25. Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010
26. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2005
27. Betlemme, 2005
28. Betlemme, 2005
29. La colonia di Har Homa vista da Beit Sahour, 2006
30. Har Homa vista dall’interno verso Beit Sahour, 2010
31. Qalandiya, 2004 32. Qalandiya, 2010
33. Qalandiya, 2006
34. Qalandiya, 2006
35. Qalandiya, 2010
36. Qalandiya, 2010
37. Qalandiya, 2006
38. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2007 Pagine seguenti: 39. Ramallah, 2005
40. Passaggio sotto la Strada 60, Al Khader, 2010
41. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010
42. Qalqiliya, 2005
43. Tulkarem, 2005
44. Idhna, ovest di Hebron, 2010
45. Ar-Ram vista da Atarot, Gerusalemme Est, 2010
46. Wadi Rasha, sud di Qalqiliya, 2010
47. Al Jalama, nord di Jenin, 2005
48. Betlemme, 2007 49. Qalandiya, 2005
50. Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010
51. Cremisan, Beit Jala, 2010
52. Beit Sahour, 2006
53. Qalqiliya, 2005
54. Wadi Rasha, sud di Qalqiliya, 2010
55. Ramadin, sud di Hebron, 2010
56. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2007 57. Campo rifugiati Aida, 2008
58. Hebron Road, Betlemme, aprile 2006
59. Hebron Road, Betlemme, maggio 2006
60. Hebron Road, Betlemme, 2009
61. Hebron Road, Betlemme, 2010
62. Tomba di Rachele (esterno), Betlemme, 2010
63. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009
64. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009
65. Cimitero musulmano accanto alla Tomba di Rachele (esterno), Betlemme, 2009
66. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009
67. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009
68. Betlemme, 2005 69. Betlemme, 2005
70. Strada 60, Beit Jala, 2010
71. Tracciato del muro lungo la Strada 60, Beit Jala, 2010
72. Muro tra la colonia di Har Gilo e il villaggio di Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010
73. Muro accanto alla moschea di Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010 Pagine seguenti: 74. Tulkarem, 2005
75. Muro al convento delle suore comboniane che gestiscono una scuola materna a Betania, Gerusalemme Est, 2010
76. Betania, Gerusalemme Est, 2010
77. Betania, Gerusalemme Est, 2010
78. Betania, Gerusalemme Est, 2010
79. Betania, Gerusalemme Est, 2010
80. Betania, Gerusalemme Est, 2010
81. Betania, Gerusalemme Est, 2010
82. Betania, Gerusalemme Est, 2010
83. Betania, Gerusalemme Est, 2010 84. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005
85. Ingresso al terminal di Gilo, Betlemme, 2005
86. Qalandiya, 2007
87. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010
88. Autostrada 6, Israele, 2006
89. Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010
90. Beituniya, 2010
91. Erez, Striscia di Gaza, 2008
92. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005
93. Erez, Striscia di Gaza, 2008
94. Erez, Striscia di Gaza, 2007
95. Checkpoint sull’unica strada che collega il villaggio di Azzun ‘Atma alla Cisgiordania, 2010
96. Pista militare all’interno del muro, Azzun ‘Atma, 2010 Pagine seguenti: 97. Betlemme, 2005
98. Beit Sahour, 2006
99. A margine della Strada 60, 2009
100. Betlemme, 2010
101. Donne in attesa di oltrepassare il muro per pregare a Gerusalemme in un venerdĂŹ di Ramadan, Betlemme, 2010
102. Lavoratori palestinesi in attesa di oltrepassare il muro per raggiungere Gerusalemme, Betlemme, 2007
103. Studentesse di Betlemme tornano a casa dopo la scuola, 2007
104. Muro lungo la Strada 60 all’altezza di Al Khader, 2010
105. Una coppia di sposi guarda il panorama verso est da Yemin Moshe, Gerusalemme, 2010
indice delle immagini
1. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2007. 2. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. 3. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. Nell’area della Grande Gerusalemme il muro segue un percorso assai tortuoso per circondare numerosi blocchi di colonie, creare una cintura israeliana intorno alla città e, allo stesso tempo, consolidare la frammentazione della Cisgiordania. 4. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2005. 5. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2010. 6. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. 7. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. 8. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. «Si può dire che la costruzione della barriera di separazione a Gerusalemme Est abbia determinato le seguenti, complesse, tendenze: il distacco della popolazione palestinese dalla Cisgiordania senza la creazione di relazioni sociali alternative; l’aumento della militarizzazione della vita quotidiana a Gerusalemme Est, connesso alla partenza di molti residenti israeliani; la severa proibizione di ogni attività politica palestinese, accompagnata dalla sterile promozione di simboli artificiosi per celebrare Gerusalemme Unita; l’afflusso di palestinesi gerosolimitani dalla Cisgiordania verso Gerusalemme, in parallelo alla fuoriuscita degli elementi più competenti e produttivi di Gerusalemme Est verso i centri economici della Cisgiordania – in primis Ramallah – lasciando la vita economica e sociale di Gerusalemme Est al degrado.» (Ir Amim, State of Affairs - Jerusalem, 2008, www.ir-amim.org.il). 9. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2007. 10. La Cupola della Roccia, oltre il muro, lontana dal campo sportivo di Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. 11. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. Un uomo attraversa il muro prima che l’ultimo passaggio tra i blocchi venga chiuso. Se la sua famiglia vive in Cisgiordania, sarà costretto a lasciarla per mantenere il permesso di residenza a Gerusalemme. Altrimenti, per restare accanto alla famiglia, rinuncerà al permesso e alla città. 12. Betlemme, 2009. 13. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2010. 14. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2005. 15. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2005. Operai palestinesi lavorano al basamento del muro. Hanno altra scelta?
16. Betlemme, 2005. 17. Betlemme, 2009. 18. Betlemme, 2009. 19. Terminal di Gilo (lato nord), Betlemme, 2005. Il Ministero del Turismo israeliano ha scelto il muro di Betlemme per il suo augurio di pace. Parole stolide, a beneficio dei turisti più ingenui, ma che riescono a ferire lo spirito prima di crollare sotto il peso della propria assurdità. Sono rimaste a lungo appese lassù. Poi, sono state rimosse. 20. Terminal di Gilo (lato sud), Betlemme, 2007. «Benvenuti a Gerusalemme» dice il cartello appeso al muro che – secondo il governo israeliano – non dovrebbe rappresentare un confine politico. In quel punto la Linea Verde dista quasi 2 chilometri. 21. Betlemme, 2010. 22. Beit ‘Awwa, 2010. 23. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2010. 24. Betlemme, 2010. 25. Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010. 26. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2005. Nel 2010 i rifugiati palestinesi, ovvero i reduci e i discendenti dei circa 700.000 civili arabi espulsi da Israele nella guerra del 1948, sono 4.766.670: 1.983.733 vivono in Giordania, 425.640 in Libano, 472.109 in Siria, 778.993 in Cisgiordania e 1.106.195 nella Striscia di Gaza. La questione del loro diritto al ritorno è tra i nodi più intricati del conflitto (fonte www.unrwa.org). 27. Betlemme, 2005. 28. Betlemme, 2005. 29. La colonia di Har Homa vista da Beit Sahour, 2006. Il trasferimento di civili della potenza occupante nei territori da essa occupati è proibito dalla Quarta Convenzione di Ginevra. Pertanto, tutti gli insediamenti e gli avamposti a est della Linea Verde sono contrari al diritto internazionale. Inoltre, il 40% della terra sulla quale sono costruite le colonie è proprietà di privati cittadini palestinesi. (Peace Now, Breaking the Law in the West Bank, 2006, www.peacenow.org.il). 30. Har Homa vista dall’interno verso Beit Sahour, 2010. I cantieri restano aperti e la colonia continua ad allargarsi verso valle dopo che il muro ha requisito il territorio circostante. 31. Qalandiya, 2004. Il checkpoint di Qalandiya, che interrompe il transito fra Gerusalemme e Ramallah, è un luogo consumato ogni giorno da migliaia di persone in attesa di attraversare il muro. In macchina, il passaggio da Ramallah a Gerusalemme è un incubo che comincia dalle molestie dei ragazzi di strada che vendono cianfrusaglie agli automobilisti bloccati nel traffico, prosegue con le urla sguaiate dei militari che regolano i movimenti di ogni veicolo, continua con la verifica dei documenti, procede col controllo del bagagliaio e, nel migliore dei casi, si chiude col paradossale 125
