n.4
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza - Anno 39 - N. 4 Maggio 2011 - Mensile
Maggio 2011
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
Il Presidente Campana alla fine del suo mandato
“Un’esperienza straordinaria. Sempre al servizio dell’Aic e dei calciatori”
Ultima ora: Damiano Tommasi eletto nuovo Presidente Aic
editoriale
di Sergio Campana
Lettera aperta del Presidente alla fine del suo mandato Al momento della mia ultima elezione avevo dichiarato di accettare l’incari co a condizione che mi fosse riconosciuta la funzione di “traghettatore”. Ho quindi operato in questi due anni rispettando tale impegno ed ora ritengo che sia maturata democraticamente la soluzio ne, e quindi concluso il mio mandato. Dunque alla prossima Assemblea il Consiglio Direttivo, prende ndone atto, provvederà a nominare il mio successore. È naturale che in questa occasione io guardi indietro, al lungo percorso fatto all’A.I.C., sotto la mia guida e con la collaborazione di tutti i calciatori, che con tenace unità di intenti hanno potuto arrivare a conquiste storiche, all’affermazione di diritti mai prima riconos ciuti: lo status giuridico di lavoratore, l’Accordo Collettivo, la previdenza, le assicurazioni sociali, l’indennità di fine carriera, l’abolizione del vincolo e la libertà a fine contratto. In questo momento non posso non ricordare coloro che, assieme a me, sono stati i fondatori dell’Associazione Calciatori: Giacomo Bulgarelli (recentemente scomparso), Gianni Rivera, Sandro Mazzola, Giancarlo De Sisti, Giacomo Losi, Carlo Mupo, Ernesto Castano, Gianni Corelli, Giorgio Sereni, Eugenio Rizzolini. A loro, i pionieri di un’avventura meravigliosa, i calciatori di ieri, di oggi, di domani, devono tutta la loro gratitudine e riconoscenza. E la devono anche a tutti i consiglieri che si sono avvicendati nel direttivo dell’A.I.C., ai segretari, ai collaboratori, a quanti hanno prestat o la loro opera in seno all’A.I.C. Prima di tutto, la mia gratitudine e riconoscenza vanno alle varie genera zioni di calciatori che in questi anni mi hanno dato la loro fiducia. Poi, ringrazio le massime autorità sportive (i Presidenti del CONI, diverse volte intervenuti a risolvere i problemi del calcio) e i rappresentanti di tutte le componenti calcisti che che in questi anni ho avuto la fortuna di conoscere e con i quali c’è sempre stato un rappor to corretto e costruttivo: i Presidenti e i dirigenti della Federazione, delle Leghe, delle Società del Settore Tecnico, del Settore Giovanile e Scolastico, dell’Associazione Italiana Arbitri, dell’Associazione Allenatori, dell’Associazione Direttori Sportivi, dell’Associazione Agenti, dell’Associazione Medici del Calcio, dell’Associazione Preparatori Atletici, del Fondo di Fine Carriera, del Fondo di Garanz ia. Tutte persone con cui ho vissuto esperienze di grande valore. Un particolare ringraziamento va ai giornalisti della carta stampata, della radio e della televisione che in tutti questi anni hanno dedicato la loro attenzione a me personalment e e all’Associazione Calciatori. Sono molto grato a loro per gli apprezzamenti che spesso hanno espresso nei miei confronti e per le critiche che talvolta mi hanno riservato e che mi hanno aiutato a rettificare qualche mia posizione e a sbagliare di meno. Naturalmente continuerò a stare vicino, come ad un’amata creatura, all’Ass ociazione Calciatori e seguirò con immutata passione il calcio, che ha costituito e costituisce una parte importante della mia vita. Un abbraccio affettuoso e i più sinceri auguri di buon lavoro al nuovo preside nte dell’A.I.C.
3
NASCE AriSLA
CRESCE LA SPERANZA Chi siamo
L’Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica promuove e finanzia attività di ricerca scientifica sulla SLA. AriSLA nasce dalla comune volontà di Fondazione Cariplo, Fondazione Telethon, Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport ed AISLA. Per le sue caratteristiche e finalità AriSLA rappresenta una realtà unica in Italia ed in Europa e si candida a divenire punto di riferimento per la comunità scientifica impegnata nella sfida contro la SLA.
Il nostro obiettivo
Obiettivo principale di AriSLA è quello di offrire ai malati speranze di cura e migliori aspettative e condizioni di vita. Il nostro impegno quotidiano per un futuro senza SLA può diventare una prospettiva concreta con il sostegno di chi condivide con noi il raggiungimento di questa meta. Grazie al prezioso contributo di tutti possiamo concorrere al finanziamento dei migliori progetti di ricerca.
Come aiutarci
Donare ad AriSLA è semplicissimo e lo si può fare attraverso una pluralità di strumenti: • attraverso il tuo 5x1000 (nel modulo della dichiarazione firma nello spazio dedicato a Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e inserisci il codice fiscale di AriSLA: 97511040152) • con donazione on line (PayPal) • con bonifico bancario (Iban: IT71 E033 5901 6001 0000 0005 190) • con donazione continuativa (Domiciliazione bancaria o postale) Per saperne di più entra nel nostro sito www.arisla.org e troverai tutte le informazioni necessarie, oppure telefona al nostro numero 02 58012354.
Come operiamo
La nostra priorità è quella di operare affinché la ricerca finanziata sia di eccellenza, con risultati che abbiano ricadute concrete per i malati di SLA ed i loro familiari, anche attraverso la creazione di un network di scienziati, nazionali ed internazionali, che metta in sinergia le migliori risorse del settore.
Per un futuro senza SLA AriSLA – Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica Via Camaldoli, 64 – 20138 Milano, Tel. 02 58012354 C. F. 97511040152, Iban IT71 E033 5901 6001 0000 0005 190
www.arisla.org
Sommario
Sommario
l’intervista
di Pino Lazzaro
editoriale di Sergio Campana
Lettera aperta del Presidente alla fine del suo mandato
3
attività aic 13
l’intervista di Pino Lazzaro Antonio Di Natale: “Investiamo (per davvero) sui giovani e sui vivai”
Una presidenza durata ben 43 anni, con un percorso che ha visto la crescita della categoria con la conquista di diritti e di tutele fondamentali: Sergio Campana ha dunque deciso di passare la mano ed eccolo qui, doverosamente ospite d’onore, su questo nostro e vostro giornale: un’altra delle tante iniziative da lui pensate e portate avanti via via negli anni.
14
calcio e legge di Stefano Sartori Il caso Udinese/De Sanctis: la decisione finale del TAS
18 6
ha scritto per noi di Alessandro Comi Andrea Malgrati: vivere una favola… alla Torricelli
n.4
Maggio 2011
ilCalciatore
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
direttore direttore responsabile condirettore redazione
foto redazione e amministrazione
tel fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza - Anno 39 - N. 4 Maggio 2011 - Mensile
Maggio 2011
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
Il Presidente Campana alla fine del suo mandato
“Un’esperienza straordinaria.
Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Sempre al servizio dell’Aic e dei calciatori”
Member of
n.4
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Gianfranco Serioli Stefano Sartori Stefano Fontana Barnaba Ungaro Mario Dall’Angelo Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it assocalciatori@telemar.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
Ultima ora: Damiano Tommasi eletto nuovo Presidente Aic
21
pianeta lega pro di Pino Lazzaro Vincenzo Migliaccio: “Diamo una mano all’Aic che tanto fa per noi”
22
calcio femminile di Pino Lazzaro Campionato Europeo Femminile Under 19
24
come stai? Simone Cavalli, Riccardo Corallo e Antonino D’Agostino
28
internet di Stefano Fontana Tiro di Tovalieri, parata di Di Fusco
31
io e il calcio di Pino Lazzaro Michele Strazzabosco
32
Speciale
Questo mese pubblichiamo, come inserto da staccare e conservare, la nuova tabella LordoNetto valida per il 2011, aggiornata con le nuove disposizioni normative. La versione in pdf di questo inserto è anche disponibile sul sito www.assocalciatori.it alla voce “normativa fiscale”.
Finito di stampare il 13-05-2011
5
l’intervista di Pino Lazzaro
Sergio Campana, Presidente (e fondatore) dell’Aic dal 1968
Uno dei primi Consigli Direttivi dell’Aic (1970): insieme a Campana (primo a sinistra) ci sono Bulgarelli, Rivera, Sereni, De Sisti, Corelli, Mazzola e Mupo.
6
Sempre
dell’
l’intervista
al servizio
’Aic e dei calciatori Ha giocato da tornante, ha fatto anche il libero ma è come centravanti arretrato che ha disputato i suoi campionati migliori. Uno con i piedi buoni che aveva poi nel bagaglio tecnico un altro numero per niente male, anzi: il colpo di testa. Sì, d’accordo, aveva una buona elevazione, ma di suo metteva quel qualcosa in più che poi conta per metterla dentro: il tempismo, la scelta giusta di quando saltare per poi “mirare” – altra qualità – dove indirizzare il pallone. Quasi novanta le reti segnate (una settantina in serie A) in una carriera che lo ha visto disputare, tra A e B, 14 campionati (ben 12 in serie A). Le “sue” squadre sono state il Vicenza e il Bologna e vedi il destino è stata proprio Vicenza-Bologna (ultima di campionato, stagione 66/67, serie A, lui era tra i biancorossi) la sua partita d’addio come calciatore. Uno dunque che il calcio l’ha giocato per davvero con quell’altra soddisfazione, sempre rara tra chi fa calcio come professione, di una laurea in giurisprudenza (nel 1960 a Bologna, dopo che aveva iniziato a Padova l’università). Appese dunque le scarpe al classico chiodo, si può proprio dire che Sergio Campana abbia in fondo trovato a suo tempo un modo originale e tutto suo per restare comunque ben dentro al calcio. Un “sindacalista” insomma, spessissimo scomodo per Federazione e Leghe, più volte “processato” dalla stampa per le prese di posizione della categoria ma a cui tutti nell’ambiente riconoscono il grande merito d’aver saputo guidare passo passo la categoria, con coerenza e passione, sino al traguardo di una sua piena e legittima cittadinanza dentro e fuori il mondo pallonaro. Una presidenza durata dunque ben 43 anni, con un percorso che come detto ha visto la crescita della categoria con la conquista di diritti e di tutele, con l’A.I.C. che generazione dopo generazione ha sempre potuto contare sull’appoggio dei calciatori che sempre hanno fatto e tuttora sono per davvero l’essenza di una realtà quale l’Associazione Italiana Calciatori. Il nostro presidente ha dunque deciso di passare la mano ed eccolo qui, doverosamente ospite d’onore, su questo nostro e vostro giornale: un’altra delle tante iniziative da lui pensate e portate avanti via via negli anni.
Amarcord “Dopo il liceo classico avevo pensato fosse appunto giurisprudenza la facoltà che più poteva fare da terminale per quel che avevo studiato. Una scelta che mi dava pure la possibilità di continuare a giocare a calcio dato che non c’era la necessità di frequentare l’università. I miei non mi hanno seguito più di tanto col calcio, raramente veniva mio padre, anche di nascosto, lui sapeva che non volevo che venisse, lui era capo del personale alla Smalterie Venete, forse l’azienda più importante in quel periodo lì di Bassano. Col calcio ho cominciato da giovanissimo, ricordo il provino col Bassano, c’era allora Bruno Camolese allenatore, ex giocatore del Vicenza, tra l’altro pure lui s’era laureato. C’è stato poi un periodo in cui ho anche smesso, è stato solo più avanti, avevo quasi 18 anni, che ho ripreso. Pensavo più alla scuola, non è che ne avessi proprio tanto di tempo e così andai a
giocare col Cartigliano, un paesino poco lontano da Bassano, tra i dilettanti, l’impegno era quello di andare giusto la domenica per le partite, niente allenamenti. Però quell’anno ne feci proprio tanti di gol, osservatori di parecchie squadre mi vennero a vedere, tra loro anche il Vicenza. A decidere in fondo fu mio padre che mi disse sì di andare pure dove volevo, ma che mi voleva a casa la sera! No, quello del calciatore non è mai stato in fondo per me un mestiere, il mio primo pensiero era la scuola e poi l’università, in fondo pensavo più a quello che avrei fatto dopo che considerare il calcio come il mio lavoro: giocavo perché mi piaceva, come sempre m’è piaciuto in genere lo sport, ho fatto pure pallacanestro, atletica leggera, pallavolo. In effetti con sto fatto che magari arrivavo negli spogliatoi con qualche libro in mano, allora ero visto un po’ come una mosca bianca e arrivo a dire che non sono stati pochi gli allenatori che non vedevano di buon occhio questo mio essere studente, arrivando pure a dirmi che lo stare seduti per troppo tempo
lì a studiare non era poi il massimo per le gambe, che potevano esserci insomma dei problemi, anche venirmi dei crampi, che era diverso passare il tempo seduti a giocare le carte, era un’altra cosa, anche se io non ho mai capito in cosa poi fosse diverso. Mi sono laureato a 25 anni, la tesi l’ho fatta sulla figura giuridica dell’arbitro, ho preso 27/30, s’usava così allora. Di partite in serie A ne ho giocate circa 300: ho cominciato da centravanti, poi mezzala, ala tornante e ho finito facendo il libero”. Né espulsioni, né squalifiche “Sì, è vero, mai un’espulsione e mai una giornata di squalifica. Intanto c’è da dire che come attaccante non è che fossi magari costretto a entrate disperate, ma soprattutto è dovuto io credo al rapporto che sempre ho cercato di avere con gli arbitri – per molti anni sono stato anche il capitano – di parlare con loro con educazione e rispetto. A quel tempo le televisioni non avevano certo lo spazio che avevano adesso, non eravamo insomma anche “costretti” a comportarci in un certo modo per-
7
l’intervista
ché altrimenti ci avrebbero scoperti: è un qualcosa che deriva anche dalla mia di esperienza e dal mio convincimento. Che i primi protagonisti di questo sport, dello “spettacolo” se vogliamo chiamarlo così, hanno dei doveri nei confronti della società, del pubblico, dei compagni e degli avversari. A me piace chiamarlo quasi un segno culturale e penso che alla stessa Associazione Calciatori sia da sempre riconosciuto un ruolo che non è solo sindacale ma pure educativo, culturale insomma: lo considero un dato fondamentale questo”. Si è partiti da zero “Ricordo lì a Milano, quando ci si trovava le prime volte in trattoria,
A fianco, Campana con la maglia del Lanerossi Vicenza. In basso a sinistra, uno dei primi casi affrontati dall’Aic (“caso Rivera”): al tavolo del Consiglio siedono Rivera, Pagani, Campana, Bulgarelli, De Sisti e Giacomini.
con Mazzola, Rivera, De Sisti, Bulgarelli. Allora il calciatore non aveva alcun stato giuridico, non c’era un contratto, non aveva assicurazioni, niente. È vero, all’inizio il tutto è partito da giocatori che erano non solo in A ma pure in Nazionale, ma da subito s’è manifestata l’intenzione e la volontà che era verso i giocatori delle serie inferiori che si doveva cercare di fare qualcosa. È stata una cosa graduale, iniziata sì con la A ma che passo dopo passo si è allargata alla B, poi alla C, per arrivare negli anni 90 pure ai dilettanti col Decreto Melandri. Il calciatore all’inizio dell’Associazione era soprattutto un oggetto nelle mani delle società, c’era ancora
Hanno detto
Per l’anniversario nel 2008 dei 40 anni di attività dell’Associazione, tra le tante altre cose era stata decisa la pubblicazione di un volume (“40 Consiglieri con l’Aic per il calcio”) in cui raccogliere ricordi e riflessioni per l’appunto di 40 consiglieri che in diversi anni hanno via via svolto quel fondamentale ruolo di rappresentanza e di indirizzo propri di un organo quale sempre è stato il Consiglio Direttivo all’interno della associazione. Anche per il sottoscritto, che ha avuto modo di mettere assieme il volume, è stato quello un bel viaggio, col privilegio di poter ascoltare in prima persona il racconto di parecchi di coloro che per un pezzo della loro vita hanno accompagnato (e alcuni lo stanno ancora facendo) la “loro” Associazione, dando il loro contributo, magari a volte confessando di non essere andati più in là della sola presenza, ma con la consapevolezza di essere stati comunque utili. Dunque davvero una bella raccolta di testimonianze e qui abbiamo voluto riprenderne alcune. Sì, parole di stima e ammirazione verso il presidente, parole che danno bene la misura (e il modo) in cui Sergio Campana ha saputo in tutti questi anni tenere ben saldo il volante in mano.
