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n. 4

settembre-dicembre 2013

IL DIRITTO DI ESSERE PERSONA: UN VALORE NON NEGOZIABILE

L’INTERVENTO di Vittorio Prodi LA FILOSOFIA APRE LA STRADA DELLA FELICITÀ Intervista a Luca Ferrero ARTURO BRACHETTI: MILLE PERSONAGGI MA SONO UN INGUARIBILE PETER PAN Intervista a Arturo Brachetti I NUMERI AL SERVIZIO DELLA SCIENZA Intervista a Piergiorgio Odifreddi

Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale 70% – CN BO Bologna. Iscrizione al tribunale di BO del 28/05/1991 n° 5988


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MAURO SPINATO

Direttore Responsabile

“Tutelare la dignità e il rispetto della persona umana sono la condizione primaria di una autentica e vera giustizia sociale”

N

on sono parole mie, ma parte integrante di un passaggio dello statuto di

un sindacato italiano. Questa frase ha catalizzato la mia attenzione facendomi riflettere sul valore che viene attribuito oggi all’individuo. In quelle poche parole è racchiuso un concetto che credo oggi più che mai stia perdendo la sua vera essenza. Ovvero mettere al centro di ogni azione la dignità della persona che è anche il perno di ogni tipo di sviluppo. Sono convinto che il diritto di essere persona e quindi il poter lasciare a tutti una libera dignità di esercitarlo, ebbene, io credo che tale forma di espressione se liberamente esercitata possa influire i destini del mondo. Non vorrei apparire come un filosofo, non lo sono né tantomeno è il mio mestiere, ma vorrei invitare tutti noi a riflettere, anche se per pochi istanti, sulla figura dell’essere umano. Perché alla fine siamo noi e soli noi gli artefici della nostra vita. Questa mia considerazione deve essere letta come una semplice riflessione e per quanto possibile neutra, lontana e distaccata da ogni logica laica o religiosa che sia. Proprio perché ognuno di noi ha una sua visione della vita, credo appunto che nessuno debba violare questo insindacabile diritto: quello di esistere con una propria dignità e pari rispetto. Una scelta ritengo che non possa che essere condivisa da tutti. Perché tutti siamo essere umani.

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Un uomo criticò Picasso perché creava arte poco realistica. Picasso gli chiese: “Mi può mostrare dell’arte realistica?” L’uomo gli mostrò la foto della moglie. Picasso osservò: “Quindi sua moglie è alta cinque centimetri, bidimensionale, senza braccia né gambe, e senza colori tranne sfumature di grigio?” Pablo Picasso


“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo impegnati a fare altri progetti.” Anthony De Mello

Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce

Progetto grafico CCDstudio.eu

Iscrizione tribunale di Bologna n. 5988 del 28/05/1991 Numero 4, settembre-dicembre 2013 Bologna, chiuso in redazione il 4/12/2013

Referenze iconografiche XALTRO, Contrasto, Istockphoto

Sede e Redazione Via C. Da Pizzano, 5 40133 Bologna Tel. 051 6441211 Fax 051 6441212 Email: redazione@xaltro.it

Stampa Stampato su carta ecologica riciclata da tipografia Negri s.r.l., Bologna Copyright I testi possono essere riprodotti a condizione che sia indicata la fonte e che non siano utilizzati a fini commerciali

Direttore Editoriale Pietro Segata

Partner tecnico

Direttore Responsabile Mauro Spinato Redazione Stefania Bastia Massimiliano Paoletti Annamaria Ponti Mauro Spinato

Pubblicità pubblicita@xaltro.it Tiratura: 8.000 copie Periodico a diffusione nazionale

Coordinamento organizzativo Annamaria Ponti Hanno collaborato: Gianna Ceresi, Stella Coppola, Emanuela Giampaoli, Isa Grassano, Lucia Marrocchi, Federica Pagliarone, Sara Saltarelli, Caterina Segata, Giulia Sermasi, Paolo Vaccaro, Silvia Vicchi.

In conformità al D.Lgs n. 196/2003 sulla tutela dei dei dati personali, informiamo che i dati raccolti saranno trattati con la massima riservatezza e verranno utilizzati per scopi inerenti la nostra attività. In ogni momento, a norma dell’ art.7 del D.Lgs n. 196/2003, si potrà chiedere l’accesso, la modifica, la cancellazione o opporsi al trattamento dei dati scrivendo a Cooperativa Sociale Società Dolce Via C. Da Pizzano 5, 40133 Bologna o a redazione@xaltro.it

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SOMMARIO L’INTERVENTO di Vittorio Prodi

9

Parlamentare europeo

DIALOGANO CON NOI

33 UNA SOCIETÀ DOVE 10

LE REGOLE VALGONO PER TUTTI

Intervista a Gherardo Colombo Ex magistrato

36 LA VIOLENZA SI ANNIDA

TRA LE MURA DOMESTICHE

BIOETICA: LEGGI INADEGUATE PER TROPPA BUROCRAZIA

11

39 IL FUTURO NELLE MANI

Intervista a Laura Palazzani

DEI NOSTRI FIGLI

Vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica, Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo italiano

LA FILOSOFIA APRE LA STRADA DELLA FELICITÀ

Intervista a Maria Rita Parsi di Lodrone Scrittrice, psicologa e psicoterapeuta

14 19

45 COSÌ AGORÀ DIGITALE SI BATTE

PER IL DIRITTO ALLA TRASPARENZA Intervista a Marco Ciaffone

Responsabile editoriale Agorà Digitale

Intervista a Stefano Benni

Scrittore

ARTURO BRACHETTI: MILLE PERSONAGGI MA SONO UN INGUARIBILE PETER PAN

DOLCE MORTE 42 LA Intervista a Francesco Campione

Tanatologo e Docente di Psicologia Clinica

Intervista a Luca Ferrero

Filosofo, Università del Wisconsin-Milwaukee

TRE DOMANDE A STEFANO BENNI

Intervista a Serena Dandini Conduttrice televisiva e autrice e Laura Misiti Demografa e ricercatrice

20

48 RIFLESSIONI DI UN PADRE QUARANTENNE Pietro Segata

Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce

Intervista a Arturo Brachetti Attore, cabarettista, trasformista e regista teatrale

L’ANGELO BIONDO DEL PIACERE

Intervista a Katrin Schneider

24

Assistente sessuale

DI VIAGGIARE 50 LIBERI Isa Grassano

54 CRONACHE DI

UNA RINASCITA POSSIBILE Emanuela Giampaoli

I NUMERI AL SERVIZIO DELLA SCIENZA

27

Intervista a Piergiorgio Odifreddi

Matematico, logico e saggista

BAMBINI MENO SOLI E CON PIÙ DIRITTI

Intervista a Gian Alberto Cavazza Presidente Comitato UNICEF di Bologna

30

58 SOCIETA’ DOLCE NEWS

LE PERSONE, PER LE PERSONE 62 CON di Zazza 7


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L’INTERVENTO di Vittorio Prodi Parlamentare europeo

I

l 2013 è l’anno europeo dei cittadini, in cui siamo invitati a rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dei nostri diritti. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea può essere uno strumento prezioso in questo senso. Innanzi tutto perché rappresenta il simbolo dell’Europa dei diritti e del processo di integrazione premiato con il Nobel per la pace, non un premio alla memoria, ma un impegno a rinnovare il progetto di pace dell’Unione. L’altra ragione è che la Carta, fin dal suo preambolo, mette l’accento sull’esigenza di tenere insieme diritti e responsabilità. Mentre afferma che “l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà [...] sui principi di democrazia e dello stato di diritto”, aggiunge che il godimento dei diritti “fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future”. Responsabilità oggi imprescindibile. A livello globale perché il mondo interdipendente in cui viviamo ci impone di affermare un nuovo paradigma di gestione sostenibile del bene comune. A livello locale, nelle nostre società, perché la crisi mette in pericolo (ma al contempo stimola) l’inclusività e la solidarietà. Il diritto del singolo può diventare strumento di sviluppo della società, può diventare diritto/contributo (al bene comune), non solo diritto/prescrizione. Ragionare insieme sui diritti non è un passatempo per illusi, ma un modo per capire come ricostruire la nostra società, come ripensarla, come trovare nuove rotte da percorrere. Se tutti siamo d’accordo sulla proibizione dei trattamenti inumani e degradanti proclamati dall’articolo 4 della Carta, perché ancora accettiamo luoghi come i Centri di Identificazione ed Espulsione? Oppure come conciliamo il diritto di uguaglianza con le difficoltà che ancora incontrano i disabili a inserirsi appieno? Possiamo ancora pensare di attuare il principio di solidarietà attraverso un modello sociale europeo attualizzato? Stiamo investendo realmente sulla sostenibilità e la tutela dell’ambiente o con la scusa della crisi stiamo tralasciando l’unica via che ci porterebbe a uno sviluppo diverso? In sintesi, se la Carta è un importante traguardo, nell’anno europeo dei cittadini deve e può diventare qualcosa di più. Può essere la bussola che ci guida verso l’Europa che continuiamo a voler costruire. Può essere lo strumento per chiederci quali diritti sono ancora da sviluppare e come. Condividere i diritti fondamentali di una Carta non significa infatti solo costruire un “futuro di pace fondato su valori comuni” e un’Unione sempre più coesa. Significa anche affermare che ogni diritto fa nascere responsabilità e doveri nei confronti degli altri, della comunità umana e delle generazioni future.


DIALOGANO CON NOI

Qual è il tuo libro preferito? Marcel Proust, Alla Ricerca del Tempo Perduto

Il prossimo viaggio che farai? Norvegia, ma avrei preferito andare in Marocco

Un pregio La coerenza

Un difetto

LUCA FERRERO Professore di Filosofia all’Università del Wisconsin-Milwaukee, Laurea Università di Firenze, Ph.D. Harvard, Visiting Professor a Stanford. Si interessa di filosofia dell’azione e identità personale. Ha pubblicato vari saggi in riviste filosofiche in lingua inglese. http://people.uwm.edu/ferrero

La coerenza

Qual è il tuo libro preferito? Dipende dal momento. Posso dirle però la mia lettura serale preferita: senza dubbio Topolino

Il prossimo viaggio che farai?

Francia

Un pregio

ARTURO BRACHETTI Attore, cabarettista, trasformista e regista teatrale italiano. Cresciuto a Corio Canavese, provincia di Torino, Brachetti ha riportato in auge l’arte del trasformismo.

Non spetta a me trovare un mio pregio. Prendiamo per buono quello che scrivono di me i giornali…

Un difetto Questi bisognerebbe chiederli a chi mi conosce bene…

Qual è il tuo libro preferito? Impossibile dirne uno solo

Il prossimo viaggio che farai? A Bari per discutere con il mio amico/nemico Vito Mancuso di religione

Un pregio La leggerezza

Un difetto La leggerezza

10

PIERGIORGIO ODIFREDDI Nato a Cuneo nel 1950, Piergiorgio Odifreddi è un matematico, logico e saggista italiano. Ha studiato matematica in Italia, negli Stati Uniti e nell’ex Unione Sovietica. Dal 1983 al 2007 ha insegnato logica presso l’Università di Torino. Ha scritto libri e saggi su matematica, scienza e diversi saggi critici nei confronti della religione, che hanno sollevato diverse polemiche. Collabora con riviste e quotidiani tra cui Tuttoscienze, La Stampa, La Repubblica, L’espresso, Le Scienze.


Intervista a LAURA PALAZZANI

Vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica, Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo italiano

BIOETICA: LEGGI INADEGUATE PER TROPPA BUROCRAZIA Il compito oggi dell’etica e della bioetica è di tematizzare, difendere e garantire, nell’era tecnologica, il fondamento della dignità umana e dei diritti fondamentali irrinunciabili, nell’orizzonte di una tutela della priorità dell’uomo rispetto alle istanze del progresso tecnoscientifico.

Di bioetica si parla quando si toccano argomenti spinosi legati alla sessualità, o alla morale (il modello naturale di famiglia, lo statuto ontologico e il rispetto del soggetto umano non ancora nato, l’eutanasia e gli interventi di manipolazione genetica …) che, in quanto tale, può non essere vista come dato oggettivo. Ma cos’è la bioetica, in senso lato, e di cosa si occupa? Non è facile dare una definizione esaustiva di bioetica. Si può dire che la bioetica si occupa della ricerca di una giustificazione razionale dei limiti di liceità morale e delle implicazioni sociali dei problemi sollevati dalle nuove possibilità di intervento sulla vita, umana e non umana, interventi resi possibili dallo sviluppo della tecno-scienza in biomedicina. Ai problemi ormai ‘classici’ della bioetica, quali lo statuto dell’embrione umano, le tecnologie riproduttive, le diagnosi prenatali, le manipolazioni genetiche, l’eutanasia, l’accanimento terapeutico, i trapianti, si affacciano sempre nuovi problemi: neuroscienze, biologia sintetica, potenziamento, biometria, nanotecnologie, telemedicina,

robotica. Fanno parte della bioetica anche i problemi ‘quotidiani’ del rapporto medico paziente, la sperimentazione clinica, la distribuzione delle risorse sanitarie, la bioetica interculturale, ma anche la bioetica animale e ambientale.

