Roma, una citta, un impero - n. 8

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Editoriale LA VILLA DELLA FARNESINA

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uanti conoscono i diversi allestimenti ideati nell’ultimo cinquantennio per il complesso degli affreschi dipinti negli ambienti della cd. Villa romana della Farnesina in Trastevere, prima conservati al Museo delle Terme e, dalla fine del secolo scorso, al secondo piano del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, rimarranno perplessi dal fatto che soltanto l’ultima sistemazione, aperta al pubblico il 30 giugno scorso e realizzata grazie all’iniziativa di Rita Paris, sia riuscita in modo veramente convincente. Nel nuovo allestimento si attraversano i criptoportici, il triclinio e i cubiculi della Villa senza nessun impedimento. Le pareti dipinte non sono protette e nascoste con diaframmi di vetro e i meravigliosi rilievi in stucco si possono ammirare in opera direttamente sulle volte. Anche i resti dei mosaici pavimentali, prima esposti in una stanza a parte, sono stati ricomposti sui pavimenti dei diversi vani cui appartenevano, restituendo così al complesso un aspetto vicino a quello antico. Degna di lode è soprattutto la soluzione ideata per l’illuminazione, che varia a seconda delle ore del giorno. Il complesso, unico, riveste grande importanza perché illustra il momento di transizione dal II stile al III stile pompeiano, avvenuto nel corso dell’ultimo terzo del I sec. a.C. Vitruvio, nella sua storia dell’architettura (VII, 5, 4), pubblicata intorno al 25 a.C., descrive e contemporaneamente critica il nuovo sistema decorativo che i pittori dei suoi tempi stavano sperimentando sulle pareti delle residenze romane, introducendo negli affreschi forme architettoniche prive di concretezza strutturale e figure fantasiose: «Questi soggetti figurativi, che erano desunti come copie a partire da elementi reali, ai nostri giorni meritano disapprovazione per colpa del diffondersi di una moda depravata. Sugli intonaci si dipingono infatti mostruosità piuttosto che immagini precise, conformi a oggetti definiti: al posto delle colonne, cioè, si dispongono calami; al posto dei frontoni motivi ornamentali con foglie arricciate e volute, e poi candelabri che reggono immagini di tempietti, con teneri fiori che spuntano sopra i frontoni come da radici in mezzo alle volute, con all’interno, senza una spiegazione razionale, figurine sedute. E ancora piccoli steli che recano figurine divise in due metà, una a testa umana, l’altra a testa animale. Ma queste figure non esistono, non possono esistere, non sono mai esistite. Come può infatti un calamo sostenere davvero un tetto o un candelabro gli ornamenti di un frontone o un piccolo stelo, così gracile e flessibile, reggere una figurina seduta? Eppure la gente vede queste finzioni e lungi dal criticarle ne trae diletto, senza riflettere se qualcuna di esse sia possibile nella realtà o no». A questa nuova tendenza decorativa, che prelude alle decorazioni di III stile, dà un impulso decisivo proprio la bottega di artisti attivi nella Villa della Farnesina, i cui affreschi, con i loro esili candelabri e altri soggetti descritti nell’opera vitruviana, costituiscono una delle prime manifestazioni di quella moda «depravata» stigmatizzata dall’autore. Secondo recenti studi, gli affreschi sarebbero addirittura databili intorno al 20 a.C., perché in un riquadro dell’ambulacro anulare interno della Villa è riprodotta una battaglia navale, che è stata interpretata come una rappresentazione della battaglia di Nauloco del 36 a.C., in cui Agrippa, ammiraglio della flotta di Cesare Ottaviano, che nel 27 a.C. sarà chiamato Augusto, aveva sconfitto Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno. Dal momento che questo scontro si era svolto mezza generazione prima, qualora esso fosse rappresentato sulle pareti della Villa, una datazione anteriore degli affreschi sembrerebbe plausibile. Riguardo ai proprietari, grande fortuna ha avuto l’ipotesi, prospettata da Hans Gustav Beyen, di riconoscere nella Villa la residenza suburbana costruita in occasione del matrimonio tra Giulia, unica figlia di Augusto, e il cugino Marco Claudio Marcello, celebrato nel 25 a.C. La decorazione, tuttavia, sarebbe stata ultimata solo più tardi, dopo la prematura morte di Marcello, quando Giulia sposò in seconde nozze Agrippa (21 a.C.). Questa interpretazione è stata accolta con favore per l’interesse scientifico suscitato dal collegamento tra un complesso architettonico eccezionale e personaggi storici ben conosciuti, appartenenti addirittura alla famiglia imperiale. In verità, la presenza nella zona transtiberina di diverse abitazioni suburbane che appartenevano, nella seconda metà del I sec. a.C., a personaggi di rango elevato, rende possibile ma del tutto ipotetica l’attribuzione della Villa a Giulia e ad Agrippa. Il nuovo allestimento delle pitture nel Palazzo Massimo alle Terme, ispirerà nuovi studi che forse potranno rispondere agli interrogativi rimasti insoluti e, per un simile obiettivo, sarà molto utile anche la nuova campagna fotografica realizzata da Roberto Lucignani. Bernard Andreae


DIRETTORE RESPONSABILE MARIA TERESA GARAU DIRETTORE ESECUTIVO ROBERTO LUCIGNANI DIRETTORE SCIENTIFICO BERNARD ANDREAE

COMITATO SCIENTIFICO Paolo Arata Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Alessandra Capodiferro Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma Fiorenzo Catalli Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma Paola Chini Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Vincenzo Fiocchi Nicolai Prof. Archeologia Cristiana Univ. Tor Vergata di Roma Gian Luca Gregori Prof. Ordinario di Antichità Romane, ed Epigrafia Latina, Facoltà Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma Eugenio La Rocca Prof. Ordinario Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, Univ. Sapienza di Roma Anna Maria Liberati Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Luisa Musso Prof. Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana e Archeologia delle Provincie Romane, Univ. Roma Tre Silvia Orlandi Prof. associato di Epigrafia Latina presso la Facoltà di Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma Rita Paris Direttore Museo di Palazzo Massimo alle Terme Claudio Parisi Presicce Direttore Musei Archeologici e d’Arte Antica Comune di Roma Giandomenico Spinola Responsabile Antichità Classiche e Dipartimento di Archeologia Musei Vaticani Lucrezia Ungaro Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Laura Vendittelli Direttore Museo Crypta Balbi CAPO REDATTORE ALESSANDRA CLEMENTI REDAZIONE LAURA BUCCINO - ALBERTO DANTI - GIOVANNA DI GIACOMO LUANA RAGOZZINO - GABRIELE ROMANO DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA ROBERTO LUCIGNANI TRADUZIONE DANIELA WILLIAMS GRAFICA E IMPAGINAZIONE STUDIOEDESIGN - ROMA WEB MASTER – PUBBLICITA’ MARIA TERESA GARAU REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Via Orazio Antinori, 4 - ROMA

È vietata la riproduzione in alcun modo senza il consenso scritto dell’Associazione Rumon Tiber

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LA MUSEALIZZAZI VILLA DELLA FA

di Rita Pari


SOMMARIO

IONE DELLA ARNESINA

is

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LA VILLA ROMANA DELLA FARNESINA

IL NUOVO ALLESTIMENTO E L’ILLUMINAZIONE

di Maria Teresa Di Sarcina

di Stefano Cacciapaglia e Carlo Celia

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I MOSAICI

LE DECORAZIONI DELLA VILLA ROMANA

di Maria Teresa Di Sarcina

di Valeria Intini




INTRODUZIONE

N

LA MUSEALIZZAZIONE DELLA VILLA DELLA FARNESINA

Nelle due pagine precedenti: Il Triclinio C In alto a destra: Gli affreschi dalla Villa di Livia a Primaporta ora a Palazzo Massimo alle Terme In basso a sinistra: Particolare della Mostra Rosso Pompeiano

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ella sede del Museo Nazionale Romano di P a l a z z o Massimo sono esposte le più importanti testimonianze della pittura di Roma del periodo “aureo”, che decoravano lussuose residenze urbane e suburbane scavate nella Capitale a partire dalla fine dell’Ottocento. E’ per questo che le attività espositive temporanee organizzate nel museo negli ultimi anni hanno approfondito particolarmente il tema della pittura. Nel 2007 la mostra “Rosso Pompeiano” ha presentato a Roma numerose opere dalle città vesuviane, la maggior parte delle quali pervenute a noi in forma di “quadri”, ossia le parti degli affreschi parietali ritenute più belle dal collezionismo dell’epoca, incorniciate ed esposte come in una galleria. La “pittura pompeiana” è stata così presentata contestualmente a quella


romana per sfatare l’idea, consolidata nell’immaginario comune, che esista una pittura pompeiana diversa dalla pittura romana. In realtà, se la scoperta della pittura antica è avvenuta nelle città vesuviane prima che a Roma (ad eccezione del caso della Domus Aurea e di alcune testimonianze sul Palatino), ciò è dipeso essenzialmente dalla storia della ricerca archeologica. Ancora per approfondire il tema della pittura nel 2008 sono stati presentati, nell’ambito dell’iniziativa “Scopri il Massimo”, gli affreschi della Tomba di

Patron, in prestito dal Louvre, e inoltre quelli restaurati del Grand Colombario di Villa Pamphilj e buona parte di quelli provenienti dalle stanze scoperte nell’area della Stazione Termini (II - inizi del III secolo d.C.), che hanno accresciuto la rassegna permanente completando il percorso cronologico. Tra le pareti dipinte ricomposte al secondo piano di Palazzo Massimo, oltre a vivere la suggestione di trovarsi in una stanza com’era in antico, è dunque possibile comprendere il rapporto tra il sistema decorativo e la fun-

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zione degli ambienti, come nella ricostruzione del triclinio con le pitture di giardino provenienti dalla Villa di Livia a Prima P o r t a . A giugno di quest’anno è stato inaugurato il nuovo allestimento del complesso della Villa della Farnesina, reso necessario per migliorare le condizioni di conservazione e per una più completa presentazione al pubblico e agli studiosi dello straordinario insieme di affreschi. Dopo la scoperta fortuita nel 1879, nel giardino della villa Chigi poi Farnese (da cui la denominazione di Farnesina), delle strutture di una sontuosa residenza di età augustea, attribuibile al generale Marco Vipsanio Agrippa, gli affreschi, i mosaici e gli stucchi, giudicati subito di eccezionale

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Sopra e sotto: Due momenti della conferenza di presentazione alla stampa del nuovo allestimento. La direttrice del Museo Dott.ssa Rita Paris con i giornalisti intervenuti

Nella pagina accanto in alto a destra: L’ingresso alla Mostra Nella pagina accanto in basso: Gli architetti Stefano Cacciapaglia e Carlo Celia spiegano ai giornalisti l’innovativo impianto di illuminazione


qualità, furono distaccati dalle strutture demolite, al fine di consentire la costruzione degli argini del Tevere nell’ambito dei lavori per Roma nuova capitale, e confluirono nella collezione del Museo Nazionale Romano,

allora nelle Terme di Diocleziano. Il nuovo allestimento delle stanze privilegia una sistemazione che si approssima alla planimetria originaria ed è stato progettato con l’intento di ricreare,

per quanto possibile, la sequenza delle impressioni visive che si potevano avere in antico percorrendo gli ambienti della villa, dalle stanze da letto alla sala per i banchetti, sullo sfondo del giardino dipinto che contornava in origine un giardino reale. Sulle pareti intensamente colorate e sulle volte di stucco bianco sono rappresentate immagini del mondo mitico e religioso, scene di interni e di intimità, paesaggi immaginari che lasciano spaziare lo sguardo e la mente, quadri dipinti a imitazione della pittura greca in un contesto culturale che aveva pienamente assorbito e adattato lo stile e i contenuti di quest’arte alle esigenze della committenza r o m a n a . La nuova illuminazione consen-

