserva naturale dello Stato si estende per circa 620 ettari e rappresenta l’ultimo tratto rimasto dell’immensa palude che si estendeva da Brindisi a Otranto; oggi è caratterizzata da due stagni a ridosso del cordiglio di sabbia che lo separa dall’Adriatico: • “il Pantano Grande” e • il “Salapi”. Località di macchia mediterranea, dove spiccano le querce spinose, le vallonee, i lecci e il pino marittimo, delle canarie e di Aleppo, cipressi, smisurati arbusti di santoreggia, cisto, timo, erica e lentisco canneti e cannucce di palude oltre che formidabili e profumate orchidee. Di elevato valore naturalistico è il lembo lagunare che accoglie la flora sommersa caratterizzata dalla Ruppia cirrosa e da una serie di micro habitat di varietà esclusive e molte spesso rare, a forte rischio di scomparsa che fanno parte di liste rosse regionali e nazionali come la periploca, l’ipocisto, le campanelle e le orchidee lacustri.


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Il territorio che è un sito di migrazioni e letargo ospita delle miriadi di specie di uccelli, come falchi, aironi, cavalieri d’Italia, folaghe, la cicogna nera oppure silenziosi colubrini leopardati e grossi biacchi, rane di Hazzel, gufi comuni, testuggini palustri, faine e donnole. Le Cesine sono state riconosciute per questo Zone a Protezione Speciale e Sito di Interesse comunitario grazie all’impegno costante dagli anni 70 ad oggi di naturalisti e studiosi.


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Eccoci qui, ci troviamo nella riserva Naturale dello Stato Le Cesine. In classe abbiamo trattato in generale delle lagune e dei laghi costieri della Puglia e, in particolare, del nostro Salento. Abbiamo analizzato la loro origine e le caratteristiche. Ora, finalmente esploriamo quella più vicina alla nostra realtà. E’ la stagione migliore perché la natura sta esplodendo di colori e di profumi. Seguiteci nel nostro itinerario e scopriremo insieme questo angolo meraviglioso di Puglia.


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Ultimo tratto superstite delle vaste paludi costiere che un tempo caratterizzavano il litorale da Brindisi ad Otranto. La riserva prende il nome dal latino “seges” che indica una zona incolta e abbandonata. E’ una zona umida di valore internazionale. Il paesaggio de Le Cesine è costituito da dune, area palustre, canali di bonifica, bosco misto e macchia mediterranea.


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Di proprietà regionale, la Masseria Le Cesine si compone di diverse costruzioni realizzate in altrettanti periodi storici

La parte più antica è la Torre, costruita alla fine del Cinquecento, rappresentava l'avamposto militare della zona, permetteva il controllo del mare ed era in collegamento visivo con le torri di San Cataldo e quella di Torre Specchia.


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Alla fine del Seicento, cessato il pericolo di incursioni dal mare e venuta meno la funzione di avvistamento e difesa, si costruisce il primo nucleo della masseria, a questo si aggiunse alla fine del Settecento l'abitazione del massaro. I nuovi lavori di restauro ed ampliamento della struttura rendono la Masseria Le Cesine centro visite dotato di foresteria, auditorium, punto ristoro, base ideale per gite scolastiche, gruppi, famiglie ed amanti della natura.


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Partendo dalla masseria, si possono raggiungere diversi capanni per l’osservazione degli uccelli acquatici, una stazione di inanellamento e un apiario che consente di osservare da vicino la laboriosa attività delle api. Ci siamo inoltrati all’interno dell’oasi incantati dai colori della vegetazione e dalla melodia dei suoni della natura. Il canto degli usignoli e il gracidare delle rane, con il fruscio dolce del vento, ci hanno accompagnati durante tutta l’esplorazione dell’oasi.

Il percorso è arricchito da numerosi pannelli didattici che illustrano gli habitat e le abitudini degli animali presenti in laguna e da bacheche con resti di specie vegetali e tracce di animali.


