Dimmelo domani, Alfredo Tocchi

Page 1


In uscita il 2 /1 /20 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine QRYHPEUH H LQL]LR GLFHPEUH ( ,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


ALFREDO TOCCHI

DIMMELO DOMANI

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/

DIMMELO DOMANI Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-507-3 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Novembre 2021


“L'uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale quello che importa è lo sforzo per affrontare il Destino e soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta.” Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare



PARTE PRIMA: LA PRIMAVERA (ADAGIO)



7

1.

Quante volte ho pregato il Signore di farmi trovare l'uomo giusto… Ora sono qui, all'aeroporto della mia città, ad aspettare questo italiano che mi ha mandato poesie d'amore per un mese, citando Dostoevskij, Kundera, Nabokov, Irène Némirovsky e tanti altri scrittori di cui non avevo mai sentito parlare. «Sono un avvocato e uno scrittore» ha subito voluto dirmi nel suo primo messaggio su Fdating, il sito per incontri a cui sono iscritta da un anno, dopo la fine della mia triste storia con Vladimir. Mi sono vestita elegante e mi sono truccata: voglio piacergli. Nelle fotografie mi è parso un bell'uomo, un po' troppo serio forse, con quello sguardo sempre fisso nell'obbiettivo della macchina fotografica e un sorriso appena accennato. Lo so, magari non mi piacerà. Allora lo accompagnerò al suo albergo, gli dirò che domani devo lavorare e me ne tornerò a casa. Mi ha scritto che voleva incontrami subito, perché era ormai un mese che mi scriveva e stava nascendo «l'illusione di un amore, di essere in due, di nuovo in due, finalmente in due». Non credevo che sarebbe venuto fino qui – a Donetsk – soltanto per conoscermi. Certo, con i soldi si possono fare molte cose che io neppure mi immagino. Poi, tre giorni fa, mi ha mandato in copia la mail del suo biglietto aereo Milano Kiev - Kiev Donetsk con questa frase: «Vengo per il Tuo compleanno. Ora prenoto anche l'albergo». Mi ha fatto piacere. E in quel momento ho capito cosa volessero dire le parole “l'illusione di un amore.” Ho sognato di amarlo, di andare al mare con lui, di visitare l'Europa e la mattina gli ho scritto, felice, che speravo di piacergli. E davvero lo speravo. Alla mia età, quando ormai sono più vecchia di mia mamma – morta a trentanove anni di tumore, due anni dopo il papà, ucciso a quarant’anni dalla silicosi – come molti altri minatori ucraini – sperare in qualcosa è già molto.


8 Non voglio illudermi: è italiano come Giuseppe. Sono passati più di dieci anni, ma il ricordo di Giuseppe mi fa ancora male. Era venuto a visitare le miniere e ci siamo incontrati per strada, una sera d'estate. Mi ha invitato al ristorante, abbiamo bevuto una bottiglia di vino italiano e poi mi ha portato nel suo albergo. Io non ho detto di no perché era bello, con i capelli ricci e gli occhi scuri. Abbiamo fatto l'amore con la finestra aperta e per la prima volta un uomo mi ha fatto venire con la sua bocca. Il suo sesso era scuro e lungo – i peli neri e folti, così diverso da quello di mio marito. È tornato in Italia e mi ha scritto da Napoli, due sole volte. La prima, mi ha promesso di portarmi in Italia con lui. La seconda, già non ne parlava più – diceva che sarebbe tornato a trovarmi, un giorno. Non è mai tornato e sono certa che non si ricordi neppure di me. Non so se tutti gli italiani siano come Giuseppe, ma spero di no. Non mi farò trattare come una puttana un'altra volta, non andrò di nuovo in una camera d'albergo. Nella mia vita, ho fatto l’amore soltanto con quattro uomini. Ora non lo faccio da sette mesi. L'ultima volta l'ho fatto con Dimitri, un mio collega di lavoro. Dimitri ha dieci anni meno di me. Per tre anni mi ha chiesto di uscire con lui, ma io non volevo. Prima di tutto, la mia triste storia con Vladimir continuava, tra alti e bassi. Lui – sempre infedele – andava avanti e indietro da Kiev, lasciandomi sola per tutta la settimana, a volte per mesi interi. Poi, avevo paura che i nostri colleghi ridessero di me. Ho accettato una sera di ottobre, perché ormai avevo lasciato Vladimir e mi sentivo troppo sola. Siamo andati a casa sua con l'autobus, abbiamo bevuto due birre e poi mi ha preso sul divano, senza preliminari, venendo dentro di me dopo un attimo. L'ho aiutato ad aprire il letto, gli ho dato un ultimo bacio e me ne sono andata, vergognandomi di quello che avevo fatto. L'amore non è così, non può essere così. Anche mio marito era così. Mi prendeva ansimando, senza curarsi di me. All'inizio mi piaceva. Sentirmi desiderata era sufficiente. Poi ha perso il lavoro ed è diventato violento. Se ne stava in casa a bere e spendeva tutti i nostri pochi soldi per andare allo stadio a vedere lo Shaktar. L'ho lasciato da diciannove anni, non ricordo neppure bene il suo viso. Il volo da Kiev è in ritardo. Aspetto seduta accanto all'uscita. È una bella serata di primavera. Aspetto e spero che questo italiano sia l'uomo del miracolo, l'uomo con cui condividere la mia vita. Ho un lavoro,