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Sopra e sotto: Due inquadrature del nuovo allestimento della Villa della Farnesina

te di apprezzare meglio questo complesso apparato decorativo, mettendone in evidenza i colori e i dettagli. Apparati didascalici aggiornati accompagnano i visitatori nella lettura degli elementi principali delle decorazioni, dopo un’introduzione topografica e storica. Nella sala conclusiva del percorso, un video presenta una ricostruzione dell’edificio in base alle osservazioni che

si sono potute fare ad oggi, in un lavoro destinato a progredire. L’aggiornamento dei criteri espositivi intrapreso in alcuni settori del museo di Palazzo Massimo si propone di adattare i metodi allestitivi di volta in volta alle diverse sezioni tematiche, le quali funzionano così anche come ambiti autonomi di esperienza. In tal modo l’interesse dei visitatori può rinnovarsi


in ogni sala, nella scoperta dei molteplici aspetti della cultura artistica romana. Nel 1957 Giulio Carlo Argan apprezzava la capacità dei musei americani di essere centri vivi di cultura fortemente legati alla comunità, nella quale essi esercitavano una funzione importante e dalla quale ricevevano i mezzi di vita; di conseguenza invitava a considerare il museo non solo come un’attrazione turistica, ma soprattutto come un potente, necessario mezzo di educazione collettiva. Questo obiettivo non va perso di vista. Pensiamo ad un museo che non voglia competere con le mostre “spettacolari”, ma che sia percepito da tutti come un punto di riferimento, un luogo accessibile e accogliente, da frequentare abitualmente; dove poter tornare più volte, anche solo per poco tempo, magari per visite mirate a singole opere. Il continuo impegno, da parte degli addetti ai lavori, nello studio e nel miglioramento dell’esposizione è finalizzato ad offrire al grande pubblico la possibilità di ammirare le opere dell’arte classica, ponendosi in ascolto dei contenuti infiniti che esse racchiudono. I

In basso al centro: Particolare del Cubicolo B

Sopra: Particolare del Cubicolo E Sotto: Particolare del Cubicolo D

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FOTO DI ROBERT


TO LUCIGNANI


LA STORIA

“N

STORIA DEGLI SCAVI

Nelle due pagine precedenti: Nella foto del 1878, il fronte della Farnesina prima della costruzione dei muraglioni e della scoperta della villa romana Nelle due pagine in alto: Particolare degli affreschi del Triclinio C Nella pagina accanto in basso: Particolare di affresco con scena di toletta dal Cubicolo D

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egli ultimi giorni del mese, al confine settentrionale della Farnesina, sono incominciati ad apparire avanzi di una nobilissima casa privata dell’epoca augustea, adorna dei più vaghi dipinti murali che mai sieno stati ammirati in Roma” (da Notizie degli Scavi di Antichità, marzo 1879, p. 69). Con questa notizia Giuseppe Fiorelli, Direttore generale degli scavi e dei musei di antichità, annunciava il rinvenimento a Trastevere di un grande edificio residenziale di età romana, venuto alla luce durante i lavori per la costruzione degli argini in muratura del fiume Tevere nel giardino della rinascimentale villa della Farnesina (oggi sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei) e nell’attiguo convento di S. Giacomo in Settimiana. Lo

scavo, come emergeva dai rapporti di Rodolfo Lanciani, allora ingegnere dell’ufficio tecnico degli scavi a Roma, fu eseguito in condizioni di estrema difficoltà e in un breve arco di tempo, a causa delle continue inondazioni del fiume, e della necessità di demolire le strutture per realizzare i Lungoteveri. Le decorazioni degli ambienti furono subito riconosciute come documento di altissima qualità: si decise quindi il distacco di affreschi, volte in stucco e mosaici provenienti principalmente da un grande triclinio a sfondo nero, tre stanze da letto (cubicula) e due corridoi (il criptoportico e il corridoio a esedra). La parte indagata apparteneva a una delle terrazze della villa, originariamente sviluppata


su vari livelli; all’interno non furono rinvenuti arredi scultorei di pregio o altri oggetti comuni nelle abitazioni, circostanza che ha fatto pensare a un abbandono forzato della villa forse proprio a causa delle continue piene del Tevere. Della documentazione pertinente allo scavo sono conservati, presso l’Archivio Storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma a Palazzo Altemps, alcuni rilievi ad acquerello realizzati da Domenico Marchetti, Architetto Ingegnere dell’Ufficio Antichità e Scavi di Roma, molto preziosi per ricostruire la topografia dell’area e la natura dell’edificio. Si tratta in particolare della planimetria generale (pubblicata in Notizie Scavi del 1880 e in segui-

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to inserita nel 1893 da Rodolfo Lanciani nella Forma Urbis Romae) [immagine n. 1-pianta acquerello- Filippi p. 119 cat. 33; immagine n. 2-Forma Urbis- Sanzi Di Mino p. 9 fig. 4], dei prospetti di alcune parti delle murature e delle piante di alcuni ambienti. Altri preziosi disegni e acquerelli, conservati presso l’Istituto Archeologico Germanico, furono

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TOPOGRAFIA DELL’AREA E IPOTESI SULLA PROPRIETÀ

La zona del rinvenimento, nella regione XIV della suddivisione augustea denominata Transtiberim (l’odierno Trastevere), era caratterizzata soprattutto da attività artigiane, gestite prevalentemente da genti di etnie straniere. La villa augustea fu scoperta durante lo scavo di alcuni magazzini, identificati in base alle fonti epigrafiche con le cellae vinariae Nova et Arruntiana di proprietà imperiale; nell’area sono attestati anche ville e horti appartenenti a personaggi noti della fine della repubblica, tra cui quelli celebri di Giulio Cesare, donati per testamento al popolo romano nel 44 a.C. La scoperta della villa suscitò un grande entusiasmo: all’epoca la pittura di età augustea a Roma eseguiti da vari artisti che riprodussero particolari delle decorazioni o intere pareti, contribuendo a diffondere immediatamente l’eccezionalità dei rinvenimenti.

Nelle due pagine in alto: Pianta del XIX secolo con la rappresentazione degli scavi effettuati nel giardino della Villa della Farnesina Nella pagina accanto in basso a sinistra: Particolare della Forma Urbis Romae di Rodolfo Lanciani del 1893 Nelle due pagine in basso: Acquarello rappresentante una parete affrescata del Criptoportico In basso: Particolare di una parete affrescata dalla Casa di Livia sul Palatino

era poco nota, in quanto si conosceva solo la Casa di Livia sul Palatino mentre i complessi della casa di Augusto e dell’Aula Isiaca non erano ancora stati scoperti. Nessun elemento concreto ha fornito indicazioni sui proprietari della villa ma l’eccezionale qualità delle decorazioni indica senza dubbio una committenza di ceto elevato. Se da un punto di vista strutturale la tecnica edi-


Sopra: Il ritratto di Marco Vipsanio Agrippa Sotto: Il Pons Agrippae oggi Ponte Sisto

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lizia sembra fornire verosimilmente una datazione tra il 35 e il 25 a.C., le decorazioni potrebbero essere state realizzate secondo alcuni nel decennio successivo. I confronti stretti con le pitture degli edifici augustei del

Palatino e la presenza di elementi figurativi tipici del repertorio augusteo conducono ad attribuire la proprietà della villa a un membro eminente della cerchia di Augusto, identificato da molti con il generale Marco Vipsanio Agrippa. Altre considerazioni di carattere storico-topografico sembrano avvalorare questa ipotesi: nella zona del rinvenimento Agrippa aveva diverse proprietà e nel 25 a.C. fece costruire Pons Agrippae (Ponte Sisto) per collegare questa parte della città al quartiere del Campo Marzio, dove realizzò il programma edilizio di Augusto coinvolgendo alte personalità del mondo artistico. Egli avrebbe forse fatto costruire e decorare la villa, che probabilmente abitò, dopo il trionfo celebrato nel 29 a.C. per la battaglia di Azio, nella quale aveva svolto un ruolo fondamentale, e in occasione delle sue nozze con Claudia Marcella (28 a.C.). Nel 21 a.C. Augusto consolidò il legame con Agrippa dandogli in sposa la propria figlia Giulia, rimasta vedova dopo la morte del primo marito ed erede designato di Augusto, Marco Claudio Marcello (23 a.C.).


Sopra: Pianta degli ambienti rinvenuti relativi alla Villa della Farnesina Sotto: Particolare dell’esedra con i resti degli affreschi

L’ARCHITETTURA

Tutte le decorazioni distaccate provengono dalla parte sudorientale del complesso che, data la migliore esposizione, costituiva probabilmente l’ala invernale della residenza; la parte nord-occidentale, fu solo parzialmente individuata nel

giardino del convento di S. Giacomo in Settimiana. L’impianto residenziale, disposto parallelamente al corso del Tevere, era molto probabilmente costituito da due corpi simmetrici collegati da una grande esedra del diametro di 36 metri formata da tre muri concentrici, che fungeva da raccordo tra le due ali della villa; dell’ambulacro più interno dell’esedra si conserva gran parte della decorazione pittorica (in pianta F-G). Il fronte verso il fiume,documentato da un acquerello, mostrava un portico ad archi ciechi sorretti da pilastri in muratura e semicolonne in laterizio. Al limite sud-orientale della villa un lungo muro con semipilastri separava l’area da un’altra proprietà. Sul limite meridionale del complesso, la prima individuata durante gli scavi, erano una serie di piccole stanze affiancate, tra le quali si aprivano stretti vani di passaggio (da uno di essi, il vestibolo I-M, provengono un frammento di affresco e due lacerti di mosaico pavimentale). A queste si affiancava un ampio corridoio seminterrato con pila-

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stri centrali (criptoportico A), del quale rimangono numerosi frammenti di pitture parietali ricomposte a Palazzo Massimo sulla base di un acquerello. Dal criptoportico si accedeva a un grande spazio rettangolare interpretato come viridarium (giardino L): su di esso si affacciavano tre ambienti, due piccole stanze simmetriche (B e D) e in posizione piÚ arretrata una grande sala (C), ricostruite nel museo nelle loro reali dimensioni e nella disposizione originaria. Una terza stanza con accesso decentrato (cubicolo E) sembra essere stata ricavata dall’ambulacro interno del corridoio F-G. Una scala di 12 gradini in laterizio rinvenuta nell’ambiente O, attiguo alla sala C e da questo accessibile tramite un passaggio

