CARLO MAGNI
DARKNESS ULTIMA TENEBRA
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DARKNESS, ULTIMA TENEBRA Copyright Š 2012 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-472-7 Copertina: Immagine Shutterstock.com
Prima edizione Dicembre 2012 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
…e il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Giovanni 3, 19-20.
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Prelude
Herbert Mc Phillips sapeva che fra quelle mura si nascondeva la tenebra, e si sentiva solo, desolatamente solo e impotente di fronte a quella terribile verità. I segni c’erano tutti: oramai il fatto era inequivocabile. Il luogo era la sua stanza, il suo studio a Fogland Castle, il castello di famiglia, ma poteva benissimo essere in qualsiasi altro posto: la verità non sarebbe cambiata. In quel momento lui solo, lo sapeva, era a conoscenza del segreto che gettava ombra su di lui e sulla sua discendenza. Era questo che maggiormente lo tormentava. Lui solo avrebbe potuto impedire che il prodotto dell’oscurità venisse di nuovo generato, e non c’era riuscito. Ora il peso e la responsabilità di quel fallimento erano su di lui, e su lui soltanto. Si avvicinò alla finestra aperta e guardò lontano, verso le luci che appena si intravedevano attraverso la leggera foschia notturna; guardò il cielo, le stelle. Com’era grande l’universo, infinitamente più grande del suo dolore e della sua paura. Ma le stelle erano lontane, irraggiungibili, ed Herbert ripiombò nei suoi pensieri senza possibilità di evasione. Fu allora che prese la decisione, l’unica, la sola decisione possibile che ormai potesse prendere: doveva fermare la vita del prodotto dell’oscurità e doveva farlo subito, anche se ciò sarebbe stato doloroso sia per lui sia per gli altri. Come avrebbe spiegato il suo gesto? Ma questo non era il problema più grosso: ora
6 doveva solo fermare quel prodotto, prima che iniziasse esso stesso a uccidere, prima che divenisse consapevole della sua potenza. Si sedette alla scrivania, aprì uno dei tanti cassetti e ne estrasse qualcosa. Era un lungo pugnale a doppio taglio, dalla lama lucidissima; sul manico d’osso vi erano incise tre lettere: “H.M.P”. Le sue iniziali, le iniziali di innumerevoli Herbert Mc Phillips che nel corso dei secoli avevano fatto la storia della sua famiglia, una storia che si perdeva nella leggenda e nella paura. Si alzò con il coltello in pugno e uscì dalla stanza: sapeva bene dove andare. Aveva fatto solo pochi passi nel buio del corridoio, quando giunse alle sue orecchie il suono di un organo a canne: una melodia monotona, pochi accordi che si ripetevano all’infinito. Freneticamente tornò sui suoi passi, rientrò nella stanza e sprangò la porta. Adesso non era più il dolore a possederlo, ma il terrore, il più puro e vivo terrore: conosceva quella melodia e il suo significato. Il terrore aumentò quando le luci si spensero e una folata di vento gelido, inattesa, entrò dalla finestra. Sospiri nel corridoio, un respiro affannoso che proveniva da fuori, ma sembrava nascere da dentro di lui… Iniziò a indietreggiare finché le sue spalle non incontrarono il muro e allora rimase immobile, con il fiato sospeso e il cuore che voleva uscirgli dal petto. La maniglia si abbassò con un cigolio; la porta era chiusa, ma il prodotto dell’oscurità non aveva bisogno di porte per entrare: adesso era nella stanza. Con tutte le forze che gli erano rimaste, cercando di dominare il terrore, Herbert scattò avanti nel buio, alla cieca con il pugnale alzato, ma improvvisamente si accorse che nella mano stava stringendo solo il vuoto. E allora capì che non avrebbe potuto fare più nulla: si accasciò a terra, mentre il suo stesso pugnale gli squarciava il
7 petto e il cuore. Il prodotto dell’oscurità aveva iniziato la sua missione.
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Era l’aurora su Fogland Castle e sul resto del mondo. Il primo raggio di sole filtrò attraverso la vetrata gotica del salone illuminando gli antichi mobili, gli arazzi, e uno strano segno tracciato sul muro molti, molti secoli prima: una sorta di “H” formata da due semicerchi tangenti, un segno la cui origine si perdeva nella leggenda. Il castello era costruito quasi sulla sommità del promontorio; era sbagliato, non avrebbe dovuto essere lì: una scheggia impazzita di roccia asimmetrica, fuori posto. Era stato costruito in uno spazio anomalo, quasi una sfida alla forza di gravità, sospeso fra rupe e vuoto su un grido di pietra che improvvisamente si alzava dal mare. Era lì, e c’era da mille anni. Solide pareti che si confondevano col grigio della roccia, tetti spioventi di scura ardesia, austere finestre a sesto acuto come occhi aperti a scrutare la distanza da lì al mare, di cui si avvertiva il suono e l’odore. Aveva conosciuto momenti di splendore e di abbandono, di guerre e di pace. Ma, solido e concreto, era ancora lì, superando nel tempo prove sovrumane, terremoti, calamità, bombardamenti e qualcosa di oscuro che lo avvolgeva dall’inizio del tempo come un invisibile sudario. Era lì, immoto anche in quel freddo mattino di inverno, in quella falsa quiete che preludeva a nuove tempeste. La nebbia in parte circondava ancora la terra, ma il sole splendeva facendosi strada nella bianca coltre, gettando luce sulle
12 pietre antiche. Occhi misteriosi odiarono quella luce e ciò che significava. Peter si alzò, sbadigliando; andò alla finestra e l’aprì, lasciando che la luce e l’aria fredda penetrassero nella camera. Il richiamo di un falco, il suono del vento e delle onde e il rumore lontano, inadeguato, di una città che poco aveva a che spartire con quel luogo. Ann dormiva ancora, pareva non accorgersi della sopraggiunta frescura e della luce improvvisa. Lui si soffermò a guardarla: bellissima come sempre, con i lunghi capelli rossi, la pelle di seta, i lineamenti sottili e nobili, qualche lentiggine sul bel volto ovale. Stava dormendo ancora nuda, dopo la notte di amore; Peter si sentì invadere di nuovo dal desiderio. Si sedette accanto a lei e iniziò ad accarezzarle il seno. Lei gemette nel sonno, poi lentamente aprì gli occhi, gli splendidi occhi verdi da fata, guardò Peter e sorrise. «Ma voi uomini avete sempre voglia?» sussurrò. «Voglia di che?» le rispose Peter sorridendo. La baciò, lei lo cinse con le braccia. Rimasero così, stretti per lunghi minuti, poi lei lasciò la presa. «Penso che dobbiamo andare adesso, sai?» Peter sbuffò «Uffa, lo so, lo so… questa cerimonia mi ucciderà». Era infatti il decimo anniversario della morte del padre di Ann, Herbert Mc Phillips, morto in circostanze misteriose nella sua stanza, chiusa a chiave dall’interno. Un delitto ancora irrisolto. Le indagini si erano protratte a lungo, ma senza alcun risultato; nessuna traccia di effrazione, nulla di nulla. L’ipotesi più accreditata era quella del suicidio, ma nessuno della famiglia credeva fino in fondo a questa ipotesi: tutti in cuor loro sapevano che la realtà poteva essere ben diversa.
