Andare di bolina, Paola Botto

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PAOLA BOTTO

ANDARE DI BOLINA

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ ANDARE IN BOLINA Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-483-0 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Luglio 2021

Questa è un’opera di fantasia Ogni riferimento a fatti, luoghi o persone deve ritenersi del tutto casuale. Tuttavia, non si stupisca l’eventuale lettore che, in visita alla città di Genova, dopo averne ammirato i magnifici palazzi, le vie rinascimentali, il Porto Antico o l’Acquario, smarrendosi nel ventre dei suoi vicoli medioevali, non si stupisca dicevo, se gli sembrerà di riconoscere tra le persone incontrate qualcuno dei personaggi che animano queste pagine.


A mia figlia Laura, a Betta e a Marcella, che mi hanno sostenuto in questa avventura



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MARINO

L’autobus era affollato, come al solito, e il posto riservato ai disabili occupato. Come sempre. O perlomeno, come sempre da quando Marino Feruglio aveva cominciato a farci caso. Da quando gli scossoni di quei bus sferraglianti gli procuravano quelle terribili fitte alla schiena ed era diventato quasi impossibile stare in equilibrio quando frenavano o prendevano una curva più stretta delle altre. Da quando aveva avuto l’incidente. Da quando era invalido, da quando era diventato ancora più difficile trovare uno straccio di lavoro. Era in momenti del genere che avvertiva maggiormente la mancanza di un goccetto da mandar giù. Sarebbe stato un piccolo conforto, una cosa innocua, inoffensiva. Per una volta sola, un’unica ultima volta. Appoggiò la fronte al vetro, l’autobus era appena partito e lui avrebbe dovuto farsela propria tutta quella corsa, fino al capolinea, fino al successivo cambio. A casa ci sarebbe arrivato dopo un’oretta buona, considerando il traffico del sabato pomeriggio. Non aveva intenzione di andare dalla tipa in giacca fucsia a reclamare il suo legittimo posto, era un invalido ancora troppo fresco, non se la sentiva. Gli sarebbe sembrata quasi una resa, un'accettazione troppo condiscendente, e lui non aveva ancora accettato, ancora sperava. Forse qualche posto si sarebbe liberato, forse qualcuno gli avrebbe ceduto il posto, forse avrebbe potuto muoversi di nuovo senza quella maledetta stampella. Forse. Igli non aveva ottenuto la ristrutturazione di quel magazzino, o almeno questo era quello che gli aveva detto. Probabilmente la verità era che il suo cantiere edile poteva benissimo fare a meno di un manovale zoppo. Lo stesso valeva per Raul e la sua ditta di traslochi. E nemmeno come sverniciatore, dal vecchio Barto, aveva avuto successo. Neanche Dragan aveva bisogno di imbianchini, a quanto pareva. Li aveva fatti tutti i giri della città vecchia, gli rimaneva giusto qualche pusher in cerca di gente che gli custodisse le dosi in casa. Ma quelle cose aveva sempre cercato di evitarle.


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Si dicevano tutti dispiaciuti, gli davano tutti delle grandi pacche sulle spalle, gli dicevano di tenere duro, che erano tempi difficili per tutti, di provare più avanti, magari col nuovo anno. E intanto lunedì sarebbe cominciata la scuola, e quest’anno di far ricorso al solito prestito non se ne parlava. Così almeno avevano deciso, lui e Angela. Troppo oneroso il suo rimborso, senza entrate sicure sarebbero finiti in guai peggiori, e la cifra da rientrare sarebbe cresciuta a dismisura, li avrebbe inghiottiti come una voragine senza fondo. Daniele in prima elementare e Simone in quinta non davano eccessive preoccupazioni, anche se c’era la questione pulmino, per il quale avevano chiesto lo sconto, e quella dei buoni pasto, che un tempo per le famiglie in difficoltà erano gratuiti ma che adesso bisognava pagare. Erano diventate troppe, le famiglie in difficoltà. Lui o Angela avrebbero forse potuto andare a prendere i bambini a mezzogiorno, fargli una pasta veloce e rimandarli a scuola al pomeriggio, bisognava solo parlarne con le maestre. Avevano sempre fatto così, nel vecchio quartiere, ma ora le distanze casa/scuola erano aumentate e non sapeva se avrebbero fatto in tempo. Quando avevano ricevuto la notizia di aver ottenuto l’alloggio popolare che aspettavano da anni avevano fatto i salti di gioia, ma non avevano tenuto conto dei costi e delle scomodità che andare a vivere tanto lontani dal centro avrebbero comportato. A preoccupare poi erano i libri di Miriam, in terza media, anche se l'anno prima era stata bocciata e in teoria li aveva già, se non fosse che erano stati cambiati quasi tutti e anche a prenderli usati la spesa sarebbe stata proibitiva. I rimborsi li avrebbero avuti, ma in primavera. No, per il momento Miriam sarebbe andata a scuola coi libri vecchi, tanto per quello che li apriva… Forse la mamma di Vicky avrebbe potuto aiutarli, quando tornava da Milano portava sempre qualcosa, faceva la spesa, regalava caramelle ai bambini, giocattoli. Alle spese della figlia, che viveva con loro e sarebbe andata in prima liceo, pensava lei, e sembrava davvero che con quel suo palestrato milanese problemi di soldi non ne avessero per niente. Chissà cosa faceva poi quel tipo. Lei diceva che era un organizzatore di eventi, che lavorava nei locali più “in”. Mah! A Marino pareva un buttafuori abbrutito.


7 Poco importava, l’importante era capire se si potesse chiederle un piccolo aiuto. D’altra parte con Vicky lui e Angela si erano sempre comportati come fosse figlia loro, un piccolo aiuto Monica non lo avrebbe negato. Gliene avrebbe parlato in privato, stando attento che Angela non ne sapesse niente. La conosceva bene, Angela era troppo orgogliosa, avrebbe sofferto la fame piuttosto che chiedere. A quello pensava sempre lui, infatti, che l'orgoglio gli sembrava una cosa talmente inutile da apparirgli totalmente priva di interesse. Era lui che andava a chiedere, sempre, sia che si trattasse di fare la fila per i pacchi che consegnavano una volta al mese presso un ente di carità che di andare in comune per eventuali bonus a famiglie bisognose. Ed era sempre lui che andava a prendere i vestiti usati nei centri Caritas, per i bambini, per Angela, raramente per sé. Lui metteva sempre gli stessi abiti, li portava alla morte. Era sempre stato così, anche quando i soldi non erano un problema. Ci si affezionava lui alle cose. Sapeva che tutte queste incombenze, per altro così necessarie alla loro traballante economia famigliare, erano terribilmente umilianti per Angela. Sebbene ci fosse abituata sin dall’infanzia riuscivano inesorabilmente a trascinarla verso quella forma di latente disperazione che sembrava sempre sul punto di manifestarsi in vere e proprie crisi depressive. Marino lo sapeva, e l'amava anche per questo. A lei doveva tutto, anche se questo tutto attualmente era ben poca cosa, ma senza di lei chissà che sottospecie di relitto umano sarebbe diventato. Certo, prima, quando lavoravano entrambi, tutti questi problemi non esistevano. Ed era stato proprio lì, sul luogo di lavoro, che si erano conosciuti. Che tempi, tutti i giorni in piedi alle cinque e “pronti via” fino alla sera tardi. Ma era l’inizio della loro storia, avevano appena scoperto di amarsi, e lui per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva di nuovo vivo. Vivo e felice. Non c'era tempo per pensare alla bottiglia, allora. Per fortuna Angela quell’estate aveva trovato lavoro in un albergo del centro, ma era un lavoro stagionale, già finito, che era servito più che altro ad appianare i debiti dell’inverno. Ora erano di nuovo al palo. Una lotta, e Marino si sentiva così stanco. La tipa in giacca fucsia doveva essere scesa già da un pezzo, perché ora nel posto invalidi c'era un ragazzotto pieno di tatuaggi. Marino si era distratto, dal finestrino la città era cambiata, non più quella colorata e


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seducente del centro ma la città grigia e anonima della periferia. Già si intravedevano i palazzoni in collina, quelli dove erano andati ad abitare, e a cui nessuno di loro si era ancora abituato. L'autobus era fermo da parecchi minuti, c'era un ingorgo incredibile. Si trovavano vicino a un centro commerciale, e Marino cominciò distrattamente a osservarne la frenetica vita del sabato pomeriggio. Vicino al parcheggio delle auto c'era anche un lavamacchine, di quelli a gettone, fai da te. La gente arrivava, andava alla gettoniera, poi cominciava ad armeggiare con spray, spugne, diffusori d'acqua, aspirapolveri. Un bel modo di passare il sabato, pensò, non c’è che dire. Spesso erano coppie, lei si infilava nel centro a fare la spesa o a guardare le vetrine mentre lui ci dava giù di brutto con shampoo e cera. Fu allora che gli venne l'idea. Non sembrava per niente male, anzi, era sicuro che avrebbe potuto funzionare. Anche se Angela non sarebbe stata troppo contenta. Per il momento, si disse, non gliene avrebbe parlato.


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L’AUTOLAVAGGIO

La prima settimana fu un disastro, non gli riuscì di mettere insieme un euro che fosse uno. Stava lì, vicino alla gettoniera, e quando vedeva qualcuno che andava a comprare i gettoni si avvicinava e si proponeva per fare il servizio completo al posto loro. Dentro e fuori: cinque euro. Anche meno. Quello che volevano. Le risposte classiche erano: «No, faccio da me», «Non ho spiccioli», «Togliti dai piedi». Un giorno uno gli disse: «Tornatene a casa tua, slavo di merda». Marino ci rimase male. Era sicuro di essere italiano. O magari chissà, magari alla lontana no, va’ a sapere. Marino era di origine friulana, un po’ lì sul confine, forse un po’ di sangue slavo lo aveva davvero. Probabilmente ne aveva l’aspetto. Si diede un’occhiata attraverso lo specchietto di un furgone. Pantaloni stinti e consumati di qualche misura più grande, maglietta di un colore indefinito sotto a una giacca di jeans stravecchia e fuori moda. Scarpe a mocassino del giurassico. E poi quei capelli sale e pepe, biondicci un tempo, sempre un po’ troppo lunghi, e la barba di qualche giorno. E la stampella. Quando era giovane c’era qualcuno che gli diceva che somigliava a Sting. Ma quei tempi sembravano finiti da un pezzo. Era anche magro, per quanto ricordava lo era sempre stato, assomigliava al nonno. Non c’era verso che riuscisse a mettere su qualche chilo. Una fortuna forse, ma in effetti l’aspetto del disgraziato c’era tutto, slavo o italiano che sembrasse. Per la stampella c’era poco da fare, doveva tenersela, se non voleva zoppicare troppo vistosamente. La barba se la sarebbe rasata quella sera stessa. Avrebbe anche chiesto ad Angela di aggiustargli i capelli. Ma la cosa più importante restava l’abbigliamento. Vestito così non aveva per niente l’aspetto di un onesto lavoratore, anzi, strano che nessuno gli avesse ancora dato dello zingaro. Decise che se era vero che l’abito fa il monaco, avrebbe cercato quello adatto per impersonare un rispettabile addetto al lavaggio auto.