Sandro Mazzola (consigliere dal 1968 al 1977) “L’Associazione Calciatori l’abbiamo fondata nel 1968. Era un calcio il nostro di quegli anni che non volevamo più accettare, le regole che c’erano non favorivano certo chi giocava. In effetti c’era già un sindacato, ma era finto, basti dire che erano le stesse società ad eleggerne il presidente. Erano questi insomma
8
i discorsi che giravano allora tra noi in Nazionale, ricordo De Sisti, Rivera, Bulgarelli, altri ancora. Decidemmo insomma di fare qualcosa per chi aveva meno garanzie di noi e quando arrivò il momento di individuare un presidente, pensammo a Campana, aveva smesso da poco, era avvocato. Lui, Campana, in un primo momento non è che fosse poi entusiasta, sapeva che di tentativi
il vincolo e il primissimo intervento che facemmo fu quello di porre termine a quella stortura che legava un terzo dello stipendio al raggiungimento o meno di 25 presenze, con tantissimi così che si fermavano a 24 partite per volere delle società. Fu quello un successo che ci diede ancora più forza e credibilità. Per quel che riguarda invece la scelta della sede a Vicenza non è stata certo una strategia particolare, no. Il fatto è che i miei interessi lavorativi come avvocato facevano riferimento al Tribunale di Bassano e così per forza di cose la sede doveva essere “comoda”. Il tutto alla fin dei conti credo in effetti si sia rivelato un vantaggio: se fossimo stati a Milano o Roma, saremmo stati sicuramente coinvolti nella politica calcistica (e anche in quella vera), cosa questa da cui fin dall’inizio si voleva in ogni caso rimanere estranei”. Il calciatore ha la sua identità “Con gli occhi di adesso credo che
ne erano stati fatti altri, che non ne era mai uscito qualcosa di concreto. Fu bravo lì Bulgarelli, avevano giocato assieme, seppe mettergli giù per bene le cose, lo convinse a venire a Milano, che avremmo parlato tutti assieme. È così che cominciò (...) Ai nostri tempi l’obiettivo erano le conquiste; ora si tratta di mantenere quel che si è conquistato negli anni e direi che l’Aic oltre ad una funzione di controllo potrebbe fare in modo d’aver quella di “esempio”. Incidere di più è difficile e bisogna stare attenti perché bisogna cercare di incidere senza, come dire, farlo notare troppo, troppo apertamente, altrimenti ti segano. Ed è un approccio questo che l’Associazione Calciatori ha saputo tenere molto bene in questi anni. Allora voglio qui fare i complimenti per come è stata
l’intervista
la conquista più importante sia stata quella d’essere riusciti a dare al calciatore la consapevolezza di appartenere a una categoria importante, con la consapevolezza pure della responsabilità del ruolo. Poi potrei elencare, che so, la previdenza e ritiro fuori qui l’aneddoto dell’allora ministro del lavoro Coppo che mi disse che sarei arrivato ad avere i ca-
pelli bianchi ma che non avrei certo visto un calciatore arrivare a prendere una pensione, che proprio non se ne parlava. Fondamentale – e non solo per i calciatori – è stata poi la cosiddetta Legge 91 che ha portato
gestita e per come nello stesso tempo ha saputo variare nel tempo, adattandosi a quelle che sono state man mano le esigenze che emergevano”. Gianni Rivera (consigliere dal 1968 al 1977) “In effetti in quegli anni capitava spesso di parlare della necessità di un qualcosa che tutelasse i calciatori, specie quelli più deboli naturalmente perché quelli più forti in un modo o nell’altro riuscivano a garantirsi. Tra i più convinti tra noi calciatori ricordo proprio Sergio Campana, lui era arrivato anche a laurearsi, in una facoltà mica facile poi, era insomma diventato avvocato ed era il suo in effetti un caso eccezionale, per un giocatore del suo livello intendo. Iniziammo così le prime riunioni, era giusto dare un senso a quel di cui discutevamo e certo partire facendo leva sul gruppo dei calciatori in Nazionale sarebbe stato più facile, non importa
Quante conquiste
Una storia lunga 43 anni
Difficile, quasi impossibile sintetizzare in poche righe i 43 anni di presidenza di Sergio Campana: da quel 3 luglio 1968 (data di fondazione) ad oggi, la storia dell’Aic è talmente piena di avvenimenti, ma soprattutto di conquiste fondamentali per i calciatori, che diventa davvero arduo fare una “selezione” per citarne solo alcuni. E allora, attenendoci alle parole dello stesso Campana, ricordiamo il 1973 con l’emanazione della Legge n.366 che estende ai calciatori la previdenza e l’assistenza dell’Enpals; il riconoscimento del diritto di immagine nel 1974; la creazione del Fondo di Fine Carriera sempre nel ’74; l’introduzione della “firma contestuale” per l’accettazione dei trasferimenti nel ’78; i carabinieri mandati al calciomercato su esposto di Campana nel ’78, primo passo verso la Legge 91 del 1981 con la qualificazione giuridica del calciatore e l’abolizione del vincolo; l’Accordo Collettivo (’81), il FonQui sopra i carabinieri al calciomercato: è il primo do di Garanzia (1990), lo sciopero (1996), passo verso la Legge 91. A fianco, Carraro, Onesti e Camil Decreto Melandri (1999), l’Aic in consipana dopo un accordo. glio Federale (2000). Ma la conquista forse più importante di tutte, chiudendo con le parole dello stesso Campana, è stata quella di “essere riusciti a dare al calciatore la consapevolezza di appartenere a una categoria importante, con la consapevolezza pure della responsabilità del ruolo”.
se subito hanno cominciato a dire che volevamo farci il sindacato dei ricchi. Noi sapevamo benissimo che coloro che avevano più bisogno erano i calciatori di serie C: quante squadre arrivavano a febbraio e se i presidenti vedevano che non ce l’avrebbero fatta a vincere il campionato, non pagavano più i calciatori? Così cominciammo e si arrivò alla nascita dell’Associazione. Decidemmo di chiamarla proprio così e penso tuttora che sia stata una scelta opportuna, di certo sarebbe stato molto più complicato se l’avessimo chiamata proprio sindacato”. Giancarlo De Sisti (consigliere dal 1968 al 1977) “Sentir parlare noi giocatori della Nazionale della minaccia di uno sciopero poteva anche farci deridere ma noi si sapeva che potevamo essere utili a tutti gli altri, è questo che ci spingeva. È vero, senza innanzitutto giocatori come Bulgarelli, Mazzola e Rivera, Sergio Campana non sarebbe riuscito ad aprire certe porte ma va anche detto che chi poi andava a parlare e doveva saper fronteggiare le istituzioni era lui, ce l’aveva
di suo insomma la qualità di tenere il confronto (...) L’Associazione Calciatori ha saputo fare in questi anni dei passi da gigante, arrivando pure finalmente ad entrare nella stanza dei bottoni nel Consiglio Federale”. Gigi Riva (consigliere dal 1970 al 1971) “Devo proprio dire che in quegli anni il quadro per i calciatori era davvero pessimo dato che non c’era alcun tipo di protezione e questo non è che valesse per dire solo per i giocatori di serie C ma pure per quelli di serie A. Eravamo insomma degli strumenti, niente di più, nelle mani dei presidenti che ci usavano a loro comodo. Io stesso so bene quante volte abbia rischiato di dover smettere di giocare perché continuavo a rifiutare i trasferimenti, siano pure essi alla Ju-
9
l’intervista
all’abolizione del vincolo, dopo che l’Aic aveva preso posizione minacciando lo sciopero. Aggiungo anche il Decreto Melandri che considero anche un po’ quasi una mia personale conquista, col voto ai calciatori, entrati così a pieno titolo nel Consiglio Federale. Un passo quello che è servito poi come riferimento ad altre discipline per avere degli atleti all’interno dei rispettivi governi federali. L’entrare nel governo della federcalcio ha sì cambiato il ruolo dell’Associazione però, guardando indietro, non mi pare abbia diminuito la forza sindacale rispetto al ruolo
“governativo”. Certo, facendo parte del Consiglio Federale abbiamo dovuto adottare delle strategie diverse rispetto a quando eravamo sempli-
ventus, al Milan o all’Inter: se non fossi stato competitivo com’ero, certamente non avrei potuto continuare a giocare. E proprio per quello che era il quadro in cui ci dovevamo muovere, ancor più tutti i calciatori debbano ringraziare in particolar modo Sergio Campana, per quanto lui abbia saputo credere nel progetto dell’Associazione. D’accordo, noi eravamo sì consiglieri, c’erano Mazzola, Rivera e altri ancora, ma eravamo sostanzialmente dei muri di sostegno, è stato proprio bravo Campana a portare avanti l’idea e farla crescere, difendendo e tutelando la categoria (...). È una realtà affermata, forte, considerata e ben rappresentata e tutti i calciatori devono certo essere grati alla loro Associazione”. Massimo Giacomini (consigliere dal 1971 al 1974) “ (...) Voglio qui sottolineare la longevità e la freschezza di Sergio Campana. Pensa
10
A fianco, Campana premia Roberto Baggio con l’Oscar del Calcio. Sotto, la conferenza stampa congiunta con l’Aiac (Vicini presidente) per confermare il primo sciopero della storia del calcio italiano (1996).
cemente fuori. Porto come esempio il fatto che mai in questi anni abbiamo rinunciato a portare avanti rivendicazioni a favore dei calciatori per sacrificarle a quella che era la nostra presenza nel governo. Sono aumentate le nostre responsabilità, questo sì, ma – ripeto – mai abbiamo messo al secondo posto gli interessi dei calciatori”. Unità e forza “Sì, per la partecipazione e la solidarietà che sempre ha assicurato, la categoria dei giocatori di serie A è sempre stata fondamentale per l’Associazione. Abbiamo anche noi le nostre criticità, vedi per esempio la costituzione di questa nuova associazione limitata ai soli giocatori di A che io vedo come grave errore, prima di tutto perché è difficile raggiungere dei numeri importanti e poi proprio perché si rischia di ridurre la forza della stessa associazione calciatori e dunque dei calciatori. Sì, sono
ancora assolutamente convinto che il dire che i calciatori siano la parte migliore del calcio non sia certo solo un luogo comune, è questo quel che mi insegna la mia esperienza. Certo, nella categoria non mancano i difetti, a volte manca professionalità e ci può essere poco rispetto del proprio ruolo, però in generale i calciatori sono una parte sana, che vede il mondo del calcio in una certa maniera, ancora “romantica” se così la vogliamo chiamare: soprattutto hanno con sé la passione di giocare a calcio e questo è un dato fondamentale”.
quanto ricambio c’è stato nello stesso Direttivo, quante generazioni di calciatori si sono av vice nd at i , eppure Sergio ha sempre avuto la capacità di evolversi assieme al calcio, non è mai stato indietro, sempre con quella sua ammirevole lucidità. In fondo, quando uno pensa all’Associazione, è a Campana che pensa, no?”.
calciatori di far eventualmente presenti le proprie idee e metterle lì sul tavolo del calcio mi sembra una delle cose più belle che da sempre offre l’Aic (...) Quel che mi auguro è che l’Aic possa continuare sull’onda di quello che è andata via via facendo perché la ritengo la forza più importante del calcio italiano proprio perché ha con sé la parte autentica di questo mondo, gli atleti. E qui non posso non dare atto a quanto fatto dal presidente, da Sergio Campana, la fermezza e la serietà con la quale ha saputo tenere il timone”.
Piero Volpi (consigliere dal 1974 al 1987) “In effetti non ho mai guardato personalmente all’Associazione come a un “sindacato”, per me non è stato così; è stato piuttosto una continua fucina di idee e questa possibilità che offre l’Associazione ai
Francesco Guidolin (consigliere dal 1980 al 1986) “In fondo anche da allenatore posso dire d’aver continuato in qualche modo a stare con l’Associazione Calciatori visto che cerco sempre di invitare i giocatori a informarsi, a non disinteressarsi di tutto quello che c’è oltre il campo. Proprio per il modo in cui sono fatto, da allenatore cerco sempre di “educarli” ad affrontare i problemi, di non lasciarli lì da una parte, credo sia questo un modo che ti aiuta a cre-
l’intervista
Difficoltà e progetti “Obiettivi mancati? Mah, periodicamente si rivelano situazioni che sono difficili da controllare. Penso per esempio alla crisi economica che ha colpito duro anche dentro il mondo del calcio, con una situazione dalla B in giù in cui i calciatori vivono dei disagi anche gravi. Crisi delle società significa in sostanza posti di lavoro in meno e mi rendo conto che in casi come questi nemmeno l’Associazione riesce a porre rimedio, col rammarico così di venir meno a quell’obbiettivo primario che è cercare di garantire una professione davvero sicura. Nel futuro immediato penso che per prima cosa si dovrà arrivare al miglioramento di quella che è la comunicazione con i calciatori, que-
sto anche per cercare di sollecitare una maggiore partecipazione appunto dei calciatori all’attività della loro associazione. La nostra intenzione è dunque quella non tanto di separare le varie categorie ma di creare delle apposite commissioni di calciatori in attività, il più possibile rappresentativi, per la A, la B, la Prima e Seconda Divisione per finire ai dilettanti. Questo per avere la certezza da una parte della ancor più effettiva conoscenza dei problemi e dall’altra che l’Associazione è assolutamente al loro fianco. Credo che proprio su questo punto, sul migliorare lo spirito di appartenenza alla loro associazione, ci sia ancora molto da fare nel rapporto con i calciatori”. Accordo Collettivo e dintorni “Da 30 anni ci siamo trovati a rinnovarlo periodicamente e sempre erano state trattative portate a termine in poco tempo e senza partiCampana parla al Consiglio Federale (2000): dopo l’approvazione del Decreto Melandri, calciatori e tecnici entrano nel governo del calcio con diritto di voto.
scere. E per quel che riguarda nello specifico proprio l’attività dell’Aic, naturalmente ho sempre fatto in modo, per quel che era poi di mia competenza, di agevolare per esempio le visite che vengono fatte alle squadre nei ritiri durante i ritiri estivi. Sì, anche da allenatore ho fatto poi presto a rendermi ancor più conto di quanto forte sia l’Associazione Calciatori, quanto conti nella nostra realtà (...) So bene quante siano state le persone nel corso degli anni che si sono messe al servizio dell’Aic con passione e competenza. Ma non posso non pensare innanzitutto a Sergio Campana. Ecco, nel suo caso mi piacerebbe proprio che si potesse fermare il tempo perché lo ritengo una persona insostituibile, sì. D’accordo per la competenza e l’esperienza che ha messo assieme ma anche per quel suo equilibrio e quella saggezza che sempre lo accompagnano”.