13 Ann si alzò «Dai, su, è una semplice commemorazione, sai che mia madre ci tiene. Non avremo affrontato questo viaggio per nulla, no?» sorrise dolcemente al suo compagno. Ann viveva da tempo in Italia, nei pressi di Firenze. È lì che aveva conosciuto Peter che, sebbene avesse un nome inglese, era italianissimo: uno sfizio che si era voluto togliere suo padre, ammiratore incondizionato del rock progressive dei Genesis e di Peter Gabriel in particolare. Ann se ne era andata da casa non appena raggiunta la maggiore età, e si era iscritta all’università di Firenze per studiare storia dell’arte. Amava l’arte rinascimentale italiana da sempre e voleva studiarla nei luoghi di origine. Peter era uno studente come lei, ma lavorava già come restauratore di dipinti antichi; avevano iniziato a frequentarsi, poi lei si era stabilita da lui a Vincigliata, sulle colline sopra Firenze, e da lì non si era più mossa. Erano venuti in Scozia a casa di Ann, nel castello di famiglia, per un desiderio della madre di lei: voleva che fosse celebrato in maniera solenne il decennale della morte del marito e aveva quindi voluto riunire tutta la famiglia per quell’occasione. «È che sono allergico alle cerimonie religiose, lo sai. Anzi, alle cerimonie in genere». «Ed è per questo che non mi vuoi sposare» gli sorrise Ann. Peter alzò le spalle «Non è con una semplice formula che ci si lega per la vita, sai come la penso, tesoro mio. È il viversi e il rispettarsi giorno dopo giorno ciò che conta davvero». Lei sorrise ancora «Lo so, lo so, brontolone. Non ricominciare con le tue teorie filosofiche sulla convivenza, ti prego!». E si scansò appena in tempo per evitare una cuscinata in faccia. Si alzò e andò alla finestra, a respirare anch’essa un po’ dell’aria purissima e fredda di quel mattino, mentre Peter stava armeggiando con la valigia.
14 «Non dovrò mettere la cravatta, eh?» le chiese. Ma Ann non rispondeva: se ne stava immobile con lo sguardo fisso verso l’infinito, stringendo spasmodicamente con le mani il davanzale della finestra. Tremava. «Ann!» gridò Peter «che ti prende?» Cercò di scuoterla: era rigida come un sasso. Poi finalmente si rilassò e si abbandonò fra le braccia del suo uomo. «Che c’è?» le chiese dolcemente lui. Ma già lo sapeva: Ann, infatti, aveva già mostrato in passato doti di sensitiva, e non era nuova a questo tipo di fenomeni, quando avvertiva qualcosa di anomalo. Aveva il respiro affannato, tremava ancora. «È stato un attimo, un solo attimo, ma… oddio… era terribile. Ho avvertito… come spiegartelo? Solo tenebra attorno a me. Un alone di tenebra che avvolgeva il castello e tutti noi. Ho paura, Peter» Lui la strinse più forte «So che a questo luogo sono legati per te ricordi non belli. Vedrai sarà per questo che hai avuto quella percezione. Comunque, Ann, assistiamo alla cerimonia, poi andiamo a fare un giro in città, e domani mattina prendiamo l’aereo e torniamo a Firenze. Così dimentichiamo questa brutta storia. Ok?» Lei annuì, abbassando gli occhi. «Hai ragione, troppi ricordi in queste mura, e poi la storia della leggenda, e tutto il resto… Sono cose che restano appese a un luogo come ragnatele, e nessuno potrà toglierle mai. Deve essere per questo che ho avuto quella visione. Ma ora è passata per fortuna». Peter la tenne ancora stretta a sé, finche lei si allontanò «Forse è meglio che andiamo ora, ci aspetteranno già». Uscirono dalla loro camera nel freddo dell’antico corridoio di pietra ma Peter adesso era inquieto: sapeva benissimo che, seppur Ann avesse minimizzato l’accaduto, qualcosa incombeva su quel luogo. Le sue visioni non venivano mai a caso, e sempre, in passato, si erano rivelate attendibili. Un vago senso di disagio
15 iniziò a invaderlo: cosa stava per accadere? E ancora, perché Ann aveva menzionato la leggenda? Quella vecchia storia aleggiava sulle loro vite come una nube di tempesta, anche se nessuno sapeva, o non voleva dire, a cosa si riferisse esattamente. Era una storia antica di secoli, che gettava un’ombra sulla famiglia Mc Phillips, qualcosa che risaliva al medioevo, quando la famiglia aveva acquisito importanza, un’importanza basata su meriti di guerra, ma non solo: correva voce di una maledizione nata con il nascere della famiglia. Tuttavia Peter cercò di non pensarci; sarebbe stata una giornata molto intensa.
