n. 7
marzo - luglio 2015
SALUTE E BENESSERE L’INTERVENTO di Rosanna Lambertucci LA SALUTE AL TEMPO DELLA CRISI Intervista a Francesco Zambon PER STAR BENE NON BASTA ESSERE IN SALUTE Intervista a Vytenis Andriukaitis UMBERTO VERONESI: È PIÙ FACILE TOGLIERE IL CANCRO DAL CORPO CHE ESTIRPARLO DALLA MENTE Intervista a Umberto Veronesi
Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale 70% – CN BO Bologna. Iscrizione al tribunale di BO del 28/05/1991 n° 5988
MAURO SPINATO
Direttore Responsabile
Se sei in salute, probabilmente sarai felice, e se hai felicità e salute, hai tutta la ricchezza di cui necessiti, anche se non hai tutto quello che vorresti. Elbert Hubbard
O
ggi il concetto di salute non sempre è sinonimo di benessere. Si è sempre
pensato di associare il benessere con la salute intesa come mancanza di malattie fisiche. Col tempo si è allargato il concetto di benessere anche ad uno stato di serenità della psiche e della mente. Ma questa cosidetta serenità non sempre cammina di pari passo con il concetto di salute, ovvero di mancanza di malattie. Oggi, per tantissime persone, giovani e adulti, il concetto individuale di benessere è legato a modelli di vita che nulla hanno a che vedere con la salute. Mi riferisco alle mode degli aperitivi, appuntamento ormai quotidiano dove la socializzazione tra persone avviene attraverso il consumo di alcolici. Una moda che sta producendo effetti devastanti e di cui si parla pochissimo. David Nutt, studioso britannico, in un saggio pubblicato dalla autorevolissima rivista medica Lancet afferma che bere alcolici è dannoso tre volte l’uso di cocaina e tabacco e ben cinque volte del mefredone. Il messaggio dello studioso inglese è quello di non abbassare la guardia contro l’uso di alcolici, in particolare nei confronti dei giovani e giovanissimi che seguono le mode come modelli di vita che portano felicità e benessere. Viviamo in una società dove il concetto di stare bene è associato allo sballo, alle forti emozioni, essere sempre all’altezza, essere dinamici, sempre attivi, sempre giovani, in perfetta forma fisica, al passo coi tempi, mai come oggi siamo bombardati da messaggi distorti e fuorvianti che nulla hanno a che fare con uno stile di vita sano, sia per il corpo che per la mente.
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Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
Mi hanno chiesto: “Perché corri?” Io ho risposto: “perché tu sei fermo?” J. WARINER
“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo impegnati a fare altri progetti.” Anthony De Mello
Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce Iscrizione tribunale di Bologna n. 5988 del 28/05/1991 Numero 7, Marzo - Luglio 2015 Bologna, chiuso in redazione il 06/06/2015
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SOMMARIO L’INTERVENTO
di Rosanna Lambertucci
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Giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva
DIALOGANO CON NOI
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C’È TANTO BISOGNO DI RIDERE, DI AVERE INTORNO AMICI E DI FARE DEL BENE Intervista a Renzo Arbore
Showman, cantautore, attore e musicista di Isabella Calbi
LA SALUTE AL TEMPO DELLA CRISI
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Intervista a Francesco Zambon
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Intervista a Vytenis Andriukaitis Commissario Europeo alla salute e sicurezza alimentare
ETICA, SANITÀ PUBBLICA E BENESSERE
COLTIVO IL CIBO PER L’ANIMA E SCELGO IL BIO-LIFESTYLE PER ESSERE IN ARMONIA CON ME STESSO Attore e conduttore televisivo
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di Federica Pagliarone
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COME PRENDERSI CURA DELLA PROPRIA SALUTE CON LO SMARTPHONE
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BREVI DAL MONDO E DALL’ ITALIA
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LAVORIAMO PER IL VOSTRO BENESSERE (E STIAMO BENE ANCHE NOI)
Responsabile dell’Unità di Bioetica, Istituto Superiore di Sanità
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Intervista a Pietro Segata
Intervista a Franco Rotelli
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
Medico psichiatra e consigliere Regione Friuli Venezia Giulia
UMBERTO VERONESI: È PIÙ FACILE TOGLIERE IL CANCRO DAL CORPO CHE ESTIRPARLO DALLA MENTE
Intervista a Chiara Stoppa
Intervista a Marco Columbro
Intervista a Carlo Petrini
MANICOMI CRIMINALI ADDIO: UNA VITTORIA STORICA. MA IL FUTURO È UN’INCOGNITA
HO PREFERITO VIVERE Attrice
di Silvia Vicchi
PER STAR BENE NON BASTA ESSERE IN SALUTE
Intervista a Gabriele Rossi
Responsabile medico per l’Italia Medici Senza Frontiere
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Technical Officer dell’Ufficio Europeo per gli Investimenti per la Salute e lo Sviluppo dell’OMS
LA SALUTE? UN BENE PER TUTTI
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PAROLA D’ORDINE: REMISE EN FORME Isa Grassano
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Intervista a Umberto Veronesi
SCRITTO SULLA PELLE Emanuela Giampaoli
Oncologo e Politico
BISOGNA TORNARE ALLA MEDICINA DELLE PICCOLE VIRTÙ Intervista a Carlo Flamigni
Ginecologo, professore universitario e scrittore
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BENESSERE di Zazza
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L’INTERVENTO di
Rosanna Lambertucci Gornalista, scrittrice e conduttrice televisiva
Quando, nei primi anni 80, ideai quello che poi diventò il famoso appuntamento televisivo “Più Sani Più Belli” fui la prima a portare in televisione argomenti fino ad allora mai trattati, come quelli della salute, del benessere interiore, della corretta alimentazione. Negli ultimi decenni poi, si è sviluppata una sensibilità a questi temi, con la presa di coscienza dello stretto legame di interdipendenza che si instaura tra ambiente e individuo, tra stile di vita e salute. Lo afferma anche la più moderna ricerca scientifica: le chiavi per vivere più a lungo e meglio dipendono per il 50% dallo stile di vita e dall’alimentazione, per il 30% dalla genetica ereditata dai nostri genitori e per il restante 20% dal Sistema Sanitario Nazionale. Alimentazione corretta e buona salute sono, quindi, un binomio indissolubile e noi italiani, stando alle ultime evidenze, ce ne siamo accorti. Ci piace mangiare in modo sano e naturale: il benessere fisico è un ingrediente sempre importante sulle nostre tavole, non a caso, secondo i dati divulgati dall’ultimo rapporto Coop 2014, l’equazione ‘mangiare bene-stare bene’ è andata via via identificandosi nel consumo sempre crescente di prodotti biologici e integratori alimentari. Ma nutrirsi in maniera adeguata non basta. Se da un lato l’Europa è sempre più longeva – con l’Italia in testa – dall’altro è anche sempre più sovrappeso, con una percentuale di “over size” che supera il 50%. Lo afferma il rapporto “Health at a Glance” pubblicato di recente dalla Commissione europea. Tra i vari parametri presentati nel rapporto, quello più preoccupante riguarda l’obesità: ormai il 53% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 16,7% è obeso, in aumento rispetto al 12,5% di dieci anni fa. Vincere la sfida contro i chili di troppo significa arginare anche quelli che potrebbero diventare i big killer del futuro: le malattie metaboliche. Io per prima ho sempre sostenuto la regola delle 3 M: oltre a mangiare bene, i massaggi e il movimento sono alla base del nostro benessere. È dimostrato: una regolare attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare la qualità della nostra vita. Muoversi tutti i giorni ha benefici significativi sulla salute complessiva, fisica e psichica. L’esercizio, oltre ad aiutare a tenere sotto controllo il peso, influisce positivamente sul benessere psicologico, contenendo lo stress, aumentando i livelli di autostima e aiutando a sviluppare rapporti sociali. L’attività fisica, inoltre, riduce il rischio di malattie croniche (come malattie cardiovascolari, diabete e osteoporosi). Grazie alla ricerca scientifica, l’aspettativa di vita sta, quindi, crescendo velocemente. La vera sfida, adesso, non è solo quella di aggiungere anni alla vita, ma qualità di vita agli anni.
DIALOGANO CON NOI
FRANCO ROTELLI Medico psichiatra, oggi consigliere della Regione Friuli Venezia Giulia in quota PD, ha collaborato dal 1971 al 1979 con Franco Basaglia alla trasformazione e poi chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste, esperienza che è stata alla base della legge180/1978 che stabilì la chiusura degli ospedali Psichiatrici. Dal 1980 ha diretto i servizi psichiatrici di Trieste per quindici anni. Dal 1998 al 2001 è stato direttore generale dell’Azienda Sanitaria di Trieste, poi di Caserta dal 2001 al 2004 e di nuovo di Trieste dal 2004 al 2010.
Qual è il tuo libro preferito? Il mio! Si intitola “Per la normalità. Taccuino di uno psichiatra”
Il prossimo viaggio che farai? In Grecia, nell’isola di Leros, dove molti anni fa andai in visita al manicomio.
Un pregio Amo molto le donne
Un difetto Le amo troppo
MARCO COLUMBRO Debutta come attore teatrale negli anni settanta, per poi dedicarsi alla conduzione di numerosi varietà televisivi. Negli anni novanta conduce diverse edizioni di Paperissima e Buona domenica, oltre alla maratona di beneficenza Trenta ore per la vita. Nel 2000, anche a causa di un aneurisma cerebrale, la sua carriera televisiva subisce una battuta d’arresto in favore dell’attività teatrale. Ben 13 i Telegatti vinti dallo show man viareggino.
Qual è il tuo libro preferito? Sono due: il primo “La vita segreta di Gesù” e il secondo, che sto leggendo adesso, s’intitola “Avventure nell’Aldilà”
Il prossimo viaggio che farai? Non lo so, di solito decido all’ultimo minuto
Un pregio Sono geloso
Un difetto Sono impaziente
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Intervista a FRANCESCO ZAMBON
Technical Officer dell’Ufficio Europeo per gli Investimenti per la Salute e lo Sviluppo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Ufficio Regionale per l’Europa di Silvia Vicchi
LA SALUTE AL TEMPO DELLA CRISI Ancora oggi, quando si parla di salute, molti pensano ai servizi sanitari, alla cura e riabilitazione delle malattie e pochi pensano alla prevenzione delle stesse e ancora meno alla promozione della salute, gradino ancora prima e ben più ampio della prevenzione
Com’è organizzata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e quali compiti ha? L’OMS è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, nata nel 1948. È organizzata in tre livelli: una sede centrale, a Ginevra, sei uffici Regionali, che coprono tutte le aree del mondo e degli uffici nazionali, presenti prevalentemente nei Paesi a basso e medio reddito. L’Italia fa parte della Regione Europea dell’OMS, alla quale afferiscono 53 Stati, ovvero tutti quelli dell’Europa, più alcuni Paesi del centro Asia. La sede centrale della Regione Europea si trova a Copenaghen, mentre a Venezia vi è un ufficio OMS, che si occupa di disuguaglianze di salute, per tutta la Regione Europea. L’OMS si occupa prevalentemente di sanità pubblica e le sue attività sono ‘guidate’ dalla missione dell’Organizzazione:‘assicurare a tutte le popolazioni il raggiungimento del più alto livello possibile di salute, inteso non solo come assenza di malattia, ma come condizione di completo benessere fisico, mentale e so-
ciale’. Questo si declina, ad esempio, nel coordinare la lotta contro le malattie infettive e nella gestione di emergenze sanitarie globali. Ma i suoi compiti vanno ben oltre le malattie infettive. L’OMS fornisce infatti raccomandazioni sulle malattie croniche non trasmissibili, o su tutta l’area della salute materno infantile. Diciamo che alla base di tutte le attività c’è un focus sulla prevenzione delle malattie e sulla promozione della salute. Il Consiglio dei Ministri ha sancito un accordo tra Governo italiano e OMS, dove l’ufficio di Venezia diventa centrale per il raggiungimento degli obiettivi strategici Salute 2020. Nel 2012, i 53 Stati della Regione Europea OMS hanno approvato all’unanimità il documento Health 2020 (Salute 2020), la nuova politica europea per migliorare il livello di salute delle popolazioni, attraverso la lotta alle disuguaglianze. Salute 2020 identifica quattro aree
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prioritarie d’intervento, per favorire il raggiungimento di questo scopo e fornisce chiari principi e approcci basati sull’evidenza, che gli Stati sono chiamati a rendere propri, attraverso strumenti programmatici e relativi piani di azione propri di ciascuno Stato. L’Ufficio di Venezia fa proprio questo: aiuta gli Stati membri dell’OMS a contestualizzare Salute 2020 nella specificità dello Stato che chiede supporto OMS, promuovendo approcci e azioni che agiscono alla ‘radice’ del problema delle disuguaglianze, ovvero sui determinanti sociali che le determinano. Ad esempio, ci troviamo a fornire assistenza in tutto l’arco di sviluppo di un nuovo Piano della Salute di un determinato Stato, dalla valutazione dei profili di salute, all’identificazione delle priorità di intervento, fino all’approvazione del piano finale. L’Ufficio di Venezia si occupa anche di documentare esempi di buone pratiche nella lotta alle disugua-
glianze, in modo da ‘fertilizzare’ aree della Regione più indietro da questo punto di vista. L’Ufficio di Venezia può essere visto come un ‘hub’ dove si raccolgono e si fa sintesi di buone pratiche e le si ridistribuiscono agli spokes della rete, attraverso vari network, come ad esempio il ‘Regions for Health Network’ o il ‘South Eastern Europe Health Network’. Cosa intende per “disuguaglianze di salute”? Le disuguaglianze sociali di salute sono tutte quelle differenze di salute che esistono tra i vari gruppi sociali della popolazione. Esse sono il risultato del contesto socio-economico e come tali sono evitabili e ingiuste. Certo la salute non è distribuita ‘equamente’ nella popolazione, ci sono differenze di salute legate a fattori genetici, all’età, o ad altre caratteristiche individuali