Che ruolo può avere la bioetica, in uno Stato laico? La bioetica può avere il ruolo di informare e formare il cittadino ad una coscienza critica razionalmente fondata sui problemi emergenti dalle biotecnologie. È, del resto, sempre più avvertita la rilevanza di una partecipazione civica al dibattito su questioni etiche delle biotecnologie, che toccano i dilemmi morali rispetto alla vita e alla morte, alla salute e alla malattia. Tale partecipazione in uno Stato laico e in una società pluralistica (sul piano religioso ed etico) deve essere razionalmente giustificata, nello sforzo di ricercare valori comuni minimi.

Possiamo definire questo nostro tempo come un momento di crisi dei diritti fondamentali dell’uomo e quindi, come un tempo che va 11


guardato e affrontato anche da un punto di vista etico? Certamente da un lato la spinta verso l’uso delle nuove tecnologie rese disponibili dall’inarrestabile progresso scientifico e dall’altro lato la spinta delle etiche libertarie e utilitaristiche che pongono al centro la autodeterminazione individuale e la convenienza degli interessi, aprono delle problematicità sul piano giuridico e mettono in discussione nelle società tecnologicamente avanzate alcuni diritti umani. Il compito oggi dell’etica e della bioetica è di tematizzare, difendere e garantire, nell’era tecnologica, il fondamento della dignità umana e dei diritti fondamentali irrinunciabili, nell’orizzonte di una tutela della priorità dell’uomo rispetto alle istanze del progresso tecnoscientifico.

La relazione tra bioetica e diritto: per fare una

legge, o per modificarla, bastano una maggioranza e il rispetto di regole e legalità. Esistono invece diritti fondamentali che non possono essere modificati nemmeno da una maggioranza e quali sono secondo lei? Non è facile il passaggio dalla bioetica al biodiritto. La società avverte sempre più, oggi, l’esigenza di una regolamentazione delle biotecnologie, ma la regolazione è difficile da elaborare. Ne è prova il ritardo del biodiritto nella legislazione e la complessità del rapporto tra biolegislazione e biogiurisprudenza. Non è facile trovare maggioranze nel processo di legiferazione, non è semplice elaborare nuove normative inserendole nell’ordinamento giuridico, senza produrre incoerenze interne, o non conformità rispetto al diritto internazionale, o legislazione di Paesi geograficamente vicini. Il rischio è che le leggi in bioetica, faticosamente elaborate, invecchino rapidamente, rispet-


to alla velocità del progresso, non rispondano al sentire sociale, si pongano in un difficile rapporto interpretativo rispetto ai principi generali dell’ordinamento e del diritto internazionale. Ecco perché in questo contesto è importante un richiamo alla fondazione di diritti fondamentali irrinunciabili che ogni legislazione (a prescindere dalle maggioranze interne, variabili), almeno nel senso generale, dovrebbe rispettare. Diritti fondamentali che sono identificabili nel riconoscimento della dignità della persona. Con questa espressione ci si riferisce non all’individuo in grado di essere autonomo o all’individuo che calcola i propri interessi, ma all’essere umano riconosciuto come soggetto, sempre da trattare come fine e mai come mezzo.

Qual è il ruolo del Comitato Nazionale per la Bioetica? La bioetica è divenuta una realtà istituzionale in ogni Pa-

ese del mondo. È un dato di fatto che in quasi ogni Paese in Europa e negli altri Continenti si sia costituito un Comitato nazionale. La funzione dei Comitati Nazionali consiste nel difficile e delicato ruolo di intermediazione etica tra scienza/tecnologia da una parte e società/governi dall’altra. L’obiettivo delle discussioni del Comitato è di elaborare Pareri che possano contribuire a fornire gli strumenti concettuali a chi governa e alla società in senso lato, per comprendere i problemi spesso complessi, dinamici, mutevoli e la loro rilevanza e urgenza delineando i possibili scenari/percorsi da intraprendere sul piano pubblico delle politiche sociali. I percorsi devono ricercare un bilanciamento tra esigenze di progresso della scienza e della tecnologia e tutela dell’uomo degli uomini, affermando il primato dell’uomo sulla scienza, evitando le derive di un tecno-scientismo radicale, o di un altrettanto radicale oscurantismo.

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Intervista a LUCA FERRERO

Filosofo, Università del Wisconsin-Milwaukee

LA FILOSOFIA APRE LA STRADA DELLA FELICITÀ Il rispetto è dovuto proprio nella misura in cui ci si assume la responsabilità di essere e vivere con le persone, come soggetti dei fondamentali diritti e doveri etici.

Chi è Persona, in ambito filosofico?

dipende da altri?

Spesso si usano le espressioni ‘essere umano’ e ‘persona’ come sinonimi, ma in senso stretto ‘essere umano’ indica l’appartenenza a una specie biologica, mentre la condizione di persona sta nell’avere certe responsabilità, diritti e doveri. Essere persona è uno ‘status deontico’, non una categoria biologica o funzionale. Almeno nel caso ideale, questo status deve essere mutuamente riconosciuto da tutti coloro che aspirano ad esso. In linea di principio, quindi, è possibile che soggetti non umani possano essere ammessi nella comunità delle persone e che soggetti umani ne siano esclusi. Questo solleva un problema nel caso degli esseri umani che non hanno le capacità di esercitare il mutuo riconoscimento delle responsabilità e dei doveri associati con lo status di persona, come i bambini, le persone in stato di coma permanente o con gravi disabilità mentali. In questi casi, dobbiamo riflettere attentamente sui principi che ci consentono di estendere il riconoscimento dello status, anche in assenza delle capacità caratteristiche del caso ideale.

Il problema che ho indicato nella risposta precedente è intimamente legato alla questione della dignità. Proprio in virtù della natura ‘normativa’ dello status di persona, il mutuo riconoscimento e il rispetto della dignità sono un attributo essenziale dell’essere persona, perché sono costitutivi dell’essere una persona. Non esiste una condizione che garantisca per sua stessa natura rispetto e dignità in assenza della presa di responsabilità per il mutuo riconoscimento. Qui ritorna il problema di come riconoscere dignità e rispetto per coloro che non possono partecipare pienamente alla condizione di mutuo riconoscimento. La chiave della risposta sta proprio nell’idea del riconoscimento, nel fatto che ci si prende una responsabilità, anche se unilaterale, per l’attribuzione e il rispetto dei diritti. Ma questo in fin dei conti non è diverso da ciò che accade anche nel caso ideale. Il rispetto è dovuto proprio nella misura in cui ci si assume la responsabilità di essere e vivere con le persone, come soggetti dei fondamentali diritti e doveri etici.

Come riconoscere la dignità di persona a chi non ha più capacità di scelta e relazione, ma 14

Può dirsi che la dignità della persona, dove si parla nella nostra Costituzione di “pari dignità sociale”, sia strettamente collegata alle basi del Welfare State?


Il legame non è forse così stretto come possa sembrare a prima vista. I filosofi che si oppongono allo Stato Sociale, propugnando invece uno stato minimo, non pensano di farlo negando la dignità della persona. Anzi i loro argomenti sono basati sul massimo rispetto per la libertà, come l’aspetto più fondamentale della nostra condizione di persone. Tuttavia è vero che la difesa di uno stato minimo non tiene conto dello profonda influenza che il nostro vivere in comune, in strutture di condivisione e cooperazione, esercita nel dare forma alle persone, nel senso dello ‘status deontico’ discusso prima. In questo senso, il rispetto delle persone prende la forma della pari dignità sociale e serve da giustificazione per forme di Welfare State.

Come può spiegarsi l’esistenza della sofferen-

za, del male radicale, come lo chiamava Kant? Il desiderio di voler spiegare il male e la sofferenza è comune, ma può anche renderci ciechi di fronte alla radicalità del male e della sofferenza, specialmente se la spiegazione finisce con il negare che si sia realmente in presenza del male, o che questa possa essere adeguatamente compensata da altri beni. Una filosofia senza teodicea ci insegna che la possibilità della sofferenza e del male sono l’inevitabile controparte delle nostre capacità di esseri capaci di sentire e volere. Questa possibilità è il prezzo che paghiamo per godere di queste capacità, ma non significa che si debba ‘accettare’ la realtà della sofferenza e del male. Anzi, nella misura in cui dipende dalla nostra volontà, evitare il male e la sofferenza gratuita è il nostro primo dovere morale.


I giovani non hanno più sogni, né speranza, sembrano sopraffatti dal nichilismo di cui parlava Nietzsche: senza scopo, risposte, valori. Quale strada può condurli verso un’azione che può risollevarli? Se un’intera generazione soffre della perdita di sogni e speranze è molto probabile che le cause siano prima di tutto di natura sociale ed economica. La filosofia non ha risposte

dirette a questi problemi, ma ha la responsabilità di offrire gli strumenti critici e la guida morale necessari per eliminare le radici del malessere sociale. Esiste poi una forma di nichilismo più profonda, che può risultare dalla riflessione filosofica stessa, quando questa ci mette di fronte alla possibile ‘assurdità’ della vita umana. Ma la riflessione filosofica ci può anche aiutare ad evitare la disperazione, mostrandoci l’importanza di certi particolari progetti, delle nostre capacità di creazione artistica e percezione estetica e dell’ironia.

BREVE STORIA DEI DIRITTI UMANI Sommariamente possiamo distinguere quattro generazioni di diritti: 1° generazione: i diritti umani e politici. Viene fatta risalire alla fine della Rivoluzione francese 1789. Sono diritti che nascono dalla rivendicazione delle libertà fondamentali che erano precluse ad ampi strati della popolazione (diritto alla vita e all’integrità fisica, libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, diritto alla partecipazione politica e all’elettorato attivo e passivo). 2° generazione: diritti economici, sociali e culturali. Ha origine dalla Dichiarazione universale del 1948 e comprende diritti di natura economica, sociale e culturale (diritto all’istruzione, alla casa, al lavoro, alla salute). 3° generazione: diritti di solidarietà. Sono di tipo collettivo, nel senso che i destinatari non sono i singoli individui mai i popoli (diritto all’autodeterminazione, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale, diritti dell’infanzia, diritti della donna). 4° generazione: nuovi diritti. Sono quelli relativi al campo delle manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di comunicazione. La nascita di questi nuovi diritti è conseguenza delle scoperte scientifiche. Principali tappe evolutive del lungo processo storico di enucleazione dei diritti umani • 1870 a.C – Mesopotamia - Il Codice di Hammurabi re è supposto essere il primo codice legale, mostrava le leggi e le punizioni conseguenti all’infrazione delle leggi su una vasta quantità di problemi incluso diritti delle donne, diritti dei bambini e diritti degli schiavi. • 539 a.C. Cilindro di Ciro il Grande, primo re dell’antica Persia, che - dopo aver conquistato Babilonia, liberò gli schiavi, dichiarò che ognuno aveva diritto di scegliere la propria religione e stabilì l’uguaglianza tra le razze. Questi ed altri decreti furono incisi su un cilindro di argilla cotta. • 265 a.C. Editti di Ashoca il Grande - Impero Maurya (oggi India). Una collezione di 33 iscrizioni su cui erano descritte le sue riforme e i suoi principi di non-violenza, tolleranza religiosa, obbedienza verso i genitori, rispetto verso gli insegnanti, umanità verso i servi, generosità verso il prossimo, benevolenza verso i colpevoli. • XIII secolo San Tommaso d’Aquino, descrive i diritti naturali come un “insieme di primi principi etici, importantissimi” che condizionano il legislatore nel diritto positivo, in quanto sigillo di Dio nella creazione delle cose. I diritti umani quindi non sono più un insieme di cose più o meno benevolmente concesse da qualche autorità. È diritto dell’uomo rivendicare la propria libertà quale suo diritto naturale. • 1215 Inghilterra - Magna Charta Libertatum ovvero la Grande Carta delle libertà. Essa rappresenta il primo documento fondamentale per la concessione di diritti ai cittadini perché impone al re il rispetto di alcune procedure, limitando la sua volontà sovrana per legge. Tra gli articoli della Magna Carta ricordiamo il divieto per il Sovrano di imporre nuove tasse senza il previo consenso del Parlamento e la garanzia per tutti gli uomini di non poter essere imprigionati senza prima aver sostenuto un regolare processo. (Considerata ampiamente tra i più importanti documenti nello sviluppo della democrazia moderna, la Magna Carta costituisce un punto di svolta cruciale nella lotta per la libertà). • 1222 Carta Manden del Mali – Africa. La prima dichiarazione dei diritti umani non concessa da un sovrano, ma elaborata dal popolo. Si tratta di una dichiarazione di diritti umani essenziali quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà. Si trovano in questa carta i temi che saranno trattati vari secoli dopo in Occidente nelle dichiarazioni dei diritti umani: il rispetto della vita umana e della libertà dell’individuo, la giustizia e l’equità, la solidarietà. • 1305 - Inghilterra - Habeas corpus: un writ (mandato) che impone la conduzione di un suddito imprigionato di fronte ad un tribunale per un giusto processo, o la scarcerazione in alternativa. Il diritto di habeas corpus è stato a lungo celebrato come il più efficiente atto di salvaguardia della libertà dell’individuo. Dal corpus legislativo inglese l’Habeas corpus è passato in tutte le costituzioni occidentali, fino ad approdare alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che all’Articolo 9 recita: nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

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Le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo. Cos’è la felicità? Si è spesso tentati di dare un’interpretazione riduttiva della felicità, come una condizione di soddisfazione soggettiva (nel caso più semplice, un’esperienza del piacere di sufficiente durata). Ma io preferisco concepire la fe-

licità nella forma più complessa indicata da Aristotele: felicità come ‘fioritura’ dell’essere umano. Una vita attiva nel perseguimento di attività che esprimono le varie eccellenze possibili per gli esseri umani nella loro condizione di persone: eccellenze nelle nostre relazioni personali e nella condotta intellettuale, politica, e morale. Il piacere e il senso di appagamento soggettivo spesso accompagnano l’esecuzione di queste attività, ma non sono garantiti e non sono il fine ultimo del nostro vivere bene.