9 faccio la disegnatrice di moda. Lui è milanese. Milano: Armani, Versace, Dolce e Gabbana. Ci vorrei andare, una volta. Ho visto un documentario alla televisione e c'erano molte belle donne. Perché ha scelto me? Magari avrà dei problemi. Sarà impotente o violento o orribile. Magari l'uomo nelle fotografie non è lui ed è molto più vecchio: avrei dovuto vederlo su Skype. Ho quasi quarantadue anni, li compirò domani: perché non ha scelto una ragazza più giovane? Qui è pieno di ragazze giovani che sarebbero disposte a tutto pur di andare a vivere a Milano… Invece ha scelto me e sta arrivando qui. “La vita è lineare, dal punto A al punto B. Non è circolare, non è eterna. La nostra vita è adesso Masha.” Mi piace quello che scrive. Non so se siano frasi sue. Ma non m'importa, l'importante è che le abbia scritte a me, le abbia scelte per me. Come quella di Mario Quintana, un poeta brasiliano: “Esiste solo un'età nella quale la gente può essere felice, solamente un'epoca nella vita di ogni persona nella quale è possibile sognare e fare piani e avere abbastanza energia per realizzarli a dispetto di tutte le difficoltà e ostacoli. Una sola età nella quale la gente s'incontra con la vita e vive appassionatamente e la sfrutta con tutta l'intensità senza né paura né colpa di sentire piacere. Fasi dorate nelle quali la gente può creare e ricreare la vita a sua propria immagine e somiglianza e vestirsi con tutti i colori e sperimentare tutti i sapori e concedersi a tutti gli amori senza né pregiudizio né pudore. Tempo di entusiasmo e coraggio nel quale tutta la sfida è un invito a lottare che la gente affronta con tutta la vocazione a tentare qualcosa di nuovo, di nuovo, e di nuovo, e quante volte sarà necessario. Questa età tanto fugace nella vita della gente si chiama presente e ha la durata dell'istante che passa.” L'aereo è atterrato. Qualche viaggiatore inizia a uscire. Mi alzo in piedi per vedere meglio. Sono un po' nervosa, forse mi aspetto troppo. Non arriva. Poi un sms. È lui: “Dove sei?” Rispondo, anche se mi costerà una fortuna: “All'uscita, alla tua sinistra, appoggiata al muro, sotto un manifesto pubblicitario della Crimea”. Premo invio e lo vedo davanti a me, col telefono in una mano e una sacca chiara nell'altra. Mi sorride e mi viene incontro. È come nelle foto, i capelli un po' più corti e appena grigi. Porta un paio di pantaloni beige, una camicia azzurra e una giacca blu, senza cravatta. Non vedo


10 altro, mi abbraccia. Mi tiene stretta e mi sussurra: «Ciao Masha, sono felice di stringerti». Ha un chewing gum in bocca, sa di menta. La barba dura mi sfiora la guancia. Lo stringo anch’io e gli rispondo: «Grazie di essere venuto». Si stacca da me, mette in tasca il telefono e mi prende per mano. Camminiamo verso l'uscita dell'aeroporto guardandoci negli occhi, studiandoci senza smettere di sorridere. Non ci sono taxi e ci sediamo sul muretto ad aspettarne uno. Gli dico che non ci vorrà molto e mi risponde calmo: «Non è un problema». Prende anche l'altra mano nella sua e mi dice «Hai delle bellissime mani». È gentile e sicuro di sé. Mi sento a mio agio, è come se ci conoscessimo da molto tempo. Mi dà un bacio sulla guancia, e mi accarezza i capelli. No, non fa altro, ma il cuore mi batte forte. Abbasso gli occhi e gli guardo le scarpe lucide, marrone scuro. Non ne ho mai viste fatte così, sono strane. Guarda l'ora, sono le nove e un quarto. Ha un orologio d'oro rettangolare, con un cinturino di coccodrillo marrone. Gli domando se ha mangiato in aereo, lui mi risponde di no e dice: «Tu hai già mangiato?» «No.» «Allora possiamo andare a mangiare insieme, così ci conosciamo.» Ripenso a Giuseppe. Per un attimo ho paura di rispondere. Arriva il taxi, lui tira fuori la prenotazione dell'albergo e me la porge. È proprio in centro, so dove si trova. Lungo la strada si guarda intorno. Non dice nulla. Davanti allo stadio gli domando se conosce lo Shaktar Donetsk. Fa cenno di sì. «Ti piace il calcio?» «Sì, ma non sono un fanatico,» mi risponde. «Tieni al Milan?» «Sì.» «Qualche anno fa ha giocato qui, ha vinto tre a zero.» Sorride, ma non mi sembra molto interessato. Mi riprende la mano e me la accarezza. Arrivati all'albergo mi mette in mano dei Hryvnia e mi dice: «Ho cambiato gli Euro a Kiev, per favore, mi aiuti a pagare il taxi?» Pago, gli restituisco i suoi soldi ed entriamo nella hall dell'albergo. Mentre lui consegna il passaporto e la prenotazione, gli domando se non voglia prima vedere la sua camera.