non modificabili. Queste non si classificano come ‘disuguaglianze sociali’, perché non sono modificabili e non determinate dal contesto sociale. Altre differenze di salute sono invece il risultato di un processo culturale, economico, sociale e politico su cui è possibile intervenire per promuovere una società più equa. Livello educativo, posizione lavorativa e livello di reddito sono i fattori, correlati tra di loro, che determinano l’appartenenza di un individuo ad un determinato livello sociale. Se pensiamo a questi tre fattori, ci riesce facile ‘visualizzare’ una sorta di ‘scala sociale’: ognuno di noi si trova su un certo gradino di questa scala. La legge del gradiente sociale ci dice che chi sta più in basso in questa scala, avrà esiti di salute, sia da un punto di vista della morbosità, che della mortalità, più sfavorevoli. Questo è un principio ubiquitario, che si applica non solo tra gli estremi di questa scala, ma anche tra gradini contigui. La lotta alle disuguaglianze non si attua focalizzandosi solo sui gruppi che si trovano sul gradino più basso della scala sociale; questo sarebbe ‘iniquo’, se vogliamo, nei confronti di coloro che si trovano nei gradini intermedi, che soffrono anch’essi di una disparità nei confronti di chi si trova all’apice della scala sociale. La lotta alle disuguaglianze è un misto di interventi ‘correttivi’ su situazioni di iniquità già esistenti e di approcci ‘preventivi’. Secondo questi ultimi, dobbiamo assicurarci che ogni politica, certamente non solo in ambito sanitario, non aggiunga iniquità al sistema, ma anzi vada ad aggredire il problema dove origina. In che modo possiamo aiutare gli Stati e le società a superare le disuguaglianze di salute nella Regione Europea? Salute 2020 fornisce elementi chiave in questo senso, invitando gli Stati a un approccio ‘multisettoriale’ e partecipativo nei confronti della salute. Pensiamo ad esempio alle malattie croniche non trasmissibili,
che hanno alcuni determinanti comuni, come il fumo, l’abuso alcolico, la dieta e la carenza di attività fisica. Come possiamo dire ai nostri cittadini di fare più attività fisica, se non vi sono spazi pubblici verdi dove poterla fare, o se l’ambiente è inquinato? Un esempio che aiuta a ‘visualizzare’ la possibile dimensione d’iniquità: le zone residenziali più ricche sono più attrezzate di spazi verdi, più sicure e più illuminate delle zone con alta concentrazione di case popolari, magari sprovviste di essenziali marciapiedi. Pensiamo alla dieta: se invitiamo i cittadini ad assumere cinque porzioni di frutta e verdura al giorno - secondo le raccomandazioni dell’OMS - dobbiamo anche assicurarne la disponibilità nei distributori automatici. La dimensione di equità qui la possiamo assicurare facendo in modo che la scelta ‘sana’ non sia accessibile solo ai ‘benestanti’, perché magari più costosa, o difficile da reperire. Questi esempi ci fanno capire l’importanza dell’approccio multisettoriale. Non è competenza del settore sanitario garantire un’adeguata pianificazione urbana, ma è necessario che la ‘dimensione salute’ sia considerata da altri settori e inclusa in tutte le politiche. La partecipazione del cittadino e di tutti i settori della società è fondamentale. Salute 2020 punta a rendere il cittadino più consapevole e competente nelle proprie scelte di salute. Deve essere in grado di capire come certi stili di vita possano avere ripercussioni nel lungo termine, di orientarsi in maniera competente nel non facile percorso nei servizi sanitari. Queste capacità devono essere appannaggio di tutti i gruppi sociali, non solo di quelli che si trovano in alto nella scala sociale. Alla base c’è il concetto che la salute è un bene prezioso, perché permette di raggiungere altri obiettivi importanti per il benessere sociale, culturale ed economico di ogni società. L’attuale Patto per la Salute 2014-2016 dell’Italia sposa appieno questi concetti, con l’ambizione di considerare il sistema salute come un insieme di attori che costituiscono valore per il sistema Paese. La salute è vista non più come una fonte di costo, bensì
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come un investimento economico e sociale. Il concetto di benessere nel corso degli anni ha subito numerose modifiche e non è più considerato un’assenza di patologie, ma uno stato complessivo di buona salute fisica, psichica e mentale. Cosa ne pensa? Si tratta di una fondamentale evoluzione del concetto di salute, che sebbene sia avvenuta quasi 40 anni fa, ad Alma-Ata nel 1978, ha ancora moltissima strada da fare, istituzionale e culturale. Ancora oggi, quando si parla di salute, molti pensano ai servizi sanitari, alla cura e riabilitazione delle malattie e pochi pensano
alla prevenzione delle stesse e ancora meno alla promozione della salute, gradino ancora prima e ben più ampio della prevenzione. Questa mentalità si ripercuote anche sull’allocazione di risorse, tanto più in un periodo di tagli trasversali come questo. È proprio in una fase come questa, quando la pericolosa e costosissima forbice delle disuguaglianze si allarga, che è necessario puntare sul mantenimento del potenziale residuo di salute, secondo una logica di sostenibilità a lungo termine. Non affrontare, proprio da un punto di vista economico, le disuguaglianze oggi, potrebbe portare a un collasso del sistema un domani, cosa che osserviamo nei Paesi dell’Est della Regione, a più forte indice di disuguaglianza.
cooperativa
L’OPEROSA
da 60 anni al vostro fianco
L’alveare dei servizi
Igiene ambientale e sanificazione Trattamento e trasporto rifiuti Facility Management Manutenzione aree verdi Gestione parcheggi pubblici e privati
Intervista a VYTENIS ANDRIUKAITIS
Commissario Europeo alla salute e sicurezza alimentare
PER STAR BENE NON BASTA ESSERE IN SALUTE Auguro a tutti gli Europei non solo di non ammalarsi, ma di raggiungere il benessere. Tutte le politiche comunitarie per la promozione della salute non dovrebbero solo prevenire la malattie, ma anche migliorare il benessere dei cittadini europei
Come definirebbe il benessere?
dall’invecchiamento della popolazione?
Per me, benessere va al di là della semplice assenza di malattie. Significa sentirsi fisicamente e mentalmente in forma, sereni e pronti ad affrontare il mondo. Personalmente provo benessere quando seguo una dieta sana e ben bilanciata, quando faccio attività fisica, lunghe camminate, quando ho il mio peso sotto controllo e riesco ad evitare lo stress. Anche passare del tempo con gli amici e la famiglia mi dà un profondo senso di benessere. Auguro a tutti gli Europei non solo di non ammalarsi, ma di raggiungere il benessere. Tutte le politiche comunitarie per la promozione della salute - su nutrizione, attività fisica, riduzione dell’obesità e dei danni indotti da alcol e tabacco non dovrebbero solo prevenire la malattie, ma anche migliorare il benessere dei cittadini europei.
Le malattie croniche, che costituiscono una percentuale molto alta di tutte le malattie e comportano oltre il 63% delle morti nel mondo (dati delle Nazioni Unite del 2011), stanno aumentando nell’Unione europea anche per l’invecchiamento della popolazione. Questo fatto, accompagnato ai problemi finanziari dei bilanci pubblici, è una minaccia reale per la sostenibilità dei sistemi sanitari europei e, per la perdita di produttività provocata, di tutta l’economia in generale. Considerando che le malattie croniche sono largamente prevenibili, l’Unione Europea si focalizza nel contrastare i fattori di rischio, costituendo una base di dati per chi deve mettere in atto le politiche e coordinando il lavoro degli Stati Membri, condividendo le migliori esperienze e promuovendo reti volontarie e network per l’azione, in campi come la nutrizione, l’attività fisica, o contro l’abuso d’alcol. L’Unione europea raccoglie poi risorse per migliorare l’efficacia e il raggio d’azione delle iniziative e coordina varie azio-
In che misura l’Unione Europea può dare valore aggiunto all’azione degli Stati membri nel limitare i fattori di rischio delle malattie croniche poste
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La Partnership Europea dell’Innovazione sull’Invecchiamento, lanciata nel 2011, punta ad aumentare di due anni l’età vissuta in buona salute entro il 2020. La partnership raggruppa ricercatori, autorità sanitarie, professionisti della salute, aziende, regolatori e organizzazioni dei pazienti per esaminare nuovi modi di rivolgersi alla sfida di una popolazione che invecchia
ni per la promozione della salute, come la Partnership Europea per l’Innovazione nell’Invecchiamento Attivo e Sano, l’Azione comune sulle Malattie Croniche e il Piano d’azione contro l’Obesità Infantile. Non tutte le malattie possono però essere prevenute. Dare più poteri ai malati nell’affrontare le malattie croniche è un modo importante per migliorare la loro cura e ridurne il peso sui sistemi sanitari. Eliminare le inefficienze dei sistemi attuali non è abbastanza per renderli sostenibili nel lungo periodo. Per andare avanti, essi devono essere organizzati in modo diverso, con un focus maggiore nell’investimento nella promozione della salute e nella capacità di dare più potere ai malati di gestire la propria salute. La creazione di Network Europei di Riferimento (European Reference Networks) sarà un’innovazione importante per tutti i cittadini. Come può la cooperazione europea sull’e-Health, l’assistenza sanitaria per via elettronica, essere di beneficio per i pazienti? Quando l’e-Health è usata in modo efficace, può portare molti benefici ai pazienti, contribuendo a una cura più personalizzata, mirata, rapida ed efficiente. L’e-Health può anche aiutare a migliorare le cure e ridurre la lunghezza delle ospedalizzazioni. Avere uno scambio sicuro di dati sanitari, con tecnologie che mettono al centro il paziente, può permettere ai cittadini di essere più sani e di vivere in modo indipen-
dente e più a lungo. Le aspettative di vita nell’Unione europea sono aumentate dai 65 anni del 1950 agli 80 del 2010, ma aumentano certe malattie, come l’Alzheimer e la demenza senile. Quali azioni prevedete? Con il secondo posto nelle aspettative di vita nell’Unione europea (82,4 anni) e uno dei tassi più bassi di natalità, l’Italia è uno dei Paesi più interessati dall’invecchiamento della popolazione. In ogni caso, la popolazione invecchia in tutta l’Unione europea. Gli Europei vivono più a lungo, ma il numero di anni vissuti in buona salute rimane lo stesso. In media i cittadini europei passano oltre il 20% della loro vita in cattiva salute. Ciò ha un impatto sulla qualità della vita e crea una pressione significativa sui sistemi sanitari nazionali. La Partnership Europea dell’Innovazione sull’Invecchiamento, lanciata nel 2011, punta ad aumentare di due anni l’età vissuta in buona salute entro il 2020. La partnership raggruppa ricercatori, autorità sanitarie, professionisti della salute, aziende, regolatori e organizzazioni dei pazienti per esaminare nuovi modi di rivolgersi alla sfida di una popolazione che invecchia. Punta a portare innovazione nei sistemi sanitari, sulle diagnosi precoci della malattia, le cure, la conoscenza, le ricerche epidemiologiche e il rispetto dei diritti delle persone affette da una forma di demenza. L’iniziativa ha portato a molte attività di
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valore, inclusa l’Azione Comune ALCOVE (Alzheimer Cooperative Valuation in Europe), che è stata condotta dal 2011 al 2013. ALCOVE ha aumentato le conoscenze e promosso uno scambio di informazioni sulla demenza per preservare salute, qualità della vita,
autonomia e dignità delle persone malate e di chi si prende cura di loro nei Paesi europei. Per quanto riguarda il sostegno finanziario, attraverso il Settimo programma Quadro di ricerca, l’Unione europea ha investito 327 milioni nella ricerca sulla demenza.
CARLO PETRINI
Responsabile dell’Unità di Bioetica, Istituto Superiore di Sanità
ETICA, SANITÀ PUBBLICA E BENESSERE Per chi si occupa di sanità pubblica, la sfida è favorire il benessere collettivo senza trascurare ciascun individuo. In altre parole: valori medi e statistiche non devono offuscare l’attenzione verso i singoli, e soprattutto verso le persone sfavorite, maggiormente a rischio, poco rappresentate
Le implicazioni di etica della nozione di“benessere” sono studiate sotto molte angolature. A distanza di quasi settant’anni, la nota definizione di “salute” come “stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità adottò nel 1948, continua a suscitare dibattiti. Per chi si occupa di sanità pubblica, la sfida è favorire il benessere collettivo senza trascurare ciascun individuo. In altre parole: valori medi e statistiche non devono offuscare l’attenzione verso i singoli, e soprattutto verso le persone sfavorite, maggiormente a rischio, poco rappresentate. Non sempre ciò è facile. Un esempio può essere significativo. Quando, negli interventi di prevenzione sanitaria, si passa dal livello individuale al livello collettivo, interviene un paradosso. Geoffrey Rose lo definì il “paradosso della prevenzione” e lo descrisse in un noto articolo pubblicato nel 1983 nell’International Journal of Epidemiology con il titolo “Sick individuals and sick population”. L’autore riprese
successivamente l’argomento in un volume intitolato “The strategy of preventive medicine”, pubblicato per la prima volta nel 1993. Il libro è stato tradotto in varie lingue ed è tuttora edito. Per semplificare, si può descrivere il “paradosso della prevenzione” facendo riferimento a esempi concreti. Usare le cinture di sicurezza, diminuire il consumo di sale, ridurre l’apporto calorico, moderare l’assunzione di alcolici sono misure che abbassano lievemente il rischio individuale, ma non in modo incisivo. A livello di popolazione, invece, la situazione è diversa. Per esempio: ridurre di circa il 10% il colesterolo in una comunità potrebbe diminuire di oltre il 20-30% le malattie cardiache nella popolazione; diminuire del 30% il sale consumato potrebbe far diminuire di circa il 20%, a livello di popolazione, i casi di alcune patologie vascolari. In breve: una misura molto vantaggiosa per la comunità è solo di scarso aiuto per la persona. È questo il “paradosso della prevenzione”. Secondo Rose, dunque, gli interventi di salute pub-
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blica dovrebbero essere finalizzati non tanto a modificare i profili di rischio individuale per uno specifico problema di salute, quanto a modificare le condizioni che determinano la distribuzione del rischio in una popolazione. È questo l’approccio definito “di popolazione”. L’approccio “di popolazione”, quindi, differisce dall’approccio clinico. Il medico agisce a livello individuale, dando indicazioni al suo assistito. Per il medico è prioritario che l’accanito fumatore smetta di fumare, o almeno diminuisca l’abuso di tabacco, ed è meno importante convincere un blando fumatore a diminuire o cessare l’uso di tabacco. Chi ha responsabilità di sanità pubblica, invece, considera non
singoli individui, bensì popolazioni. I diversi possibili livelli di azione in ambito sanitario (dal singolo individuo alla collettività) sono oggetto di un’ampia letteratura specializzata. Per esempio, Thomas R. Frieden, nell’American Journal of Public Health, descrive una “piramide dell’impatto sanitario”. Al vertice vi sono interventi individuali, e in particolare la consulenza e l’educazione personale. Alla base vi sono interventi che agiscono a livello di popolazione, come, ad esempio, politiche socio-economiche. Salendo dalla base al vertice della piramide si trovano interventi che richiedono azioni via via più personalizzate: interventi di prevenzione su gruppi di persone, interventi clinici e altri.