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Nel grande salone in quel momento c’erano solo due persone: Mark e Margareth. Il primo era amico di famiglia dei Mc Phillips da sempre e coetaneo del conte defunto, venuto anch’egli per partecipare alla cerimonia. Mark era un vecchio signore distinto, molto oldfashion, alto, di bell’aspetto, capelli brizzolati con taglio perfetto, sguardo austero. C’era chi vociferava di una relazione fra lui e la vecchia contessa, dopo la scomparsa di Herbert Mc Phillips, ma niente era mai venuto fuori. C’era poi Margareth, detta Maggie, la sorella gemella di Ann. Quest’ultima era una ragazza strana, un tipo taciturno: raramente entrava nelle conversazioni e aveva spesso un’aria cupa, pensierosa, come quel mattino. Magra, viso affilato, occhi chiari di ghiaccio e lunghi capelli rossi; perennemente vestita di nero, look molto gothic, un piercing al naso, il tutto fortemente disapprovato da sua madre. Peter aveva ripetutamente cercato di entrare in confidenza con lei: quella ragazza aveva qualcosa in sé che lo attraeva, non tanto fisicamente quanto a livello psicologico, forse per il legame con la sorella Ann, forse per altro. Ma contrariamente alla gemella, Maggie era molto introversa e, nonostante avesse molta stima di Peter, spesso con lui si chiudeva a riccio, tanto che lui si trovava in difficoltà nel relazionarsi con lei. Tra l’altro era l’unica che
17 non fosse mai andata in Italia a trovare la sorella Ann. Se ne stava in piedi, vicina a una delle grandi finestre del salone guardando fuori, con un’aria fra l’assente e il concentrato. Pareva non essersi accorta dei nuovi arrivati. Mark invece era comodamente seduto su una delle poltrone di velluto verde e stava armeggiando con la sua inseparabile pipa; malgrado questo non sembrava troppo tranquillo. «Buongiorno ragazzi» disse distrattamente Mark continuando a lavorare sulla pipa. «Avete passato una buona notte?» «Tutto bene, grazie» rispose Ann con un sorriso e guardò di sottecchi Peter che ricambiò lo sguardo complice. «E tu, Mark, che mi racconti?» chiese Peter «Ti vedo un po’ nervoso stamattina». «Eh, cosa?» Mark alzò lo sguardo dal suo oggetto e fissò Peter «Nervoso? Beh, non so dirti, in realtà avverto un po’ di inquietudine da quando sono entrato qui. Non so come mai…» e voltò lo sguardo verso Maggie che non si era neppure mossa. «Se iniziamo così…» gli sussurrò Ann all’orecchio. Peter celò una risata. Ma l’inquietudine rimaneva. Aria cupa, triste fra queste mura… come ragnatela che non si può più staccare. In quel momento la porta si aprì e la vecchia contessa fece il suo ingresso nel salone. Era una donna di grande fascino, anziana ma sempre bella, snella, zigomi alti, occhi attenti, capelli grigi raccolti in un pocchio. Era una donna che amava molto il cerimoniale: anche in quel frangente entrò, infatti, con aria di maestosità, quasi si aspettasse di trovare sudditi che la riverissero. «Buongiorno a tutti» disse semplicemente. Mark si alzò per baciarle la mano, gli altri la salutarono. La contessa sorrise solo a Mark.
18 Solo Maggie non si spostò dalla finestra, dando l’impressione di non essersi accorta dell’arrivo di sua madre. «Buongiorno, Maggie» l’apostrofò la contessa, ma la ragazza non si mosse, continuando a fissare fuori della finestra. La vecchia scosse la testa, rassegnata, e andò a sedersi al grande tavolo, dove era pronta la colazione. Anche gli altri si sedettero, ad eccezione di Maggie che d’improvviso si voltò e a grandi passi raggiunse l’uscita del salone, quasi scontrandosi con Sally, che stava sopraggiungendo in quel momento. Sally era una giovane donna sulla trentina, non molto alta, mora di capelli, aspetto molto casual. Era una lontana parente dei Mc Pillips che, rimasta orfana in tenera età, aveva vissuto al castello fino ai giorni della morte del conte. Se ne era andata pochi mesi dopo, peraltro senza addurre alcuna spiegazione se non quella di aver bisogno di cambiare aria. In verità era molto affezionata al conte, che la considerava come una sua figlia. Comunque Sally l’aria l’aveva cambiata eccome: si era trasferita negli Stati Uniti, a Boston. Lì aveva studiato storia medievale dell’Europa occidentale, si era fatta una nuova vita, aveva trovato lavoro all’università. Solo recentemente aveva deciso di ritornare per un po’ in Europa, ma non era quel luogo la sua meta: anch’ella si trovava lì solo per la cerimonia. Avrebbe dovuto, infatti, ripartire quella sera stessa o al più tardi il giorno successivo per recarsi in Danimarca, presso alcuni amici. «Ma che le è successo?» chiese Sally agli altri, riferendosi a Maggie. «Da quando è scesa non c’è stato modo di rivolgerle parola» le rispose Mark allargando le braccia «Avrà dormito male…» «Sono anni che dorme male, allora» ribatté la contessa scuotendo la testa. «Voglio comunque dirvi una cosa, riguardo questo giorno. Ho fortemente voluto riunire tutta la famiglia per questa
19 cerimonia, prima di tutto per la memoria del mio defunto marito, e poi per sfatare una volta per tutte quelle dicerie assurde nate dopo il fatto. Se qualcuno crede ancora che c’entri quella vecchia leggenda, la maledizione della famiglia, beh, è fuori strada!» Aveva quasi gridato queste ultime parole. «Mio marito soffriva di forti crisi depressive, ed è stato un suicidio. Questo è stato ampiamente appurato dalle indagini: nessuno, a parte lui, era presente nella sua stanza, quando è morto. Si è tolto la vita con il suo coltello, per porre fine alle proprie sofferenze. Non accetterò, d’ora in poi, nessuna illazione su misteri o quant’altro, sono stata chiara?» Gli altri si guardarono in silenzio: nessuno seppe cosa replicare. Era risaputo che il caso era stato archiviato come suicidio, ma fin dall’inizio molti dubbi erano rimasti. Intanto non era affatto certo che il conte soffrisse di depressione, e poi tutta la meccanica della morte aveva in sé un qualcosa di anomalo, di inspiegabile: se il conte voleva davvero suicidarsi, perché scegliere un modo così difficile e doloroso come piantarsi un coltello nel cuore? Il fatto che aveva suffragato alla fine l’ipotesi del suicidio era stata solo la porta chiusa dall’interno, con nessun segno di forzatura. Nient’altro. Sally iniziò a scuotere la testa: «No, contessa, non è giusto. Lei sa benissimo che c’è molto di più da dire. Possibile che la leggenda…» «Basta con questa storia!» la interruppe la contessa. «Non voglio più sentirne parlare. Sono solo superstizioni nate da antiche tradizioni popolari, e noi non ne abbiamo certo bisogno. Io mi sono sempre attenuta ai fatti, e i fatti parlano chiaro. E adesso basta, fra poco inizierà la cerimonia al cimitero. Non voglio certo arrivare in ritardo». Detto questo si alzò e uscì con calma dalla stanza, senza degnare nessuno di uno sguardo.