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La zona protetta ai sensi della Convenzione di Ramsar, si estende per 620 ettari ed è attraversata dalla vecchia strada litoranea (SS611), attualmente dimessa, che la divide in due parti. La parte orientale comprende gli specchi di acqua dolce e salmastri, le aree boscate, le aree steppiche e corrisponde alla Riserva di Stato.

Lungo la strada ci siamo imbattuti in un gruppetto di aironi bianchi vicino ad un piccolo laghetto. Non capita tutti i giorni e siamo stati davvero fortunati.


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La parte occidentale, priva di specchi d’acqua perenni, comprende aree boscate, soprattutto pinete, aree a macchia mediterranea, aree agricole e l’edificio della Masseria Le Cesine.


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Il territorio della riserva presenta habitat ad elevata naturalità come lagune, dune costiere, macchia mediterranea; habitat semi-naturali rappresentati dalle zone umide temporanee e, infine, habitat a scarsa naturalità come rimboschimenti con piante esotiche e terreni agricoli adibiti alla coltivazione dell’ulivo e dei cereali.

pin d’Aleppo

pino marittimo

Inoltrandoci osserviamo il bosco che è di origine antropica, conseguenza delle opere di rimboschimento che hanno interessato le zone sottoposte a bonifica. Tra le specie introdotte predomina il pin d’Aleppo e il pino marittimo.


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Incontriamo anche cipressi ed eucalipti.


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Osservando in controluce le lunghe foglie dell’eucalipto, si possono vedere piccole macchioline nere, serbatoi del benefico olio essenziale.

L’eucalipto è un albero originario di alcuni stati australiani. E’ stato introdotto verso la metà del XIX secolo per scopi forestali, oltre che ornamentali e medicinali, soprattutto lungo le coste, per risanare le aree paludose malsane. Abbiamo potuto osservare la maestosità di quest’albero e la particolarità della sua corteccia. Liscia, grigio verdognola, si stacca dal fusto in nastri irregolari longitudinali, lasciando intravedere la corteccia più chiara che, con il tempo diventerà scura.


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Il Lentisco, la pianta che sana denti, gengive, stomaco e le emorragie Elemento caratteristico della macchia mediterranea è il Lentisco (Pistacia Lentiscus L.) della famiglia delle Anacardiacee. Emette, in condizioni particolari, una gommaresina fra le più famose fin dalla più remota antichità: il Mastice (dal greco Mastikà). Era usato popolarmente sia come una sorta di chewing-gum, masticato energicamente per rafforzare le gengive e curare disturbi di stomaco. Tant’è vero che una parte dell’olio essenziale che si trova nella gommo-resina, molto gradevolmente aromatica, è attivo sull’Helycobacter pylori, responsabile di molti danni alla mucosa gastrica. Sappiamo bene che gli antichi, pur non sapendo molte cose che sappiamo oggi, si comportavano come se le conoscessero perfettamente ! La tradizione contadina locale faceva usare le foglie ed i giovani rametti di Lentisco per curare le gengive infiammate, i denti smossi, la piorrea, il mal di gola ed il mal di stomaco! I nostri contadini masticavano le foglie come i contadini greci masticavano il Mastikà.


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L'Acacia retinodes è una pianta arbustiva che può diventare anche un piccolo alberello con rami spesso penduli, foglie lanceolate di un bel colore verde intenso, molto diffusa nelle pinete e lungo i litorali. I fiori sono riuniti in capolini di colore giallo intenso e sono prodotti periodicamente durante tutto l'anno.


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E’ una pianta spontanea erbacea perenne glabra che cresce da tuberi sotterranei. Ha foglie lunghe fino a 30 cm che compaiono in autunno. La pagina superiore delle foglie è lucida. I fiori sono piccoli e crescono alla base di una colonna o spadice che è parzialmente racchiuso da un cappuccio o spata. Il frutto è una bacca che diviene rossa a maturazione. La pianta è diffusa in tutto il bacino mediterraneo nei boschi e in luoghi ombreggiati. Diffusa è nel nostro territorio.