augurio di una buona giornata da parte della soldatessa di turno. A piedi, il percorso è un labirinto di gabbie e tornelli, polvere e acciaio, spazzatura e vetri blindati, urla e silenzio. 32. Qalandiya, 2010. 33. Qalandiya, 2006. 34. Qalandiya, 2006. «Il checkpoint di Qalandiya apparve nel 2001 con pochi soldati, dietro sacchi di sabbia e blocchi di cemento, che fermavano in maniera irregolare chi percorreva la strada. Nei quattro anni successivi il posto di blocco ha subìto una continua trasformazione, evolvendo in una serie di barriere sempre più serrate e di carattere permanente, finché non ha occupato un’area di qualche chilometro quadrato dove è stato installato un vero e proprio terminal ad alta tecnologia. […] Qalandiya non ha soltanto diviso Gerusalemme Est dal suo bacino in Cisgiordania, ma ha completamente isolato molte comunità locali, funzionando allo stesso tempo da collo di bottiglia strategico per la popolazione che ha bisogno di muoversi da una parte all’altra.» (Rema Hammami, Qalandiya: Jerusalem’s Tora Bora and the Frontiers of Global Inequality, in «Jerusalem Quarterly», n. 41, primavera 2010, pp. 29-51). 35. Qalandiya, 2010. 36. Qalandiya, 2010. 37. Qalandiya, 2006. 38. Campo rifugiati Aida, Betlemme, 2007. 39. Ramallah, 2005. 40. Passaggio sotto la Strada 60, Al Khader, 2010. 41. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. 42. Qalqiliya, 2005. La città di Qalqiliya, coi suoi 41.000 abitanti, si trova nella zona più fertile della Cisgiordania ed è completamente circondata da un anello di cemento. 43. Tulkarem, 2005. 44. Idhna, ovest di Hebron, 2010. 45. Ar-Ram vista da Atarot, Gerusalemme Est, 2010. 46. Wadi Rasha, sud di Qalqiliya, 2010. Il capo della famiglia che vive in questa fattoria ha portato il suo giaciglio sul tetto della stalla, sotto ordine di demolizione, per stare in guardia verso possibili incursioni dei militari o dei coloni di Alfei Menashe. 47. Al Jalama, nord di Jenin, 2005. 48. Betlemme, 2007. Chiusa dal muro su tre lati, la casa di questa famiglia di Betlemme è un simbolo di sumud, parola araba che esprime fermezza d’animo, resistenza indomita e perseverante, ma non violenta. 49. Qalandiya, 2005. 50. Al Walaje, 2010. Qui passerà il muro che presto chiuderà il villaggio palestinese di Al Walaje in un’enclave. 51. Cremisan, Beit Jala, 2010. 126
52. Beit Sahour, 2006. Nelle aree rurali il muro è una barriera larga circa quindici metri e composta da rete metallica, filo spinato, sensori di movimento, pista per il rilevamento delle impronte, strada di pattugliamento. Gli ulivi sui due lati di questa sezione appartengono allo stesso campo. 53. Qalqiliya, 2005. 54. Wadi Rasha, 2010. 55. Ramadin, 2010. 56. Ar-Ram, Gerusalemme Est, 2007. 57. Campo rifugiati Aida, 2008. 58. Hebron Road, Betlemme, aprile 2006. 59. Hebron Road, Betlemme, maggio 2006. Il muro penetra all’interno del tessuto urbano di Betlemme per garantire a Israele un accesso esclusivo alla Tomba di Rachele, luogo di grande significato per le tre religioni monoteiste. 60. Hebron Road, Betlemme, 2009. 61. Hebron Road, Betlemme, 2010. 62. Tomba di Rachele (esterno), Betlemme, 2010. Il graffito dietro al poliziotto mostra il sogno palestinese: Gerusalemme liberata dal muro. 63. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009. L’immagine esposta sul piazzale mostra ai fedeli ebrei il sogno di una Tomba di Rachele in aperta campagna, com’era tanti anni prima del muro. 64. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009. 65. Cimitero musulmano accanto alla Tomba di Rachele (esterno), Betlemme, 2009. 66. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009. 67. Tomba di Rachele (interno), Betlemme, 2009. 68. Betlemme, 2005. 69. Betlemme, 2005. 70. Strada 60, Beit Jala, 2010. 71. Tracciato del muro lungo la Strada 60, Beit Jala, 2010. 72. Muro tra la colonia di Har Gilo e il villaggio di Al Walaje, 2010. 73. Muro accanto alla moschea di Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. 74. Tulkarem, 2005. 75. Muro al convento delle suore comboniane che gestiscono una scuola materna a Betania, Gerusalemme Est, 2010. Nel 2008 le autorità israeliane hanno concesso a circa cinquanta bambini che vivono oltre il muro di raggiungere la loro scuola attraverso una piccola porta. Nell’autunno 2010 questa concessione è stata revocata. 76. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 77. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 78. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 79. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 80. Betania, Gerusalemme Est, 2010.
81. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 82. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 83. Betania, Gerusalemme Est, 2010. 84. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. 85. Ingresso al Terminal di Gilo, Betlemme, 2005. 86. Qalandiya, 2007. 87. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2010. Questo fazzoletto di terra circondato dal muro è per me una metafora della Palestina di oggi. 88. Autostrada 6, Israele, 2006. Il lato ovest del muro che chiude Tulkarem è nascosto da un terrapieno. 89. Al Walaje, ovest di Betlemme, 2010. 90. Beituniya, 2010. Questo incrocio stradale sarebbe un non-luogo, se non fosse per il fatto che si trova sulla Strada 443, riservata alle vetture con targa israeliana, pur attraversando la Cisgiordania per un lungo tratto. E se non fosse per il muro. 91. Erez, Striscia di Gaza, 2008. 92. Abu Dis, Gerusalemme Est, 2005. Questi ragazzi ai piedi del muro, divisi da un avvallamento, sembrano riflettere la condizione palestinese tra la Cisgiordania e Gaza, distanti non solo nella geografia. 93. Erez, Striscia di Gaza, 2008. 94. Erez, Striscia di Gaza, 2007. 95. Checkpoint sull’unica strada che collega il villaggio di Azzun ‘Atma alla Cisgiordania, 2010. 96. Pista militare all’interno del muro che circonda il villaggio di Azzun ‘Atma e che divide la colonia di Orot Yisra’el dal villaggio di Beit Amin, 2010. 97. Betlemme, 2005. L’inizio è qui. 98. Beit Sahour, 2006. 99. A margine della Strada 60, 2009. 100. Betlemme, 2010. 101. Donne in attesa di oltrepassare il muro per pregare a Gerusalemme in un venerdì di Ramadan, Betlemme, 2010. 102. Lavoratori palestinesi in attesa di oltrepassare il muro per raggiungere Gerusalemme, Betlemme, 2007. 103. Studentesse di Betlemme tornano a casa dopo la scuola, 2007. 104. Muro lungo la Strada 60 all’altezza di Al Khader, 2010. 105. Una coppia di sposi guarda il panorama verso est da Yemin Moshe, Gerusalemme, 2010.
il muro
Secondo i rilievi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari, il tracciato del muro misura 707 km, più del doppio della Linea Verde che segna il limite tra Cisgiordania e Israele (un-ocha, 2010). La Linea Verde risale all’armistizio del 1949 che segnò la fine delle ostilità tra Israele e Giordania. Pertanto il territorio della Cisgiordania, a ovest del fiume Giordano, passò dal mandato britannico all’amministrazione del regno hascemita. Questo assetto restò in piedi fino al giugno 1967, quando l’esercito israeliano varcò la Linea Verde e in pochi giorni riuscì a occupare tutta la Cisgiordania, Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza amministrata dall’Egitto, la penisola del Sinai e le alture siriane del Golan. Dal momento che la Linea Verde era stata individuata da un accordo di armistizio e non da un trattato di pace – strumento in grado di garantire il riconoscimento reciproco tra le parti e stabilire formalmente relazioni diplomatiche – lo stato di Israele ha sempre rifiutato di considerare questa Linea come il proprio confine orientale. Questa posizione ha condotto Israele a rigettare il concetto stesso di “occupazione”, riferendosi alla Cisgiordania, Gaza e al Golan come “territori contesi”. In realtà, la comunità internazionale concorda in maniera pressoché unanime sul fatto che questi territori siano occupati da Israele e che appartengano a pieno titolo allo spazio giuridico della iv Convenzione di Ginevra, pilastro del diritto internazionale umanitario per la protezione dei civili in tempo di guerra. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo ha confermato fin dal 1967 con la risoluzione 242, che chiedeva il ritiro delle forze israeliane, pur con un grave difetto dovuto all’imperfetta corrispondenza tra la versione francese e quella inglese. Quest’ultima chiede «il ritiro delle forze armate israliane da territori occupati nel recente conflitto». L’assenza dell’articolo determinativo “i” davanti a “territori occupati” apre spazio all’interpretazione più conveniente per la potenza occupante, che può approfittare di questa infelice omissione per mantenere il controllo dell’intera Cisgiordania, oltre alla Striscia di Gaza e al Golan. Negli anni successivi gli organi delle Nazioni Unite sono intervenuti più volte per riaffermare lo stato di occupazione dei Territori palestinesi e chiedere il rispetto della Linea Verde, senza risultati apprezzabili. Nel luglio 2004 lo ha fatto anche la Corte Internazionale di Giustizia quando ha rilasciato un parere consultivo, su richiesta dell’Assemblea Ge127