L’approccio “di popolazione”, quindi, differisce dall’approccio clinico. Il medico agisce a livello individuale, dando indicazioni al suo assistito... Chi ha responsabilità di sanità pubblica, invece, considera non singoli individui, bensì popolazioni
Dunque, mentre il medico è molto interessato ai casi più eclatanti, il decisore che pianifica politiche sanitarie è più interessato ai casi medi. Ciò non significa certamente che chi si occupa di politiche sanitarie trascuri i casi gravi. Tuttavia, l’auspicio è che chi
si occupa di pianificazione in sanità pubblica non consideri soltanto la dimensione utilitaristica della massimizzazione del beneficio collettivo, ma ricordi anche che il bene comune si costruisce promuovendo e valorizzando il bene di ciascuno.
Intervista a FRANCO ROTELLI
Medico psichiatra e consigliere Regione Friuli Venezia Giulia
MANICOMI CRIMINALI ADDIO: UNA VITTORIA STORICA. MA IL FUTURO È UN’INCOGNITA Dal 1° aprile 2015 finalmente in Italia non esistono più gli Ospedali psichiatrici giudiziari, luoghi orribili condannati anche dall’Unione europea. Restano però troppe incertezze sul futuro. Franco Rotelli, psichiatra e braccio destro di Basaglia, spiega perché
“Non sono tanto preoccupato per il presente e per quei 6/700 poveracci che in qualche modo verranno inviati ad altre strutture regionali, ma per ciò che accadrà in futuro”. Franco Rotelli, psichiatra, oggi consigliere della Regione Friuli Venezia Giulia in quota PD, è stato a lungo direttore dei servizi psichiatrici triestini e, soprattutto, è stato compagno di tante lotte di Franco Basaglia, a partire da quella per l’approvazione della legge 180 che ha reso possibile la chiusura dei manicomi. Una delle sue grandi battaglie è stata quella per l’abolizione degli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari, che ufficialmente hanno chiuso i battenti il 31 marzo 2015, mettendo la parola fine su quella che è stata una delle più grandi vergogne del nostro Paese, un orrore definito “luogo di tortura” dal Consiglio d’Europa. Ma per Rotelli il futuro è ancora tutto da chiarire.
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Rotelli, la chiusura degli OPG è da sempre una sua grande battaglia. Dal 1° aprile la legge prevede che siano chiusi (anche se non è andata esattamente così). È soddisfatto? In Italia 5 su 6 degli OPG hanno chiuso definitivamente i battenti, ad eccezione, di Castiglione delle Stiviere che la Regione Lombardia trasformerà in una Rems, acronimo di Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Sono le nuove strutture che nasceranno dalle ceneri degli Opg. Ma il tema è proprio comprendere che cosa saranno esattamente le Rems. Di buono nella legge c’è il fatto che gli individui saranno riferiti alle regioni di provenienza. Un dato positivo perché se i Dipartimenti di salute mentale sono lontani tendono a dimenticarsi di certe situazioni
scomode. La vicinanza aumenta il grado di responsabilizzazione. Quali sono le sue preoccupazioni relative alle Rems? Secondo quanto previsto dalla Legge 81 del 2014, il grosso dei pazienti, quelli che hanno ancora bisogno di supporto psichiatrico, dovrebbe essere trasferito nelle Rems, che dovranno garantire adeguati percorsi terapeutici. Quello che invece non è specificato è chi ha la responsabilità della custodia. Certo non può essere il personale sanitario a fare da carceriere. Un altro aspetto è relativo alle visite che queste persone possono ricevere. Sono questioni decisive per capire che tipo di strutture saranno, se prevarrà l’aspetto della cura piuttosto che quello della pena. Può farci qualche esempio? Non vorrei che le Rems si trasformassero in mini opg, ovvero in strutture più difficili da delegittimare, magari migliori dal punto di vista delle condizioni ‘alberghiere’ ma che di fatto restano posti blindati. Ci sono già diversi servizi psichiatrici all’interno degli ospedali che sono di fatto luoghi di contenzione: con luchetti o telecamere di sorveglianza, fatti gravissimi che smantellano l’impianto della legge 180. Figuriamoci cosa può accadere nel caso delle Rems. Chi può fare chiarezza? Una prima variabile sarà l’orientamento della magistrature nell’applicazione della legge 81. Mi auguro ad esempio che ci sia una riduzione effettiva degli invii, che gli ingressi siano limitati. Un altro dato importante è che la legge mette dei paletti alla presunta pericolosità sociale, che un tempo consentiva di
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metter dentro chiunque. Il nuovo impianto normativo stabilisce chiaramente che la pericolosità deve essere provata e spiegata, non presunta. La mia speranza è che le nuove norme siano applicate nel senso di considerare come extrema ratio l’invio alle Rems, quando cioè sono state vagliate tutte le possibili alternative, come gli arresti domiciliari o l’affidamento a centri di salute mentale. A proposito di pericolosità sociale. Questa legge tutela i malati psichici, chi tutela però i cittadini? Il tema è complesso e mescola diversi piani. Il primo è che la pericolosità sociale non ha alcuna base scientifica. Così come non ha fondamento scientifico la predittività della ripetizione del reato: non si può affermare che chi ha sbagliato tornerà a farlo. Ma anche sulla capacità di intendere e di volere occorre fare un po’ di chiarezza. Prego Un giudizio di malattia mentale è ben diverso dall’incapacità di intendere e di volere. Mi spiego meglio: per oltre un anno ho lavorato all’interno dell’Ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, relazionandomi con pazienti di ogni genere, tutti lì per aver commesso un reato di diversa gravità. Posso assicurare che, salvo rarissimi casi, tutti gli ospiti con cui mi sono confrontato erano consapevoli di aver agito contro la legge e contro la morale. E dunque il reato va condannato e sanzionato dalla magistratura. È però altrettanto vero che nel commisurare la sanzione, il giudice deve tenere conto di quanto la malattia psichica possa aver contribuito al reato. Tutti devono essere responsabili, anche i matti, poi certo la sanzione deve essere molto diversa.
Intervista a UMBERTO VERONESI
Oncologo e politico
UMBERTO VERONESI: È PIÙ FACILE TOGLIERE IL CANCRO DAL CORPO CHE ESTIRPARLO DALLA MENTE Ha dedicato la sua vita alla lotta contro il tumore, vincendo in molti casi la malattia e insieme ad essa, lo stigma che accompagnava le persone colpite del male. Umberto Veronesi racconta il perché della sua rivoluzione, ancor prima che scientifica, culturale
“Come medico la mia battaglia è sempre stata contro la rassegnazione. Nessuno ha il diritto di togliere la speranza al malato”. Se a dirlo è il più famoso oncologo d’Italia, vale la pena di crederci. Umberto Veronesi, classe 1925, spiega dove ha avuto origine la sua lotta al cancro, le battaglie vinte e quelle ancora da vincere. A patto che non venga mai meno un’alleanza fondamentale. Quella tra medico e paziente.
coce, guarisce. Non solo capimmo che la diagnosi precoce è questione di vita o di morte, ma le donne iniziarono a entrare nella condizione psicologica di sapere che se si trova un tumore molto piccolo si può guarire. Poi iniziò una seconda rivoluzione, quella delle terapie conservative: intuii che molte delle mutilazioni inferte alle donne erano evitabili, sperimentai tecniche d’avanguardia, per l’epoca, e dimostrai che si poteva risparmiare l’organo.
Professor Veronesi, come è iniziato il suo percorso?
Oggi a che punto siamo?
Ho cominciato ad occuparmi di tumore al seno 50 anni fa, quando era una condanna e la maggioranza delle donne ne moriva. Scoprimmo però una prima caratteristica straordinaria della malattia: se scoperta in fase pre-
Tutte le terapie anti-cancro – chirurgia, chemioterapia, radioterapia – ormai hanno compiuto un salto epocale, dalla cosiddetta “massima dose tollerabile” alla “minima dose efficace”. Sapere che si può guarire, che spes-
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so, anche se la malattia non scompare, si può tenere a bada come molte altre malattie croniche ha fatto sì che il malato di tumore non sia più stigmatizzato come un condannato a morte. C’è ancora molto da fare, anche sul piano del sostegno psicologico e sociale, pensiamo che in Italia vivono milioni di persone che hanno ricevuto una diagnosi di tumore, che lavorano, hanno figli, amici e contribuiscono a pieno a questa società. Le donne, soprattutto quelle in età lavorativa, sono quelle che pagano un prezzo ancora alto alla malattia. All’inizio del suo percorso di studi si era interessato anche alla psichiatria. Pensa che le sia servita nella sua lotta contro il male del secolo? Non si può curare al meglio una persona se non la si conosce, non solo nel corpo ma anche nell’animo. Ai giovani medici dico spesso che è facile togliere un nodulo dalla mammella di una donna, più difficile estirparlo dalla sua mente. A tal proposito. Secondo la sua esperienza c’è qualcosa che a livello psicologico si può fare per affrontare la malattia? Non so dare consigli. Posso dire che come medico la mia battaglia è sempre stata contro la rassegnazione, un peso tremendo per i malati e le loro famiglie. Pensa che arriverà il giorno in cui debelleremo il cancro? Penso che saremo sempre più in grado di affrontarlo. Le recenti scoperte della biologia molecolare se da un lato hanno fornito appigli per nuove terapie dall’altro ci hanno insegnato che il cancro è una malattia estremamente complessa. Ci sono filoni di ricerca particolarmente promettenti. Fra tutti citerei la ricerca di segni precocissimi di malattia attraverso l’analisi del DNA circolante. Im-
magino un futuro in cui un esame del sangue ci potrà dire se c’è o no un tumore in fase iniziale e poi, con una risonanza magnetica e una PET total body, potremo individuare la malattia quando è ancora guaribile. Oggi il rapporto con il malato è più facile o difficile? Dipende dal malato. E dal medico. Le persone fanno la differenza. Al paziente lei dice sempre la verità? È fondamentale che fra medico e paziente si instauri quella che chiamo “alleanza terapeutica”. La lealtà e la fiducia sono indispensabili. Il malato ha diritto di conoscere la diagnosi, di capire le terapie proposte, di partecipare al processo di cura. Ritengo però altrettanto essenziale che il medico calibri la comunicazione nel rispetto della persona che ha di fronte e sono persuaso che nessuno abbia il diritto di togliere la speranza al malato, anche nelle situazioni più difficili. Ha dedicato la maggior parte del suo lavoro alla cura del tumore al seno e il suo ultimo libro si intitola “Il mio mondo è donna”. Perché questo grande amore per il gentil sesso? Lo dico da sempre: ho il corpo di un maschio e il pensiero da femmina. Da medico, ho sempre sofferto fisicamente alla vista delle menomazioni subite dalle donne, ne ho ammirato il coraggio e la straordinaria capacità di affrontare le difficoltà e il dolore senza perdere umanità. Da figlio, marito e padre posso dire che nella nostra società le donne sono ancora lontane da una posizione di uguaglianza, non certo per minori capacità, ma perché hanno meno libertà di esprimerle. Penso anche però che le cose stiano per cambiare, l’aggressività maschile oggi non serve più e sono convinto che stia arrivando l’era della donna.
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WHITE JOBS: QUANDO LA TECNICA NON BASTA Li chiamano white jobs, sono i lavori nel settore sanitario, sociale e di cura, che in Italia occupano 2,5 milioni di persone, soprattutto donne, con un fatturato vicino ai 98 miliardi di euro, il 7% del prodotto complessivo. Nel 2020, secondo il Rapporto di Italia Lavoro, saranno 3 milioni e dal 2000 sono cresciuti del 70%, con l’89% di lavoratori dipendenti, di cui il 91% con contratti a tempo indeterminato. Professionisti impegnati a garantire salute e benessere: medici, tecnici dei servizi sanitari e sociali, infermieri, OSS, terapisti, ma anche assistenti familiari. Buona parte di questa crescita è legata all’invecchiamento della popolazione, con un aumento di patologie invalidanti e di cure necessarie. Il mondo della cooperazione sociale fa da padrone nei white jobs, in quanto propone servizi di qualità per la persona e la famiglia, a costi sostenibili, e aiuta a garantire un sistema sussidiario di welfare, per l’infanzia e le persone non autosufficienti. Professioni che, a differenza di un tempo, non possono dimenticare ascolto, dialogo e sentimento, ma anche un’attenzione continua e prioritaria verso il benessere dell’utente e del contesto in cui vive, insieme ad una stretta e necessaria collaborazione tra pubblico e privato.