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Il giorno che quel tale gli dette dello slavo segnò la svolta. L’indomani Marino si presentò al centro commerciale con una dignitosa tuta blu usata, prestatagli da un amico meccanico, e con in testa un berretto con una marca di birra stampata sopra la visiera. Invece di posizionarsi come un falco vicino alla gettoniera si appoggiò a un muretto, con secchio, spugna e spazzoloni in bella mostra, la stampella appoggiata di lato, un po’ nascosta. Avrebbe anche voluto esibire un cartello con una scritta un po’ più esplicita, tipo “Si esegue lavaggio auto. Prezzi modici.”, ma poi pensò che probabilmente sarebbe intervenuto qualcuno del personale del centro commerciale, che gestiva anche la stazione di lavaggio. Per qualche giorno, prima di iniziare il suo nuovo mestiere, ne aveva osservato i movimenti, gli orari in cui gli addetti venivano a mettere i gettoni o a ritirare i soldi o a cambiare il sapone, e aveva sempre cercato di evitare di essere presente in quei momenti, per evitare discussioni. Il primo cliente si avvicinò intorno alle undici del mattino. Era un tipo in giacca e cravatta, stile beccamorto, che sembrava avere molta fretta. «Ne ho bisogno tra mezz’ora al massimo, quanto vuoi?» Marino era rimasto talmente stupito che quel tipo ce l’avesse veramente con lui che per qualche istante non riuscì ad articolare parola. «Cinque euro?» balbettò esitante. Stava per aggiungere “dentro e fuori” quando l’uomo replicò: «Con dieci mi fai anche l’interno, ok?» Marino non credeva alle proprie orecchie, seguì il tipo fino all’automobile, una Mercedes molto ben tenuta che sembrava non avere alcun bisogno di altre lavate, ricevette i gettoni dal proprietario e cominciò a lavorare di buona lena. Una mamma con bimbo in passeggino, vedendolo al lavoro, gli chiese se avrebbe potuto portargli la macchina il giorno dopo, mentre una coppia di fidanzati gli chiese se poteva pensare alla loro mentre andavano a fare shopping. Un successone, la sua carriera di lavamacchine abusivo era cominciata! Nel pomeriggio ebbe altre commesse e quando calò la sera si sentì sfinito, come non succedeva da tanto tempo. Prima di tornare a casa decise di entrare per la prima volta nel centro commerciale, dette un'occhiata tra l'incredulo e il disgustato a merci e a


11 prezzi, e ne uscì dopo un'oretta buona con la sua bella, anche se striminzita, borsa della spesa.


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ANGELA

Angela guardò l’ora. Era buio da un pezzo ormai, e Miriam non era ancora rientrata. Vichy non ne sapeva niente, almeno così diceva, e forse era vero. Vicky era una di quelle ragazze tranquille, che amano studiare, che non hanno ancora avuto un ragazzo, che possono passare tutta la domenica a leggere un libro e a prendere da lì tutto quello che pensano ci sia da sapere sulla vita, sull’amore. Forse non sapeva davvero cosa stesse combinando la sua amica. Anche se le sentiva sempre parlottare, di là in camera. Sperava che si trattasse di cose normali, da adolescenti, di ragazzi, pene d’amore, cose così. Ma con Miriam non si poteva mai stare tranquilli. Aveva preso dalla vera madre, sua sorella Francesca, non c'erano dubbi, purtroppo. C'era solo da sperare che non finisse come lei, anche se da un paio d'anni si era messa proprio d'impegno per far disperare tutta la famiglia. Per il momento l’importante era che non fosse di nuovo finita in qualche brutto guaio, come era successo qualche mese prima, quando insieme a un gruppo di bulletti di quartiere era stata sorpresa a rubacchiare in un supermercato. O meglio, a mangiare merendine rubate in un locale di servizio, spinta dalla sua formidabile golosità, mentre i suoi amici scappavano con le guardie alle calcagna e le tasche piene di qualsiasi cosa. La direttrice del supermercato, vedendo Miriam che si sbafava una confezione intera di merendine alla cioccolata, si era intenerita, le aveva fatto una ramanzina, aveva avvertito lei e Marino, ma non aveva fatto denuncia. Era stata una fortuna, perché la cosa avrebbe potuto finire molto male. L’unico aspetto positivo di essere andati a vivere così lontano dal centro era sperare che Miriam cambiasse giro, anche se nemmeno lì si poteva stare tanto tranquilli. Anzi…


13 La volante passava tutti i giorni, e più volte al giorno, tra gente ai domiciliari da controllare e risse da sedare. Poi c’era il via vai delle assistenti sociali e degli ufficiali giudiziari a tenere compagnia. Sempre le stesse storie. Angela sospirò, per fortuna Marino non era ancora rientrato dal lavoro. C’era da augurarsi che al suo ritorno Miriam fosse a casa, altrimenti sai che scenata le avrebbe fatto! Proprio ora che le cose sembravano un po’ aggiustarsi, ci mancava solo che quella ragazzetta scalmanata creasse nuove tensioni. Era stato davvero un colpo di fortuna che Marino avesse trovato quel posto da inserviente al centro commerciale, dal giorno dell’incidente non aveva più lavorato, ed erano passati più di due anni ormai. Per un annetto avevano tirato avanti con l’indennizzo della ditta che lo aveva assunto come scaffalista di supermercato, ma tra cure e spese varie quei soldi erano finiti presto, e quando Marino non lavorava diventava subito depresso, demoralizzato. Era una pena vederlo così, e Angela sapeva quanto gli costava in certe giornate non arrendersi al vecchio vizio. E ora quel colpo di fortuna, quel lavoro inaspettato, e proprio nel momento in cui più ne avevano bisogno. Era una gioia vederlo rientrare dopo una giornata di lavoro; era passato quasi un mese e non si sapeva ancora quando avrebbe preso il primo stipendio (anzi a dir la verità sul tipo di contratto era stato molto vago), ma era talmente contento di lavorare di nuovo dopo tanto tempo che se anche non lo avessero pagato ci sarebbe andato lo stesso al centro commerciale. Forse qualcosa si era fatto anticipare, o forse per il momento era pagato a giornata, o a cottimo, o gli passavano qualcosa in nero, perché qualche volta rientrava con la spesa fatta o con qualche regalino per tutti. Marino era una brava persona, forse si era fatto ben volere, aveva parlato dei loro problemi e quella gente voleva dargli una mano. Angela non chiedeva da quali guadagni provenissero quelle sorprese, non voleva pressarlo, ora che lo vedeva un po’ più sereno si sentiva sollevata anche lei. Sperava solo che durasse. Il rumore della porta che si apriva la riscosse dai suoi pensieri, si affacciò sull'uscio della cucina per vedere chi dei due fosse rincasato, ma il rumore dei passi non dava adito a dubbi: un passo svelto, leggero, spensierato, non quello claudicante di Marino. Tirò un sospiro di sollievo. Miriam era rincasata.


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LEZIONE DI ECONOMIA

Certo che di gente strana ce n'era parecchia. Quel tipo della Mercedes, per esempio. Era di nuovo lì a farsi lavare una macchina perfettamente pulita, per la quarta volta in venti giorni. Oh, meglio così, sia chiaro. Stavolta poi aveva ancora più fretta del solito, perché non era neanche andato a farsi un giro come le altre volte, stava lì a pochi passi da lui a fumarsene una aspettando che finisse, e intanto guardava in continuazione il cellulare. Un killer, ecco cosa doveva essere, un killer della mafia. Altrimenti perché era sempre lì a farsi lustrare la Mercedes? Probabilmente per eliminare ogni traccia di sangue. E questo significava che in venti giorni aveva fatto fuori almeno quattro persone. Marino si fermò un attimo a guardarlo. La faccia del killer l'aveva tutta. L'aveva detto subito lui che sembrava un beccamorto, solo che nel suo caso i morti se li produceva da sé. L'uomo si accorse di essere osservato, spense a terra la sigaretta e si avvicinò. «Scommetto che ti stai chiedendo perché sono sempre qui a farti lavare la macchina, giusto?» Sorrideva, improvvisamente sembrava aver voglia di fare conversazione. Marino alzò le spalle, poi si mise a dare gli ultimi ritocchi alla carrozzeria. «Lo facessero tutti di farsi lavare la macchina ogni tre per due avrei risolto tutti i miei problemi. Avrai i tuoi motivi. Buon per me.» «Sono un autista privato. Porto a spasso la gente. Presente?» Marino lo guardò perplesso. «Tipo tassista?» E intanto pensava “a chi la vuoi dare a bere?” L'uomo sorrise di nuovo, tirò fuori un'altra sigaretta e ne offrì una a Marino, che rifiutò. «Io e te siamo due liberi professionisti, vedi? Tu lavi macchine e io scarrozzo vecchie signore che vogliono andare alle terme o all'outlet. A volte ci va bene a volte ci va male. Per esempio, ora la tizia che dovevo


15 andare a prendere ad Alessandria e portare a Santa Margherita mi ha dato buca, mi ha appena scritto sul cellulare. Quello che ci differenza, a noi due, è il target, e l'investimento iniziale. Il mio target è decisamente medio alto, più alto che medio direi. I miei clienti non salirebbero mai su un'automobile che non fosse perfettamente pulita, che non profumasse di nuovo come appena uscita dalla fabbrica. Di conseguenza il mio investimento iniziale non poteva che essere medio alto, anzi, più alto che medio, e ho comprato questa Mercedes, che cerco di tenere più pulita possibile, ed è qui che intervieni tu. Tu invece hai un target medio basso, o più basso che medio, e il tuo investimento iniziale è decisamente basso, per non dire nullo: un secchio, una spugna e poco altro. Qui sta la differenza, ed è per questo che io e te stiamo su piani reddituali assolutamente diversi. È una questione di marketing, non so se mi spiego.» Marino si guardò l'investimento che aveva tra le mani, un panno in microfibra, e cominciò a pensare che forse sarebbe stato meglio se quel tipo fosse stato un killer sanguinario piuttosto che un appassionato cultore di economia di mercato. «Mi stai dicendo che dovrei venire qui con un folletto da tremila euro?» L’uomo sorrise compiaciuto. «Vedo che cominci a capire. No, sto dicendo che dovresti aprire un autolavaggio tutto tuo. Non dico come questo, ci sono aziende in franchising che potrebbero aiutarti ma poi il guadagno andrebbe in gran parte a loro e saresti da capo, e aprirtelo da solo sarebbe troppo oneroso. No, ti apri un bel lavaggio a mano come si faceva una volta, con servizio curato, come sai fare tu. Ti fai un bel mutuo, scegli il posto adatto, che sia ben visibile e accessibile dalle maggiori arterie cittadine, metti su il tuo impianto, bello colorato, mi raccomando, colori primari ricordati: blu, rosso, giallo; ti fai fare una bella campagna pubblicitaria e via. Il gioco è fatto. Tè…oggi mi è andata a buca ma tu mi sei simpatico…» Nel dire così l’uomo tirò fuori il portafoglio e allungò a Marino una banconota da venti. «Oltretutto vedi, i contanti ormai hanno le ore contate. Se non sarai in grado di aprirti un Pos non potrai più lavorare, salvo che non te lo impediscano prima i capetti della mafia di quartiere o quelli del centro commerciale.» Marino si intascò i venti euro e fece un cenno di ringraziamento alzandosi la visiera, tutta quella conversazione l’aveva ammutolito.