11 «No, grazie, andrà bene. Non c'è problema.» Sorride al concierge, come prima ha sorriso al taxista sussurrando «goodbye». Mi sembra un uomo gentile. Non voglio salire in camera sua. Gli dico che lo aspetto qui. «OK, salgo a lasciare la sacca e torno tra un minuto.»


12

2.

Ha citato Nabokov nel suo profilo: “Amare con tutta l'anima e lasciare il resto al fato.” Nel suo primo messaggio mi ha scritto che il segreto della vita è accettare il proprio Destino. Poi ha aggiunto che trovare l'amore a Milano, per lei, sarebbe “bello come una favola.” Nelle fotografie è bellissima. Bionda con gli occhi verdi. Ho scritto un romanzo sul Destino che termina con un appuntamento con una ragazza dagli occhi verdi… Ho passato un mese a mandarle messaggi. Ho smesso di visitare i profili delle altre su Fdating. Le ho inviato poesie d'amore. Il giorno di Pasqua sono tornato a Milano perché al lago internet non funzionava. Lo so, è una follia. È l'illusione di un amore, niente altro. Sono solo e mi illudo che lei sia la donna ideale. E passo le mie serate a scriverle – e a leggere le sue mail – con We-go accucciato sui miei piedi scalzi. Ho deciso d'incontrarla perché non c'è altro modo per spezzare quest'incantesimo. Una notte insonne, l'ennesima, ho pensato che forse sarebbe stato meglio non incontrarla mai, mai per non essere delusi dalla realtà. Come nel racconto Le notti bianche di Dostoevskij, l'avrei amata per tutta la vita, e il nostro amore avrebbe avuto per sempre “la perfezione che le cose accadute non possono avere” (Giuseppe Berto). Ma sono un uomo solo, dopo la fine di un matrimonio felice durato diciott’anni. L'amore di mia figlia non mi basta. Ho bisogno di innamorarmi, di ridere, di un corpo da abbracciare la notte, di un cuore che batte accanto al mio cuore. E poi, per un uomo come me, per uno scrittore che passa la sua vita “a guardarsi l'ombelico” – come ha scritto Gregor Von Rezzori – prendersi cura di un altro essere umano è l'unico modo di essere felice. Ho preso due giorni di vacanza e comprato il biglietto per Donetsk. Sento che sono vivo. Mi viene in mente la poesia di Martha Medeiros: “Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, …chi non rischia,