20 Seguì un silenzio imbarazzato, rotto solo dalla voce di Sally «Possibile che si ostini a non volerne parlare?» «Parlare di cosa?» chiese Peter incuriosito. «Della leggenda, la leggenda della famiglia Mc Phillips. C’è una scia di sangue che segna la storia della famiglia, una sorta di maledizione che si perde nelle nebbie del medioevo». «Andiamo, Sally» la interruppe Ann «Sai benissimo che la leggenda ebbe origine dalla serie di suicidi che vi sono stati, ultimo mio padre, nella nostra storia. Questa leggenda non esiste, e poi, se esistesse, qualcuno saprebbe raccontarla, no? Invece tutti parlano di questa maledizione, ma nessuno ne conosce le origini. Alcuni nostri antenati sono morti, mio padre è morto, d’accordo, ma da qui a parlare di leggenda…» «Ann, questa cosa mi inquieta, lo sai bene. Queste mura mi hanno sempre fatto paura, ed è per questo che dopo la morte di Herbert me ne sono voluta andare, e voglio rimanere il meno possibile tra queste mura! Quel segno sulla parete…» lo indicò «qualcuno lo ha tracciato, e qualcosa deve pur significare. E qualunque cosa sia, mi spaventa». «Se ti spaventa così tanto perché sei tornata, allora?» chiese infastidita Ann. «Ma perché mi faceva piacere rivedervi, è chiaro, no?» Sally si inalberò, risentita. «Comunque stasera stessa me ne vado, ci sono amici che mi aspettano in Danimarca. Non ce la faccio a stare qui: troppi ricordi, troppa angoscia». «Ma possibile che questa storia ogni tanto salti ancora fuori?» chiese Peter «Mi chiedo se ci sia davvero un fondo di verità in tutta la faccenda». «Ti prego, Peter» sospirò Ann «non ti ci mettere pure tu, adesso».
21 Peter conosceva l’esistenza di un’antica leggenda legata al castello ma, come tutti, sapeva che si era persa nella notte dei tempi, e in pratica era perduta. Si parlava solo vagamente di una maledizione che gravava sul castello e sulla famiglia, ma nulla di più. Queste cose gliele aveva narrate Ann, che in realtà aveva sempre cercato di minimizzare la cosa, quasi avesse avuto paura di parlarne, forse per il timore che lui la considerasse ridicola. Peter però era convinto che vi fosse un fondo di verità, quantomeno storica, in tutta la faccenda e più volte aveva cercato di approfondire l’argomento con i vari componenti della famiglia di Ann, sua madre compresa. Tuttavia nessuno mostrava, almeno apparentemente, di saperne di più. Ma Peter era sicuro che gli fosse tenuto nascosto qualcosa, soprattutto da parte della vecchia contessa che, ne era convinto, sapeva molto di più di ciò che aveva manifestato. «In realtà vorrei riuscire a chiarire questa cosa una volta per tutte, così da togliere ogni dubbio in proposito» disse sconsolato, rivolto ai presenti «ma ogni volta che ci provo trovo un muro di gomma. Cosa puoi dirmi in proposito, Sally?» Sally abbassò gli occhi, confusa «Io non saprei…» mormorò confusa «ho cercato notizie storiche su questa cosa, ma è difficile… e nessuno…» Quasi a troncare il discorso, Mark si alzò «Beh, lungi dal voler interrompere le vostre dissertazioni sulle antiche leggende medievali, ma credo sia ora di andare, la cerimonia inizia fra poco». Qualcuno sa, e tace pensò Peter, mentre uscivano dal salone. Sento che Sally ha scoperto qualcosa, e voglio saperne di più, sento che qualcosa sta per accadere… Presto, i fatti gli avrebbero dato ragione.
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Il piccolo cimitero era arrampicato sulla roccia, a picco sul mare. Un incantevole luogo di morte, era stato definito da qualcuno. Lapidi consunte, croci celtiche, ricordi resi labili dal passare dei secoli, storie intrecciate e finite fra la famiglia Mc Phillips e la gente del villaggio. Una piccola chiesetta grigia era l’unica costruzione di rilievo: mura di pietra consumate dal vento e dalla salsedine; tetto spiovente di ardesia, un’austera croce in ferro sovrastava la facciata, al centro della quale si apriva un antico portale anch’esso segnato dal tempo, e dentro ancora pietra, pietra grigia sull’altare e sulle pareti, con la luce che filtrava a fatica dalle finestrelle, quasi feritoie, a sesto acuto. Tutta l’area era delimitata da altre pietre più antiche, monoliti anneriti dal tempo: un cerchio di pietre scure alte quasi quanto un uomo, a testimonianza di storie ancora più remote, perse nella notte dei tempi di una terra guerriera e piena di leggenda. La famiglia si riunì alla spicciolata davanti alla chiesa; arrivarono anche gli altri fratelli di Ann: Albert, il più giovane, aveva sedici anni. Gracile di costituzione, capelli castani lunghi fino alle spalle, era un ragazzo estroverso, amante del rock e dell’amicizia. Mary, biondissima, amava gli sport e la vita mondana. Bella, con un corpo da atleta e anche piuttosto appariscente, era spesso in conflitto con la madre, che avrebbe voluto da lei più riservatezza.