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Guardò l’uomo salire in macchina, e rispose al suo saluto alzando un braccio. Non si poteva dire che su molte cose il tipo non avesse ragione, ma si può sapere come avrebbe potuto uno come lui mettere su un ambaradan simile? Ma chi mai avrebbe fatto un mutuo a un nullatenente cinquantenne che percepiva poco più di trecento euro al mese come pensione di invalidità, con moglie e tre figli a carico? Gli unici erano i cravattari, ma da quelli aveva imparato che era meglio stare alla larga. Come la faceva facile la gente! E poi ormai tutti si erano abituati al fai da te. Fai da te di qua, fai da te di là, fai da te alle casse del supermercato, dal benzinaio, persino alla posta per certe operazioni, persino in banca. L’aveva letto proprio l’altro giorno, su un giornale che qualcuno aveva appoggiato alla gettoniera e dimenticato. Erano sempre di più i lavori dove presto l’uomo sarebbe stato sostituito completamente dalle macchine. E non si parlava di una macchina che dava una lavata, ma di veri e propri automi. Avrebbero sostituito camerieri, infermieri, tecnici elettronici, matematici, persino cuochi e pizzaioli, in qualche caso persino i medici e gli insegnanti. Neanche lui, l’autista privato, poteva considerarsi tanto sicuro, perché ormai avevano inventato le auto che si guidavano da sole, e presto tutta quelle categorie di autisti di tutti i generi, camionisti, tramvieri, taxisti, macchinisti di treni, avrebbero perso tutti il loro bel posto di lavoro. E neanche i killer potevano considerarsi immuni, che già esistevano droni in grado di andare al punto con estrema precisione, per un lavoro pulito che più pulito non si può. Almeno così dicevano. Marino si chiedeva a chi mai fosse venuto in mente di creare un mondo del genere, dove non ci sarebbe stato più posto per l’uomo. Si sarebbero salvati solo lavori di altissima specializzazione, va bene, sì, ma tutti gli altri? Sarebbero stati tutti superuomini, quelli del futuro? E che ne sarebbe stato dei “difettosi”, di quelli che le cose se le devono far spiegare due, tre volte? In linea di massima erano anche la maggioranza. Lui compreso, che difettoso lo era per molti versi. Del resto si capiva già da un pezzo che il mondo era un casino, bastava guardare tutta quella gente che ogni giorno lasciava la propria terra per cercare lavoro altrove e si trovava gettata in un mare di guai. I posti di lavoro erano sempre meno in tutto il mondo, e non perché di lavoratori non ci fosse bisogno, ma perché ormai si risparmiava su tutto,


17 soprattutto su quel tipo di lavori importanti ma che non avevano una visibilità immediata. Lo sapeva bene lui che appena diplomato aveva lavorato per una ditta che si occupava di manutenzione ferroviaria. A un certo punto aveva licenziato un sacco di gente, compreso lui, perché le commesse erano diminuite di brutto. Sembrava che la manutenzione ferroviaria improvvisamente non fosse più così necessaria. E intanto i treni deragliavano… Il mondo gli sembrava un enorme pendolo, che trasportava torme di disoccupati da sud a nord, da est a ovest, trascinandone indietro altri e risbattendoli da dove erano venuti, in un moto perpetuo assurdo e disumano. Un pendolo al quale masse di uomini e donne tentavano disperatamente di rimanere attaccati, in balia di ogni tipo di scossoni e tempeste. Una giostra, forse, più che un pendolo, una giostra da luna park assetata di sangue umano. Stava riflettendo su queste cose quando la sua attenzione fu attratta da uno scassatissimo scooter, del giurassico pure lui, fermo a bordo strada proprio di fronte all’autolavaggio. Conosceva quello scooter, e il tipo che lo guidava. Era un ragazzetto di colore che bazzicava i carrugi, di quelli tutto pepe, che non si sapeva bene di cosa vivesse, anche se lo si poteva immaginare. La ragazzina che portava dietro ora era scesa, e si stava togliendo il casco, che il ragazzo prese prima di ripartire verso la direzione opposta, compiendo una manovra a dir poco azzardata. Poco più avanti c’era una macchina dei carabinieri appostata, era naturale che quel teppistello non volesse farsi beccare. La cosa che lo lasciò di sasso fu però riconoscere nella ragazzina appena scaricata sua figlia Miriam. In quel momento una signora a cui aveva lavato la macchina la settimana prima e con la quale aveva parlato di figli e accennato ai suoi problemi economici si stava avvicinando con un borsone. Probabilmente voleva lasciargli qualcosa. Ancora sconcertato, si accinse ad accogliere quella donna gentile, anche se dentro di sé era furioso, e preoccupato. Miriam lo avrebbe sentito, quella sera.


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VICKY

Vicky non riusciva a concentrarsi su quella versione di greco. Lei e Miriam quel pomeriggio avevano litigato, come forse non avevano mai fatto. Miriam era cotta persa dietro a Patrick, un bulletto nero che girava nei vicoli, e Vicky aveva saputo da Juanita che a scuola non si vedeva da lunedì scorso. «Hai intenzione di farti bocciare anche quest’anno, per caso?» le aveva chiesto, e poi il discorso era finito su Patrick, che a scuola a quanto pareva non era mai andato e passava il tempo non si sa bene come. «I tuoi hanno già tante preoccupazioni, Miriam, e quel ragazzo vive di spaccio, di furti, lo sanno tutti!» «Tu non sai proprio niente, capito? Niente di niente, saputella del cazzo!» Vicky era ammutolita, mentre la sua amica usciva dalla camera che dividevano con i più piccoli sbattendo la porta e si accingeva a uscire di casa per incontrarsi con quel tipo. E ora che era sera fatta non era ancora rincasata. Sperava con tutta se stessa che non si fosse infilata in qualche casino. Quando erano piccole erano così unite, si dicevano tutto! Miriam era simpatica, divertente, ne inventava sempre una nuova e non facevano che ridere dal mattino alla sera. Ma ora le cose erano cambiate. Miriam con le sue storie d'amore e lei col suo greco e latino e a chi glielo aveva fatto fare, che sì che a scuola era sempre stata brava ma non era mica tanto sicura che il liceo fosse alla sua portata! Le sembrava che i suoi compagni fossero tutti più bravi di lei, e questo la rendeva tremendamente insicura, lei che era sempre stata abituata a essere lodata dai professori e portata come esempio davanti a tutta la classe. Nella sua nuova classe in molti erano i figli di medici, avvocati, dirigenti d'azienda, la maggior parte avevano fatto le medie in istituti privati o in scuole pubbliche molto quotate. Della scuola del vecchio quartiere non c'era nessuno e lei si sentiva un pesce fuor d'acqua. I professori non la


19 degnavano d'uno sguardo, la maggior parte di loro non aveva nemmeno imparato il suo cognome, mentre a molti compagni si rivolgevano addirittura per nome, scherzando con loro e dicendogli a volte di salutargli il fratello, o la mamma, o il papà. E sì che lì dentro avrebbe dovuto “spiccare”, dal momento che era l'unica ragazza non prettamente bianca. Nella scuola vecchia era sempre stata una delle tante alunne “di colore”, unica eredità ricevuta dal padre, un haitiano mulatto, “bello come il sole”, come diceva sua madre, e che lei non ricordava di avere mai conosciuto. Anche in quel liceo, in altre sezioni, c'era un discreto numero di ragazzi di diverse provenienze etniche, ma in classe sua lei era l'unica ad avere un incarnato un po’ troppo brunito. L'unica ad avere una mamma single, l'unica a richiedere i rimborsi per le spese librarie, l'unica a vivere in quel quartiere di case popolari. Che poi in quella casa lei era soltanto un’ospite, casa sua sarebbe stata nei vicoli, dove socialmente ci si mimetizzava meglio. Vicky rimpiangeva molto quella che era stata la sua infanzia nei carrugi, ma cos’altro avrebbe potuto fare? I Feruglio avevano finalmente ottenuto la loro casa popolare e lei non poteva che seguirli. Non si sarebbe mai scordata il giorno in cui Angela le aveva chiesto di andare a stare da loro, più di due anni prima. Era il periodo in cui sua mamma aveva cominciato a vedersi con Claudio, il suo attuale fidanzato, e aveva lasciato il suo lavoro di addetta alle pulizie di un grande magazzino. Diceva che ne aveva abbastanza di lavare cessi sempre scompisciati, e il suo nuovo amico le dava corda, dandole l’illusione di poterla mantenere. A lei però non la poteva vedere e se davanti a sua madre cercava di conservare un comportamento moderatamente gentile, quando era solo con Vicky non faceva che svilirla, trovando in tutto quello che diceva o faceva una serie infinita di mancanze ed errori. Non passò molto tempo che incominciò ad assumere questo comportamento anche di fronte a sua madre, e se all’inizio Monica aveva cercato di difenderla, col tempo sembrava che le si fosse insinuato il dubbio che effettivamente Vicky non fosse poi quella bambina tanto carina e giudiziosa che tutti lodavano, ma nient'altro che una specie di impaccio che il destino le aveva scaraventato contro senza pietà, impedendole di potersi realizzare pienamente e scegliere la vita che voleva. Claudio era un italiano “in affari”, anche se non si capiva bene quali; era un uomo volgare, aveva modi brutali e arroganti, vestiva in maniera


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pacchiana, si tingeva i capelli ed era pieno di tatuaggi, ma aveva un fisico da palestrato che Vicky sapeva fare molto colpo sulla mamma e sembrava non avere problemi di soldi, cosa davvero inusuale tra tutti gli uomini che avevano frequentato casa loro fino a quel momento. Cominciò a portarsi dietro la mamma sempre più spesso nelle sue trasferte a Milano, e Vicky restava per giorni da sola a cercare di arrangiarsi con gli spiccioli che la mamma lasciava sulla scarpiera dell’ingresso. Un giorno che era a casa di Miriam a fare i compiti, nella casa di un tempo, Angela le chiese chi era a occuparsi di lei quando Monica non c’era. Vicky rimase in silenzio. Non aveva parlato con nessuno delle assenze della mamma e non capiva come Angela potesse sapere. Si guardava i vestiti non propriamente puliti, i sandali impolverati, e pensava che forse erano stati loro a tradirla, prove evidente che erano giorni che non si cambiava perché nessuno glielo ricordava. Allora si godeva quella libertà non richiesta in maniera rancorosa, si ingozzava di cibo spazzatura comprato al discount ben sapendo che le avrebbe fatto male alla pancia, non puliva la casa, si lavava poco, lasciava che piatti e bicchieri restassero per giorni nel lavello e che la cucina si riempisse di mosche. Sapeva bene che se qualcuno avesse avvisato le assistenti sociali dello stato in cui versava, sua madre sarebbe finita in brutti guai, e forse era quello che sperava. Sarebbe stata la giusta punizione, anche se in realtà quello che voleva realmente era che la mamma lasciasse quell’uomo e tornasse da lei, anche se depressa, triste e disperata, come sempre le succedeva alla fine di un rapporto. Provava rammarico, ma anche rabbia e vergogna. Quando Angela le fece quella domanda non riuscì a rispondere. Si mordeva le labbra. Miriam in quel momento era scesa per comprare del latte, Angela aveva aspettato che fossero sole per parlarle. Di fronte al suo mutismo Angela le cinse le spalle e le disse che nel quartiere dicevano queste cose, che sua madre aveva trovato lavoro a Milano ma che per il momento non poteva tenerla con sé. Le chiese se queste voci fossero vere. Detta così la faccenda sembrava quasi una cosa normale, un piccolo contrattempo niente affatto insolito per una ragazza madre che aveva bisogno di lavorare, e di colpo tutto quel groviglio di malanimo e livore che la tormentava cominciò a sbrogliarsi.


