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L'avvocato L’amministratore risarcito

L’AVVOCATO

L’amministratore risarcito

Con un’ordinanza, la Suprema Corte ha affermato il principio per cui il contratto tra l’amministratore e la compagine condominiale non costituisce prestazione d’opera intellettuale, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in appositi albi o elenchi. In caso di revoca, si applicano le regole del mandato. Pertanto, l’amministratore di condominio, che sia stato revocato dall’assemblea prima della scadenza, ha diritto sia al pagamento dell’attività sino ad allora svolta sia al risarcimento dei danni. Solo in caso di revoca per giusta causa l’amministratore non ha diritto al ristoro del pregiudizio patito. La Corte ha rilevato che l’attività di prestazione d’opera intellettuale è subordinata all’iscrizione in un apposito albo o elenco, mentre la professione di amministratore, in seguito alla riforma sul condominio è subordinata solo al possesso di determinati requisiti di professionalità e onorabilità (articolo 71 bis disposizioni attuative Codice Civile), rientrando così tra le professioni non organizzate in ordini o collegi (ex legge 4/2013). Secondo la giurisprudenza, la revocabilità ad nutum (ossia a semplice discrezione dell’assemblea) prevista dalla legge conferma che il rapporto tra amministratore e compagine condominiale rientra nel mandato, anche in considerazione del carattere fiduciario dell’incarico. Il mandato tra amministratore e condominio si presume oneroso ed è conferito (solitamente) per un anno, pertanto, se la revoca interviene prima della scadenza, l’amministratore ha diritto al soddisfacimento dei propri eventuali crediti e al risarcimento dei danni, salvo ricorra una giusta causa, ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dell’incarico. L’applicabilità della disciplina del mandato consente all’amministratore, revocato anticipatamente e senza giusta causa, di ottenere il risarcimento del danno. Viceversa, se si applicasse la disciplina prevista per le professioni intellettuali, l’amministratore non avrebbe titolo per chiedere il ristoro del pregiudizio patito. Pertanto, l’assemblea condominiale deve ben valutare se deliberare (o meno) la revoca, atteso che la presenza di ragioni meramente pretestuose (che non integrano una giusta causa) determinerà l’obbligo di corrispondere il risarcimento.

Ludovico Lucchi del Foro di Milano, lucchi@studiolucchi.eu

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