23 Inoltre la vecchia contessa non vedeva di buon occhio il fatto che la figlia, a venticinque anni, non avesse ancora un fidanzato ufficiale. Ma ella non se ne curava: viveva autonomamente grazie al suo lavoro (gestiva alcune palestre) e viveva la sua vita da single senza troppi pensieri. Mary era peraltro molto scettica riguardo all’alone di leggenda che circondava il castello e la famiglia Mc Phillips. Piuttosto scettico a riguardo era anche Max, il primogenito della famiglia. Max era un tipo tutto d’un pezzo, ingegnere elettronico, molto razionale, che non si interessava molto a leggende o storie di fantasmi. Arrivò alla chiesa con la compagna, Lisa, con la quale conviveva da anni. Quest’ultima era una donna dall’aspetto raffinato, snella, capelli neri tagliati piuttosto corti, lineamenti sottili. Maggie arrivò per ultima, ombrosa come sempre, con lo sguardo basso, chiusa nei propri pensieri. Il sacerdote, cattolico, attendeva sulla porta della chiesetta. «Buongiorno, padre Marius» si premurò di salutarlo la contessa. La famiglia Mc Phillips era da sempre di tradizione cattolica, fin dall’inizio, da quando i principi guerrieri abiurarono le antiche credenze celtiche e si convertirono al cristianesimo. Neppure l’avvento della religione anglicana riuscì a far mutare credo ai Mc Phillips che, anzi, da buoni scozzesi separatisti, trovarono allora nella religione un ulteriore pretesto di distanza dal sovrano britannico. «È un piacere vedervi, contessa» rispose padre Marius. «Se volete entrare, io sono pronto per la funzione». Quindi tutti entrarono dietro la contessa. Per ultimo Peter, che sbuffava sotto lo sguardo un po’ accigliato di Ann. «Che ci posso fare? Non sopporto i preti: è più forte di me!»
24 Fuori, il vento era aumentato, e nubi nere si stavano avvicinando a quel luogo, lasciando presagire tempesta. «Cari fratelli e sorelle» aveva iniziato il sacerdote «siamo qui riuniti per celebrare il decimo anniversario della morte terrena del nostro amato fratello». Fuori, il tuono si fece sentire; una coltre nera e impenetrabile aveva avvolto l’orizzonte, la pioggia non avrebbe tardato ad arrivare. «Nel nome del padre, del figlio, e dello spirito santo». Il vento iniziò a percuotere furioso le pareti della piccola chiesa: scrosci violenti di pioggia lambirono quel luogo e la campagna circostante. Il vento ululava attraverso le vecchie imposte, quasi a voler impedire lo svolgimento della funzione; alcune candele si spensero. Gli astanti si guardavano gli uni gli altri, preoccupati. Solo Maggie aveva lo sguardo fisso, lontano. Il lampo si fece vedere più volte, squarciando con la sua luce la coltre spessa; e poi il tuono, fragoroso e terribile, scosse le mura del piccolo tempio. Peter guardava preoccupato Ann, vicino a lui: era inquieta. Sembrava tremare. «Che succede?» le sussurrò. «Non lo so, non riesco a capire» rispose lei con un filo di voce «sento qualcosa…» In quel momento un fulmine si scagliò violentissimo su quel luogo, colpendo la croce di ferro che si trovava sul tetto della cappella, e facendola cadere. Il tuono che seguì fu così forte che fece tremare le mura della piccola costruzione. Ann si strinse forte a Peter «Qualcuno cadrà…» disse con lo sguardo perso nel vuoto. «Orrore, paura… Tenebra che viene, solo tenebra…» Peter la scosse «Ann! riprenditi!» Lei si riscosse come da uno strano torpore «Cosa… cos’successo?»
25 «Hai detto qualcosa… hai detto: qualcuno cadrà…» Lei scosse la testa «Ricordo solo il buio… ho paura…» Peter la strinse a sé «Adesso andiamo via da qui, ok?» Fuori, la tempesta si stava calmando; la pioggia era quasi cessata e un timido raggio di sole si era fatto vedere attraverso le nubi. La cerimonia finì piuttosto in fretta; il gruppo uscì lentamente dalla chiesetta e si diresse presso la tomba di Herbert, sul lato sinistro del cimitero, vicina al cerchio di pietre nere. Peter era inquieto: il comportamento e le parole di Ann lo avevano molto allarmato. Lei gli stava vicina, e si stringeva a lui. Tremava. «Non stai bene?» le chiese. Lei scosse il capo «Ho solo freddo, adesso» e si strinse più forte a lui. «Ti porto fuori adesso, se vuoi, andiamo a fare un giro o preferisci restare al castello?» le chiese. «No, usciamo, andiamo in paese. E poi torniamo a casa, ti prego, non voglio restare in questo luogo». «Va bene, domattina prendiamo il primo aereo per l’Italia». Come era arrivato, il gruppo si allontanò alla spicciolata dopo i saluti di rito e con l’invito, da parte della contessa, di ritrovarsi tutti per cena al castello. Ali oscure planarono su quella terra, preludio alla tenebra che si accingeva a venire.
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Prese a soffiare un forte vento dal nord, dall’artico: in pochi minuti la temperatura iniziò a scendere, ghiacciando inesorabilmente la terra ancora bagnata dal temporale. «Adesso sì che inizia a fare freddo!» Peter strinse Ann a sé «Vieni, vediamo se possiamo rimediare un’auto per fare un giro» . Peter era però in preda a strani pensieri: percepiva l’inquietudine della sua donna ed era preoccupato; sapeva che qualcosa sarebbe potuto accadere, ma cosa? Quando lei aveva quelle percezioni difficilmente si risolvevano in nulla. E poi Sally… era convinto che la ragazza avesse scoperto qualcosa, o comunque sapesse più di quanto voleva dire, inoltre dava l’impressione di essere spaventata, anzi, terrorizzata. Ma allora perché era voluta tornare? Cercava forse qualcosa in quel luogo, o semplicemente era un segno di affetto nei confronti della famiglia adottiva? E la contessa, perché aveva voluto ribadire che la morte del marito non aveva nulla di misterioso? Nella sua mente vorticavano mille congetture mentre con Ann si allontanava dal cimitero; fece scorrere liberamente il pensiero su tutto ciò che gli tornava alla memoria e poteva avere un nesso con quella faccenda e nella sua mente un’immagine prese forma: il misterioso segno sulla parete di nuda pietra del castello. Non si sapeva molto di quel segno, tranne che era stato tracciato in tempi
