Spirale

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DESCRIZIONE: Tensione, fascino, suspense e uno scenario inquietante, misterioso... ingredienti magistralmente combinati che catturano il lettore e lo trascinano irrimediabilmente nell’atmosfera cupa che pervade il romanzo dall’inizio alla fine.

L'AUTORE:

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Claudio L. S. Rava è nato ad Alessandria il 23/06/1978. Si è laureato in fisica presso l'Università del Piemonte Orientale il 27/11/2003, con 110 e lode. Attualmente è dottorando presso il settore di Fisica Matematica della SISSA di Trieste. Oltre a “Spirale” ha pubblicato: “Se tu non piangessi” (2008 Zerounoundici Edizioni) “Il dono” (2006 Edizioni Il Melograno)

Titolo: Spirale Autore: Claudio Luigi Stefano Rava Editore: 0111edizioni Collana: Gli Inediti Pagine: 86 Prezzo: 11,00 euro

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Claudio Luigi Stefano Rava

Spirale

www.0111edizioni.com


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SPIRALE 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright Š 2009 Claudio Luigi Stefano Rava ISBN 978-88-6307-245-7 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2009 da Digital Print Segrate - Milano


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S

ull’automobile di Mario, lo scetticismo prevaleva sulla curiosità. Laura osservò: «Mi sembra strano che, dopo tanti anni, quella casa abbia ancora dei segreti, per te. Forse per noi, ma tu la conosci da quando eri bambino!» Mario ne convenne: «Sembra strano anche a me, ma mio zio mi ha promesso una bella sorpresa…D’altronde, lui è sempre stato un tipo misterioso…». Giorgio, lo zio di Mario, lavorava come custode in una grande villa padronale di origine cinquecentesca. Essa troneggiava tra i campi e i vigneti della pianura, con una struttura massiccia ma elegante, un grande porticato, e le pareti dipinte di bianco. Da quando era morto il vecchio proprietario, trent’anni prima, gli eredi soggiornavano nella villa solo d’estate: durante il resto dell’anno risiedevano all’estero. Giorgio aveva abitato per più di vent’anni con sua moglie Adele in una casetta annessa alla villa. Viveva in quella casetta da quando era nato, perché suo padre era stato custode prima di lui. Ora vi viveva da solo: Adele era morta qualche anno prima, e non avevano avuto figli. I suoi parenti, e lo stesso Mario, avevano più volte cercato di convincerlo ad andare in pensione: era un uomo anziano, e viveva da solo, in un luogo isolato, distante chilometri dal paese più vicino. Tuttavia, lui si era sempre rifiutato: era un uomo mite, ma determinato. Amava i suoi ricordi, forse più di quanto non amasse vivere. Mario


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era andato a trovarlo centinaia di volte fin da quando era piccolo, ed aveva avuto modo di esplorare tutta la villa, con la curiosità di un bambino, seppure sotto lo sguardo vigile dello zio-custode, che aveva sempre preso con serietà il suo lavoro, e si curava sempre che la villa non patisse danni. In fondo, Giorgio amava quella villa come se fosse sua. Una certa retorica avrebbe potuto vedere in quel comportamento lo sfruttamento di un povero. Ma Giorgio non aveva mai avuto da lamentarsi. Era stato, anzi, buon amico del vecchio proprietario, quand’era giovane. Con i suoi eredi i rapporti erano più distaccati, ma d’altronde li incontrava non più di due mesi all’anno. Pochi giorni prima, aveva invitato Mario a fare una visita alla villa, e gli aveva chiesto di portare anche i suoi migliori amici: Laura ed Antonio, una coppia di fidanzati, ormai non molto distanti dalle nozze. Aveva promesso loro una sorpresa strabiliante, una specie di segreto custodito nella villa. Da qui, il loro scetticismo: Mario era convinto di aver visto almeno dieci volte ogni angolo dell’edificio, che altro poteva esserci? Arrivarono comunque all’ora concordata, e Giorgio li stava già aspettando al cancello. Quando scesero dalla macchina, Giorgio disse: «Laura, Antonio, era da un po’ che non vi vedevo: tutto bene?» «Sì – fece Laura – siamo solo un po’ presi!» «Mario mi aggiorna spesso sui vostri preparativi – rispose – ma credetemi: ne vale la pena!» «Allora, zio – intervenne Mario – qual è questa sorpresa?» «Venite: è giù in cantina!» I tre amici lo seguirono guardandosi stupiti. Giorgio sorrideva: aveva previsto questa reazione. La cantina della villa era su due piani, peraltro piuttosto alti, e conteneva numerose botti, e numerosi scaffali, con centinaia di bottiglie di vino pregiato. Giorgio si diresse risolutamente verso il fondo della cantina: qui si trovava uno scaffale speciale. Conteneva una ventina di enormi bottiglie, da dodici litri, sigillate con la ceralacca. Si trattava di vino invecchiato secoli: la bottiglia più recente aveva più di


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cento anni. Si trattava di oggetti di grande valore, e da decenni nessuno le toccava più. Erano piene di ragnatele e di polvere. Giorgio chiese ai tre ragazzi: «Forza, datemi una mano: dobbiamo togliere tutte le bottiglie: sono pesanti e piuttosto fragili!» Mario allibì: «Zio, mi hai sempre detto che quelle bottiglie sono come reliquie, che non bisognava toccarle senza l’autorizzazione dei padroni!» Giorgio guardò il nipote, e disse: «È vero, ma credo che oggi valga la pena toccarle!» A questo punto, Mario cominciò davvero ad incuriosirsi, ma anche a preoccuparsi: che cosa mai poteva indurre suo zio ad un simile comportamento? I tre uomini rimossero delicatamente tutte le bottiglie, una alla volta, stando ben attenti a non urtarle. Le posarono in fila di fianco allo scaffale, ad una certa distanza. Poi, Giorgio disse: «Ora dobbiamo spostare lo scaffale: forza, non è una piuma!» In effetti, era una struttura di legno massiccio, legno di quercia, ed allontanarla dalla parete non fu semplice. Comunque vi riuscirono, e quando i tre ragazzi poterono guardare dietro, videro ciò che ormai si aspettavano: una porta. Era una porta di metallo, chiusa da chissà quanto tempo! Mario commentò: «Zio, credevo di averla vista tutta questa villa, ma a quanto pare mi hai sempre nascosto qualcosa!» Giorgio ne convenne, e disse, pensieroso: «Sì, ma ora non te la nascondo più!» Giorgio aprì la porta, chiusa a chiave, e fece entrare i tre ragazzi, accendendo al contempo le luci della stanza. Mario, Laura ed Antonio si trovarono di fronte ad uno spettacolo insolito: una stanza circolare, molto grande, larga almeno venti metri, ed alta cinque o sei. Sul soffitto c’era uno splendido affresco, con un soggetto piuttosto originale: una enorme scala a spirale, che saliva apparentemente senza fine, creando una tale vortice prospettico da far venire le vertigini allo spettatore. Le luci, tubi al neon, erano collocate sulle pareti, evidentemente per non intaccare l’affresco. Si trovavano in otto piccole nicchie verticali, alte da terra fino al soffitto. disposte