13 …Lentamente muore chi evita una passione…” Comunque vada a finire, sarà un'avventura. Meglio che starsene a Milano, da solo, a morire lentamente. Sono sul volo per Kiev. Sfoglio appena la rivista delle linee aeree ucraine. Donetsk è proprio al confine orientale, un centinaio di kilometri a nord del Mar d'Azov. È una grande città mineraria, con più di un milione di abitanti. Due file più avanti di me è seduta una coppia che parla inglese: lui italiano, distinto, sui settant'anni ben portati. Lei ucraina, biondissima, sui cinquanta – non bella, normale. All'imbarco si tenevano per mano. Me li immagino felici, nonostante tutte le differenze, l'età per prima. Io sono stato felice, da solo non lo sono più: “Essere soli è allenarsi a morire” (Louis Ferdinand Céline). All'aeroporto di Kiev – moderno e ben tenuto – devo aspettare per due ore il volo per Donetsk. Prima vado a cambiare cento euro. Poi mi siedo accanto al bar e osservo la gente che passa. Ho letto che qui ci sono donne bellissime, ma non ne vedo. Poi, seduta in un angolo, ecco una ragazzina bionda con un laptop in mano. Minigonna, tacchi a spillo, gambe magre e lunghissime, taglio degli occhi obliquo, quasi orientale, pelle di porcellana. Stupenda. Troppo giovane per me, ma stupenda. Non voglio una ragazzina. Wiga e Marija mi sono bastate. Erano anche loro magnifiche, ma non poteva durare. Marija era russa, di Samara. Ventotto anni. Siamo stati insieme per un mese. Dopo due settimane di convivenza mi ha lasciato, perché non volevo sposarla. Le ho spiegato che non potevo sposarla, che in Italia non si ottiene il divorzio prima che siano trascorsi tre anni dalla separazione. Lei voleva il visto per restare in Italia e mi ha lasciato. No, non rifarò lo stesso errore. Ho quarantanove anni, devo stare con una donna di almeno quaranta. Finalmente l'imbarco del mio volo. Salgo in aereo, mi siedo accanto al finestrino e nell'attesa del decollo, non posso fare a meno di notare l'odore penetrante di aglio. L'aereo è vecchio e mal ridotto. Le donne sembrano povere badanti e gli uomini, a eccezione di un paio in giacca e cravatta – con un'aria da funzionari statali in viaggio di lavoro nella capitale – sono brutti e malvestiti. Sono l'unico con un paio di pantaloni beige e scarpe marroni, Oxford Brogue di Laszlo Vass. Quasi tutti portano jeans e magliette – a volte giubbotti di pelle. Sorrido provando il medesimo imbarazzo del mio arrivo a Edmonton, venticinque anni fa. Anche allora ero riconoscibilmente diverso, con i miei abiti su misura e le mie camicie azzurre: un milanese all'estero.


14 Al polso ho il mio Reverso in oro rosa: sarà pericoloso? Non vorrei arrivare fino a Donetsk per farmi scippare. Il volo dura poco più di un'ora. Atterriamo con un po' di ritardo. Non ho bagaglio – salvo la sacca a mano – e vado dritto verso l'uscita. Poi cambio idea: vado in bagno a pettinarmi e lavarmi i denti. Ho l'aria stanca, sono in viaggio da otto ore. Questa mattina non ho fatto la barba. Le piacerò? Lei mi piacerà? Inizio a essere nervoso. Le mando un sms: “Dove sei?” Mi risponde mentre già sono uscito nella hall: “All'uscita, alla tua sinistra, appoggiata al muro, sotto un manifesto pubblicitario della Crimea.” La vedo, è proprio davanti a me. Mi sorride, le vado incontro. È come nelle foto, forse un po' invecchiata. No, più che invecchiata, sfiorita. Però è ancora bella. La abbraccio e la stringo, sussurrandole che sono felice di abbracciarla. Ha un buon profumo. Forse è vero che ci si sceglie anche dall’odore, come gli animali. La prendo per mano e mi lascio condurre fuori dall'aeroporto. Il marciapiede è tutto rotto, devo stare attento a non inciampare. Fa caldo, più che a Milano: ho fatto bene a portare vestiti leggeri. La fisso negli occhi e le sorrido. Ha un viso dolcissimo, ma i capelli sono tinti. È ben vestita, jeans, una camicia bianca e una giacca di pelle con strass sulle maniche. Ma porta scarpe a punta bianche, veramente orribili. Devo superare il mio snobismo. Non devo giudicarla da dettagli ininfluenti. Per me non è facile, sono un esteta. Ci sediamo sopra un muretto sbrecciato in attesa del taxi. La tengo per mano. Le do un bacio sulla guancia e le accarezzo i capelli. È timida, ma non mi respinge. Vorrei baciarla subito, per capire se le sono piaciuto. Mi sembra di sì, ma decido di aspettare. Arriva il taxi e lei mi aiuta ad aprire il baule e a caricare la sacca di struzzo chiaro. È un po' vistosa, ma non ne avevo altre. Ci sediamo vicini e mi domanda se in aereo ho mangiato. «No.» «Allora possiamo andare a mangiare insieme, così ci conosciamo.» Passando accanto allo stadio mi chiede se tengo al Milan e mi dice qualcos'altro. Sono distratto, penso che il suo inglese è proprio elementare, ben diverso da quello perfetto di Wiga e di Marija: loro erano laureate, Masha no. Le accarezzo la mano. In un attimo siamo davanti al mio albergo.


15 Appena dentro, parla in russo – o forse in ucraino – col concierge. Vuole che io vada a vedere la camera prima di dare la carta di credito. È un gesto carino, una premura – la prima nei miei confronti. Le dico: «No, grazie, andrà bene. Non c'è problema.» Salgo in camera a posare la mia sacca. Lei resta nella hall. La camera è triste, con un pavimento di piastrelle azzurro cielo e fotografie dei Beatles alle pareti. Ma non fa niente, non m'importa nulla. Lascio la mia roba e scendo subito. Ho voglia di portarla a mangiare e di baciarla. Appena l'avrò baciata saremo entrambi meno nervosi, forse. Mi aspetta seduta sul divano, vicino alla porta. La riprendo per mano e insieme usciamo, nella notte.