27 antichissimi, forse col sangue. Le voci riguardo alla leggenda legata a quel simbolo però non portavano a nulla, se non che alle origini della famiglia Mc Phillips vi era una sorta di maledizione. Ma a tale proposito nessuno sapeva (o voleva) dir nulla. Chissà, pensò, se stava davvero per accadere qualcosa, forse dopo tutto sarebbe stato più chiaro… ma a che prezzo? Erano giunti già nel cortile prospiciente il castello, in prossimità del parcheggio, quando la contessa si rivolse a Peter «Vorrei conferire un momento con te in privato, Peter. Ann, tesoro, spero non ti dispiaccia». Quest’ultima guardò la madre con aria interrogativa, ma poi si limitò ad assentire col capo. Peter seguì la contessa; non proferirono parola finché non furono nell’appartamento di quest’ultima. Un’ala del castello, formata da camera, studio e bagno, era a completa disposizione della contessa. Quando si furono sistemati, l’anziana donna parlò: «Peter, tu non sei stupido, e sai benissimo che la verità sulla morte di mio marito non si esaurisce in ciò che ho detto stamattina». Peter guardò la contessa: era una donna strana, senza tempo, dallo sguardo indecifrabile; a volte gli faceva quasi paura. «Perché nasconde la verità, allora?» le chiese. «È bene che certe cose non si sappiano mai, per la tranquillità e la sicurezza di tutti». Fece una pausa; Peter non smise di fissarla, in attesa, «ma a te, per il tuo bene e quello di Ann, devo dire una cosa, una cosa importante». Abbassò un attimo lo sguardo come per riflettere, poi riprese «Non sono sicura di sapere come sia realmente morto mio marito, e forse adesso non mi importa neppure più saperlo, ma ne conosco la causa ed è una cosa orrenda. Sette secoli fa qualcuno tracciò quel segno sul muro del castello: è il segno dell’oscurità. È rimasto lì fino ad oggi, e forse rimarrà lì per altri secoli. Con quel segno il castello fu consacrato all’oscurità. La stessa mano che tracciò il segno si dice avesse
28 ucciso la figlia del conte Herbert Arran Mc Phillips e altri componenti della famiglia, oltre a persone del villaggio, come omaggio all’oscurità. È una leggenda? Non so». Peter trattenne il fiato: la leggenda di Fogland! La contessa continuò a parlare. «Dieci anni fa mio marito morì perché aveva scoperto…» sospirò, abbassando gli occhi «aveva scoperto ciò che non doveva sapere. Tutto questo è legato a una storia antichissima, che molti chiamano leggenda. Non sta a me trarre conclusioni, ma voglio che tu e Ann ve ne andiate oggi stesso, come ha deciso di fare anche Sally. Andate via, tu e Ann, andate lontano, in Italia, a casa vostra. Qui, sappilo, la tenebra è in agguato». Peter rimase un attimo senza parole, con lo sguardo fisso verso la donna, poi, come riscuotendosi da un torpore, le disse: «Contessa, ho il sospetto che lei sappia molto di questa leggenda, o come vuol chiamarla. Forse sa anche come suo marito è morto e se è stato ucciso. Forse conosce anche la leggenda di Fogland, perché non parlarne?» «Ciò che dovevo dirti l’hai saputo, Peter. Non chiedermi altro, perché altro non potrò dirti. Il resto riguarda me sola!» «Ma perché? Cosa c’è dietro?» La contessa però alzò una mano, come per chiudere il discorso. «Lasciami sola adesso, per favore. Ho bisogno di riflettere. Vai da Ann, ti prego!» Non ci fu nulla da fare. Peter uscì e i suoi dubbi erano aumentati. Raggiunse Ann che si era seduta nel salone, vicino al focolare. Gli fece posto accanto a sé «Che voleva mia madre, Peter?» Lui scosse la testa «Mah… mi ha detto di tornarcene a casa, a Firenze». Ann si irrigidì «E cos’altro ti ha detto?»
29 Peter allargò le braccia «Non molto, in verità, ma sento che sa molte cose, cose su questo luogo che non vuol dirmi». Omise volutamente di parlare della morte del padre di Ann. «Ha accennato alla leggenda». «La leggenda?» Ann si avvicinò di più a Peter «A me non ha mai detto nulla». «Neppure a me in realtà, ma qualcosa deve essere accaduta molti anni fa, qualcosa che fa paura. Comunque…» «Comunque», lo interruppe Ann, «Mia madre ha ragione: andiamo via, torniamo a casa Peter. Qui ho paura, non so perché, ma ho paura». Si strinse a lui, che l’abbracciò. «Va bene Ann, andiamo via». Si alzò e raggiunse il telefono, su un tavolino in un angolo del salone. «Sentiamo quando c’è il primo aereo disponibile per l’Italia». Mentre stava chiamando, Sally entrò nel salone. Si guardò intorno con fare nervoso, e dopo un cenno di saluto si avvicinò al caminetto. «La temperatura si sta abbassando notevolmente» disse poi, rivolta a nessuno in particolare «se va avanti così, gelerà tutto». «Fa un freddo cane» dibatté Ann «Questo castello è perennemente freddo! E non c’è speranza di riscaldarlo». «Beh, io ho un volo stasera alle sette, e poi sarò lontana dal gelo, spero». Peter interruppe la conversazione «Temo che il tuo volo sia a rischio, Sally, come tutti gli altri. Sembra che a causa del maltempo molti voli siano stati annullati o posticipati. Anche per l’Italia al momento non c’è nulla. Forse domani in giornata, se il tempo si rimette. Ma dicono stia arrivando una nuova perturbazione e porti neve». «Cosa?» Sally trasalì «Ma io devo essere a Copenaghen domani. Sei sicuro, Peter?»