Intervista a CARLO FLAMIGNI
Ginecologo, professore universitario e scrittore
BISOGNA TORNARE ALLA MEDICINA DELLE PICCOLE VIRTÙ Dalle conquiste della fecondazione assistita ai limiti etici, passando per i diritti dei pazienti. Tutte le sfide che Carlo Flamigni in oltre mezzo secolo di attività ha combattuto. Vincendone molte
Classe 1933, ginecologo di chiara fama, Carlo Flamigni è il “padre” dei bambini in provetta in Italia, professore universitario a Bologna fino al 2008, autore di moltissime pubblicazioni scientifiche sull’infertilità, è anche membro del Comitato nazionale per la bioetica. Una lunga carriera in cuiha sempre cercato di coniugare il progresso scientifico con il rispetto della persona. Battendosi per una medicina più a misura di uomo. Professor Flamigni nel 1996 è stato tra i firmatari del Manifesto di bioetica laica. Cosa è cambiato vent’anni dopo? Di importante c’è stata una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo che riguardava due pazienti in Austria cui era stata negata la donazione di gameti. Nonostante la sentenza non fosse a loro favore, la Corte ha creato un precedente importante affermando il principio che chi legifera deve fare norme leggere che possono essere cambiate in tempi brevi. Questo perché, dice la sentenza, il dovere del legislatore è di seguire con grande attenzione le modificazioni della morale di senso comune.
Che muta rapidamente al mutare delle conquiste scientifiche e della capacità di comunicarle. È una morale sempre molto cauta ma capisce i vantaggi che derivano dalle conoscenze possibili. È su questa base che bisogna legiferare, dice la Corte dei diritti dell’uomo. È una cosa straordinaria che non aveva mai detto nessuno. Una grande lezione di modernità. È stato faticoso portare avanti la sua battaglia in un paese come l’Italia? Certo non è stato semplice, non ho mai avuto protezioni, non sono mai stato massone. I cani sciolti si pigliano calci da tutti. Pensi che sono stato perfino redarguito da Giovanni Paolo II. Nel 1988 dirigevo il servizio di Fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna e avevo un’équipe di giovani ricercatori di ottimo livello. Uno di questi era Carlo Bulletti, oggi all’ospedale di Rimini. Era stato negli Stati Uniti dove avevano trovato il modo di asportare l’utero con buona parte dei suoi vasi che sopravviveva fuori dal corpo. Decidemmo allora di impiantare un em-
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brione, un embrione che non aveva alcuna chance di sopravvivenza. Scegliemmo embrioni alteratissimi che non avrebbero mai potuto diventare vita vera e tentammo l’attecchimento. E andò a buon fine. Fu un evento sconcertante, nemmeno la comunità scientifica era pronta: l’esperimento venne pubblicato sulla rivista «Fertility and Sterility», accompagnato da una nota del direttore del giornale che ne prendeva le distanze sotto il profilo etico. E anche il papa ne prese le distanze in una lettera ai vescovi. A proposito quali sono secondo lei i limiti? Io non ho mai fatto follie. Ho una visione della ricerca molto precisa. Faccio ciò che mi indica la società, il mio scopo è aiutare le persone più sfortunate. Questi sono i miei limiti. Se esco da questi confini sono un folle e anche uno stupido, uno che si muove solo per curiosità personale. L’altro limite che mi sono dato è che non faccio niente che mi venga pagato dall’industria farmaceutica.
in Francia la metà, però molte più fecondazioni. Poi per carità in Italia ci sono anche tanti medici per bene, ma anche molte scelte fatte per interesse. Non a caso un’altra delle sue battaglie è stata quella di restituire al paziente i suoi diritti. Se il 68% degli italiani non si fida del suo dottore, la colpa in primis è di quest’ultimo: frettoloso, supponente, perfino codardo. Ma in Europa non va meglio da questo punto di vista. Non si accetta che noi tutti abbiamo diritto alla scelta personale e all’indipendenza. Noi ci aspettiamo che il medico ci metta in condizione di scegliere, mentre il medico ha ancora un approccio molto paternalistico. L’altro aspetto è il tema della medicina difensiva, oggi moltissimi medici temono di finire in tribunale e questo ha effetti negativi anche sulle terapie proposte. I medici non devono essere eroi, bisogna tornare a una medicina basata sulle piccole virtù, ovverola capacità di ascoltare, di spiegarsi, di capire cosa vuol dire la responsabilità. Il paziente come si può difendere da tutto questo?
Che cosa succederà nei prossimi 10 anni in Italia? Credo che l’apertura verso la possibilità di accedere alla procreazione assistita si estenderà anche alle donne single e alla coppie omosessuali. D’altronde tutte le esperienze fino a qui condotte hanno dimostrato che non ci sono controindicazioni per i bambini. Semmai se c’è un diritto dei bambini è quello di sapere se sono stati voluti o se si è rotto il preservativo. È questa la vera differenza. Poi c’è una domanda che nessuno si fa ed è: che cosa vogliono le donne? L’età in cui si mette al mondo un figlio è sempre più elevata e questo qualche interrogativo dovrebbe suscitarlo. A proposito la fecondazione assistita è anche un business? Ci si muove in un terreno paludoso. Un terreno paludoso perché ci sono troppi soldi e molti soldi hanno sempre inquinato tutti gli ambienti. In Italia ci sono 300 centri,
Bisogna ristabilire un rapporto di rispetto reciproco, un rapporto di condivisione con il proprio medico e non sottomissione. Basato sul rispetto, che soprattutto negli ospedali manca a volte. Ci sono numerose richieste di associazioni che chiedono che i pazienti vengano trattati con il rispetto che gli è dovuto. Un altro esempio: in media alla prima visita il paziente viene interrotto dopo 15 secondi che parla. Poco per capire cos’ha, qual è la sua storia clinica. Se lo fa alzatevi e cambiate medico. Un altro aspetto fondamentale è quello del consenso informato, che non è un foglio di carta da firmare, è un incontro nel quale al paziente vengono date le informazioni necessarie che gli consentano di scegliere in maniera autonoma. E il medico dovrebbe accertarsi che il paziente ha capito. Un secolo fa c’erano i medici condotti che avevano profonda conoscenza delle persone che curavano. Era la medicina del malato. Con la conoscenza è venuta fuori la medicina della malattia. Bisogna tornare a essere medici dei malati.
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Intervista a RENZO ARBORE
Showman, cantautore, attore e musicista di Isabella Calbi
C’È TANTO BISOGNO DI RIDERE, DI AVERE INTORNO AMICI E DI FARE DEL BENE «La nostra vita di gente dello spettacolo è come un grande castello di sabbia. Invece i rapporti con i bambini sordo-ciechi sono rapporti veri». Ci tiene a rimarcarlo Renzo Arbore, lo showman italiano tra i più conosciuti al mondo, che da 30 anni è testimonial per la lega del Filo d’Oro, l’associazione che si occupa di assistenza ai pluriminorati sensoriali.
La Lega del Filo d’Oro ha compiuto cinquant’anni e tu ne sei il volto da trenta. Ci racconti un po’ della tua esperienza? Sono nello spettacolo da una vita. Eppure, dico sempre che il pubblico che amo di più è quello che non mi ha mai visto né sentito. La mia collaborazione con la Onlus di Osimo (Ancona) è un’esperienza che mi ha arricchito molto. Sono con loro dal 1989 e non avendo mai avuto una mia famiglia, questi ospiti sono la mia famiglia che mi commuove e mi emoziona. Nei prossimi mesi, tuttavia, passerò le consegne all’attore Neri Marcorè. Quest’anno festeggi anche 30 anni dal tuo programma “quelli della notte”, entrato di diritto nella storia della televisione italiana. Che effetto ti fa? La gente ancora mi “perseguita” per quella trasmissione, è una sorta di marchio, un po’ come “Lascia o
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radoppia” per Mike Bongiorno. Ci sono i nostalgici che continuano a rivedere le repliche (la Rai le rimanda spesso in onda) e i giovani che la scoprono e si divertono proprio guardando quello che era un appuntamento cult con una serie di personaggi comici e un po’ surreali. Forse perché c’è tanto bisogno di ridere. Cosa è per te sinonimo di benessere? Oggi considero il senso di isolamento come qualcosa di altamente rigenerante, perché ovunque vada, in tanti mi riconoscono e quindi mi fermano. Quando penso al relax, penso ad un posto dove ci sia poca gente, e anche una piscina o una Spa, e poi il mare che adoro. Ricordo che, da ragazzino, andavo al mare a Mattinata, in Puglia. Corrompevamo i contadini, con una bottiglia di vino, per farci passare nei campi e arrivare alla spiaggia. Il mare era limpido, le libellule si posavano sull’acqua, un vero spettacolo. Questo un po’ mi manca, così come la natura incontaminata e selvaggia. E mi viene in
mente anche una vacanza in Thailandia, una ventina di anni fa. I miei amici mi avevano promesso una settimana comoda e rilassante ed invece mi sono ritrovato in un bungalow sulla spiaggia, senza acqua corrente, luce, telefono e nessun tipo di comfort. All’inizio ero arrabbiato, poi però ho iniziato ad apprezzare i ritmi lenti e lo spirito di adattamento ha prevalso su tutto. Insomma, è stato un ritorno ad una dimensione primordiale. Ancora oggi apprezzo il benessere delle piccole cose. Temo l’aria condizionata e quindi giro sempre con due pigiami in valigia, uno più leggero e uno più pesante, a seconda della temperatura delle camere degli hotel. Ricerchi il benessere anche a tavola? Mi piace mangiare bene e sano. Sto attento anche ai cibi biologici e cerco di acquistarli appena mi è possibile. Sono a favore della riscoperta di quei prodotti della tradizione, veraci e saporiti. Quando posso faccio la spesa nei mercatini, direttamente dai contadini, così
sono sicuro di trovare frutta ed ortaggi senza conservanti. E ovviamente benessere fa rima con un ottimo olio extravergine d’oliva. Ho quello mio personalizzato che amici contadini pugliesi mi preparano ogni anno. E mi porto dietro sempre una piccola bottiglia, anche quando vado al ristorante. Perché possono anche darti da mangiare l’aragosta, ma se ci mettono sopra le salse o un olio di semi, sei rovinato per sempre. Tra i piatti più naturali, amo il “pancotto”, piatto povero dei pastori e dei contadini della Daunia, a base di pane indurito e cotto in acqua bollente, insieme alle patate e verdure di campo. E poi, da napoletano non rinuncio mai ad una tazzina di buon caffè. Me lo preparo da solo, con la mia fedelissima moka che mi segue ovunque. Ma quel che conta, alla fine, è il piacere della famiglia, degli amici. Il conversare, lo scambiarsi le confidenze più belle, l’apprezzare, insieme ai propri cari, i sapori e i profumi di un piatto. E soprattutto stando a tavola si assapora il gusto di una sana risata.