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ad intervalli regolari, come ai vertici di un ottagono. I tubi al neon riempivano tutta la lunghezza delle nicchie, le quali però erano chiuse da vetri smerigliati. Tuttavia, il particolare più insolito della stanza era una rampa di scale, collocata lungo una parete, che partiva da terra, ma finiva direttamente contro il soffitto. Mario fu il primo ad accorgersi che quella scala non era posta lì per caso: si mise al centro della sala, fissando l’affresco, e si rese conto che la rampa di scale vera, non era altro che i prolungamento di quella dipinta: dal punto in cui si trovava, l’inserimento prospettico era perfetto. I tre ragazzi rimasero per qualche minuto ammutoliti: non si aspettavano qualcosa di simile! Il primo a prendere la parola fu Antonio: «Giorgio – disse – ma che posto è questo? Che cosa rappresenta?» «Una stanza segreta – mormorò Mario – e che stanza!» Giorgio sorrise compiaciuto: «Non ve l’aspettavate, vero?» Ma senza aspettare la risposta, aggiunse: «Quello che avete visto non è niente! Il bello ve lo devo ancora mostrare!» Tutti e tre lo fissarono, stupiti ed curiosi. Giorgio si avvicinò ad una parete, e prese una lunga pertica, che vi era appoggiata. Era abbastanza lunga per toccare il soffitto. Disse a Mario: «Prendila, e tocca l’affresco!» Mario esitò: «Zio, ma…non vorrei graffiarlo!» «Fidati – fece lo zio – quell’affresco è resistente come le venature del marmo!» Mario prese la pertica, ma titubava. Allora suo zio insistette, osservando: «Pensi che danneggerei qualcosa qui dentro a cuor leggero?» Mario, che conosceva bene suo zio, rispose: «No, certo.» Toccò il soffitto, ma non accadde nulla. Giorgio lo osservava con un leggero sorriso. Laura e Antonio guardavano incuriositi e un po’ divertiti. Mario concluse: «Be’, non trovo nulla di strano!» «Adesso – fece suo zio – sali sulla rampa di scale, fino al soffitto, e tocca l’affresco in quel punto, con la mano!» Mario, sorpreso, esitò un attimo, poi seguì le istruzioni: protese le dita della mano con cautela, e appena ebbe sfiorato la superficie del soffitto coi


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polpastrelli, avvertì qualcosa di strano, e ritrasse istintivamente la mano. Si voltò un attimo verso gli altri, con atteggiamento interrogativo, poi si rivolse di nuovo verso l’affresco. Con più cautela, ma anche con più decisione. Quando percepì di nuovo la strana sensazione sui polpastrelli, pur provando un brivido non ritrasse la mano, ma premette con più forza. «Oh miseria!» Esclamò. Non credette ai propri occhi: rimase immobile e silenzioso per qualche secondo, poi ritirò la mano, e la osservò, come temendo che fosse ferita. Suo zio sorrideva sempre di più, mentre Antonio e Laura gli domandarono: «Che è successo?» «Ragazzi, io credo…la mia mano…è affondata nell’affresco! Senza alcuna resistenza, come se il soffitto fosse…d’aria!» Tutti rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Mario riprese: «Ho sentito solo un leggero formicolio, nient’altro!» «E anche quello – aggiunse suo zio – era pura immaginazione! In realtà, non si sente niente!» «Ma dai – fece Laura – che state dicendo?» Anche Antonio non era meno scettico. Allora Mario disse: «Venite qui, provate…è incredibile!» Laura salì i gradini, e protese la mano con decisione. Ebbe un sussulto quando vide tutta la mano scomparire sotto la superficie del soffitto. Ritrasse l’arto e lo fissò: era intatto, e non aveva provato alcun dolore! Allora anche Antonio ripeté lo stesso esperimento, col medesimo risultato. «Ma che cos’è?» domandò Mario, stupefatto, a suo zio. Giorgio titubò un attimo, poi rispose: «Be’, che cosa sia proprio…non lo so! Ma non avete ancora visto tutto!» Tutti e tre lo guardarono sbalorditi. Giorgio prese la pertica, e domandò loro: «Secondo voi quanto è profondo?» Rimasero un attimo disorientati, poi Antonio rispose: «Siamo scesi di due piani sotto terra, piuttosto alti, ma questa stanza è alta cinque o sei metri…La superficie del soffitto dev’essere non più di due metri sottoterra…Penso che questo…buco non sia profondo più di un metro!» Giorgio salì le scale, ponendosi sul ciglio interno, con la