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Nella pagina accanto in alto: Acquarello raffigurante Pianta ed Alzato del finto portico Nella pagina accanto in basso: Nell’acquarello di Ettore Roesler Franz del 1880 gli scavi nella Villa della Farnesina visti dal Tevere A sinistra: Frammento di affresco proveniente dalla parte interna del Fauces, piccolo ambiente di ingresso al Criptoportico In basso e al centro: Veduta del Criptoportico e particolari della parete affrescata

in seguito tamponato, attesta la presenza di un piano superiore, almeno sul settore meridionale della costruzione. Purtroppo l’esiguità di informazioni circa le quote dei vari ambienti (per i quali in Notizie Scavi si ha solo una notizia generica di una quota media di 8,20 metri sul livello del mare). L’impianto della casa, collocata ai margini della città augu-

stea, non presenta l’aspetto di una residenza urbana tipica dell’età tardo-repubblicana, con una sequenza di vestibolo, atrio, tablino, peristilio, anche se non si può escludere che tali apprestamenti fossero dislocati a un livello superiore andato distrutto; non mancano del resto a Roma esempi di impianti eccezionali costruiti su più livelli, come la casa di Augusto o la più

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Sopra: Particolari degli affreschi del Viridario Sotto: Particolare del Triclinio C con vista sul Viridario

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recente domus tiberiana sul Palatino, e la domus aurea di Nerone. Sono invece molteplici le corrispondenze con ville marittime e residenze costiere: in area vesuviana esedre simili a quella

della Farnesina, ma di dimensioni inferiori, sono attestate nella villa dei Misteri e nella casa di Fabio Rufo a Pompei, entrambe con uno splendido panorama sul mare. Nella villa della Farnesina l’esedra raccordava probabil-


mente due quartieri simmetrici, dei quali conosciamo quello meridionale e per i quali è stato ipotizzato un uso riservato ai proprietari della casa. Lo spazio centrale risultante, sulla decorazione del quale purtroppo non si hanno notizie, era composto da un ambiente rettangolare dominato da un abside e poteva forse costituire la parte ‘pubblica’ della residenza: è stato infatti accostato alla tipologia dell’oecus corinthius, un sontuoso salone documentato alla metà del I sec. a.C. in alcune case di Pompei (Casa del Labirinto; Casa delle Nozze d’Argento) ed Ercolano (casa dell’Atrio a Mosaico); un altro confronto molto interessante è costituito dalla più recente coenatio della Villa Iovis a Capri, costruita per l’imperatore Tiberio nel secondo o terzo decennio dopo Cristo. Con le sue architetture scenografiche inserite armoniosamen-

te nel paesaggio, arricchite dall’affaccio sul Tevere e dalla vista verso il cuore della città, la villa della Farnesina rappresentava sicuramente un luogo di tranquillità e di otium, pieno di cultura greca. I

Sopra: Veduta aerea di Villa Iovis a Capri Sotto: Particolare della Casa della Nozze d’Argento a Pompei

Bibliografia essenziale: Sui lavori nell’area della Farnesina: G. Fiorelli, in Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, 1878, p. 66, 345; G. Fiorelli, in Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, 1879, pp. 15, 40. Sul rinvenimento della residenza augustea: G. Fiorelli, in Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, 1879, pp. 68-69, 114, 141, 179-181, 267, 314, 333. M.R. Sanzi Di Mino (a cura di), La villa della Farnesina in Palazzo Massimo alle Terme, Milano 1998. S. T.A.M. Mols, E. M. Moormann, La villa della Farnesina. Le pitture, Milano 2008.

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L’ALLESTIMENTO

IL NUOVO ALLESTIMENTO E L’ILLUMINAZIONE

Nelle due pagine in alto e al centro in basso: Due vedute del criptoportico Nella pagina accanto, in basso a destra: Pannelli esplicativi posti lungo il criptoportico

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l nuovo allestimento della sezione dedicata agli affreschi della Villa della Farnesina rientra nel quadro di aggiornamento dei criteri espositivi del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme. L’obiettivo generale è quello (nel pieno rispetto della correttezza cronologica e filologica) di creare un percorso di visita in cui le diverse sezioni siano ambiti autonomi di esperienza, trattandole come capitoli indipendenti tra loro di un racconto unitario. La grande quantità di opere e reperti di natura così differente per materiali, tecniche, dimensioni, cromatismi e stato di conservazione, potranno guidare il pubblico nella storia e nell’arte Romana per temi, rinnovando in ogni sezione l’interesse.

Questo approccio museologico (già avviato nelle sale dedicate alla gens Giulio-Claudia, nella sezione degli affreschi e mosaici provenienti dalla Villa di Termini, nella ricostruzione del giardino dipinto proveniente


Nelle diverse sezioni, infatti, la diversa natura dei reperti può essere affrontata con i corretti strumenti illuminotecnici, i giusti cromatismi delle pareti, i supporti più adatti, i più chiari apparati didascalici e tutti gli altri accorgimenti necessari ad ‘appaesare’ le opere e agevolare l’esperienza del visitatore, sia sul piano emotivo che su quello didattico, critico o interpretativo. Nella Villa della Farnesina è stata ridisegnata la disposizione degli ambienti con l’intento di ricreare, per quanto possibile, la sequenza di percezioni visive originali. Intento, questo, reso difficile dalla decontestualizzazione degli affreschi e dei mosaici asportati dal sito originale negli scavi ottocenteschi e dai rilievi non accuratissimi eseguiti all’epoca, e che ha un consapevole e dalla Villa di Livia, nella sala del sarcofago di Portonaccio, nella riproposizione dei ritratti di Aurighi provenienti dal Sacellum Herculis...) consente anche di sperimentare un corretto sistema museografico.

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Sopra: Particolare del Cubicolo B Sotto: Particolare del Cubicolo D Nella pagina accanto: Particolare dell’allestimento con vista del Cubicolo B a destra, del Triclinio C sullo sfondo al centro, e del Cubicolo D a destra

dichiarato valore di ipotesi ragionata. La collocazione degli ambienti, degli affreschi e dei mosaici segue (per quanto concesso anche dalla ricollocazione all’interno di uno spazio Museale) una sequenza verosimile, nell’alternanza tra le pitture dei corridoi e degli spazi conclusi e nell’abbinamento tra le decorazioni parietali ed i mosaici.

Dal lungo affresco del Criptoportico, cadenzato dal ritmo dell’apparato decorativo dipinto (in cui purtroppo le lacune sono assai più estese delle parti affrescate, ma che è volutamente stato ricomposto con i grandi vuoti e ridisegnando lo schema dell’impaginazione architettonica) si è introdotti, anche grazie ad un ricco apparato didattico, alla sala grande in cui sono ricostruiti due Cubicola ed il Triclinio. Qui il posizionamento delle stanze e la sequenza prospettica e cromatica, con gli scorci attraverso le doppie aperture dei cubicola verso il triclinio consentono di rivivere un’alternanza di esperienze percettive (e conseguenti emozioni subliminari) molto simili a quanto avveniva nella condizione originale. Per gli involucri dei volumi e per le pareti si è scelto il colore grigio e l’assoluta elementarità geometrica, a sottolineare il


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carattere metafisico della ricostruzione, cercando di tenere il valore plastico dei volumi nel maggiore silenzio possibile, proprio per non interferire con il cromatismo degli affreschi (soprattutto tenendo conto del delicatissimo rapporto che avrebbe avuto qualsiasi altra scelta con i grandi campi neri del triclinio). La scelta forte nel progettare l’allestimento di questa sezione riguarda i criteri di illuminazione delle opere, proseguendo il percorso di ricerca iniziato con gli ambienti della Villa di Termini (in


cui è stata proposta con successo la ‘luce senza ombre’), e nel giardino dipinto della Villa di Livia (con una prima sperimentazione di luce ‘biodinamica’ che consente di apprezzare la variazione dei colori degli affreschi al cambiare della luce durante le ore del giorno). Nel grande triclinio si è utilizzato un telo termoteso a memoria di forma per ricreare la geometria della volta a botte (la decostruzione della cadenza delle centine aiuta a segnalare l’intervento ‘moderno’), attraverso il quale, come da un cielo artificiale, far piovere la luce dif-

fusa ‘senza ombre’ per evitare di far dominare la grana della materia sulla preziosità delle pitture; un sistema di controllo gestisce l’esecuzione di brevi cicli luminosi, che in cento secondi simulano la naturale variazione della temperatura colore e dell’intensità della luce diurna nell’arco della giornata (2700°K-6500°K), con la corrispondente variazione della percezione cromatica degli affreschi. Il visitatore potrà quindi apprezzare ciò che nell’arco della giornata è impercettibile, provando inoltre l’emozione di

Sopra: Particolare dell’allestimento con vista del Triclinio C a sinistra, e dell’Ambulacro F-G A sinistra e a destra: Due inquadrature dell’Ambulacro F-G Nelle due pagine seguenti: Veduta del Triclinio C con l’effetto di variazione del colore come accade nell’arco della giornata

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vedere finalmente i colori degli affreschi come li ha visti chi li ha dipinti e chi ha originariamente vissuto quegli spazi. Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla conservazione dei manufatti, la presenza del telo traslucido consente di abbattere significativamente le radiazioni dannose corrispondenti alle lunghezze d’onda UV e infrarosse. Nei Cubicola l’obiettivo è reso più ambizioso dalla difficoltà di rendere leggibili al meglio sia gli affreschi che gli stucchi presenti sulle volte: di far convivere all’interno dello stesso ambiente la necessità di luce diffusa e luce indiretta radente. Anche in questo caso si è fatto uso del telo traslucido per ricreare il ‘cielo artificiale’, ideale per la lettura degli affreschi, con il sistema di riproduzione del ciclo

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diurno, che trova ancor più spettacolari risposte dovute al più ricco e prezioso cromatismo delle pareti. Un sistema lineare con sorgenti LED, del tutto nascosto alla vista dell’osserva-

tore, completa l’apparato illuminotecnico, fornendo con temporizzazioni prestabilite una componente di luce indiretta radente sugli stucchi della volta, accentuandone i rilievi grazie alla fotometria selezionata, all’orientamento e al posizionamento. Negli spazi di collegamento tra gli ambienti ricostruiti, dove sono stati posizionati gli affreschi dei percorsi e gli apparati didattici dell’intera sezione, si è

Nella pagina accanto in alto: Particolare dell’interno del Cubicolo E Nella pagina accanto in basso: Particolare della parete di fondo del Cubicolo E Sopra: Particolare raffigurante una scena erotica, dal Cubicolo E Sotto: Particolare a stucco della volta relativo al Cubicolo E


mantenuto sempre il sistema “biodinamico” di illuminazione ricorrendo all’invenzione di apparati diffusori a forma di ‘osso di seppia’ che, replicando l’andamento degli affreschi, producono un morbido effetto wall washing sulle superfici dipinte, mentre il flusso disperso viene assorbito dallo sfondo grigio delle pareti degli ambienti. La sezione è infine arricchita da una saletta didattica dove il visitatore può, comodamente

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A sinistra: Particolare dell’Esedra nell’Ambulacro F-G

Sopra: La Dott.ssa Monica Cola spiega ai giornalisti le peculiarità della Sala Didattica aperta al pubblico

Nella pagina accanto in basso: Particolare con Maschere dell’affresco dell’Esedra

Progetto architettonico e progetto della luce Stefano Cacciapaglia Carlo Celia seduto, vedere un video di approfondimento con ricostruzioni virtuali dell’intero complesso, e approfondire la conoscenza di quanto ha appena ammirato attraverso riferimenti letterari, storico artistici ed architettonici. I

con Anna Marcucci e Marco Tondo Consulenza illuminotecnica Carolina de Camillis e Riccardo Fibbi Progetto Grafico Monica Cola con Raffaella Cola Realizzazione degli allestimenti Fabrizio Meloni S.r.l. 37