YOGA DELLA RISATA É il guru della risata. Richard Romagnoli, 39 anni, vive nel sud dell’India dove ha studiato lo Yoga della Risata. La sua missione è di apportare benefici positivi nella vita delle persone, comunicando da cuore a cuore le virtù terapeutiche, scientifiche e spirituali che si sprigionano per mezzo della risata e del potere creativo e curativo della mente subconscia. Per chi volesse provare, in tutta Italia si trovano i Club della Risata che organizzano (una volta a settimana o ogni 15 giorni) lezioni gratuite per imparare a mettere in pratica i consigli di benessere e stare così meglio con la mente e il corpo. Insomma la risata come terapia: serve per potenziare il sistema immunitario, abbassare il livello di stress e migliorare le prestazioni. Inoltre, Richard è autore della prima App a tema, “My Laughter Coach” ed è recente il libro “L’albero della vita”, con una meditazione guidata capace di generare un rilassamento profondo. Info: www.LaughterYoga.org
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Intervista a GABRIELE ROSSI
Responsabile medico per l’Italia Medici Senza Frontiere
LA SALUTE? UN BENE PER TUTTI È la sfida di Medici Senza Frontiere la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo. Gabriele Rossi, responsabile medico per l’Italia racconta le emergenze del pianeta e l’impegno a cui tutti siamo chiamati
“La mia è stata una scelta di coscienza, non tolleravo le ingiustizie”. Con questa motivazione Gabriele Rossi, nel 2001 abbandona il suo posto in corsia all’ospedale di Pavia e si arruola nelle file di Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo, di cui oggi è diventato responsabile medico per il nostro Paese. Nata in Francia nel 1971, MSF fornisce soccorso umanitario in 67 paesi,tra questi Rossi è stato ad Haiti, in Darfur, in Somalia, in Iraq, in Libia, in CentrAfrica, in Siria e in Afganistan, ovvero nelle zone più calde e pericolose del globo. Per salvare vite umane. Qual è stata l’emergenza che più l’ha segnata? Il terremoto di Haiti del 2010 per diverse ragioni. Ero già impegnato in un progetto nel Paese, ma ero in Italia per le vacanze di Natale, quando sono stato richiamato per il sisma che ha ucciso in pochi minuti 250mila persone, provocando 500mila feriti e danni a edifici e strutture. Ricordo, durante il viaggio di ritorno, quando dal finestrino dell’aereo che mi riportava ad Haiti mi resi conto dell’emergenza e cominciai a piangere. Poi, per i successivi tre giorni, ho lavorato senza sosta, trasforman-
do quelle lacrime in energia per portare aiuto in una situazione in cui non c’erano più nemmeno gli ospedali, mancava l’acqua, c’erano i cadaveri lungo le strade. Tra noi c’era anche un medico haitiano che il giorno prima aveva seppellito sua figlia, eppure era lì con noi a dare una mano. Lei è stato anche in molte zone di guerra. Qual è la differenza? Cambia il tipo di emergenza, negli ospedali arrivano feriti da arma da fuoco o da esplosioni. La ferocia umana poi dà il peggio nelle guerre civili. In Libia ad esempio, a Tripoli, quando i ribelli sono arrivati in città abbiamo trovato persone uccise all’interno degli ospedali. I ribelli avevano sparato sui miliziani di Gheddafi ricoverati perché feriti. Lo stesso ho visto fare dai miliziani con i ribelli. Nelle guerre civili le convenzioni internazionali tendono ad essere meno rispettate. In quel caso occorre portare avanti un lavoro attento di diplomazia, per entrare nelle carceri, ad esempio, come è accaduto a Misurata in Libia. In Siria alcuni vostri operatori sono stati presi in
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ostaggio e poi rilasciati. Come è la situazione oggi? Il grave incidente di sicurezza che ha coinvolto i nostri colleghi ci ha costretti a ritirare lo staff medico internazionale dalla Siria, perché non abbiamo più la certezza che le nostre équipe siano al sicuro. MSF continua comunque a gestire sei strutture mediche nel paese e ha costruito una rete di supporto per oltre 100 strutture mediche nelle aree controllate dal governo o dai gruppi non governativi per fornire un minimo di assistenza alla popolazione bloccata dal conflitto, ma si tratta di una
goccia in mezzo al mare. Per dare un’idea dell’emergenza che la Siria sta vivendo basta pensare che su una popolazione di 50 milioni di abitanti, 8 milioni sono sfollati all’interno dei confini siriani, mentre sono 4 milioni i rifugiati usciti dal Paese. L’emergenza rifugiati è al centro di una delle vostre battaglie di questi giorni. Può spiegare meglio di cosa si tratta? È la campagna Milioni di passa ed è nata per sensibi-
lizzare l’opinione pubblica sulle persone che ogni anno nel mondo sono costrette a fuggire perché è l’unica possibilità che hanno per sopravvivere. Un numero che non è mai stato così alto negli ultimi cinquant’anni: sono più di 51 milioni di uomini, donne, bambini che vivono in condizioni di vulnerabilità come rifugiati. Chiediamo all’opinione pubblica e ai governi di farsi carico di questa emergenza. Fuggono da guerre, violenza e condizioni di vita inaccettabili e tra l’altro per poter ottenere lo stato di rifugiati sono praticamente costretti a raggiungere le nostre coste come clandestini, affrontando viag-
gi pericolosi e mettendosi nelle mani di scafisti senza scrupoli. Chiediamo un netto cambio di rotta a partire dalla legislazione sul tema. Tutte le iniziative si trovano sul sito www.milionidipassi.it. Quali sono le emergenze sanitarie ad oggi nel globo? L’Africa resta il continente più martoriato. A partire dall’epidemia di Ebola di cui i media hanno smesso di occuparsi ma che nel continente africano continua a
...ricordo, durante il viaggio di ritorno, quando dal finestrino dell’aereo che mi riportava ad Haiti mi resi conto dell’emergenza e cominciai a piangere. Poi, per i successivi tre giorni, ho lavorato senza sosta, trasformando quelle lacrime in energia...
mietere vittime. Al momento sono solo tre i Paesi interessati Guinea, Liberia e Sierra Leone. Ma nei paesi sottosviluppati si continua a morire anche per patologie come la malaria o peggio il morbillo. In particolare quest’ultima è una delle prime cause di mortalità infantile nel mondo. Per questo MSF ha lanciato di recente un appello alle aziende farmaceutiche GlaxoSmithKline (GSK) e Pfizer perché riducano il prezzo del vaccino NGR_LPG_Xaltro21x12_def.pdf
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23/07/15
anti-pneumococco a 5 dollari a bambino nei paesi in via di sviluppo. È assurdo ma nei paesi più poveri vaccinare un bambino oggi è 68 volte più costoso rispetto al 2001, mentre in molte aree del mondo nessuno può permettersi di acquistare nuovi costosissimi vaccini come quello contro le malattie da pneumococco, tra cui alcune forme di malattie respiratorie e di meningite, che ogni anno uccidono circa un milione di bambini.
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Intervista a CHIARA STOPPA
Attrice
HO PREFERITO VIVERE Chiara Stoppa è un’attrice milanese che a 26 anni scopre di avere un tumore e poche chance di farcela. Oggi, dopo dieci anni è ancora qui. Una storia che sembra un miracolo ma che fa riflettere sul modo di affrontare la malattia. Senza rinunciare a se stessi
Chiara Stoppa ha solo 26 anni quando le viene diagnosticato un tumore. Uno di quelli brutti, che non arretra neppure dopo quattro cicli di chemio. L’unica speranza è quella di un trapianto. Ma lei dice no, ribellandosi alle cure, ai medici, all’ospedale. Sembra la fine ma è solo l’inizio. «Quando mi dissero che avevo pochi mesi di vita – ricorda – iniziai a pensare a cosa dire ai miei amici, alle persone a me care, per un degno saluto. Poi decisi che era meglio alzarsi dal letto, era meglio stare meglio, era meglio vivere…». Dopo dieci anni Chiara è ancora qui, guarita. La sua storia straordinaria l’ha raccontata nel libro “Il ritratto della salute”, edito da Mondadori, e continua a portarla sui palcoscenici di tutta Italia. Cos’è Il ritratto della salute? È un monologo in cui racconto la mia storia, cioè la malattia, le terapie, il dolore ma anche la ribellione e la rinascita. Mi avevano dato per spacciata e invece a un certo punto sono guarita.
volte anche gli sconosciuti, e visto che di mestiere faccio l’attrice è nato lo spettacolo insieme a Mattia Fabris. La prima a darci fiducia, dopo aver letto il testo, è stata Franca Valeri che firma anche la prefazione del libro. Come ha scoperto di avere il linfoma di Hodgkin? Avevo 25 anni e mi sentivo sempre stanca, anche in vacanza, al mare, sulla spiaggia. Non avevo le forze per fare nulla. Così mi sono fatta accompagnare in ospedale per un controllo, non mi hanno più fatta tornare a casa. Qual è stato il suo percorso di cura? Ho cominciato con le chemio. Sono stati mesi tremendi, stavo a letto quattro giorni di fila al buio. Mi dava la forza quello che mi avevano detto i medici e cioè che la mia malattia era curabile nell’80% dei casi. Un giorno però è arrivata la mazzata: mi hanno detto che purtroppo facevo parte di quel 20% sfortunato. Insomma, ero spacciata. Ha avuto paura di morire?
Perché ha deciso di raccontarsi pubblicamente? Perché tutti gli amici e i conoscenti mi fermavano per chiedermi come avevo fatto a sopravvivere al tumore. A
A livello di statistiche non avevo alcuna speranza. Al punto che ho pensato come sarebbe stato il mio funerale, anche se forse in fondo non ero convinta che sarei morta.
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Oggi mi reputo fortunata ad aver visto la morte in faccia. Poi cosa è successo? L’ultima strada possibile, a detta dei medici che mi avevano in cura, era quella di farmi trapiantare il midollo di mia sorella. Avevamo però una compatibilità del 50% e il rischio del fallimento era elevato. Tutto era pronto, ma all’improvviso ho detto no. Se fossi morta, lei sarebbe vissuta con un senso di colpa insopportabile e non volevo che accadesse. Però oggi è ancora qui. Come se lo spiega? È complicato dare risposte a questa domanda. Premetto che se c’è una cosa che ho imparato è che ognuno ha la sua storia. Dopo aver rinunciato al trapianto ho incontrato Graziella, una persona che fa massaggi cranio-sacrali.
Al primo appuntamento le racconto la mia vicenda e lei mi dice: ‘Be’, hai un tumore, e allora? Dov’è il problema?’. Da quella frase ho ripreso in mano la mia vita. Ho fatto anche un altro ciclo di chemio e la radio, ma ho rimesso me stessa al centro. Ho cambiato medici, fatto tanta psicoterapia, ho anche riscoperto la preghiera. Non ero più il paziente x, ma Chiara Stoppa. Oggi faccio controlli ogni due anni, ma non voglio dare messaggi sbagliati: l’unica cosa che mi sento davvero di condividere è che bisogna ascoltare se stessi e trovare medici capaci di ascolto. Come reagiscono gli spettatori che vengono a vedere il suo spettacolo? Ridono, piangono, in tanti alla fine dello spettacolo mi ringraziano perche hanno ritrovato la speranza. Il teatro è il tempio dell’incontro.
LA CUCINA ITALIANA È SEMPLICE: PAROLA DI CHEF Carlo Cracco che, come tutti i fuoriclasse, fa sembrare facili le cose difficili è portavoce di questa teoria. Lo chef, dal 2007 alla guida dell’omonimo ristorante tra i 50 migliori nel mondo, infatti, consiglia la semplicità come ingrediente principale anche per Expo 2015, la rassegna dal tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Secondo Cracco, l’Esposizione universale è una grande occasione per realizzare un modello di sana alimentazione da esportare in tutto il mondo, e sarà un successo solo se il messaggio proseguirà anche dopo l’evento. Per questo lo chef – che ha avuto maestri come Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, Annie Feolde e Alain Senderens – è convinto che la cultura del mangiar sano si debba insegnare fin da piccoli, partendo dai banchi di scuola, ma soprattutto da refettori e mense. Tra l’altro Cracco con l’insegnamento ha già avuto a che fare, grazie al programma televisivo su Sky “Master Chef Italia”, un format internazionale che lo ha visto protagonista con due colleghi, Bruno Barbieri e Joe Bastianich, nel ruolo di insegnante di apprendisti cuochi. Di origini vicentine, Cracco rivisita i piatti della tradizione lombarda in una chiave innovativa, giocando sui contrasti di sapori. La sua è una cucina tecnica, essenziale, originale che lo ha portato in poco tempo ad ottenere 2 stelle Michelin. Inoltre, la cucina viene definita dallo stesso Cracco “cerebrale e di cuore”, in quanto la ricerca non dev’essere mai disgiunta dalle emozioni gustative.
MAURIZIO, CUOCO. La sua passione? I dolci.
PERSONE CHE FANNO GRANDE LA RISTORAZIONE Da oltre 60 anni, Camst è l’azienda leader della ristorazione in Italia. Con attenzione e dinamismo, ogni giorno è vicina ai suoi clienti per offrire soluzioni personalizzate e flessibili. Per questo Camst fa grande la ristorazione: perché è fatta di persone che non rinunciano alle regole e garantiscono a clienti, lavoratori e studenti qualità e sicurezza.
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Intervista a MARCO COLUMBRO Attore e conduttore televisivo di Federica Pagliarone
COLTIVO IL CIBO PER L’ANIMA E SCELGO IL BIO-LIFESTYLE PER ESSERE IN ARMONIA CON ME STESSO Questa è la filosofia di vita di Marco Columbro che, oltre ad essere un noto attore e show-man televisivo, da anni è uno dei portabandiera del biologico nel nostro Paese. Nella sua azienda agricola in Val D’Orcia, in Toscana, produce olio e pasta bio, e da diversi anni organizza a Milano “SaporBio”, la manifestazione di promozione di un modo sano, equilibrato e sostenibile di coltivare e produrre il cibo. Non solo, Columbro coltiva da sempre un notevole interesse per tutto ciò che riguarda la ricerca e la pratica spirituale Dott. Columbro, secondo lei il biologico è solo un modo di coltivare o un vero e proprio stile di vita?
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Il biologico ormai è uno stile di vita per chi lo produce e per chi lo consuma. Non è più un segmento di nicchia, ma un modello produttivo di grande successo. Per chi lo produce significa garantire rispetto dell’ambiente e fonti non inquinate, per chi lo consuma vuol dire alimentazione sana e genuina.
acqua, elemento fondamentale per il nostro benessere fisico. Ma non trascuro neanche il benessere mentale perché, interessandomi da tanti anni alla vita spirituale, coltivo il cibo per l’anima. Ci sono infatti delle pratiche spirituali, come quella della meditazione, che aiutano a sviluppare la propria consapevolezza, la concentrazione, la riflessione e a raggiungere una maggiore lucidità mentale, una più ampia capacità di ascolto di sé e degli altri.
Che rapporto ha lei con il benessere? Riesce a ritagliarsi del tempo libero da dedicare al wellness?
A tal proposito, cosa rappresenta per lei la Locanda Vesuna che possiede appena fuori Pienza?