21 Ammise tutto, che la mamma si fermava a Milano sempre più a lungo, che tornava ogni dieci, dodici giorni, le lasciava i soldi e partiva di nuovo. Che le aveva fatto promettere di non dirlo a nessuno, che le telefonava tutti i giorni per sapere come stava, e che lei stava bene, non aveva bisogno di niente. Sapeva cavarsela, disse decisa. Angela puntò su di lei quel suo sguardo dolce e preoccupato insieme che spesso riservava alle faccende di famiglia e si disse sicura che fosse in grado di badare perfettamente a se stessa, ma che era troppa piccola per vivere da sola. La cosa poi si era ormai saputa nel quartiere, e qualcuno avrebbe potuto approfittarne. Era troppo pericoloso, anche Marino era preoccupato. Le chiese se non aveva niente in contrario a trasferirsi da loro. Ne avrebbe parlato lei a Monica, era sicura che avrebbe acconsentito. Si conoscevano da tanti anni, erano praticamente cresciute insieme, lì nella città vecchia, sapeva che si sarebbe fidata. Voleva solo essere sicura che Vicky fosse d’accordo. Lei continuava a guardarsi i sandali che una volta erano stati bianchi e non sapeva cosa dire, la proposta di Angela l’aveva fortemente impressionata. «Un modo per starci tutti quanti lo troviamo, lo abbiamo sempre trovato, non ti devi preoccupare.» Vicky pensava alla simpatia dei due piccoli, alla pacata allegria di Marino, alla grazia di Angela, e sentiva che con loro sarebbe stata bene. Marino poi faceva già il padre in prestito a due bambini, forse avrebbe potuto farlo un pochino anche per lei. Ma conosceva anche le loro difficoltà, come potevano accollarsi un altro posto a tavola? Doveva mettere in chiaro le cose, poi avrebbe potuto accettare la proposta. «La mamma potrebbe pagare le mie spese» disse in un soffio, e Angela sorridendo la strinse a sé. Gli occhi le si riempirono di lacrime silenziose, mentre Angela le diceva che non doveva pensare ai soldi, che ormai allora era deciso, che sarebbero passate a prendere le sue cose quella sera stessa e che avrebbe passato la notte da loro. Alla mamma avrebbero telefonato l’indomani. A Vicky le si sciolse qualcosa dentro. Quando Miriam tornò col litro di latte e seppe la novità le si buttò addosso, stringendola in un abbraccio festoso. Il sogno di Vicky di avere una sorella si stava realizzando. Avevano condiviso tutto, in quei due anni di convivenza. Avevano condiviso persino il letto, quando stavano ancora nei carrugi e lo spazio a


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disposizione non permetteva di aggiungerne altri, mentre Simone e Daniele condividevano l’altro. E quando i Feruglio ebbero la notizia del nuovo alloggio avevano fatto tutti una grande festa, alla quale lei aveva partecipato con preoccupazione mal celata, temendo che ciò avrebbe significato il suo ritorno a casa, e Marino, che aveva intuito il suo stato d’animo, l’aveva abbracciata e confortata, sussurrandole che il posto per lei ci sarebbe sempre stato, e Miriam aveva insistito perché, dal momento che lo spazio nella nuova casa era maggiore, si prendessero quattro letti, perché Vicky era ormai una di famiglia, e lei aveva cominciato a piangere e non sapeva spiegare il perché. E Miriam la prendeva in giro ma in realtà era commossa anche lei e rideva a crepapelle per coprire le lacrime. E ora invece quel contrasto, quella discussione. Quando le era uscita di bocca quell’espressione stupida, “delinquentello nero”, non immaginava che Miriam potesse dirle quelle cose. «Delinquentello nero? Ah ah… detto da te… ti sei guardata allo specchio ultimamente?» Era la prima volta che la sua amica faceva riferimento al colore della sua pelle, Vicky si era sentita insultata, molto di più per quel ”saputella del cazzo” che le era uscito poco dopo. Quando sentì la porta di casa aprirsi e il passo svelto di Miriam che rientrava tirò un sospiro di sollievo, ma restò decisa a non considerarla. Doveva almeno tenerle un po’ il broncio, dopo quello che le aveva detto. Miriam entrò in camera con la solita esuberanza e le si avvicinò contrita. «Vicky, ti prego, scusami per prima. Non volevo che litigassimo, solo che sai… chi me lo tocca… scusa scusa scusa… ma ti devo raccontare… ti prego… non tenermi il muso.» Vicky la fermò. «Angela ha detto di andare a tavola, aspettavamo solo te. I bambini hanno già mangiato.» Miriam si sedette sul letto, accanto a lei. «Hai ragione, Vicky, sono stata proprio una stronza prima. Ti prego, perdonami…» Vicky sospirò. «Dai, raccontami cosa hai combinato, per la cena ormai aspetteremo Marino…»


23 Si accovacciò sul letto, pronta a sentire quello che l’amica aveva da raccontarle. Con Miriam era sempre troppo tenera, pensava, essere arrabbiata con lei non le riusciva mai abbastanza a lungo.


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MIRIAM

Se non fosse stato per quel posto di blocco Miriam non sarebbe mai scesa a quell’incrocio, e non lo avrebbe mai sgamato. In due in motorino, e con uno come Patrick alla guida, figuriamoci, li avrebbero fermati di sicuro, e Patrick avrebbe avuto dei guai. No, meglio scendere. Avrebbe fatto un tratto a piedi e poi avrebbe preso il 270. Certo, ci avrebbe messo di più, e quella sera era già in ritardo. Già si immaginava la mamma, lì a trafficare in cucina rosa dall’ansia e dalla preoccupazione che si fosse cacciata in qualche altro casino. Miriam non lo faceva apposta, erano i casini che nella sua vita erano sempre in agguato. Lei voleva solo divertirsi, aveva quattordici anni e non voleva lasciarseli scappare. Sapeva bene quanto poteva diventare difficile la vita in quattro e quattr’otto, lo vedeva bene com’era dura quando si diventava adulti! La cosa importante poi era stare ben attenti a non farsi mettere incinta, come quella demente della sua amica Veronica, che era già mamma di un bel morettino ed era andata a vivere in una camera minuscola nella casa dei suoceri. Bella vita davvero! Lei a queste cose ci pensava, così come stare in guardia con tutta la roba che girava. Ne aveva vista di gente completamente sbarellata, e Patrick poi in questo era categorico. Niente droga. Solo qualche canna. La mamma invece era convinta che sarebbe finita male, e non faceva che ripeterglielo. Aveva paura che finisse come Francesca, la sua vera madre, che era morta in prigione quando Miriam aveva sette anni, distrutta da ogni tipo di stupefacente. Se la ricordava appena ormai, solo qualche flash quando andava a trovarla con la mamma, cioè con Angela, che era la sorella di sua madre, quella vera. Ma per lei l'unica mamma era sempre stata Angela, e Simone suo fratello. Viveva con loro da sempre, per quel che ricordava.


25 Quando era piccola con loro c’era anche il nonno, Salvatore, sempre ubriaco dal mattino alla sera, e vivevano tutti insieme nella casa dei carrugi. L’uomo da cui la mamma aveva avuto suo fratello Simone doveva essere scomparso già da un pezzo, o per lo meno lei non se lo ricordava. Marino invece era arrivato dopo un po’, poco prima che morisse il nonno. Insomma, un casino. Ma la mamma, Angela, era con lei dall’inizio del tempo. A scuola poi aveva conosciuto Vicky, ed erano diventate subito grandi amiche, prima di diventare in seguito qualcosa di più, due sorelle quasi. Due sorelle che si amavano e che qualche volta si odiavano, come era successo quel pomeriggio. Le era dispiaciuto litigarci, dirle le cose che le aveva detto. Ma qualche volta le dava davvero sui nervi, perfettina com’era! Sempre sui libri, non sembrava neanche accorgersi che nella vita ci fossero anche i ragazzi! Sarebbe stato inutile persino farle notare quanto Patrick fosse figo. Ad Angela le ci sarebbe voluta una figlia come lei, tranquilla, studiosa, che timbrava sempre il biglietto dell’autobus e non diceva neanche parolacce. La mamma di Vicky invece, Monica, era una fuori di testa totale. Miriam si domandava chi si fosse divertito a mischiare le carte in tutto quel casino di relazioni. Povera Vicky, che ormai era quasi un mese che Monica non passava a trovarla, lei e quel fulminato del suo fidanzato, che nessuno di loro poteva sopportare! Marino poi lo vedeva come il fumo negli occhi, non lo poteva soffrire, ed era strano, perché a lui andavano sempre bene tutti. Per lui gli stronzi non esistevano. Ma con Claudio doveva sforzarsi di non perdere la pazienza. Diventava tutto rosso, in quelle occasioni, e si ammutoliva, facendo uno strano sorrisetto, e sbuffava rassegnato. A volte lo si sentiva parlottare tra sé. A lei queste cose la facevano ridere. Quel surrogato di padre che si ritrovava in fondo in fondo le piaceva. Non era un fulmine di guerra, ma sembrava uno che ce la mettesse tutta. Almeno dieci anni più vecchio della mamma, l’aveva sposata in fretta e furia, anche per rendere più agevole la sua adozione, e si era fatto carico di tutto quel bailamme di famiglia, suocero alcolizzato compreso. E poi ci aveva messo anche del suo, che Daniele era arrivato col suo marchio di


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fabbrica. Biondo, occhi azzurri, lineamenti affilati. Non c’erano dubbi di sorta. E ora eccolo là, quel campione! Miriam si era fermata sul marciapiede, completamente stupefatta, guardava la scena attraverso la grata che delimitava l’area del centro commerciale. E quello sarebbe stato il tanto decantato posto di lavoro che millantava da qualche settimana? Cercava di capire se veramente fosse quello che sembrava, cioè un disperato che si offriva di lavare le macchine al fai da te in cambio di qualche spicciolo o se fosse un inserviente del centro commerciale, come aveva detto in casa. Stava lì, immobile, appoggiato a un muretto, con una tuta da meccanico e un berrettino ridicolo in testa, con un secchio accanto e la stampella dall’altro lato, che guardava il viavai che gli si svolgeva davanti in attesa di non si sa che. Questa era veramente una cosa tipica di Marino, Miriam si mise a ridere da sola. In quel momento una donna gli si era avvicinata, aveva in mano una borsona di plastica piena di roba, si era messa a parlare con lui. Subito Miriam pensò che stessero accordandosi sul lavaggio dell’auto della donna, ma poi questa aveva lasciato il borsone accanto alla stampella e se ne era andata. Marino ringraziava e sorrideva, la donna se ne andava salutando con cordialità. Evidentemente gli aveva lasciato qualcosa, vestiti, generi alimentari, chissà cos’altro. Come si fa coi disgraziati. Miriam pensò che sicuramente era la prima ipotesi quella più probabile, l’ipotesi del lavamacchine abusivo. E disgraziato. Non riusciva a non ridere per tutta la situazione, ma guarda te cosa era andato a inventarsi quel fenomeno! Si rimise in moto verso casa, stando attenta a non farsi vedere da quell’uomo che gli faceva da padre da molti anni, e intanto pensava a cosa avrebbe detto la mamma quando lo avrebbe scoperto.


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LEZIONE DI MATEMATICA

Sulla strada di casa Marino rimuginava su quanto avrebbe detto a Miriam. Doveva parlarle a quattr’occhi, Angela per il momento era meglio non sapesse. Con tutte le sue paranoie sul fatto che Miriam assomigliava alla madre, che presto avrebbe cominciato a drogarsi, e poi a battere per il suo spacciatore eccetera eccetera, non era il caso che fosse a conoscenza di quella pericolosa frequentazione. Magari era solo un caso, i ragazzi si conoscevano tutti là nei vicoli, magari Miriam aveva perso l’autobus e il ragazzo si era offerto di darle un passaggio. Ma sì, probabilmente era così, Miriam era ancora piccola per avere già un ragazzo! Comunque fosse doveva metterla in guardia, a frequentare certa gente non sarebbe nato niente di buono. In casa i bambini avevano già mangiato, Angela e le ragazze invece lo avevano aspettato. «Metto un attimo a scaldare, cinque minuti e ceniamo.» Marino lasciò la borsa coi vestiti per i bambini su una sedia, dicendo che gliela aveva lasciata al centro commerciale una loro amica del vecchio quartiere con la quale Angela aveva sempre intrattenuto scambi di quel genere. «Miriam dov’è? Oggi ho visto il suo prof di matematica, mi diceva cosa darà nella prossima verifica, vado a spiegarle due cose intanto che aspetto.» Miriam era in camera con Vicky a sentire musica, o a chiacchierare. Erano sempre lì a confabulare, ultimamente. Marino si diresse in quella direzione pensando a quante balle stava raccontando a sua moglie in quell’ultimo periodo. I bambini guardavano la tv in salotto, lo salutarono distrattamente mentre gli passava davanti per entrare nella cameretta dove dormivano i quattro figli, comprendendo nel novero anche Vicky. Due letti a castello, a destra i maschi, a sinistra le femmine. «Ciao ragazze. Vicky, per favore, mi lasci parlare un minuto a quattr’occhi con Miriam?»