nerale, nel quale ha chiarito senza margini di equivoco la questione sulla legalità del muro: La costruzione del muro da parte di Israele, la potenza occupante, nei Territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est, e il regime ad essa associato, sono contrari al diritto internazionale. [...] Israele incorre nell’obbligo di terminare le sue violazioni del diritto internazionale; incorre nell’obbligo di cessare i lavori di costruzione del muro nei Territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est, di smantellare immediatamente le strutture ivi costruite e di ritirare o rendere inefficaci tutti i relativi atti legislativi e regolamentari. [...] Israele incorre nell’obbligo di provvedere alla riparazione di tutti i danni causati dalla costruzione del muro nei Territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est. [...] Tutti gli stati incorrono nell’obbligo di non riconoscere la situazione illegale prodotta dalla costruzione del muro e di non prestare aiuto o assistenza nel mantenere la situazione creata da tale costruzione [...]. Parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, i.c.j. Reports 2004, p. 136, par. 163. A partire dal loro avvio, nel 2002, i cantieri del muro in Cisgiordania non si sono mai fermati. Il governo israeliano ha sempre motivato la costruzione del muro con l’esigenza di garantire la sicurezza dei propri cittadini. Il percorso del muro, tuttavia, risponde a un obiettivo diverso, cioè acquisire il massimo del territorio con il minimo della popolazione araba, collegando a Israele i principali blocchi di colonie, edificati in corrispondenza di preziose riserve idriche. A luglio 2010 risultavano completati 434 km, pari al 61.4% del tracciato; altri 60 km erano in costruzione (8.4%), mentre i rimanenti 213 (30.1%) erano in fase di progettazione. L’85% del tracciato non segue la Linea Verde, ma entra profondamente all’interno dei Territori palestinesi, spingendosi fino a 22 km di distanza nel caso del blocco di Ari’el. L’area tra il muro e la Linea Verde corrisponde al 9.4% della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Nel complesso, Israele controlla direttamente il 62% della Cisgiordania, classificata come “Area c” secondo i parametri degli Accordi di Oslo. In queste zone, che spesso corrispondono ad ampie superfici rurali fino a comprendere l’intera valle del Giordano, i residenti palestinesi non possono costruire edifici e sono esposti al rischio di demolizioni. Secondo il censimento condotto nel 2007 dall’Ufficio nazionale di statistica (pcbs), i Territori palestinesi contano 3.761.646 abitanti, di cui 2.345.107 in Cisgiordania (5.655 km2) e 1.416.539 nella Striscia di Gaza (365 km2). 128
In Cisgiordania i centri urbani e le comunità rurali palestinesi sono frammentati dalla rete delle colonie israeliane e le relative infrastrutture. L’organizzazione non governativa israeliana Peace Now riporta l’esistenza di 120 insediamenti ufficiali e di almeno 99 avamposti non ufficiali, esclusa Gerusalemme Est. Nelle colonie della Cisgiordania risultano presenti 276.045 civili israeliani; altri 4.000 presidiano gli avamposti.Tutte queste persone sono cittadini dello stato di Israele e fanno riferimento al suo ordinamento, pur trovandosi al di fuori del territorio statale, così come i circa 190.000 residenti israeliani di Gerusalemme Est. Nella stessa Gerusalemme Est, secondo i dati pubblicati da Passia, vivono 260.522 palestinesi. Queste persone si trovano in una condizione estremamente complessa: non sono cittadini israeliani, per non incrementare la quota araba della popolazione, ma nemmeno