In realtà sono un pigrone, non faccio molta attività fisica, piuttosto mi rilasso facendo lunghe passeggiate e bevo sempre sano, ossia mi impegno a bere tanta
La locanda rappresenta un posto meraviglioso dove ritirarmi. E’ un luogo magico, immerso nel cuore della suggestiva campagna toscana, tra dolci colline, filari
di cipressi, boschi, ulivi e campi di grano, coltivati secondo le regole dell’agricoltura biologica. E’ un’antica dimora dei monaci Olivetani del 1300, ristrutturata e trasformata con le moderne tecniche della bioedilizia, in un hotel in grado di rigenerare gli ospiti nello spirito e nel corpo. Lei ha più volte dichiarato che è sempre stato affascinato dalla conoscenza, il che nella sua vita l’ha portato a leggere tantissimo fino a definirsi un “libero ricercatore dello spirito”: ci spiega meglio cosa intende con questa definizione? Questa espressione significa che non sono legato a nessuna religione. Le religioni sono caratterizzate da un percorso omologato alla ricerca della divinità. Possono aiutare nella fase iniziale del percorso, ma poi vanno superate perché se si cerca Dio fuori, si perde la propria divinità: siamo tutti esseri portatori della divinità. Ognuno di noi può parlare con la sua interiorità, non abbiamo bisogno di mediatori, di divinità esterne, noi stessi siamo divini e dobbiamo adorare solo il Dio che è dentro di noi. Ci racconta quando e come è cominciata la sua ricerca spirituale? E’ iniziata agli inizi degli anni ‘70 con la mia prima maestra spirituale, Mercedes Salimei. Con lei ho seguito un corso di cinque anni di Cristianesimo esoterico che mi ha cambiato profondamente e mi ha offerto nuovi punti di vista. Ho imparato cose fondamentali sulla ricerca e ho scoperto aspetti importanti della spiritualità, come l’indipendenza dai mediatori. Noi siamo potere, potere creativo, e siamo artefici del nostro destino. Nel suo percorso si è avvicinato molto al buddismo. Ad oggi si sente più buddista o cattolico? In realtà sono più legato alla corrente buddista, ma
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non sono buddista. Nel 1991 ho conosciuto Lama Gangchen Rimpoce, un Lama guaritore tibetano che mi ha introdotto al buddismo tibetano. Con lui ho fatto diversi viaggi che mi hanno portato in India, dove ho incontrato il Dalai Lama, e in Tibet. Da questi viaggi sono nati due documentari, La Terra dai tetti d’oro e La Luce del Buddha, un video dedicato all’intervista al Dalai Lama, Il Sorriso della saggezza, e due video che sono due meditazioni guidate di Lama Gangchen, Autoguarigione tantrica e Autoguarigione per l’ambiente. Nel suo libro dal titolo Autoguarigione Tantrica di Lama Gangchen spiega quali sono i cambiamenti sostanziali che vive chi inizia questo percorso spirituale. Ce ne parla? L’autoguarigione tantrica è una pratica meditativa potente che cura il corpo e la mente. Praticandola una volta al giorno insegna a superare i difetti mentali e le emozioni negative, oltre a guarire le malattie fisiche e psichiche. E’ un percorso spirituale che aiuta a trovare più chiarezza mentale e ad affrontare la vita con più consapevolezza. Dopo i numerosi successi della tv commerciale degli anni Ottanta e Novanta, oggi si dedica con passione al teatro: che differenza coglie in questi due mondi? In questo momento a quale spettacolo si sta dedicando? La differenza tra televisione e teatro è sostanziale. La tv è un mezzo di comunicazione meccanico, più freddo che garantisce milioni di telespettatori. Il teatro incarna una comunicazione viva ed energetica del lavoro dell’attore. Inoltre, in teatro si può essere più indipendenti scegliendo l’autore, il pezzo che si vuol rappresentare, gli attori con cui si vuol collaborare e si percepisce un calore, un’energia unica come quella del pubblico presente. Ultimamente sono stato in tournée con una commedia divertente, “Alla stessa ora il prossimo anno”, in cui ho recitato con Gaia De Laurentis.
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COME PRENDERSI CURA DELLA PROPRIA SALUTE CON LO SMARTPHONE Le applicazioni che aiutano a restare in forma e a curare la propria salute sono decine di migliaia, oltre trentamila solo su Android
Da un recente sondaggio emerge che il numero di applicazioni per iPhone e Android in ambito salute e benessere, inteso come una combinazione di sport, parametri vitali e dieta, è in crescita esponenziale. Nello specifico, negli ultimi sei mesi per le app di sport e benessere si è registrata una crescita del 62 per cento. Cosa c’è di meglio dei cellulari infatti per misurare e monitorare le nostre abitudini? Gli smartphone sono dei piccoli computer che ci portiamo sempre dietro, pieni di sensori e collegati ad internet a tutte le ore: lo strumento ideale per svolgere questo compito. In che modo? Monitorando quello che si mangia, quanto ci si muove, come si dorme, ma anche esaminando parametri clinici come i battiti del cuore e il glucosio nel sangue, e suggerendo come curarsi in base ai propri disturbi. Di seguito, le app più cliccate. La più recente si chiama Automedicazione, è gratuita e aiuta l’utente a trovare il principio attivo giusto per curare il proprio disturbo in base ai sintomi che avverte. L’applicazione segnala soltanto i farmaci senza obbligo di ricetta, quelli cioè che servono a curare le patologie più comuni. Wikipharm invece consente non solo di trovare gratuita-
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mente il farmaco giusto per il proprio disturbo, ma anche di scoprire, laddove esista, il suo equivalente, ovvero il farmaco non di marca con lo stesso principio attivo. Per comprare la medicina che serve può dare una mano Farmacity: un’applicazione disponibile per iPhone, Blackberry e Android, che sfrutta il Gps del telefono per visualizzare su una mappa o in forma di elenco le farmacie di turno più vicine. Passando all’attività fisica, emerge che il suo monitoraggio rappresenta la sezione per eccellenza della maggior parte delle app sulla salute. È presente infatti in quasi tutte, sebbene le strategie utilizzate per registrare i dati siano differenti. Grazie a Pedometer si può creare il proprio profilo, stabilire un obiettivo di passi, di distanza o anche di peso. Basta ricordarsi di attivare l’applicazione e tenere il telefono in tasca ogni volta che ci si muove a piedi per tenere il conto dei passi fatti. Ne esistono una versione gratuita ed una a pagamento. FitBit conta i passi e le scale fatte grazie ai dispositivi mobile e da lì calcola l’intensità dell’attività svolta, la distanza percorsa e le calorie bruciate, ma senza usare il GPS.
Passando dai farmaci al cibo, emerge che le applicazioni per smartphone che consentono di contare le calorie, ricevere consigli nutrizionali e tenere un diario alimentare sono altrettanto numerose. Tra tutte citiamo iFood, nelle versioni Lite (gratuita) e Pro (0,79 euro), che consente di creare un profilo con peso attuale e obiettivo, inserire le pietanze mangiate e le quantità e tenere così un diario delle calorie ed un grafico dell’andamento del peso. Ma la nostra salute non dipende solo dall’esercizio fisico e da ciò che mangiamo, ma anche dalla qualità del sonno. A tal proposito, FitBit registra il sonno con il suo hardware, ma consente anche di annotare le ore di riposo a mano. La frequenza cardiaca, la glicemia e la pressione sanguigna si introducono dal sito. Sleep cycle alarm clock è un’applicazione che promette di monitorare le fasi del sonno attraverso l’accelerometro interno all’iPhone, e di svegliarsi nel momento migliore, quando cioè si è più
riposati. IGyno invece è stata pensata per le donne, in quanto le aiuta a monitorare il ciclo, fornendo indicazioni sulla prevenzione, tra cui consigli su come effettuare l’autopalpazione del seno. Altro strumento medico degno di nota è Cardiografo: appoggiando il polpastrello dell’indice all’obiettivo della macchina fotografica del proprio iPhone, iPad 2 o iPod touch, dotata di flash, l’applicazione rileva il battito cardiaco. Anche in questo caso creando il proprio profilo è possibile monitorare i battiti nel corso della giornata o della settimana. E per i diabetici? Ci ha pensato Sanofi con iBGStar Diabetes Manager, una app gratuita che, usata insieme ad un glucometro per iPhone, trasforma il telefono in uno strumento per monitorare i livelli di glucosio nel sangue, l’assunzione di carboidrati e la dose di farmaco da somministrare.
BREVI BREVI DAL DAL MONDO MONDO E E DALL’ITALIA DALL’ITALIA
NIDO D’INFANZIA, UN INVESTIMENTO EFFICACE PER LO SVILUPPO COGNITIVO E COMPORTAMENTALE DEL BAMBINO Una ricerca della Fondazione Agnelli realizzata da Daniela Del Boca e Silvia Pasqua approfondisce la relazione tra frequenza dei servizi per l’infanzia ed esiti scolastici in Italia, con alcuni risultati importanti che mettono in discussione chi ancora in Italia diffida dei servizi per l’infanzia. Per la prima volta in Italia emergono dati che evidenziano che il nido può avere effetti benefici sullo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini. Ad esempio, l’aver frequentato il nido sembra aumentare in modo considerevole la probabilità di ottenere buoni punteggi nella scuola primaria, ma anche successivamente nella scuola media e in quella superiore. Inoltre, gli effetti positivi del childcare sono maggiori per i bambini che provengono da famiglie più svantaggiate e con più bassi livelli d’istruzione. Più bravi a scuola, più socievoli e più autonomi, dunque, ma anche più capaci di concentrarsi e più creativi nel gioco. Frequentare un nido d’infanzia dunque nei primi anni di vita (0-3 anni) sembra essere un investimento sul futuro dei bambini!
IL MESE DEL BENESSERE PSICOLOGICO Ideato dalla Sipap, la Società Italiana Psicologi Area Professionale Privata, il Mese del Benessere Psicologico è una campagna di sensibilizzazione e promozione della cultura del benessere della persona che punta a migliorare la qualità della vita. Realizzata grazie alla disponibilità di psicologi, liberi professionisti, i quali offrono consulenze e seminari gratuiti, l’iniziativa nasce con l’obiettivo di promuovere il Benessere Psicologico come valore fondante e ideale della qualità di vita di ciascuna persona, come fattore di crescita personale e di mantenimento dell’equilibrio dell’esistenza personale e sociale. Inoltre, mira a informare sul ruolo dello psicologo e sulle sue funzioni nonché sull’esistenza di centri e studi sul territorio che erogano servizi clinici e di consulenza affinché si abbia un’alternativa al servizio pubblico; e a far conoscere il panorama delle professionalità che ruotano attorno al mondo della psicologia per sapere, a seconda dei casi, a chi sarebbe più opportuno rivolgersi (psichiatra, neurologo, assistente sociale ecc).
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FACEBOOK: IL SOCIAL NETWORK CHE RAFFORZA L’AUTOSTIMA Avere un profilo Facebook può essere un esercizio per migliorare la propria autostima. È quanto emerge da uno studio della Cornell University (Ithaca, New York, Usa), secondo cui i social network permettono di filtrare i lati peggiori della propria personalità lasciando in luce solo i pregi, facendoci sentire meglio con noi stessi. La consapevolezza, poi, che chi ha accesso alla nostra bacheca possa guardare solo ciò che noi vogliamo, e in particolare i nostri punti di forza, rinforza il nostro credere in noi.
TUTTI I BENEFICI DELLA LETTURA “VECCHIA MANIERA” Riduce lo stress, aumenta le capacità di concentrazione, rende le persone più sensibili all’ascolto ed esercita il pensiero. E, non da ultimo, potenzia l’empatia, ovvero l’attitudine delle persone a comprendere gli stati mentali ed emotivi altrui. Nelle persone non più giovani, poi, è stato dimostrato che rallenta il declino cognitivo tipico dell’età che avanza: insomma, molti sono gli studi che negli anni hanno dimostrato i potenti effetti benefici della lettura. A patto, però, che venga effettuata alla “vecchia maniera”, ovvero con un libro in mano da sfogliare pagina per pagina e non, come sempre più spesso avviene, sullo schermo di un computer o di uno smartphone. Che si legga a casa propria, in biblioteca o seduti su una panchina dei giardini pubblici, a fare la differenza è il libro di carta. E sì, perché per ottenere i benefici della lettura è necessario che l’azione della lettura venga effettuata con attenzione, soffermandosi e concentrandosi su ciò che si sta facendo. La nuova modalità di lettura che si accompagna alla sempre maggiore diffusione dei nuovi dispositivi elettronici (computer, smartphone, tablet) non garantisce, al contrario, gli stessi risultati. Si tratta infatti di un tipo di lettura veloce che porta sì ad evidenziare le parole e i concetti più importanti, ma che impedisce una comprensione profonda.
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BREVI BREVI DAL DAL MONDO MONDO E E DALL’ITALIA DALL’ITALIA
DISFUNZIONI SESSUALI? ARRIVANO I “PRONTO SOCCORSO” PER LA COPPIA Pagare un unico ticket per accedere ad una prestazione ambulatoriale in cui il paziente non è lui o lei, ma l’intera coppia, che potrà usufruire dell’esperienza di ginecologi e urologi che cercheranno di risolvere le problematiche sessuali che si presenteranno. Anche la cartella clinica sarà unica per entrambi i partner: una cartella clinica, appunto, “di coppia”, proprio a testimonianza della presa in carico del “paziente-coppia”. Sono solo alcune delle caratteristiche dei primi ambulatori con funzione di “pronto soccorso” per la coppia, promossi dalla Società italiana di urologia (Siu) e dall’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), che hanno preso il via a Napoli, città “pilota” dell’iniziativa. Il progetto, unico in Europa, è stato replicato anche a Milano, Bari e Modena.
ESSERE OTTIMISTI E POSITIVI FA BENE AL CUORE Lo rivela uno studio americano condotto dall’Università dell’Illinois su oltre 5.100 adulti. La situazione cardiovascolare dei partecipanti - fra i 45 e gli 84 anni d’età - è stata valutata sulla base dei 7 parametri chiave utilizzati dall’American Heart Association: pressione sanguigna, indice di massa corporea, livelli di glicemia e colesterolo, tipo di alimentazione, quantità di attività fisica svolta e vizio del fumo. In base a questi elementi è stato assegnato un punteggio ai volontari coinvolti nello studio, incrociati con i risultati dei questionari che sono stati fatti compilare per valutare la predisposizione all’ottimismo e, in generale, la salute mentale. I ricercatori hanno dunque analizzato la relazione fra mente e corpo, e sono giunti alla conclusione che gli adulti ottimismi hanno anche il cuore più sano: hanno infatti fra il 50% e il 76% di probabilità in più di collocarsi in una condizione ideale, o intermedia, per la salute cardiovascolare e vantano livelli più bassi di glicemia e colesterolo oltre a comportamenti più sani.