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pertica in mano: «Guardate – disse – questa pertica è lunga sei metri!» E mentre lo diceva, la fece affondare tutta nel soffitto. «Ma dov’è finita – domandò Laura – è sbucata su?» Prima che Giorgio potesse dare qualche risposta, Mario fece un’altra osservazione, che prima era sfuggita: «Per la miseria – disse – ma la pertica si vede ancora, nell’affresco!» Anche gli altri due ragazzi lo constatarono, allibiti: la figura del lungo bastone era chiaramente visibile sulla superficie del soffitto, ma appariva distorta, come per la rifrazione attraverso l’acqua. Laura ebbe un’intuizione: scese dalle scale, si pose al centro della sala, e guardò verso gli altri: «Da qui l’effetto prospettico è perfetto! La pertica sembra dipinta nell’affresco!» Anche gli altri due ragazzi la seguirono, e constatarono lo stesso effetto. Mario, allora, domandò: «Insomma, zio, non fare il prestigiatore: cosa c’è dietro quell’affresco?» Per la prima volta, il sorriso di Giorgio apparve ridursi. Rispose, un po’ titubante: «Ragazzi, non so che cosa ci sia dietro all’affresco, non l’ho mai saputo! Forse, non c’è niente!» «Ma dai, zio, dove finiscono gli oggetti?» Giorgio scrollò la testa: «Non lo so, davvero!» «Be’ non possono mica finire dentro l’affresco!» Osservò Antonio. Giorgio scese dalla rampa di scale, e disse ai ragazzi, un po’ pensieroso: «Provate ad infilare la testa! Ne vedrete delle belle!» I tre si guardarono titubanti. «Zio – fece Mario – ma tu ci hai mai provato?» «Sì – rispose – e vi garantisco che rimarrete senza fiato!» «Ma zio – ribatté Mario – potrebbe essere pericoloso!» «In fondo, alle nostre mani non è successo niente!» Osservò Laura. «Ma sì – fece Antonio – io ci provo!» Risalì le scale, mentre Mario lo osservava preoccupato. Laura, al contrario, era piuttosto fiduciosa. Quando fu vicino alla superficie del soffitto, si fermò. Fece un gran respiro, come per entrare in apnea, chiuse la bocca e gli occhi, e si tappò il naso. Poi, affondò la testa nell’affresco. Non sentì nulla, al punto che non era sicuro di aver attraversato la superficie. Rimase immobile


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per qualche secondo, poi, lentamente, aprì gli occhi. Lo stupore per ciò che vide fu tale, che aprì istintivamente anche la bocca, e si lasciò il naso. Da sotto, gli altri potevano vedere i suoi movimenti, seppure distorti dalla prospettiva. Lui, però, non udiva le loro voci, e d’altronde, se anche le avesse sentite, difficilmente vi avrebbe porto attenzione. I timori furono soverchiati dalla sorpresa: cominciò a salire i gradini della scala lentamente, uno dopo l’altro, finché ebbe attraversato la superficie con tutto il corpo. Si guardava attorno, come inebriato dallo stupore. Rimase così per qualche minuto, poi decise di riattraversare il passaggio. Quando ebbe attraversato, si ritrovò circondato dalla curiosità e dalla preoccupazione degli altri: «Tutto bene?» Fece Mario. «Allora, com’era, cosa hai visto?» Domandò Laura. Antonio rimase ancora attonito per qualche secondo, poi disse, indicando l’affresco: «Ragazzi, è incredibile, ho visto tutto!» «In che senso?» Domandò Laura. Antonio discese i gradini, e aggiunse: «Ho visto tutto quello che si vede nell’affresco, ma reale, tridimensionale! Tutta la scala, senza fine, è reale! Sono rimasto senza parole!» «Ma tu come ti senti?» Chiese Mario. «Benissimo – rispose – respiravo normalmente, non faceva né freddo né caldo! Era un luogo normale…quasi accogliente!» «Per la miseria!» Mormorò Mario. Laura salì i gradini, e disse: «Ci provo anch’io!» In un attimo, attraversò l’affresco, e gli altri poterono vederla dall’altra parte. Giorgio, che era rimasto un po’ in disparte, chiese al nipote: «Mario, che dici? Ci andiamo anche noi?» Mario esitò: più di un timore lo bloccava. Alla fine però concluse: «Ma sì, proviamo!» Attraversarono l’affresco, seppure senza la sicurezza con cui l’aveva fatto Laura. Antonio li seguì, e così, tutti e quattro si trovarono…dall’altra parte. Tutti erano senza parole: i primi scalini di quella scala vertiginosa che avevano visto dipinta, ora erano sotto i loro piedi, e sorreggevano il loro peso. Mario toccò i gradini, e la parete, bianca e liscia. «Incredibile


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– disse – è tutto vero, non è…un ologramma, o qualcosa del genere!» Stando sull’orlo interno della scala, e guardando verso l’alto, si poteva ammirare tutto lo straordinario sviluppo verticale di quell’architettura, apparentemente senza fine. Alla base, invece, c’era un semplice pavimento grigio, bombato come il soffitto della stanza da cui erano entrati, ma su di esso non si scorgeva alcuna immagine. «È bellissimo – commentò Laura – non avevo mai visto nulla di simile!» «Nessuno l’ha mai visto – osservò Antonio – e anzi, mi domando dove siamo!» «Be’ ragazzi – fece Giorgio – direi che per il momento non c’è molto altro che possiamo fare! Direi di tornare indietro! Se venite, vi offro un caffè, e intanto – aggiunse dopo una pausa – possiamo discutere di tutto questo!» «Aspettate un attimo – disse Laura – voglio provare a salire un po’!» «Laura…» Fece Mario, ma non aggiunse altro. La ragazza cominciò a salire i gradini con cautela. Antonio la seguì subito. Mario titubava, poi fece a suo zio un gesto di rassegnazione, ed anche loro la seguirono. Salirono di un piano, poi Laura si fermò: «Miseria – disse – quasi mi aspettavo che da un certo punto in poi i gradini fossero solo un illusione! Invece tutta la scala è vera!» «Almeno il primo piano!» Osservò Mario, il quale poi si chinò per terra, e tamburellò sui gradini, dicendo: «Mi domando di che cosa siano fatti!» «Sembra pietra!» Commentò Antonio. Poi, rimasero di nuovo tutti in silenzio, ognuno meditando il proprio stupore. Mario era ancora turbato dai suoi timori, e si decise a dire: «Sentite, ragazzi, ormai abbiamo visto! Torniamo indietro, andiamo a prendere un caffè da mio zio!» Laura era recalcitrante, ma poi concluse: «Sì, direi che per adesso basta!» Quando ebbe riattraversato il passaggio, Mario ebbe come la sensazione che l’aria fosse tornata ad essere leggera, e si domandava se fosse solo la sua immaginazione.