• 1776 Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. La prima dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’epoca moderna è quella dello Stato della Virginia (USA), scritta da George Mason e adottata dalla Convenzione della Virginia il 12 giugno 1776. Questa fu utilizzata da Thomas Jefferson per la dichiarazione dei diritti dell’uomo contenuta nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America e approvata dal Congresso il 4 luglio 1776, la quale afferma “che tutti gli uomini sono creati uguali tra loro, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni inalienabili diritti tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. • 1787 Costituzione degli Stati Uniti d’America - 1791 Carta dei Diritti. Redatta nel 1787 a Filadelphia, la Costituzione degli Stati Uniti d’America è la legge fondamentale del sistema di governo federale statunitense e la pietra miliare per il mondo occidentale. E’ la più antica costituzione nazionale scritta attualmente in uso. Il preambolo della Costituzione, in particolare nelle sue prime tre parole (“We the people”, “Noi il popolo”) scritte più in grande rispetto al resto del testo, è una delle sezioni più citate della Costituzione. I primi 10 emendamenti della Costituzione (chiamati Carta dei Diritti) entrarono in vigore nel 1791, per limitare i poteri del governo federale statunitense e proteggere i diritti di tutti i cittadini residenti e visitatori nel territorio americano. La Carta dei Diritti protegge la libertà di parola e di religione, il diritto di possedere e portare armi, la libertà di riunione e la libertà di petizione. Proibisce inoltre immotivate perquisizioni e confische di beni, punizioni crudeli e inconsuete e l’autoincriminazione forzata. • 1789 Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e dei cittadini. Fu adottata dall’Assemblea Costituente Nazionale, solo sei settimane dopo la presa della Bastiglia, come primo passo verso la stesura di una costituzione per la repubblica francese. La Dichiarazione proclama che a tutti i cittadini vanno garantiti i diritti di libertà, proprietà, sicurezza e resistenza dall’oppressione. Sostiene che la necessità della legge deriva dal fatto che i limiti nell’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo sono esclusivamente quelli che garantiscono agli altri membri della società di poter esercitare a loro volta quegli stessi diritti. • 1864 Prima Convenzione di Ginevra. Nel 1864 sedici paesi europei e diversi stati americani parteciparono ad una conferenza a Ginevra, invitati dal Consiglio Federale Svizzero. La conferenza diplomatica fu tenuta allo scopo di adottare una convenzione per il trattamento dei soldati feriti in combattimento. I principi espressi nella Convenzione e mantenuti in tutte le successive convenzioni includevano l’obbligo di fornire cure senza alcun discriminazione al personale militare ferito o malato, il rispetto dei veicoli di trasporto del personale medico e delle relative attrezzature e la relativa segnalazione tramite il simbolo distintivo della croce rossa su sfondo bianco. • 1948 New York Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un’ulteriore grande affermazione dei diritti umani si ebbe dopo la fine della Seconda guerra mondiale con la costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e con la redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, siglata a New York nel 1948. Con questa Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna, l’universalità dei diritti dell’uomo, non più limitati unicamente ai paesi occidentali, ma rivolti ai popoli del mondo intero e basati su un concetto di dignità umana intrinseca, inalienabile ed universale. La Dichiarazione riconosce tra le altre cose il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale; al riconoscimento come persona e all’uguaglianza di fronte alla legge; a garanzie specifiche nel processo penale; alla libertà di movimento e di emigrazione; all’asilo; alla nazionalità; alla proprietà; alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla libertà di associazione, di opinione e di espressione; alla sicurezza sociale; a lavorare in condizioni giuste e favorevoli e alla libertà sindacale; a un livello adeguato di vita e di educazione. • 1953 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno siglato una convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore nel 1953. Tra le altre cose, la convenzione stabilisce che il godimento dei diritti da essa garantiti non è soggetto ad alcuna discriminazione fondata su ragioni di razza, lingua, religione, opinione pubblica, origine nazionale o sociale. Un approfondimento della storia dei diritti umani lo trovi nella versione on line su www.xaltro.it

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Intervista a STEFANO BENNI

Scrittore

TRE DOMANDE A STEFANO BENNI Stefano Benni, scrittore e giornalista, è da sempre impegnato in prima persona in difesa di chi ha bisogno e per i diritti dei più deboli. Insieme ad altri artisti e personaggi della cultura ha fondato il Gruppo Lupo, un movimento spontaneo e del tutto anonimo, che si attiva con azioni concrete di aiuto. Molti progetti sono stati realizzati a sostegno della lotta contro l’AIDS, a favore degli immigrati e dei Paesi in via di sviluppo.

Cos’è la dignità di essere persona, in un momento storico e sociale dove gente di cinquant’anni resta senza lavoro e i giovani non hanno speranza di trovarlo?

di aiuto? Ci sono decine di associazioni, gruppi, movimenti, che lo stanno facendo. Niente lamenti, ma fare, fare, fare. Il risultato sta nell’azione, nella solidarietà.

La dignità sta nel conservare la speranza, anzi nell’aiutare gli altri ad averla. Nessuna speranza è facile, si combatte cento volte prima di arrendersi.

Cosa può fare il semplice cittadino per partecipare alla costruzione di uno Stato che riconosca il diritto di ognuno ad essere persona?

Lo Stato è sempre meno attivo nell’aiutare le persone in difficoltà, per mancanza di soldi, a volte per cinismo politico, ma i bisogni aumentano. Cosa si può fare per dare risposte, che non siano solo promesse, a chi ha bisogno

Ti ho già risposto. Sentirsi sempre e personalmente responsabile, non dare solo la colpa a uno Stato Cattivo. L’Italia non è mai stata naturalmente né democratica, né civile, qualche volta lo è diventata perché molte persone si sono mobilitate e hanno agito e combattuto.

La dignità sta nel conservare la speranza, anzi nell’aiutare gli altri ad averla. Nessuna speranza è facile, si combatte cento volte prima di arrendersi.

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Intervista a ARTURO BRACHETTI

Attore, cabarettista, trasformista e regista teatrale

ARTURO BRACHETTI: MILLE PERSONAGGI MA SONO UN INGUARIBILE PETER PAN Il re dei trasformisti, tra gli artisti più amati al mondo si racconta. A partire dallo spettacolo “Allegro un po’ troppo” e al lupo delle favole che dobbiamo imparare ad accogliere se vogliamo un futuro migliore. Per tutti

È l’uomo dai mille volti, il re dei trasformisti, uno degli artisti italiani più noti e amati al mondo. Cresciuto a Corio Canavese, provincia di Torino, ha scoperto il suo talento dai Salesiani. Mentre uno degli ultimi spettacoli è stato “Allegro un po’ troppo” dove si è confrontato con la fiaba di Pierino e il Lupo. E con i diritti di chi, come in questo caso, viene cacciato. “Perché forse – spiega – non sempre è questa la soluzione giusta” osserva Brachetti. Che qui si racconta e racconta del mondo che vorrebbe, se le sue “magie” avessero il potere di cambiare anche la realtà in cui viviamo.

Da dove trova l’ispirazione per i suoi spettacoli? “Credo che lo spettacolo, così come la magia, abbia una stretta relazione con il sogno. Chi va a teatro vuo-

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le vivere una vita diversa da quella di ogni giorno e anche gli artisti stessi vogliono sognare e far sognare. Traggo ispirazione dalle fantasie a cui posso dare corpo”.

Quali sono invece i personaggi che la ispirano? “Dipende. Per esempio per ‘Brachetti, ciak si gira’ ho portato sul palcoscenico tutti i miti della mia infanzia, i personaggi dei grandi film americani, ma ho fatto rivivere anche Giulietta Masina de ‘La strada’ di Fellini”.

Per mestiere lei incarna persone sempre diverse. Che cosa significa per lei la parola ‘persona’?


“Essere unico: ognuno di noi è un pezzo originale, che non ha uguali. E ognuno di noi deve trovare una propria vocazione. Quando ero in seminario, dove i miei genitori mi mandarono a studiare da ragazzo, incontrai un prete, Don Silvio Mantelli, che mi avvicinò alla magia. Fu lui a dirmi che non è importante avere ‘la’ vocazione, ma ‘una’ vocazione. Ecco credo che la persona sia un essere unico in cerca della propria vocazione. I fortunati la trovano prima, altri dopo, altri ancora continuano a cercarla”.

Per le sue performance le piacciono di più i “buoni” o i “cattivi”? “Non credo che esistano in assoluto personaggi buoni o cattivi, così come non esistono le persone che sono esclusivamente una o l’altra cosa. Tutti noi abbiamo un po’ dell’uno e dell’altro, dipende da come lo usiamo. Certo, in scena le caratteristiche vengono esasperate perché arrivino al pubblico immediatamente”.

Nel suo spettacolo “Allegro un po’ troppo” si è di nuovo confrontato con la favola di Pierino e il lupo. Lei pensa che le fiabe oggi abbiano ancora un ruolo educativo? “Credo che le fiabe abbiamo un ruolo importante perché permettono di afferrare concetti essenziali in maniera semplice. Però vanno attualizzate; basti vedere il personaggio del lupo. Chi è il lupo oggi? Molto probabilmente il diverso, l’emarginato. Credo che dovremmo domandarci più spesso se cacciarlo come nella fiaba sia la vera soluzione”.

Pensa che l’arte possa essere di aiuto nel cercare questa soluzione? “Può farci pensare. Guardi, le faccio un esempio con-

creto. In ‘Allegro, un po’ troppo’ c’è ‘“Pierino e il lupo’, fatto alla mia maniera. Per cui i personaggi prendono vita, o perché li facevo vivere io con diverse tecniche, o perché erano presenti sul palcoscenico in carne e ossa. Il lupo per esempio, è stato disegnato da un bravissimo artista, un pittore che si chiama Andrea Aste. Ma come dicevo prima, il lupo oggi chi è? Magari è lo straniero che viene in Italia in una situazione precaria. Così per stimolare la riflessione del pubblico ho fatto fare il Lupo ad Andrea; l’ho vestito con un vecchio cappotto, l’abbiamo arruffato e sporcato e mandato in mezzo al pubblico nel foyer. Chiedeva aiuto, spiccioli. La gente non capiva, lo allontanava, finché poi all’inizio dello spettacolo, saliva sul palco mostrando le sue capacità mirabolanti. Credo non ci sia bisogno di dare una spiegazione della morale”.

L’Italia soprattutto in tema di quelli civili è molto indietro rispetto agli altri paesi europei. Lei crede che le cose cambieranno mai? “Non saprei dire se le cose possano cambiare o meno. Credo però che lo scambio continuo con gli altri Paesi, il confronto costante, possa essere un arricchimento per tutti, anche per quanto riguarda i diritti civili”.

A questo proposito, lei è uno dei pochi artisti italiani famosi all’estero. È fiero di essere ambasciatore del suo paese? “Mi piace difendere sul palco gli elementi distintivi della nostra identità: la fantasia, il gusto del bello, l’ironia. Certo ci sono momenti in cui non è stato semplice essere italiani all’estero ma è bello vedere che esistono valori che sono considerati italiani per eccellenza e che comunque sono inarrivabili dagli altri. Penso all’arte, allo stile e alla moda”.

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E se invece con una delle sue magie potesse cambiare le cose da quale dei tanti diritti negati le piacerebbe cominciare? “Ce ne sono tante di cose che bisognerebbe cambiare e migliorare e proprio per questo spesso mi presto gratuitamente per campagne di sensibilizzazione nei progetti in cui credo. Forse una delle cose più urgenti, a livello planetario, è dare a tutti i bambini e le bambine il diritto di accedere all’istruzione. Nei nostri paesi è ovvio ma in moltissimi altri non è così. Vorrebbe dire

dare loro un’occasione per una vita diversa”.

Dei suoi mille personaggi chi le piace di più? E qual è quello che più le somiglia? “Sicuramente Peter Pan, il sogno dell’eterna giovinezza, il desiderio di non crescere mai per continuare a vedere il mondo con lo sguardo stupito di un ragazzino. In fondo io mi sento come un adolescente di 13 anni rinchiuso nel corpo di un uomo di 55”.