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Intervista a PIETRO SEGATA Presidente COOPERATIVA SOCIALE SOCIETA’ DOLCE
LAVORIAMO PER IL VOSTRO BENESSERE (E STIAMO BENE ANCHE NOI) Pietro Segata, presidente di Società Dolce, racconta come si è evoluta la cooperativa di cui è alla guida di fronte alle nuove sfide del welfare. E come oggi dopo anni difficili se ne vedano i primi positivi frutti
«In Italia, in particolare al nord, il Servizio Sanitario Nazionale ha garantito standard di qualità dei servizi e delle prestazioni tra i più elevati in Europa, il che unito a uno stile di vita sano ha determinato un innalzamento dell’età media della popolazione. Innalzamento dell’età che è andato di pari passo con un’aspettativa di benessere oltre la soglia della cosiddetta terza età. Ci si aspetta in pratica di campare a lungo e in buona salute. Tutti risultati ovviamente positivi. La sfida però è garantire prestazioni sanitarie adeguate pure in tempo di crisi». A dirlo è Pietro Segata, presidente di Società Dolce, che questa battaglia dal suo osservatorio privilegiato la combatte tutti i giorni.
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Quali sono le principali criticità? Dall’ultimo rapporto Welfare Italia emerge un dato preoccupante: gli italiani rinunciano a prestazioni sanitarie e di assistenza. E se da un lato appunto la domanda di cura aumenta, diminuisce la spesa sanitaria privata (-5,7%), il cui valore pro-capite si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno. Le famiglie italiane sono state costrette a rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di sole prestazioni mediche private. La sfida dunque è garantire prestazioni di livello a un prezzo accessibile.
slogan: porre al centro gli utenti, anche a discapito di certe richieste da parte del committente pubblico. Se mi passa un termine commerciale, trattando gli utenti da clienti, nel senso nobile del termine. Tanto per fare un esempio, lampante, mentre all’interno delle istituzioni è in corso il dibattito sulla flessibilità per nidi e scuole dell’infanzia, da noi è già una possibilità reale, con aperture nei weekend e nei mesi estivi, sempre tutelando il bambino ma anche venendo incontro alle reali esigenze della famiglia. E anche questo si traduce in un maggior benessere per tutti.
Di fronte a questa trasformazione in atto, Società Dolce come ha reagito?
A proposito, dal vostro punto di vista, quali sono le problematiche relative a salute e benessere dei bambini?
Innanzitutto ci siamo dovuti riposizionare. E lo abbiamo fatto cercando di non subire il cambiamento ma di trasformarlo in un’opportunità di crescita. Anche per i nostri soci lavoratori. Da questo punto di vista c’è stato un grande lavoro anche all’interno per far comprendere ai tremila occupati di Società Dolce il particolare momento storico. Non tutti sono sulla frontiera, per questo è importante indicargli la direzione.
Forse il dato più rilevante è l’aumento da parte dei genitori di richieste di consigli e informazioni sulla salute psico-fisica dei bambini. Un tempo negli asili il pediatra era una presenza frequente, oggi si può dire che c’è una grande e continua richiesta di un primo orientamento sulle questioni che riguardano il benessere dei piccoli. Il che significa lavorare molto dall’interno sulla formazione.
Con quali risultati?
Un altro ambito che vi vede impegnati è la malattia psichica. Quali sono gli obiettivi in questo settore così delicato?
Ci sono voluti cinque anni, ma abbiamo raggiunto obiettivi di cui andiamo fieri. Dal Bilancio 2014, chiuso in attivo, alla definitiva stabilizzazione dei nostri soci lavoratori che ora sono tutti assunti con contratti a tempo indeterminato. Tenendo conto che l’87% dei nostri dipendenti sono donne è un bel risultato. E, per restare in tema con il benessere, vorrei aggiungere che la percezione della stabilità aumenta le endorfine e porta chi la prova ad approcciare il futuro in una dimensione diversa, con più fiducia. Come ci siete riusciti? Mettendo in pratica quello che per molti è solo uno
Quest’anno a livello nazionale si è concretizzato un obiettivo importante con la chiusura degli Opg, i cosiddetti ospedali criminali. Il vero salto di qualità dal mio punto di vista sarebbe quello di riuscire ad aprire un’altra gabbia: quella della terapia farmacologica. Attualmente c’è il rischio concreto di sostituire la reclusione con un uso improprio e massiccio dei farmaci. Il che è naturalmente un’altra forma di violenza. Piuttosto bisogna portare avanti opportunità di inserimento lavorativo e comunitario in modo di riattivare la socialità nei soggetti che soffrono di disturbi psichici.
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ISA GRASSANO
Giornalista
PAROLA D’ORDINE: REMISE EN FORME «Presto prendete dalla credenza dell’olio per ungerlo e un panno per strofinarlo e portate il mio ospite alle terme più vicine, perché so che è stanco». Così scriveva Apuleio, mentre gli antichi Romani furono gli artefici delle monumentali Thermae pubbliche. Si riunivano qui non solo per rilassarsi ma anche per discutere importanti
Terme Luigiane, Cosenza
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Terme della Salvarola, Modena
Terme Oasis, Riccione
questioni economiche e politiche. Ancora oggi, le terme sono l’occasione per una completa remise en forme. L’offerta è sempre più ampia, secondo un ventaglio di proposte legate sia al tipo di trattamento (dai più classici, agli orientali, ai massaggi a base di frutta o cioccolato) che all’unicità della location da cui viene offerto. Tra le regioni spicca l’Emilia Romagna, con 25 centri termali: dalle colline di Parma al mare di Rimini, ognuno con la sua specialità (www.emiliaromagnaterme.it). La più frequentata in Europa è Salsomaggiore. La cittadina, conosciuta come la “ville d’eau”, è in stile Liberty: vie raffinate, giardini curati, piazzette nascoste e palazzi eleganti, come Palazzo Berzieri. Un vero gioiello dell’Art Decò, tra marmi policromi e stucchi decorativi, dichiarato monumento nazionale. Al suo interno, il centro termale “Lorenzo Berzieri”, in onore del medico che, per primo, studiò le proprietà terapeutiche di quelle acque salsobromojodiche. Da non perdere, anche le Terme della Salvarola (www.
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termesalvarola.it) sulle colline di Modena, tre scenografiche piscine di acqua termale, due camminamenti vascolari, idrogetti, cromoterapia. La specialità? La vinoterapia in sinergia con l’ossigeno molecolare e i trattamenti benessere a base di aceto balsamico tradizionale, ciliegie di Vignola, burro di karitè. Merano (www.termemerano.it), invece, adagiata sulle sponde del torrente Passirio, raccoglie in sé tutta la ricchezza di contrasti che caratterizza l’Alto Adige. Nelle nuove Terme, un imponente cubo di vetro immerso fra alberi, palme e roseti, si può provare il bagno altoatesino nella lana di pecora, fibra tessile naturale calda al tatto, che agisce direttamente sulla pelle nuda senza aggiunta d’acqua, stimola la microcircolazione e attenua i dolori cronici. San Casciano dei Bagni è un altro “piccolo gioiello”, situato alle pendici del Monte Cetona. Qui il quadro è perfetto: tranquillità, privacy, natura incontaminata e il prestigio delle terme che nel Rinascimento ebbero la loro maggiore notorietà. Le acque dello stabilimento Fonteverde (www.fonteverdespa.com) sono solfate, calciche, fluorate, magnesiache e sgorgano in superficie ad una temperatura di 42° C. Ci si può immergere nelle numerose piscine, avendo di fronte il bellissimo panorama sulla vallata. Spostandosi al Sud, la tappa d’obbligo è il centro benessere Acquaviva delle Terme Luigiane, in provincia di Cosenza (www.termeluigiane.it) con piscine idro-care ad acqua dolce con idromassaggi, percorsi Kneipp e fontane per il massaggio cervicale, l’area del thermarium con bagno turco. Il fiore all’occhiello sono i fanghi, con effetti riducenti, rassodanti e anticellulite per ritrovare la forma ideale.
TERME LIBERE Chiare, fresche e dolci acque, ma soprattutto libere. In Toscana sono numerosi i ruscelli, le piccole pozze e le cascate di acqua termale, sparsi nella campagna o situati a pochi chilometri dai centri abitati, dove immergersi non costa nulla e si può ritrovare il benessere. Le più famose sono le cascate del mulino di Saturnia, nel comune di Manciano, poco fuori dall’abitato, vicino allo stabilimento termale. L’acqua sulfurea, alimentata dal torrente Gorello, scorre in piccoli bacini e si trasforma in una sorta di idromassaggio nella vasca più alta. Nel Lazio, ci sono le terme del Bullicame, in provincia di Viterbo, citate da Dante nella Divina Commedia. Le acque sgorgano al centro di una piccola collina di calcare. Sempre in zona, le terme del Bagnaccio con le piscine Carletti, dove è molto gradevole fare il bagno con l’acqua che rimane sempre calda. E sembra di stare sulla luna, a Ponte Bagni, in Sicilia, vicino le Terme Segestane di Castellammare del Golfo (Trapani). Colonne di vapore e il fango in ebollizione creano un paesaggio che evoca viaggi interplanetari.
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EMANUELA GIAMPAOLI
Giornalista
SCRITTO SULLA PELLE Un uomo che per tutta la vita si è raccontato attraverso le reazioni della sua carne a quel che gli accadeva. Un ragazzino che si sente un’anima fragile per una piccola menomazione sessuale. E infine un grande artista che ci invita a riannodare i nessi con il tessuto della società. Storie diverse che richiamano a una verità spesso dimenticata: siamo il nostro corpo
“Uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. È la definizione basilare e al tempo stesso efficace che l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, offre della salute. Un concetto che le discipline olistiche hanno scoperto da tempo, che non sempre la medicina tradizionale è però pronta a riconoscere. Eppure il tema è sempre più spesso al centro dell’indagine estetica di artisti e intellettuali, che si interrogano sul rapporto tra psiche e corpo, e su quanto l’una sia in grado di influenzare profondamente l’altro. E viceversa. Uno degli sguardi che meglio restituiscono la complessità del discorso è “Storia di un corpo”, il bel libro di Daniel Pennac del 2012 che Feltrinelli ha da poco riportato sugli scaffali delle librerie in un’edizione arricchita di molte parti inedite e delle illustrazioni di un grande maestro del disegno d’Oltralpe come Manu Larcenet. Pagine che hanno preso forma dal diario, o meglio dal ‘journal’ che una certa Lison, amica dello scrittore, si è vista consegnare dal notaio alla morte del padre, per volontà dello stesso. Fogli fitti in cui l’uomo, dai 12 agli 87 anni, ha annotato la propria vicenda terrena da un punto di vista inedito e straordinario: quello del proprio corpo. Con i suoi splendori e le sue miserie. Un piccolo capolavoro fatto di umori, reazioni fisiche e pulsioni, dalla pubertà all’invecchiamento, messi in relazione
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Edoardo e Arturo, Short Skin
con gli amori, i piaceri, i timori, i dubbi e le sensazioni che la vita ci offre. Una cronaca puntuale dei cambiamenti del nostro corpo che «fanno pensare a quelle vie che percorri da anni. Un bel giorno un negozio chiude, l’insegna è scomparsa, il locale è vuoto, c’è un cartello affittasi, e ti domandi cosa c’era prima, cioè la settimana scorsa» scrive Pennac. Più irriverente ma altrettanto calzante è il film di Duccio Chiarini “Short Skin”, uscito nelle sale italiane il 23 aprile, dopo l’anteprima mondiale al Festival di Berlino. Qui il protagonista è il diciassettenne Edoardo che fin da bambino soffre di una malformazione al prepuzio, motivo di angosce e di insicurezze. Chiuso nel suo mondo, Edoardo si sente circondato da persone che sembrano interessarsi solo al sesso. C’è l’amico Arturo che insegue con determinazione il mito della ‘prima volta’, i suoi genitori che pressano perché Edoardo si dichiari a Bianca e persino la sorellina Olivia si è messa in testa di fare accoppiare il cane di famiglia Teagan. Il giovane protagonista dapprima cercherà di risolvere il problema con strampalate acrobazie per trovare infine il coraggio di affrontare le (vere) paure. «L’idea – ha rivelato il regista – mi è venuta leggendo il fumetto di Gipi ‘La mia vita disegnata male’: in particolare la parte della visita andrologica mi ha fatto ricordare che da ragazzino avevo vissuto un’esperienza analoga, parimenti traumatica. Ho così recuperato memorie mie e di amici e ho voluto raccontare la dicotomia tra interno ed esterno, che soprattutto in quella fase della vita di un ragazzo, è particolarmente acuita. Quello che volevo davvero raccontare sono le fragilità e le debolezze del sesso maschile, troppo spesso rappresentato facendo esclusivo riferimento agli stereotipi del machismo”.
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Alessandro Bergonzoni in Nessi
Dal corpo individuale al corpo come comunità. Ad ampliare ancor di più l’Orizzonte è «Nessi», il nuovo spettacolo di Alessandro Bergonzoni. Dopo gli straordinari successi di “Urge”, oltre tre anni di tour, 270 repliche, sempre codiretto dallo storico collaboratore Riccardo Rodolfi, Bergonzoni propone una riflessione sul fatto che non solo siamo anima e corpo, ma che viviamo immersi in una comunità che vale la pena riconoscere. «Ogni secondo sulla Terra una persona muore e una viene al mondo. Per questo sul mio sito c’è un contatore che tiene aggiornato il conto di un anno, il bilancio tra vite che arrivano e che si spengono» spiega l’artista. «’Nessi’ parte da qui e infatti è uno spettacolo che non finisce quando cala il sipario. Per la non bastevolezza del teatro. Così come un libro non finisce quando si arriva all’ultima pagina. Quando si torna a casa si deve continuare a vedere, a sentire, ascoltare. A entrare in relazione». È un’invocazione: a cercare legami, a sintonizzarsi con altre frequenze. A riattivare i nessi, appunto. «L’uomo – continua Bergonzoni – da quando nasce, cuce, tesse ha un ordito, una trama. Questi nessi sono i legami che noi dobbiamo riannodare».