Roberto Tricella (consigliere dal 1984 al 1991) “È stato così più avanti nella mia carriera che ho potuto ancor più apprezzare quel che prima sono riusciti a fare calciatori come Mazzola e Rivera, loro sì proprio bravi a ottenere per la categoria tutta delle cose che parevano impensabili. Tutto sommato, credo che per noi che siamo venuti dopo sia stato più agevole, lo stesso nostro compito di consiglieri insomma è stato più facile (...) Nel Consiglio sono entrato nell’anno in cui abbiamo vinto il campionato ed era giusto che anche all’interno dell’Associazione ci fosse così la maggior rappresentatività possibile, Verona era allora una realtà importante, ero anche il capitano, ci si sentiva spes-
colari difficoltà. Oggi sono invece cambiati gli interlocutori che si sono posti come obiettivo non tanto dei miglioramenti normativi ma solo l’intenzione di ridimensionare il potere dell’Associazione Italiana Calciatori e di togliere ai calciatori diritti da tempo acquisiti. Proprio grazie alla compattezza della categoria e con la minaccia dello sciopero poi rientrato siamo riusciti a difendere quelli che sono i diritti fondamentali del calciatore professionista, accettando – visto che viviamo anche noi nella realtà e non siamo certo fuori del mondo, specie di questo nostro attuale – il principio della flessibilità, con una parte della retribuzione fissa e l’altra variabile con quelli che saranno i risultati. Io penso che dovremo continuare a vigilare e prendere le dovute decisioni se continuerà questa atmosfera di “ostilità”. In ogni caso, con l’apporto dei calciatori, sono sempre convinto che non ci possono essere ostacoli insuperabili. Se sono ancora i calciatori italiani quelli ancora più garantiti? Certamente sì, assolutamente. Lo possia-
so con Vicenza, c’era un buon rapporto (...) Quel che da qui posso sperare per l’Associazione è che sappia trovare continuità in modo da proseguire sulla strada fin qui tracciata. Per come me la ricordo da allora, proprio guardando indietro, ho sempre visto nella figura del presidente una presenza carismatica e certo Campana è stato fondamentale per l’Aic”. Luca Marchegiani (consigliere dal 1992 al 1997) “L’Aic posso dire di averla imparata ad apprezzare negli anni, la mia fortuna è stata quella di non aver mai avuto problemi come giocatore e dunque l’Associazione l’ho vissuto all’inizio un po’ da distante, come un “sindacato” se vogliamo. Poi però, una volta entrato, impari a conoscere i meccanismi, l’attività che porta avanti, la capacità di appoggiare tutti i calciatori indipendentemente dalle categorie e pure
11
Ultima ora
Damiano Tommasi eletto nuovo Presidente Aic L’Aic festeggia i suo 40 anni a Milano (2008): Campana viene rieletto presidente e accetta con il ruolo di “traghettatore”.
mo vedere anche con l’attività della Fifpro, la federazione internazionale dei “sindacati”: confrontando le situazioni dei vari paesi, sono sempre convinto che le tutele e le garanzie a favore dei calciatori italiani non abbiano riscontro altrove”. Finalino “Da presidente “onorario” non mi metterò certo a interferire, solo cercherò di mettere a disposizione la mia esperienza. Senza presunzione, al nuovo presidente posso dire solo una cosa. Di dimostrare in ogni momento di non curare personalismi ma di essere completamente al servizio dell’Associazione e dei calciatori: è quel che in coscienza ho sempre fatto. Guardando a tutti questi anni,
dall’eventuale ritorno d’immagine che in certi casi potrebbe avere. Il tutto ha fatto sì che diventasse una vera e propria compagna di viaggio, ecco cos’è sempre stata per me l’Aic, con quel giornale che è stato in fondo il tramite principale, sempre così pieno di informazioni (...) Alla fine ne sono poi uscito, era il 1997, perché pensavo fosse un po’ concluso il mio periodo, la mia “freschezza” come figura di calciatore non la sentivo più tale. Mi sono rimaste le amicizie e tra queste ricordo quella di Campana, è un po’ con lui che io continuo a identificare il sindacato. M’è sempre piaciuta quella sua capacità di prendere posizioni sempre molto posate e ponderate, trovando proprio da presidente toni adeguati in tutte le situazioni. Credo sia stata questa, tra le altre, una delle armi vincenti di tutti questi anni”. Diego Bonavina (consigliere dal 1999) “La mia conoscenza dell’Associazione risale indietro nel tempo, fin da quando giocavo in C2 e mi ero appena iscritto a Giurisprudenza. Ricordo infatti l’am-
12
Il Consiglio Direttivo Aic, riunito a Milano il 2 maggio scorso, preso atto della decisione di Sergio Campana di aver esaurito il proprio ruolo di “traghettore” e di essere quindi giunto al termine del suo mandato, ha eletto nuovo Presidente Aic Damiano Tommasi, trentaseienne ex calciatore di Verona e Roma e consigliere Aic dal 1999. Il passaggio del testimone tra Campana (eletto Presidente Onorario) e Tommasi, è avvenuto successivamente in occasione dell’Assemblea Generale del 9 maggio (ampio servizio sul prossimo numero). Durante il Consiglio è stato inoltre eletto Vicepresidente Aic l’avvocato Umberto Calcagno, e Demetrio Albertini, con Gianni Grazioli e Leo Grosso, nel Comitato di Presidenza.
se da una parte il bilancio è fatto di conquiste, dall’altra porto con me la consapevolezza di aver potuto avere considerazione e stima anche da parte di coloro che nel tempo sono stati i miei vari interlocutori. Ma al primo posto va sempre il mio riconoscimento ai calciatori per quello che hanno contribuito a fare per l’Associazione e la fiducia che han-
no continuato a dimostrarmi in tutti questi miei 43 anni di presidenza. Adesso l’Associazione continuerà in ogni caso per me ad essere una creatura da amare, anche perché costituisce una parte importante della mia vita. Sarò sempre a disposizione insomma, qualsiasi sia il tipo di contributo che possa essere utile alla causa comune”.
mirazione che già allora avevo per l’avvocato Campana. Lui per me è sempre stato una sorta di esempio, sicuramente un punto di riferimento. Era stato un calciatore-avvocato, quella sarebbe stata anche la mia strada e tutto parte così dal 1984, da quando come detto mi sono iscritto all’università e così devo dire che più di una conoscenz a vera e propria dell’Associazione nel suo insieme, è proprio attraverso la persona del presidente che ho saputo dell’Aic (...). L’augurio che posso fare è che in futuro l’Aic possa trovare una persona che possa sostituire nel miglior modo possibile Sergio Campana a cui, a mio modo di vedere, va dato il merito, in larga parte, per il peso e l’importanza che l’Associazione Calciatori ha nel nostro calcio”.
Morgan De Sanctis (consigliere dal 2004) “Potendo seguire le cose un po’ più da vicino, ho potuto apprezzare in questi anni la misura e il tanto buon senso che sono propri del presidente Campana e sono convinto che molto dell’opera dell’Associazione dipenda proprio dal vertice, da Sergio Campana e Leo Grosso. Proprio andando all’estero mi sono potuto rendere ancora più conto quale sia stata la bontà del lavoro fatto dall’Aic. E così dico a quei calciatori italiani che a volte torcono il naso dei confronti dell’Aic che dovrebbero andarsene un po’ fuori, allora sì vedrebbero le differenze. Io il confronto l’ho potuto fare e dico che noi calciatori italiani dobbiamo essere orgogliosi di quel che abbiamo (...) E io sono orgoglioso di essere consigliere Aic e pure gratificato di poter manifestare la mia opinione quando ci sono dei problemi da affrontare, secondo me è proprio questo in sintesi il compito di un consigliere”.
attività aic
Avvenimenti
Incontri Calendario
13 mer
Al fianco dei calciatori del Canavese In merito alla grave situazione economica dell’FC Canavese, l’Associazione Italiana Calciatori si è schierata al fianco dei giocatori e dei componenti dello staff tecnico rossoblù che hanno ricevuto solamente i compensi contrattuali riferibili alle mensilità fino al novembre scorso. Le ripetute promesse fatte nell’ultimo periodo dai rappresentanti della società non hanno trovato alcun riscontro ed hanno determinato ulteriore incertezza sulle prospettive future. I calciatori, nel ribadire che il loro totale impegno e la loro professionalità mai verranno a mancare anche a fronte delle difficoltà prospettate,
hanno interessato della situazione l’Associazione Calciatori sottolineando che, qualora non vengano onorati gli impegni sottoscritti, verranno poste in essere tutte le azioni a tutela dei loro diritti. L’Aic ha auspicato una positiva conclusione della vicenda, fermo restando che, in caso di mancato accordo con i tesserati, verranno tempestivamente attivate le necessarie azioni a tutela dei calciatori.
15 ven Delegati regionali dilettanti Comunichiamo l’elenco dei calciatori che sono stati nominati “delegati regionali “ per la stagione sportiva 2010/2011: Abruzzo: Fuschi Fabio (Renato Curi Angolana – D); Basilicata: Di Biase Davide (A.S.D. Atella Monticchio
Aic e Studio Ghiretti per il “dopo calcio”
Al via il progetto “Ancora In Carriera” Partirà il prossimo 23 maggio a Coverciano “Ancora In Carriera”, corso per lo sviluppo delle competenze generali che l’Aic, in collaborazione con Studio Ghiretti & Associati, ha ideato e sviluppato per una qualificazione manageriale dei calciatori professionisti, al termine della loro carriera sportiva. L’iniziativa ha l’obiettivo di sviluppare le competenze professionali degli ex calciatori, in modo tale da incrementare le loro possibilità di inserimento lavorativo nel mondo dello sport, a livello manageriale, ma non solo. La proposta, che testimonia l’impegno dell’Aic nel garantire agli atleti un miglioramento della loro qualifica professionale, ha riscontrato l’interesse e il sostegno del sistema calcistico professionistico, ottenendo il patrocinio di Figc, Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti. Durante il corso che si svolgerà in tre sessioni (23 e 24 maggio - 20 e 21 giugno - 11, 12 e13 luglio) verranno approfonditi i principi fondamentali del marketing, dell’economia, della gestione delle risorse umane e della comunicazione. Lezioni frontali, tenute da docenti qualificati e manager provenienti dal mondo sportivo, si alterneranno alle testimonianze di alcuni ex-calciatori professionisti che presenteranno i propri casi di successo.
– Eccellenza); Calabria: Cerminara Francesco (A.S.D. Garibaldina - 1ª Categoria); Campania: Trovato Antonio (U.S.D. Palmese – Eccellenza); Emilia Romagna: Mastronicola Alessandro (A.C. Rimini 1912 – D); Friuli Venezia Giulia: Paolini Nicola (A.S. Union Quinto – D); Lazio: Cinelli Daniele (A.S. Boville Ernica – D); Liguria: Delucis Alessandro (A.D.F.S. Sestrese – Eccellenza); Lombardia: Cozzi Paolo (A.C. Vergiatese - Eccellenza); Marche: Giugliano Domenico (A.S.D. Fortitudo – Eccellenza); Molise: Chisena Leonardo (A.S.D. Real Isernia – Eccellenza): Piemonte/Valle D’aosta: Mordenti Luca (A.C. Gozzano – Eccellenza); Puglia: Fazi Michele (A.S.D. Francavilla – D); Sardegna: Corsi Daniele (A.S.D. Tortolì Calcio – Eccellenza); Sicilia: Bennice Rosario (A.S.D. Scoglitti Soccer - 1ª Categoria); Toscana: Meacci Francesco (Montevarchi Calcio – D); Umbria: Cottini Andrea (A.S. Pontevecchio – D); Veneto: Ferronato Alessandro (A.S.D. Treviso 2009 – D).
15 ven Solidarietà ai calciatori della Sampdoria In merito al vile agguato subito dai calciatori della Sampdoria, pesantemente contestati e minacciati, al loro rientro a Genova dopo la sconfitta contro il Milan, da un gruppo di tifosi a volto coperto, l’Associazione Italiana Calciatori ha manifestato totale solidarietà e sostegno ai giocatori e ha condannato con fermezza il vergognoso episodio. In pari tempo l’Aic ha auspicato l’intervento della Federazione e delle Leghe che in queste occasioni, pur trattandosi di problemi di ordine pubblico, devono esprimere prese di posizione significative.
13
l’intervista di Pino Lazzaro
Antonio Di Natale, attaccante dell’Udinese
Dicono che tutto sommato lui sia un napoletano un po’ controcorrente, magari anche introverso la sua parte: comunque battuta facile ma con una certa qual riservatezza di fondo. Piedi buonissimi (di più), con quella capacità tutta particolare e benedetta di prendere il tempo ai difensori: giusto quel famoso mezzo metro e buonanotte. Capocannoniere la scorsa stagione con ben 29 gol (dal sito dell’Udinese: 13 realizzati nel girone d’andata, 16 nel ritorno; 20 segnati nelle partite in casa, 9 in trasferta) anche quest’anno è lì in cima ed è certo un bel confronto quello che lui e Cavani stanno ora portando avanti. A chiedergli se non gli manca la grandissima squadra e dunque la possibilità di quel “vincere qualcosa” che spesso è una motivazione bella e forte, lui risponde – pacato la sua parte – che no, a lui sta bene così, che è sempre all’Udinese che intende chiudere la sua carriera: si trova bene, si trova a suo agio, idem moglie e bambini, perché cambiare? Totò Di Natale di anni adesso ne ha 33 (saranno 34 a ottobre), voglia di giocar sempre tanta e una carriera che dopo l’apprendistato in C si è dipanata in due sole società, Empoli e appunto Udinese. Ecco allora al solito lo spazio qui dedicato al suo racconto e al suo raccontarsi. A partire da quando giocava per le strade di Pomigliano e se ne andava poi tutti i giovedì sino a Nola a vedere da vicino Maradona che lì si allenava col Napoli. Aveva allora 8-9 anni, Totò. Buona lettura.
“F
in da piccolino sempre con una palla in mano o tra i piedi. Si giocava per strada, sotto casa, sull’asfalto, ne abbiamo anche rotti di vetri di macchina. Per fare le porte mettevamo giù delle borse, quel che c’era, e via a giocare. Poi sono entrato nel settore giovanile del Castel Cisterna, 20 minuti da casa, ci andavo in treno, erano quattro fermate. Avevo 13 anni, ci andavo tre volte la settimana; scendevo dal treno e il campo era a 100 metri, eravamo in diversi, tutti amici. Era giusto un campetto, ogni ora toccava a una squadra, saremo stati in centinaia tra tutti. Lì a Castel Cisterna ci sono stato solo un anno, ricordo che avevano fatto un provino, avevano un legame con l’Empoli, c’erano 400 ragazzini quella volta. Io giocai solo 10’, ma segnai due gol e lì a vedere c’era l’allora di-
l’intervista
“Investiamo (per davvero) sui giovani e sui vivai” rettore sportivo dell’Empoli, Silvano Bini, che mi ha subito voluto. Avevo 14 anni quando sono così arrivato a Empoli. Era quello al tempo uno dei migliori settori giovanili qui in Italia, a casa i miei genitori erano contenti, la vedevano comunque come una opportunità per me e devo dire che quello che in effetti ha fatto più fatica sono stato io, non è stato facile per me, ritrovarmi in una città di 50.000 abitanti, altra mentalità, tutto diverso. Così, dopo qualche mese, sarà stato settembre-ottobre, me ne sono tornato a casa. M’ero fatto dare un permesso per due giorni ma m’ero fermato a casa già da un mese – non avevo più voglia di tornare – quando vennero giù da me Bini e Montella, sì lui, anche lui di Pomigliano come me, lui già a Em-
poli, è stato lui quello che tanto mi ha aiutato in quegli anni. Dai e dai mi hanno convinto e così sono tornato su. L’anno dopo ero già in Primavera: di tutti quelli che eravamo in quella squadra solo Luca Toni ha poi fatto davvero il calciatore, gli altri hanno smesso, tanti lavorano in giro”. “È stato proprio quando sono passato subito nella Primavera lì a Empoli che ho capito che ci potevo stare anch’io nel calcio, l’ho detto che era uno dei migliori settori giovanili quello. Anche se lavoro lo è, non riesco comunque a considerarlo un mestiere, di sicuro non è un lavoro normale: c’è sempre tanto divertimento, anche per questo non dovrebbe mai mancare la voglia di allenarsi, di fare bene. Da parte mia io penso d’averci messo tutto me stesso, la voglia, la testa, per questo sono arrivato a giocare tanti anni in A e pure in Nazionale. Mi considero insomma “serio”, ho moglie e una famiglia, collaboro con una scuola calcio qui di Udine, sono uno che vive in mezzo alla gente, mi sento proprio di far parte di questo ambiente. E chi mi ha dato molto proprio per quel che riguarda “la testa” è stata mia moglie, è stata lei a farmi capire che la passione che avevo mi poteva dare una mano perché se non ci fosse stato il calcio, dura pensare a cos’altro avrei potuto fare. Le qualità le avevo, mi serviva un po’ di voglia di arrivare, di starmi attento, di capire quel che facevo, come mi comportavo, altro che andarmene in giro a ballare e tutto il resto. L’ho conosciuta quand’ero a Empoli, ero ancora un ragazzino in fondo ed è stata lei come ho detto a darmi una spinta in più per fare davvero il calciatore e pensare che nemmeno lo sapeva all’inizio che ero uno che gio-
cava a pallone. Anche mia mamma mi ha aiutato molto, lei adesso non c’è più, era orgogliosa e contenta di me. Era praticamente innamorata di Roberto Baggio, aveva capito che delle qualità ne avevo e lei sempre lì a ricordarmi di pensarci per bene, di non fare stupidaggini, che era una buona opportunità che avevo questa del calcio”. “All’allenamento ho sempre avuto l’abitudine di arrivare bene per tempo, anche un’ora prima. La fascia di capitano la porto da quando se n’è andato da qui Bertotto, era lui prima il capitano: quella volta sono stati i compagni a chiedermi di prendere la fascia. Io comunque sono e mi sento uguale agli altri, do rispetto a tutti e proprio per questo lo esigo anche nei miei confronti. Quel che conta è il campo, è quello che dice chi sei. Puoi certo metterti a disposizione, dare il massimo, porti magari come esempio per tutti ma se poi non sai giocare che esempio mai potrai dare? Quando ci sono dei problemi, quando qualcosa non va, allora quel che bisogna fare è parlarsi, ancora e ancora, è di tutti che si ha bisogno all’interno di un gruppo, di una squadra. Anche se sono capitano, non sono di quelli che si mettono sempre in testa a tirare l’allenamento, no grazie. Non mi piace molto stare davanti, anzi, sono quasi sempre in fondo io. Quando poi me ne torno a casa, il calcio sta fuori dalla porta. Sì, finché sono lì in campo e nello spogliatoio è un conto, ma quando sono a casa è tutta un’altra cosa, lo so bene che sono altri i problemi veri, non quelli del calcio. Qui è tanti anni che siamo assieme, sempre parecchi stranieri, bisogna dare loro una mano anche per capire questo nostro calcio, ci vuole sempre del tempo. Nello spogliatoio dell’Udinese ci sono adesso 12 nazionalità diverse, un bel misto anche come lingua. Però dopo sette anni direi che riusciamo comunque
15
l’intervista
a capirci e trovo che sia bello che ci siano così tante diversità perché ognuno ha sempre qualcosa da insegnare. Certo, sul campo capita di sentire quando fanno il verso della scimmietta a qualcuno in campo di colore e credo che noi calciatori non si debba lasciar perdere perché non è giusto far differenze per il colore della pelle, non dovrebbero succedere queste cose e ne parliamo spesso di questo in spogliatoio. Tra noi calciatori mi pare ci sia professionalità e rispetto: con tutte queste televisioni e telecamere credo che ormai tutti sappiano di essere al centro dell’attenzione e sappiano pure che soprattutto i più giovani ci guardano con più interesse. Sì, con la tensione agonistica ci può essere anche del nervosismo, l’importante è che poi si faccia presto a tornare nella normalità”. “Con i giovani e con gli arbitri? Con i giovani ci sto bene; allenandomi con loro sento questa voglia di non smettere mai col calcio e poi mi rivedo in loro, ho modo di ricordare da dove sono arrivato e mi serve: sì, è bello stare con i giovani. Dicevo prima della scuola calcio qui di Udine, il presidente Vincenzo Pisacane sono più di 30 anni che sta dietro ai ragazzini, ce ne sono 400 adesso. Campi in sintetico, bisogna dire grazie al comune di Udine e io ci vado tutte le settimane, di solito al martedì, vado a vedere qualche allenamento, mi piace e lo faccio volentieri. Per quel che riguarda gli arbitri penso che il mio sia un rapporto buono, in tutto ne avrò prese un paio di squalifiche. Per quel che vedo in campo, anche da capitano, per me loro sono migliorati, soprattutto perché parlano e spiegano un po’ di più, così lo si può capire di più che possono sbagliare anche loro. Sì, se ne vede meno di gente di una volta negli stadi e bisogna tener conto delle televisioni naturalmente e c’è anche da dire che per fortuna ci sono le televisioni: con i soldi che ci mettono, lo tengono su loro questo mondo. Certo però che dal vivo sono più belle le partite e dunque speriamo d’arrivare anche noi qui in Italia a degli stadi diversi, anche di proprietà delle so-
16
cietà, dove insomma la gente possa divertirsi anche al di là della partita. Le partite le sento sempre; dipende anche da che tipo di partita, certo che a 33 anni ormai le vigilie sono meno ansiose di prima”. “Sono contento della mia carriera, sono anche contento che me la sono, come dire, tutta guadagnata e sudata, facendo gradino dopo gradino, ho giocato anch’io in serie C, una C tra l’altro che era certo più competitiva di quanto è adesso. Sono sì arrivato in serie A ma ci sono pure da parecchi anni, non è come tanti che fanno magari qualche presenza e poi tornano indietro. Il mio obiettivo comunque non era proprio la serie
A, per me il massimo era ed è sempre stata la Nazionale. È vero, ne ho cambiate poche in fondo di società, il fatto è che io sono uno che si affeziona e poi qui a Udine devo dire che ci sto proprio bene, mi piace stare qui. Piace anche a mia moglie, lo stesso ai miei figli e sono cose che contano queste. Ho il contratto sino al 2013, poi si vedrà ma è qui che vorrei e intendo concludere la mia carriera. Sì, c’era questa possibilità della Juventus ma ho preferito dire no, ho preferito restare. L’avevo già fatto a suo tempo col Napoli, la mia città, il massimo; avevo detto no e quando avrei potuto andare alla Juventus,
ho pensato anche a quello che avevo detto loro, come avrei potuto andare via da Udine dopo che avevo detto no al Napoli? Ho una parola sola io... ricordo da ragazzetto, avevo 8-9 anni, quando andavo sino a Nola per vedere gli allenamenti del Napoli. Tutti i giovedì loro giocavano un’amichevole contro il Nola e io ci andavo per vedere Maradona naturalmente, lì, da vicino”. “Se devo pensare a una persona che tanto mi ha aiutato, allora penso a Montella, ha significato tanto per me. Siamo dello stesso paese, lui era a Empoli prima di me e come ho
l’intervista Nell’Almanacco Panini le “misure” di Antonio Di Natale sono m. 1,70 per 68 kg. Classe 1977, di ottobre, è nato a Napoli e dopo un’annata nella scuola calcio di Castel Cisterna (nel napoletano) è entrato nel settore giovanile dell’Empoli, esordendo in B (giusto una presenza) nel campionato targato 96/97. Dopo Iperzola (C2), Varese (C1) e Viareggio (C2) è tornato a Empoli giocando tre stagioni in serie B e due in A. Il suo esordio in A risale esattamente al 14 settembre del 2002, in un ComoEmpoli (arbitro Collina) terminato con la vittoria dei toscani per 2 a 0 (reti di Saudati e proprio di Di Natale). Sposato, ha due figli: Filippo (cinque anni e mezzo) e Diletta (due).