Intervista a KATRIN SCHNEIDER Assistente sessuale di Silvia Vicchi

L’ ANGELO BIONDO DEL PIACERE Dare le proprie mani in prestito a chi non può usarle per procurarsi piacere in alcuni Paesi europei, oggi, è un lavoro vero e proprio, con tanto di diploma e spezza il tabù che da sempre accompagna la sessualità per le persone disabili. In Svizzera li chiamano “caresseur” e hanno frequentato un corso per acquisire conoscenze mediche, legali, sociali, sessuali e anche etiche. In altri Paesi europei, come l’Olanda, la Germania, la Danimarca, gli assistenti sessuali esistono da 30 anni.

Katrin Schneider di anni ne ha 36 anni ed è un’assistente sessuale di origine tedesca: “Non mi piaceva molto studiare – racconta - e a 17 anni ho iniziato a lavorare come assistente di persone con problemi psichiatrici. Ho lavorato sia in una struttura vicino a Berlino, sia a domicilio. La maggior parte dei miei utenti erano adolescenti, o giovani adulti, quindi era normale che manifestassero anche desideri sessuali, di cui nessuno teneva conto. Ho visto madri disperate attivarsi in prima persona per soddisfare i bisogni sessuali dei propri figli, altre volte i padri li accompagnavano a prostitute. Non sto parlando di situazioni di devianza, ma di realtà quotidiane che avvenivano nel silenzio, in una società dove si fatica a pensare che una persona disabile senta un desiderio di questo tipo”. Oggi anche in Italia si parla di assistenti sessuali, da quando nelle nostre sale è arrivato il film “The sessions”, che con grande delicatezza e crudezza tratta il tema sesso e disabilità. La protagonista, Helen Hunt, interpreta un’assistente sessuale e il film ha vinto il Sundance Festival. “Cinque anni fa – continua Katrin - ho incontrato un’associazione che aveva ricevuto un finanziamento

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per avviare questa attività e mi sono proposta. I miei clienti sono ragazzi, o uomini, con gravi handicap, ma sono persone e come tali noi riconosciamo loro un diritto, quello del piacere, che gran parte della società fatica ad ammettere. Un disabile, per il pensare comune non può essere un amante. Di lui, soprattutto se non è autosufficiente, si ha una rappresentazione di quello che a noi è utile vedere che sia. Un tetraplegico, un distonico grave, un autistico, un down, per chi li accudisce rischiano di diventare semplici corpi, da cui ci aspettiamo qualche segno di conferma attraverso un sorriso, un buon profumo di pulizia, un comportamento non disturbante. Invece sono persone che hanno anche dei desideri e una capacità di scegliere. Sono capaci di volontà. Ho clienti che non parlano e non si muovono, ma riescono a farmi capire perfettamente se desiderano essere accarezzati, se vogliono solo guardarmi, se può far piacere un massaggio, o vogliono avere un’esperienza sensuale.” Ad ascoltarla, Katrin sfata completamente l’idea di assistente sessuale come di una professionista del sesso, sembra più una brava psicologa: “Cos’è indispensabile per fare questo lavoro? Una grande sensibilità, un gran-


de intuito e molta preparazione. I problemi più grandi non li incontro io, ma le famiglie di alcune di queste persone, in particolare i familiari di chi soffre di gravi problemi mentali. Avere un figlio, o un fratello psichiatrico, è un’esperienza di vita a volte terribile. Si è soli, in certi momenti si ha paura, spesso c’è poco ascolto da parte della società, si vive isolati. Io mi sono trovata una sola volta a non riuscire a gestire un cliente schizofrenico, era diventato aggressivo e ho dovuto chiedere aiuto e allontanarlo. Non sono stata stigmatizzata per questo, ma la madre tornò da me per scusarsi di quello che era successo e mi raccontò piangendo la decisione di metterlo in un istituto. Una scelta condannata da parte dei parenti e dei volontari che ogni tanto lo portavano fuori. Voleva che io l’assolvessi, che dicessi

a lei, madre che tante volte era stata picchiata, aggredita, sbattuta a terra, che aveva diritto di vivere senza avere paura. Queste persone fortemente disturbate hanno dei diritti, così come esistono diritti di chi ne ha cura, siano essi familiari, o assistenti, anche sessuali: un diritto ad essere informati, ad essere supportati, a condividere con altri la responsabilità della gestione, a non essere colpevolizzati quando diventa impossibile. Sì, nel mio lavoro a volte si dà una mano anche solo parlando e il sesso passa del tutto in secondo piano”. E il futuro, per Katrin, quale sarà? “Non credo che potrò fare questo mestiere tutta la vita – risponde – perché s’invecchia e i clienti – anche i disabili, certamente – hanno diritto ad avere donne carine e giovani. Ma sicuramente continuerò a lavorare nel sociale”.

Helen Hunt in “The sessions”


ROTELLANDO PER MARI

Su una sedie a rotelle si può anche “andar per mare”. La prova è Fabrizio Marta (aka Rotex) che oltre ad essere affetto da Osteogenesi Imperfetta (sindrome delle ossa fragili) è stato colpito da una strana malattia: la “viaggite”. Ecco nascere “Rotellando”, un racconto multimediale fotografico, video ed editoriale per la presentazione di territori e viaggi visti da un’angolazione particolare, quella appunto della sedia a rotelle. Dopo aver rotellato per tutta l’Italia, Fabrizio è partito con Costa Crociere (www.costacrociere.it) per scoprire il mare. Così toccando i porti e le città in cui l’ammiraglia Fascinosa di Costa Crociere si è fermata (Venezia, Bari, Olimpia, Smirne, Istanbul e Dubrovnik), l’attenzione si è focalizzata sulle storie individuali di personaggi che vivono la loro diversità in straordinaria normalità, ma anche su come croceristi e membri dell’equipaggio percepiscono la diversità. Con lui il fotografo Marco Resti e la videomaker Francesca Serra. Tutti i racconti sono visibili sul suo blog personale www.rotellando.it.

Nasce UNIFICA

Il Consorzio di Imprese Artigiane più grande d’Italia

Con oltre 1.250 impresa associate specializzate in vari settori imprenditoriali, UNIFICA svolge la propria attività sull'intero territorio italiano impiegando operativamente oltre 10.000 addetti. UNIFICA, nato della volontà di CIPEA, CARIIEE e Co.Ed.A, ha un volume d’affari dell’intero gruppo, per l’anno 2011, superiore ai 150 milioni di euro.

UNIFICA rappresenta la forza del gruppo artigiano ed opera nei seguenti settori: - Edilizia pubblica / privata e restauri conservativi - Impianti tecnologici e risparmio energetico - Infrastrutture - Global Service e Facility Management - Project Financing


Intervista a PIERGIORGIO ODIFREDDI

Matematico, logico e saggista

I NUMERI AL SERVIZIO DELLA SCIENZA Una vita votata a far scoprire la bellezza della ragione agli italiani. Una scommessa quasi vinta per Piergiorgio Odifreddi a patto di non sollevare dubbi sull’esistenza di Dio. “Perché – spiega – la morte fa ancora troppa paura. E così ci perdiamo il bello di vivere”

In principio fu la matematica. Non si può che partire da qui per dialogare con Piergiorgio Odfireddi, scienziato e accademico che una quindicina di anni fa decise di affiancare alla ricerca una fortunata attività divulgativa. Una sorta di vocazione per portare in un Paese refrattario da sempre alla cultura scientifica i principi di logica, scienza, matematica e geometria. Con libri, conferenze, articoli ha saputo appassionare un popolo ai segreti della scienza, per una volta raccontato scevro da quel lessico per iniziati che lo aveva sempre reso ostico. Poi però il passo è stato breve, perché secondo lui una cultura davvero radicata sulla scienza non può che dirsi atea. È qui che le cose per lui si sono un po’ complicate. “Eh, sì, non sa quante volte mi è stato fatto capire che sì, i miei discorsi sulla matematica, la geometria interessavano, un po’ meno quelli sulla religione. E io invece ci ho addirittura scritto dei saggi, come “Il vangelo secondo la scienza” o “Perché non possiamo dirci cristiana”, perché per me è un po’ una missione.

Il gusto della provocazione? “Ma no, semplicemente sono fermamente convinto che una maggior diffusione della cultura scientifica avrebbe come effetto automatico una perdita di attrazione della cultura religiosa e dunque del peso sociale della chiesa che ritengo responsabile di aver ostacolato molti processi nel nostro Paese”.

Chi sono i tuoi oppositori più fieri? “È molto trasversale. Ci sono teologi intelligenti come Vito Mancuso che magari si arrabbia ma con cui il dialogo è aperto, ma anche una fitta schiera di intellettuali che non hanno assolutamente l’abitudine al ragionamento e sono facili vittime di suggestioni mitologiche”.

Forse non è solo una questione storica però. A tutti piace pensare che ci sia un senso nella vita.

© Foto di Eleonora Cucina

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“Però il senso non c’è. I filosofi hanno bisogno di trovare un senso all’esistenza, gli scienziati sanno che non c’è”.

Eppure in molti hanno visto nella perfezione della natura l’esistenza di Dio. “Anche Einstein si stupiva della perfezione della natura. La verità è che siamo noi a trovare un ordine alle cose, anche quando non c’è. Non dimentichiamoci che qualunque scarabocchio può essere rappresentato con un’equazione. E per quanto riguarda le prove dell’esistenza di dio sono semplicemente sbagliate da un punto di vista logico. Nel Medioevo venivano considerate corrette, ma oggi nel campo della filosofia abbiamo fatto un’inversione della logica; queste prove sono tutte basate sul cosiddetto regresso all’infinito, sull’impossibilità di andare all’indietro all’infinito”.

Eppure la domanda sul senso della vita resta “Non tutte le domande sono sensate, e non tutte le domande sensate ammettono una risposta: in particolare quelle metafisiche. Ce lo insegna la logica contemporanea. Farsi domande sul senso della vita, sul perché siamo qui, mi sembra infantile. Bisogna tenere conto del fatto che la parola “perché” ha significato solo in certi ambiti: se chiedessi perché, ad esempio, l’arancia è di colore arancio potrei arrivare a una spiegazione scientifica, ma continuando a risalire all’indietro la catena dei perché si perde all’infinito, appunto. Un po’ come quei bambini che chiedono il perché di ogni cosa”.

Lei in cosa crede? “Credo in un solo Dio, la natura; credo in un solo Signore, l’uomo plurigenito figlio della natura”.

E non teme la morte? “Quando ci sarà la morte, non ci sarò più io. Come del resto prima di nascere non ero preoccupato, per il semplice fatto che non esistevo. Credo inoltre che se smettessimo di avere questa paura tremenda della morte vivremmo più a fondo. Così la rimuoviamo e basta. E invece dovremmo pensare che è il prezzo da pagare per poter avere una vita interessante. I batteri sono immortali, continuano a riprodursi dividendosi, non muoiono mai. Ma che vita è quella di un batterio? Lei vorrebbe avere la vita di un batterio?”.

Venendo alle sue ultime opere, Abbasso Euclide, uscito per Mondadori, chiude la trilogia dedicata ai numeri. Ce ne può parlare? “Con i miei ultimi tre libri ho cercato di raccontare e presentare la matematica in una maniera diversa e cioè facendo scoprire la sua ‘bellezza’. Ho voluto conquistare questa affascinante avventura con un’appendice dedicata a mostrare ciò che nel corso dei secoli la geometria ha potuto fare per l’arte e l’arte per la geometria. Non in senso metaforico, ma proprio dimostrando che dietro a molte opere d’arte si ritrovano aspetti di natura matematica sorprendenti”.

...Sono fermamente convinto che una maggior diffusione della cultura scientifica avrebbe come effetto automatico una perdita di attrazione della cultura religiosa e dunque del peso sociale della chiesa che ritengo responsabile di aver ostacolato molti processi nel nostro Paese...

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Intervista a GIANALBERTO CAVAZZA Presidente Comitato UNICEF di Bologna

BAMBINI MENO SOLI E CON PIÙ DIRITTI La principale organizzazione mondiale per i diritti dell’infanzia opera in 156 paesi in via di sviluppo e in 36 paesi industrializzati attraverso i suoi Comitati Nazionali, ispirandosi ai principi della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Il dott. Gianalberto Cavazza, presidente del Comitato Unicef Bologna, ci spiega nel dettaglio gli ambiti d’azione della Onlus.

Dottor Cavazza, nello specifico UNICEF Italia di cosa si occupa? UNICEF Italia opera per l’attuazione dei diritti dell’infanzia e per promuovere cambiamenti positivi di lungo periodo per i bambini e gli adolescenti che vivono sul territorio italiano. Le attività dell’UNICEF Italia sono dirette ad influenzare le istituzioni (Governo, Parlamento, Regioni e Comuni) affinché attuino leggi, politiche e prassi conformi alla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In particolare, i nostri ambiti d’azione sono inerenti: povertà dei bambini, garante per l’infanzia, minorenni di origine straniera, giustizia minorile, aiuto allo sviluppo, violenza sui minorenni, bambini senza famiglia.

Ci spiega cosa si intende per Garante per l’infanzia e l’adolescenza? Si tratta di un’istituzione nazionale indipendente cui affidare la promozione e la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, allo scopo di valorizzare il

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ruolo degli organi e dei servizi del sistema di protezione dell’infanzia attualmente esistente e di colmare le attuali lacune dello stesso sistema, in particolare in relazione a coordinamento, consulenza e sostegno degli “attori” sulla scena, di educazione di adulti e minori, di formazione periodica degli operatori.