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Poco dopo, si ritrovarono tutti e quattro attorno al tavolo del tinello di Giorgio. Il primo a parlare fu Mario, incuriosito e perplesso: «Zio, sinceramente non ti vedevo come custode di segreti, ma devo ammettere che ci hai fatto davvero una sorpresa…incredibile!» Una domanda, ovvia, riempiva le menti di tutti e tre i ragazzi, e fu Antonio ad esprimerla: «Giorgio, ma che cos’è? Che cosa abbiamo visto, in realtà?» Gli sguardi dei tre giovani erano puntati su Giorgio, che rispose: «In realtà, ragazzi, io non so molto di più di quello che avete visto! Comunque, vi racconterò quello che so!» Fece una pausa, poi riprese: «Mio padre fu custode della villa prima di me, lo sapete. Quando mancò, ero poco più che un ragazzo. Il vecchio proprietario, il signor Alfonso Ghirardeschi, mi assunse subito come custode, e poco tempo dopo, mi mostrò questa stanza, come io l’ho mostrata a voi oggi. Era affascinato da quell’affresco, e dal mistero che contiene. All’epoca, non c’era illuminazione elettrica nella stanza. Lavorammo io e lui per mettercela, da soli.» «Il proprietario fece l’elettricista insieme a te?» Lo interruppe, sorpreso, Mario. «Sì – rispose – anche se è insolito. Ma c’erano buone ragioni. Intanto, non voleva mettere al corrente del segreto gli altri domestici, né degli estranei, ed anche a me impose la massima discrezione, ma era consapevole che da solo non ce l’avrei fatta. Lavoravamo in segreto: periodicamente dava una licenza a tutto il personale, e rimanevamo solo noi. Inoltre, l’attenzione che riservava a quella stanza segreta era enorme, e non avrebbe lasciato spostare un granello di polvere, senza la sua supervisione! Ci mettemmo un po’, ma alla fine il risultato è stato quello che avete visto.» «Ma come mai scelse di rivelare proprio a lei il segreto?» Domandò Antonio. Giorgio esitò un attimo, poi rispose: «Non lo so, immagino che si fidasse di me, ma non gli chiesi mai il motivo della sua scelta!» Fece una pausa, poi riprese: «Comunque, potete immaginare la mia sorpresa quando mi mostrò la stanza la prima volta! Mi comportai più o meno come voi oggi!» «E attraversò il passaggio?» Domandò Laura. «Sì – ri-


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spose – col batticuore, ma lo attraversai!» «E poi?» Insistette Laura. «Be’, dopo che avemmo installato l’impianto elettrico, aiutai il signor Ghirardeschi a montare nella stanza un ponteggio, che ci permettesse di arrivare fino al soffitto. Il ponteggio è ancora lì, smontato, ma forse non l’avete nemmeno notato!» «Effettivamente – confermò Antonio – ho visto un telo di nylon, con del metallo sotto, ma non ci ho fatto molto caso.» Anche gli altri due ragazzi annuirono. Giorgio riprese: «Il signor Ghirardeschi usava il ponteggio per studiare l’affresco con delle lenti, ma si era procurato anche degli strumenti più sofisticati, non so bene quali.» «E cosa concluse?» Domandò Mario, visibilmente incuriosito «In realtà – rispose Giorgio – non concluse granché. Cercava qualcosa che l’occhio nudo non vedesse, ma l’unica cosa che trovò fu che il disegno della scala si ripeteva sempre uguale, sempre più piccolo, man mano che ci si avvicinava al centro, senza variazioni, e soprattutto – aggiunse dopo una pausa – non riuscì ad intravederne la fine, per quanto ingrandisse!» «Accidenti – chiese Laura – ma quanto è alta quella scala?» «Be’ – osservò Mario – per quanto ne sappiamo, potrebbe anche non avere fine!» «Il signor Ghirardeschi – intervenne Giorgio – fece qualche conto geometrico, e stimò che la scala doveva salire per almeno cento chilometri!» I tre giovani lo guardarono stupefatti. Giorgio continuò: «Inoltre, il signor Ghirardeschi cercò di capire come fosse stato realizzato l’affresco: non trovava segni di pennellate, la superficie è perfettamente liscia!» «Però si vede che è un dipinto – osservò Mario – insomma, non è una fotografia, ha qualcosa…che non saprei spiegare bene!» «Sì, è vero – convenne Giorgio – ma non solo la superficie è liscia: apparentemente lo spessore della pittura è nullo!» «In che senso – domandò Laura – lo spessore della pittura?» «Be’ non so bene come fece – rispose Giorgio – ma coi suoi strumenti il signor Ghirardeschi misurò lo spessore dello strato di vernice…ma gli strumenti non la vedevano neppure, la vernice!» «Forse – commentò Antonio – l’unico modo per sapere come è stato re-


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alizzato, sarebbe prelevare un piccolo campione d’intonaco, ed osservarlo al microscopio!» «Ci pensò anche il signor Ghirardeschi, che pure era restio a danneggiare l’affresco. Tuttavia ci provò, ma l’intonaco era troppo duro: non venne via nulla!» «Ma come – fece Mario – non venne via neppure una briciola?» «No – rispose suo zio – nemmeno una briciola. Naturalmente, non provò con il martello pneumatico!» «L’affresco in sé non è poi un gran mistero – osservò Laura – la cosa più impressionante è che ci si entri dentro!» «Giorgio – disse Antonio – in effetti quello è il vero mistero. Ghirardeschi cosa scoperse?» Giorgio esitò un attimo, poi rispose: «In effetti, nulla! Su quello, non riuscì mai a scoprire nulla!» «Ma non fece indagini storiche – domandò Laura – forse, se si scoprisse chi ha realizzato quella…quella meraviglia, si capirebbe tutto!» «Ovviamente, ne fece – rispose Giorgio – andò in cerca di tutti i documenti esistenti. Visitò biblioteche, spulciò archivi…» «E…?» Insistette Laura. «Be’ – continuò Giorgio – quella stanza è assente da tutte le piantine: evidentemente doveva restare segreta. Il signor Ghirardeschi indagò sulla vita del suo antenato che aveva costruito la villa, sull’architetto, sugli artisti che l’avevano decorata, ma non trovò niente di anomalo. E nessun riferimento all’affresco. Qualunque cosa avessero fatto, erano riusciti ad avvolgerla nel segreto più totale!» «Ma il signor Ghirardeschi – incalzò Laura – come venne a sapere dell’affresco?» «Mi raccontò che ne era stato informato da suo padre. Era un segreto di famiglia, tramandato da padre in figlio.» «Se è così – osservò Mario – è piuttosto strano che poi l’abbia detto a te!» «È vero, è strano – convenne Giorgio – ma il signor Ghirardeschi non aveva figli, non era più giovane, e con i parenti non era in buoni rapporti. In effetti, poco prima di morire, mi raccomandò di non raccontare della stanza ai suoi eredi, e di scegliere con estrema cautela le persone cui, un giorno, lo avessi raccontato!» «Attualmente – domandò Antonio – oltre a noi quattro, chi altri conosce il segreto?» «Nessuno – rispose Giorgio – non l’ho mai detto a nessun altro!»