16

3.

Camminiamo per mano, come due fidanzati. Eppure, ci conosciamo da mezz'ora. Il ristorante non è lontano: è tra i più belli di Donetsk e suonano dal vivo. Spero che gli piaccia. Entra per primo e sorride alla ragazza che lo accoglie. Le parla in inglese e lei lo fissa coi suoi occhi grigi. Poi ci accompagna al tavolo, camminando davanti a noi. Lui le guarda le gambe lunghe e i tacchi a spillo sotto la minigonna. Ci rimango male. Voglio che lei se ne vada e ci lasci soli. Il nostro tavolo è in fondo alla sala. Lui va a sedersi sul divano appoggiato alla parete. Sto per sedermi sulla sedia di fronte, ma lui mi dice: «No, vieni qui, accanto a me». Siamo seduti vicinissimi, mi passa il braccio destro dietro le spalle. Abbassa la testa verso di me e – per un attimo – penso che stia per baciarmi. Invece sfiora appena la mia spalla e mi sussurra che ho un buon profumo. Mi dice quello che vuole mangiare – filetto con patate – e ordino per lui. Dice grazie al cameriere e io gli insegno «Non grazie, spasiba». Mi risponde «karasciò». Penso che abbia avuto chissà quante altre russe, che le cerchi nei siti per incontri, le porti a letto e le lasci sole. Sarà come con Giuseppe, finirà male. Mi domanda del mio lavoro e gli rispondo che disegno vestiti, soprattutto giacche di pelle, come quella che indosso. «Ti piace il tuo lavoro?» «Sì.» «Sei fortunata. È importante essere contenti del proprio lavoro.» Nella sala accanto l'orchestra suona vecchie canzoni dei Beatles. Gli domando se ami la musica. «Certo, ascolto musica tutto il giorno. The Cure, U2, Coldplay, Verve, R.E.M. Soprattutto rock inglese.» Conosco soltanto gli U2. Gli domando se ascolti Celentano, che in Ucraina è molto popolare. Ride di gusto: «Celentano? No. A te piace?» «Sì, certo.» Mi prende per mano, si allontana verso il bracciolo del divano e incomincia a cantare Una carezza in un pugno: “A mezzanotte sai che io ti penserò ovunque tu sarai, sei mia


17 e stringerò il cuscino fra le braccia mentre cercherò il tuo viso che splendido nell'ombra apparirà mi sembrerà di cogliere una stella in mezzo al ciel, così tu non sarai lontano quando brillerai nella mia mano.” Canta bene, è intonato e ha una bella voce. Arrivano i nostri piatti e mangia tutta la carne, senza assaggiare le patate, neppure una. Io mangio il mio salmone e gli domando se poso rubargli una patata. «Certo». Ne mangia una anche lui, una soltanto. Beviamo due Weissbier. Poi gli dico «Anch'io sono intonata» e accenno Azzurro. Mi fissa e cerca d'insegnarmi le parole. Poi mi accarezza i capelli. Nella sala accanto l'orchestra suona “All you need is love.” Ripete lentamente: «All we need is love. Yes Masha, that's why I'm here». Ha uno sguardo tristissimo, per la prima volta. Gira la testa e si avvicina. Con il braccio destro intorno alle mie spalle mi tira verso di lui, molto dolcemente. Siamo vicinissimi. Mi bacia. È un attimo. La sua lingua sfiora la mia e subito si ritrae. Si rimette dritto e mi dice: «Masha, ora sono felice. Avevo paura di non piacerti. Invece, forse un po' ti piaccio. Ora è tutto più facile. Grazie.» «Sì Giulio, un po' mi piaci.» Sorridiamo insieme. Questo pazzo italiano mi fa sentire bene. E mi è simpatico. Voglio illudermi che non sia come Giuseppe. Voglio essere felice. Mangiamo un gelato con due cucchiai e ci baciamo ancora. «Ora basta Masha, non siamo più due ragazzini, ho quasi cinquant’anni.» «Non questa sera Giulio, questa sera siamo due ragazzini.» Mi fissa con gli occhi lucidi: «Hai detto una cosa bellissima Masha, davvero. E hai ragione, questa sera siamo due ragazzini.» È davvero commosso e mi fa tenerezza. Lo abbraccio e restiamo così, mentre l'orchestra suona Let it be. Paga il conto, mi chiede quanto deve lasciare di mancia e usciamo, camminando abbracciati verso il suo albergo. Mi ha scritto tante volte che per lui la vita è in due, che non vuole stare solo. Gli ho scritto che bisogna “Amare con tutta l'anima e lasciare il resto al fato.” Ora siamo in due e siamo felici, in questa notte di