L’Italia è tra i paesi con il tasso di povertà infantile più elevato: 723.000 minori vivono in condizioni di povertà assoluta, il 15,9% in povertà relativa e addirittura il 32,3% è stimato a rischio. Che strumenti utilizzate per arginare il problema? Il programma “Italia Amica dei Bambini” rappresenta l’insieme delle iniziative e azioni che l’UNICEF Italia realizza nel territorio nazionale per la promozione e la tutela dei diritti dell’infanzia in Italia. Durante la recente campagna per il rinnovo del Parlamento, UNICEF ha presentato il documento “#Votaperibambini - Diritti in Parlamento”, e le firme di sottoscrizione dei cittadini raccolte a sostegno dell’iniziativa sono state migliaia. Nel documento l’UNICEF Italia ha formulato


10 proposte sulle priorità per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia: su queste proposte abbiamo chiesto un impegno concreto ai leader politici, ma chiediamo anche l’opinione di tutti i cittadini, per un impegno comune in favore di bambini e ragazzi, presente e futuro del nostro Paese.

Secondo i dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) la popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 2011 è pari a 4.570.317, circa 993.238 sono minorenni: cosa si può fare per combattere la loro discriminazione ed esclusione sociale? I minori di origine straniera presenti a vario titolo sul

territorio italiano sono spesso la classe più debole e maggiormente esposta, i primi a subire la crisi dello stato sociale e dell’economia. La campagna condotta da UNICEF “Io come tu” (diritto di cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri) è uno dei tanti progetti su cui la nostra associazione si è mobilitata per combattere qualsivoglia atto o pensiero discriminatorio nei confronti dei minori.

Parliamo della giustizia minorile: UNICEF Italia che cosa fa a riguardo? Anzitutto vigiliamo affinchè venga rispettata la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori: di recente inoltre abbiamo presentato un documento di indirizzo dal titolo “Linee guida per la riforma della giustizia minorile in Italia”.


La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza. Quali azioni portate avanti per promuovere il rispetto del diritto alla protezione dalla violenza?

Avere una famiglia che si prende cura è uno dei diritti fondamentali di ogni bambino. Sosteniamo e accompagniamo le istituzioni che operano nell’ambito dell’affido e dell’adozione, collaboriamo nell’opera di adeguamento di regolamenti e leggi in materia.

Siamo tutti quotidianamente impegnati in azioni d’informazione e formazione, rivolte sia ai minori che agli adulti: fondamentale la collaborazione con la scuola, le istituzioni e gli enti locali.

In Italia ci mobilitiamo per favorire il cambiamento sociale e migliorare la vita dei bambini più svantaggi ed emarginati. Nel mondo operiamo per salvare la vita dei bambini: un esempio per tutti è il progetto “Vogliamo 0” che si pone come obiettivo quello di annullare il numero di bambini, 19.000, che ogni giorno muoiono per cause prevenibili.

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Intervista a GHERARDO COLOMBO

Ex magistrato

UNA SOCIETÀ DOVE LE REGOLE VALGONO PER TUTTI Gherardo Colombo, ex magistrato del pool milanese di “Mani Pulite”, ora presidente della Garzanti, dopo aver condotto celebri inchieste nel corso della sua carriera, ha deciso di ritirarsi dal servizio per promuovere iniziative a difesa della legalità, della giustizia e del rispetto delle regole.

Colombo, che proprio per tale attività ha ricevuto il Premio Nazionale Cultura della Pace 2008, incontra dai 40.000 ai 50.000 ragazzi l’anno, in ogni parte d’Italia. Lo chiamano sopratutto alle superiori, alle medie e qualche volta anche alle elementari. Di solito gli “incontri” tenuti da Colombo consistono generalmente in un’esposizione interattiva della durata complessiva di circa un’ora, alla quale segue una parte più specificamente dedicata alle domande, per un tempo complessivo di circa due ore, e vi partecipano dai 200 ragazzi in su. “La mia convinzione profonda – spiega Colombo – è che in uno stato di diritto, uno stato in cui tutti partecipano, anche se indirettamente, alla gestione della cosa pubblica e in cui esistono delle strade per modificare le regole che si ritengono ingiuste, le regole esistenti vadano osservate e basta. Ma è anche necessario fare una specie di gerarchia delle regole, poichè ci sono delle regole che hanno un

rilievo eccezionale per la convivenza e ce ne sono altre che invece hanno un rilievo molto più limitato”. “La giustizia – prosegue Colombo - non può funzionare se i cittadini non hanno un buon rapporto con le regole. Potevo continuare a fare il magistrato per altri quattordici anni, ma ho deciso di smettere e di dedicarmi alla riflessione sulle regole proprio perché la ritengo indispensabile per il funzionamento della giustizia”. Ma Colombo non si limita solo alla sua instancabile attività educativa attraverso gli incontri nelle scuole, tanto da dedicare all’argomento “regole” diversi libri, tutti ricchi di interessanti spunti di riflessione, come ad esempio “Sulle regole” ed “Educare alla legalità”. Educare i figli, aiutarli a crescere e a diventare cittadini responsabili è un compito molto difficile, come sa bene ogni genitore. A questo proposito, il suo libro “Le regole raccontate ai bambini”, scritto in collaborazione con l’autrice Marina Morpurgo, vuole rappresentare un piccolo aiuto in questo complesso ma affascinante percorso

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educativo. Con parole facili e concetti semplici, infatti, introduce i bambini (e i loro genitori) nel mondo del diritto e ci ricorda che solo rispettando le regole avremo una società in cui saremo tutti liberi allo stesso modo. Ma “Allegropoli”, il paese di cui ci parla Colombo, dove ciascuno tira acqua al suo mulino e nessuno rispetta le regole, è davvero un mondo così immaginario? E una società senza regole può esistere o è destinata a crollare? E’ vero, le regole Colombo vuole raccontarle ai bambini, ma il messaggio è adattissimo anche per gli adulti, rappresentando una straordinaria lezione di educazione civica. Secondo Colombo infatti è importante parlare di regole con tutti, adulti e piccini, poichè in questo paese vi è un rapporto molto difficile tra le persone e le regole che, se fossero più rispettate, ci farebbero vivere meglio. E’ necessario perciò riuscire ad entrare nella relazione tra persone e regole, in modo che si capisca che, osservandole, si può vivere in una società più armonica,

nella quale ciascuno riesce a realizzarsi. Le regole, secondo Colombo, non sono precetti astratti, ma hanno ciascuna un criterio ispiratore. Una delle più importanti consiste nella convinzione che “ogni persona ha un valore, una sua dignità, e che tutti gli individui hanno qualcosa in comune. Questo qualcosa riguarda l’umanità intera: non siamo simili solo ai componenti della nostra famiglia, ai tifosi della nostra squadra di calcio, a chi ha la pelle bianca, scura o gialla come noi. Siamo simili anche a chi apparentemente è molto diverso da noi, sia nell’aspetto che nelle idee”. In sintesi, Colombo cerca di far passare il messaggio che sta a noi dimostrare che un mondo migliore è possibile, che il ruolo di sudditi può essere rifiutato per far posto al rango di cittadini. Ma questo comporta un piccolo grande gesto di coraggio: non voltarsi dall’altra parte davanti al sopruso, pur se non ci tocca direttamente; non tollerare l’arroganza contro i deboli; essere noi i primi ad osservare la dignità altrui e a tutelare il bene comune.



Intervista a SERENA DANDINI conduttrice televisiva e autrice

e LAURA MISITI

demografa e ricercatrice

LA VIOLENZA SI ANNIDA TRA LE MURA DOMESTICHE Con ‘Ferite a morte’, prima libro, oggi spettacolo teatrale Serena Dandini ha voluto restituire voce e dignità alle 100 donne che in Italia ogni anno vengono uccise da mariti, fidanzati, fratelli

“Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti, l’ha detto mia mamma agli inquirenti, avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti. Era lì che fumava vicino al caminetto e non ce ne siamo accorti, avevamo il mostro proprio in casa e non ce ne siamo accorti, guardava la partita e non ce ne siamo accorti”. Comincia così “Ferite a morte”, una spoon river italiana per restituire la parola alle donne vittime del femminicidio. Prima libro, poi spettacolo teatrale, il progetto di Serena Dandini in collaborazione con la demografa e ricercatrice del Cnr Maura Misiti, che ha studiato il fenomeno del femminicidio, nasce per fermare la violenza contro le donne. Per questo il 26 di giugno la tournée approderà al Parlamento europeo, mentre a ottobre “Ferite a morte” sarà con tutta probabilità rappresentato a New York nel Palazzo di vetro dell’Onu. Mentre nel nostro Paese dalle autrici di Ferite a morte è partito un appello per gli Stati generali contro la violenza sulle donne che ha coinvolto intellettuali, conduttori, giornalisti, uomini e donne di spettacolo. Ecco come ci sono riuscite.

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Come nasce l’idea e perché? Serena Dandini: “Ho letto decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: e se le vittime potessero parlare?”. Maura Misiti: “È dal 1997, cioè da quando è nato il Ministero della pari opportunità che studio la violenza sulle donne. Quando mi ha chiesto di collaborare mi è parsa una grande opportunità quella di usare uno strumento potente come quello della drammaturgia”.

Di cosa si parla quando parliamo di femminicidio SD: “È una carneficina sottovalutata, ancora oggi si parla di delitto passionale, di raptus improvviso quando il femminicidio è la punta di un iceberg: dietro a que-


ste morti c’è la violenza domestica maschile su donne inermi in case”. M.M: “Le cifre parlano chiaro, il numero di omicidi è calato, ma mentre a diminuire sono le vittime di sesso maschile, le donne uccise sono sempre le stesse. E questo è vero in tutto il mondo. Il femminicidio è questo”.

Eppure molti ritratti di donne sono anche ironici. S.D. “Volevo che, almeno da morte, potessero raccontare la loro versione. Anche per liberarle dalle pagine di cronaca nera o dall’accanimento di certi talk show, dove spesso diventano cadaveri da vivisezionare e così vengono uccise una seconda volta. Spesso chiamate per nome con una familiarità quasi oscena”.

dovuto amarle e proteggere in una comunità dove tutti sapevano, ma nessuno si è mosso per difenderle o se lo ha fatto ha fatto troppo poco”. M.M.: “Sì, sono quasi tutte donne che avevano deciso di lasciare i propri uomini, talvolta proprio per non subire più violenze”.

Come contrastare il fenomeno? S.D.: “In Italia una donna ogni due o tre giorni muore per mano di un marito, un amante, un fidanzato, un ex compagno e nonostante ciò non esiste un monitoraggio nazionale. Non ci sono dati ufficiali sul femminicidio e i numeri che abbiamo arrivano dal Centro delle donne di Bologna”.

M.M. “Ci siamo ispirate a storie vere ma poi le abbiamo rielaborate, proprio per sfuggire alla morbosità dei media. Anche se a ispirarci è stata la morte di Carmela Petrucci, la ragazza palermitana accoltellata per difendere la sorella dalla furia dell’ex fidanzato. A Palermo abbiamo incontrato i suoi compagni di classe”.

M.M: “Chediamo che l’Italia ratifichi la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne come richiesto dalla Convenzione “No More!” di cui facciamo parte e che da tempo si batte sull’argomento. Non servono tanto nuove leggi ma semmai una legge quadro che riordini quelle che ci sono per poi farle applicare”.

C’è qualcosa che accomuna queste donne?

Dal libro allo spettacolo teatrale “Ferite a morte” oggi è quasi un soggetto politico.

S.D: “Che si tratta quasi sempre di morti annunciate. Sono donne uccise per mano di uomini che avrebbero

S.D: “La violenza sul corpo delle donne è una questione politica, riguarda la convivenza civile all’interno del-

Le donne al potere sono bravissime, sono più fedeli e leali, anche troppo poco carrieriste e siccome so per esperienza che cosa significa dover conciliare lavoro, figli, famiglia, cerco di consentire alle persone di conciliare i tempi lavorativi con quelli umani

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la nostra società. Ancor prima che materia giuridica, è emergenza culturale. Coinvolge tutti, uomini e donne. Per questo chiediamo al Governo di convocare con massima urgenza gli Stati Generali contro la violenza sulle donne. La lotta contro ogni forma di sopruso, fisico e psicologico, verbale e virtuale, deve essere la priorità dell’agenda politica di Governo e Parlamento.

M.M: “È una responsabilità che ci siamo assunte. In questi mesi oltre che i teatri siamo andate nelle scuole, abbiamo incontrato le associazioni attive sul territorio. Per fermare la violenza bisogna partire dalla prevenzione come altri Paesi hanno già fatto e attivare una rete di servizi che funzioni prima che sia troppo tardi”.


Intervista a MARIA RITA PARSI DI LODRONE

Scrittrice, psicologa e psicoterapeuta

IL FUTURO NELLE MANI DEI NOSTRI FIGLI Iniziamo col costruire un mondo in cui al primo posto siano messi i bisogni, le speranze, la creatività dei bambini, dei preadolescenti e degli adolescenti. Essi sono l’oro e il petrolio del mondo.