I PAVIMENTI MUSIVI

I MOSAICI

Nelle due pagine precedenti: Particolare del pavimento musivo del Triclinio C In alto a destra: Particolare del Cubicolo D con parte del pavimento musivo rinvenuto Nella pagina accanto in basso: Acquarello ottocentesco raffigurante il pavimento musivo del Cubicolo D

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lla ricchezza cromatica e di raffigurazioni che contraddistingue le decorazioni parietali si contrappone la semplicità dei pavimenti a mosaico, realizzati per lo più con tessere marmoree bianche e nere (opus tessellatum). In base alle notizie contenute nei diari di scavo circa la totalità dei metri quadri di mosaici distaccati (circa 50 mq) è presumibile che si decise di conservare solo porzioni di pavimenti, rappresentative delle varie decorazioni. Fortunatamente alcuni acquerelli, realizzati da Domenico Marchetti (1879), consentono di ricostruire lo schema decorativo di alcuni ambienti, e di ricollocare i frammenti nelle stanze ricostruite nel museo. Nei mosaici la semplicità e l’uso circoscritto della policromia era intenzionalmente in contrasto con la ricchezza delle

pareti dipinte e degli stucchi dei soffitti. I motivi sottolineavano la ripartizione funzionale degli ambienti: nelle stanze da letto B, D ed E (cubicula) si differenziano le soglie, l’anticamera e lo spazio del letto (alcova), quest’ultimo non decorato e preceduto da uno scendiletto. (immagine: Acquerello Cubicolo D) Le stanze M e N, localizzate a sud del criptoportico, avevano una stuoia centrale bianca con bordo e crocette in tessere nere, mentre le soglie avevano sequenze di motivi geometrici


sovrapposti. (immagini: Acquerelli Ambienti M e N) Il decoro piÚ complesso è quello del pavimento del cubicolo E, del quale rimangono un acquerello e una porzione della stuoia centrale: questa riproduce uno schema a cassettoni, dove stelle a otto punte formate da rombi si alternano a riquadri composti da rettangoli concentrici, cornici a trecce e rosette centrali. (immagine: Acquerello Cubicolo E) La ricchezza del motivo trova confronti con mosaici di epoca piÚ recente: un

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motivo a stelle simile si ha ad esempio in un pavimento proveniente dalla villa di Castel di Guido, sempre esposto a Palazzo Massimo e datato all’età giulio-claudia. Nell’acquerello raffigurante il pavimento del cubicolo E è indicata anche parte della pavimentazione del primo tratto rettilineo del corridoio F-G: esso sembra avere scaglie quadrate di calcari colorati poste in maniera ortogonale su una base di tessere bianche, che ribadiva il fondo delle pareti e aumentava la luminosità dell’ambiente. La delicatezza della decorazione parietale e pavimentale del corridoio fa supporre che non si trattasse di un passaggio di servizio: simili pavimenti sono presenti in portici e corridoi delle aree di rappresentanza di alcune residenze campane (come la villa dei Misteri a Pompei e la Villa di Oplontis). L’uso di tessere colorate è attestato anche in alcuni fram-

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menti attribuiti alla pavimentazione del Triclinio C e in esso esposti nel nuovo allestimento (immagini: fotografie mosaici Triclinio C). Si tratta di due pezzi di cornice a meandri e cubi alternati, che costituivano probabilmente uno scendiletto continuo ai piedi delle klinai, e di altri due decori simili ma di forma rettangolare, interpretabili uno come la soglia dell’ambiente e l’altro come probabile elemento separatore tra anticamera e zona triclinare. Il motivo a meandri doppi e quadrati assonometrici, frequente nelle pitture e nei mosaici del II stile pompeiano (Villa dei Misteri; Casa del Criptoportico) è presente in versione semplificata anche nella zoccolatura delle pareti affrescate, a riprodurre probabilmente un rivestimento a lastre applicate. I

Nella pagina accanto in alto: Acquarello ottocentesco relativo al pavimento musivo del Cubicolo E

In alto e in basso: Particolari del pavimento musivo del Triclinio C

Nelle due pagine in basso: Particolare del pavimento musivo del Cubicolo E

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LA BELLEZZA CHE CONQUISTÒ ROMA

LE DECORAZIONI

In alto al centro: Figura femminile intenta a versare del profumo da un askos, frammento di affresco dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Nella pagina accanto a destra: Vittoria alata, particolare delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massim Nella pagina seguente in alto: Statua di Teti, II sec. d.C., replica romana ispirata a un originale ellenistico. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Nella pagina seguente in basso: Discobolo Lancellotti, 140 d.C. circa, replica romana dell’originale greco di Mirone del V sec. a.C. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo A pag. 49: Statua di Melpomene, I sec. a.C., replica romana di un originale ellenistico databile al III-II sec. a.C. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

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l Museo Nazionale R o m a n o accoglie la p ro d u z i o n e artistica di una civiltà che ha lasciato segni persistenti nella storia, nel paesaggio, nella lingua e nella cultura di molti paesi. A sua volta, fu l´incontro con un´altra cultura a incidere profondamente nello spirito dei Romani: “La Grecia, conquistata, conquistò il suo selvaggio vincitore e portò le arti fra i contadini del Lazio” (Orazio, Epistole, II, 1, 156). Inizialmente, le prime opere d´arte greche pervennero a Roma in modo fortuito. Plinio ad esempio racconta come, in seguito alla devastazione di Corinto (146 a.C.), durante una vendita all´asta delle opere depredate, il generale romano Lucio Mummio avesse deciso di tenere per sé un quadro del pittore Aristide, cre-

dendolo dotato di poteri magici per via dell’alto valore attribuitogli dal re di Pergamo. In seguito all´assiduo contatto con la cultura di coloro che aveva assoggettato, la società romana ne recepì così pienamente i caratteri da renderla una componente essenziale della propria identità. A tale processo non fu estranea una motivazione di natura politica. L´arte ateniese, infatti, espressione della kalokagathia - la bellezza a un tempo estetica ed etica, veicolo di quei saperi e valori atti a for-


mare il cittadino - era concordemente celebrata in tutto il mondo ellenistico. Il fascino esercitato dalle opere di età classica e la loro grazia naturale emergono da un passo di Plutarco: “Per bellezza esse furono subito, già allora, antiche, ma oggi esse ci appaiono fresche, come fossero state appena ultimate. Ne sgorga come una perenne giovinezza che le conserva immuni dall´assalto del tempo, quasi fossero intrise di uno spirito che fiorisce in perpetuo e di un´anima incapace di

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goghi, a collezionare nelle case i ritratti dei poeti e dei filosofi, a farsi ritrarre nelle vesti degli eroi mitologici. L’ideale greco della paideia, dell’educazione intesa come elevazione dello spirito, crescita umana, fu tradotto in latino con il termine humanitas. Via via che la società si ellenizzava, la ricerca del piacere estetico e l’esigenza di ostentare la propria cultura incrementavano la domanda di opere con cui adornare le abitazioni, cui fecero fronte le botteghe ateniesi e quelle trasferitesi a Roma. L´evoluzione della cultura artistica romana avvenne così nella progressiva assimilazione e imitazione dei modelli greci, in un processo che raggiunse la massima intensità sotto il patronato di Augusto. invecchiare” (Vita di Pericle, 13). Il carattere di universalità di quest’arte, dunque, rispondeva perfettamente alle esigenze di Roma, che in quegli anni si trovava a gestire un impero notevolmente accresciuto. Nella cultura ellenica i Romani videro un potente strumento di integrazione, per questo ne accolsero l´eredità al punto da presentarsene come i portatori nelle regioni conquistate. L´arte dei Greci, così, adattata alle necessità romane, svolse la funzione di un linguaggio iconico ufficiale, inteso in ogni parte dell´impero. Affascinati dalla cultura greca come modo di vita, gradatamente i Romani trasformarono le proprie abitudini. Gli esponenti delle classi elevate iniziarono a collezionare statue e dipinti, la cui diffusione promosse un graduale affinamento del gusto; cominciarono ad assumere schiavi greci come lettori e peda-

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LA VITA IN VILLA La concezione della vita propria delle filosofie ellenistiche (stoica ed epicurea, in particolare) prevedeva che parte del tempo fosse riservata allo studio e alla meditazione, come fase preparatoria all’attività pubblica: idea ben esemplificata dall’accostamento tra i busti dei filosofi e dei generali greci, nelle abitazioni degli esponenti della classe dirigente romana. Anche tra i comuni cittadini si diffusero

ideali ispirati all’esempio dei Greci, come testimonia la moda di farsi ritrarre nei panni di filosofi o Muse. Comune era l’aspirazione a uno stile di vita sul modello del giardino ateniese di Epicuro. Nella forma più moderata (l’aurea mediocritas di Orazio) potevano assicurarlo una piccola proprietà immersa nel verde, un reddito dignitoso e un impiego che lasciasse tempo libero a suf-

A sinistra: Ritratto di Epicuro, I sec. d.C., replica romana di un originale ellenistico databile al III sec d.C. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Sopra: Ritratto di Socrate, I sec. d.C., replica romana riconducibile a una statua bronzea creata intorno al 350 a .C. da Lisippo. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Nella pagina accanto: Busto di stratega, replica romana da un originale ellenistico del IV sec. a.C. Il personaggio ritratto potrebbe essere uno stratega ateniese distintosi durante la guerra del Peloponneso. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

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residenza signorile rispondevano a esigenze colturali (soprattutto per la produzione dell´olio e del vino) e di allevamento. I freschi prodotti della campagna offerti agli invitati come doni ospitali (xenia) sono spesso ancora visibili nei quadretti di nature morte che decoravano gli interni. È il caso della villa marittima di Oplontis, il cui primo nucleo risale all´età tardo repubblicana, con successi-

vi riadattamenti di età augustea e claudio-neroniana. I sistemi decorativi delle case romane, inizialmente riservati ai ceti più alti, erano un importante mezzo di autorappresentazione: contribuivano a creare l´immagine pubblica del proprietario, visualizzandone la cultura e lo status sociale. Il messaggio affidato alla decorazione poteva cambiare a seconda

ficienza da trascorrere fra gli amici e gli interessi culturali. La classe dirigente, nei giorni liberi dagli impegni della vita pubblica, poteva dedicarsi all´otium nelle più agiate ville suburbane, dotate di ampi parchi, pinacoteche e biblioteche: i luoghi ideali dove esercitare il corpo e coltivare lo spirito, fisicamente circondati dall’arte e dalla cultura. La villa romana era concepita come una parte produttiva del paesaggio: le terre annesse alla

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Sopra: Particolare delle pitture della Villa di Oplontis. Sotto: Particolare delle pitture della Villa di Oplontis.