detto anche prima è stato lui a farmi capire tante cose, anche a occuparsi di me quando non ce la facevo più a stare lontano da casa e da Napoli. E poi era anche proprio bravo a giocare e così cercavo sempre di prendere qualcosa, come ho sempre fatto, da coloro che ne hanno sempre di cose da insegnare e penso qui a calciatori come Baggio, Del Piero, Totti. Sì, ho i cosiddetti piedi buoni ma ancora ci sto attento, ancora faccio sempre qualcosa, tutti i mercoledì ad esempio,
Dall’agosto del 2004 Totò Di Natale è all’Udinese e proprio in questa stagione, nella partita contro la Sampdoria allo stadio Friuli, ha segnato il suo centesimo gol in serie A. Capocannoniere con 29 gol nella scorsa stagione, ha visto premiare quella sua straordinaria stagione pure con gli Oscar Aic quale capocannoniere e miglior giocatore italiano (si è pure aggiudicato il premio fair play per quel suo interrompere un’azione in Lazio-Udinese per far soccorrere un avversario a terra).
quando non c’è doppio, vado con qualche squadra giovanile a calciare in porta, a curare i gesti, si può sempre migliorare”. “Sì, sono stato fortunato, ho sempre incontrato società serie e dunque non ho mai avuto problemi con gli stipendi, anche quando ho giocato in C ho sempre trovato delle brave persone. Ma so che non per tutti è così, so quanta fatica fanno adesso in serie C a essere pagati e per fortuna c’è l’Associazione Calciatori che li difende i giocatori. Personalmente non sento di fare parte di quel tipo di calciatore che viene visto oggi: viziato, tutto dovuto, veline e macchinoni, no. Specialmente poi con la crisi che adesso c’è in giro, con lavoratori che prendono, se li prendono, 1000 euro al mese. Però c’è anche da dire che se va bene i l calcio dur a 15 anni e poi bisogna stare attenti, bisogna prepararsi, facile altrimenti poter trovare tante difficoltà come capita a tanti di noi”. “Mi piacerebbe che tutte le socieCon la Nazionale ha preso parte all’Europeo 2008 e al Mondiale in Sudafrica e sono complessivamente 36 le sue presenze (45 le convocazioni) e 10 i gol. L’esordio (con Trapattoni c.t.) l’ha fatto il 20 novembre 2002 nell’amichevole contro la Turchia giocata a Pescara e terminata 1 a 1 con i gol di Emre per i turchi e di Vieri per i nostri (quel giorno esordirono in Nazionale pure Birindelli, Ferrari, Legrottaglie, Nervo e Perrotta). Il primo gol in azzurro lo ha segnato nell’amichevole tra Italia e Repubblica Ceca giocata a Palermo nel febbraio 2004 (finita 2 a 2, ancora di Vieri l’altra nostra rete).
tà investissero, ma per davvero, sui giovani italiani, sui settori giovanili: a noi manca molto una cosa così. Io per esempio a Empoli sono stato fortunato, ho trovato delle persone che si sono interessate a me – penso per esempio allo stesso presidente Corsi – non solo per il calciatore ma anche come persona. Difficile dare consigli, lo so, ma a un ragazzo che comincia col calcio direi intanto di pensare alla scuola, che è quella la cosa importante, di non fare come me che mi sono fermato alla terza media e basta, di non fare un errore così. Di pensare poi a divertirsi col calcio sino ai 13-14 anni, è quella l’età in cui capisci se stai migliorando, sperando che non siano proprio i genitori i primi che spingono e spingono. Prenderla insomma intanto come una passione: se si migliora, bene, altrimenti ci si deve preparare per essere pronti a fare altro. L’idea che ho adesso per quando smetterò di giocare è di poter lavorare con i bambini, cercare di aiutarli con la mia esperienza e vedere se si potrà magari far crescere qualche piccolo talento. Già ne stiamo parlando col presidente Pozzo, intanto ho altri due anni di contratto: vedrò a fine carriera”.
calcio e legge di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di…
Il caso Udinese/De S la decisione Come anticipavamo nel numero di dicembre 2010, il 28 febbraio u.s. il CAS/TAS di Losanna ha deciso in secondo grado il contenzioso che opponeva l’Udinese a Morgan De Sanctis ed al club spagnolo del FC Sevilla. La questione nasceva dall’applicazione dell’art. 17 del Regolamento FIFA per lo Status ed il Trasferimento che consente ai calciatori di risolvere unilateralmente il loro contratto al termine del cosiddetto “periodo protetto”. In estrema sintesi, il “periodo protetto”, così come viene specificato al punto 7 delle “Definizioni” del Reg. FIFA, consiste in tre stagioni sportive intere (o tre anni se il contratto è sottoscritto a stagione in corso) decorrenti dall’entrata in vigore di un contratto, se questo contratto è stato concluso prima del 28° compleanno del calciatore, ovvero in due stagioni sportive intere o due anni se il contratto è stato concluso dopo il compimento del 28° anno di età da parte del calciatore. Come già abbiamo anticipato in passato, il vero aspetto irrisolto e controverso di questo istituto riguarda il quantum da riconoscere al club che subisce la rottura del contatto e quindi “perde” il calciatore. Nel caso De Sanctis, rispetto alla richiesta iniziale della società pari ad € 23.267.594 derivante da una lista più che cospicua di voci, in primo grado la DRC della FIFA aveva stabilito che, ai fini dell’individuazione della compensazione, si doveva considerare la media data dall’importo residuo del contratto con il vecchio club – l’Udinese – con quella dei primi tre anni del contratto sottoscritto con il nuovo club – il FC Sevilla. La somma così ottenuta andava poi divisa per due, per un importo pari ad € 3.547.134, a cui poi dovevano essere aggiunti € 36.000 (i 2/5 di quanto a suo tempo corri-
18
sposto all’agente del calciatore) ed € 350.000 da addebitare in forza della c.d. “specificità dello sport”, voce la cui individuazione veniva esplicitamente considerata corrispondente alle “specifiche necessità ed interessi del mondo del football e dei suoi portatori di interessi”. In definitiva, da una richiesta di € 23.267.594 si scendeva a € 3.933.134 (più 5% di interessi a decorrere dal 9 giugno 2007). Ciò premesso, in seguito tutte le parti si appellavano al TAS per cui, tralasciando tutti i preamboli e le singole richieste consultabili nel testo della motivazione disponibile in lingua inglese, passiamo ad esaminare sinteticamente la parte conclusiva e più interessante del lodo, suddividendola per temi specifici. 1. Le modalità di calcolo operate dalla DRC Innanzitutto per il “Panel” del TAS, ovvero i componenti del collegio arbitrale, le modalità di calcolo dell’indennizzo operate in primo grado dalla DRC non sono giustificate né chiare, e ciò sia per quanto riguarda la parte principale della compensazione (l’importo residuo del contratto con il vecchio club aggiunto a quello dei primi tre anni del contratto con il nuovo, diviso due), sia per quanto addebitato sotto la voce “specificità dello sport”. Una valutazione che ai componenti della DRC non farà certo piacere. 2. Come dovrebbe essere calcolata la compensazione? Il Panel, consapevole che i casi citati dalle parti presentano criteri di compensazione oltremodo difformi (vengono esplicitamente nominati i precedenti riguardanti Webster, Matuzalem ed El-Hadary), si preoccupa di evidenziare
che ogni caso presenta caratteristiche proprie, una sorta di excusatio non petita che appare funzionale a precisare che anche l’esito del caso De Sanctis non dovrà essere considerato come un precedente immodificabile. E venendo in seguito ad esaminare i criteri utilizzati per arrivare alla definizione del quantum capiremo il perché… Non manca però di citare testualmente un passo del lodo Matuzalem per affermare che il calcolo della compensazione “… non deve essere solo equo e corretto… ma anche trasparente e comprensibile”, e nelle successive parti del lodo tenta di giustificare questa indicazione. 3. Eventuale clausola risolutiva espressa In primo luogo, si precisa che nel vecchio contratto Udinese/De Sanctis non è presente alcuna clausola risolutiva
calcio e legge
Sanctis: finale del TAS
Qui sopra, Andrew Webster, al centro di un complicato caso quando vestiva la maglia degli Heart of Midlothian. Sotto, Morgan De Sanctis ai tempi dell’Udinese.
espressa (tipo la c.d. clausola “spagnola”?), in pratica una previsione contrattuale che esplicita quanto accade, prevalentemente se non esclusivamente dal punto di vista economico, in caso di risoluzione unilaterale del contratto. Questa sottolineatura da parte del TAS va intesa nel senso che, se prevista, questa clausola sarebbe stata senza dubbio presa in considerazione. 4. I criteri obiettivi di applicazione dell’art. 17 Reg. FIFA Il Panel cita testualmente l’art. 17 “… salvo diversa disposizione contenuta nel contratto, l’indennità per la risoluzione del contratto deve essere calcolata tenendo conto delle leggi nazionali vigenti, della specificità della pratica sportiva e di tutti i criteri oggettivi del caso, tra cui: la remunerazione e gli altri benefici dovuti al giocatore ai sensi del contratto in vigore e/o del nuovo contratto, la durata residua del contratto in vigore fino ad un massimo di 5 anni, gli eventuali esborsi e oneri versati o sostenuti dalla società di provenienza (ammortizzati nel corso della durata del
contratto) e se la risoluzione avviene durante un periodo protetto”. Ma in realtà il riferimento all’art. 17 è strumentale alla esposizione di una ulteriore serie di punti utili ad individuare i criteri di calcolo della compensazione, basati sui seguenti concetti: a) la casistica indicata dalla FIFA all’art. 17 non deve essere intesa come esaustiva; b) potrebbe essere considerata, se provata, la perdita dei proventi derivanti dalla mancata cessione del contratto (caso El-Hadary); c) le ulteriori eventuali perdite conseguenti la risoluzione unilaterale, come ad esempio l’acquisto di un altro o più calciatori in sostituzione; d) il ruolo specifico del calciatore (sottinteso, il portiere ricopre un ruolo più delicato di altri). Tutto ciò per arrivare alle seguente prima importante conclusione: esaminate con attenzione “… le specifiche circostanze del caso e le responsabilità di entrambe le parti”, un primo importo ragionevole da tenere in considerazione è dato dai costi e/o mancati introiti subiti dall’Udinese, e quindi nell’ordine: - quanto non percepito dal Rimini per la mancata, ancorché prevista, cessione del contratto di Handanovic, eventuale sostituto di De Sanctis come primo portiere = € 1.200.000; - la somma aggiuntiva pagata al Rimini quale “indennizzo” per il mancato trasferimento dello stesso Handanovic = € 250.000; - l’importo dato dal salario da corrispondere per tre anni (corrispondenti al periodo residuo del contratto risolto da De Sanctis), sempre riferito ad Handanovic = € 1.179.000 - l’importo dato dal salario da corrispondere per tre anni al “secondo” portiere Chimenti, acquistato in quanto esperto e potenzialmente in grado di supportare Handanovic in
caso di scarsi risultati di quest’ultimo = € 1.179.000. In definitiva e sommando le quattro causali, un totale pari ad € 4.510.000. 5. Perdita del potenziale importo derivante dalla cessione del contratto Questa voce (non considerata per Webster ed invece prevista per Matuzalem ed El-Hadary) non può essere presa in considerazione in quanto nulla prova che l’Udinese abbia concretamente perso un chance di guadagno derivante dalla cessione del contratto di De Sanctis. 6. La funzione dello stipendio (remunerazione) ed altri benefits ai fini del calcolo della compensazione La funzione ed in qualche modo l’utilizzo di questa voce specifica, riferita sia al vecchio contratto che a quello sottoscritto con il nuovo club, ha comportato i maggiori contenziosi. Ad esempio, nei casi Matuzalem ed ElHadary, dove i costi necessari per rimpiazzare i calciatori che avevano risolto il contratto, incluso il loro “valore di mercato”, sono stati considerati parte integrante della compensazione, ai fini dell’individuazione della compensazione la retribuzione residua del vecchio contratto è stata dedotta dall’importo contrattuale previsto per lo stesso periodo dal nuovo club del calciatore, perché considerata come un “risparmio” derivante dalla mancata corresponsione dello stipendio; al contrario, nel caso Webster, la compensazione è stata data unicamente dal salario (parte fissa) corrispondente alla residua durata del contratto interrotto. Ciò detto, il Panel afferma però che i due criteri già utilizzati in passato non sono, in questo caso, integralmente
19
calcio e legge di Stefano Sartori
ripetibili, anche se ne esplicita chiaramente i motivi solo riguardo ai casi Matuzalem ed El-Hadary: e ciò perché, per De Sanctis, l’Udinese non ha prodotto alcuna prova concreta che possa riferirsi al “valore” economico del calciatore (ad esempio, un’offerta per negoziarne la cessione del contratto), Pertanto, è necessario arrivare all’individuazione di un criterio diverso, che viene identificato partendo innanzitutto dalle voci che, una per una, corrispondono ad importi che la società non ha più dovuto corrispondere al calciatore: a) il salario annuale del calciatore = € 623.000; b) il c.d. “loyalty bonus”, e cioè una sorta di “premio fedeltà” annuo corrisposto al calciatore e considerato un benefit e quindi parte integrante della retribuzione = € 350.878; c) il contributo annuo per spese d’affitto = € 9.700. Il tutto per un totale annuo di € 983.578 che, moltiplicato per i tre anni residui del contratto interrotto,
20
determina un importo finale pari ad € 2.950.734. 7. La compensazione dovuta all’Udinese Conseguentemente a quanto affermato nei punti precedenti, l’importo parziale da corrispondere all’Udinese è quindi il seguente: € 4.510.000, dati dai costi sostenuti per rimpiazzare De Sanctis (elencati al punto 4) dedotti € 2.950.734, e cioè l’importo risparmiato e rapportato ai tre anni residui del contratto interrotto (elencati al punto 6), per un totale pari ad € 1.559.266 8. Specificità dello sport Infine, come già la DRC, anche il TAS pone attenzione sul concetto di “specificità dello sport”, ritenuto essenziale ai fini dell’individuazione della compensazione applicabile in caso di risoluzione del contratto senza giusta causa. Per il Panel la “specificità dello sport” non corrisponde ad una voce addizionale né ad un criterio che permetta di decidere secondo equità ma, testualmente (lettera f), punto 96. della motivazione) ad un fattore correttivo che consente di tenere in considerazione altri elementi oggettivi non inseriti tra quelli previsti negli altri criteri dell’art. 17 del Reg. FIFA. Ed aggiunge in seguito, per specificare meglio il concetto, che le conseguenze di una risoluzione unilaterale del contratto prevedono delle “perdite” che non si possono provare in Euro. Ed è proprio per poter ristorare queste perdite che può essere utilizzato, e conseguentemente quantificato in denaro, il concetto di “specificità dello sport”. Ciò premesso, poiché il commentario al Reg. FIFA stabilisce, come nota al concetto di specificità, che “le compensazioni aggiuntive non possono in
Qui sopra, il portiere egiziano El-Hadary oggi al Sion. Sotto, Matuzalem coinvolto in una vertenza con lo Shakhtar Donetsk.