titolari di passaporto palestinese, per non legittimare rivendicazioni di competenza dell’Autorità palestinese su Gerusalemme Est. Eppure, possono votare alle elezioni politiche palestinesi, nei limiti concessi da Israele. I palestinesi di Gerusalemme Est hanno un permesso di residenza a lungo termine, ma non permanente, e uno speciale lasciapassare per uscire dal Paese. Spesso, nella stessa famiglia si trovano persone con carta blu, cioè il permesso di residenza a Gerusalemme, e persone con carta verde, il documento d’identità palestinese. I legami sociali, culturali ed economici tra la Cisgiordania e Gerusalemme Est sono intrecciati da generazioni e hanno creato una trama inestricabile. Il muro, a dispetto della retorica ufficiale che lo qualifica come uno strumento di difesa, non divide la Palestina da Israele, ma separa il contadino di Jayyous dal suo campo, lo studente di Al ‘Eizariya dalla sua scuola, il paziente di Ramallah dal suo ospedale, la bambina di Abu Dis dal suo asilo, l’impiegato di Ar-Ram dal suo ufficio, la famiglia di Betlemme dal suo cimitero, lo sposo di Beit Jala dalla sposa di Gerusalemme, il credente di ogni angolo di Palestina dai suoi luoghi santi. Nella Striscia di Gaza vive più di un terzo della popolazione palestinese. Dopo le operazioni di smantellamento dell’estate 2005, qui non sono presenti colonie israeliane. Circondata da un muro fin dalla metà degli anni Novanta, la Striscia è stata sigillata da Israele e dalla comunità internazionale a partire dal 2007, quando il tessuto politico palestinese si è lacerato per le tensioni seguite al pasticcio post-elettorale e i bombardamenti del 2006. Mentre in Cisgiordania si insediava un governo tecnico di matrice Al-Fatah, a Gaza saliva al potere l’Islam radicale di Hamas, premiato dalle elezioni ma ripudiato senza appello dall’Occidente. L’operazione militare “Piombo Fuso” del gennaio 2009 ha coperto la Striscia di altre macerie senza scalfire il nemico, anzi, rafforzando il suo controllo del territorio. Oggi la frattura palestinese resta più profonda che mai. Come non basta un muro a imporre divisioni artificiali e creare condizioni sostenibili per tutte le parti in causa, non bastano negoziati a senso unico, sulla base di inviti selezionati, ad avvicinare il giorno della pace.
La carta della Cisgiordania – riprodotta sulla base di quella dell’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem – mostra i luoghi delle fotografie e il tracciato del muro rispetto alla Linea Verde, mentre tralascia le numerose località palestinesi e colonie israeliane non direttamente interessate dal muro. (www.btselem.org). La carta della Striscia di Gaza è riprodotta sulla base di quella dell’Organizzazione ONU per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari. (www.ochaopt.org). 129
associazione “habibti betlemme”
Questo libro è promosso, tra gli altri, dall’associazione “Habibti Betlemme” di Montevarchi, di cui chi scrive è il presidente pro tempore. La presenza del nostro nome – che significa “Cara Betlemme” – ha consapevolmente il significato di una piena condivisione dei contenuti del volume e rende utile una breve presentazione che chiarisca il rapporto fra l’associazione, l’autore e il libro. L’associazione è nata nella primavera 2010 su iniziativa di alcuni cittadini, prevalentemente di Montevarchi, che hanno in comune l’esperienza di aver visitato almeno una volta la Terra Santa. Non che questo sia un requisito di iscrizione, ma è semplicemente ciò che unisce i promotori. I viaggi scaturiti dal rapporto di lunga data fra le due città gemellate – Montevarchi e Betlemme – hanno determinato in quasi tutti i partecipanti la stessa parabola interiore: partiti per affrontare un cammino dello spirito nella terra delle proprie radici religiose e culturali, si sono trovati di fronte a una complessità che permea l’anima, restituendo all’Europa individui profondamente modificati nel pensiero e nel sentire più profondo. Da ciò una voglia insopprimibile di agire, nonostante la percezione della drammatica limitatezza dei risultati del