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La Smilax aspera è un piccolo alberello o arbusto rampicante sempreverde. La radice contiene numerosi principi attivi tra cui smilacina, salsasaponina e acido salsasapinico che hanno proprietà depurative, diuretiche e sudorifere e viene utilizzata in infusi e decotti per curare raffreddori, reumatismi e malattie della pelle. Spesso i giovani germogli vengono consumati come gli asparagi. La bacche sono tossiche.


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La robbia selvatica cresce in macchie e garighe ed è un tipico componente della vegetazione mediterranea. Il nome generico deriva dal latino 'ruber' (rosso) per le proprietà tintorie delle radici, soprattutto di quelle di Rubia tinctorum L., che veniva coltivata per questi usi


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Fiore di grande fascino, di rara bellezza ed eleganza, l'orchidea si presenta in numerose varietà, rappresenta per chi la dona un sentimento forte, a testimonianza di qualcosa che dura nel tempo.


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Da sempre le orchidee sono state esaltate per la loro bellezza e per i loro profumi; infatti i vari miti e leggende su questo fiore derivano in prevalenza dalla stessa denominazione della pianta: in greco la parola "orchis", attribuita dal greco Teofrasto, infatti significa "testicolo", termine voluto forse dalla forma dell'apparato radicale di alcune specie, due tuberi ipogei di forma tondeggiante, che appunto ricordano i testicoli. Infatti le credenze popolari attribuiscono a queste piante principalmente poteri afrodisiaci e curativi della sterilitĂ , ma vengono anche utilizzate come filtri di giovinezza, elisir d'amore, energetico e ricostituente.


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Le orchidee in genere hanno un complesso ciclo vegetativo, spesso legato alla presenza di particolari specie di insetti o caratteristiche ambientali, la loro presenza è infatti molto condizionata all'antropizzazione. L'impollinazione è effettuata da varie specie di insetti, in base alla specie della pianta, ed i semi nascono solo in condizioni particolari ed a distanza anche di anni. Spesso gli insetti impollinano diverse specie di orchidee, dando origine agli ibridi, spesso bellissimi e con caratteristiche uniche.


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Viveva un tempo un giovane bello e virile, Orchis, figlio di una ninfa e di un satiro. Dalla madre aveva ereditato la bellezza, dal padre una libido irresistibile. Durante una festa in onore di Dioniso, il giovane corteggiò una sacerdotessa, e suscitando l'ira dello stesso dio Dioniso, il giovane orchis fu sbranato dalle belve feroci del dio del vino. Gli dei però si impietosirono per la tragica fine del giovane, decidendo di perpetuare la sua memoria in eterno facendo nascere dai suoi resti una bellissima pianta, che ancora conserva nelle proprie radici il simbolo della virilità del giovane Orchis. E' così che nascque l'orchis...Il nome tradotto dal greco significa "testicolo" e ricorda la forma degli organi ipogei di alcune specie di orchidacee.


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Le varie specie di orchidee nascono in diversi habitat, dagli ambienti umidi alla macchia o gariga, al bosco. Nel Salento sono presenti diverse decine di specie (circa 40) e numerosi ibridi caratteristici solo di questa porzione di territorio. Alcune specie sono molto comuni, altre sono invece rare; il periodo di fioritura inizia a gennaio, fino a ottobre novembre la strana ma fantastica Spiranthes spiralis. Tutela La progressiva scomparsa o contrazione degli habitat e l'uso indiscriminato di insetticidi, ha portato molte specie di orchidee sull'orlo dell'estinzione, mentre altre sono diventate rare; per questo motivo a livello nazionale la maggior parte delle orchidee spontanee è soggetta a tutela integrale a seguito del recepimento (con Legge 150 del 7 febbraio 1992) della Convenzione Internazionale di Washington (CITES); inoltre molte specie sono inserite nelle liste rosse Nazionali e Regionali; a livello nazionale la salvaguardia delle orchidee si ha con la direttiva 92/43/CEE, conosciuta anche come direttiva habitat.


