Campo in Scozia Erano le 5 di mattina. L'autobus correva lungo la strada, avevamo appena oltrepassato il confine. Il verde delle colline già ci circondava lì nell'autostrada. In quel momento mi sentivo come in quel film nel quale quel medico scozzese lasciò tutto per andare in Africa, in Uganda, nell'ignoto. Peccato che non ero in Africa ma nella terra che aveva abbandonato, nè tanto meno ero un medico ma solo uno studente in cerca della sua strada. Glasgow mi diede il benvenuto alla sua maniera: con la pioggia. Scesi dall'autobus ognuno per la sua strada e io, beh io mi sentivo spaesato. Non mi aspettavo tutto quel freddo, era estate in fin dei conti. Girare per una città con lo zaino in spalla non è mai facile, è straziante soprattutto se quello zaino rappresenta il proprio armadio per due settimane. La città a quell'ora era ancora addormentata, le vie vuote e impregnate da quello strano odore di umido unito al fumo. Io e Jerome, il ragazzo belga che avevo incontrato il giorno prima a Londra, eravamo soli per strada. Girammo per il centro, vedemmo tutto ciò che potemmo in quelle condizioni e poi entrammo nel museo d'arte moderna. Dopo aver ammirato, con i nostri evidenti limiti, le opere esposte, ci addormentammo davanti a quel magnifico film artistico che proiettavano al piano terra, mai sedia fu più deliziosa. Alle 14 ci dovevamo vedere alla stazione degli autobus. La vidi in lontananza e non ci volevo credere, ma era proprio lei, Bex, la nostra campleader. Pantaloncini corti, t-shirt dei Lonely Toones, sandali da frate francescano, il primo pensiero che ebbi fu "beh, forse sono io quello sbagliato". L'incontro con gli altri ragazzi è stato imbarazzante. Non ci si conosce, l'inglese è per alcuni un mezzo non proprio confortevole per esprimersi ed ecco il perché dei lunghi silenzi. L'autobus ci portò a vedere posti magnifici, il verde delle colline, i ruscelli sboccanti da ogni parte, le valli, i vari Loch Lomond e Loch Fyne, tutto era straordinario, uscito da una fiaba e poi la sorpresa, ad avvalorare la mia tesi, il castello. Eh beh, ero proprio in una fiaba... L'idilliaco paesaggio fu però subito annichilito dalla realtà dei fatti, il museo non era un paradiso. Ci accolse Bob, il direttore, insieme a Melanie, l'altra campleader. Faceva freddo, anche se era appena uscito il sole. Girandomi intorno non c'era nulla, solo mucche che pascolavano in lontananza, verdi colline, boschi, prati e il nostro museo. Quando entrammo in quella che sarebbe stata la nostra casa per le successive due settimane volevo scappare. Letti di legno degli antichi contadini delle Highlands senza materassi, ci dissero che dovevamo cominciare a fare il fuoco, altrimenti di notte saremmo morti di freddo. Ridevo, non sapevo che fare. Quella situazione era talmente tanto assurda che non poteva essere vera, eppure era così. Alla