18 primavera, nella mia città così lontana da casa sua. Non andrò nella sua camera, ho promesso a me stessa di non comportarmi mai più come una puttana. Ma me ne pentirò, perché in fondo ne avrei voglia. Davanti all'albergo ci sono due taxi. Mi mette in una mano cinquanta Hryvnia e mi dice: «È tardi, prendi un taxi». Cerco di restituirgli i suoi soldi ma insiste. «Domani lavori?» «Sì, ma soltanto la mattina. Poi, se hai voglia di rivedermi, vengo a prenderti in albergo e ti porto a visitare la città.» «Certo che ho voglia di rivederti. Avrei anche voglia di dormire abbracciato a te. Ma lo so che ora devi andare.» «Buonanotte Giulio.» «Buonanotte Masha.» Ci baciamo e mi stringe forte. Mi stringe e mi accarezza la schiena, giù fino in fondo. Mi tira verso di sé e muove appena il bacino. Sento la sua erezione, per la prima volta: mi desidera. «Ciao pazzo italiano, a domani.» “The miracle of love Will take away your pain When the miracle of love Comes your way again…” (Eurythmics, The miracle of love).


19

4.

L'ho baciata. Non le ho chiesto di salire in camera: non ci sarebbe venuta. È una donna timida e decisa allo stesso tempo. Mi piace e ha detto una cosa splendida: «Questa sera siamo due ragazzini». Aveva ragione, mi sento proprio come un quattordicenne al suo primo bacio. Forse sarà la gioia della conquista. Strano, però. In questi ventidue mesi separato da mia moglie sono stato con venti donne diverse e non avevo mai provato una sensazione simile. Il ristorante era bello. Le musiche dei Beatles suonate dal vivo un sottofondo familiare. Il filetto e la Weissbier erano ottimi. Le patate però erano ricoperte di aglio tritato. Lei le ha assaggiate e io ho dovuto mangiarne una: non volevo sentire sapore di aglio al nostro primo bacio. Le ho cantato Celentano. Cose da pazzi. Un demente italiano in trasferta. Ma l'ho fatta ridere, veramente fondamentale al primo appuntamento. «Le donne vogliono mangiare pesce e ridere, gli uomini mangiare carne e scopare. Quale sarà il compromesso possibile?» La desideravo, vorrei che adesso fosse qui con me. No, ho fatto bene a non domandarle nulla. Ci vuole pazienza. Bisogna ricordare sempre che: “È il dramma di dire tutto in un attimo che rovina chi è troppo solo. Questa smania che ci prende di aprire noi stessi e di darci, così indifesi, a qualcun altro. Splendida illusione, che ci dona la gioia di essere in due, finalmente in due. Finché, di nuovo soli, ritorniamo dai nostri fantasmi.” Sono arrivato questa sera, dopo un viaggio di più di otto ore e l'ho baciata. Per oggi può bastare. Con una milanese non sarebbe stato


20 possibile. Prima di un bacio, avrebbe voluto uscire a cena almeno tre volte, in ristoranti scelti da lei. Poi, forse, mi avrebbe baciato, per incominciare quel logorante tira e molla del “vengo da te, no, non oggi, forse però ti bacio ancora in macchina, no, non sta bene. Andiamo al mare per il fine settimana, a Santa o al Forte naturalmente…” Voglio ricordarmi di questa serata, sono stato molto felice con Masha. Scriverò un racconto dal titolo Cervelli in figa, un racconto contro queste milanesi che ci costringono al turismo sessuale. La cameriera era bellissima: minigonna, tacchi a spillo, occhi grigi. Troppo giovane per me. Masha no, lei è perfetta. Domani compirà quarantadue anni. Le ho comprato un profumo di Hermès, glielo darò insieme a tre rose. Ora mi metto a letto a leggere Nabokov. Prima però le mando un sms: “Wow Masha. Buonanotte.”


21

5.