Parlando del diritto di essere persona, non poteva mancare la sua voce, come psicoterapeuta e in quanto membro del Comitato ONU per i Diritti del Bambino, individui troppe volte trascurati. Quali sono gli specifici diritti civili, politici, economici, sociali e culturali in favore dei bambini? E vengono sempre rispettati? Si fa un gran parlare di diritti e di bisogni dei bambini e degli adolescenti, ma occorre ancora fare il passo fondamentale affinché, a livello nazionale ed internazionale, essi divengano pratica quotidiana. Infatti, prima ancora che parlare di criticità nel riconoscimento dei diritti, parlerei di riconoscimento sociale, per bambini, preadolescenti ed adolescenti, nei contesti dei diversi Paesi, ad essere portatori di diritti: essi hanno diritto alla vita, ad avere un nome e un’identità, ad esprimere la propria opinione su tutte le cose che li riguardano, alla libertà di pensiero, di conoscenza e di religione, alla salute, all’istruzione, al gioco e al riposo.

Prendersi “legalmente” cura di tutelare e difendere i diritti dei minori, significa anche prendersi cura del nucleo sociale di ogni società: la famiglia. Un’entità che sta scomparendo, o che a volte è luogo di dolore. Cosa si può fare per garantire a ogni bambino il diritto al rispetto e all’amore? Scrive Freud: “La sorte del bambino deve essere migliore di quella dei suoi genitori… Le leggi della natura, al pari di quelle della società, debbono essere abrogate in suo favore, egli deve davvero ridiventare il centro ed il nocciolo del creato, quel “Sua Maestà il Bambino” che i genitori si sentivano un tempo”. Un’altra importante sollecitazione ci viene dal pedagogo Klaus Dieter Kaul che, nel suo decalogo, ci insegna ad ascoltare i desideri dei bambini: “dateci amore”, “dateci attenzione”, “rispettate i nostri tempi”, “rimanete al nostro fianco”, “consentiteci di sbagliare”, “dateci la vostra guida”, “dateci regole chiare”, “siate affidabili”, “mostrateci l’amore che provate”, “date spazio alla gioia”.

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I tribunali, nelle innumerevoli cause civili di separazione e divorzio tra coniugi, capaci di durare anni e anni, come tutelano – se lo fanno – i diritti dei figli minori in quanto persone? Quando l’amore passa dal territorio delle emozioni a quello delle responsabilità, si entra nel territorio della giurisprudenza: nei tribunali il matrimonio ha a che fare assai spesso con i tradimenti, gli abbandoni, i divorzi, le guerre per gli alimenti, gli scontri per l’affidamento e, alle volte, anche con le violenze domestiche. Soltanto la visione “Bambinocentrica” può rappresentare l’unica vera e ultima “Rivoluzione” possibile. Ogni sfruttamento, anche indiretto, dei bambini, delle loro potenzialità, dei loro bisogni psico-fisici e dei loro diritti, è il frutto di

una visione “adultocentrica” della realtà, che ai bisogni e alle esigenze dei minori antepone gli interessi e le rivalse degli adulti.

Lei ha detto che “la felicità è un’aspirazione che accomuna ogni essere umano, un’esigenza legittima e un diritto innegabile” e nel suo libro “La felicità è contagiosa” apre dicendo che “la felicità sta nella libertà e la libertà nell’indomito coraggio”. Serve coraggio per difendere valori non alienabili come quello di essere persona? E come si trova, o s’impara, il coraggio? Le parole di Pericle devono servirci da monito: “Il segreto della felicità è la libertà e il segreto della libertà è


il coraggio”. E il vero coraggio consiste nella capacità di operare scelte che non siano sottomesse alla schiavitù della paura, del bisogno, dell’opportunità, del giudizio, del timore, del ricatto, della sopraffazione, dell’angoscia di morire e di quella di vivere. Parlare di coraggio, in tempo di crisi, significa innanzitutto intraprendere un cammino di ricerca, un percorso consapevole in grado di lasciare ai pensieri più profondi, alle esigenze più nascoste e alle idee più coraggiose, la forza di esprimersi e di trasformarsi in azione contagiosa.

In questo momento storico, in cui la negatività pervade ogni ambito della società, rischia di riaffermarsi con prepotenza la legge del più forte, dove i deboli e le persone in difficoltà avranno meno possibilità di far

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valere i propri diritti. Come ridurre il rischio di una società dove certe persone sono invisibili? Il mondo è pieno di emergenze dimenticate. Secondo l’Unicef, nel mondo, sono almeno cinquanta milioni i piccoli che non vengono registrati all’anagrafe, oltre cento milioni i bambini che non hanno visto un’aula scolastica, centinaia di migliaia le vittime di catastrofi naturali, o guerre, che si consumano lontano dai riflettori dei media. L’invisibilità non è una condizione eccezionale: è la norma per troppi drammi vicini e lontani. Iniziamo col costruire un mondo in cui al primo posto siano messi i bisogni, le speranze, la creatività dei bambini, dei preadolescenti e degli adolescenti. Essi sono l’oro e il petrolio del mondo.

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Intervista a FRANCESCO CAMPIONE

Tanatologo e docente di Psicologia clinica. Coordina il Servizio di Psicologia degli Hospice bolognesi

LA DOLCE MORTE ...La qualità della vita deve tenere conto del singolo, della persona, della sua unicità. C’è poi la dimensione umana e sociale, perché intorno alla persona malata che muore, esiste un quadro di relazioni e la presa in carico deve riguardare anche queste.

Il diritto di essere persona e non solo paziente, come può essere riconosciuto? Nel sistema hospice siamo molto avanti, c’è un sensibile sforzo programmatico di umanizzazione dell’assistenza. È una zona della sanità privilegiata, di iniziative che nascono dal privato sociale, in convenzione col pubblico, in una relazione di sussidiarietà. Le persone che stanno morendo hanno senz’altro dei bisogni, ma vanno considerate le diverse dimensioni del problema. C’è una dimensione biologica, dove troviamo la lotta per continuare a vivere e quando non è più possibile, per garantire la migliore qualità di vita, attraverso la medicina palliativa. Poi le persone hanno la loro storia, quindi delle aspettative e la risposta non può essere solo medica, ma deve essere anche psicologica, perché la qualità della vita deve tenere conto del singolo, della persona, della sua unicità. C’è poi la dimensione umana e sociale, perché intorno alla persona malata che muore, esiste un quadro di relazioni e la presa in carico deve riguardare anche queste. Quindi i bisogni sono biologici, personali e umani. I primi derivano dalla malattia che uno ha, dai dolori che prova, dai sintomi, i secondi da chi si è, come si

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concepisce il rapporto con la vita, e i terzi dalla gestione che ognuno ha delle relazioni con gli altri. Il singolo bisogno è quindi diversificato: per esempio il bisogno di combattere la sofferenza può essere un bisogno biologico di alleviare il dolore, un bisogno personale di fare in modo che la sofferenza non ti faccia smettere di essere te stesso, un bisogno umano che la sofferenza non ti rovini le relazioni.

Quali sono i diritti di chi assiste un paziente in condizioni di fine vita? Il diritto fondamentale di chi assiste è di non essere lasciato solo, di essere supportato, formato e aiutato nelle situazioni critiche. È un diritto che va a ricadere sul diritto del paziente di essere assistito, perché se entra in crisi chi assiste, ne risente il paziente. Ma questo diritto nella maggior parte delle strutture sanitarie non viene soddisfatto, c’è poca formazione, se ti coinvolgi troppo emotivamente nessuno ti aiuta e dal punto di vista delle istituzioni non ci sono risorse dedicate. A volte poi da chi assiste ci si attende come un dovere che risponda ad aspettative impossibili. L’errore sta nel partire dal bisogno da soddisfare, senza indicare come e soprattutto chi deve soddisfarlo. Per



esempio, oggi tutti pensano di avere diritto a una sanità competente, ma la competenza si confonde con le aspettative. Se queste sono eccessive, si può scambiare l’ignoranza per una mal prassi. Se poniamo la questione sui diritti, altri devono avere dei doveri, ma se c’è bisogno di una collaborazione, il fatto di individuare delle controparti non favorisce la relazione. Tu vai in un posto e pensi di avere un certo diritto, capisci che non può essere soddisfatto per limiti oggettivi: se sei in uno spirito collaborativo non avrai rimostranze, diversamente lo vedi come una mancanza di doveri e lo imputi a qualcuno. Ma spesso i limiti sono di ignoranza, della scienza, della tecnica. L’impossibile esiste.

Qual è la buona morte? La buona morte dipende da come la concepiamo. Morire bene può voler dire morire alla fine di una lunga vita vissuta bene, in modo istantaneo, indolore e consapevole. In questo caso si vuole la sovranità della volontà su come si muore e quando, essere informati e aiutati a morire come si desidera. In Italia questa concezione è di una minoranza, il 15-20%. La maggioranza concepisce la morte come qualcosa di angosciante, non vuole sapere, né pensarci. Allora morire bene vuol dire morire alla fine di una lunga vita spesa bene, ma senza accorgersene. E anche questo è un diritto ed è il diritto della maggioranza, che deve riuscire a non pensarci, a rimuovere, a distrarsi, come se dovesse non morire mai. Ne possono far parte an-

che coloro che pensano che la vita sia un passaggio verso un’altra vita, ci sperano, ma non riescono a crederci: coloro che ci credono invece possono essere consapevoli della morte, esserne informati e parlarne (ma anche questi sono una minoranza del 15-20%). In quest’ottica il testamento biologico, l’eutanasia, il suicidio assistito, non possono essere contemplati, perché sono scelte che richiedono un’ottica di consapevolezza della morte come fine definitiva della vita. Ecco che tante indicazioni di parte della nostra cultura, quella più laica e materialista, non riescono a passare, perché implicherebbero una concezione della morte come morte biologica e della vita come vita biologica. In entrambe le impostazioni dette, la persona pensa alla morte come “alla mia morte”, ma ne esiste un’altra: quella di chi pensa alla morte per ciò che lascia, un figlio, le cose, i ricordi … In questo caso la buona morte è morire lasciando agli altri qualcosa di buono, così che essi non vengano distrutti e ti portino con sé. Allora anche le scelte di fine vita assumono un altro aspetto: non si tratta di stabilire prima quello che uno vuol fare, perché la volontà poteva essere quella ieri, ma oggi è diversa. Oppure, per la persona sarebbe così, ma deve tenere conto di chi lascia. Il fatto non è più dire sì o no all’una, o all’altra scelta, ma è un problema di significato. Tante persone non ne possono più, ma non chiedono di essere aiutate a morire, perché sanno di arrecare dolore. La mia morte mi appartiene, ma riguarda anche altri: devo quindi tener conto non solo di cosa significa per me, ma anche di come lascia gli altri. È il grande tema del lutto.

...I bisogni sono biologici, personali e umani. I primi derivano dalla malattia che uno ha, dai dolori che prova, dai sintomi, i secondi da chi si è, come si concepisce il rapporto con la vita, e i terzi dalla gestione che ognuno ha delle relazioni con gli altri... 44


Intervista a MARCO CIAFFONE

Responsabile editoriale Agorà Digitale

COSÌ AGORÀ DIGITALE SI BATTE PER IL DIRITTO ALLA TRASPARENZA Un’associazione no profit che si batte perché la politica non si lasci sfuggire le opportunità che le nuove tecnologie offrono. In grado di smuovere centinaia di cittadini. In nome della democrazia

Si chiama Agorà digitale ed è la principale associazione no profit che in Italia promuove lo sviluppo digitale del Paese. È nata da un gruppo sparuto di giovani preparati e molto attivi a diffondere idee e strumenti che vanno nella direzione di maggiori diritti civili, maggiore democrazia, maggiore accesso all’informazione, maggiore sviluppo economico e innovazione. Tutto grazie alla rete. Una piccola realtà che sta facendo scuola. Grazie agli obiettivi ambiziosi e soprattutto ai risultati sorprendenti. “Abbiamo Wikipedia perché qualcuno ha avuto la pazzia di sviluppare un software che permetteva a chiunque di collaborare ad una enciclopedia pubblica. Abbiamo Linux perché un ragazzo finlandese dopo aver sviluppato uno dei migliori sistemi operativi al mondo ha deciso di renderlo open source, ovvero utilizzabile gratuitamente da chiunque. Ora è il tempo che qualcuno sviluppi ciò che serve ad un governo” spiega Marco Ciaffone, responsabile editoriale di Agorà.

E che cosa serve a un governo? “Dal nostro punto di vista, innanzitutto, la consapevolezza di quanto la cosiddetta rivoluzione digitale possa ge-

nerare, rafforzare e diffondere in termini di idee e proposte che possano nutrire una politica finalmente alta, a partire da quella che è attualmente una delle nostre battaglie principali: la trasparenza”.

Il che tradotto in pratica che cosa significa? “Di impegnarsi ad aprire un canale aperto e diretto con i cittadini, per rispondere alle loro domande su pagamenti, sovvenzioni, contributi e altri investimenti finanziari delle amministrazioni e di riconoscere formalmente questo diritto di conoscenza a ogni singolo cittadino. Chiediamo a chi sta “dentro il palazzo” di agire affinché la trasparenza non resti solo uno slogan. Dall’altro, chiediamo a chi amministra Comuni, Regioni e Province di impegnarsi ad allinearsi alla disciplina degli open data”.