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dei destinatari: agli spazi con funzione pubblica, dove il dominus riceveva i clienti venuti a rendergli omaggio, era richiesto un maggior rigore, mentre i contesti privati, destinati ad accogliere i suoi pari, consentivano


più libertà all´estro dei pittori. La struttura della domus di età imperiale non era tradizionalmente romana, ma derivava dall´architettura ellenistica, ispirata a sua volta alle lussuose corti persiane o egiziane. Da questo mondo proviene il gusto di decorare le pareti domestiche, connesso con le scenografie teatrali. Ne è un esempio significativo una parete della villa di Oplontis che evoca una scena allestita solo in parte (Bragantini-de Vos 1982): al centro appare una quinta con la raffigurazione di un paesaggio, mentre i lati, privi di fondali, lasciano intravedere la porticus post scaenam (il porticato che si elevava dietro l´edificio scenico). Anche gli affreschi della Stanza

Sopra: Scorcio di cielo e albero della vita, particolare delle pitture della Villa di Oplontis. Sotto: Veduta di una parete affrescata dalla Villa di Oplontis In basso a destra: Villa di Oplontis, oecus 23: parete ovest con scenografia

delle maschere della Casa di Augusto simulano un’architettura scenica. La connessione della decorazione domestica col mondo del teatro è rafforzata ulteriormente dalla presenza di elementi tipici dell´arredo di quest’ultimo, come maschere, strumenti musicali, statue di Dioniso o di Muse, evidenti nell’ambulacro F-G e nel cubicolo E della Villa della Farnesina. La consuetudine degli antichi con il teatro non determinò solo il modo di allestire le pareti, ma

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anche la quantità di suggestioni mitiche presente nelle pitture murali, negli stucchi dei soffitti, nei mosaici pavimentali, sugli utensili e gli oggetti di uso quotidiano. Questo mondo ideale poneva la vita di ogni giorno a contatto con un livello più alto, invitando a viverla in forma sublimata; al contempo, la dimensione ideale acquistava una sua realtà, e gli dèi gli eroi si facevano presenti tra gli uomini. Le divinità più ricorrenti erano Venere (o Afrodite), dea dell´amore e della bellezza, e Bacco (o Dioniso), dio del vino, del teatro e della “vita indistruttibile”, archetipi nei quali i Romani proiettavano le loro aspirazioni e i valori. Entro lo scenario delle pareti dipinte, abitanti e ospiti della casa potevano sentirsi protago-

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nisti del mito. Nella drammaturgia antica il mythos, inteso come racconto, composizione di azioni, era considerato l’elemento fondamentale della tragedia. Quest’ultima era, secondo la


celebre definizione di Aristotele, “imitazione di un’azione […] la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo di siffatte passioni” (Poetica 6, 1449b). Se dunque il rivivere in prima persona queste “mimesi di azioni e di vita” restituiva l’equilibrio emotivo allo spettatore, quelle stesse azioni ed emozioni rappresentate in pittura dovevano suscitargli una visione carica di partecipazione affettiva, con effetto liberatorio. L´osservazione degli affreschi stimolava inoltre la conversazio-

Nella pagina accanto in alto: Particolare con cariatide dell’affresco dell’Esedra A sinistra e in alto: Rappresentazioni di maschere, particolare delle pitture dall’ambulacro F-G della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Al centro: Quadretto con conversazione intima, particolare delle pitture dal cubicolo D della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo A destra: Statua di Musa, particolare delle pitture dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

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Al centro: Infanzia di Dioniso, particolare delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Sopra: Toletta di Afrodite, particolare delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Sotto: Fetonte chiede al dio Apollo, suo padre, di poter guidare il carro del Sole, particolare degli stucchi dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Nella pagina accanto: Particolare della statua di Augusto Pontefice Massimo, ultimo decennio del I sec. a.C. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

ne filosofica su temi etici. La moderazione delle passioni era per Aristotele il mezzo attraverso cui l’uomo saggio poteva conseguire la felicità: “Temere, ardire, desiderare, adirarsi, aver pietà, e in generale provare piacere e dolore è possibile in maggiore o minore misura, e in entrambi i casi non bene. Al contrario, provare queste passioni quando è il momento, per motivi convenienti, verso le persone giuste, per il fine e nel modo che si deve, questo è il mezzo e perciò l’ottimo, il che è proprio della virtù” (Etica Nicomachea, II, 6). La possibilità di ritrovare le proprie situazioni e stati d´animo in quelli dei personaggi, di compartecipare sentimenti che appartengono a tutti, di avere sotto gli occhi esempi e criteri per l´orientamento della condotta, ha del resto un parallelo nella raffinata poesia psicologica di Ovidio. Simili consuetudini contribuirono a mantenere vitale l´eredità


classica attraverso la continua rievocazione. L´arte greca era dunque ormai profondamente integrata nella vita di ogni giorno; il suo culto coinvolse fasce sociali sempre più ampie, permettendo alle idee di circolare e radicarsi negli animi, al punto da decidere le sorti di Roma.

IL POTERE DELLE IMMAGINI Questo comune patrimonio di idee e di immagini era ormai entrato a far parte della formazione del giovane cittadino romano, quando Augusto affidò ai mezzi di comunicazione visiva la celebrazione dei valori tradizionali e imperiali. Un noto studio di Paul Zanker ha esaminato nei dettagli

“il progetto, perseguito dall’imperatore con un geniale uso propagandistico di immagini e simboli, di restituire un´identità politica e morale ai Romani, dopo la crisi dell´età tardo-repubblicana”. A quel tempo la società romana, estenuata dalle guerre civili e oppressa da un secolo di

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dittature militari, era stanca di un´esistenza sempre più precaria, e il principato rispose al generale desiderio di pace e stabilità economica. Negli anni di Augusto, dunque, una straordinaria fioritura interessò ogni forma d´arte. Come rileva Zanker, si diffuse tra la cittadinanza “l´idea dell´unicità della cultura greca classica che animava la propria epoca come una sorta di rinascimento, procurando un alto livello morale e un benessere diffuso”. Tutti gli abitanti dell´impero si trovarono coinvolti nell´orizzonte di un sistema di valori comune, e l´efficacia delle immagini sulla mentalità collettiva fu duratura. Uno dei motivi centrali nella propaganda augustea era la celebrazione della serenità della vita agreste, resa possibile dalla Pax Augusta e dalla rinnovata armonia con la natura e i suoi dei. Negli auspici del princeps, la ripresa del lavoro nei campi avrebbe consentito la rinascita di una classe media agricola, produttiva, pacifica, tale da garantire prosperità e concordia. Coerentemente con questi inten-

ti, la coppia imperiale, come riferisce Svetonio, adornò le proprie abitazioni con “portici e boschetti” (Augusto 72,6), simboli di pietas, preferendoli alle sculture e alle ostentazioni di lusso. Agli anni fra il 30 e il 20 a.C. risalgono le decorazioni della dimora palatina dove Augusto visse per più di quarant´anni, e quelle (esposte a Palazzo Massimo) della residenza suburbana di Livia Drusilla, con il triclinio estivo dalle pareti ricoperte da un rigoglioso giardino dipinto.

Nella pagina accanto: Statua di Augusto Pontefice Massimo, ultimo decennio del I sec. a.C. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Sopra: Parete corta sinistra del triclinio della Villa di Livia a Prima Porta. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Sotto: Particolare di affresco dalla Casa di Augusto sul Palatino

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LE PITTURE E GLI STUCCHI DELLA VILLA DELLA FARNESINA Le pitture della Villa della Farnesina, insieme a quelle della Villa di Livia a Prima Porta, la Casa di Augusto, la Casa di Livia e l´Aula Isiaca sul Palatino, costituiscono un esempio del gusto raffinato delle classi superiori nell´epoca di transizione tra la Repubblica e l´Impero. Nel repertorio iconografico della villa, straordinariamente

vario e fantasioso, una serie di richiami al mondo egizio e alle sue divinità (fiori di loto, sfingi, paesaggi nilotici, statue di Iside), presente anche nella Casa di Augusto, si può leggere come celebrativa della recente conquista dell´Egitto, in particolar modo se si identifica il proprietario della domus trasteverina con il generale Marco Vipsanio A sinistra: Vittoria alata, particolare degli stucchi dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Sopra: Disco solare, particolare degli stucchi dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Sotto: Ritratto di Marco Vipsanio Agrippa Nella pagina accanto, in alto: Probabile firma dell’autore delle pitture Nella pagina accanto, in basso: Particolare del cubicolo B

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Agrippa, artefice della vittoria augustea ad Azio. Alla decorazione presero parte maestranze di alto livello; in base agli schemi compositivi, ai motivi della decorazione e alla tavolozza, ricca di colori brillanti e pregiati, si può riconoscere

un primo gruppo di pittori negli ambienti B e D e un secondo per gli ambienti C, E e M, e probabilmente anche A, F-G ed I. Nel cubicolo D si legge la firma di un artista dal nome greco, Seleukos, probabilmente alessandrino. La tecnica è quella consueta della pittura parietale romana descritta da Vitruvio e Plinio: a fresco per i colori di fondo e a semifresco per le figure e i motivi sovradipinti. Con i pittori devono aver strettamente collaborato gli ese-

cutori della decorazione in stucco delle volte, come suggerisce l´uniformità degli ornati. Questi artigiani erano in grado di realizzare decorazioni di elevata qualità manipolando un impasto di calce e polvere di marmo che si prestava alla modellazione di immagini a rilievo; seccando e indurendosi, la superficie acquistava lucentezza, apparendo come un dipinto monocromo. Le cornici erano ottenute con stampi contenenti le forme in negativo, le scene figurate erano ese-

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guite a mano libera. Delle tre stanze B, D ed E si sono conservati numerosi frammenti appartenenti alla zona dell´anticamera, recuperati durante gli scavi e accuratamente ricomposti. Dal punto di vista stilistico, le pitture della villa della Farnesina si classificano nella fase finale del secondo stile, caratterizzata dalle architetture illusionistiche che racchiudono finti quadri. Gli artisti presenti a Roma nella prima età augustea, per lo piÚ greci, avevano elaborato un nuovo linguaggio figurativo, composito e organico al tempo stesso, sintetizzando in un raffinato eclettismo moltepli-

ci influssi (ellenistico-alessandrino, classico, arcaizzante, italico). Una sorta di bricolage di stili, visibile soprattutto nei cubicoli B e D, simili a pinacoteche contenenti quadri di epoche diverse: alcuni richiamano le decorazioni delle lekythoi attiche del V sec a.C., altri la pittura di stile severo (attorno al 460 a.C.); scene mitologiche di tradizione classica appaiono accanto a paesaggi idillico-sacrali di stile alessandrino; questi ultimi sono resi con pennellate rapide ed efficaci che delineano in silhouette i tratti essenziali di edifici e figure, in uno stile compendiario la cui leggerezza aerea contrasta con la rigida defi-

nizione delle cornici architettoniche. L´arte alessandrina, in particolare, era destinata a un pubblico colto, in grado di apprezzarne le allusioni e le finezze, il gusto per i dettagli e le arguzie, la caratterizzazione psicologica ed espressiva delle figure. I fregi floreali e la fantasmagoria di figurine che animano la geometria delle stanze non appaiono come una semplice reiterazione di stilemi alessandrini, ma, come Irene Iacopi ha osservato circa la Casa di Augusto, anche qui sembrano le invenzioni di un talento maturato nel clima di impareggiabile raffinatezza dell’antica capitale egiziana.

