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Mi ritorni in testa
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ino a poco tempo fa era un accessorio in disuso associato ai gangster dell’era del proibizionismo o ai detective alla Humphrey Bogart nel film Casablanca. Oggi le occasioni per indossarlo non mancano. Da quelle più prestigiose ed eleganti, come il concorso d’Eleganza di auto d’epoca di Villa d’Este o l’annuale appuntamento per le corse dei cavalli di Ascot in Gran Bretagna, a quelle meno elitarie, dove ciò che conta davvero è indossarlo con naturalezza. Insomma il cappello è tornato di moda. Un accessorio che per dirla alla Voltaire lega il superfluo al necessario, e che sta conquistando un pubblico molto vario, diventando spesso simbolo di personaggi mediatici. Martino Roviario è l’ultimo erede della famiglia proprietaria da tre generazioni della storica Cappelleria Palladio di Vicenza. In modo un po’ fiorito racconta: «Le mode cambiano di anno in anno, ma riscontriamo un notevole incremento nell’interesse e nell’acquisto, per entrambi i sessi. Ragazzi e ragazze, di quindici-vent’anni, da un lato tendono a seguire le mode del momento, dall’altro non si astengono dall’osare, acquistando modelli inusuali, particolari, dai berrettoni di lana ai colbacchi di diversi tipi, modelli da uomo a falde strette o larghe, cappelli di paglia, acconciature di piume e fiori. I ragazzi oggi associano il nome dei cappelli ai personaggi loro beniamini che ne fanno uso, senza rendersi conto che gli oggetti dei loro desideri ■ Le sfilate hanno contribuito al suo rilancio
In grande, la Cappelleria Palladio di Vicenza. Accanto, la stilista Ilda Di Vico (in blu) con Lizzie Cundy, moglie del calciatore Jason Cundy e giornalista di OK Magazine.
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Ritenuto “out” per molti anni, il cappello sta vivendo una seconda giovinezza grazie a linee e materiali che piacciono a un pubblico under 30 di Tealdo Tealdi
sono gli stessi che indossavano Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, Grace Kelly, Humphrey Bogart, James Dean o Frank Sinatra». Caduti in disgrazia «per una mancanza di una vera e valida offerta», come ci dice l’amministratore delegato di Barbisio, Giorgio Borrione, negli ultimi anni i cappelli sono tornati in auge, favoriti anche dalle innumerevoli occasioni d’utilizzo in momenti pubblici e privati. La moda e le sfilate
hanno consentito un rilancio di questo accessorio, così com’era successo per la sciarpa, considerata un prodotto da terza età e che ora, avvolta nel modo giusto, è diventata parte integrante di un abbigliamento giovane e sportivo. «Tra i miei clienti ci sono i più bei nomi dell’alta borghesia e aristocrazia italiana e inglese, ma non pensavo
La lady che conta nel mondo di Ascot Nel mese di giugno Royal Ascot è indubbiamente l’appuntamento top per gli amanti delle corse di cavalli. I protagonisti non sono però solamente i nobili quadrupedi, ma anche i vestiti e le acconciature delle signore e delle nobili presenti all’evento, spesso lì solo per sbalordire con cappelli che in altre parti del
proprio di poter arrivare a soddisfare la Regina Elisabetta d’Inghilterra», dice nella sua bella Bottega Storica di via dei Piatti a Milano Lorenzo Borghi, da 57 anni orgoglioso artigiano specializzato in cappelli da signora. «In occasione della visita della Regina d’Inghilterra a Milano nel 2000, la moglie del console inglese comprò da me due cappelli da cerimonia. Fu quella un’oc-
mondo solleverebbero, come minimo, commenti ridanciani. Famosi e originali, a volte fin troppo, almeno per il nostro gusto, sono stati quelli di Gertrude Shilling. Sempre impeccabili quelli della Regina, spesso anche sul palco dei premiati in quanto proprietaria di molti dei cavalli vincitori. Tra i più famosi creatori ci sono Stephen Jones, Philip Treacy e Vivienne Westwood, ma negli ultimi anni persino
casione per consegnare alla signora un cappello omaggio per la Regina. E fu con grande sorpresa che dopo poco ricevetti una lettera di ringraziamenti di Sua Maestà. So da persone vicine al suo entourage che effettivamente utilizzò la mia creazione, unico strappo alla regola che prevede di non accettare mai regali di questo tipo. D’altra parte, come rifiutare un cappello color
un’italiana, Ilda Di Vico, i cui genitori si erano trasferiti a Londra negli anni ’60, si è fatta una solida reputazione con cappelli indossati dalla migliore nobiltà inglese e persino da membri della famiglia reale, sfatando una credenza comune che vede i nostri compatrioti eccellere principalmente nella ristorazione. Come ha iniziato? Ho cominciato nell’ottobre 2005 spinta da alcuni
verde mare e albicocca, così simile nello spirito e nella forma a quelli che siamo abituati a vedere indossati da Her Majesty The Queen?».