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Vicky uscì dalla stanza, dando un’occhiata apprensiva all’amica, accoccolata sul letto, che ricambiò lo sguardo, mentre Marino chiudeva la porta dietro di sé. Appoggiò la schiena al letto di destra. Lo spazio non era molto, in quella cameretta. Miriam rimaneva accoccolata sul letto. Con una mano si arrotolava una ciocca di capelli. «Senti Miriam, ti ho vista sai? Che ci facevi su quel motorino scassato con quel nero dei carrugi?» Miriam alzò su di lui uno sguardo di sfida. «Non so chi sia il nero dei carrugi che dici tu, e comunque se ti interessa ti ho visto anch’io.» Marino sbiancò in volto, non si era reso conto che anche lei lo avesse notato. Deglutì in silenzio, poi riprese cercando di far cadere la cosa. «Non fare la furba Miriam, sai benissimo di chi parlo. Eri su un motorino, tra l’altro sicuramente rubato, con quel ragazzo dei vicoli che non so come si chiama ma che sicuramente so che non devi frequentare. Chiaro?» «Si chiama Patrick, non ha rubato nessun motorino e vorrei tanto sapere perché non dovrei frequentarlo.» «Perché non è il ragazzo adatto a te cazzo!» Marino si stava alterando. Miriam si mise a ridere. «Ah davvero? E chi sarebbe adatto a me? sentiamo! Qualche fighetto di Albaro, il figlio del sindaco, il principe d’Inghilterra? Chi sarebbe adatto per la figlia di un mendicante….» Marino le si avvicinò minaccioso, rosso in volto, Miriam si coprì il volto con le braccia. Non l’aveva mai toccata, ma la ragazza sapeva come farlo arrabbiare. «Di cosa parli, stronzetta?» Era veramente fuori di sé, non era sua abitudine usare certi epiteti in casa. Miriam si era messa seduta, i piedi ben piantati in terra, e teneva lo sguardo a terra. Le veniva da piangere, e se c’era una cosa che non avrebbe mai voluto fare in quel momento era piangere. «Sto lavorando Miriam, mi hai visto, l’hai detto tu, no? Lavoro all’autolavaggio del centro commerciale, non c’è proprio niente di cui ti dovresti vergognare.» «Ah sì? Perché con la mamma sei stato così vago allora? A me non sembravi per niente uno del centro commerciale, hanno tutti il giubbetto


29 grigio e rosso quelli lì. Tu stai lì ad aspettare che qualcuno ti faccia lavare la sua macchina. È un fai da te, perché mai dovrebbero metterci uno a lavare le macchine? E poi quella signora che ti ha lasciato un pacco di roba? Cosa hai raccontato alla mamma, che l’hai vinto coi punti? Mi fai tanto la predica ma sei un gran bugiardo, ecco cosa sei. E ora picchiami pure se vuoi.» Le lacrime avevano cominciato a scorrerle sulle guance, vigliacche, non c’era proprio riuscita a trattenerle. Marino si sedette sul letto, vicino a lei, muto. Si sfregava le mani, non sapeva cosa dire. Ma perché era sempre tutto così difficile?! «Senti Miriam, è vero, non è un vero lavoro, me lo sono inventato io il lavoro, però non chiedo l’elemosina. Oggi ho lavato dodici auto, e ho incamerato anche un bel gruzzoletto. Non credere che non mi sia anche un po’ stancato. Volevo fare un regalo a tutti quanti, una di queste sere volevo andare in pizzeria, o far venire le pizze a casa. Volevo che la mamma si riposasse un po’, volevo che passassimo del tempo insieme in allegria, senza preoccupazioni. Ma sapere che tu frequenti quel ragazzo mi preoccupa molto Miriam, devi capire. Tu sei ancora così giovane, devo sapere che quello non è il tuo ragazzo, Mi.» «E non ti preoccupa sapere che prima o poi la mamma scoprirà cosa vai a fare tutto il giorno al centro commerciale? Come ti ho visto io potrebbe vederti lei in qualsiasi momento, anzi mi sembra strano che non sia ancora successo. E quando pioverà? Tra poco comincerà, come tutti gli anni, e ci darà per giorni. Ci hai pensato? Cosa le racconterai? Andrai a ”lavorare” lo stesso con tuta e berrettino? Lei è convinta che tu abbia trovato lavoro, pensa che il dieci tu prenda lo stipendio, Marino!» Ora era Marino a guardare in terra. Si sentiva battuto. Quella ragazzina sapeva come condurre i contradditori, aveva spostato di nuovo il discorso nel senso che conveniva a lei. Sarà stata anche una capra a scuola ma non si poteva dire che non fosse intelligente. «Sono disoccupato da due anni e mezzo, Miriam, io non posso passare il tempo al bar come fanno gli altri, lo capisci questo, no?» Miriam sospirò. Poi guardò suo padre, che non gli era mai riuscito di chiamare papà, e improvvisamente si sentì sopraffatta dalla tenerezza. Che razza di imbranato si era presa sua madre! Era partito in quarta per farle il pippone su Patrick e si era già arreso, oppresso dai suoi problemi. Si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia.


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«Sì però quel berrettino non si può proprio guardare, Marino. Devi levartelo!» E detto questo si alzò e andò a vedere la tv con i fratelli. Marino fece una smorfia di disappunto, guardandola allontanarsi. La lezione di matematica era finita, e l’aveva deciso lei. Si era fatto fregare ancora una volta. Ma la cosa non era finita lì.


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LA LIBRERIA

Il giorno dopo, neanche a farlo apposta, pioveva. E il giorno dopo ancora, e quello successivo pure. A Marino sembrava che fosse stata la figlia a scaraventargliela addosso, tutta quella pioggia. Era uscito di casa lo stesso, cercando di rispettare gli orari dei giorni precedenti, girovagando senza meta sotto i portici del centro. Entrava in qualche bar dei vicoli dove conosceva tutti, facendosi durare quel caffè più che poteva, leggeva qualche pagina del giornale, che ripiegava poi in fretta disgustato, tanto le notizie fossero tutte deprimenti, e scambiava due chiacchiere con vecchi conoscenti. A chi gli chiedesse come andasse, lassù a Casa del Diavolo, rispondeva: «Non c’è male… un po’ scomodo… ci stiamo abituando…» Qualcuno gli disse di aver saputo da un’amica di Angela che aveva trovato lavoro. Marino restò evasivo. «Sì… ma sono ancora in prova… speriamo…» Quella storia non poteva durare a lungo, Marino se ne rendeva perfettamente conto. E se veramente adesso avesse cominciato a piovere da lì a Natale? Era già successo in passato, tutta colpa dei cambiamenti climatici, dicevano. Non avrebbe certo potuto continuare a vagabondare per la città senza mai portare un soldo a casa. Risalito sulla piazza principale si diresse nuovamente sotto i portici. Negozi tutti uguali, vestiti, vestiti, vestiti. E bar. Ci era già passato davanti decine di volte in quei tre giorni. Vide un megastore editoriale, tre o quattro piani di libri, lì un po’ di tempo se lo sarebbe potuto passare. Entrò. C’era veramente di tutto. Marino passò in rassegna tutti gli scaffali. Oltre alla narrativa c’erano libri per ogni genere di passione o interesse che uno potesse avere. Poesia, religione, filosofia, sociologia, ma anche viaggi, fotografia, arte, giardinaggio, cucina, fai da te. Ancora quel benedetto fai da te, doveva essere proprio una fissazione! Marino sedette su una poltroncina e cominciò a sfogliare una monografia su Caravaggio, poi passò all’arte fiamminga del ‘600 e a quella rinascimentale italiana.


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Infine toccò all’ottocento, impressionismo, divisionismo, realismo. C’era di che lustrarsi gli occhi. Aveva inforcato gli occhiali, leggeva i commenti alle opere, le vite degli autori. Certo che anche molti di loro se l’erano passata parecchio male! Vite intense, complicate, anche loro senza il becco di un quattrino per la maggior parte del tempo. La vita non era mica tanto facile neanche allora, anzi! Passò poi a sfogliare qualche libro di approfondimento giornalistico, ma lì c’era solo di che deprimersi, come col Secolo. I romanzi non lo avevano mai appassionato più di tanto invece, ma diede un’occhiata alle ultime novità e passò poi in rassegna quelli che aveva già letto, soprattutto negli anni della scuola. Per alcuni provava persino un po’ di nostalgia, anche se la lettura di allora era stata imposta dai professori. In particolare Calvino. Gli piaceva la sua vena fantastica, ma ora ripensando a quel Marcovaldo di cui ogni tanto leggevano le novelle in classe si sentiva molto più vicino a lui che al barone rampante! A Marino piacevano quelle ore passate ad ascoltare le professoresse che leggevano stralci di libri, ma ancor di più gli piacevano le materie scientifiche, la matematica, la biologia. Gli sarebbe piaciuto andare al liceo, ma aveva dovuto ripiegare su un istituto tecnico industriale, che neanche a casa sua c’era tanto da scialare con i soldi e serviva gente che si togliesse presto dai piedi e si guadagnasse da vivere. Non che la cosa avesse funzionato granché, a ben guardare, che quanto a guadagnarsi da vivere era ancora un principiante. C’erano stati poi problemi di tutti i tipi, con la prima moglie, con i datori di lavoro, con la bottiglia. Dalle sue parti il bere era un fenomeno sociale assolutamente normale, quasi obbligatorio per un maschio adulto, ma dopo che la moglie lo aveva piantato in asso e che la ditta di manutenzione ferroviaria dove lavorava aveva fatto il famoso ridimensionamento che spedì a casa un sacco di gente, Marino aveva cominciato a esagerare. Avvertiva prepotente in lui, in alcuni momenti, una tensione al basso, che in quel periodo oscuro della sua vita lo aveva trascinato a fondo con una rapidità spaventosa. In soccorso gli era venuta una cooperativa sociale che si occupava del recupero di tossicodipendenti e alcolisti allo sbando come lui. Fu spedito in una comunità terapeutica in Piemonte, e dopo un periodo di severa disintossicazione gli trovarono persino un lavoro, proprio in quella


33 città di mare che all’inizio lo aveva frastornato come una padellata in piena faccia. A poco a poco aveva cominciato a conoscerla, e pure ad amarla, e Marino si chiedeva ancora adesso quale santo o demonio ci avesse messo lo zampino, perché il lavoro che gli fu assegnato fu quello di rifornire le mense di alcune residenze per anziani, tra cui quella dove lavorava Angela. Di nome e di fatto. Lui all’epoca aveva ancora delle ricadute, e Angela se n’era accorta. Quando decisero di mettersi insieme lei però fu categorica: «O me o la bottiglia, ricordatelo. Che di ubriaconi ne ho fin sopra i capelli.» Fu quella la molla, l’unica ormai possibile. Ed erano più di otto anni che Marino non toccava un goccio. Tra una lettura e l’altra il pomeriggio era volato, l’orologio sopra le casse segnava le sette e un quarto, e quando uscì dalla libreria si accorse che aveva smesso di piovere. Si avviò alla fermata degli autobus, la strada verso casa era lunga e doveva affrettarsi. C’era molto traffico quella sera, e quando finalmente raggiunse casa sua erano già passate le otto e mezza. Ad attenderlo una notizia poco rassicurante: Miriam non era ancora rientrata, e nessuno sapeva dove fosse. C'era solo una persona che poteva saperlo, pensò. Ed era un maledetto figlio di puttana nero.