A proposito di open data, sono stati per voi un importante banco di prova. “Sì, è una delle nostre recenti vittorie. Il governo Monti con l’articolo 18 del decreto Sviluppo aveva reso obbligatoria per tutte le amministrazioni la pubblicazione di tutte

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le spese superiori ai mille euro. Poi però si sono verificati due problemi, il primo, molto italiano, è stato relativo alla tempistica per cui quasi nessuna amministrazione ha rispettato i tempi di pubblicazione, il secondo, è una lacuna della legge: dal momento che non esiste uno standard unico di pubblicazione dei dati. Senza uno standard condiviso diventa impossibile mettere i dati a confronto”.

Meglio che niente verrebbe da pensare “Così servono a poco. Per noi la trasparenza non ha come obiettivo principale solo quello di fare pressione sugli amministratori affinché non ci siano sprechi o peggio casi di malaffare. Per noi la trasparenza e gli open data sono fondamentali per mettere in circolo le buone pratiche. Funziona solo se c’è la possibilità di comparare, ad esempio, i dati di una regione con quelli di un’altra, altrimenti diventa un esercizio sterile”.

Cosa avete fatto allora? “Abbiamo lanciato un appello ai cittadini, lo abbiamo chiamato l’Era della Trasparenza, un progetto di citizen

activism con un obiettivo preciso: tracciare un monitoraggio di quanto siano trasparenti le amministrazioni attraverso i loro siti internet. Gli enti da monitorare erano svariate migliaia, considerando anche che il tempo a disposizione era pochissimo. Il risultato invece è stato straordinario, perché i cittadini hanno risposto a centinaia. Hanno verificato, sito per sito, i presidi online delle Pubbliche Amministrazioni, concentrandosi in particolare su Comuni, Province e Regioni, seguendo una checklist precisa degli elementi da valutare, e producendo uno dei più grandi progetti di giornalismo partecipativo e collettivo dell’informazione italiana”.

Il risultato? “No, le Pubbliche Amministrazioni italiane non sono trasparenti. Sul sito Dataninja.it si possono consultare i dati suddivisi per area territoriale e ciascuna provincia ha un indice di conformità calcolato in base al rapporto tra siti online considerati più o meno trasparenti. E purtroppo dalla nostra indagine certi stereotipi sono confermati: meglio il nord che il sud e meglio le amministrazioni a forte presenza femminile rispetto a quelle a prevalenza maschile”.


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PIETRO SEGATA

Presidente COOPERATIVA SOCIALE SOCIETA’ DOLCE

RIFLESSIONI DI UN PADRE QUARANTENNE Fatico ancora oggi ad essere un buon padre. Non so se sono stato, e sono, il figlio che meritano i miei genitori. Sicuramente ancora oggi sono un pessimo fratello. Ho perso per strada tanti dei miei migliori amici. Convivo da sempre con tutte queste insicurezze che possono generare in chi mi osserva attentamente, vere e proprie incertezze. Sovente mi sono interrogato sul perché allora così tante persone abbiano deciso di affidarsi alla mie cure e alla protezione che offriva la Cooperativa, che guido oramai ininterrottamente a Bologna sin dalla sua fondazione. Il destino infatti, che spesso è cinico, mi ha riservato, pur con questi evidenti difetti, la conduzione e la guida, da più di vent’anni, di una Cooperativa Sociale, Società Dolce, che, nella mia città e in tante altre comunità in cui è presente, ha istituzionalmente la funzione di sostenere, senza scopo di lucro, persone fragili che necessitano di aiuto. Mi sono arreso e da predestinato, quale evidentemente sono, nutrendo su di me i dubbi che vi ho appena rappresentato, ho voluto circondarmi di amici e colleghi che, meglio di me, potessero rispondere con appropriatezza ai bisogni che le persone che abbiamo accolto avevano o manifestavano di avere. Ho messo a loro disposizione le mie migliori doti: una discreta capacità lavorativa, una allenata pazienza, “cuore” e “cervello”. Con questa essenziale cassetta degli attrezzi ho cercato di costruire un ambiente accogliente e professionale che potesse adeguatamente rispondere alla complessità della sfida da noi intrapresa. Nata alla fine degli

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anni “ottanta” la nostra realtà, ancora fragile, sosteneva marginalmente i due pilastri del nostro solido sistema di “welfare state”: lo Stato e la Famiglia. Più Stato e meno Famiglia al Nord, meno Stato e più Famiglia al Sud. Un edificio che, non sotto i colpi di un evento traumatico, si è sgretolato lentamente ed oggi richiede alle forze collettive, presenti in gran numero nella nostra società, di essere una terza colonna sulla quale fondare quel “welfare comunitario”, la cui sostenibilità non potrà essere messa in discussione dalla minor produzione di ricchezza nel nostro paese per alcuni prossimi decenni. La Cooperazione Sociale in genere, la Società Dolce in particolare, sono stati i protagonisti, quindi, di questa rivoluzione copernicana dei tempi moderni. Alle nostre realtà i cittadini rivolgono e rivolgeranno, sempre più, lo sguardo, richiedendo quel sussidio che in passato era garantito dallo Stato e dalla Famiglia. Due soggetti privati quindi entreranno in una relazione diretta attivando uno scambio di forte mutualità. Scambio che per sua natura è e sarà asimmetrico, tra un soggetto collettivo che appare forte, socialmente ed economicamente, ed un individuo spesso solo, senza Famiglia, e fragile, il tutto in assenza di gravità, ossia senza lo Stato. Le nostre realtà stanno assumendo, via, via, una nuova responsabilità oserei dire pubblica, a cui dovrà corrispondere una sempre più forte responsabilità professionale, una consapevolezza ed una diversa etica. Noi saremo presto i custodi del diritto alla felicità delle persone che ci vengono affidate.

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ISA GRASSANO

Giornalista

LIBERI DI VIAGGIARE «Ti va di prendere il largo?». «Cos’è, vuole sparire?». «Dove andiamo?». «A respirare un po’». Avete presente come inizia l’avventura del film “Quasi Amici”, con il ricco aristocratico paraplegico Philippe e il suo badante algerino Driss, ispirato a una storia vera? Oggi non è necessario essere miliardari per organizzare una vacanza felice se si è disabili, ma basta rivolgersi agli operatori turistici specializzati che sono “garanzia” di accessibilità in tut-

Alla scoperta dell’Asia, Compagnia del Viaggiatore

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to il mondo. E sono sempre di più le associazioni, le agenzie, i network che si stanno attivando per viaggi ad hoc senza limitazioni e barriere. Di recente è stato costituito il tour operator Compagnia dei Viaggiatori (www.compagniadeiviaggiatori.it) con sede a Matera: tra i primi, in Italia, a dedicarsi esclusivamente al target dei disabili, che, soli o con accompagnatori, abbiano voglia di respirare l’essenza del viaggio in maniera completa. Si avvale dell’expertise nonché della vicinanza umana legata a vicende personali, dei suoi ideatori e creatori. Africa (Botswana, Egitto, Kenya, Namibia, Sudafrica e Tanzania), Americhe (Canada e Perù), Asia (Cina e Israele). «Ogni destinazione è diversa - commenta il presidente Marco Nova - perché popolata da genti e culture differenti ma anche nell’approccio all’ospite-viaggiatore. Ci sono luoghi in cui tutto avviene naturalmente e dove l’accessibilità è la regola, come in Canada ad esempio. Altri invece, dove accessibilità significa aiuto umano, in cui le asperità della natura o le barriere architettoniche vengono superate grazie al supporto tangibile, all’esperienza e alla professionalità degli operatori locali». Sempre a Matera, l’associazione SassieMurgia (www.sassiemurgia.com) propone itinerari ad hoc per non udenti e non ve-

Destinazione Africa, Compagnia del Viaggiatore

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Percorsi in barca accessibili, Compagnia del Viaggiatore

denti. «Per coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi - spiega Luca Petruzzellis, guida turistica che ha avuto l’idea - si scelgono percorsi tra i Sassi, patrimonio Unesco, in linea di massima pianeggianti e con pochi ostacoli. Con gli ipovedenti, facciamo anche percorsi più accidentati, purché siano assistiti da accompagnatore. Ovviamente privilegiamo l’approccio multisensoriale per meglio “percepire” i luoghi visitati. Per comprendere consistenza e differenze tra i diversi tipi di roccia calcarea il tatto, ad esempio, è uno strumento formidabile».

...“ciascuno è unico, diverso e dunque straordinario, al di là delle sue maggiori o minori abilità”

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A Rieti è stato presentato il progetto “Cammino CON Francesco”, elaborato dalla cooperativa Loco Motiva (per info scrivere a coop.locomotiva@libero.it), il cui obiettivo è portare tutti sulle strade di San Francesco nella valle Santa. É prevista l’istituzione di uno sportello on-line di informazione e di un’agenzia socioturistica che sia in grado di fornire servizi di turismo sociale, trasporto, ausili e mezzi per l’accessibilità, materiale informativo, guide multimediali e sensoriali, operatori specialistici. Cercano di esaudire i sogni di tutti, anche le tre amiche marchigiane, Stefania, Valeria e Paola, molto amanti di viaggi, che hanno dato vita a Strasbordo (www.strabordo.org), un’associazione senza fini di lucro, con sede a Fabriano. Del resto già il nome è la sintesi di “straordinari a bordo di un sogno”, perché,

MAURIZIO, CUOCO. La sua passione? I dolci.

come dicono le fondatrici, «ciascuno è unico, diverso e dunque straordinario, al di là delle sue maggiori o minori abilità». Tante le possibilità di fare turismo “speciale” anche all’estero. In Gran Bretagna i turisti disabili possono provare il brivido del volo, pilotare una barca a vela, scendere le rapide di un fiume o fare free-climbing. Grazie al progetto Discover accessible, adventurous Britain e a organizzazioni come il Trust Calvert (www. calvert-trust.org.uk ), che organizza viaggi avventura all’aria aperta in diverse località tra cui il famoso Lake District. In Francia, l’associazione En Passant par la montagne (www.montagne.org), propone addirittura programmi di arrampicata per giovani disabili mentali. L’importante è dare a tutti la possibilità di «prendere il largo e respirare un po’».

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EMANUELA GIAMPAOLI

Giornalista

CRONACHE DI UNA RINASCITA POSSIBILE Ricominciare da capo. Come fanno i neonati che devono imparare tutto da zero. Come dovrebbe fare il mondo occidentale schiacciato dalla crisi economica. Come è stato costretto a fare un ragazzo che sognava di fare la pop star. Tre storie per un nuovo inizio

“In ambito filosofico si definisce persona un essere dotato, nella concezione moderna almeno potenzialmente, di coscienza di sé e in possesso di una propria identità. L’esempio più evidente di persona - per alcuni l’unico - è la persona umana”. Se chiedi a Wikipedia che cosa significa persona, la prima definizione che salta fuori è questa. Una persona è un essere umano. Un concetto semplice, assoluto, chiaro. Che non sempre trova riscontro quando a persona associamo il termine diritti. A riportarci a questo concetto e alla sua semplicità disarmante è la visione di “Bebè”, documentario del regista francese Thomas Balmès uscito per Real Cinema che in 80 minuti (ricavati da 400 ore di girato per 400 giorni di lavorazione) ha raccontato il primo anno di vita di quattro bambini nati in altrettanti luoghi del mondo. Da San Francisco alla Mongolia passando per Tokyo e la Namibia, Hattie e Ponijao, Mari e Bayargal, imparano a mangiare, muoversi, camminare alle diverse latitudini del globo con la stessa sfrontatezza, disintegrando pregiudizi e differenze tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud. E restituendoci la fiducia nel genere umano. Cambia il contesto, ma non la speranza in un futuro migliore con il nuovo spettacolo dei Motus, tra le compagnie più rap-

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Documentario Bebè di Tomas Balmès


Scena dallo spettacolo Tempesta dei Motus

presentative del teatro di ricerca in Italia. L’ispirazione arriva dal celebre dramma di Shakespeare “La tempesta” che i Motus hanno riletto attraverso la lente del nostro presente mettendo in scena “Nella Tempesta”, in anteprima europea al Festival delle Colline Torinesi e poi in scena a Drodesera festival. “Leggendo e rileggendo quest’ambigua opera, ritroviamo – spiega la compagnia – trasfigurate, tante sorprendenti coincidenze con domande che ci assillano da tempo, così abbiamo deciso di “gettarci” nella tempesta. È un testo che accoglie nel suo tessuto diversi tumulti, più livelli di scompiglio e tante tempeste sia sul piano individuale che di sistema: la “Macro-tempesta” economica in cui siamo immersi; l’ostile rapporto fra etnie differenti, fra i viaggiatori-migranti; l’eterno conflitto fra generazioni e last but not least, la tempesta che sconvolge e rovescia il rapporto tra margini e centro, tra rappresentante e rappresentato, tra reale e politico e… tra chi controlla e chi fugge la sorveglianza”. Un’opera, come sottolinea la compagnia riminese che non inscena un mondo che finisce, ma un mondo che comincia. Di rinascita narra anche “Ap-

© Foto di Andrea Gallo

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Scena dallo spettacolo Tempesta dei Motus

© Foto di Andrea Gallo

nea” di Lorenzo Amurri, un romanzo che narra di storia vissuta, reale e forse per questo davvero toccante. Lorenzo Amurri era un chitarrista di talento, figlio dello scrittore Antonio Amurri e appartenente ad una famiglia di artisti. In Apnea ha raccontato il suo dramma personale che lo ha portato a perdere l’uso dell’80% del suo corpo a seguito di un incidente sulle piste da sci. Il libro è il resoconto fedele e doloroso di quel che è successo dopo quella tremenda caduta. Il trasporto in ospedale in elicottero, il coma farmacologico, la lunga operazione alla colonna vertebrale, i mesi della riabilitazione ma soprattutto il lento, faticosissimo ritorno alla vita, alla società, agli amici, alla musica. “Viaggio lungo una linea d’ombra costante dove non batte mai il sole, dove i giorni si susseguono identici e noiosi, dove non esistono colori ma solo immagini sfocate in bianco e nero, dove ho la sensazione di non far parte del mondo che mi circonda, e dove il frastornante rumore dei miei pensieri copre le voci di chi mi vorrebbe aiutare”. Scrive Amurri di quel periodo. Due anni di apnea, appunto. Poi “la voglia di vivere. E’ uscita nuovamente fuori con grande forza. Devi capire che la vita è bella, e se il cervello funziona, va vissuta” ha spiegato Amurri.