La vera storia del Panama
Tutto lo conoscono come cappello di Panama, ma il suo vero nome è “sombrero de paja toquilla”. Contrariamente al suo nome, viene prodotto
media, che giudicavano il mio look ad Ascot perfetto per l’occasione. Dato che sono una perfezionista, non trovavo niente che mi soddisfacesse e pertanto ero io che creavo le mise che indossavo. Quanto costano i tuoi cappelli e quanto tempo impieghi per farli? Partono da 400 sterline e impiego tra 1 e 14 giorni, ma quando si avvicina Royal Ascot, lavoro 20 ore al giorno.
Quanti ne prepari in un anno? Circa 500. Quelli più particolari? Mi hanno appena chiesto di posizionare un’auto su un cappello, ma ho anche realizzato un copricapo a forma di balena e ne sto preparando un altro con sopra una batteria, di quelle che si suonano. Hai clienti italiani? Si, di tanto in tanto. E della Royal Family? Certo, ma non posso svelarli! ■ Luglio 2010 e
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Là dove non se ne può fare a meno
La Regina Elisabetta con uno dei suoi mitici copricapi. Foto Courtesy Ascot Magazine
esclusivamente in Ecuador. Difatti solo qui, nella parte costiera del Paese, a un’altezza tra i 100 e i 400 metri, grazie a una favorevole combinazione di suolo, temperatura, umidità e illuminazione, si trovano le condizioni favorevoli alla crescita della piccola palma da cui si ricava il materiale con cui viene tessuto il cappello. In Europa arrivò nel 16° secolo, per desiderio del re di Spagna Carlo IV, che voleva un cappello per sua moglie Vittoria, realizzato appunto col materiale ricavato da questa pianta. Nel 17° secolo si era già fatto conoscere in tutto il mondo, ma la consacrazione definitiva avviene con la sua adozione da parte degli operai impiegati nello scavo del Canale di Panama, grazie alle sue caratteristiche di leggerezza e traspirazione: ecco la ragione del nome. Per la sua preparazione è necessario un lungo procedimento per ottenere una materia prima nello stesso tempo duratura, leggera e morbida. Quelli più pregiati, i Montecri-
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I tempi cambiano ma il buon gusto non tramonta mai
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sti, richiedono settimane di lavorazione, che avviene essenzialmente di notte o col cielo nuvoloso e vengono forniti in un astuccio di balsa che contiene il cappello arrotolato. La banda nera è stata aggiunta solo nel 1901, l’anno della morte della regina inglese Vittoria. Nel passato i suoi estimatori si contavano soprattutto tra attori come Humphrey Bogart e Gary Cooper e statisti del calibro di Winston Churchill, Theodor Roosevelt e Harry Truman. Oggi è tornato prepotentemente di moda tra i giovani, che ne apprezzano lo stile inconfondibile, in quanto, come dice ancora Martino Roviario, «i tempi cambiano, ma il buon gusto non tramonta mai».
Agli Usa piace italiano
Il mercato statunitense è sempre stato uno dei più importanti al mondo. Chiediamo a Doug Highsmith, amministratore dell’associazione che raggruppa tutte le organizzazioni che gravitano intorno al cappello, un suo ■
Un linguaggio moderno
Sopra, il modello Bianconiglio di Borsalino, realizzato in collaborazione con la Disney. Di lato, due modelli dell’ultima campagna dello storico marchio.
parere. «I consumatori più attenti considerano i cappelli made in Italy migliori di quelli provenienti da altri Paesi, ponendoli alla stesso livello qualitativo di altri prodotti, come vestiti, calze o scarpe. Senza eccezione la marca che gode di maggior prestigio è Borsalino. Questi modelli godono di così tanta fama che negli ultimi anni molti produttori e distributori americani come Dorfman-Pacific, Bollman and Stetson hanno introdotto delle linee di alta gamma, prodotte in Italia, posizionandole come luxury products, in contrasto ad altre di provenienza americana o asiatica. È infatti opinione generale che anche i tessuti con cui sono confezionati in Italia cappelli e berretti di uso più comune, siano migliori di quelli utilizzati da produttori di altri Paesi. Nel 2010 la domanda sta crescendo e man mano che il potere d’acquisto sarà ristabilito, le vendite, anche quelle dei cappelli, riprenderanno in pieno, in quanto la gente è disposta a pagare di più per un prodotto di qualità».