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UN DONO DA UNO SCONOSCIUTO “C’è un’economia sovversiva del dono, del gratis, dello spariglio che riceve in cambio una restituzione gigantesca. Si tratta del dono da vita a vita.” Lo scrive Erri De Luca nella prefazione del libro “Il dono”, pubblicato da Feltrinelli. È la storia di una bambina Ale che si ammala di leucemia. Chemioterapia, ospedali, viaggi, traslochi. E, alla fine, la buona notizia: la malattia è in remissione. Quando la bimba ha dieci anni però la leucemia ritorna. Stavolta l’unica speranza è un trapianto di midollo osseo. È allora che nella vita di Emanuela Imprescia, la madre di Ale, entra quel numero scandaloso: 1 su 100.000. Ovvero la probabilità di trovare un donatore compatibile. Un numero che suona come una condanna per molti malati. Ma nel caso di Ale si trasforma in una possibilità: da qualche parte in Germania, una giovane donna geneticamente compatibile con Ale ha scelto di iscriversi nel registro dei donatori ed è disposta a donarsi per aiutarlo a rinascere. Emanuela Imprescia lavora da anni nell’Admo, l’Associazione donatori di midollo osseo, per sensibilizzare tutti gli italiani sull’importanza di donare la possibilità di una vita a tutti coloro che hanno una sola possibilità. In questo libro il perché.
Nasce UNIFICA
Il Consorzio di Imprese Artigiane più grande d’Italia
Con oltre 1.250 impresa associate specializzate in vari settori imprenditoriali, UNIFICA svolge la propria attività sull'intero territorio italiano impiegando operativamente oltre 10.000 addetti. UNIFICA, nato della volontà di CIPEA, CARIIEE e Co.Ed.A, ha un volume d’affari dell’intero gruppo, per l’anno 2011, superiore ai 150 milioni di euro.
UNIFICA rappresenta la forza del gruppo artigiano ed opera nei seguenti settori: - Edilizia pubblica / privata e restauri conservativi - Impianti tecnologici e risparmio energetico - Infrastrutture - Global Service e Facility Management - Project Financing
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Bilancio in attivo e riconferma della fiducia al Consiglio di Amministrazione Approvato all’unanimità il Bilancio di Esercizio 2014 di Società Dolcenell’Assemblea ordinaria dei soci del 28 maggio 2015 che chiude con un utile di € 54.000, un volume d’affari che sfiora i 73 milioni di euro, confermando Società Dolce tra le prime realtà imprenditoriali italiane del Terzo Settore. Un valore della produzione pari a € 72.915.369, incrementato del +0,82% rispetto al 2013 (€.72.323.422), ed un incremento dell’EBIT del +12,13% confermano lo stato di salute di Società Dolce. Le valutazioni e le previsioni, già espresse nella Relazione sulla Gestione 2013, si sono infatti rivelate corrette ed hanno trovato il loro giusto riscontro in questo esercizio. L’incidenza degli oneri finanziari sul valore della produzione è stata contenuta allo 1,75% e si è verificato un lieve decremento del costo del lavoro rispetto al 2013, pur avendo la Cooperativa integralmente applicato il rinnovo del CCNL di riferimento 2010/2012ed avviato l’assistenza sanitaria integrativa, aderendo a FAREMUTUA. Questi due fattori hanno contribuito al raggiungimento di questo obbiettivo di equilibrio che, come ha affermato Pietro Segata, sarà sicuramente confermato nel 2015. La crescita, nonostante i tagli da parte della committenza pubblica e la minore capacità di spesa delle famiglie, si è prevalentemente determinata in Emilia Romagna, affiancata ad un aumento dei servizi anche nelle province di Mantova, Cremona, Pavia, Bergamo e Brescia, e, nell’area nord-est, a Udine, Palmanova e Trieste. Da quest’anno, emerge con più evidenza, il contributo di Società Dolce ad un impiego certo e qualificato ai propri soci: i rapporti a tempo indeterminato sono passati ad una incidenza sul totale del 96%. La Cooperativa ha inoltre confermato il numero degli occupati che si assesta sulle 2.639 unità al 31.12.2014, di cui 2.301donne. Visti i risultati del primo trimestre 2015, Società Dolce conta di raggiungere, entro il 2015, un valore della produzione di 75 milioni di euro e 2.800 occupati. L’Assemblea dei Soci, nella stessa seduta, sempre all’unanimità ha confermato per ulteriori tre Esercizi (2015/2017) il Consiglio di Amministrazione uscente. Rinnovata quindi la fiducia a Pietro Segata, che condurrà, quale Presidente, Società Dolce, affiancato da Carla Ferrero, Vice Presidentee dai consiglieri di amministrazione Antonio Franceschini, Claudio Guberti, Roberta Marchesini, Maurizio Montanarini, Massimiliano Paoletti, Rosanna Paone e Paolo Vaccaro.
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Il bollino blu della legalità a Società Dolce Società Dolce da alcuni anni è impegnata a dotarsi di strumenti istituzionali per affermare e confermare ai propri stakeholder la propria volontà di essere soggetto attivo nella promozione di valori fondamentali e irrinunciabili, quali quelli dell’etica e della legalità. A dicembre 2014 Società Dolce ha presentato istanza di Rating alla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ottenendo a marzo scorso il Rating di Legalità con ilpunteggio massimo di tre stellette, di cui 1 per i requisiti di base e 2 per i requisiti premiali.Il Rating di Legalità, istituito ai sensi del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 (c.d. decreto “Cresci Italia”), è un sistema di premialità per le società che si allineano ai più elevati standard etico-sociali. Di fatto è il mezzo con cui si attribuisce un punteggio ad aziende che fatturino più di due milioni di euro, con specifici requisiti, tra cui nessun precedente penale per illecito amministrativo, reati tributari, o di stampo mafioso, né condanne per illeciti Antitrust, o verso i consumatori, tracciabilità dei pagamenti, ma anche rispetto delle norme sulla tutela e la salute sul lavoro e l’adozione di forme di corporate social responsability. A questi requisiti conseguono benefici concreti: condizioni più favorevoli per l’accesso al credito e ai finanziamenti, agevolazioni nell’accesso ai bandi di gara pubblici e privati, fondi per le imprese operanti in regime di accreditamento istituzionale, oltre ad un’importante novità nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici, dove devono essere previsti un punteggio aggiuntivo negli appalti e una quota di riserva.L’elenco della aziende italiane che hanno ottenuto il Rating di Legalità è consultabile al link http://www.agcm.it/rating-dilegalita/elenco.html, sul sito dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (http://www.agcm.it/)
Un nuovo Responsabile alle Risorse Umane Un caloroso benvenuto a Pietro Ravagli, che dal primo luglio 2015 è entrato in Società Dolce quale Responsabile Risorse Umane, prendendo il posto di Gianna Ceresi, da poco dimessasi. Laureato in Scienze Politiche e con un master in Business Administration, Pietro proviene da una lunga esperienza nell’ambito delle Risorse Umane. Per quattordici anni ha gestito, in qualità di Direttore del Personale di una cooperativa di costruzioni, tutte le attività attinenti le risorse umane, dalla gestione delle relazioni industriali e dei rapporti con i sindacati alla gestione e amministrazione del personale, dalla formazione, selezione e sviluppo del personale fino all’analisi e gestione dei costi del personale. Con l’arrivo del nuovo Responsabile Risorse Umane, Società Dolce si arricchisce della professionalità di un manager di elevate competenze e con una solida esperienza professionale specifica.
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Inaugurata la nuova ala della R.S.A. “Lorenzo e Gianna Zirotti” di Sale Marasino Nel campo dell’assistenza agli anziani l’esperienza “lombarda” di Società Dolce ha visto la recente inaugurazione della nuova ala della Residenza Sanitaria Assistenziale “Lorenzo e Gianna Zirotti” sita a Sale Marasino, incantevole località sul Lago d’Iseo. Società Dolce ha edificato un ampliamento che ricomprende ulteriori 22 posti letto e una nuova palestra di fisioterapia che si integra con la struttura preesistente e che già fornisce assistenza a 72 ospiti (60 posti accreditati e 12 posti di sollievo), portando a 94 posti letto la capienza complessiva. La RSA è integrata nella nostra rete di servizi in essere nel territorio bresciano: Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune di Brescia, Assistenza Domiciliare Integrata presso l’ASL della Provincia di Brescia (Distretti Socio Sanitari 1-2-4-5-6-7), RSA “Pasotti Cottinelli” di Brescia, Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune di Iseo, Servizio di Assistenza Domiciliare della Comunità Montana del Sebino Bresciano, Servizio di Assistenza Domiciliaredel Comune di Paratico, Centro Diurno Integrato con alloggi per anziani “Centro Sereno” del Comune di Paratico, Nido d’Infanzia “Gli Aquiloni” del Comune di Paratico. Si continuerà a lavorare al fine di creare sinergie ed opportunità reciproche tra i vari servizi di cui trarranno beneficio utenti, operatori e committenti realizzando una fattiva forma di sussidiarietà nel campo socio sanitario ed assistenziale.
Familydea Le necessità delle famiglie cambiano col modificarsi della società e se ieri si contava su nonni, zii, o servizi sociali diffusi, oggi fronteggiare un’emergenza può diventare un’impresa molto impegnativa. Trovare qualcuno che prontamente ci dia una mano nell’assistere una persona non autosufficiente, un podologo a domicilio, un infermiere, o un tecnico per un prelievo, un’iniezione, o una radiografia a casa, cercare qualcuno che porti fuori il cane, o ci consegni farmaci, spesa, un pasto pronto, oppure scegliere un campo solare qualificato per i nostri bambini, o l’asilo nido, può diventare una lunga via crucis, o essere a facile portata di “click”. Basta infatti andare sul sito www. familydea.it, per conoscere, scegliere, prenotare e acquistare il servizio che si cerca. Familydea è il primo portale italiano di servizi rivolti alle famiglie e ai singoli cittadini, avviato già in alcune città es. Bolzano, Padova e ora anche a Bologna, dove le attività proposte sono garantite da professionisti esperti, che già operano nei servizi residenziali o semiresidenziali della cooperativa sociale Società Dolce, o da referenti di realtà partner. Oltre all’esperienza e alla qualifica dei professionisti, Familydea offre il valore aggiunto della personalizzazione del servizio, sia nelle modalità, che nei tempi, cosa non sempre possibile quando la prestazione arriva da un servizio pubblico. Società Dolce, sempre attenta all’innovazione e a trovare nuove strade per il miglioramento dei servizi offerti, ha voluto puntare sulle nuove tecnologie, certa che Internet possa rappresentare nel tempo uno strumento prezioso per conoscere ed ottenere una risposta al bisogno e al passo con i tempi che cambiano.
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Certificazione qualità anziani Nel mese di novembre 2014 Società Dolce ha ottenuto la certificazione di qualità UNI 10881:2013 “Servizi – Assistenza residenziale agli anziani”, la terza certificazione di settore dopo quella per i servizi all’infanzia (UNI 11034:2003) e quella per i servizi diurni e residenziali per disabili (11010:2002). La UNI 10881:2013 si applica sia a strutture con alto intervento sanitario, che accolgono utenti anziani non autosufficienti e con patologie senili, sia a strutture con basso intervento sanitario e prettamente assistenziale, che ospitano anziani autosufficienti o semi-autosufficienti. Le strutture erogatrici devono offrire servizi che favoriscano il recupero o il mantenimento dell’autonomia della persona e garantire il controllo qualitativo e quantitativo dei processi socio sanitari assistenziali. La norma è complementare alla UNI EN ISO 9001:2008che rappresenta il riferimento per l’attuazione e la gestione di un sistema di gestione per la qualità aziendale. I requisiti del servizio riportati nella UNI 10881 riguardano: la mission e le politiche della struttura, l’individuazione dei risultati attesi nei confronti dell’utente, l’informazione, le fasi di ammissione, l’inserimento e il piano personalizzato per ciascun utente, la realizzazione dei servizi e la verifica dei risultati, le attività comuni finalizzate alla socializzazione, la soddisfazione degli utenti, i ruoli, i requisiti e le responsabilità del personale, ecc..
Vivere e condividere il nido: le famiglie, una storia di reciproche consultazioni Diventare genitori significa intraprendere un processo di cambiamento a partire dalla ridefinizione del concetto stesso di sé e della propria dimensione affettiva; affidare il proprio bambino al nido è un’ulteriore tappa che richiede il superamento della sola dimensione intima della genitorialità, per far posto a un patto di corresponsabilità educativa tra famiglie e servizi. Nella promozione a forme di educazione e cura partecipata iservizi diventano spazi di reciproche consultazioni nei quali entrare in contatto attraverso il confronto e il fare insieme, in una dimensione plurale, dov’è possibile assumere nuovi punti di vista e si è riconosciuti nelle reciproche competenze. Di questo abbiamo parlato nel seminario di sabato 13 giugno 2015 presso ilnido d’infanzia Pozzo a Modena insieme a Pietro Segata (presidente Società Dolce), Giampietro Cavazza (vicesindaco, Comune di Modena), Benedetta Pantoli (dirigente servizi educativi, Comune di Modena), Mirella Cantaroni (Policlinico di Modena), Maria Cristina Stradi (Pedagogista, Unione Terre di Castelli), Fabrizio Frigieri (genitore del comitato di gestione del nido Pozzo), Mariella Ronga (Coordinatrice, Nido Pozzo), Mariangela D’Aragone e Chiara Petrucci (Educatrici, Nido Pozzo), Sandra Benedetti (Responsabile Area Infanzia e Famiglie, Regione Emilia-Romagna), Ada Cigala (Docente di Psicologia - Università di Parma). L’evento è stato il terzo del ciclo Vivere e condividere il nido e ha visto, sia la partecipazione di operatori del settore, sia di famiglie che hanno avuto l’occasione di approfondire interessanti tematiche a loro vicine e condividere la propria esperienza di nido. È stata un’ottima occasione di confronto, di scambio d’idee e pensieri, oltre che di apertura sul territorio. Parallelamente alla mattinata di lavori sono stati organizzati alcuni laboratori per bambini ed è stata allestita una mostra fotografica all’interno dei locali del nido.
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di Zazza
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