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E' un arbusto o un piccolo albero sempreverde che a maturità raggiunge i 4-6 m di altezza con chioma cespugliosa ed irregolare. Ha fusto corto, ramoso e contorto. Le foglie sono alterne, hanno lamina di forma ellittica, colore verde scuro, margine ondulato, dentato con spine pronunciate e sporgenti. Le infiorescenze maschili sono amenti più o meno penduli lunghi 1-5 cm. I fiori femminili sono riuniti in spighe lunghe 1-2 cm. Le ghiande sono di forma ovoide oblunghe, attenuate terminanti con un mucrone; a maturazione sono di colore bruno chiaro.


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La cupola ha squame rigide subspinose e patenti. Fiorisce in aprile-maggio e cresce nella macchia mediterranea su terreno arido e roccioso. In Italia è presente in Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.

Sui rami è spesso presente una cocciniglia: il Kermes vermilio che sembra un grano rossoviolaceo. La “grana di Kermes” in tintoria veniva usata come colorante e derivava dalla polverizzazione della cocciniglia. Veniva usato anche in liquoreria col nome di “alchermes"


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Le zone costiere del Mediterraneo, sono caratterizzate dalla presenza di quella particolare associazione vegetale chiamata " macchia mediterranea " . Si tratta di vegetazione spontanea, ma, nel caso del Mediterraneo, è anche il risultato di una pesante azione dell'uomo sull'ambiente. La "storia" della macchia mediterranea s'intreccia infatti con quella dell'uomo, quando, uscendo dalla preistoria, incomincia a coltivare la terra e ad allevare animali. Progressivamente, prima nel vicino Oriente, poi nel bacino del Mediterraneo, si svilupparono le grandi civiltà dell'età antica e classica, le quali basavano le loro potenti economie sul lavoro degli schiavi e sullo sfruttamento delle risorse naturali, allora abbondantemente disponibili. Una conseguenza di questo fiorire di civiltà, fu l'impoverimento della copertura vegetale originaria e la crescita di un bosco secondario che prenderà appunto il nome di "macchia mediterranea".


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La vegetazione originaria era costituita da leccete: foreste ombrose a Quercus ilex , con alberi poderosi che potevano raggiungere i venti metri d'altezza e l'età di 400 anni. Il rado sottobosco era costituito da poche specie vegetali, capaci di vivere all'ombra cupa di quei giganti; gli arbusti e suffrutici che oggi osserviamo nella macchia, occupavano in quel tempo territori marginali, nei pressi di spiagge e scogliere, lasciando al leccio il dominio sul resto del territorio.

Anche se non esistono più foreste di leccio che non siano mai state tagliate dall'uomo, si possono ammirare in alcune località del Mediterraneo, boschi di leccio d'alto fusto che danno l'idea di cosa doveva essere il primitivo ambiente vegetale. Il taglio, ripetuto negli anni, ha diradato la fitta coltre di chiome, permettendo ad arbusti "meno esigenti", in fatto di terreno, di prendere il posto dei grandi lecci. Proprio nel suolo si evidenzia una fondamentale differenza tra la lecceta originaria e la macchia: mentre nella foresta di lecci vi è un suolo umido e di notevole spessore, nella macchia si osserva di solito un terreno arido e povero, conseguenza del dilavamento provocato dall'acqua piovana, che trova una minore resistenza nella copertura vegetale più rada.