30 «Così mi hanno detto all’aeroporto. Magari proverò a chiamare più tardi per sentire se ci sono novità». Sally si era rabbuiata «Vorrei andar via, accidenti! Se devo restare in Scozia preferisco cercarmi un albergo, non voglio passare un’altra notte qui». Peter la guardò con aria interrogativa «Ti fa così paura questo posto?» Lei abbassò gli occhi senza rispondere. «Sally, ascolta» insistette Peter «che cosa sai della storia di questo luogo? Se c’è qualcosa che dobbiamo sapere, vorrei ce la raccontassi». Sally continuava a tenere lo sguardo basso «Non so, non posso…» Anche Ann le si era avvicinata «Sally, ti prego, se sai qualcosa più di noi…» Sally alzò lo sguardo guardando i sui interlocutori «No, non so molto, ma stavo cercando di informarmi. So che questa storia ha varcato i confini della Scozia. So che in un luogo molto lontano, in Italia, sono conservati documenti importanti ma inaccessibili a tutti. Io avevo trovato un contatto, una persona che forse avrebbe potuto aiutarmi ad avere accesso a questi documenti, ma ancora non ho avuto modo di parlarci». «E chi è? …se possiamo saperlo» chiese Peter. Sally si alzò e andò a prendere qualcosa dal suo zainetto, che aveva appoggiato sul tavolo. «Ecco» ne estrasse un biglietto da visita che porse a Peter. «Si chiama Angelo Filippi e vive vicino a voi, a Firenze. Contavo di andarci al mio ritorno dalla Danimarca». Peter lesse il biglietto «Esoterico e studioso di occultismo, però… E abita a Pian dei Giullari, sopra Firenze. Non se la passa male,
31 l’amico!» Poi guardò Sally «E come mai tutto questo interesse per la storia, o la leggenda del castello?» Sally scosse la testa «Non so dirti, in realtà, è come un’ossessione. Io qui ci sono cresciuta, e quelle storie sussurrate a mezza bocca, taciute, occultate, hanno sviluppato in me una curiosità morbosa. Forse anche per questo in America, all’università, ho voluto approfondire gli studi sui miti e le leggende del nord Europa e della Scozia in particolare. Ma di Fogland, nulla. Non una traccia, una pista: niente. Ho iniziato un lavoro proprio su questo argomento e speravo di riuscire a trovare, con l’aiuto del Filippi, qualcosa di importante, di inedito; so che lui ha elaborato una teoria sui vari prodotti dell’oscurità, qualcosa che li accomuna, intendo. Vorrei ne venisse fuori una pubblicazione interessante». Peter la guardò «Uhm, interessante questo Filippi. Quasi quasi quando torno a casa vado a trovarlo» sorrise. «Ehi!» dibatté Sally, ora un po’ sollevata «non vorrai fregarmi le fonti dei miei studi! Per me questo è lavoro!» Peter fece una risata «Tranquilla, cara, per me l’esoterismo è come l’arabo: indecifrabile! Però devi farmi una promessa: se poi riesci a pubblicare qualcosa su quest’argomento, ne voglio una copia con dedica!» Sally gli sorrise a sua volta «Ok, Peter, promesso! A Peter, senza il quale questo lavoro non avrebbe mai visto la luce!» Risero tutti e tre. La tensione si era un po’ sciolta. Fuori faceva un freddo terribile adesso, e nubi cariche di neve stavano sopraggiungendo da nord. Il mare in burrasca faceva sentire le sue urla fin quasi alle finestre del castello. Sarebbe stata una giornata gelida, fuori e dentro le mura del castello.
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Peter e Ann uscirono con la macchina della contessa; andarono in paese e si fermarono a pranzare in un pub, soprattutto per parlare e starsene un po’ in disparte. Peter era una persona abbastanza solitaria, schiva. Aveva una ristretta cerchia di amici e non amava troppo la vita mondana; Ann non era diversissima da lui, anche se non disdegnava qualche serata in discoteca. Tuttavia si erano trovati ed erano ormai anni che convivevano: dividevano la passione per l’arte, non mancavano a nessun evento legato alla pittura o alla scultura; erano molto affiatati e soprattutto avevano mantenuto fra loro quella misura di indipendenza che faceva in modo che non si soffocassero. Peter aveva incontrato all’università quella splendida ragazza dagli occhi tristi, che portava in sé il ricordo di una recente sciagura e se ne era subito innamorato; lei dal canto suo aveva accettato di buon grado di andare a vivere insieme con lui: Peter le ispirava fiducia e la faceva sentire a proprio agio. Si sedettero a un tavolino in disparte, e di fronte a due birre doppio malto e buone porzioni di manzo con i fagioli, si rilassarono un po’. Fu Peter a parlare per primo, dopo aver fissato con insistenza Ann che ridacchiava a occhi bassi «Ti prenderei qui sul tavolo, tesoro».
33 «Bene» rispose lei «...diamo spettacolo pure qui! Ti ricordi quella sera a Firenze, quando il cameriere venne a dividerci? Bella figura!» «Nooo… era solo invidioso! Io mi stavo spupazzando la più bella rossa che era mai passata in Toscana, e lui era livido di rabbia!» «Il problema è che non avrò più il coraggio di rimettere piede in quella trattoria!» «Beh, ce ne sono tante altre, e poi non era neppure granché». «Oh, vorrei avere il tuo ottimismo!» «Non è ottimismo, è cinismo!» Poi Peter si fece improvvisamente serio «Senti, amor mio» le sussurrò «ti ho sentita molto inquieta oggi, e hai avuto ben due momenti di percezione. So che hai sentito qualcosa, e questa cosa ti preoccupa. Vuoi parlarmene?» Ann sospirò, divenendo seria a sua volta «Ho percepito il buio e ho avuto paura. E la seconda volta ho avvertito dolore, morte, una morte totale, dell’anima..» «Hai detto quella frase, in chiesa, qualcuno cadrà… Cosa potrà significare?» «Sai bene, Peter, che ricordo poco di quei momenti: è come se diventassi un’altra. Ricordo solo una forte sensazione di angoscia, e questo mi spaventa. Ti prego, cerchiamo di andar via il prima possibile. Sento che lontano da qui saremo al sicuro! E poi sai che volevo visitare la mostra di Artemisia Gentileschi a Milano. Potremmo fissare un volo per Milano, fermarci lì qualche giorno e poi tornare a casa». «Hai ragione, Ann, vorrei vederla anch’io. Andremo via col primo aereo. Magari per Milano lo troviamo anche più facilmente. Purtroppo c’è l’inconveniente del maltempo, speriamo domani. E di Sally cosa ne pensi?» Ann alzò le spalle «Non so, sembra spaventata da questa terra, dal nostro castello. Non credo sappia più di ciò che ci ha
34 raccontato, ma sembra ossessionata dalla leggenda della famiglia». «Un po’ curioso sono anch’io» le rispose Peter allargando le braccia «ti confesso che mi piacerebbe saperne di più». «Sarà che io sono abituata ai silenzi di mia madre, a cose dette a metà, ma più che curiosa sono stufa di questa storia e vorrei che fosse dimenticata». Fecero due passi in paese, ma il tempo stava volgendo al brutto: iniziò a nevischiare, prima in maniera molto blanda, poi sempre più decisa. Tornarono quindi al castello, e quando vi giunsero già i campi si stavano tingendo di bianco, mentre il giorno volgeva al termine e sul castello calava l’oscurità. Si ritirarono nella loro camera per preparare i bagagli: Peter era sempre più intenzionato a portare via Ann da lì il prima possibile. Purtroppo le notizie dall’aeroporto non erano buone: causa neve e gelo tutti i voli sarebbero stati sospesi fino all’indomani. Avrebbero trascorso anche quella notte al castello e il giorno successivo avrebbero deciso sul da farsi. Nel frattempo Peter non aveva perso tempo, e si erano ritrovati tutti e due nudi sotto le lenzuola. A sera inoltrata qualcuno bussò alla loro camera: era Albert «Ragazzi, se volete, la cena è pronta». «Arriviamo!» disse distrattamente Peter, mentre ancora baciava Ann. Si rivestirono in fretta e scesero nel salone, mano nella mano. A cena, la famiglia Mc Phillips era ancora al gran completo: Maggie, sempre taciturna, era in piedi vicino al focolare. Ann le andò vicino «Maggie, tutto bene?» Lei si voltò distrattamente verso la sorella, e inaspettatamente le diede un bacio sulla guancia. «Sono triste, sorellina, sono sempre triste. Questo posto mette tristezza».