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«Zio – chiese Mario – ma alla zia Adele l’avevi detto, sì?» Giorgio, udendo questa domanda, si fece cupo, e Mario temette di aver detto qualcosa che non doveva: in fondo, sapeva che nel cuore di suo zio, il lutto era ancora vivo. Tuttavia, Giorgio rispose: «No, non glielo dissi mai! Non so perché, molte volte ci ho riflettuto, sovente sono stato vicino a dirglielo, ma non ci sono mai riuscito. Forse, temevo che si spaventasse, che mi chiedesse di andarcene. Non lo so, non lo so il perché!» Avvertendo la tensione che si era creata, Laura cercò di cambiare argomento: «Secondo voi, come funziona quel passaggio?» «Non sono un esperto – disse Antonio – ma penso che nessuna legge fisica conosciuta permetta di spiegare il fenomeno!» «Eppure è reale – osservò Laura – e per di più è stato realizzato quattrocento anni fa, quando la tecnologia era ancora più primitiva!» «Guardate – disse Giorgio – io non credo che un essere umano potesse realizzare quell’affresco! Nessuno!» «Ma tu cosa pensi, zio – domandò Mario – secondo te, è opera di chi?» Giorgio fece un sospiro, e scrollò la testa: «Non ne ho idea!» «Be’ – osservò Laura – visto che ogni ipotesi è lecita, io penserei agli alieni!» «Alieni?» Dissero all’unisono Mario ed Antonio. «Ma sì – insistette Laura – tutti abbiamo sentito storie di UFO, e secondo me sono troppe perché non ci sia qualcosa di vero!» «A parte il fatto – ribatté Mario – che nessuno ha mai fornito prove convincenti, perché mai gli alieni avrebbero dovuto partecipare alla costruzione di una villa, creando quello strano affresco?» «Secondo me – rispose Laura – noi non siamo entrati nell’affresco, ma siamo stati…teletrasportati altrove, e questa sarebbe la risposta alla tua domanda: gli alieni potrebbero aver creato un passaggio istantaneo tra la Terra ed il loro pianeta, però un passaggio segreto, e forse hanno fatto qualche patto con l’antenato di Ghirardeschi, chiedendo alla sua famiglia di custodire il passaggio!» «Mi sembra che tu stia lasciando correre la fantasia – commentò Mario – per tanto così, chi non ci dice invece che, nell’affresco, ci sia un dispositivo che ci ha resi perfettamente bidimensionali e ci ha fatti en-


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trare davvero nell’immagine?» «Be’ – osservò Antonio – tra le infinite ipotesi che si possono fare, quella del passaggio, del teletrasporto, mi sembra più credibile: voglio dire, il dispositivo avrebbe uno scopo!» «Anche farci entrare nell’affresco potrebbe essere uno scopo – ribatté Mario – anche se non saprei per chi!» «Appunto – osservò Laura – mentre il teletrasporto extraterrestre potrebbe essere uno scopo plausibile per degli alieni!» «Una cosa è certa – intervenne Antonio – se si tratta di un passaggio, non può che essere verso una destinazione extraterrestre!» «Perché mai?» Chiese Mario. «Per le dimensioni – rispose Antonio – se i calcoli di Ghirardeschi sono corretti, l’edificio che contiene la scala deve essere alto più di cento chilometri! Non c’è posto sulla Terra per nasconderlo, neppure sottoterra, o dentro una montagna!» «Mentre potrebbe stare benissimo su un altro pianeta!» Disse Laura. «Sì, ma noi siamo entrati – osservò Mario – anche se abbiamo visto solo l’inizio: la gravità è terrestre, e anche l’atmosfera, persino la temperatura!» «Magari – disse Laura – hanno costruito l’edificio apposta per gli esseri umani: per questo appare adatto!» «Quindi, secondo voi – concluse Mario – questa villa sarebbe una specie di…cavallo di Troia per un invasione aliena!» «Non esageriamo!» Rispose Antonio, mentre Laura, più energicamente, disse: «Ma chi ha parlato di invasione?! A quest’ora, se volevano invaderci, l’avrebbero già fatto. Forse è un mezzo di comunicazione, un tramite…per uno scambio culturale!» «E lo terrebbero nascosto – fece Mario, scettico – e poi, se di un patto si tratta, quale vantaggio avrebbe tratto la famiglia dei Ghirardeschi? Non essere annientata durante l’invasione?» Laura fece in risposta un gesto infastidito, ma Mario insistette: «Visto che siamo in tema di patti, e se fosse un’opera di negromanzia?» Laura e Antonio lo guardarono stupiti, e Laura disse: «Cioè pensi che l’antenato di Alfonso Ghirardeschi avrebbe fatto un patto col diavolo?» «Perché no – rispose Mario – forse quel passaggio, se tale è, è una trappola per anime, e magari la scala senza fine è l’ingresso