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Non è stato facile sradicare le piante di leccio; infatti, quando l'albero viene tagliato, rami secondari, chiamati "polloni", ributtano dal ceppo principale e vanno a formare un bosco ceduo molto simile a quello d'alto fusto. Col passare del tempo, se non vi saranno nuovi tagli o, peggio, incendi, i lecci nati dal seme prenderanno di nuovo il sopravvento e, in tempi difficili da determinare, si ricostituirà la foresta d'alto fusto. Purtroppo, attualmente, i boschi di leccio non hanno avuto il tempo di riprendersi al punto da ricostituire il climax originario. Col passare del tempo il degrado del manto vegetale e del suolo hanno dato origine a differenti tipi di macchia, pertanto si parla oggi di "macchia alta", "macchia bassa" e "gariga", per definire fasi successive di abbassamento della copertura vegetale. Per "macchia alta" s'intendono boschi con cedui di leccio ( Quercus ilex ) e talvolta lecci d'alto fusto insieme ad arbusti come il corbezzolo (Arbutus unedo) e l'orniello (Fraxinus ornus) , inoltre, possono essere presenti anche l'alaterno ( Rhamnus alaternus ) e la sughera ( Quercus suber ) in conseguenza dell'esposizione, dell'umidità del luogo e di altri elementi che determinano il micro habitat. Nella "macchia bassa" si incominciano a notare piccoli arbusti e suffrutici che ci indicano un maggiore degrado; il leccio diventa sporadico, mentre la scopa ( Erica arborea, E. multiflora, E. scoparia) , diventa più frequente insieme al lentisco (Pistacia lentiscus) e ad altri arbusti resistenti alla siccità estiva quali il mirto ( Myrtus communis ), la ginestra ( Spartium junceum, Cytisus scoparius e Calicotome spinosa ), la fillirea ( Phillyrea angustifolia ) ed il viburno (V iburnum tinus ).


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Gli incendi e il pascolo riducono a tal punto la vegetazione che pochi arbusti riescono a colonizzare suoli così impoveriti: ci troviamo nella "gariga", che nell'Arcipelago è in prevalenza a cisto, Cistus incanus , C. salvifolius e C. monspeliensis , dove tra le altre predomina l'ultima specie, il cisto marino, dalle foglie resinose e dall'effimera fioritura primaverile e sulle cui radici cresce l'ipocisto ( Cytinus hypocistis ). Piante adattate alle dure condizioni delle scogliere e dei campi abbandonati, come il rosmarino ( Rosmarinus officinalis) fioriscono insieme alla lavanda selvatica (Lavandula stoechas) e ad altre piante altrettanto resistenti a condizioni estreme, quali l'elicriso ( Helichrysum litoreum ) ed il ginepro ( Juniperus communis, J. oxycedrus e J. phoenicea ), oltre ad alcune specie estremamente specializzate come il finocchio di mare ( Crithmun maritimum ) e la cineraria ( Senecio cineraria )


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Il successivo stadio di degrado porta alla steppa a graminacee, anch'essa diffusa in molte zone delle nostre isole. Infine, quando anche la steppa sarà eliminata, ecco affiorare la roccia madre: deserti rocciosi come ve ne sono molti nelle isole e sulle coste del Mediterraneo.


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Gli stagni sono collegati alle aree paludose e ad altri piccoli bacini retrodunali chiamati “Salapieddhi”, per mezzo di un breve canale.

Nei canali sono presenti numerosi cefali, anche di grosse dimensioni.


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All’interno degli stagni sono situati due isolotti denominati “dei conigli” e “delle canne”, che ogni anno ospitano gli uccelli migratori. L’importanza biologica di questo sito deriva dalla presenza dell’ambiente umido adatto ad ospitare numerosi uccelli di passo o stanziali che trovano nutrimento nelle acque della laguna


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I tratti a macchia mediterranea sono caratterizzati da cistacee, che costituiscono i resti dell’antico bosco di lecci precedente il disboscamento.

Colpiscono i colori sgargianti del cisto rosso in piena fioritura e la delicatezza del cisto bianco.