A sinistra: Figura femminile alata, particolare delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. In alto a destra e a sinistra: Particolari di pitture del cubicolo B

Nella pagina accanto: Particolare della parete di fondo del cubicolo B


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LA CULTURA ALESSANDRINA

Alessandria d’Egitto fu il maggiore centro di cultura scientifica del mondo ellenistico. Fin dalla sua fondazione (332-331 a.C.) i Greci, nell´amministrare i nuovi territori conquistati da Alessandro, si erano trovati nella necessità di inquadrare coi propri metodi di analisi razionale l´esperienza plurimillenaria ereditata dagli Egiziani. Dalla sintesi fra i modelli teorici greci e la cultura empirica egiziana era così nato un nuovo metodo scientifico (della cui efficacia è emblematica la straordinaria opera di ingegneria idraulica realizzata per il controllo delle piene del Nilo). La relazione tra progresso scientifico e sviluppo economico era ben chiara ai sovrani elleni-

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stici, i quali investirono notevoli risorse nelle politiche culturali, incentivarono la creatività e tennero sempre in grande considerazione le istituzioni educative. Sotto il patronato della dinastia dei Tolomei, sorsero ad Alessandria la Biblioteca, simbolo per eccellenza della sapienza antica, e il Museo (“tempio delle Muse”), il primo istituto pubblico di ricerca della storia. Qui operarono il matematico Euclide, il fisico Archimede, il naturalista Stratone di Lampsaco, il geografo Eratostene, che effettuò la prima misura delle dimensioni della Terra, e l´astronomo Aristarco di Samo, autore della teoria eliocentrica, per citare solo alcuni tra gli scienziati più noti. La valenza strategica di un

Sotto: Festoni di edera, particolare delle pitture dal triclinio C della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

simile mecenatismo è dimostrata dalla vicenda della “guerra della carta” scoppiata fra l´Egitto e Pergamo: allo scopo di frenare la crescita della biblioteca avversaria, Tolomeo II Filadelfo sospese le esportazioni di papiro; Pergamo rispose con l´invenzione della pergamena. In breve, in tutti i regni ellenistici la promozione degli studi scientifici si tradusse in una reale crescita economica. Come infatti rileva Michael Rostovtzeff, “il brillante sviluppo delle scienze esatte verificatosi nel periodo ellenistico contribuì largamente al miglioramento dei metodi di produzione e di scambio, mediante l´invenzione di nuovi procedimenti tecnici.” Consistenti ricerche erano


A sinistra: Statua di Iside con pantere su fondo rosso cinabro, particolare delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo In basso: Pianta di rose, particolare delle pitture dal triclinio della Villa di Livia a Prima Porta. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

in un vantaggioso scambio reciproco. Così avvenne che gli studi di medicina, zoologia e botanica fornirono alle arti figurative un’iconografia naturalistica di altissimo livello, e nuovi generi pittorici come il ritratto, la natura morta e il paesaggio si svilupparono nell’adeguamento all’infinita varietà delle forme della vita. L’interesse degli artisti si rivolse alla realtà concreta e ai sentimenti, che nell’età classica erano stati sacrificati alla rappresentazione di un´armonia ideale. finalizzate anche allo sviluppo dell´agricoltura, la principale attività economica nel mondo antico (successivamente, per molto tempo l´Egitto assicurò a Roma l´approvvigionamento di grano). È interessante notare che, complessivamente, la capacità produttiva di Alessandria era massima e non si reggeva sul lavoro schiavile, a differenza di quanto avveniva nella Grecia classica e a Roma. Il sapere scientifico non era separato da quello umanistico nel Museo di Alessandria, dove le sensazionali scoperte in un campo si trasmettevano agli altri,


LA DIMENSIONE IMMAGINARIA Il desiderio di una raffigurazione della realtà più aderente all´esperienza intensificò la ricerca formale volta a rendere il senso dello spazio. Le tecniche del chiaroscuro e dell´ombra portata, e soprattutto il perfezionamento della prospettiva grazie agli apporti della scienza ottica, consentirono di realizzare disegni piani in grado di generare percezioni tridimensionali. Un passo di Vitruvio (De architectura, VII, praef., par 11) testimonia l´applicazione della geometria dei raggi visuali all’arte della scenografia, per suggerire l´effetto della prominenza degli edifici. Anche Lucrezio dimostra la consapevolezza dei fenomeni prospettici: “Un portico, sebbene sia eretto con tracciato uniforme e poggi su una fila ininterrotta di colonne uguali, tuttavia se lo guardiamo da un estremo in tutta la sua lunghezza, a poco a poco si stringe nella sommità d´un cono sottile,

In basso e al centro: Colonne con ombra portata, particolari delle pitture dal cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo A destra: Particolare del soffitto affrescato dalla Casa di Augusto sul Palatino

unendo il tetto al suolo e ogni sua parte sinistra alla parte corrispondente a destra, fino a contrarsi nella oscura punta d´un cono.” (De Rerum Natura, IV, 426-431). Le scenografie teatrali potevano dischiudere una serie di vedute nella medesima parete, suggerendo la percezione di scene multiple. Allo stesso modo, gli affreschi di secondo stile riproducevano scene mitologiche o idillico-sacrali su vasti


Sopra: Parete di fondo dell’alcova del Cubicolo B della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

sfondi paesistici. Queste potevano funzionare come la veduta che si gode da una finestra, suscitando la percezione di diversi piani di profondità come nell’esperienza reale della distanza delle “cose che si vedono realmente fuori d´una porta, quando questa offre attraverso di sé una prospettiva aperta e fa sì che dalla casa si scorgano molte cose all´esterno” (Lucrezio, De Rerum Natura, IV, 271-73).

In basso: Architettura scenica a struttura lignea, particolare delle pitture dalla Sala delle maschere della Casa di Augusto sul Palatino


A sinistra: Tratto della parete sinistra del triclinio C della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. In basso: Statua di Zeus con aquila, particolare degli stucchi dal cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.

Tali sistemi decorativi sono stati così interpretati da Giulio Carlo Argan: “Poiché la parete non è sentita come una superficie solida, ma come una spazialità o una profondità immaginaria, non sorprende che su di essa vengano rappresentati, plasticamente o pittoricamente, aspetti della natura o eventi storici e mitologici. Lo spazio della parete rimane tuttavia uno spazio immaginario o ipotetico, un piano di proiezione: le immagini - architettoniche o naturalistiche - risentono ad un tempo della condizione imposta dal piano e della libertà concessa alla fantasia dell´artista dal fatto che quello spazio è, appunto, uno spazio immaginario.” Con sapienti artifici i pittori dissolvevano il confine tra spazio reale e immaginario, aprendo scorci su mondi mitici tra le mura domestiche. I Greci furono i primi a creare queste ambientazioni oniriche

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costruite intorno all´osservatore; alla loro invenzione concorse probabilmente la consapevolezza di un importante aspetto della psicologia umana. I filosofi Stoici avevano infatti intuito come nella percezione dei fenomeni fossero necessari tanto l´impressione sensibile quanto l´intervento attivo dell´osservatore (sunkatatesis, “assenso”); un principio simile aveva sostenuto anche Stratone di Lampsaco. Ciò dovette influire sulle teorie estetiche dell´epoca, come quella, attribuita ad Apollonio di Tiana, riguardo alla capacità dello spettatore di opere d´arte di leggere le immagini: “Anche se disegnassimo uno di questi indiani con gesso bianco, sembrerebbe nero, perché ci sarebbero sempre il suo naso piatto e i suoi capelli spessi e ricciuti e la sua mascella prominente [...] a rendere nera la figura per quanti sanno usare gli occhi” (Filostrato,

Vita di Apollonio di Tiana, II, 22). Facendo leva su questi meccanismi, gli artisti sperimentarono tecniche per indurre l’osservatore a collaborare alla costruzione delle immagini: iniziarono a dipingere quadri che, anziché far realmente vedere, stimolassero la visione, fornissero agganci all’immaginazione invitandola a indovinare il resto. Vale la pena riportare il commento che Ernst Gombrich dedica, nel libro Arte e illusione, all’esercizio della visione intesa come superamento della capacità percettiva: “Il vero miracolo del linguaggio dell´arte non consiste nel fatto che permette all´artista di creare l´illusione della realtà. Tra le mani di un grande maestro l´immagine diventa trasparente. Insegnandoci a vedere con occhi nuovi il mondo visibile, egli ci dà l´illusione di guardare nei regni invisibili dello spirito purché sappiamo, come dice Filostrato, usare i nostri occhi.”


LE SELVE DOMESTICHE

Sotto: Quadretto con paesaggio bucolico, particolare delle pitture dall’ambulacro FG della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

La contemplazione interiore della natura, propria della meraviglia infantile come della poesia antica, è alla base dei quadretti (eidyllia, in greco) di vita campestre descritti dai poeti ellenistici, popolati da pastori e agricoltori in armonia con la natura e con gli dei (all’origine delle visioni idealizzate delle Bucoliche di Virgilio). Ma negli interni domestici, l’osservazione dei paesaggi idillico-sacrali racchiusi entro finte

architetture doveva procurare un’esperienza diversa da una semplice fuga nel sogno. Viene da pensare a un processo immaginativo consapevole, sottoposto al controllo razionale; simile a quello descritto da Giacomo Leopardi nell’idillio L’infinito (“io nel pensier mi fingo”) o nello Zibaldone, riguardo al piacere che si prova nel vedere il cielo attraverso una finestra, e in tutte quelle occasioni in cui “in luogo della vista, lavora l’imma-

ginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario.” I panorami percepiti attraverso cornici architettoniche (che, talora, imitavano marmi intarsiati con pietre preziose, come

nelle scenografie del potere delle regge orientali) pongono in risalto il ruolo attivo del soggetto conoscente nell’inquadrare la realtà come fenomeno. Questa forma ideale di appropriazione del paesaggio conferiva alle vedute, reali o dipinte, una connotazione di prestigio.

Rappresentazioni del genere prefiguravano la possibilità di un reale intervento umano sull’ambiente - sempre che l’orgoglio dell´uomo di essere “misura di tutte le cose” non sconfinasse in una incauta illusione di dominio della civiltà sulla natura. Lo stesso si può dire della

nuova moda di quegli anni: il giardino dipinto che dilatava illusionisticamente gli spazi interni delle case o dei giardini stessi, ispirandosi ai “paradisi” orientali (il termine deriva dalla parola persiana pairi-daeza, indicante il giardino racchiuso entro mura, simbolo dell´ordine impo-

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A sinistra: Edicola con tre figure femminili intente in una cerimonia sacrificale presso un santuario campestre, parete di fondo dell’alcova del Cubicolo D della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo In basso: Parete di fondo del cubicolo E, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Sopra: Scena di culto, particolare degli stucchi del cubicolo B Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Nella pagina accanto in basso: Gabbietta con un piccolo volatile sul muro di cinta del giardino, particolare delle pitture della Villa di Livia a Prima Porta. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

sto alla natura dalla ragione umana). Nelle raffigurazioni dei boschetti sacri, con alberi e statue di divinità entro recinti o portali (il perimetro di un´area sacra era delimitato in base al riconoscimento di indizi che segnalassero il manifestarsi di potenze naturali) si esprimeva la consapevolezza della necessità di negoziare con la natura e i suoi dei. Significativamente, all´inizio delle Georgiche Virgilio invoca