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dell’inferno!» «Be’ – commentò Antonio – se l’ipotesi degli alieni è peregrina, quella del diavolo mi sembra anche peggio!» «E poi – aggiunse Laura – quel posto non mi è sembrato infernale! Non c’erano né fiamme, ne grida dantesche!» «Ma la porta dell’inferno – ribatté Mario – deve essere accogliente, per ingannare le povere anime!» Osservando l’espressione dei suoi amici, Mario aggiunse: «Guardate che neanch’io credo all’ipotesi della negromanzia, come a quella degli alieni, d’altronde!» «E allora, quale sarebbe la tua spiegazione?» Fece Laura. «In realtà – rispose Mario – non ne ho!» «Ragazzi, ragazzi – intervenne finalmente Giorgio – temo che sia inutile discutere, non arriverete da nessuna parte! Il signor Ghirardeschi ha cercato una spiegazione per una vita, e non l’ha trovata!» «Io credo – disse Laura – che finché questo…fenomeno resterà segreto, sarà ben difficile che se ne trovi una spiegazione!» «Che intendi dire, Laura?» Domandò Giorgio, con un tono lievemente allarmato. «Be’ – aggiunse lei – è un fenomeno straordinario, forse andrebbe divulgato, e studiato da degli scienziati!» «Per carità, Laura!» Disse Giorgio. «Ma che c’è di male – ribatté lei – intendiamoci, se tu non vuoi, noi non lo diciamo a nessuno, ma non capisco che male ci sarebbe!» «L’hai detto anche tu – rispose Giorgio – è qualcosa di straordinario, e la gente è meglio che stia lontana dalle cose straordinarie!» «Be’ – fece lei – non sono proprio d’accordo…» Tutti e quattro rimasero per qualche istante in un silenzio un po’ imbarazzato, poi fu di nuovo Laura a parlare: «Forse, c’è una cosa che possiamo fare per cercare di…capire questo fenomeno, senza dirlo ad altri!» Tutti la guardarono con atteggiamento interrogativo, e lei chiese a Giorgio: «Che tu sappia, qualcuno ha mai cercato di esplorare la scala?» «Che?!» Disse Mario, sussultando sulla sedia. Dopo un attimo di esitazione, Giorgio rispose: «Non lo so…per certo. Di sicuro, nessuno ci ha provato negli ultimi cinquant’anni, ma nei secoli passati, non ne ho idea!» Prima che Mario o Antonio potessero commentare, Laura disse: «Potremmo provarci noi tre!» «Sei matta?» disse fi-


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nalmente Mario. Antonio, più pacatamente, commentò: «Potrebbe essere rischioso…insomma, noi non sappiamo che cosa ci sia di là, in realtà!» Laura replicò: «Ragazzi, se là dentro ci fosse qualcosa o qualcuno di ostile, in quattrocento anni sarebbe venuto fuori, non vi pare?» E prima che Mario avesse il tempo di rispondere, aggiunse: «Hanno costruito una porta, e l’hanno lasciata aperta, per sempre: non possono non aver previsto che qualcuno sarebbe entrato!» «Sì – ribatté Mario – ma non sappiamo nulla di chi l’ha costruita, di come ragiona, dei suoi scopi…e se fosse…una trappola?» «Mario – osservò Laura – non c’è nulla di minaccioso in ciò che abbiamo visto: non cominciamo a costruirci nemici immaginari!» «Ma, in realtà, non abbiamo visto nulla!» «Antonio, tu cosa ne pensi?» Domandò Laura. Antonio esitò qualche momento, poi rispose: «Laura…non saprei! Anch’io sono tentato di salire quella scala, minacce evidenti non ce ne sono, eppure…ne sappiamo così poco, è un fenomeno unico…non so cosa dire!» «Giorgio – disse Laura – hai tu la responsabilità di questa villa. Per te andrebbe bene?» Anche Giorgio esitò, rispondere non era facile. Infine, disse: «Non so cosa consigliarvi! Io, sinceramente, non vedo grandi rischi, ma sta a voi decidere! Diciamo che…non ve lo impedirei! In tal caso, spero di non commettere un errore!» «Laura, è come giocare col fuoco!» Insistette Mario. A quel punto, tutti rimasero in silenzio: Laura e Mario fermi sulle loro posizioni, Antonio e Giorgio indecisi e perplessi. Quel giorno, i tre amici non presero alcuna decisone, ma nelle settimane successive, non parlarono d’altro. «Mario – disse un giorno Laura – non ti rendi conto che, se chiariamo questa faccenda, potremmo entrare nei libri di storia?» «Questo presupporrebbe di renderla pubblica – osservò Mario – e comunque non c’è nulla per cui valga la pena di rischiare la vita, neppure questo!» «Santo Cielo, Mario, parli di pericoli mortali come se avessi visto mucchi di cadaveri! Rischi di più ad attraversare la strada!» «Quello è un rischio calcolato, che conosco, che so dominare, ma quell’affresco è un enigma totale, non sappiamo


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nulla, non ti rendi conto?» Mentre Mario restava sulla sua posizione, Antonio progressivamente si fece convincere da Laura, anche perché si rese conto che, in caso contrario, sarebbe stata capace di andare da sola. «In fondo – osservò – non abbiamo visto minacce! Ogni scoperta comporta un rischio, e ha un margine d’incognita! Se Colombo avesse esitato, non avrebbe scoperto l’America!» «Anche madame Curie fece delle grandi scoperte – ribatté Mario – ma la radioattività non la risparmiò!» «Ora però tutti possono godere i frutti delle sue scoperte!» Disse Laura, spalleggiata dal fidanzato. «Allora avete deciso di…immolarvi!» Concluse Mario, rassegnato. «Sì – rispose Laura – se tuo zio è d’accordo, noi andiamo!» Mario non seppe più cosa rispondere. Nei giorni seguenti, mentre i suoi due amici preparavano l’esplorazione, trascorse molto tempo a riflettere. Istanze contrastanti lo tormentavano. L’idea del pericolo cui Laura e Antonio si sarebbero esposti non gli dava pace. Pensava che, forse, avrebbe dovuto seguirli, per aiutarli in caso di difficoltà: «Se si mette male – pensò – più siamo e meglio è!» In realtà, però, si ripeteva anche che avevano scelto il rischio deliberatamente, e lui aveva fatto di tutto per dissuaderli: quindi, non poteva attribuirsi responsabilità! Inoltre, più realisticamente, era convinto che sarebbe potuto essere di ben poco aiuto, anche se li avesse seguiti. Allo stesso tempo, si sentiva un codardo che abbandonava gli amici. Non riusciva a rimuovere dalla sua mente l’idea che l’affresco contenesse un pericolo, che celasse un’ombra, e non poteva fare a meno di temerlo profondamente. Eppure, in questa lotta di emozioni che lo agitava, c’era anche qualcos’altro, cui non riusciva a dare un nome. Un’altra istanza, nascosta ma ben presente, insidiosa. Mario era tremendamente combattuto: paura, amicizia, lealtà, codardia, ed altri sentimenti che non riconosceva neppure. Man mano che si avvicinava il giorno in cui Laura e Antonio avevano concordato con suo zio l’inizio dell’esplorazione, la sua inquietudine aumentava. Un giorno, decise di andare a trovare