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Tra le piante più interessanti che caratterizzano l’oasi, vi è la campanella palustre, molto rara in Italia e la periploca maggiore, entrambe inserite nella Lista Rossa Nazionale. Nella zona palustre predomina la cannuccia di palude, ma osserviamo anche il giunco nero e pungente. Dalle torrette di avvistamento abbiamo potuto osservare i due stagni perenni costieri: “Li Salapi” (14 ettari) e il “Pantano Grande” (68 ettari). Un cordone di dune sabbiose, alte circa un metro, li separa dal mare e sono collegati tra loro da un canale largo mediamente 8 metri.


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Osservando con il binocolo abbiamo visto alcuni esemplari di svasso maggiore, folaghe e cormorani.

I bacini sono profondi in media poco meno di un metro.


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I tratti a macchia mediterranea sono caratterizzati da cistacee, che costituiscono i resti dell’antico bosco di lecci precedente il disboscamento. Colpiscono i colori sgargianti del cisto rosso in piena fioritura e la delicatezza del cisto bianco.


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L’ulivo, come sappiamo, è ed è sempre stato simbolo di pace e pianta tipicamente mediterranea. La certezza della sua presenza nell’antichità, ci giunge anche attraverso miti e leggende appartenenti a popoli, culture, ed epoche diverse.

Ne troviamo tracce, per esempio, nelle civiltà ebraica (l’ulivo viene citato circa settanta volte nella Bibbia: se ne parla già nel libro della Genesi), greca (nel mito di “Atena e l’ulivo” e nell’Odissea”, romana (secondo la tradizione, i gemelli divini Romolo e Remo nacquero sotto un albero d’olivo), cristiana.


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Secondo la leggenda, citata nella Genesi, un Angelo diede a Seth, il figlio di Adamo, tre semi dell’albero della Conoscenza del Bene e del Male da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo”.


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Atena e l’ulivo Secondo l’antica mitologia l’ulivo, ci fu donato dalla dea Atena: ricordiamo questo nel mito che riporta uno scontro tra Atena e Poseidone. Atena e Poseidone si contendevano il dominio sull’Attica e chiesero a Zeus di stabilire a chi attribuire quella regione.

Zeus decise che il possesso dell’Attica sarebbe toccato a chi avesse fatto agli abitanti il dono più utile. Poseidone, allora, colpì col suo formidabile tridente una roccia e ne balzò fuori un focoso cavallo: era il primo cavallo che nascesse sulla terra.


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Atena percosse il suolo con la lancia, e subito in quello stesso punto crebbe una pianta nuova: l’olivo che dà l’olio e i cui rami simboleggiano la pace, mentre il cavallo era destinato a trainare i carri di guerra. Cosi gli uomini vennero in possesso dell’ulivo, Zeus decise che quello era il dono più utile (per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione) e disse: "la città sarà chiamata Atene; tu donasti agli uomini l'olivo e con esso tu hai donato luce, alimento ed un eterno simbolo di pace". Quindi l’Attica fu assegnata ad Atena e, in suo onore, la capitale di quella regione venne chiamata Atene.


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Anche Omero nomina l’olivo nell’Odissea. Dopo la guerra di Troia, Ulisse, re di Itaca, non riesce a tornare subito in patria e vaga per ben 10 anni. Durante il suo viaggio incontra, sull’ isola delle capre, il ciclope Polifemo, un gigante con un solo occhio che mangiò sei compagni di Ulisse. Per riuscire a salvarsi, l’eroe e i compagni rimasti appuntirono un lungo tronco d’ulivo e, con quello, accecarono Polifemo. Inoltre, il re di Itaca costruì il letto nuziale per sè e per Penelope, scavandolo nel tronco stesso di una possente pianta d’olivo, simbolo di un’unione salda e duratura.


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Si narra che Romolo e Remo, discendenti degli Dei e fondatori di Roma, videro la luce sotto i rami di un albero di ulivo e sotto la stessa pianta furono allattati dalla lupa.