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MAMAN FATOU E LA BELLA KHADIJA

Patrick Mamadou Sylla era senegalese per parte di madre e puttaniere per parte di padre, come amava ripetere spesso. A dieci anni infatti aveva scoperto di non essere il figlio tardivo di Maman Fatou Sylla, l'anziana mammana che offriva i suoi sempiterni servigi tra le ragazze dei bassi, ma un autentico figlio di puttana, e precisamente il figlio della bella Khadija. Maman Fatou glielo aveva confessato dopo che anche Ibou Manè, il gigantesco tuttofare che l'aiutava con le ragazze, l'aveva sentita parlare nel sonno, e si era convinta di essere vittima di un sortilegio. Doveva essere un incantesimo potente, se neanche l'acqua benedetta di Monsieur Seydou che usava per lavarsi prima delle preghiere aveva prodotto risultati, così come parevano aver perso ogni potere i gris gris1 che indossava e che l'avevano sempre protetta da sfortuna e malocchio. Anche le conchiglie avevano dato il loro responso divinatorio, e non c'era niente di cui stare allegri. D'altra parte anche quelle continue perdite di sangue "da sotto" che la tormentavano da tempo non potevano certo essere di buon auspicio, e sapeva che insieme al sangue era un alito di vita quello che scorreva man mano lontano da lei. Maman Fatou sapeva che il suo tempo stava per finire, si sentiva di giorno in giorno più debole e sfiduciata, e si mise a letto ad aspettare la morte. Cercò di sistemare i suoi affari come meglio poteva, disse a Ibou di chiamare il Marabout2 per concordare con lui tempi e modi del rito 1

Amuleti tradizionali costituiti da materiali di vario tipo: erbe medicinali, frammenti di animali come unghie, becchi, corna, conchiglie, denti o capelli umani, foglietti del Corano (se preparati da un Marabout). Vengono confezionati in sacchetti di pelle (sachets) e portati come cinture, collane, bracciali, oppure cuciti agli abiti o posizionati negli ambienti. In Senegal a volte il materiale magico è contenuto dentro ad anelli d’argento, in una camera cava posta al centro degli stessi, al posto della classica pietra. 2 Figura di rilievo all’interno della società musulmana nera. Non è un prete ma è un riferimento spirituale, un esperto di teologia islamica che,


35 funebre e per parlare dell'affidamento di Patrick, che fino a quel momento aveva cresciuto come un figlio. Undici anni prima, quando Maman Fatou aveva cinquantatré anni, la bella Khadija si era rivolta a lei per abortire, e Maman Fatou, che tante volte e con tante ragazze aveva provveduto a quell'incarico, le aveva chiesto di tenere il bambino e di fargliene dono quando sarebbe nato. «Ti accudirò io per tutta la gravidanza, non dovrai lavorare, lo farai per me, Khadija. Allah il Giusto, che sia lodato il suo nome, non ha voluto che io avessi bambini, e ora sono vecchia, Khadija, sorellina. Nella sua grande misericordia ci ha donato te, però, che sei entrata nelle nostre vite come un ruscello d'acqua limpida, come il profumo del frangipane, come il sole luminoso dopo le piogge di luglio.» «Yaay ji3 come farò a pagare la Madame in Senegal se non lavoro? È lei che mi ha mandato qui, il viaggio è costato tanto. Devo restituirle i soldi, lo sai.» «Non ti preoccupare figlia mia, penserò io a regolare i conti con la tua Madame, il tuo lavoro ora sarà solo quello di crescere il bambino dentro al tuo ventre.» Khadija aveva solo sedici anni quando pensò che non dover lavorare per un periodo così lungo non era poi una brutta prospettiva e chiese a Maman Fatou di poter scegliere il nome del bambino, che lei sentiva con certezza sarebbe stato maschio. Nel sobborgo di Dakar dove era cresciuta c'era una scuola di laamb, la lotta tradizionale, dove si allenava Patrick M'Baye Gueye, un concentrato di muscoli granitici che la faceva sognare ogni volta che lo vedeva passare. Aveva già cominciato a fare incontri ufficiali e aveva un Marabout che lo seguiva, che era lo zio della sua amica Aida. Quando sapevano che sarebbe andato da lui a farsi preparare le cinture di gris gris e le bottiglie di acqua benedetta con cui aspergere il corpo scultoreo, prima di un incontro, lei e l'amica lo seguivano e andavano a godersi la scena delle sue

attraverso la conoscenza del Corano, si adopera nell’aiutare le persone che lo consultano, chiedendo in cambio, se il lavoro svolto si rivela efficace, una ricompensa. Nonostante l’Islam vieti le pratiche animiste, egli utilizza l’esercizio del mistico nel nome di Dio, forte di un potere di controversa interpretazione.

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“Mamma”, espressione usata spesso quando ci si rivolge a persona che potrebbe avere l’età della propria madre.


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abluzioni, sognando incantate alla vista di quell'adone dalla pelle nera e lucente come una lama nel buio. Era sicura che la scelta di quel nome avrebbe aiutato il bambino ad avere fortuna nella vita, e fu così che qualche mese dopo il piccolo che si fece strada tra le cosce di Khadija e si presentò tra le sapienti mani di Maman Fatou pronta ad accoglierlo venne chiamato Patrick. Patrick Mamadou Sylla. Khadija non si meravigliò troppo della bellezza delle forme, di quelle spalle già così definite, dei lineamenti insoliti ma armoniosi. Lo fece in parte per la sua pelle chiara, e ne ebbe un'istintiva ripugnanza. Maman Fatou le disse che con il suo latte il bambino si sarebbe progressivamente scurito e Khadija si trasformò in una nutrice attenta e premurosa. A sei mesi Patrick era diventato un bellissimo gianduiotto e sua madre poté tornare alle sue faccende nei bassi della città vecchia convinta di aver fatto un buon lavoro. Cercò di dimenticare quel periodo felice e quel bambino così bello e vivace, ma quando lo vedeva passare per i vicoli che cercava di divincolarsi dalla stretta apprensiva di Maman Fatou non poteva che provare un profondo rammarico per non aver potuto fare da madre al piccolo Patrick Mamadou. Si accontentava di vederlo crescere da lontano, di ridere delle sue marachelle che facevano disperare Maman Fatou, di quello sguardo vispo e dell'allegria che portava ovunque andasse, e quando incrociava i suoi occhi sorridenti immaginava che in fondo in fondo il bambino sapesse. Ma Khadija sapeva anche che la vita andava presa come veniva, che era inutile disperarsi o cercare di cambiarla, e quando le fecero cambiare piazza e la trasferirono in un'altra città accettò il suo destino senza recriminare. Sapeva che non avrebbe più rivisto il suo bellissimo figlio color cioccolato ma era sicura che Patrick, con la protezione di Maman Fatou, avrebbe avuto tutta la fortuna che una madre potesse sperare per il proprio figlio.


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PATRICK L’INVISIBILE E UN MARABOUT DI SECONDA SCELTA

Quando Miriam lo conobbe, Patrick dormiva in una macchina abbandonata poco lontano dalla darsena, in una traversa sotto il cavalcavia, accanto a un deposito di container. Passava lì le notti, quelle afose in estate e quelle gelide d'inverno. Altra sua residenza saltuaria era il piccolo appartamento dei bassi dove esercitavano la professione le ex colleghe di sua madre, e dove Patrick trovava un bagno dove lavarsi, indumenti puliti e tanta allegria, ma dal quale doveva sloggiare in tutta fretta per lasciarle lavorare in pace quando si presentava qualche cliente. Per il resto del tempo bighellonava a destra e sinistra e bene o male riusciva sempre a mettere insieme il pranzo con la cena, con attività varie più o meno lecite. Poteva non essere una vita comoda, forse, ma almeno nessuno gli "rompeva le palle", come diceva lui. E questo era abbastanza scontato, dal momento che Patrick era invisibile. Quando Maman Fatou lo aveva lasciato alle cure del Marabout della città vecchia prima di morire, sei anni prima, il bambino non era mai andato a scuola, né dal pediatra, non era mai stato iscritto in un centro estivo o a un corso di nuoto, a dire la verità non era neppure mai nato. Maman Fatou aveva rappresentato per lui fino a quel momento l'intero cosmo conosciuto, in lei nasceva e si compiva totalmente il destino del piccolo Patrick Mamadou. Lei lo aveva fatto nascere (a cosa potevano servire medici e ospedali?), lei lo aveva sempre curato e lo proteggeva con amuleti e pagine del Corano infilate in innumerevoli sachets4 (e d'altra parte Patrick godeva di una salute di ferro), lei gli aveva dato i rudimenti della scrittura (tutto quello che serviva, e Patrick discolo non sembrava troppo interessato ai libri). E 4

Sacchetti di pelle contenenti il materiale propiziatorio. Vedi nota al capitolo precedente.


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comunque registrarlo all'anagrafe o mandarlo a scuola sarebbe stato un rischio enorme, come avrebbe potuto spiegare che quel frugoletto era il figlio naturale di una ultracinquantenne? E Khadija era un'immigrata irregolare che con le ultime leggi non poteva denunciarne la nascita senza rischiare l'espulsione immediata e il sequestro del bambino verso un istituto per minori. Così Patrick cresceva in una sorta di mondo parallelo dove esistevano solo le leggi di Maman Fatou. Ma al piccolo Patrick quel mondo stava stretto. Appena poteva si sottraeva al rigido controllo della mamma adottiva o di Ibou Manè e sgattaiolava fuori dal minuscolo appartamento dove la sua yaay riceveva le ragazze che avevano bisogno di lei per consigli, medicamenti, piccoli interventi, e correva in strada. Maman Fatou allora usciva come una furia chiamandolo a gran voce, recitava preghiere perché al bambino non fosse successo nulla di male, entrava in tutti i negozi a domandare, bussava a tutte le case. Quando poi lo ritrovava, o più spesso quando Patrick decideva di tornare, non aveva cuore di sgridarlo, ringraziava tutti gli spiriti degli antenati perché il bambino era ancora vivo e lo riempiva di baci e carezze. «Attenta, Maman Fatou, quel demonio ti sta prendendo in giro, lo vizi troppo tu. Dovresti castigarlo un po' di più o ti darà dei dispiaceri» le dicevano vicini e conoscenti. «Non ho aspettato tanto di essere madre per castigare il mio bambino. Patrick Mamadou sa quello che è giusto e quello che è sbagliato, ha solo tanta energia, se non la libera si ammalerà.» «Sì, e se la libera farà ammalare te, Maman Fatou." Il nascondiglio preferito di Patrick era il retrobottega del negozio di Dhanesh, il fruttivendolo bengalese, dove poteva giocare coi suoi cinque figli che lì passavano i pomeriggi. Dal momento che loro, ovviamente, non parlavano il wolof5, era quello uno dei pochi momenti in cui doveva sforzarsi di parlare italiano. In casa lo si parlava poco, solo quando capitava qualche straniero, ma Maman Fatou voleva che Patrick lo sapesse e lasciava sempre radio o TV accese sulle stazioni locali. Sperava che il fatto di sapere bene la lingua del paese ospitante avrebbe garantito qualche chances in più a quel 5

La lingua nazionale più diffusa in Senegal.


