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ALLARME DEGRADO - 1 SE LA MOVIDA ROVINA IL SONNO
ALLARME DEGRADO - 1
QUELLA MOVIDA ROVINA IL SONNO
Nelle grandi (e piccole) città la vita notturna, che spesso inizia già il pomeriggio, mette a dura prova la vita dei residenti nelle zone più frequentate. Solo qualche sentenza prova a mettere le cose a posto
Michele Zuppardi
«I protagonisti della movida urlano, sporcano i muri, fanno esplodere fuochi d’artificio, insultano i passanti, colpiscono le auto che tentano di farsi strada, suonano i campanelli dei palazzi a tutte le ore». «Gli schiamazzi degli ubriachi, la musica e ogni genere di trambusto sono continui». «La gente si assembra, anche sollecitata dagli appuntamenti diffusi sui social media». E, ancora: «Il chiasso di ciascun locale si assomma così al rumore di fondo, in un fenomeno d’insieme che va ben oltre le singole fonti di disturbo». Sono frasi riportate nella sentenza n. 1261 resa lo scorso 15 marzo dalla seconda sezione civile del Tribunale di Torino, e sono il presupposto dell’avvenuta condanna del Comune a risarcire il danno provocato da schiamazzi e illecite immissioni sonore ai residenti nel quartiere dove al tempo delle Olimpiadi invernali del 2006 era stata posta in essere una riqualificazione urbana.
Controindicazioni
Una riqualificazione tanto pregevole da far animare la zona ogni giorno, già dal tardo pomeriggio, con una fiumana di persone aumentata a dismisura nelle ore notturne con «vie, piazze e marciapiedi impercorribili, marciapiedi, soglie dei portoni e auto parcheggiate imbrattati da escrementi, oltre a vomito, bottiglie rotte e ogni tipo di rifiuti», come annotato dall’autorità giudiziaria, chiamata a svolgere una attenta e mirata istruttoria. Che per i torinesi del centro cittadino la questione fosse divenuta assolutamente intollerabile, lo dimostra una relazione dell’Arpa, che già nel gennaio 2017 evidenziava come «il clima acustico era talmente compromesso da determinare, nelle ore critiche comprese tra le 11 di notte e le 3 del mattino, anche il superamento del valore di attenzione stabilito per la classe V (aree prevalentemente industriali), il massimo consentito dalla legge». E così, per ottenere giustizia e porre fine a questo scempio, un nutrito gruppo di ricorrenti hanno dovuto adire l’autorità giudiziaria richiamando i diritti costituzionali alla salute, all’inviolabilità del domicilio e al godimento della proprietà.
Rumore insostenibile
I cittadini hanno dovuto riportare le linee guida sul rumore notturno pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità, che illustrano le conseguenze dell’esposizione al rumore e fissano in 40 decibel la soglia da rispettare durante le ore destinate al sonno. Hanno dovuto rammentare che la legge 447 del 1995 sull’inquinamento acustico attribuisce alla competenza dei Comuni la classificazione in zone del loro territorio, nonché l’adozione di piani di risanamento e il controllo del rispetto della normativa all’atto del rilascio di licenze e autorizzazioni all’esercizio di attività produttive. Insomma, i residenti danneggiati dalla movida
hanno dimostrato tutte le loro ragioni e per il Comune c’è stato poco da fare. «Il valore della causa», si legge in sentenza «è pari ad euro 1.171.384, che è la somma di tutti gli importi riconosciuti a titolo di risarcimento», ai quali va aggiunta la condanna al pagamento delle spese di giudizio.
Il troppo è troppo
Altro che riqualificazione urbana. Altro che sostenibilità ambientale. E altro che oculatezza gestionale, viene spontaneo affermare. Come ha sottolineato la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza 21993 del 12 ottobre 2020, «in tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica amministrazione a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali o non patrimoniali, patiti, atteso che l’inosservanza, da parte della Pubblica amministrazione, delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e di prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna a un facere, tale domanda non investendo scelte e atti amministrativi della Pubblica «amministrazione, ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere». Dunque, se investire nella riqualificazione del territorio urbano è, o dovrebbe essere, uno degli obiettivi fondamentali della buona amministrazione locale, va pure considerato il rischio di veder vanificato ogni sforzo a causa di atteggiamenti mentali e dinamiche del tutto inaccettabili. Migliorare i quartieri e abbellire le città si può, anzi si deve. Ma non senza controllarne l’uso, e soprattutto non sulla pelle e con le tasche dei cittadini virtuosi.
Michele Zuppardi
Avvocato cassazionista, esperto in contenzioso civile e particolarmente dedito alla materia condominiale. Giornalista pubblicista iscritto all’Albo dal 1985, ha collaborato con testate locali e nazionali, oltrechè con emittenti televisive private. Direttore responsabile del quotidiano web “Condominio Caffè”, collabora con il Sole 24 Ore e con Studio Cataldi.it. Presidente dell’Unione Nazionale Camere Condominiali, ne riveste anche il ruolo di Responsabile scientifico. E’ altresì responsabile dell’associazione Foro Immobiliare per la provincia di Taranto, con delega al coordinamento della regione Puglia.