ogni caso superare i sei mesi di stipendio…”, il Panel determina di aggiungere al totale parziale di cui al sopra citato punto 8. l’ulteriore somma di € 690.789, corrispondente a sei mesi del nuovo contratto con il FC Sevilla. 9. Importo totale della compensazione € 1.559.266 (l’importo specificato al punto 7 e, ripetiamo, derivante da € 4.510.000/costi sostenuti dal club meno € 2.950.734/importo dei tre anni residui) + € 690.789 (specificità dello sport) = € 2.250.055 (con l’aggiunta del 5% di interessi a decorrere dal 9 giugno 2007). Conclusioni La società chiedeva in prima istanza € 23.267.594, la DRC ha riconosciuto una compensazione pari ad € 3.933.134 ed infine il TAS, quale organo di secondo grado, ha deliberato un importo finale di € 2.250.055 (più 5% di interessi a decorrere dal 9 giugno 2007). Una conclusione soddisfacente dal punto di vista del quantum, molto meno se si valutano i criteri (concreti o potenzialmente utilizzabili) attraverso cui si è arrivati alla determinazione dell’importo, senza contare la rilevanza assurda assegnata al concetto di “specificità dello sport” in base al quale, senza giustificazioni concrete, potranno essere ipotizzate in futuro compensazioni davvero rilevanti.
ha scritto per noi di Pino Lazzaro
Andrea Malgrati, difensore della Tritrium
Vivere una favola…
C’è una squadra in seconda divisione di Lega Pro che sta letteralmente facendo sognare i propri tifosi che sperano in una clamorosa quanto insperata promozione: la Tritrium, la società di Trezzo d’Adda, mentre chiudiamo le pagine di questo numero de Il Calciatore, è in vetta alla classifica davanti a club blasonati come Pro Vercelli, Feralpi Salò e Pro Patria. Uno dei grandi protagonisti della stagione dei biancoazzurri è Andrea Malgrati, difensore centrale dotato di ottima tecnica, intelligenza tattica e grande visione di gioco che gli permette di trovarsi sempre al posto giusto per tamponare gli attacchi avversari. Dopo una carriera passata nei dilettanti, Malgrati è giunto ora alla sua prima esperienza tra i professionisti diventando ben presto uno dei pilastri dell’arcigna difesa lombarda. Uscito dal settore giovanile del Monza, ha giocato in Prima Categoria nel Valmadrera a 18 anni, poi in Eccellenza a Merate, 2 anni in serie D a Oggiono e Olginatese, infine da tre anni alla Tritium.
Come consideri la tua prima esperienza nei professionisti? “Direi molto positiva. Non ho trovato molta differenza con la serie D tranne per qualche giocatore in più di valore che se commetti un errore ti
alla Torricelli punisce subito. Per il resto il campionato va a gonfie vele e siamo attualmente primi in lotta con la Pro Vercelli per la conquista del campionato: meglio di così non poteva andare”. Come ti trovi con la Tritrium? “Sono da 3 anni in questa società: ottima organizzazione e non ci sono grandi pressioni, cosicché si può lavorare nel migliore dei modi”. Hai qualche sogno nel cassetto per il tuo futuro calcistico? “Mi piacerebbe anche solo rimanere tra i professionisti, logico che se dovessimo fare di nuovo il salto vincendo il campionato sarebbe una bella sfida: ora ho 28 anni, non sono giovanissimo e ho i piedi per terra, ma chissà, magari mi capitasse una favola… alla Torricelli! Non sarebbe male no?”.
Raccontaci i “più” e i “meno” della tua carriera… “La soddisfazione più grande è stata sicuramente la vittoria del campionato l’anno scorso, sempre con la Tritium, che mi ha permesso di fare il salto dai dilettanti al mondo dei professionisti. Di delusioni non ne ho avute fino ad oggi anche perché gioco per divertirmi: basti pensare che uscito dalla Berretti del Monza sono andato a giocare in Prima Categoria per puro divertimento. In fondo il calcio e anche e soprattutto questo, ma a volte lo si dimentica”. Andrea Malgrati è nato il 9 giugno del 1983 a Lecco. A sinistra una formazione della Tritrium di questa stagione.
pianeta Lega Pro di Pino Lazzaro
Rappresentante Aic del Taranto
Vincenzo Migliaccio:
“Diamo una mano all’Aic
“Lì al mio paese, a Mugnano, un chilometro da casa. C’era la scuola calcio e così ho cominciato con un gruppetto di amici, mio fratello Giulio (ora al Palermo; n.d.r.) sempre con me. Nel tempo poi la scuola calcio è diventata affiliata al Savoia, siamo insomma cresciuti lì, via via che gli anni passavano c’era chi lasciava stare il calcio, alla fine di quel gruppetto di 6-7 che era partito, eravamo rimasti solo noi due, Giulio e io. Devo dire che proprio brava è stata mia madre, quanta roba ha lavato e tieni conto che pure il terzo fratello ha giocato, lui è il più giovane, è arrivato sino l’Eccellenza e poi ha mollato. Con la scuola? Sono ragioniere, ci sono insomma arrivato a finire. Sino alla terza superiore devo dire che me la cavavo anche bene a scuola, frequentavo regolarmente, niente problemi; poi quando ho cominciato ad avvicinarmi alla prima squadra, allora sì ho iniziato ad arrancare ma dai e dai alla fine ce l’ho fatta. È stato a suo tempo Osvaldo Jaconi, allora lui era l’allenatore del Savoia, a portarci (sempre assieme a Giulio) in prima squadra. S’era con la Berretti, ci si allenava con la prima squadra e poi s’andava a fare le partite con la Berretti; poi come detto c’è stata la chiamata in prima squadra ed è stato lì che un po’ tutto è cambiato, lì le cose hanno cominciato a farsi più serie, ho cominciare a capire di più, c’era la possibilità di rubare un po’ il mestiere: un cambio di mentalità insomma”. “Sì, ho fatto tutta la mia carriere in serie C ma non sono di quelli che si nascondono, che dicono che avrebbero potuto fare questo o quello, le circostanze eccetera. No, credo insomma che sia questa dunque la mia categoria e lo dico proprio perché con tutti gli allenatori che ho avuto sono di quelli che hanno sempre giocato, non sono mai stato in
22
fondo in panchina. E non è che sia facile nemmeno in C essere sempre protagonisti, per questo credo sia insomma questa la mia categoria. Altra cosa: mai ho giocato al nord, non so bene perché, qualche occasione in effetti c’era stata ma ben poca cosa. Comunque sono uno che di squadre ne ha cambiate poche, mai l’ho fatto per dire a gennaio, magari mi affeziono pure. Dai, parlare di sé non è semplice, ma quel che mi considero è di essere uno serissimo, proprio così, anche per questo io la fascia di capitano l’ho cominciata a portare che ero giovanissimo, già a 22 anni. Lo capisco anche dai riconoscimenti che mi capita di ricevere, da quel che mi viene detto dai compagni. Credo d’essere insomma una persona responsabile, naturalmente sempre davanti al gruppo in allenamento, anche perché è proprio questo, l’allenamento, il segreto di tutto: far bene la settimana vuol dire che te la puoi sempre andare a giocare la partita. Come detto porto la fascia
ma non sono di quelli che “attaccano al muro” come si dice, anzi. Quel che contano sono i comportamenti, a volte basta un’occhiata per farsi capire e quando intervengo mai lo faccio gridando, a voce alta. È vero, sono napoletano, eppure le cosiddette sceneggiate non fanno parte di me: mi piace molto parlare, poter eventualmente dare consigli ma per come sono fatto, per il carattere che ho, so stare al mio posto: non sono un istintivo e prima di dire o fare qualcosa, ci penso sempre tantissimo. Per tutto questo con i giovani per me va alla grandissima, sono tanti quelli che mi chiedono consigli, anche quelli che mi chiamano, che giocano adesso in altre squadre, ne dico uno, Sciaudone che adesso è col Foligno”. “Essere rappresentante di squadra è un qualcosa che ho sempre fatto, mi piace essere e tenermi informato e poi mi pare di poter così dare una mano a un’Associazione che tanto ci aiuta noi calciatori. Ricordo che una volta mi capitava di fare più fatica quando c’era da iscrivere la squadra, adesso invece le cose per me Qui sotto, una formazione del Taranto di questa stagione: Giorgino, Cutrupi, Innocenti, Migliaccio, Garufo, Di Deo, Prosperi, Rantier, Antonazzo, Colombini e Bremec.
:
pianeta Lega Pro
che tanto fa per noi” sono andate migliorando, sono sempre loro infatti, i miei compagni, che vengono da me per potersi iscrivere all’Aic. Lo so, sono stato sempre fortunato in questi miei anni di calcio, mai sinora ho avuto direttamente bisogno dell’Associazione; a me insomma le cose sono andate bene, ho sempre trovato società serie e non è che sia una cosa tanto scontata questa, lo so, lo so”. “È una piazza questa di Taranto che non ha certo niente a che fare con la serie C, tanto per dirtene una c’erano 9.000 spettatori una delle ultime partite, dove ne trovi altre così in C? Noi qui veniamo da un’annata, quella precedente, che non è certo andata bene, direi anzi che è stata praticamente fallimentare visti soprattutto quelli che erano stati gli investimenti della società, le ambizioni che c’erano. Quest’anno siamo ripartiti volando bassi – diciamo così – con l’obiettivo più generico di “fare bene” an-
che se come detto è una piazza questa che non può avere altro obiettivo che salire. Ora siamo lì, abbastanza sopra, vediamo di farcela ad entrare nei playoff e poi, chissà, ce la giocheremo. La società è serissima e tornando all’ambiente non posso non dirti che qui sì ti capita di sentirti un calciatore vero: chi ci viene a giocare deve per forza avere tra le sue caratteristiche quella dell’equilibrio, è fondamentale, sia quando vanno bene le cose, sia quando vanno male”. “Ora sono due mesi e più che sono fermo, mi sono rotto i legamenti del ginocchio, conto di essere pronto per la prossima stagione, di non portarmi dietro insomma problemi. È l’infortunio più grave che mai ho avuto, sono sempre stato abituato a farne 30 di partite all’anno. È stato però un infortunio che mi ha fatto comunque capire parecchio. Quanto mi manchi il campo, lo spogliatoio e quanto sia stato fortunato prima, quando non mi sono mai fatto nulla. Mi hanno fatto molto piacere poi gli attestati di stima che mi sono arrivati da tanta e tanta gente, è stata questa in fondo la cosa più bella di questa esperienza. La categoria, quella che sono tanti anni che faccio, secondo me è cambiata prima di tutto da un punto di vista ambientale. Ora è tutto più tranquillo e “normale”, mentre prima era davvero un disastro, con tanti campi in cui ne dovevi giocare tre di partite: prima, durante e dopo. Poi credo anch’io che ci fosse più qualità prima; ora ci sono tanti giovani in più ma è pur sempre una categoria difficile, molto competitiva”. “Al dopo non ci penso ancora, ora come detto sono qui che voglio recuperare per bene dall’infortunio proprio per non avere intanto problemi il prossimo anno. Se però immagino un domani allora penso che resterò nel calcio, que-
La scheda Vincenzo Migliaccio, rappresentante Aic del Taranto, è nato a Mugnano di Napoli nel marzo del 1980 (il fratello Giulio, appena 15 mesi tra loro due – è Vincenzo il più “vecchio” – gioca adesso col Palermo). Difensore centrale, ha via via giocato con Savoia (C1), Puteolana (D-C2), Giugliano (C2), Teramo (C1) e Taranto (C1, ora Prima Divisione). Questa la sua scheda nel dettaglio consultabile sul sito www.assocalciatori.it. 2010-11
Taranto
1° Divisione
20
0
2009-10
Taranto
1° Divisione
28
1
2008-09
Taranto
1° Divisione
31
1
2007-08
Taranto
Serie C1
27
0
2006-07
Teramo
Serie C1
32
3
2005-06
Teramo
Serie C1
32
2
2004-05
Giugliano
Serie C2
34
1
2003-04
Giugliano
Serie C2
30
1
2002-03
Giugliano
Serie C2
32
3
2001-02
Giugliano
Serie C2
33
2
2000-01
Puteolana
Serie C2
17
1
1999-00
Savoia
Serie B
0
0
1999-00
Puteolana
Serie D
10
0
1998-99
Savoia
Serie C1
2
0
sta sì mi pare una cosa sicura. Per come tanti mi conoscono, già mi dicono che mi vedono come allenatore, anche per il carattere che ho. In effetti è una figura quella dell’allenatore che mi piace tantissimo ma sento che il tutto è ancora presto, è il calciatore che adesso voglio continuare a fare, sicuro!”.
23
femminile
di Pino Lazzaro
In Italia dal 30 maggio all’11 giugno prossimi
Campionato Europeo
Femminile Under
Dopo l’Europeo Under 17 maschile nel 2005, l’Italia torna a ospitare la fase finale di una competizione continentale col Campionato Europeo femminile Under 19, in programma dal 30 maggio all’11 giugno in Romagna. Appuntamento di prestigio dunque che avrà modo, tra l’altro, di concentrare un bel po’ di interesse e attenzione sia sulle nostre ragazze che su un po’ tutto il movimento che qui da noi non sta certo vivendo un periodo di cosiddette vacche grasse. E sul piano dei risultati (vedi l’eliminazione dal mondiale in Germania della nostra Nazionale maggiore) e pure sul piano “politico”, visti anche i disagi e le incertezze che sta sperimentando la stessa Divisione. Abbiamo così pensato intanto a questo “speciale” dedicato appunto al prossimo Europeo, mettendo assieme, con un po’ di notizie varie, pure le aspettative/speranze del c.t. dell’Under 19 femminile Corrado Corradini e di alcune calciatrici: Alborghetti, Coppola e capitan Rosucci. Come sempre qui da noi, quel che conta nell’immediato è comunque il responso del campo e dunque è un appuntamento questo dell’Europeo allo stesso tempo avvincente e insidioso. Da una parte l’opportunità di una ribalta prestigiosa, di un farsi finalmente “vedere” con la speranza di “fare bene”; dall’altra la preoccupazione per una verifica internazionale che possa magari mettere a nudo i nostri ritardi e così beffardamente giustificare il tiepido interesse (eufemismo) che il movimento sta sperimentando praticamente da sempre. In primis da parte della stessa Federazione naturalmente.