150 anni, ma non li dimostra
«Certo, non sono più i tempi delle produzioni di massa degli anni ’20, quando si producevano due milioni di pezzi all’anno o gli 800 mila pezzi della metà degli anni ’50. Ma col nuovo millennio il cappello è tornato di moda, merito anche del nostro modello», dicono alla Borsalino: «Solo di cappelli in feltro, ne produciamo 100 mila all’anno». Indossato da stelle della musica come Pete Doherty, Bono, Justin Timberlake oppure attori come Johnny Depp, Denzel Washington e John Malkovic, il modello Borsalino è realizzato con gli stessi macchinari costruiti 150 anni or sono e curati maniacalmente da cinque addetti specializzati. L’azienda, dal 1992 proprietà della famiglia Gallo, occupa oltre 200 percontinua a pag. 90
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Un feltro che conta
Da sinistra, Maurizio Romiti, presidente di Barbisio, Donato Gentili, sindaco di Biella, Gene Yoon, proprietario e Ad di Fila, e Giorgio Borrione, comproprietario di Barbisio.
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sone, con un fatturato 2008 di 27 milioni di euro. Negli ultimi dieci anni la produzione si è evoluta, inserendo a fianco dei modelli “ever green” una serie di novità in sintonia con il gusto dei giovani. Alle 16 boutique monomarca in Italia, l’azienda ne affianca una a Parigi oltre a corner nei più importanti negozi nel mondo. La produzione è stata resa più moderna anche per i modelli classici, con una tesa ridotta e la possibilità di usare fasce di vari colori. Accordi con marchi famosi come Sergio Tacchini, Italia Independent e il suo creatore Lapo Elkann e, più recentemente, con la Disney per il lancio di sette “cappelli matti” ispirati ai personaggi più amati del film Alice in the Wonderland, sono la dimostrazione di una vitalità necessaria in un mercato che da un lato deve cercare nuove strade e dall’altro fare comunque leva su un marchio e un nome diventato sinonimo di cappello. A riprova, la fornitura per la nazionale olimpica russa e l’edizione limitata, solo 150 pezzi di speciali Panama e feltri per i 150 anni dell’azienda, andati letteralmente a ruba, con banda in coccodrillo e targhetta interna in oro col nome del proprietario. Fondata nel 1862 a Sagliano Micca nel biellese, Barbisio progetta e realizza cappelli essenzialmente in feltro di pelo nella sede originale. Il mar■ Accessorio ormai comune
La campagna pubblicitaria realizzata a Londra per Skoda, tutta giocata su un vecchio luogo comune.
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chio Barbisio dal 1982 è di proprietà del Cappellificio Cervo, nato nel 1897. Oggi la società possiede i brand Barbisio, Cervo e Bantam. Il 2009 ha visto l’ingresso nella compagine societaria di Bigli 1, finanziaria della Famiglia Romiti, con il 50,3% delle quote e la nomina di Maurizio Romiti a presidente, con il compito di affiancare nella gestione le famiglie Borrione e Caldesi.
Il marchio storico che piace ai coreani
«La nostra filosofia», dice Maurizio Romiti, «è quella di valorizzare i marchi storici di alta gamma italiani, come abbiamo già fatto nel settore nautico. Aziende come questa, che rappresentano una ricchezza per l’intero patrimonio industriale italiano, meritano di essere promosse e valorizzate attraverso corrette strategie di sviluppo, incentrate su tradizione, qualità e dinamicità. L’obiettivo che ci siamo dati in 5 anni è di arrivare a 5 milioni di fatturato». «Già ora», dice Giorgio Borrione, «grandi marchi si appoggiano a
noi per realizzare cappelli di pregio, venduti con le loro etichette, a riprova della nostra qualità produttiva». Barbisio è presente in Italia, Giappone ed Europa in department stores e boutique selezionate, ma la volontà è per un’espansione verso i mercati più promettenti, come l’Estremo Oriente. In quest’ottica va inquadrata la visita, a metà aprile, del coreano Gene Yoon, proprietario e Ad del marchio Fila, per la firma di un accordo su una linea di cappelli da golf, sport molto diffuso in Corea, per i 180 negozi monomarca Fila in quel Paese.
Quelli che guidano col cappello
«I giovani alla moda indossano il cappello e guidano una Skoda Roomster», dice Stefano Tumiatti, creative director di Cayenne, che ha creato la campagna giocando su un vecchio luogo comune: «Una volta chi guidava col cappello veniva evitato accuratamente, in quanto era spesso un anziano, insicuro, con un’auto piccola e di bassa cilindrata. In questa fascia di auto ce ne erano diverse, tra cui il marchio Skoda di una volta. Oggi invece di nasconderci proponiamo quest’auto, che ha contenuti tecnici molto elevati, come un prodotto di moda, al pari del cappello. Il riscontro che abbiamo avuto è al di là delle nostre aspettative, vuol dire che abbiamo toccato il tasto giusto». Pensa che sia una tendenza? «Siamo andati a Londra per realizzare gli scatti e il cappello l’abbiamo comprato in città, con l’imbarazzo della scelta sul dove. A testimonianza che ormai questo accessorio è entrato nell’uso comune delle nuove generazioni». ■