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suo zio, da solo. «Zio – gli chiese – posso…vedere l’affresco?» «Certo Mario!» Gli rispose, ma poi aggiunse: «Che cos’hai?» «Zio, non lo so…il pensiero di quello che i miei migliori amici stanno per fare…mi tormenta giorno e notte!» «Mario – rispose Giorgio, comprensivo – forse le tue paure sono esagerate! Ne parli come se andassero in contro a morte certa!» Dapprima, Mario non replicò: era indeciso su che cosa rispondere, perché nemmeno lui sapeva bene che cosa stesse provando. Mentre suo zio lo conduceva alla stanza segreta, si decise a parlare: «Zio…ho paura, è vero, ma non sono sicuro di cosa temo! Sono confuso!» «Non mi stupisco – rispose Giorgio – l’ignoto genera paura e confusione!» «No zio – ribatté – ho paura dell’ignoto, ma anche di qualcos’altro, di qualcosa…di conosciuto!» Giorgio si fermò, e guardò il nipote con apprensione: «Mario, tu…credi di conoscere qualcosa…una minaccia, un pericolo…?» «Non lo so, non lo so…è una strana sensazione…non so altro!» Arrivarono alla stanza dell’affresco: Mario fece un profondo respiro, ed entrò. Si sentiva strano, come febbricitante. Alzò gli occhi verso l’alto, e rivide l’affresco. Sentì un brivido. Suo zio gli domandò: «C’era un motivo preciso per cui volevi vederlo?» «Sono confuso…» Si voltò verso Giorgio, e gli chiese: «Mi faresti un favore?» «Volentieri!» «Mi lasceresti qualche momento da solo…con lui?» Domandò, indicando l’affresco. Giorgio rimase un po’ stupito, ma rispose: «Be’, non c’è problema. Se vuoi ti aspetto in casa. Solo, ricordati di spegnere le luci, uscendo!» Mario annuì, e rimase solo. Rimase a riflettere, a porsi domande…a porre domande, rivolte a colui che suscitava tutti i suoi interrogativi: l’affresco. Cominciò a fissarlo, a fissare la straordinaria, infinita spirale che raffigurava. L’effetto era impressionante: si sentiva come risucchiato! Cominciò a dirsi: «Che cos’ho, qual è la paura che mi tormenta? È questa spirale senza fine? I suoi segreti? Se nasconde delle minacce, perché non si mostrano, perché si nascondono? O siamo noi, ciechi, che non le vediamo? Oppure le sto immaginando, e lassù non c’è


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nulla di oscuro? Dio, mi sembra d’impazzire! Cos’è che mi tormenta? Forse da quel passaggio è uscito qualcosa, forse quando sono entrato qualcosa è penetrato dentro di me, e ora sono posseduto! Ma questo è assurdo: non me ne renderei conto? E gli altri, perché non hanno avvertito nulla?» Si prese la testa tra le mani: avvertiva un lieve capogiro, e si sedette sui primi gradini che conducevano al passaggio: si voltò verso di esso, e pensò: «Forse ora ne uscirà una belva, e mi aggredirà alle spalle!» Ma poi scrollò la testa, e si disse: «No, il nemico è più sottile: prima di prendersi la mia vita, prenderà la mia mente!» Si rese conto che ormai fantasticava: in qualche modo, la conoscenza di quel mistero lo aveva sconvolto, anzi, lo stava sconvolgendo. Percepiva qualcosa, un timore, forse il presagio di una minaccia, forse una pura fantasia. Non riusciva più a dipanare il groviglio di pensieri che lo riempiva. Le sue riflessioni si facevano sempre più contorte. Alla fine, si disse: «Devo capire! C’è qualcosa, qui, che sfugge alla vista, ma ti può aggredire lo stesso! Come un virus! La mia è come una febbre, ma come posso curarmi?» Circa tre ore più tardi, suo zio, non vedendolo tornare, venne a cercarlo, preoccupato. Lo trovò ancora seduto, cupo nei suoi pensieri. «Mario – gli disse – tutto bene? Non ti ho più visto!» Mario sospirò, e si alzò in piedi, quasi tremando: «Ho paura zio!» «Di cosa?» Mario non sapeva cosa rispondere. Esitò, poi si decise a dire: «Ascolta, hai qualcosa in contrario se vado anch’io con loro…là dentro intendo?» «Mario – rispose – per me non c’è problema. Ma credevo che tu non volessi andare!» «Zio – replicò – non so più neanch’io che cosa voglio! Ma credo che andare sia…il rischio minore!» Oltre a questa sibillina risposta, Mario non riuscì a dare a suo zio spiegazioni migliori. Tuttavia, Giorgio accettò la sua decisione. Quella sera stessa, Mario si recò dai suoi amici, per comunicarla anche a loro. Laura ne fu entusiasta: «Era ora – disse abbracciandolo – mi fa proprio piacere che ti sia deciso!» Antonio era sorpreso: «Mi sembravi piuttosto risoluto – osservò – cos’è che ti ha fatto cambiare idea?»