Corrado Corradini (allenatore)
“Grandi aspettative” “Onestamente devo dire che se nel 2007 eravamo stati eliminati dalla fase finale per un gol e nel 2008 avevamo vinto, ora siamo messi un po’ diversi. Se prima non avevamo paura di nessuno, adesso le cose non sono più quelle di prima. È vero, abbiamo avuto un sorteggio anche benevolo, diciamolo, nell’altro girone c’è la Germania che penso sia la più forte di tutte, poi la Norvegia sempre ad altissimi livelli, la Spagna che tanto è cresciuta, idem l’Olanda: quel che sorprende è che siano rimasti fuori movimenti forti come l’Inghilterra e la Francia o le stesse Svezia e Danimarca, tutte formazioni abituate ad esprimersi sempre a grande livello”. “Da un punto di vista tecnico/organizzativo giocare in casa è certo un vantaggio; l’altra faccia della medaglia è che le ragazze sentiranno più responsabilità perché le aspettative non è che siano
24
poche. Bisogna anche dire che il nostro campionato ha ritmi e velocità completamente diversi e sono le stesse ragazze a sperimentare e rendersi conto di quanto sia diverso il modo di giocare a livello internazionale: diversa la forza, diversa la velocità, diversa la resistenza. In più è un torneo questo con partite ravvicinate, anche a questo non sono abituate le nostre ragazze. Queste dunque le preoccupazioni, chiamiamole così, con dall’altra parte però parecchia fiducia perché comunque sia quando queste ragazze vanno in campo sono sicuro che riescono a dare anche di più di tutto”. “Nello stage che abbiamo fatto ad aprile a Roma abbiamo insistito proprio su quanto ricordavo prima: quel gap che ancora abbiamo con le altre nazioni, specie del nord Europa. Un incremento dunque di un tipo di lavoro, sperando
che poi loro a casa possano continuare a farlo. Da tenere presente che siamo ormai verso la fine del campionato, qualche squadra non ha magari null’altro da chiedere e può esserci un certo qual rilassamento, con in più l’impegno della maturità che hanno in parecchie tra le ragazze (stanchezza mentale e/o preoccupazioni legate alla scuola)”. “Devo dire che è stato proprio bello, al momento della cerimonia del sorteggio (si è tenuta a Cervia lo scorso 14 aprile; n.d.r.), vedere nel volto delle due ragazze che erano lì con me, la Rosucci e l’Alborghetti, la gioia e l’emozione per quello che è stato a tutti gli effetti un
femminile
Taccuino
19 evento. Fatto bene e con gente importante; ecco, lì insomma le due ragazze hanno avuto un assaggio di quella che sarà l’atmosfera di quei giorni, si sono ancor più rese conto dell’esperienza che andranno a vivere e so che subito hanno compartecipato alle compagne questo tipo di atmosfera, l’importanza di quello che andranno a vivere”. “Ricordo che quando ho iniziato a lavorare nel settore femminile, quel che mi era stato subito detto era di vincere qualcosa di importante, solo così era possibile che ci fossero dei cambiamenti altrettanto importanti. Nel 2008 ci riuscimmo, per la prima volta una squadra di ragazze si aggiudicava un titolo europeo e ricordo pure di quei giorni il “grazie per un’emozione che non ho mai vissuto” da parte di colei che è sì diciamo la mia assistente ma che è una persona che tanto ha fatto e dato per il calcio giocato dalle donne, Giorgia Brenzan. Allora noi tre anni fa cogliemmo un traguardo
La decima edizione dell’Europeo Under 19 Femminile, competizione annuale nata dal 2001 dalle ceneri dell’Europeo Under 18, andrà in scena negli stadi di Cervia, Bellaria, Forlì e Imola: quindici le gare in programma dal 30 maggio all’11 giugno, giorno in cui al “Romeo Galli” di Imola si assegnerà il titolo continentale. Per le diverse nazionali sono stati pure messi a disposizione i campi di allenamento a Castiglione di Ravenna, Classe, Fosso Ghiaia, Gatteo Mare, Montaletto, Pisignano-Cannuzzo, San Zaccaria e Savio. Attorno all’Europeo sono poi fiorite parecchie iniziative che hanno come obiettivo il mettere in primo piano il calcio femminile, di fare insomma promozione: verranno tenuti dei corsi specifici per istruttori; prima delle partite ufficiali verranno disputati dei mini-tornei dimostrativi con bambini e bambine di società locali; ogni squadra nazionale in lizza per l’Europeo è stata abbinata a un diverso istituto scolastico con la previsione per ciascuna delegazione di “visite ufficiali” e di incontri con studenti e studentesse.
storico e quel che dobbiamo purtroppo constatare è che non c’è stato nulla di “importante” come riscontro, anzi direi che siamo andati ancor più in calando. Il Belgio che incontreremo nel nostro girone, sino a qualche anno fa lo liquidavamo facilmente con 6-7 gol, adesso loro per la prima volta si sono qualificati sia con l’Under 17 che la 19; idem la Spagna che per la prima volta ha vinto l’europeo Under 17 o la stessa Francia dove hanno investito e ora ce ne sono ben cinque di quei loro “poli” riservati alle ragaz-
ze, che ci restano da lunedì a venerdì. Tutti crescono, tutti hanno programmi e investimenti. E noi? Dove siamo/saremo collocati adesso? Dove sta da noi la volontà di far crescere questo calcio? Sì, sono le ragazze a trasmettermi entusiasmo: i maschi se la sognano la serietà, la dedizione, la disponibilità che loro ci mettono. Un qualcosa questo che pure un po’ mi amareggia, per loro intendo, sempre le ragazze: con tutto l’impegno che ci mettono, se le meriterebbero soddisfazioni e considerazione”.
Martina Rosucci (Torino)
“Puntiamo sul carattere”
“P
er prima cosa penso all’età e all’esperienza, per questo sono io a portare la fascia di capitano. Tre anni fa in Francia ero la più giovane del gruppo, ora penso e spero di poter essere utile alle mie compagne, sento d’avere la loro stima. Durante il sorteggio è stato un momento in cui, come dire, mi sono proprio sentita calciatrice: personaggi importanti, sono salita sul palco, ho avuto modo di dire la mia. So bene che abbiamo una grandissima responsabilità per un Europeo che darà visibilità al calcio
femminile e in cui dovremo dimostrare di essere all’altezza delle altre nazioni. Proprio come squadra penso che dovremo puntare molto sulla mentalità e sul carattere: il sorteggio non è andato male, la fase eliminatoria dobbiamo superarla a tutti i costi, poi in semifinale ce la giocheremo”. “Studio, liceo scientifico, ho anche la maturità che mi aspetta. Di sacrifici in questi cinque anni ne ho dovuti fare, tralasciando magari altri aspetti della vita sociale. Con la scuola, sul fatto che mi vengano o no un po’ in-
contro, dipende dai professori, ce ne sono più duttili di altri e ce ne sono che proprio non s’interessano per nulla, che pensano anche che il calcio non sia una cosa seria: per le assenze qualche concessione comunque c’è stata. Sono tante le ragazze che giocano, ce n’è tanta di passione, ma quel che si ha in cambio è sempre un che di poco importante. Ecco, mi auguro che gli stadi dell’Europeo siano pieni come lo erano allora in Francia, che ci si possa insomma sentire veramente giocatrici, anche un po’ importanti”.
25
femminile
Lisa Alborghetti (Brescia)
“Daremo il massimo”
“È
vero, alla cerimonia del sorteggio ho provato una sensazione diversa, sembrava di essere come nel calcio maschile, tutti lì per te. Allora sì capita che ti fanno sentire come importante, proprio al centro dell’attenzione, è stato anche strano. Cercare di dare il massimo è quello che faccio sempre e lì sentivo che le persone si interessavano di me: un qualcosa di bello, come dire che così non sono più sacrifici sprecati. Cosa mi aspetto? Potrei dire vincere, magari scontato: spero che riusciamo a fare delle buone prestazioni, di dare tutto quello che abbiamo e di essere contente. La squadra per me ha le qualità per andare avanti e poi qualificarci per le
semifinali vorrebbe dire poter andare anche al Mondiale Under 20. So che nel calcio il fisico conta sino a un certo punto, però è vero che fisicamente le altre squadre hanno qualcosa di più, anche il tipo di allenamenti che sono abituate a fare. La scuola? Faccio la quarta ragioneria e sono fortunata perché mi danno una mano: conciliare le due cose è difficile, ne richiede tanto di tempo il pallone”.
Calendario
Fase eliminatoria 30 maggio (ore 17.00) Gruppo A) Italia-Russia (Imola); Svizzera-Belgio (Bellaria) Gruppo B) Germania-Norvegia (Cervia); Spagna-Olanda (Forlì) 2 giugno (ore 17.00) Gruppo A) Italia-Svizzera (Cervia); Russia-Belgio (Forlì) Grppuo B) Norvegia-Olanda (Imola); Germania-Spagna (Bellaria) 5 giugno (ore 17.00) Gruppo A) Russia-Svizzera (Cervia); Belgio-Italia (Bellaria) Gruppo B) Olanda-Germania (Imola); Norvegia-Spagna (Forlì) Semifinali:
8 giugno (Imola e Bellaria)
Finale:
11 giugno (Imola)
Katia Coppola (Como 2000)
“Sorteggio positivo”
“F
accio il liceo scientifico sportivo, l’idea per dopo è di fare fisioterapia. A scuola i prof mi aiutano, per esempio giusto prima dello stage a Roma mi hanno anticipato le interrogazioni e se come assenze dovessi superare il limite, non me le conteranno queste per il calcio. Vedendo il sorteggio – è andata bene – sono ancor più motivata: spero intanto di giocare e di fare bene. Diciamo che sono magrolina e veloce, mi piace puntare il difensore e mi pare d’esserci abbastanza con i piedi (18 i suoi gol al momento di chiudere questo numero del giornale; n.d.r.). Cosa spero col calcio? Di andare lontano anche se so già che non sarà poi così tanto lontano, non è certo come il calcio dei maschi il nostro. Poterne comunque avere di soddisfazioni, ecco quel che spero”.
26
Protagoniste Da regolamento, la lista definitiva con i 22 nominativi per squadra dovrà essere consegnata all’Uefa alla vigilia di ciascuna partita. Giusto per dare un’indicazione di massima, ecco intanto le ragazze convocate dal c.t. Corradini per il raduno di preparazione tenutosi a Roma dal 19 al 23 aprile scorso. Portieri: Casaroli (Roma), Giuliani (Como 2000), Valzolgher (Sudtirol); difensori: De Angelis (Roma), Filippozzi (Roma), Ledri (Bardolino), Linari (Firenze), Pedretti (Atalanta), Salvai (Torino), Venturini (Fortitudo Mozzecane), Vitale (Milan); centrocampisti: Alborghetti (Brescia), Di Criscio (Bardolino), Franco (Torino), Lecce (Napoli), Mauri (Mozzanica), Pederzoli (Grifo Perugia), Re (Fiammamonza), Rosucci (Torino); attaccanti: Coppola (Como 2000), Mason (Reggiana), Piai (Vittorio Veneto).
amarcord
La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Francesco Ferrini (Pavia) “Di partite che ricordo te ne dico un paio, dai. La prima è quella del mio debutto in Serie B, a Piacenza, era esattamente il 20 ottobre del 2005. Io con la maglia del Cesena e l’allenatore Castori già me l’aveva anticipato che sarebbe stato il mio turno quella domenica, l’esordio in B ed era quello il Cesena dei vari Turci, Ficagna, Papa Waigo, Salvetti, Pestrin e di tutti gli altri, squadra che, tanto per capirci, è poi arrivata ai playoff per salire in Serie A e all’ultimo ha poi perso col Torino. Lì a Piacenza giocai mezzora, poi mi feci male al crociato anteriore del ginocchio destro e rientrai poi in prima squadra, giusto nella partita di ritorno, a Cesena, contro il Piacenza. La seconda partita che ricordo è invece Sambenedettese-Pescara, derby sentitissimo, che vincemmo per 2 a 0 e dove anche segnai il primo gol,
proprio sotto la curva della Samb, ricordo che in porta col Pescara c’era Indiveri, s’era assieme a Cesena. La ricordo questa partita perché sotto un profilo professionale l’ho sempre vista come una sorta di partita perfetta, ci saranno stati 7-8 mila spettatori quella volta”. Antonio Galardo (Crotone) “La partita di ritorno della finale playoff contro il Benevento, lì da loro.
Per noi del Crotone era stato quello un anno così così, tanti problemi della società, s’era arrivati al punto che se non fossimo andati su pareva proprio che nemmeno in Serie C la società poi si sarebbe iscritta. La pri-
ma partita l’avevamo dunque giocata in casa da noi, era finita 1 a 1, tutti a dirci che era impossibile andare a Benevento e vincere. E invece finì 1 a 0 per noi, un primo tempo il nostro alla grande, nel secondo tempo loro avrebbero anche potuto meritare qualcosa di più. Però siamo riusciti a tenere duro sino alla fine e fu davvero bravo quel giorno l’arbitro Gallione, gli diedi anche la mano a fine partita e ancora lo saluto volentieri quando mi capita di ritrovarlo sui campi, non era certo semplice per lui stare sereno quel giorno. Poi ricordo come fosse ieri, la festa: quando siamo tornati a Crotone c’era tutta la città ad aspettarci e sino all’alba non si è più capito nulla”. Roberto Previtali (Albinoleffe) “Quella del mio esordio in serie A, la stagione è il 2000/2001 – sì, dieci anni fa – con l’Atalanta in trasferta a Perugia. Era quello il Perugia di Cosmi, andava forte quella squadra, c’erano Materazzi, Baiocco, Liverani e tutti gli altri. Ricordo che era di aprile, i primi di aprile. Già avevo fatto
qualche domenica in panchina, c’erano delle carenze di organico e quella mattina capita che uno dei nostri, Paganin, abbia qualche problema, insomma non ce la fa a giocare. Nella riunione tecnica vengo così a sapere che gioco da titolare, parto subito insomma. Una grande emozione: stadio stupendo, giornata bellissima. Fin che sono lì nello spogliatoio viene da me Cristiano Doni e mi dice di cominciare subito deciso, proprio sul primo pallone, vedrai che l’emozione poi se ne va, così mi dice. E così andò. L’ho giocata anche bene quella partita, ricordo che ho salvato anche un gol sulla riga, nella mia zona del campo mi sono confrontato soprattutto con Baiocco, bravo e ostico, come lui
è ancora. Finì 2 a 2 e a parte l’esordio in Serie A, soprattutto l’arrivare a giocare da titolare nell’Atalanta, la squadra per cui avevo sempre tifato, è stato per me il coronamento di un sogno. Pensa che quella è stata poi incredibilmente la mia unica presenza, e con l’Atalanta e in Serie A! Poi ho cominciato ad andare in prestito in C eccetera: una sola presenza, a Perugia, mai a Bergamo...”.
27
l’incontro
Come stai?
Simone Cavalli, Riccardo Corallo e Antonino D’Agostino
Bistrita è una città nel nord della Romania, guardando la cartina t’accorgi che non è poi molto lontano il confine con l’Ucraina. Una città sui 90.000 abitanti che, parlando di calcio, da parecchi anni è in serie A, realtà che dicono somigli un po’ al nostro Chievo, piedi ben saldi per terra, organizzazione e – come si suol dire – passi lunghi come la gamba. Al momento di chiudere queste pagine del Calciatore, il Gloria Bistrita (questo il nome del club) pur essendo ancora nella parte destra della classifica, conta comunque un buon margine di vantaggio sulla quartultima (vanno giù le ultime quattro, non hanno lì da loro la formula dei playout): era appunto la salvezza l’obiettivo primario. Lì, in quella città non molto lontana dunque dall’Ucraina, ci giocano adesso tre ragazzi italiani, contratto sino a fine stagione. Simone Cavalli, Riccardo Corallo e Antonino D’Agostino hanno dunque accettato questa possibilità (Cavalli da febbraio, gli altri due da gennaio): giusto alcuni mesi per sentirsi intanto calciatori, per continuare a farlo, per vedere se anche questo può servire per il prossimo anno a trovare squadra. Già, l’obiettivo primo e fondamentale che da sempre ha bene in testa chi gioca a calcio (ed è un tema questo del lavoro che vale per tutti naturalmente, sportivi e non, specie di questi tempi poi). Tutti e tre hanno dalla loro parte una buona carriera, tutti e tre per dirne una sono arrivati a giocare nella nostra serie A e basta questo dato a segnalare che forse siamo di fronte a un possibile cambiamento di scenario, l’estero visto come possibilità di lavoro, proprio per continuare a fare il proprio mestiere. Perché questo? Una domanda a cui per prima cosa i nostri tre del Gloria Bistrita rispondono puntando il dito sulla cosiddetta “regola dei giovani”, così strettamente correlata naturalmente a quello specchietto degli incentivi economici sventolato dalla Lega Pro davanti agli occhi delle società. In effetti si gioca ormai più per l’età che uno ha, non tanto per quelle che possono essere le effettive capacità. In tanti non trovano così più squadra: Cavalli, Corallo e D’Agostino hanno intanto deciso per la Romania, andandosene sino a Bistrita, “pur sempre serie A”, il bianco e l’azzurro quali colori sociali.