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Libero (Bacco) e Cerere: le divinità che hanno insegnato all´uomo ad aggiogare i buoi per coltivare la terra, offrendogli la possibilità di divenire un fattore di crescita all´interno della natura. Secondo il mito esiodeo

accolto dagli Stoici, infatti, se nell’età dell’oro (durante il regno di Saturno) l’uomo si nutriva dei doni della natura senza bisogno di lavorare, Giove al contrario “volle non facile l’agricoltura e per primo mosse i campi con arte, aguzzando con affanni il cuore dei mortali, non sopportando che il suo regno s’intorpidisse in un greve letargo” (Georgiche, I, 121 ss). Il poeta illustra come la cura delle piante richieda, oltre al controllo e all´ordine, l’ingegno e la sensibilità dell’artista: “tutti i virgulti che pianterai nei campi tu spargili di concime, e con molta terra, non dimenticarlo, nascondili, oppure seppellisci una pietra porosa o ruvide conchiglie; tra di loro scivolerà l’acqua e un impalpabile soffio d’aria si insinuerà, e le piantine prenderanno slancio. Si trova anche chi vi pone sopra un sasso o il peso di un grande coccio: difesa contro i

rovesci di pioggia, o quando il Cane torrido fende i campi screpolati dalla sete. Deposti i semi, rimane da lavorare spesso la terra intorno alla base delle piante, agitando le dure marre oppure incalzando il terreno sotto la pressione del vomere e facendo curvare in mezzo alle vigne i giovenchi recalcitranti; poi rimane da approntare canne lisce e aste di arbusti scortecciati e pali di frassino e solide forche, sulla cui robustezza imparino ad innalzarsi le viti, a sfidare i venti e ad estendersi, di palco in palco, sino alle cime degli olmi. E finché la loro prima età si sviluppa in fronde novelle, risparmiale, delicate come sono, e, quando il tralcio rigoglioso alla brezza si slancia nell’aria sgombra a briglie sciolte, non deve ancora essere attaccata col filo del falcetto, ma le fronde vanno spiccate con le dita, per diradarle. Poi, quando ormai si sono estese

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abbracciando gli olmi con ceppi vigorosi, allora sfoltisci la chioma, allora pota le braccia (prima hanno paura del ferro), allora finalmente esercita un duro comando e reprimi il traboccare dei rami” (Georgiche, II, 345-370). Nel poema, il continuo raffronto fra l´attività artistica, quella agricola e quella civilizzatrice ricorda come i trattati di agronomia e le tecniche di orticultura fossero stati importati dalla Grecia al pari dei grandi capolavori. (Così, nel cubicolo E della Villa della Farnesina, tre scene con offerenti presso un´erma di Atena richiamano la particolare devozione dei Greci, popolo di pastori e agricoltori che si era affidato alla tutela della dea delle arti e della filosofia, del pensiero e dell’azione, identificando il proprio destino con quello di Ulisse). In questa visione, la pietas dell’agricoltore non è lontana dalla felicità del saggio epicureo,

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appagato dal proprio stile di vita virtuoso e libero da paure irragionevoli grazie alla conoscenza scientifica della natura: “Felice chi poté conoscere le cause delle cose, e calpestò sotto i suoi piedi tutti i terrori e l´inesorabile fato e lo strepito dell´avido Acheronte! Fortunato anche quegli che conobbe gli dei agresti, e Pan e l´annoso Silvano e le ninfe sorelle!” (Georgiche, II, 489). L’etica della solidarietà conte-

Sopra: Quadretto con agricoltori, particolare delle pitture dell’ambulacro F-G della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Sotto: Paesaggio idillico-sacrale, particolare degli stucchi della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo Nella pagina accanto in basso: Particolare di Edicola dal cubicolo E Nella pagina accanto in alto: Cicogne su capanne dal tetto di paglia, particolare delle pitture dal Triclinio C della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo


nuta nel pensiero degli Stoici e nelle massime capitali di Epicuro ispirò a Virgilio l’ideale di una società nuova, organizzata secondo la disciplina spontanea delle api. L´esempio di questi operosi insetti, che non si limitano a ricevere i prodotti della natura senza elaborarli, sembra indicare la possibilità di vivere in una condizione di gratificazione costante: “Non so per quale dolcezza liete curano la prole e i nidi, plasmano ad arte le cere recenti e danno forma al miele tenace” (Georgiche, IV, 54-57). Ad Azio, Strabone vide gli alberi dedicati da Augusto ad Apollo. Così, dopo la conquista dell´Egitto, fondali esotici comparvero nelle raffigurazioni dei paesaggi idillico-sacrali (come nel triclinio della Villa della Farnesina): un modo per rappresentare l´inclusione di nuovi territori e culture entro l´orizzonte romano. Vari autori greci, negli elogi a noi pervenuti, hanno attribuito la stabilità dell´impero non solo alla potenza militare di Roma, ma in primo luogo alla sua capa-

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cità di integrare politicamente le nazioni sottomesse. La cultura romana era ritenuta maggiormente in grado di radicarsi nelle province, in luogo dei prevalenti sentimenti di odio che altre dominazioni avevano lasciato dietro di sé. Non a caso il retore Elio Aristide utilizzò un’eloquente immagine per celebrare Roma al cospetto di Traiano: “Avete misurato l´intero mondo, avete gettato attraverso i fiumi ponti di ogni genere, avete scavato le montagne per fare strade piane al viandante, riempito spazi desolati e reso più facile la vita col provvedere alle sue necessità nella legge e nell´ordine. Ovunque sono palestre, fontane, porte e archi trionfali, templi, opifici, scuole. [...] Le città sono radiose di splendore e di bellezza e l´intero orbe è ordinato come un giardino”. Grazie al lungo periodo di pace, i Romani avevano esteso ovunque i frutti della cultura ellenistica. Dopo la fine dell´Impero, l´Occidente attraversò un lungo periodo di regresso in campo

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scientifico, tecnologico ed economico. Il risveglio culturale fu favorito dal graduale recupero, a partire dal XII secolo, dei manoscritti greci conservati in Oriente. Lucio Russo descrive con un´appropriata immagine la riscoperta delle antiche cono-

Sopra e sotto: Rappresentazione di giardino con fontana zampillante, particolare delle pitture del viridario L della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo.


LO SGUARDO DI UNA MUSA scenze nel Quattrocento italiano: “Gli intellettuali rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche, ma, come bambini intelligenti e curiosi che entrano per la prima volta in una biblioteca, erano attratti da singoli risultati, da quelli illustrati con disegni, come le dissezioni anatomiche, la prospettiva, la ritrattistica psicologica, gli ingranaggi [...]”. Tra questi appassionati vi era Leonardo da Vinci: con ogni probabilità i suoi disegni sono ispirati a manoscritti redatti in un passato in cui la scienza era molto avanzata. Anche nel campo artistico l´accurata imitazione dei capolavori greci, sopravvissuti nelle copie romane, servì da stimolo all´elabora-

zione di opere originali. Da questa cultura alimentata dalle fonti classiche, insieme umanistica e scientifica, trasse origine il metodo sperimentale moderno, alla base del successivo sviluppo industriale. La storia mostra come, nel campo intellettuale, i progressi non sopravvivano a lungo fuori dal clima culturale che li ha alimentati, se non vengono riconquistati e valorizzati quotidianamente, trasmessi con entusiasmo alle nuove generazioni. Con le parole di Ezra Pound, poeta appassionato del mondo classico: “Quello che veramente ami rimane. [...] Quello che veramente ami è la tua vera eredità”. Alla coscienza dei valori umani e alla necessità di guardare oltre la semplice crescita materiale si appellava anche il grande economista John M. Keynes, in alcune riflessioni risalenti agli anni della crisi economica del ’29: “Dobbiamo tornare a porre i fini avanti ai mezzi, ad anteporre il buono all´utile. Dobbiamo onorare chi può insegnarci a cogliere meglio l´ora e il giorno, quelle deliziose persone capaci di apprezzare le cose fino in fondo”. La capacità di far tesoro delle esperienze. Nelle pitture conservate al Museo Nazionale Romano sorprende la cura degli artisti nel fissare i dettagli del mondo naturale; nel cogliere i moti dell´animo delle divinità che appaiono così umane, la grazia del gesto e del sorriso di una

In basso: Cariatide caratterizzata come Menade danzante, particolare delle pitture del triclinio C della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo In alto: Statua di Musa, particolare delle pitture del cubicolo E della Villa della Farnesina. Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Le Muse, “dee della mente”, figlie di Giove e Mnemosyne, proteggevano le espressioni creative della mente umana e la loro memoria.

fanciulla, la danza di una Menade o l´occhio di una Musa nei quali l´interiorità risplende. È un´arte che nutre la sensibilità e l’immaginazione di chi la guarda, per il contatto che trasmette con la sfera delle emozioni, dei valori, degli ideali, di tutto ciò che aggiunge dignità e splendore alla vita. Nella cultura delle nostre origini ritroviamo una bellezza capace ancora di ispirare l´ideale di un nuovo umanesimo. Lo sguardo che un´antica Musa ci rivolge dal passato può stimolarci a orientare il nostro, costruttivamente, al futuro.

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PIANTA DELLA VILLA DELLA FARNESINA

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BREVE DESCRIZIONE DI OGNI AMBIENTE FAUCES I Il frammento di affresco proviene dalla parte interna del piccolo ambiente di ingresso al criptoportico. Un motivo con grifi alternati a gorgoneia ornava lo zoccolo giallo sotto i riquadri in rosso cinabro. Lo schema ripetitivo si addiceva alla decorazione degli ambienti di passaggio, mentre una maggiore varietà caratterizzava le pareti delle stanze adibite alla sosta, destinate a una contemplazione più lunga.

“Agli occhi una vista abbagliante” (Vitruvio, De Architectura, VII,5,8) 77


CRIPTOPORTICO A Del lungo corridoio seminterrato, cui il fondo chiaro conferiva maggiore luminosità, si sono preservate solo alcune porzioni di parete. Queste sono state ricomposte su un supporto moderno, che ricostruisce l´effetto complessivo della decorazione in base a un acquerello eseguito all’epoca dello scavo. Oltre un colonnato in primo piano, poggiante su una zoccolatura ornata da grottesche, appare una parete scandita da pilastri, sulla quale si alternano quadri con scene di culto e paesaggi a campo libero. Nel registro superiore, cariatidi sorreggono un loggiato con statue di divinità e sfingi. Le scene religiose costituiscono un ciclo ispirato ai misteri di Dioniso, a testimoniare il vigore di un culto millenario.

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“Durante la cena, se sono presenti solo mia moglie o pochi amici, si legge un libro; dopo cena ascoltiamo la declamazione di qualche scena comica o le esecuzioni di qualche suonatore di lira. Poi passeggio coi miei dipendenti, alcuni dei quali sono forniti di buona cultura.� (Plinio il Giovane, Epistole, IX 36)

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CUBICOLO B La camera era un soggiorno intimo provvisto di letto. Lo schema ornamentale delle pareti, distinto tra anticamera e alcova, simula architetture, statue e quadri; un forte contrasto di colori anima la decorazione, dominata dal rosso cinabro. Entro lo schema architettonico, che va perdendo la funzione strutturale, prevalgono i motivi vegetali. Alcuni quadretti raffigurano situazioni tratte dal teatro, con muse e poeti; altri, dotati di finti sportelli protettivi, mostrano scene di interni con conversazioni tra amanti. Due finte edicole, al centro della parete di sinistra e di quella di fondo, ospitano le raffigurazioni dell´infanzia di Dioniso e della toletta di Afrodite; ai lati di quest´ultima appaiono due statue della dea Iside. Gli stucchi della volta raffigurano paesaggi idillico-sacrali e riti di iniziazione ai misteri di Dioniso. (I culti di Dioniso e di Iside sono attestati a Roma in ambito privato a partire dal II sec a.C.).