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«Ragazzi – rispose – mi credereste se vi dicessi che non lo so?» «Dai, l’importante è che viene!» Disse Laura. «Che Dio ce la mandi buona!» Concluse Mario. Il giorno previsto, si ritrovarono con Giorgio alla villa. Avevano zaini e sacchi a pelo, e provviste sufficienti per tre settimane. Quando furono davanti all’affresco, Mario non riuscì a trattenersi dal dire: «Potrebbe essere la porta dell’inferno, lo sapete, vero?» Ma Laura disse: «Coraggio! Non mi sono mai sentita così in vita mia!» Giorgio disse: «Buona avventura, ragazzi!» «Andrà tutto bene!» Fece Antonio, rassicurante. Infine, i tre ragazzi passarono il varco. Mario e Antonio, istintivamente, chiusero gli occhi, ma Laura no. Quando furono dall’altra parte, disse: «Ragazzi, non ho chiuso gli occhi, e ho proprio visto il confine dei due mondi! Non ha spessore, in un certo senso non esiste! Voi gli avete chiusi?» Gli altri due annuirono, ma non fecero commenti. Piuttosto, tutti e tre si guardarono attorno: avevano già visto il primo tratto della scala, ma lo stupore non era diminuito. Era come se il ricordo assomigliasse ad un sogno, che adesso era di nuovo reale. Il primo a parlare nuovamente fu Antonio: «Mi domando dove siamo: saremo realmente su un altro pianeta?» Poi toccò la parete, e osservò: «I materiali sembrano terrestri, non c’è nulla…di strano, di alieno!» «Forse – disse Laura – se si tratta di alieni, volevano renderci il passaggio più facile. Ad ogni modo, l’unico modo per saperne di più, è andare avanti!» Mario si accostò all’orlo interno della scala, e guardò verso l’alto: osservò l’impressionante succedersi di migliaia e migliaia di spire, senza fine: «Dio mio!» Mormorò. Cominciarono a salire, taciturni, ma vigili. Laura e Antonio stavano davanti, Mario li seguiva a qualche scalino di distanza. Senza dubbio, era il più inquieto. La sensazione di indefinibile paura che provava non lo aveva abbandonato, anzi, si era rafforzata. Continuava, con apprensione, a cercare attorno a sé, e anche alle sue spalle, una minaccia, un pericolo incombente, ma tutto pareva tranquillo. Eppure, la sua inquietudine aumentava, e si domandava se fos-


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se solo suggestione. Ad un certo punto, si fermò, e disse: «Ragazzi, non trovate che ci sia qualcosa di inquietante, di sinistro, in questo posto?» Gli altri due si voltarono, e lo guardarono perplessi. Antonio rispose: «Be’, sembra tutto tranquillo, eppure…non hai tutti i torti! C’è qualcosa di strano, non saprei dire cosa!» Dopo una breve pausa, Laura commentò: «È il silenzio!» «Ha ragione – convenne Mario – c’è un silenzio incredibile, sovrumano!» «Se fossimo in una torre – notò Antonio – qualche rumore dall’esterno dovrebbe penetrare!» «Proviamo a stare tutti in silenzio qualche secondo!» Propose Mario. Rimasero tutti e tre muti ed immobili, cercando di percepire qualcosa con l’udito. Senza successo: «Nulla!» Commentò Laura, e Mario aggiunse: «Non un sussurro, un fruscio…un passo!» «Be’ – osservò Antonio – questo significa che siamo soli! Se non altro, non c’è nessuno in agguato…nessuna guardia, per così dire!» «Questo non significa che siamo al sicuro – replicò Mario – se ci fossero, per dire, delle mine, non farebbero alcun rumore!» «Accidenti – intervenne Laura – è una sensazione così strana! Mi sembra di sentire scorrere il sangue nell’orecchio!» «Probabilmente lo senti davvero – rispose Antonio – ma non è grave!» Mario provò a battere le mani, sporgendosi dal ciglio interno della scala, per stimarne l’altezza, ma non si udì alcuna eco. «Forza, proseguiamo – incitò Laura – il silenzio non è poi così negativo!» Ripresero a salire, mentre Mario mormorava tra sé: «È un silenzio da cimitero!» Davanti a loro, passo dopo passo, scalino dopo scalino, i piani si succedevano senza fine, senza soluzione di continuità, sempre uguali. Dopo un po’, Mario disse: «Questa monotonia…è inquietante, non trovate?» «Noiosa, più che altro!» Rispose Antonio, ma Mario replicò: «E se fosse una specie di test?» I due amici lo guardarono stupito, e lui spiegò: «Forse questa scala non ha una fine…chi l’ha costruita, magari, voleva vedere fino a che punto degli esploratori sarebbero riusciti ad avanzare, senza che lo stress, o la noia, come la chiami tu, li stremasse!» «Mario – replicò Laura – la monotonia non è inquietante. Al


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massimo, ci stancheremo di salire scalini!» «Io dico che è opprimente – ribatté – siamo sicuri di essere saliti veramente?» Prima che Laura o Antonio potessero rispondere, Mario guardò giù dalla scala, e disse: «Sì, un po’ siamo saliti!» Anche gli amici si sporsero, e Antonio commentò: «Accidenti, saremo saliti di almeno cento piani, se non duecento!» «Ma…qual è il tuo timore, adesso?» Domandò Laura. «E se giocassero con noi – rispose Mario – se la scala potesse riavvolgersi e poi allungarsi di nuovo, un po’ come una scala mobile?» «Ce ne accorgeremmo!» Fece Antonio, stupefatto. «Mario – sospirò Laura – questa è paranoia!» «Forse…» Rispose scettico. Rimasero in silenzio qualche secondo, ma quando Laura li incitò a proseguire, fu Antonio a fare un’altra osservazione: «Ragazzi, ma…la luce, da dove viene?» La domanda colse gli altri due di sorpresa. Si guardarono tutti attorno con attenzione: non c’era, apparentemente, alcuna fonte luminosa, nessuna lampada, nessuna torcia. Eppure, l’ambiente appariva ben illuminato. «Accidenti – mormorò Mario – non ce ne eravamo accorti!» Mentre lo diceva, muoveva il braccio, per concludere: «Non abbiamo nemmeno un’ombra!» Erano stupefatti. Laura osservò: «Eppure…queste superfici non brillano di luce propria…insomma, si vede che riflettono la luce!» «Evidentemente, è un’illusione!» Rispose Mario. Poi, si avvicinò ad una parete, e vi appoggiò le mani, chiudendole a conca, e disse: «Guardate, al centro delle mani dovrebbe esserci ombra, invece è illuminato come all’esterno!» Laura e Antonio ripeterono l’esperimento, con lo stesso risultato. Antonio concluse: «Allora, tutte queste superfici emettono luce!» «Ma in modo tale – aggiunse Mario – da sembrare illuminate dall’esterno!» «Non avevo mai visto nulla di simile – disse ancora Antonio – ma chi possiede una simile tecnologia? Magari gli americani…» «Quattrocento anni fa?» Lo interruppe Laura, scettica. Ed aggiunse: «Sei ancora sicuro che questi materiali siano…terrestri!» «Più che la provenienza dei materiali, mi preoccupa il loro uso – intervenne Mario ... CONTINUA...


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