Mi sono svegliata, ho acceso il telefono e trovato il suo sms: “Wow Masha. Buonanotte.” Mi ha fatto piacere. Oggi è il mio compleanno. Avrei voglia di correre da lui, ma devo passare al lavoro, almeno questa mattina. La sveglia ha suonato alle sette, come sempre. È una bellissima giornata. Ho portato fuori Jodie – il mio cane – in vestaglia e ho preparato la colazione: latte e cereali. Ora voglio mettere un po' in ordine la casa. È piccola, un monolocale. Ma è mia, l'ho ereditata dai miei genitori. Sono cresciuta qui, al primo piano di questa krusciovka – un prefabbricato dell'era di Krusciev. I miei genitori dormivano sul divano letto e io in un lettino dove ora c'è il televisore, poi – più grande – in cucina. Dalle due finestre vedo l'orto, con le verdure coltivate dai vicini. Io ho piantato dei tulipani, dove c'era l'orto di papà. Papà avrebbe tanto desiderato un'automobile. Non è mai riuscito a comprarsela. Io so guidare, ma non ho un'automobile. Vladimir ha voluto che prendessi la patente e mi faceva guidare, qualche volta, la sua Volga. Poi si è comprato una Volkswagen e non ha più voluto farmela usare: aveva paura che la rovinassi. Mi piaceva la Volga o, forse, allora mi piaceva ancora Vladimir. Ricordo quelle serate insieme come il periodo più bello della mia vita. Sognavo di avere dei bambini. Invece, in un attimo mi sono ritrovata sola. E oggi compio quarantadue anni. Scrivo un sms a Giulio: “Vengo verso mezzogiorno. Un bacio.” Mi risponde subito: “Buon compleanno Masha!” Sull'autobus ripenso a ieri sera. È un bell'uomo, è divertente, ma a momenti è tristissimo. Glielo si legge negli occhi, verdi come i miei. Mi ha raccontato che con sua moglie era felice. Sono stati insieme per diciotto anni. Poi lui ha avuto un'ischemia cerebrale, è stato in coma e si è risvegliato. Ma ha perso tutto, il suo lavoro, i soldi e sua moglie, che si è innamorata di un altro. Vuole molto bene a sua figlia Celeste e le ha dedicato un racconto che ha vinto un premio letterario. Sarà capace di superare un passato così? In fondo, anch'io ho molte cose tristi da lasciare dietro le spalle. Mi ha scritto “Le uniche persone con


22 cui mi interesserebbe stare ora sono artisti o persone che hanno sofferto: quelli che sanno cosa è la Bellezza e quelli che sanno cosa è il Dolore, non mi interessa nessun altro” (Oscar Wilde, De profundis). Lo capisco. Il dolore dà profondità alle persone e le rende capaci di apprezzare le piccole gioie della vita. La bellezza, poi, è proprio indispensabile – ancora di più in un posto triste come Donetsk. Mi ha detto che ora sta bene. Lo hanno operato al cuore, è stato male per sette mesi, ma è guarito. E non prende medicine. Voglio che stia bene. Ho orrore del dolore. Ho visto morire i miei genitori, ancora giovani, una dopo l'altro. È stato terribile. Io ho voglia di vivere. Ho sempre pensato che avrei visto il mondo, che sarei stata a Milano, a Parigi e a New York. Con lui potrei andarci. No, non mi devo illudere. Potrebbe essere come Giuseppe: un bastardo con un bel cazzo, ma senza cuore. Prenoto il ristorante per questa sera. Al lavoro incontro Galya, la mia migliore amica. Mi corre incontro e vuole sapere com'è andata. «Bene, è un bell'uomo. Un po' invecchiato rispetto alle foto, ma gentile e simpatico.» «Hai dormito da lui?» «No, certo che no.» «Come certo che no, è venuto apposta. E tu l'hai fatto venire…» «Sì, ma resta fino a lunedì. Ci siamo baciati e me ne sono andata a casa.» «Ahi ahi ahi Masha, ti sei innamorata.» «Smettila Galya, mi piace, ma non mi sono innamorata.» «Se ti fosse soltanto piaciuto, avresti dormito da lui.» «Può darsi che lo faccia.» «Appunto, se s'innamorerà anche lui. Masha, hai quarantadue anni… A proposito: Auguri!» «Grazie.» Ci abbracciamo e lei mi sussurra in un orecchio: «Vinci le tue paure. Goditi la vita, Masha.» Mi metto a disegnare un modello della nuova collezione. Arriva un sms di Giulio: “Masha, ho bisogno un computer. Per favore, portami il tuo in albergo. È molto importante. Grazie, a più tardi. Giulio. P.S. Mi sei mancata, questa notte. Mi piaci.” Gli rispondo: “OK”, ignorando il resto. Dopo un paio d'ore termino il disegno, saluto Gayna e riprendo l'autobus verso casa. Prima di prendere il computer e chiamare il taxi


23 che mi porterà al suo albergo, vado a guardarmi nello specchio del bagno. Rimetto il lucidalabbra. Mi spruzzo un po' di profumo. Per avere quarantadue anni sono ancora carina. Certo, ho le prime rughe intorno agli occhi e i capelli bianchi sotto le meches… Mi ha scritto tante volte che non vuole una donna troppo giovane, spero che non cambi idea. Telefono al taxi e vado da lui.


24

6.