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Romanzo Apnea di Lorenzo Amurri


ANCHE IL PIACERE È UN DIRITTO

Premiato al Sundance Film Festival 2012 dal pubblico e dalla giuria con un premio speciale per il cast, chi lo avesse perso in sala, non si lasci sfuggire il dvd di “The Sessions-Gli incontri” il film che Bar Lewin ha dedicato alla storia vera del poeta e giornalista Mark O’Brien. Disabile costretto come conseguenza della polio a vivere in un polmone d’acciaio, pochi anni prima di morire decise però di voler provare il sesso nella vita. Per farlo si rivolse a una terapista speciale, la sex surrogate Helen Hunt (che per questo ruolo è stata candidata all’Oscar) specializzata in terapie sessuali con i disabili. Quella terapista nella realtà si chiama Cheryl Cohen Greene e il film si concentra su uno dei casi più particolari della sua vita che ha raccontato nel libro “Sessioni d’amore” in Italia pubblicato da Corbaccio.


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Assistiamo Casa Il progetto ASSISTIAMO CASA si inserisce nel panorama dei servizi alla persona con uno spirito nuovo, perché si rivolge direttamente ai “CITTADINI” e ai loro care giver per offrire un panorama ampio di risposte ai bisogni di cura presso il proprio domicilio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’Assistenza Domiciliare come “la possibilità di fornire a domicilio del paziente quei servizi e strumenti che contribuiscono al massimo mantenimento del benessere, salute e funzione”. Proprio da tale principio Società Dolce da molti anni ha studiato e ricercato un percorso di vicinanza alla popolazione, che ha portato alla nascita di ASSISTIAMO CASA insieme ad altri partner quali CAMST, UMANA, OTTOBOCK, NCV, Gruppo Admenta Farmacia Comunale e Lloyds Farmacia. La rete dei partner così costituita riesce a garantire la presa in carico della persona in modo repentino e totale, favorendo un percorso di riabilitazione, di accompagnamento all’autonomia, di sostegno nei momenti più difficili, in modo professionale e garantito. Società Dolce organizza e coordina il percorso di assistenza, relazionandosi sia con i professionisti che con i familiari; Ottobock coadiuva medici e terapisti con soluzioni personalizzate per la riabilitazione di persone con limitata mobilità; Umana, agenzia per il Lavoro, fornisce una selezione per l’assunzione di assistenti familiari, badanti o colf; Camst, specialista nella ristorazione collettiva, produce e consegna pasti al domicilio dei clienti; NCV, cooperativa specializzata nei progetti di logistica terzializzata, porta direttamente a casa dei clienti farmaci, presidi, 24h su 24, ma anche la spesa; Gruppo Admenta Farmacia Comunale e Lloyds Farmacia offre servizi autotest diagnostici, preparazione kit medicine settimanali. ASSISTIAMO vuole portare a casa dei cittadini i servizi di cura e riabilitazione necessari per garantire un alto livello di qualità assistenziale, evitando l’ospedalizzazione impropria e favorendo il mantenimento a domicilio del proprio familiare. L’elemento di identificazione di ASSISTIAMO è la possibilità di integrazione tra l’equipe sanitaria e socio assistenziale con i care giver di riferimento del paziente con l’obiettivo di presentarsi come un servizio unico ad alta complessità, in grado di garantire un innovativo processo di integrazione con chiunque sia responsabile delle azioni di cura della persona.

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Esperienza genitoriale nella prima infanzia: da Milano a Bologna La scorsa primavera è stata pubblicata la ricerca dal titolo “L’esperienza genitoriale nella prima infanzia e percezione dei servizi”, nata dalla collaborazione pluriennale di Società Dolce e SWG nell’analisi periodica delle richieste per i servizi che la cooperativa offre nei territori dove opera. Lo studio è stato basato su 650 interviste a famiglie e arricchito da web discussion sui dati più rilevanti. Un focus ha permesso inoltre di analizzare nello specifico e mettere a confronto la regione Emilia Romagna e la Lombardia. La pubblicazione è stata presentata da Caterina Segata, responsabile dell’area sede infanzia e da Rado Fonda, direttore di Ricerca SWG, in occasione dell’iniziativa Milano 13. All’interno del percorso proposto dalla città ha avuto luogo il Convegno Nazionale dal titolo “La città si prende cura dei suoi bambini” che ha portato l’attenzione sulla questione fondamentale dei diritti dell’infanzia e si è articolato in due giornate di dibattito e riflessione pedagogica fra gli operatori dei servizi all’infanzia, insieme con i genitori. Una nuova occasione d’incontro sarà organizzata dalla nostra cooperativa, questa volta a Bologna, in una tavola rotonda che si terrà il 30 gennaio 2014 presso l’Oratorio San Filippo Neri.

CREATTIVITÀ. Per la crescita e l’inclusione degli alunni con disabilità Il Convegno, realizzatosi il 18 maggio 2013 a Concordia sulla Secchia (MO) presso l’Istituto Comprensivo “Sergio Neri”, è stato organizzato da Società Dolce in collaborazione con il Comune di Concordia sulla Secchia e l’Istituto Comprensivo. L’iniziativa, ad un anno dal sisma che ha colpito le popolazioni emiliane, si è proposta di mettere in luce la presenza attiva e l’impegno profuso da parte di tutte le istituzioni nella realizzazione di progetti innovativi, dando voce alle esperienze di buone prassi di integrazione scolastica e sociale realizzate a scuola e nel territorio. Tutte pratiche ed azioni educative che, caratterizzandosi in un’ampia dimensione di intervento integrato e continuo nel progetto di vita degli alunni con disabilità, hanno reso fattiva testimonianza del lavoro di rete, quotidianamente svolto da tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti, a partire dalla figura dell’educatore (ente locale, scuola, az. USL, cooperative, istituzioni del territorio, famiglie, alunni).

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Cresce la R.S.A. di Sale Marasino Nel campo dell’assistenza agli anziani l’esperienza “lombarda” di Società Dolce ha visto la recente conferma della gestione per 9 anni della Residenza Sanitaria Assistenziale “Lorenzo e Gianna Zirotti” sita a Sale Marasino (BS), incantevole località sul Lago d’Iseo. Oltre all’utilizzo funzionale dell’attuale struttura che fornisce assistenza a 72 ospiti (60 posti accreditati e 12 posti di sollievo), Società Dolce realizzerà l’ammodernamento previsto dal bando di gara. Verrà edificato un ampliamento che ricomprende ulteriori 12 posti di sollievo e una nuova palestra di fisioterapia. La R.S.A. è integrata nella nostra rete di servizi in essere nel territorio bresciano: Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune di Brescia, Assistenza Domiciliare Integrata presso l’ASL della Provincia di Brescia (Distretti Socio Sanitari 1-2-4-5-6-7), Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune di Iseo, Servizio di Assistenza Domiciliare della Comunità Montana del Sebino Bresciano, Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune di Paratico, Centro Diurno Integrato con alloggi per anziani “Centro Sereno” del Comune di Paratico, Nido d’Infanzia “Gli Aquiloni” del Comune di Paratico. Si continuerà a lavorare al fine di creare sinergie ed opportunità reciproche tra i vari servizi di cui trarranno beneficio utenti, operatori e committenti realizzando una fattiva forma di sussidiarietà nel campo socio sanitario ed assistenziale.

All’Hospice ci sono degli angeli Salve, volevo ringraziare pubblicamente tutti i medici e paramedici della struttura “Villa Adalgisa” di Borgo Montone. Dopo 10 mesi di malattia mio padre è stato trasferito in questo centro per essere “accompagnato” a quello che era inesorabilmente il suo destino… Devo essere sincero, per me e mia mamma questo centro inizialmente l’avevamo visto come una “casa della morte” invece subito dopo aver varcato la soglia di questa struttura e aver parlato con il personale ci siamo resi conto della professionalità e dell’umanità di tutti questi ragazzi. Siamo stati tutti coccolati, curati e seguiti in maniera encomiabile. Nessuna parola può rendere omaggio al lavoro svolto da tutto il personale e sia io che mia madre continueremo a ringraziarli tutta la vita per aver reso dignitosi gli ultimi giorni di vita di mio padre Andrea. Grazie ancora di cuore. (Mattia e Giovanna)

Sono parole come queste che aiuteranno il personale di Villa Adalgisa a continuare ad affrontare il loro difficile compito. Non è la prima lettera d’elogio che arriva in redazione per la struttura di Borgo Montone, aperta da pochi mesi. Un piccologrande segnale della qualità del lavoro svolto in silenzio dagli operatori. andrea.degidi@ilcarlino.net Tratto da Il Resto del Carlino, Ravenna, Noi ravennati di Andrea Degidi, 2/10/2013

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Assistenza sanitaria integrativa Dalla scorsa estate tutti i dipendenti di Società Dolce possono fruire di una forma di tutela “assicurativa” che permette di integrare e/o di sostituire le prestazioni pubbliche nell’ambito di servizi medico-sanitari ed assistenziali e di avere quindi un ritorno finanziario delle spese da sostenere o sostenute. L’assistenza sanitaria integrativa, il cui costo come da art. 87 del CCNL è totalmente a carico della cooperativa, altro non è che una forma di retribuzione indiretta, esente oltretutto da imposizione fiscale, a vantaggio di ciascun dipendente della cooperativa. Società Dolce ha scelto di aderire a FAREMUTUA, la quale ha affidato ad UNISALUTE la gestione operativa del piano sanitario. Tra le prestazioni che rientrano nel piano sanitario ricordiamo: ospedalizzazione domiciliare a seguito di malattia o infortunio; prestazioni di alta specializzazione (alta diagnostica radiologica, accertamenti e terapie); visite specialistiche e ticket per accertamenti diagnostici; trattamenti fisioterapici riabilitativi a seguito di infortunio; prestazioni odontoiatriche particolari; servizi di consulenza ed assistenza. Per accedere ai vantaggi previsti dal piano sanitario: UNISALUTE numero verde 800-009606; www.unisalute.it

Contenzione o protezione? Sala piena, motivata partecipazione e sorprendente successo per il seminario nazionale organizzato dalla cooperativa sociale Società Dolce e Anaste, su “Contenzione o protezione? Aspetti assistenziali, sanitari, sociali e legali nell’uso delle contenzioni”, svoltosi lo scorso 18 ottobre a Bologna, presso la Sala del Centro Rubbi e riconosciuto coi patrocini del Ministero della Salute, della Regione Emilia Romagna, del Comune di Bologna. Il seminario si è posto l’obiettivo di informare il pubblico sulle caratteristiche dei mezzi di protezione, sul loro uso, sulle conseguenze della pratica dal punto di vista tecnico, legale, sociale ed etico. L’unicità dei contenuti risiede nell’originalità di un confronto, mai avvenuto prima sul tema, che ha raccolto diversi punti di vista, guardando alla pratica della contenzione da un’ottica innovativa, proponendo possibili alternative all’uso della contenzione in geriatria, attraverso attività capaci di ridurre i disturbi comportamentali e l’agitazione, in pazienti con deterioramento cognitivo. Altissimo il livello qualitativo degli interventi dei relatori, che si sono susseguiti dopo i saluti di Irene Bruno, presidente della sezione bolognese e consigliere regionale Anaste e di Pietro Segata, presidente di Società Dolce, che con un’analisi breve, lucida e contestualizzata, ha proposto l’istituzione di un tavolo tecnico politico a livello nazionale, per la concertazione di linee guida sulle contenzioni, ad oggi ancora assenti. Per approfondimenti: www.xaltro.it

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CON LE PERSONE, PER LE PERSONE

di Zazza

NEL PROSSIMO NUMERO

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