39 piccolo apolide senza documenti, e che lo nascondesse meglio agli occhi delle autorità. Il suo peggior incubo era che durante le sue fughe solitarie nel dedalo di vicoli venisse fermato da qualche agente, scambiato per migrante appena sbarcato e spedito in un centro di accoglienza, o addirittura imbarcato per l'Africa, e che lei non lo avrebbe più rivisto. La cosa l'atterriva, ma ancor più l'atterrivano altre prospettive inquietanti, tutte purtroppo verosimili, che potevano interessare un bambino che di fatto esisteva solo per lei. Rapimento, riduzione in schiavitù, sfruttamento sessuale, espianto d'organi per pratiche magiche. A questi pensieri Maman Fatou veniva assalita dall'angoscia, correva a consultare Monsieur Seydou e chiedeva nuove protezioni per il suo bambino, gris gris o bottiglie di acqua benedetta che allontanassero la malasorte. Lui cercava di tranquillizzarla, le preparava tè alla menta per farla sbollire un po' e andava a scegliere le polveri e i versetti del Corano più adatti allo scopo. Monsieur le Marabout, Serigne Seydou Dyatta, forse non era nemmeno un vero Marabout, non passava le sue giornate né a studiare il Corano né a insegnarlo, ma sapeva di polveri magiche e feticci, mischiava gli insegnamenti del Corano con antiche credenze animiste ed era in grado di leggere i "segni", e tanto bastava alla comunità nera della città vecchia per averne il massimo rispetto. C'era anche tra loro chi lo credeva un potente stregone, ma la maggior parte lo considerava una guida spirituale di un certo spessore, e in mancanza di meglio, cominciò a rivolgersi a lui come in patria si sarebbe rivolta, per l'appunto, a un Marabout. E Seydou Dyatta lasciò fare. Anche per lui valeva la frase "in mancanza di meglio", dal momento che fare il Marabout, anche se per un pugno di fedeli, poteva costituire una vera e propria (e ben remunerata) professione. Quando Maman Fatou lo mandò a chiamare, il giorno che si mise a letto ad aspettare la morte, Ibou Manè lo trovò nel buio della sua stanza alle prese con boccette di varie dimensioni contenenti olii, terra, foglie o rametti rinsecchiti. Erano i suoi ferri del mestiere, ciò che gli serviva per preparare gli amuleti di cui Maman Fatou era tra le migliori acquirenti, e quando Seydou Dyatta vide Ibou pensò che fosse venuto a nome suo a commissionargliene uno nuovo.


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Non lo sorprese sapere che Maman Fatou stesse per giungere alla fine del suo respiro, da qualche tempo la vedeva decisamente invecchiata e molto stanca, lasciò perdere quello che stava facendo e seguì Ibou verso la dimora della vecchia signora, rimuginando su quanto l'anziana mammana avesse accumulato in termini di esperienza, ma soprattutto di denaro, dopo una vita spesa al servizio delle baldracche.


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L'ERRORE DI MAMAN FATOU

La casa di Maman Fatou, silenziosa e buia nella penombra del pomeriggio, odorava già di morte quando Seydou Dyatta vi fece accesso, preceduto dal fedele Ibou Manè. Il Marabout, o pseudo tale, si avvicinò al letto della donna contrito, mentre lei si sforzava in un accenno di sorriso. Ibou, in preda a singhiozzi mal trattenuti, andò in cucina a preparare il tè, e Seydou si accomodò su una seggiola accanto al letto, prese le mani della mammana e le strinse fra le sue. «Maman Fatou, Ibou mi ha detto che vuoi già raggiungere la casa degli antenati. Non ti sembra che sia troppo presto, sorellina?» «Caro Monsieur Seydou, essi sono già qui, in questa stanza. Mi stanno aspettando, e credo che la loro attesa sia quasi finita. Sulla sedia dove sei seduto ora tu ha appena riposato il vecchio Samba Diabarrè. Quante volte mi ha fatto ballare sulle sue ginocchia, quando ero piccola! Gli ho voluto un gran bene, era il nonno di mia madre, e lui ne voleva a me. Sarà lui che mi accompagnerà in questo viaggio, Monsieur Seydou. Sono pronta.» Seydou Dyatta volse lo sguardo da quel volto scavato, da quegli occhi fattisi improvvisamente enormi, da quei lineamenti diventati affilati e scabri. Non c'erano dubbi che quello che diceva Maman Fatou non fosse altro che verità, e che presto avrebbe davvero raggiunto la casa dei suoi padri, era solo questione di giorni, al massimo settimane. La pelle aveva perso tono, cascava flaccida sulle membra emaciate, e la luce che le illuminava gli occhi febbricitanti sembrava l'unico segnale che la vita albergava ancora nel suo corpo. «Porterò a Ibou Manè n’guere e kinkeliba6 per abbassare la febbre, Maman Fatou, e foglie di corasol7 per la malattia che ti rode. Il buon Ibou ti preparerà un decotto, starai meglio, sorellina.» 6 Piante medicinali dell’Africa Occidentale, utilizzate spesso in coppia.

7 Pianta tropicale della famiglia delle anonacee, produce un frutto chiamato corasol, corossol o graviona. Il suo utilizzo come trattamento


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Maman Fatou aveva chiuso gli occhi, e non li riaprì neanche quando, qualche minuto più tardi, disse a Seydou Dyatta che quello che le premeva di più in quel momento era garantire un futuro a suo figlio Patrick Mamadou. Era soprattutto per questo che lo aveva mandato a chiamare. «Non posso pensare che il piccolo Patrick cresca da solo, Monsieur Seydou. È stato appena circonciso, tu lo sai, è ancora un bambino. Vorrei che te ne prendessi cura. Ho di che assicurargli un futuro, ho pensato a tutto, anni di risparmi…» A queste parole lo sguardo del Marabout si fece più attento, ma in quel momento entrò Ibou Manè con le tazze di tè, e Maman Fatou si interruppe. «Prendi tu la mia tazza, Ibou, amico mio, bevi alla tua salute, e al successo del mio prossimo viaggio. Poi lascia che io parli a tu per tu con Monsieur Seydou. Non ho molto tempo, il mio spirito si allontana dal mondo dei vivi sempre più spesso. E non piangere, amico. Sai che non devi, Allah mi chiama a sé, i padri mi accompagneranno, Ibou.» Ibou si inginocchiò per terra, a lato del letto, dalla parte opposta a dove sedeva Seydou Dyatta, bevve il tè come gli aveva chiesto la vecchia Maman, piangendo lacrime all'aroma di menta, poi si alzò con sussiego e andò via dalla stanza, dopo i saluti di rito. «Ibou Manè mi è molto caro, Seydou, ma tu sai che il suo è lo spirito debole di un bambino, la sua mente è sempre confusa, come se tutti i jinns8 dell’aria la abitassero contemporaneamente. Quello che ho da dirti deve rimanere tra te e me, sarebbe pericoloso per Patrick Mamadou se la gente sapesse, e non posso fidarmi di Ibou. Il mio buon amico non ha il dono del discernimento.» E gli occhi le si richiusero, mentre Seydou Dyatta si avvicinava ulteriormente alle labbra di Maman Fatou pronto a cogliere ogni parola di quella confessione. I contorni del suo viso si erano contratti, le labbra piegate in una smorfia sofferta, e Seydou Dyatta ebbe paura che la donna si lasciasse andare al

anticancerogeno è stato oggetto di alcuni studi anche da parte della medicina occidentale, dal momento che sembra che favorisca una riduzione del potenziale metastatico. 8 Creature soprannaturali citate nel Corano, spesso, ma non sempre, di natura maligna, trovano agilmente dimora nelle credenze tradizionali preislamiche nelle divinità minori che governavano gli elementi naturali.


43 dolore e che non avrebbe proseguito nel racconto, ma dopo qualche attimo Maman Fatou prese un grosso respiro e continuò. «Qualche settimana fa, quando ancora le gambe mi reggevano, sono andata a ritirare qualcosa che mi appartiene, qualcosa di prezioso.» Gli occhi di Maman Fatou si erano ora fatti ancora più grandi e guardavano fissi il viso di Seydou Dyatta, che sotto quello sguardo attento cercava di celare il crescente interesse. «Sono andata nella banca dei toubab9, dove mettono i loro risparmi, Seydou. Io i miei li ho sempre convertiti in oro, non mi fido molto della carta, l'oro non tradisce amico mio. Lingotti, Monsieur Seydou, i risparmi di una vita, al riparo in una cassetta di sicurezza. Sono andata a ritirarli, Monsieur, e ora sono qua, in una borsa di cuoio dentro questa cassapanca.» E indicò al Marabout un vecchio baule di legno posto tra il letto e la piccola finestra. Seydou Dyatta continuò a nascondere la bramosia che cominciava a impossessarsi di lui, mentre Maman Fatou, tra una pausa e l'altra, dava indicazioni precise su come usare i soldi che si sarebbero ricavati, circa 80.000 euro, trattenendo qualcosa per il funerale e una piccola parte da donare alle ragazze e a Ibou Manè. Ma il grosso di quella somma doveva servire per l'educazione di Patrick Mamadou, che sicuramente il Marabout sarebbe stato in grado di impartire, e per trovargli una strada per l'avvenire. «A Patrick ho raccontato tutto sulla sua nascita, gli ho parlato della bella Khadija, del perché la sua pelle è più chiara della mia, della mia voglia di essere madre e del sacrificio della sua. Credo abbia capito, è un ragazzo intelligente il mio Patrick. Ora è nel negozio del fruttivendolo Danesh, credo, ma so che presto tornerà qui, ha capito cosa sta per succedere e non mi vuole lasciare troppo sola. Piange, il mio bambino, anche lui come Ibou non vuole accettare. Non sa che il mio spirito deve liberarsi. È stato davvero un bravo figlio, Patrick Mamadou, anche il mio cuore sanguina, non avrei mai voluto abbandonarlo così presto. È il mio unico cruccio, Monsieur Seydou, per il resto sono pronta.» Le parole di Maman Fatou erano intervallate da numerose pause, leggeri colpi di tosse, profondi sospiri. 9

Termine per indicare gli uomini di pelle bianca.


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«Patrick è un ragazzo sveglio, so che se la caverà. Ma non gli ho parlato della borsa di cuoio, è troppo piccolo ancora e quei soldi sono troppi per un bambino. Vorrei che fossi tu a gestirli per lui. Ti tratterai un compenso per questo impegno, quello che riterrai opportuno.» Poi Maman Fatou si fermò, e fece un cenno a Seydou Dyatta perché aprisse il baule. Chiuse gli occhi nuovamente, e lentamente il suo respiro prese il ritmo di un sonno agitato, perché Samba Diabarre' era tornato a trovarla. Seydou Dyatta si alzò, passò una mano sulle guance scavate della donna, poi andò diretto verso il tesoro nascosto che lei gli aveva affidato. Aprì la vecchia valigetta di cuoio che trovò sotto alcune coperte logore e vide che Maman Fatou aveva detto la verità. Soppesò i lingotti, li contò, fece qualche rapido calcolo. La vecchia mammana era stata fin troppo modesta, probabilmente il tesoro valeva ancora più di quanto avesse detto. Prese la valigia per le maniglie soppesandone ancora il contenuto e compiaciuto andò ad accomiatarsi da Ibou Manè, che lo abbracciò con le lacrime agli occhi, poi si avviò verso la porta. Andando a casa Monsieur Seydou Dyatta intravide Patrick Mamadou che rientrava insieme ad altri mocciosetti, e pensò che quello stronzetto color sterco di vacca non gli era mai stato molto simpatico.