Simone Cavalli, classe 1979 Ha sin qui vestito le maglie di Modena (C1), Montevarchi (C1), Carrarese (C1), Lecco (C1), Messina (B), Teramo (C1), Cesena (C1-B), Vicenza (B), Reggina (A), Bari (B), Frosinone (B), Mantova (B) e Andria Bat (Prima Divisione) “La realtà è che non avevo certo un grande mercato: dopo il fallimento col Mantova avevo deciso di ripartire, anche la serie C andava bene, ma l’esperienza che ho vissuto ad Andria per me non è stata positiva, non mi sono certo sentito trattato benissimo. Ho così preferito fare la risoluzione del
28
contratto e speravo di avere qualche opportunità, ma di richieste nemmeno una. Così c’è stata poi questa strada della Romania, all’inizio ero magari un po’ scettico ma devo anche dire che di anni ne ho 32, mi sento ancora calciatore e ho preferito non stare fermo, sarebbe stato peggio: è una scelta questa insomma della Romania proprio in prospettiva del prossimo anno perché l’idea intanto che ho è quella di continuare ancora a giocare. Proprio per questo ho deciso così di contattare Corallo e D’Agostino, loro erano arrivati qui prima di me, sapevo che cercavano un attaccante e allora ho fatto in modo di muovere un po’ le cose. Sono venuto, mi hanno visto con un po’ di allenamenti e ci siamo accordati: giusto tre mesi, poi vedrò. Ho trovato un buon ambiente, anche qui comunque attorno al calcio hanno le loro pressioni. Nello spogliatoio siamo in diversi di stranieri, c’è un tedesco, un argentino, due brasiliani, un senegalese e noi tre italiani; la lingua è naturalmente il rumeno, certo che noi tre – Corallo, D’Agostino e io – siamo sempre assieme. Siamo stati
accolti bene, stare in uno spogliatoio è parecchio simile dappertutto, certo che magari da noi si aspettano sempre un qualcosa in più. Non è poi tanto che sono qui in Romania ma per quel che ho visto direi che il livello delle prime squadre della classifica possa essere equiparato a quelle nostre di B che partono per vincere il campionato; per il resto grande equilibrio e in campo è ben presente sia l’aspetto tecnico che quello fisico, mentre forse c’è meno tattica di quel che capita da noi. Lo stadio ha una capienza di 7-8 mila persone; attorno al campo c’è un po’ di pista, alle partite vengono in 3-4 mila, anche qui c’è un gruppo di tifosi organizzati. C’è questa abitudine di fare sempre parecchio ritiro e dunque lo siamo già 2-3 giorni prima delle gare. Pure qui c’è il cosiddetto spezzatino per quel che riguarda il calendario e il motivo è sempre quello, le televisioni. Si comincia al venerdì e si finisce al lunedì. Gli allenamenti li sto trovando duri e tosti, come ho detto l’aspetto fisico è importante e dunque si lavora parecchio”. “No, non è che lo abbia voluto io il
l’incontro
numero 9 di maglia, sono stati loro a darmelo e ne sono contento naturalmente. A casa ci sono stato tre giorni per la sosta legata alle partite delle Nazionali e penso che verranno loro adesso per Pasqua, ho moglie e due figli, di 9 e 6 anni, noi si sta a Reggio Emilia. È chiaramente una soluzione questa temporanea, durerà solo fino a giugno, una soluzione di cui avevo bisogno anche mentalmente, proprio per continuare a fare il calciatore ed è proprio il calciatore che ancora intendo fare. Ora vivo in albergo, il tutto come detto andrà avanti sino a giugno, poi si vedrà. Siamo anche in semifinale con la Coppa di Romania e così, ora come ora, stiamo giocando ogni tre giorni, ve bene così. Se potevo fare di più nella mia carriera? Mah, sono sempre stato uno che ha dato il massimo, davvero il 100%. Se uno guarda i numeri e va a vedere i gol visto che ho sempre avuto il numero 9 di maglia magari ne avrei potuti fare anche di più, ma se si guarda a quello che posso sempre aver dato sul campo a favore delle squadre per cui ho giocato, allora dico che io la mia parte credo proprio d’averla sempre fatta, sempre”. Riccardo Corallo, classe 1980 Ha giocato tra i prof con Varese (C1), Reggiana (C1), Avellino (C1), Reggiana (C1), Spal (C1), Ascoli (B-A), Cremonese (B), Avellino (B) e Pro Vercelli (C2). “Sono venuto sin qui per rilanciarmi, è sempre e comunque serie A, a suo tempo sono stato penalizzato dall’Avellino, sempre bastoni tra le ruote, qualche problema col presidente. Dopo Vercelli è saltata fuori questa possibilità, l’ho detto che l’ho vista come una possibilità di rilancio. Con loro ho un contratto Uefa, per adesso sono stati puntuali, ora ne
Qui sopra, Riccardo Corallo; a sinistra Simone Cavalli e a destra Antonino D’Agostino.
abbiamo perse due di partite, staremo a vedere se continueranno come prima. Sì, è vera questa cosa della mentalità diversa. Io la trovo in effetti un po’ dittatoriale, controlli su controlli, anche su cose banali, sulla cena e anche sulla colazione: è diverso da noi, siamo insomma più avanti sulla questione della professionalità in Italia. È vero, sino a qualche anno fa erano pochissimi gli italiani che andavano all’estero ma adesso le regole sono cambiate, c’è questo discorso dei giovani che oltre ad aver abbassato il livello tecnico delle categorie, di fatto taglia fuori molti calciatori. È diventata una questione di età e non di qualità ed è una regola assurda che tra l’altro va contro gli stessi giovani che si trovano loro stessi tagliati fuori appena escono dalle classi di età per cui sono “giovani”, mah”.
gionale ed Eccellenza, allora ho voluto provare questo tipo di esperienza. In Italia le Leghe hanno messo questa regola dei giovani: in questo modo tanti come me, giocatori sui 30-32 anni ma anche prima, si trovano eliminati, non c’è spazio. Ho detto che ho voluto provare, vedere com’era e devo dire che non è certo facile. Qui hanno una mentalità, come dire, davvero dura, non siamo abituati noi a questo genere di cose. Ho mia moglie con me ma in effetti deve stare quasi sempre sola, specie per questa loro abitudine di ritiri così lunghi: si gioca al sabato e già si va in ritiro dal giovedì e se poi capita di dover giocare anche in settimana ecco che si
può star via giorni e giorni. Ora vado avanti sino a fine maggio, quando qui finisce il campionato e poi vedrò che fare, adesso ancora non lo so, magari andrò in Interregionale a giocare”.
Antonino D’Agostino, classe 1978 Ha giocato tra i prof con Pro Vercelli (C2), Treviso (C1-B), Atalanta (B), Cagliari (A), Treviso (B), Atalanta (A), Parma (B) e Ascoli (B). “È stata dura decidermi a venire qui. Però non avevo offerte, solo Interre-
29
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Con Del Piero
per il Giappone
Il terremoto seguito da tsunami, avvenuto in Giappone nello scorso marzo, è stato una spaventosa calamità, aggravata dai danni avvenuti nella centrale nucleare di Fukushima, che ha avvelenato il territorio circostante e anche l’oceano Pacifico in modo incontrollabile. L’impressione suscitata dalla catastrofe, costata decine di migliaia di vite umana - al momento in cui scriviamo non è ancora disponibile una statistica definitiva dei morti e dispersi - è stata enorme anche in Italia. Il nostro paese, come sempre in certi momenti, non fa mai mancare il suo sostegno e supporto alle popolazioni colpite da disastri naturali e il mondo del calcio non fa eccezione. Giocatori e squadre si sono attivate per raccogliere denaro da inviare a enti e istituzioni che lavorano sul campo. L’Aic non è stata da meno, anche oggi come in passato - al riguardo valga, tra gli altri, il ricordo della raccolta di fondi fatta dall’Associazione tra le squadre di serie A e B dopo lo tsunami che sconvolse l’oceano Indiano nel 2004. In questa circostanza, l’Aic ha deciso di sostenere un’iniziativa pro Giappone avviata da uno dei giocatori più rappresentativi del nostro calcio, il capitano della Juventus Alessandro Del Piero. Il campione del mondo di Germania 2006 ha da sempre grandissimi affetto e stima per il popolo nipponico, e il disastro lo ha indotto ad attivarsi subito con una iniziativa che si chiama Ale10friendsforJapan (www. ale10friendsforjapan.org) e che si aggiunge alle altre della serie SolidAle, il marchio con il quale Del Piero indica la sua attività di carattere sociale e solidaristico. Per chi volesse maggiori informazioni, il sito ufficiale (linkato sulla pagina principale) contiene una sezione
30
apposita, a cui si accede da una grafica sulla home page. Si tratta della proposta di una maglietta con stampato l’ideogramma giapponese che significa “amici”, sullo sfondo del tricolore italiano fuso con il sole della bandiera nipponica. Il ricavato della vendita delle t-shirt viene devoluto alla Croce Rossa. Al momento di andare in stampa, il contatore delle magliette vendute segna 13112 ed è in continuo aggiornamento. Il sito di Ale10friendsforJapan è essenziale in quanto dedicato esclusivamente all’iniziativa. È lo stesso Pinturicchio a spiegarci con parole sue il senso dell’iniziativa: «La solidarietà si può indossare. Così come il senso di vicinanza a un popolo, la partecipazione al suo dolore, la voglia di tendere la mano a chi si sta rialzando. Io vorrei che ci fosse tutto questo nella t-shirt che d’ora in avanti potrete acquistare su questo sito. È tutto in una parola: amici. È un ideogramma che si compone sul tricolore e si fonde con la bandiera giapponese. È questo il senso di “Ale10friendsforJapan”, una nuova iniziativa marchiata “SolidALE” che – attraverso la vendita di questa maglietta al prezzo di 15 euro più spese di spedizione – darà un aiuto alla
Croce Rossa giapponese impegnata nella difficilissima opera di sostegno alla popolazione colpita dal devastante terremoto dello scorso 11 marzo». Alessandro ricorda anche i momenti speciali vissuti, tra gli altri, quando nel 1996 si recò nel paese del Sol Levante a disputare con la Juve la gara unica che all’epoca assegnava la Coppa Intercontinentale. Fu un evento, per lui, particolarmente felice, dal momento che terminò con la vittoria bianconera per 1-0, proprio con un suo bel gol. Ma il ricordo del trionfo personale e della sua squadra cede subito al pensiero per il popolo nipponico: «Al Giappone sono legati alcuni dei ricordi più belli della mia carriera, grazie alla mia professione ho conosciuto un Paese e un popolo straordinario, che con orgoglio, dignità e infinito impegno si sta già risollevando. Non lasciamoli soli, basta poco per offrire un aiuto concreto». Il capitano juventino dimostra così di conoscere a fondo lo spirito giapponese, che è caratterizzato, oltre che dalle qualità indicate, anche da laboriosità e disciplina. Non a caso tratti che fanno parte anche dell’identikit personale di Ale. L’ultima frase firmata Pinturicchio è un appello alla solidarietà: «Grazie al progetto “Ale10friendsforJapan” la solidarietà si può indossare, sì: io mi sono già messo la maglietta. Fatelo anche voi. E seguite anche su www.alessandrodelpiero.com tutte le iniziative di “Ale10friendsforJapan”. Entra in questa squadra e scendiamo in campo: amici, insieme, per il Giappone». Per ordinare le magliette è disponibile l’indirizzo e-mail orders@ ale10friendsforjapan.org. Sul sito si trovano anche gli estremi di un conto corrente bancario sui cui è possibile fare una donazione.
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Tiro di Tovalieri, parata di Di Fusco www.sandrotovalieri.it Sito ufficiale per Sandro Tovalieri: cresciuto nel settore giovanile della Roma, nasce a Pomezia il 15 febbraio del 1965. Attaccante, ha militato in numerose squadre tra le quali citiamo Roma, Pescara, Arezzo, Avellino, Ancona, Bari, Atalanta, Reggina, Cagliari, Sampdoria, Perugia, Ternana, Reggiana. Può inoltre vantare due presenze nella Nazionale Under 21. Dopo il ritiro dal calcio giocato, Tovalieri si dedica all’attività di allenatore per poi aggiungere ai suoi interessi la gestione di una scuola di calcio situata a Tor San Lorenzo in provincia di Roma. Offre inoltre la sua professionalità nell’allenare gli esordienti della Roma, ambiente dov’è universalmente conosciuto e rispettato come tecnico preparato e capace.
Il sito ha una struttura molto semplice e lineare, a tutto vantaggio di una navigazione agevole e veloce. I contenuti in gioco interessano sia il Tovalieri giocatore che l’allenatore, con particolare attenzione alla già citata scuola di calcio. La galleria fotografica del sito ufficiale di Sandro Tovalieri si divide equamente tra il giocatore, immortalato in azione sul campo da gioco, e la scuola di calcio, con suggestive fotografie aeree della struttura. Non manca la possibilità di contattare direttamente Sandro via mail, mentre per i
più piccoli c’è uno spazio informativo dedicato ai centri estivi istituiti presso la scuola di calcio. Un modo per socializzare con gli altri bambini e ragazzi, vivere all’aria aperta ed affinare la propria tecnica calcistica in un ambiente sano e costruttivo. In definitiva sima di fronte ad un sito internet ben realizzato, curato nei dettagli ed in continua evoluzione. www.raffaeledifusco.it Raffaele Di Fusco è un ex portiere attivo negli ani ’80 e ’90 in squadre come Napoli, Catanzaro, Torino e Vicenza. Un volta conclusa la carriera come calciatore, ha dato il via ad una brillante esperienza come allenatore di portieri. Attualmente ricopre questo ruolo nel Torino, dopo aver prestato la sua professionalità a club come Napoli, Siena, Cavese, Messina e pro Patria. Si deve a Di Fusco l’introduzione del “deviatore di traiettoria”, un prezioso strumento di allenamento per portieri. In sostanza si tratta di una struttura tubolare da porre a zig zag a una certa distanza dalla linea del gol. Grazie a questo strumento, il portiere si abitua a reagire con tempestività agli imprevedibili cambi di direzione ai quali è sottoposto il pallone sia dopo un tiro ad effetto incontrando il suolo che nel bel mezzo di una bagarre tra attaccanti e difensori nel centro dell’area di rigore. Nomi altisonanti come Gianluigi Buffon si sono serviti dello strumento didattico inventato e brevettato dal vulcanico tecnico di origine casertana. La Juventus fu infatti tra le squadre che acquistarono il deviatore di traiettoria. Una pagina del sito internet ufficiale di Raffaele Di Fusco è interamente dedicata al deviatore. La galleria fotografica del sito è molto suggestiva, ricca di scatti a colori e in bianco e nero. La prima foto ad
esempio è uno splendido scatto che ritrae Raffaele di fianco a Diego Armando Maradona. Diversi altri scatti ritraggono il Di Fusco portiere in azione tra i pali, impegnato in una presa o in tuffo plastico pronto a scongiurare una marcatura. Uno spazio internet molto interessante, soprattutto per lo spessore tecnico del deviatore di traiettoria, dispositivo riconosciuto da più fonti autorevoli come prezioso alleato nella preparazione di un buon portiere. www.excalciatori.it E a proposito di ex calciatori, segnaliamo questo sito, curato da Matteo Bianchessi, totalmente dedicato ai “nostri eroi” del passato. Un simpatico spazio web per capire “che fine hanno fatto” tanti ex calciatori di cui si sono perse le tracce dopo la fine della loro carriera. Notizie, curiosità, filmati, libri, blog: insomma tutto ciò che c’è da sapere sugli ex idoli del nostro campionato.