35 «La tristezza ha sempre una ragione, Maggie». «Io ci sono nata, triste. Non posso farci nulla. Quando tornate in Italia tu e Peter?» «Spero domani, se troviamo un volo». Maggie sospirò «Vorrei venire con voi». Ann la guardò stupita «È la prima volta che parli così, sorellina». «È la prima volta che ho paura, Ann». «Paura di che?» Ma l’altra si era di nuovo chiusa nel suo guscio. Ann rimase pensierosa mentre andava a sedersi a tavola accanto a Peter, che la guardò con aria interrogativa. Ma lei scosse la testa, come a dirgli ne parliamo dopo. Mancavano solo la contessa e Sally, che fecero il loro ingresso insieme nel salone. «Ho convinto Sally a rimanere qui, stanotte. Con questo tempo non vedo altra soluzione. Cara, domani sicuramente riuscirai a trovare un volo per Copenaghen, se non da Aberdeen, sicuramente da Edimburgo». Sally annuì in silenzio. La contessa continuò «Dato che le altre stanze sono tutte occupate, ho provveduto a farti sistemare nel mio appartamento, va bene, cara?» Sally annuì di nuovo, con gli occhi bassi. «Grazie». Rispose con un filo di voce. Ha paura, qualcosa la preoccupa, pensò Peter e si ripropose di parlare con lei appena possibile. La cena fu servita da Elizabeth, detta Bessie, la governante, che assieme al marito Arthur accudiva il castello e la famiglia da tempo immemore. Bessie si occupava della cucina e della conduzione del castello assieme alla contessa, che peraltro era un’ottima cuoca e un’attenta padrona di casa. Arthur era il giardiniere e si occupava delle proprietà esterne, inoltre seguiva tutti i piccoli lavori di manutenzione. Vivevano entrambi al castello da quando erano giovani e oramai erano considerati da tutti parte integrante della famiglia. Anche i genitori di Bessie
36 erano stati a loro volta al servizio dei Mc Phillips: una tradizione che si tramandava da generazioni. Nel castello vivevano stabilmente, oltre la contessa, anche Albert e Maggie, mentre Mary e Max avevano la loro vita e vivevano altrove: Max con Lisa a Portlethen, vicino ad Aberdeen, Mary più lontana, a North Queensferry, in periferia di Edimburgo. Per questo Mary era attualmente ospite nel castello, mentre Max e la sua compagna sarebbero rincasati dopo cena. Durante il convivio si parlò piacevolmente del più e del meno. Peter era seduto vicino ad Ann e a Sally. Quest’ultima era taciturna, e teneva gli occhi bassi. «Tutto bene?» le chiese a un certo punto Peter. Lei annuì «Sì, tutto bene, è solo che non avrei voluto essere qui stasera». «Purtroppo, cara amica, non vedo alternativa, con questo tempo». Mary, che era seduta di fronte a Sally, avendo seguito la conversazione li interruppe «Ti vedo preoccupata, Sally. Stai tranquilla: il castello sarà pure tetro, ma non ho notizie di fantasmi che vi abitino!» E si guardò intorno cercando consensi. «I fantasmi» disse Mark, che era rimasto al castello dietro invito della contessa «rendono un luogo più interessante, unico direi. Non trovate?» Mary sbuffò «I fantasmi esistono solo nei romanzi horror». «Se però consideriamo tutte le leggende che si narrano in queste terre, devo contraddirti, Mary» la interruppe Sally «anzi, sembra vi siano quasi più fantasmi che abitanti, in Scozia.». «Già, Sally, come vanno i tuoi studi?» chiese Max «So che stavi lavorando proprio sul medioevo in Scozia». «Il lavoro sta andando avanti» rispose la ragazza. «Spero di riuscire a trovare qualcosa di particolare, di poco conosciuto. Sto seguendo una traccia che porta alla leggenda di Fogland e…»
37 «Fogland!» la interruppe Max «Fantastico! Il problema è che non sappiamo neppure se davvero esista quella leggenda». «Esiste quel segno sul muro» Sally lo indicò «qualcosa vorrà pur dire. Io…» La contessa alzò una mano, quasi a voler interrompere il discorso «Certe cose» disse «è meglio che rimangano sepolte per sempre. Se queste antiche storie dovessero mettere in cattiva luce il nome della famiglia, non potrei accettarlo. Nessuno sa se esiste la leggenda e cosa dica; so solo che forse è meglio così». «Oh, mamma, ti prego!» Mary alzò gli occhi al cielo «Il buon nome della famiglia! Sai quanto…» «Smettila, Mary! Sai che non sopporto questi discorsi». La contessa era piuttosto alterata. Poi, calmandosi, continuò «Piuttosto, volevo dirvi che sono molto lieta di avervi tutti qui riuniti. È così raro ormai. Soprattutto tu, Ann, che abiti così lontano. Anche se oggi l’occasione era dolorosa, mi ha fatto molto piacere vedere la famiglia riunita». «È sempre bello tornare a casa» le rispose Ann, forse con un pizzico di ironia. Peter sorrise e le strizzò l’occhio. La cena proseguì tranquilla; i convitati parlarono del più e del meno, e l’atmosfera era rilassata. Fuori, la nevicata stava divenendo tormenta. Nell’oscurità della tormenta invisibili ali nere planarono su quel luogo, attendendo il momento in cui la tenebra sarebbe tornata a colpire: «E il buio è, e io sono col buio…»
FINE ANTEPRIMA Continua...