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IL PIAZZALE DEI CONTAINER

Nel casermone in collina era già passata più di un’ora da quando Marino era rincasato, e di Miriam non si sapeva ancora niente. Angela aveva provato a chiamare amiche, compagne di scuola, ma nessuno sapeva dove potesse essere, e anche Vicky spergiurava di non saperne nulla. Marino girovagava zoppicando per la casa, cercando di dominare la collera. Se in quel momento avesse avuto la ragazza davanti non era certo di riuscire a trattenersi dal prenderla per il collo e sbatterla contro un muro. Ma più il tempo passava più il sentimento che lo dominava era invece la preoccupazione che fosse finita davvero in qualche bruttissimo guaio. «Senti Vicky, tu non puoi non saperne proprio niente, non ci credo. Quel ragazzo… deve essere sicuramente con lui, dimmi almeno dove posso andare a cercarli.» Si fermò, continuando a zoppicare attorno al tavolo, rimuginando mentalmente qualcosa. «Ma dove cavolo sta quel negro? Dove vive, con chi? Qualcosa saprai, devi dirmelo Vicky, è per il bene di Miriam!» Vicky stava lì, in piedi, che non sapeva cosa fare, cosa dire. I bambini, contrariamente al solito, erano ancora alzati. Daniele approfittava di tutta quella confusione per guardare ancora un po’ di cartoni alla TV, mentre Simone, più grande e sensibile, lanciò a Vicky uno sguardo implorante, in attesa di qualche risposta da parte sua che potesse interrompere quel clima di angoscia. «Credo di sapere dove Patrick passi le notti» disse infine la ragazza, e raccontò a Marino ciò che sapeva, che Patrick solitamente dormiva in una vecchia Renault abbandonata in un piazzale dove venivano contingentati anche container e materiale di scarto, sotto a un cavalcavia a qualche centinaio di metri dalla stazione marittima. A Marino tanto bastò, prese la sua stampella e si rimise la giacca, pronto a uscire nella notte scura. Angela insisteva che prendesse il cellulare, l’unico che avevano e che si passavano tra loro a seconda delle esigenze, ma lui preferì lasciarlo in


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casa, nel caso Miriam o qualcun altro (polizia, ospedali, carabinieri… chissà!) avesse chiamato. Disse che si sarebbe fatto sentire in qualche modo. A quell’ora di notte autobus ne passavano pochi, ma finalmente riuscì a prenderne uno che lo portò non troppo lontano al luogo indicatogli da Vicky. Con non poca fatica riuscì a identificare il piazzale dei container, che era scarsamente illuminato, e dopo averlo perlustrato attentamente, individuò la famosa Renault, e dentro a quel rottame di macchina dove passava le sue notti, trovò Patrick, solo, che si stava facendo uno spinello. «Miriam!» gridò non appena intravide un’ombra scura nel vano posteriore. Riconoscendo poi in quella sagoma il profilo del ragazzo cominciò a inveire furiosamente. «Dov'è mia figlia, cazzo, dove cazzo è? Dimmi dov'è se no ti strozzo!» gridava, zoppicando, in direzione della macchina. Patrick, immerso in tetri pensieri, si riscosse prontamente, gettando la canna dietro di sé. Nel buio della notte quell’ombra minacciosa e urlante, che sembrava comparsa dal nulla e che gli stava venendo addosso con una strana andatura incespicante, con l’aspetto sinistro del senzatetto ubriaco, che teneva in mano un bastone, o forse un fucile, va’ a sapere, che gridava qualcosa che Patrick non aveva afferrato completamente, fece sì che il ragazzo saltasse fuori dall'abitacolo come un grillo, non senza aver prima afferrato il coltello che custodiva nel vano della portiera, deciso ad affrontare il visitatore inatteso. La foga di Marino non dava certo adito a dubbi sulle sue intenzioni, e Patrick gli saltò addosso cercando di disarmarlo, ma questi, preso alla sprovvista dalla reazione, e con una rabbia dentro che montava sempre più, alzò il braccio che reggeva la stampella e vibrò una potente randellata verso chi gli stava rovinando la pace famigliare, e poco mancò che prendesse in pieno la testa del ragazzo. Patrick si buttò rotolando a terra, il violento colpo lo aveva comunque preso di striscio su una spalla, ma si rialzò di scatto e con un calcio degno di un lottatore di capoeira disarmò Marino e gli si lanciò addosso cercando di afferrarlo per il collo. Ne seguì una concitata colluttazione, Patrick era agile e veloce ma quell’uomo tirava delle sventole da paura. Il coltello per fortuna era volato lontano dopo aver comunque provocato un bel taglio trasversale sulla giacca di Marino, che oltretutto sanguinava da uno


47 zigomo, mentre a Patrick, dopo l'ultimo destro che non era riuscito a evitare totalmente, cominciava a gonfiare paurosamente l'occhio sinistro. Poi per fortuna, mentre erano avvinghiati in una lotta furibonda, Marino chiese di nuovo di Miriam, e questa volta Patrick, sentendo il nome della sua ragazza sulla bocca di quella specie di avanzo di galera, ebbe la forza di sopraffare l'avversario e di immobilizzarlo da dietro, prendendolo per il collo. «Che cazzo vuoi tu da Miriam, barbone del cazzo? Lascia stare la mia ragazza porco pidocchioso, se ti becco a girarle intorno…» Marino cercava di divincolarsi, ma nella posizione in cui era le fitte alla schiena lo facevano gemere di dolore. «Miriam è mia figlia, bastardo… riuscì infine a pronunciare, e gemendo sempre più implorò il ragazzo di mollare la presa.» Patrick, paralizzato dallo stupore, lo lasciò andare, e Marino si accasciò a terra, carponi, cercando di riprendere fiato e di scaricare un po' la muscolatura di schiena e lombi, che gli dolevano terribilmente. «Che cazzo dici, disgraziato… suo padre è morto… o che so io!» Patrick sembrava esausto, anche lui cercava di rifiatare mentre osservava attentamente i movimenti di quel balordo, pronto a prevenire nuovi attacchi. Marino, che gli dava la schiena, anzi, il di dietro dei pantaloni (che nella lotta si erano anche scuciti e lacerati in più punti, frusti com'erano), si voltò lentamente, sempre ansimando, e guardando Patrick fisso negli occhi si tirò in piedi, cercando di togliersi da dosso la polvere di quel piazzale semi sterrato con qualche decisa manata su giacca e pantaloni. «Sì, lui è morto e adesso il padre sono io, chiaro? Porca puttana ragazzo, dimmi dove cazzo è e facciamola finita ok? Mi hai quasi strozzato, cazzo!» E si accasciò di nuovo sulle ginocchia, e di nuovo si mise carponi cercando di trovare un ritmo regolare al cuore e alleggerire la tensione dorsale. Patrick sedeva a terra nel più totale smarrimento, guardava nel buio appena rischiarato da un fanale poco distante quello che gli sembrava un vecchio vagabondo rintronato dalle droghe degli anni '80, come tanti se ne vedevano nei carrugi del centro o nei bar della periferia, e si ricordò che Miriam qualche volta aveva accennato a quel tipo che aveva sposato sua mamma, o sua zia, o chi diavolo fosse, e l'aveva adottata qualche anno prima.


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«Cazzo, ma si può sapere in che modo del cazzo ti presenti a casa della gente? Miriam non è qui, non so dove sia, ok?» Marino si voltò a guardare la vecchia Renault parzialmente illuminata dal fanale, poi si girò a guardare Patrick con una smorfia sarcastica. «E quella sarebbe una casa?» E scuotendo la testa si inginocchiò davanti al ragazzo, che subito assunse una posa difensiva. «Senti, ora finiamola con questa sceneggiata, dimmi dove si nasconde. Non ha ancora quindici anni, è una bambina, la notte deve stare nel suo letto, d'accordo? È qui in giro, vero?» E dicendo questo diede una voce intorno, chiamandola e chiedendole di uscire fuori, che non l'avrebbe toccata, solo voleva che tornassero a casa insieme. In quel momento si sentì il fischio acuto di un treno notturno dalla vicina ferrovia, mentre il rumore del traffico del cavalcavia sovrastante continuava ininterrotto. Patrick, ancora sottosopra, continuava a fissare l’uomo di fronte a lui, che ora gli sembrava soltanto un povero diavolo in ansia per la propria bambina, lo stesso che qualche minuto prima attentava alla sua vita brandendo un’arma non meglio definita e che lui aveva immediatamente classificato come vecchio tossico in preda a inquietanti deliri. «Sei suo padre veramente? Miriam è ancora in giro? Senti, stasera abbiamo litigato, cazzo, per questo ti dico che qui non c'è e non so dove sia. Cioè, dov'è lo so… penso… perché è per quello che abbiamo litigato. Deve essere ancora a una festa, voleva che andassimo insieme, solo che io con quei fighetti del cazzo non voglio averci niente a che fare. Sai… gente "bene", quartieri alti. Tu torna a casa, vecchio. Io la vado a prendere e te la riporto subito ok?» «Non se ne parla neanche. Portami da lei, a trascinarla a casa ci devo pensare io. Non posso mica tornare da sua madre senza». E poi, asciugandosi il sangue che gli colava sulla guancia e guardandosi la giacca strappata aggiunse: «e in queste condizioni poi…» Patrick si alzò in piedi e, guardando Marino che stava facendo l'inventario di tutti i brandelli di vestiti che gli penzolavano addosso disse: «Certo la mia casa farà anche schifo ma a te converrebbe fare un passo dal sarto, cazzo. Poi si allontanò nel buio e qualche attimo dopo Marino sentì la portiera della Renault che si apriva e si richiudeva, poi il rumore di un motorino spompato che si stava avviando, e poco dopo vide Patrick in sella allo scooter, che gli porgeva il casco e gli faceva cenno di salire.»


49 «Mettitelo, stanotte sarà meglio non essere fermati dagli sbirri, visto come siamo ridotti, tra tutti e due.» E così partirono, lasciandosi alle spalle il piazzale dei container, in due in sella a un cinquantino forse rubato, con addosso tutti i segni tangibili di quella movimentata reciproca conoscenza, sfrecciando, si fa per dire, verso ben altri e altolocati quartieri. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


INDICE

MARINO ............................................................................................. 5 L’AUTOLAVAGGIO ............................................................................. 9 ANGELA ........................................................................................... 12 LEZIONE DI ECONOMIA..................................................................... 14 VICKY .............................................................................................. 18 MIRIAM............................................................................................ 24 LEZIONE DI MATEMATICA ................................................................ 27 LA LIBRERIA .................................................................................... 31 MAMAN FATOU E LA BELLA KHADIJA.............................................. 34 PATRICK L’INVISIBILE E UN MARABOUT DI SECONDA SCELTA ......... 37 L'ERRORE DI MAMAN FATOU ........................................................... 41 IL PIAZZALE DEI CONTAINER ............................................................ 45 LA VILLA ......................................................................................... 50 ALLUVIONE...................................................................................... 57 NOTTE DI TREGENDA ....................................................................... 61 IN SALVO ......................................................................................... 66 NATALE ........................................................................................... 71 MATTINA ......................................................................................... 75 MONICA ........................................................................................... 82 CLAUDIO.......................................................................................... 89 NUOVE CONVIVENZE........................................................................ 93


L’ULTIMA SPIAGGIA ......................................................................... 98 A LETTO ......................................................................................... 102 IL DOLORE DI PATRICK................................................................... 105 IL SOGNO DI IBOU .......................................................................... 109 LA VEDOVA DAGNINO ................................................................... 115 IL SOGNO DI VICKY ........................................................................ 120 L’OSPITE DI MONICA ..................................................................... 127 UN ALIENO IN CANTINA ................................................................. 131 SCINTILLE ...................................................................................... 137 IL PRANZO DELLA DOMENICA ......................................................... 141 I DUBBI DI MARINO ........................................................................ 149 OMBRE........................................................................................... 153 RIANIMAZIONE .............................................................................. 156 AL POSTO DI POLIZIA ..................................................................... 162 FANTASMI ...................................................................................... 167 CURRICULUM E MARIONETTE ......................................................... 170 LA BUSTA DELLA VEDOVA ............................................................. 174 APERITIVO IN PIAZZETTA ............................................................... 180 VICINI DI LETTO ............................................................................. 186 L’INCONTRO .................................................................................. 191 BRUTTE NOTIZIE ............................................................................ 193 GIORNO DI FESTA ........................................................................... 196 LA STATUINA ................................................................................. 202 SORPRESE ...................................................................................... 207


LA FUGA ........................................................................................ 212 I RAGAZZI PRENDONO UNA DECISIONE ........................................... 215 LA BARACCA.................................................................................. 219 UN INCONTRO ................................................................................ 223 L’INDAGINE ................................................................................... 228 GEORGI .......................................................................................... 233 IL VIAGGIO DI IBOU ........................................................................ 237 EPILOGO ........................................................................................ 243



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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