31
Io e il calcio
l’intervista
Michele Strazzabosco, Asiago Hockey
Alla prima telefonata, per concordare poi l’intervista vera e propria, si sentiva di sottofondo il suono di una cassa, pareva un supermercato. In linea per pagare? No, era sì un supermercato, ma c’era proprio lui alla cassa: è dei genitori, lui lì a dare una mano. D’accordo, stagione conclusa (con entusiasmante vittoria dello scudetto) ma dice che non è quella una scena da fine stagione, quando può ci lavora anche lui e sarà proprio quel supermercato dei genitori il suo “dopo carriera”. Michele Strazzabosco, prima di finire qui sulle pagine de il Calciatore, aveva fatto notizia (giusto una breve per il grande pubblico, in fondo ai giornali: come tanti altri atleti di parecchie discipline pure loro dell’hockey su ghiaccio sono abituati a questi “spazi”) per quella sua esclusione dalla rosa della Nazionale in partenza per Budapest, sede del girone A del Mondiale di 1a Divisione. Lui, per tanti e tanti anni punto fermo della Nazionale, cosa poteva aver mai fatto? Glielo abbiamo chiesto e così è lui a darci la sua versione delle cose, così togliamo subito di torno questa sorta di “disturbo”. “Sì, mi hanno estromesso dalla Nazionale perché non mi sono presentato a un allenamento. È una questione su cui ho poco da dire. O magari tanto, dai. Comunque sia lo sbaglio l’ho fatto, anche se avevo avvisato. Avevamo appena vinto lo scudetto, c’era stata la festa il giorno prima e, come detto, avevo comunque avvisato. Intanto aggiungo che di anni nella Nazionale maggiore ne ho fatti una quindicina e sfido chiunque a potermi contestare anche una virgola sul piano dell’impegno e della professionalità per tutto questo periodo. Avevo già deciso che questo sarebbe stato il mio ultimo Mondiale ma possibile finire così dopo tutti questi anni? Ho accettato la decisione e ho dato il bocca al lupo alla squadra. Quel che mi resta è
32
l’amarezza/rabbia per una decisione che trovo straoltre l’eccessivo e che in più ha coinvolto altri due ragazzi dell’Asiago che proprio non c’entravano nulla (Federico Benetti ed Enrico Miglioranzi; n.d.r.). Va bene, io ho chiuso, evidentemente ce n’erano altri di motivi, non può che essere così”.
Così dunque Strazzabosco. Naturalmente ne abbiamo sentita solo una di campana, non è certo questa la sede per approfondire e chiarire, certo che in sé è una storia che messa così non sta certo molto in piedi. Domanda: potrebbe una cosa del genere accadere nel calcio? Addirittura l’esclusione da un Mondiale? Comunque sia, è tempo di tornare al taglio usuale di questa rubrica dedicata ad atleti di altre specialità: via dunque al raccontare di Michele. “La mia storia con l’hockey è iniziata che ero bambino. Con un mio zio che aveva su a Camporovere (frazione di Asiago; n.d.r.) una pista di pattinaggio all’aperto, come s’usava una volta. Ci andavo a pattinare ed è stato da lì che è partita la passione anche se devo dire che sino ai 14 anni ho continuato a farne tre di sport: hockey, calcio e sci da fondo. Mi ricordo che dopo la terza media mi sono trovato a dover scegliere con quale continuare e in effetti la mia scelta era per lo sci da fondo, già avevo avuto dei risultati importanti che mi avevano ancor più stimolato. In attesa della neve avevo così deciso di continuare con l’hockey (il calcio l’avevo subito messo da parte) però quell’anno capitò che ad Asiago non nevicò mai, nemmeno un giorno, l’unica volta. In più sempre in quella stagione venni convocato per la prima volta per la Nazionale U14 e da lì continuai con l’hockey, così insomma arrivai a scegliere”. “Sì, è un impegno il nostro in pratica a
tempo pieno, il 95% dei giocatori sono professionisti. Nel mio caso non proprio del tutto, lo faccio nei periodi cruciali, tipo i playoff; i miei hanno un supermercato e quindi ho questo punto di riferimento e così quando posso ci sono e do loro una mano. Per quel che riguarda la settimana-tipo faccio riferimento al periodo, da Natale sino aprile, in cui in pratica giochiamo tre volte la settimana: al martedì, al giovedì e al sabato. Ecco così, con la domenica libera, che ci si allena doppio il lunedì (pronti alle 9 di mattina e alle 18.15), un allenamento la mattina di martedì (idem il giovedì e il sabato) e un allenamento sempre alle 18.15 al mercoledì e al venerdì. Di palestra se ne fa parecchia prima, durante l’estate e anche sino a circa metà dicembre, ma poi – giocando come detto ogni tre giorni – la si lascia quasi del tutto stare, solo ogni tanto qualche richiamo. In genere nel nostro ambiente la preparazione vera e propria, come squadra intendo, inizia un cinque settimane prima dell’inizio del campionato, che inizia di solito tra il 20 settembre e il 10 ottobre, dipende da quelli che possono essere in quel periodo gli impegni della Nazionale”. “Credo si possa dire che è uno sport diverso il nostro dal calcio, nel senso che ci si fa sì male ma ci si abitua a con-
l’intervista
viverci. Pur avendo addosso sui 12 kg di attrezzature, non so nemmeno quanti possano essere a fine partita i sacchetti di ghiaccio che girano tra di noi nello spogliatoio. Sì, forse qualche simulazione c’è anche da noi, giusto qualcuna però, perché il simulare va proprio contro a quello che è il concetto del nostro sport (che è in pratica lo stesso del rugby): gira e rigira se uno non si comporta bene, finisce che la paga questa cosa qui. Per dirne un’altra, non esiste che uno stia fuori per una contrattura, per una cosina così, dai, si va oltre. Di peso faccio 103 kg, non posso certo dire che sia la velocità la mia arma; no, il mio tipo di gioco per forza di cose si basa sul fisico, sulla aggressività, diciamo che potrei essere definito un po’ il Materazzi della situazione, per dare l’idea”. “Sono tifoso juventino, fiero e purosangue. Tanto che sempre sin che faccio il riscaldamento pre-partita indosso pantaloncini e calzettoni della Juventus, sono ormai 7-8 anni che faccio sempre così. Quand’ero a Milano a giocare allora ci andavo spesso allo stadio, a San Siro ma anche Torino; anche il Vicenza ho seguito, specie al tempo di Guidolin e Ulivieri, credo di averne perse davvero poche di partite in casa in quel periodo. Ora invece mi prende meno, allo stadio non ci vado praticamente più e anche in televisione poca roba, giusto magari la Nazionale ai Mondiali. Mi piace sempre molto giocare ma mi sto accorgendo che col passare degli anni, sempre più ho bisogno di stimoli, non fanno insomma per me le partite in cui non c’è nulla in palio o quelle contro “squadrette”, diciamo che ho il palato più fine di un tempo”. “Che vuoi, da come uno si mette a leggere la Gazzetta dello Sport capisco di che sport è appassionato. Se uno se ne sta lì per bene dalla prima pagina e va avanti così con tutto quel calcio in tutte quelle pagine, allora è un tifoso di calcio; ma invece ce ne sono altri – e io sono uno di questi – che cominciano dalle pagine in fondo, per tutti costoro il calcio viene per l’appunto dopo. Del resto se si guardano le cifre del business calcio, di quanto si investe su questo settore, allora è normale che i quotidiani sportivi riservino pagine e pagine al calcio. Certo che a volte mi capita di leggere dei pezzettoni su cose assurde del calcio e per gli altri sport, non mi riferisco solo all’hockey, trovi giusto due
righe e pure due giorni dopo. Ecco, questo non mi pare sia giusto, no. Per quel che riguarda l’hockey penso che non sia stata del tutto sfruttata la possibilità che abbiamo avuto con l’Olimpiade di Torino 2006; faccio, per spiegarmi, l’esempio del rugby, di quanto abbia saputo farsi conoscere in questi ultimi anni, evidentemente c’è stata un’opera di promozione che a noi è mancata. Eppure è uno sport il nostro veramente molto spettacolare, chi si avvicina è proprio facile si innamori, il problema è riuscire a portarlo allo stadio. Un inconveniente può essere in effetti il fatto che sia fin troppo veloce per essere reso bene in televisione e questo in sostanza può essere un limite: penso in particolare al disco che sta in un palmo di mano e viaggia anche a 180 km/h. Troppo veloce per essere seguito dalle telecamere, bisogna esserci dal vivo, allora sì si riesce a seguire il gioco. Abbiamo anche noi dei tifosi belli caldi ma niente paragoni con quello che si vede negli stadi di calcio. Anni fa succedevano cose gravi anche da noi nell’hockey, ricordo fin che giocavo a Milano la rivalità fortissima che c’era tra la nostra tifoseria e quella di Bolzano. Praticamente un odio viscerale ma essendo Milano adesso in serie B, non ci sono più occasioni di scontro, c’è insomma più tranquillità adesso”.
La scheda
“Sì, è vero, ho provato ad entrare in una squadra della NHL statunitense, sono arrivato fare anche una partita, anche se amichevole. È stato anni fa, un periodo di 4-5 settimane a Buffalo, loro hanno questa abitudine di iniziare i camp con tantissimi giocatori, saremmo stati 120 all’inizio, per poi arrivare a stringere ai circa 25 che formano la rosa. Ebbene ho tenuto duro sino alla fine e sono stato proprio l’ultimo a essere tagliato, ricordo che la motivazione che mi diedero quella volta era legata all’età, l’altro era più giovane di me di dieci anni. L’inglese ormai lo parlo bene, sono venti anni che ho compagni di squadra che vengono dagli States o dal Canada, oriundi o no; in più sono quelle le nazioni che guidano il nostro movimento, è lì da loro il massimo, facile così che ci si abitui a quella loro lingua”.
Michele Strazzabosco è nato ad Asiago nel febbraio del 1976. L’esordio nella serie A del nostro campionato di hockey l’ha fatto nella stagione 93/94 con l’Asiago Hockey, squadra con cui ha poi giocato interrottamente per altre dodici annate. Nel 2005/2006 è a Milano, con i Milano Vipers, dove rimane tre anni. Il campionato targato 2008/2009 lo gioca con la maglia del Cortina, tornando poi la stagione successiva nell’Asiago Hockey, sua attuale squadra. Quattro i suoi scudetti: uno con Milano e tre con Asiago, compreso quello delle scorse settimane, vinto dopo un emozionante testa a testa nella fase finale per l’assegnazione dello scudetto col Val Pusteria, con l’ultimo e decisivo incontro deciso solo nel secondo overtime). Per anni punto fermo della Nazionale (ha partecipato a 13 Mondiali consecutivi e all’Olimpiade di Torino 2006), è stato l’unico giocatore di scuola italiana (assieme a Lucio Topatigh) ad aver provato per squadre della National Hockey League. Vive ad Asiago.
“Quel che ho avuto dall’hockey? Beh, direi che ho soprattutto imparato tanto, quella che ho avuto in questi anni è stata certo una grossa lezione di vita. Io di mio so bene di non avere poi un grande talento di base, per dire non sono certo un Baggio, sono un Gattuso, è solo grazie al lavoro
che ho potuto fare della strada. Quel che ho conquistato l’ho fatto insomma impegnandomi, l’hockey mi ha insegnato a lottare nella vita, il prendermi responsabilità, il rapportarmi con gli altri anche nel modo di fare squadra. Di essere squadra”.
33
tempo libero
musica
libreria
Limina Edizioni
Tra i legni - I voli taciturni di Dino Zoff di Giuseppe Manfrini – 260 pagine - €19,90
Di certo non un manuale che riporti meramente date e cifre, quanto il racconto dell’incontro appassionato di uno scrittore con una vita eclatante e semplice in cui la normalità fa da forziere all’eccezionalità. Il racconto di un uomo e di un ruolo che, a tutti gli effetti, sembrerebbe uno sport a parte. Il ruolo del portiere. Come se in qualche modo Dino Zoff avesse scelto un punto di vista che è quello di chi osservi l’evolvere del mondo dalla feritoia di un mondo a sé. Stando col gruppo, ma in fondo da solo. Nessuno quindi più di Zoff, con l’altezza del suo magistero tecnico e stilistico, avrebbe potuto essere assunto a riferimento di un simile percorso narrato dagli anni friulani sino al tetto del mondo passando attraverso sei maglie: quella della Marianese, dell’Udinese, del Mantova, del Napoli, della Juventus. E della Nazionale. Ma rimanendo sempre se stesso con lo stile assieme timido e fiero che lo ha sempre caratterizzato. Nel libro, aneddoti e confessioni mai pubblicate prima. Una storia sportiva che è di per sé la metafora di ciò che di più bello ed emozionante può esprimere il calcio. Già, perché Dino Zoff, vincente da subito e per sempre, al culmine di trofei innumerevoli, il suo capolavoro sportivo lo realizzò quarantenne, in Spagna, conducendo da capitano la Nazionale azzurra alla conquista della sua terza Coppa del Mondo. Forse la più clamorosa e amata. Una vittoria incredibile, ottenuta davvero contro tutti, soprattutto la stampa dell’epoca. No Reply
Pablito mon amour
di Davide Golin – 304 pagine - €12,00
Partiamo dalla dedica: “Dedicato al palo della tribuna del Menti che oscurava la vista a Novantesimo minuto”. Basterebbero queste poche righe per inquadrare alla perfezione il romanzo d’esordio di Davide Golin, giornalista vicentino che in questo libro racconta la propria “educazione calcistica” attraverso le gesta del grande Paolo Rossi, l’indimenticato Pablito che fece sognare i tifosi del Lanerossi Vicenza. Cinquanta capitoletti in cui l’autore ci riporta indietro nel tempo, a quel calcio romantico che non c’è più, quel calcio fatto di passione e semplicità, di Novantesimo minuto e quel “tutti contro la Juve” che vinceva sempre e comunque, diviso tra calcioscommesse e quel fantastico mondiale vinto in Spagna. Erano gli anni ottanta, quelli di Gringo della carne Montana e dell’uomo in ammollo, di Carmencita e dell’omino Bialetti, delle Brigate Rosse contro Ordine Nuovo, di un Italia che si avviava inesorabilmente verso il crollo della classe politica e del ribaltone di ManiPulite. Sullo sfondo lui, Pablito, con i suoi gol e con la passione che muoveva dentro i cuori di una intera nazione. Un racconto personale ed universale allo stesso tempo. Un romanzo che ci farà comprendere, attraverso il calcio attuale “oppio dei popoli”- come l’Italia è diventata quello che è. Limina Edizioni
Il curioso caso di Ciro Ferrara di Matteo Musso – 250 pagine - €19,90
La prima biografia sul nuovo allenatore della Nazionale Under 21, scritta da Matteo Musso, è un viaggio attraverso la straordinaria storia di un predestinato baciato dal talento, che ha bruciato le tappe in tutto quello che ha fatto nella vita. A 18 anni l’esordio in serie A, a 20 il primo scudetto col Napoli e poi la Nazionale, prima dei 30 tutte le Coppe Europee più importanti e a 42 la panchina più ambita, con la sua Juventus. Una pagina amara per certi versi, quest’ultima, ma vissuta da Ciro con lo stesso spirito combattivo di sempre, con la stesso feroce desiderio di migliorarsi, che ha caratterizzato tutta la sua carriera. Già perché Ferrara è prima di tutto un uomo umile, per il quale l’obiettivo raggiunto è solo un punto di partenza verso un’altra avventura da affrontare con rinnovata determinazione e coraggio.
34
Hooverphonic
The night before The Night Before segna il ritorno in grande stile degli Hooverphonic, arrivati ormai al loro settimo album. La band belga torna sulle scene dopo una lunga e forzata pausa (si era parlato addirittura di scioglimento) con una grande novità: alle sue file si è infatti aggiunta la carismatica vocalist Noémie Wolf. Considerati dal 1996 una delle pop band migliori d’Europa (come non ricordare lo storico pezzo “Mad About You”), gli Hooverphonic sono finalmente usciti dal periodo di crisi causato dell’abbandono della cantante Geike Arnaert, che nel 2008 ha lasciato il gruppo per dedicarsi alla propria carriera solista. Ora, trovata la nuova voce (la sopracitata Noémie Wolfs, ventiduenne belga selezionata da Alex Collier e Raymond Geerts, le due menti del gruppo, dopo una serie di audizioni che hanno coinvolto circa mille ragazze provenienti da tutto il mondo), rieccoli in tutto il loro inconfondibile stile. Anzi, l’album segna un ritorno alle origini della band, che dopo la fase più elettropop dei primi anni 2000 torna ad ispirarsi a contaminazioni trip-hop e spruzzate di moderno classicismo. Le fonti d’ispirazione sono ambiziose come sempre: le ricche orchestrazioni che si ascoltano riecheggiano il meglio di Burt Bacharach, Ennio Morricone e John Barry, sebbene inequivocabilmente nel tipico stile del trio belga. L’album è stato registrato per la maggior parte a casa di Alex Callier e completato nei famosi studi ICP di Bruxelles. Un rientro alla grande per una band le cui musiche sono state spesso usate anche in molte colonne sonore di film, negli spot e in alcune serie televisive.