proprio lavoro di fronte al mare sconfinato delle problematiche mediorientali. L’associazione, in definitiva, è solo questo: un gruppo di cittadini di buona volontà che, in modo del tutto gratuito, lavorano per alleviare le sofferenze della Terra Santa. Una volta fondata l’associazione era inevitabile l’incontro con Andrea Merli. Infatti Andrea, figlio della nostra terra valdarnese, è l’ideatore della mostra fotografica Un muro non basta, dedicata alla questione del muro in Palestina. Promossa dal vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) a partire dal 2005, questa mostra ha girato per tutta l’Italia e ci è sembrato giusto che dopo cinque anni tornasse nel Valdarno, dove era partita. Dall’incontrarci per definire l’organizzazione della mostra fino a percepire una sostanziale comunanza di idee sul problema palestinese, il passo è stato breve. Così, quando Andrea ci ha parlato del suo progetto di sviluppare i contenuti della mostra in un libro fotografico, abbiamo aderito con entusiasmo all’iniziativa. Rimane da chiarire perché, fra gli innumerevoli temi che la situazione palestinese ci pone di fronte, siamo partiti proprio dal tema del muro. La risposta è ovvia e molto semplice: il muro li riassume tutti. A ben vedere questo muro, come tutti i muri, contiene un paradosso: costruito dal 130
governo israeliano per separarsi dai palestinesi, e quindi per paura, esso è diventato un pesante strumento di umiliazione per chi lo deve subire ogni giorno, tanto più che le autorità israeliane non hanno fatto a meno di annettere intere porzioni di territorio altrui. In questo modo hanno separato realtà arabe unite da sempre, assestando un colpo durissimo a un’economia da sempre traballante. Il paradosso sta nel fatto che, come ogni muro, anche questo finirà per essere esiziale ai suoi costruttori, come la storia ci insegna. L’uomo, infatti, può sopportare tutto fuorché la materializzazione della propria paura. Che il muro stia torturando i palestinesi è purtroppo ovvio: le foto raccolte in questo libro ne danno un testimonianza tanto efficace quanto cruda e talvolta insopportabile. Ma la stessa barriera che ingabbia i palestinesi imprigiona anche lo spirito dei carcerieri, ponendoli in modo ineluttabile di fronte al fallimento della loro politica di relazione e alla solidificazione delle loro contraddizioni, soprattutto quando si pensa alla storia del popolo ebraico e alla sua millenaria civiltà. Ciò ha del positivo. La separazione forzata e il dramma umanitario che ne deriva, infatti, finiranno per sbattere drammaticamente in faccia a tutti, e agli israeliani per primi, che i due popoli, se vorranno salvarsi entrambi, dovranno volenti o nolenti unirsi. È questo, in sintesi, il messaggio del libro: un muro non basta a separare ciò che è indissolubilmente unito dalla storia e dal territorio, ma rappresenta l’ultimo atto di una guerra sanguinosa e inutile, oltre il quale c’è la perdizione o la salvezza per tutti e due i popoli. Israeliani e palestinesi si salveranno o si perderanno insieme. Qui sta anche il lavoro che, in piccolo, ci prefiggiamo: abbattere, in Terra Santa e in Italia, i muri mentali che si sono materializzati nel muro reale. Il lavoro non sarà mai, e non potrà mai essere, del tutto compiuto, perché ognuno di noi porta dentro di sé le sue barriere, barriere che deve abbattere ogni giorno e che ogni giorno sente ricostruite: come insegna la storia d’Europa, le barriere fisiche cadono più facilmente di quelle spirituali. Nonostante tutto, però, in quest’opera apparentemente impossibile siamo sostenuti da una certezza e cioè che, malgrado il ciclico riproporsi di periodi bui, il cammino dell’umanità sia segnato in positivo. Il fiume della Storia, infatti, per quanto possa sembrare arretrare all’interno di anse poderose o fermarsi in gigantesche paludi stagnanti, alla fine sarà costretto a sfociare nel mare aperto della pace e della concordia fra i popoli.
Valter Neri, presidente “Habibti Betlemme”
Finito di stampare a CittĂ di Castello (PG) presso GEAM Gestioni Editoriali nel mese di ottobre 2010