Rochard 2015: lavoro ma non troppo

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Rochard 2015: lavoro ma non troppo Ichi, ni, san, shi, go, roku, shichi, hachi, kyu, ju. Quang è nato in Svizzera, da madre vietnamita e padre francese, con origini ebraiche. È un lavoratore instancabile, sempre pieno di energia nonostante l’età e la ferita al ginocchio. Ci ha spiegato che fare stretching prima di iniziare a lavorare può essere molto utile. È il terzo giorno di lavoro, ma quella appena trascorsa è già la quinta notte qui a Bécéleuf, un paesino di campagna nella regione francese Poitou-Charente. Volontari e locali sono insieme, prima di dividersi per svolgere le varie mansioni: martello e scalpello per alcuni, badile e carriola per altri. Le sorelle della Repubblica Ceca sono facilmente riconoscibili: capelli biondi, lineamenti austroungarici e due bandane rosse in testa del tutto identiche. Misha e Petra ruotano entrambe le braccia in avanti, ma intanto pensano a cosa cucinare per pranzo. Ancora niente gulash, perché la paprika dolce è fondamentale per la riuscita del piatto. E attenzione a non sbagliare: non è zuppa, è gulash! Sergio è accanto a loro e sembra avere un debole per le due ragazze slave. Riflette sul prossimo quesito che potrebbe fare loro: poco importa che riguardi la lingua ceca o l’organizzazione dei reparti nei supermercati del loro Paese; l’unica cosa che conta è che sia un argomento ricco di insidie, cosicché la precisazione dei vari dettagli possa durare almeno una ventina di minuti (giusto il tempo per scegliere un nuovo argomento). Sergio è messicano, ma da qualche anno vive in Texas. Negli ultimi mesi ha svolto attività di volontariato a Montendre, poco lontano da Bécéleuf, facendo parte dell’organizzazione che gestisce questo workcamp. È il leader del gruppo insieme a Chloé, che però ha un carattere totalmente diverso. Anche lei è qui, ma il suo stretching ha uno stile più elastico e snodato, ricorda i movimenti che compie quando gioca col fuoco. Ha già mostrato ai volontari la maestria con cui sa muovere le bolas, però il vero spettacolo è previsto per l’international meal, il pasto internazionale che si terrà verso la fine del campo insieme a tutti gli abitanti del villaggio. Chloé è nata in Normandia ed ora vive in una comune nei Paesi Baschi. Guadagna i soldi che le servono facendo crepes durante i mesi invernali. Per il resto, ama viaggiare e conoscere gente nuova. Ha quasi trent’anni ormai e sembra soddisfatta del suo stile di vita. Un, deux, trois, quatre… Maxime flette la gamba sinistra e si sforza di ricordare il verbo essere: I am, you are, she… she? Ah, niente da fare, l’inglese non gli entra proprio in testa. Vorrebbe interagire di più con gli altri ragazzi, ma lui, così timido, fa fatica ad integrarsi nel gruppo. Tuttavia, durante il lavoro riesce a comunicare, spesso attraverso gesti e sguardi, anche solo per scambiarsi consigli sul punto in cui dare la prossima martellata.


Eccolo arrivare trafelato: il cerchio si allarga per far posto a Dominique, il vero responsabile di ciò che accade a Rochard. Un legame affettivo lo unisce al campo di volontariato: proprio suo padre, insieme ad un gruppo di amici, comprò il cottage che ora è al centro dei nostri sforzi. Sono già passati otto anni dall’estate in cui il primo gruppo di volontari si recò a Rochard. Dominique conserva il ricordo di ognuno e non perde mai occasione di mostrare le foto di quei gruppi multiculturali che hanno apportato il loro contributo. Ruota la testa in senso antiorario una volta, poi due volte, e con la coda dell’occhio vede Giovanni, che copia con diligenza i movimenti di Quang. Lo vede e sorride, perché prova una strana simpatia per quel ragazzo italiano un po’ esuberante. Giovanni è uno dei pochi ragazzi del gruppo, ma vale doppio quando si tratta di distruggere un muro. Mentre si afferra il piede sinistro, ripensa ai giochi che ha imparato in queste sere: deve assolutamente diventare il campione indiscusso a Jungle Speed! Già dalla prima sera, è stato bello scoprire il piacere di essere un gruppo, poter stare in compagnia e dover trovare ogni volta una maniera diversa per divertirsi. Giochi in scatola, di ruolo o coi dadi, tutti i volontari hanno fatto posto nelle loro valigie per qualche passatempo. Giovanni ha deciso di portarseli tutti con sé, annotando materiale necessario e regole, nella speranza di trasportare a Milano un po’ di quel divertimento. A Kubra, invece, lo stretching non è mai piaciuto molto. Tuttavia può avere un suo certo fascino se fatto alle 8.30 del mattino, in mezzo alla natura boschiva e circondata da persone che pensano in dieci lingue diverse. Non vede l’ora di andare a cogliere le more: nel sentiero che va da Rochard allo stadio ce ne sono un’infinità. Tutti i giorni percorriamo quella strada, a piedi o in bici, per fare la tanto desiderata doccia calda. E ogni volta rubiamo qualche mora, con la promessa che un giorno o l’altro torneremo a casa con secchi pieni, in vista di una deliziosa crostata. Lo stretching è quasi finito e Shuk si pente di aver lasciato nella yurt la sua preziosa macchina fotografica: sarebbe stata perfetta come trecento cinquantaquattresima foto. È vero, in Cina la patologia da scatto compulsivo è in piena diffusione e Shuk ne è la dimostrazione vivente. È già un mito qui a Rochard, non passa mezz’ora senza che qualcuno si chieda dove sia la nostra fotografa ufficiale e la risposta è quasi sempre la stessa: sta immortalando delle foglie ingiallite, un maiale che grugnisce o un qualsiasi altro dettaglio di poca importanza. Shuk è venuta da Hong Kong, è quella che ha fatto il viaggio più lungo per arrivare fin qui. Ha trovato subito il modo di farsi voler bene, con il suo animo spensierato e un po’ buffo. Finalmente siamo pronti, si inizia a lavorare e ci si ritroverà tutti insieme solo al break time delle 11.00. Io non vedo l’ora e intanto ripenso alla sera precedente: valzer e polka hanno animato il cottage, con Petra e Misha al centro per insegnarci i passi base. Mi sto dirigendo verso quella parete che ormai mi è diventata così familiare e un po’ ho voglia di riprendere in mano martello e scalpello. Volgo la testa indietro e vedo il cerchio allargarsi, le persone dividersi. In lontananza guardo la yurt e so già che mi mancherà, che tornata a casa mi sentirò stretta nella mia camera, nel mio solitario appartamento cittadino. Mi mancherà uscire la mattina presto e sentire l’erba umida di rugiada. Mi mancherà tutto, ma la nostalgia non riuscirà ad avere il sopravvento, perché la consapevolezza di aver vissuto appieno ogni momento sarà più forte.

Sofia Muschio


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