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“Madre degli Eneadi, voluttà degli uomini e degli dèi, alma Venere, che sotto gli astri vaganti del cielo popoli il mare solcato da navi e la terra feconda di frutti, poiché per tuo mezzo ogni specie vivente si forma, e una volta sbocciata può vedere la luce del sole: te, o dea, fuggono i venti, te e il tuo primo apparire le nubi del cielo, per te la terra industriosa suscita i fiori soavi, per te ridono le distese del mare, e il cielo placato risplende di luce diffusa. Non appena si svela il volto primaverile dei giorni, e libero prende vigore il soffio del fecondo zefiro, per primi gli uccelli dell’aria annunziano te, nostra dea, e il tuo arrivo, turbati in cuore dalla tua forza vitale.” (Lucrezio, De rerum natura, I, 1-13)

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“O Bacco, […] la tua giovinezza è intramontabile, tu sei fanciullo in eterno, tu sei bellissimo e ammirato in alto nel cielo” (Ovidio, Metamorfosi, IV, 17-19)

“Tu, santa e sempiterna salvatrice del genere umano, sempre prodiga delle tue grazie ai mortali, tu che dai il tuo dolce affetto di madre a chi si trova nell’afflizione: non c’è giorno, non c’è notte, non c’è momento sia pur breve che passino senza la tua protezione! E sempre tu aiuti gli uomini per mare e per terra, e allontani le tempeste della vita e porgi loro il soccorso della tua destra, con la quale sciogli gli inestricabili nodi del destino, e mitighi le tempeste della Fortuna e raddrizzi il corso funesto degli astri. Gli Dei del cielo ti onorano, gli dei degli inferi ti temono: tu fai girare la terra, illumini il sole, reggi il mondo, tieni il Tartaro sotto i tuoi piedi. Per te si regolano gli astri, le stagioni si rinnovano, gioiscono i numi, obbediscono gli elementi. Al tuo cenno spirano i venti, si gonfiano le nubi, germogliano i semi, crescono i germogli.” (Apuleio, Metamorfosi, XI, 25)

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CUBICOLO D La camera presenta una decorazione analoga a quella del cubicolo B. L´edicola al centro della parete di fondo inquadra tre donne impegnate in una cerimonia sacrificale in un santuario campestre; quella al centro della parete di destra accoglie una divinità femminile seduta in trono. Ricorrono i quadretti di soggetto erotico, scene di genere ambientate in lussuosi interni domestici, nelle quali convenzionali sono le formule espressive e gli atteggiamenti delle figure. Sulla seconda colonna della parete destra presso l´ingresso è inciso: Seleukos epoiei (Seleukos fece), presumibilmente la firma di un artigiano dell´équipe. Gli stucchi della volta raffigurano paesaggi idillicosacrali e scene di sacrificio. Al cubicolo è stato possibile attribuire, in base agli acquerelli, un lacerto di pavimento a mosaico geometrico bianco e nero.

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“O me felice! O notte tutta luce per me! E anche tu, dolce letto, reso beato dalle gioie mie! Quanto discorrere tra noi, nel chiarore della lucerna, e che battaglie, poi, a lume spento! Ora lottava contro me col seno nudo, ora velandosi un poco con la tunica, raffrenava gli assalti� (Properzio, Elegie, II,15)

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TRICLINIO C L´esposizione a sud e il colore dominante della sala da banchetti ne fanno supporre l´uso invernale. L´architetto Vitruvio, infatti, raccomandava il fondo scuro, in grado di assorbire il calore, per assicurare agli ambienti una temperatura confortevole nella stagione fredda; il nero (atramentum, composto principalmente da carbone tritato con colla) resisteva inoltre al fumo del focolare e alla fuliggine delle lampade. Dal fondo emergono delicati paesaggi sovradipinti in colori chiari, raffiguranti paesaggi urbani con monumenti, archi e porte, o rurali con capanne, animali e santuari campestri, nei quali si notano piccoli personaggi turchini e statue dorate, erme di Priapo o di Pan. Per il genere idillico-sacrale, la tecnica compendiaria e alcuni elementi egittizzanti, queste scene si riferiscono alla corrente alessandrina. Esili colonne, da cui pendono festoni di edera, scandiscono la decorazione della sala, sormontate da graziose cariatidi caratterizzate come menadi. Ad altezza d´occhio, un fregio figurato (la cui lettura partiva dal fondo della parete destra) narra storie popolari con personaggi ricorrenti. Presso l´ingresso si nota un intervento di restauro antico per la tamponatura di un passaggio. E´ possibile attribuire a questa sala parti della sua pavimentazione a mosaico policromo con meandri e cubi resi in prospettiva.

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“Nelle sale da pranzo invernali, a causa della loro disposizione, non sono indicate né la pittura di soggetto elevato né i delicati stucchi a ghirlanda che ornano le volte, in quanto vengono anneriti sia dal fumo del fuoco sia dalla fuliggine continuamente emessa dai lumi. In tali ambienti, piuttosto, sopra gli zoccoli vanno applicati pannelli verniciati di nero e tirati a lucido, con intramezzati cunei triangolari del colore dell´ocra o del cinabro.” (Vitruvio, De Architectura VII, 4,4)

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VIRIDARIO L I cubicoli, in posizione simmetrica e avanzata rispetto al grande triclinio, si affacciavano su uno spazio rettangolare a cielo aperto, identificabile come un giardino. Quest´ultimo era un vero e proprio hortus conclusus, dove, attorno alla vegetazione reale, si estendeva un giardino dipinto sulle pareti. Dalla parete meridionale provengono i tre frammenti superstiti, raffiguranti esedre con fontane zampillanti e un sedile di marmo, delimitate da un recinto a incannucciata oltre il quale appare una fitta vegetazione.

“Era tutta qui la mia ambizione: un pezzo di terra non troppo grande, un giardino con la sua brava sorgente sempre fresca vicino alla casa, e magari un pezzetto di bosco per giunta…” (Orazio, Satire, II, 6)

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AMBULACRO F-G L’ambulacro era una passeggiata coperta che raccordava le due ali della villa, con un tratto curvilineo che seguiva la forma dell´esedra centrale. La decorazione parietale è scandita da esili colonne che sorreggono cariatidi, legate l´una all´altra dalle ghirlande di fiori che tengono nelle mani. Il registro superiore è composto da una serie di quadretti, nei quali maschere teatrali e strumenti musicali si alternano a paesaggi idillico-sacrali, popolati da agricoltori, pastori e pescatori. I soggetti sono quelli indicati da Vitruvio (De arch. VII 5, 1) per le ambulationes (“passeggiate”): portus, promunturia ... litora, fana, luci, montes, pecora, pastores (porti, promontori … litorali, fiumi, fonti, canali, boschi sacri, monti, greggi, pastori). Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXV 116-17) attribuisce l´invenzione di questo tipo di pitture a Studius, pittore dell´epoca di Augusto, ed elenca alcuni dei suoi soggetti, che coincidono con quelli raffigurati nel corridoio: pescatori, uccellieri, naviganti, viandanti con asino. La scena con battaglia navale della parte curvilinea è stata interpretata come un´allusione alla battaglia di Azio. La presenza di ambulationes all’interno della villa romana era connessa alla consuetudine, propria della scuola filosofica peripatetica, di conversare o meditare camminando. Ai momenti di sosta era destinata l’esedra (dal greco exhedra, “luogo per sedersi”).

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“Studio, dell’epoca del Divo Augusto, […] che per primo ha inventato un genere di pittura parietale molto attraente: ville e portici, giardini, selve e boschetti sacri, colline, peschiere, canali, fiumi, spiagge, secondo i desideri di ognuno. E dentro vi sono vari personaggi che passeggiano o che navigano, oppure che si recano verso ville su asinelli o carri; altri pescano, cacciano o vendemmiano.” (Plinio, Naturalis historia, XXXV, 116).

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CUBICOLO E La decorazione della camera, nella quale prevalgono colori tenui, era divisa tra anticamera e alcova. Fra esili strutture architettoniche si aprono edicole con paesaggi sacri (raffiguranti, in tre casi, un viandante presso un’erma della dea Atena). Ricorrono le immagini relative al mondo femminile: i quadretti sulle pareti lunghe dell´anticamera (nei quali il disegno imita la linea della pittura vascolare attica a fondo bianco) mostrano fanciulle impegnate in varie attività, mentre sulla parete di fondo dell´alcova la dea Artemide appare nelle duplici vesti di cacciatrice e Luna. Sul lato opposto sono raffigurate due statue di Muse. Gli stucchi della volta presentano paesaggi idillico-sacrali e due quadretti mitologici con episodi relativi al mito di Fetonte. Altri riquadri presentano dischi solari, vittorie alate, statue di Zeus e di HermesToth (divinità greco-egiziana simbolo di mistica saggezza) raffigurato con il volto di Ottaviano. La raffinata decorazione è raccordata da fregi con grottesche, eseguite a basso rilievo con la nitidezza di un´opera di oreficeria. E´ stato possibile ricollocare in questa stanza una parte del pavimento a mosaico, con lo schema del cassettonato con riquadri e stelle, grazie alla documentazione di un acquerello.

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“[…] o tu, alato, se in terra muti forma e un giovane diventi, o della grande Maia figliolo, e accetti ti si dica quaggiù disceso a vendicare Cesare” (Orazio, Odi, I, 2)

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Bibliografia “Breve descrizione di ogni ambiente” I. Bragantini - M. de Vos (a cura di), Le decorazioni della villa romana della Farnesina (Museo Nazionale Romano, Le pitture. II,1), Roma 1982. I. Bragantini - R. Pirelli, “Osservazioni sul fregio della villa romana della Farnesina”, in Annali Di Archeologia e Storia Antica, Nuova Serie n. 13-14, Università degli Studi di Napoli “L’orientale”, Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico, Napoli 2006-2007. M.R. Di Mino (a cura di), La Villa della Farnesina in Palazzo Massimo alle Terme, Milano 1998. S.T.A.M. Mols - E.M. Moormann, La villa della Farnesina. Le pitture, Electa, Milano 2008 C. Bertelli, L. Malnati, G. Montevecchi (a cura di), Otium. L’arte di vivere nelle domus romane di età imperiale, Skira, Milano, 2008, pp.27-32 Per le traduzioni dei brani di Lucilio e Seneca: S. Mariotti, Storia e testi della letteratura latina, Bologna 1976 Apuleio, Metamorfosi, XI, 25, traduzione di M. Cavalli, Mondadori, Milano 1992 Lucrezio, La Natura delle cose, traduzione di L. Canali, Rizzoli, Milano 1994 Plinio il Giovane, Opere, traduzione di F. Trisoglio, Einaudi, Torino 1973 Properzio, Elegie, traduzione di R. Gazich, Mondadori, Milano 1993 Orazio, Odi. Epodi, traduzione di L. Canali, Mondadori, Milano 2004 Orazio, Le satire, traduzione di A. Ronconi, Le Monnier, Firenze 1970 Ovidio, Metamorfosi, traduzione di P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1994 Vitruvio, De Architectura, traduzione di A. Corso, Einaudi, Torino 1997

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