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Secondo la leggenda, quando Gesù Cristo fu condannato alla crocefissione, alcuni soldati vennero inviati in un grande oliveto a cercare l’albero che sarebbe servito a fare la croce sulla quale Gesù sarebbe stato crocefisso. Nessun albero voleva essere scelto per un compito così atroce e così gli olivi iniziarono a contorcersi, come scossi da un vento fortissimo. Si piegarono e torsero talmente tanto, che i rami si spezzarono, il tronco si piegò, spaccando la corteccia e i soldati non riuscirono a trovare un solo tronco utilizzabile. Perciò si diressero altrove a cercare un altro tipo di albero. Da quel giorno gli olivi continuarono a crescere contorti e spaccati per ricordare a tutti l’orrore evitato.


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Fin dalle origini, l’olivo è considerato sacro da più religioni. Grazie alla sua utilità conquistò subito un ruolo di primo piano all'interno del culto degli alberi. La pianta, perciò, era venerata e protetta; inoltre l'olio d'oliva veniva usato nella cerimonia dell'unzione dei re e dei sacerdoti ed era spesso offerto in dono agli dei. Le religioni in cui la presenza dell’ulivo è più forte sono la religione islamica, la religione ebraica e la religione cristiana.


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Nell'Islam l’ulivo, l'Albero Benedetto, è considerato, per l’olio che ci dona, la fonte della luce. Secondo Maometto (Surat della Luce XXIV del Corano),

“Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una lampada, collocata in una nicchia entro un vaso di cristallo simile a una scintillante stella e accesa grazie a un albero benedetto, un olivo che non sta a oriente né a occidente, il cui olio illuminerebbe anche se non toccasse fuoco”.


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Tanta è la considerazione in cui l’olivo è tenuto, che nell’Antico Testamento, il profeta Osea paragona il Dio d’Israele alla magnificenza dell’olivo. Nelle Sacre Scritture, l’olivo e l’olio che da esso si ricava sono simbolo dell’alleanza tra Dio e il genere umano: Noè passati i quaranta giorni del diluvio universale, per accertarsi che le acque si fossero ritirate liberò prima un corvo e poi una colomba, ma entrambi, dopo poco tempo, ritornarono all’Arca, perché non avevano trovato nemmeno un lembo di terra dove posarsi. Dopo una settimana liberò di nuovo la colomba e questa volta essa ritornò con un ramoscello d’olivo nel becco. Da quel momento l’olivo divenne il simbolo della rigenerazione, perché, dopo la distruzione operata dal diluvio, la terra tornava a fiorire; diventò anche simbolo di pace, perché testimoniava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini.


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L’ulivo per i cristiani ha sempre rappresentato uno dei simboli più comuni e importanti, sia nelle celebrazioni liturgiche che come simbolo di pace. Anche nel Vangelo l’ulivo ha una parte importante, come per esempio nell’arrivo glorioso di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla popolazione festante che porta in mano rametti d’ulivo e di palme, evento che ancora oggi i cristiani ricordano con il dono dei rametti d’ulivo nel giorno della domenica delle Palme, che ricorda proprio quell’episodio del Vangelo. Oltre all’ulivo, anche l’olio fa parte di diversi momenti importanti delle celebrazioni del cristianesimo


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Esso, infatti, è il simbolo costante con cui si impartiscono i sacramenti, segno della presenza dell'amore di Dio"; con gli oli, benedetti durante la Messa Crismale del Giovedì Santo, vengono somministrati i sacramenti della Cresima, della Consacrazione sacerdotale e dell’Unzione degli infermi. L’uso dell’olio d’oliva per la religione cristiana trova origine nel Nuovo Testamento: il Samaritano versa sulle ferite dell’uomo che soffre un unguento a base di olio. E sarà proprio in un campo di ulivi, il Getsemani, poco distante dalla città vecchia di Gerusalemme, luogo che esiste ancora oggi e che è meta di molti pellegrinaggi, che Gesù passerà le sue ultime ore da libero prima del tradimento di Giuda.

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