Non dormo una notte intera da quasi due anni. Non posso prendere sonniferi. Mi manca il corpo di mia moglie. A volte, per disperazione, faccio dormire sul tatami il mio cane We-go (un cuore che batte accanto al mio cuore). Ma qui a Donetsk sono solo. La camera d'albergo è silenziosa, il letto è comodo. La prima serata con Masha è andata bene, Il libro di Nabokov (Parla, ricordo) concilia il sonno. Eppure, dormo pochissimo e mi sveglio alle sei. Per fortuna qui sono le sette, così posso lavarmi, fare la barba e scendere a fare colazione. Davanti alla doccia c'è un grande specchio. Mi vedo nudo. I peli grigi sul torace m'invecchiano. Forse dovrei tagliarli. Quelli del pube li tengo rasati, come mi ha insegnato Wiga. Da sposato, non mi ero mai posto il problema dei peli. Ora, venti donne dopo la fine del matrimonio, sono diventato vanitoso. Eppure, di venti ne ricordo bene soltanto tre. Come il vecchio Casanova (grande scrittore), non do alcuna importanza alle nuove conquiste: forse sto entrando nell’età della nostalgia, quella dove non si desidera altro che rivivere le esperienze felici del passato. Donne di una notte, massimo due, che non mi hanno lasciato nulla. Non sono fatto per quella vita: siti per incontri, appuntamenti al buio, sesso senza amore. Sono stato fedele a mia moglie per diciott’anni e far l'amore con lei mi piaceva l'ultima notte come la prima. Forse è stato un miracolo – o forse ci amavamo. Ma anche l'amore è un miracolo, che non si ripete a quasi cinquant'anni. Di Marija, però, mi ero innamorato. Certo, ventotto anni, un metro e settantotto, hostess dell'Aeroflot… Mi ha lasciato pochi giorni prima della presentazione del mio romanzo. Per questo, nel filmato su YouTube sono triste. Avevo scritto il discorso insieme a lei e non è neppure venuta ad ascoltarmi. A ventotto anni si può ancora essere crudeli con chi ci ama. Ora io non ne sarei capace. Masha mi è sembrata dolcissima. Sa che io potrei essere la sua ultima occasione, sotto molti aspetti. Non voglio illuderla. Non voglio comprarla, non voglio prometterle nulla. Voglio stare con lei e lasciare il resto al Destino: «Se avremo voglia di rivederci – e rivederci ancora –


25 allora sarà amore.» Mi stanco delle persone. O forse inizio a rendermi conto che la solitudine è orribile, ma essere soli è anche molto comodo, per certi aspetti. È mia moglie che pensa a Celeste, che la porta a scuola tutte le mattine, che sopporta i suoi (rari) capricci. Io, intanto, me ne sto nascosto nel mio bilocale a scrivere, di giorno o più spesso di notte, senza nessuno che mi rompa le scatole – salvo quei rari clienti che ancora si affidano a un avvocato la cui carriera è stata spezzata in un secondo da un'ischemia cerebrale. Un giorno a settimana faccio il consulente nell’ufficio legale di una banca, per pagare gli alimenti. Non sono più un avvocato, non sono ancora uno scrittore. Sono un uomo di mezz'età ma ancora mezzo vivo, sono un maudit ma soltanto a metà. Sono un russo bianco e uno spaghetti negro (epiteto che mi è stato rivolto a Montreal, da un franco–canadese, durante una partita di biliardo e che ho sempre considerato un complimento – forse perché la mia risposta è stata: “Oui, ma queue est plus longue que la votre”). Sono il Visconte dimezzato di Italo Calvino o forse sono soltanto uno come tanti, a cui il Destino ha giocato un brutto scherzo. “Devo trasformare in utile tutto quello che mi è accaduto… La superficialità è il peggiore dei vizi. Tutto quello che viene compreso è giusto” (Oscar Wilde, De profundis). Mi metto in jeans e camicia di Brooks Brothers e scendo a fare colazione. L'albergo non ha una sala da pranzo, ma è collegato a un food market, in realtà un self-service aperto al pubblico. Mi viene data una tessera magnetica per pagare la colazione, con cui posso prendere quello che desidero con un limite di spesa di quarantacinque Hryvnia (poco più di quattro euro). Mi rendo conto che qui sono un mucchio di soldi e con un succo di frutta, un caffè e una fetta di torta ne spendo la metà. Mi siedo in un angolo e osservo le persone che mangiano, alle sette e trenta del mattino, salame, wurstel, uova e varenyky (ravioli ucraini). Ci sono alcuni uomini in giacca e cravatta e qualche ragazza in minigonna e tacchi a spillo. Non belle ma giovani e appariscenti. Però volgari. Odio la volgarità, non riesco a perdonarla, mai. Un sms di Masha: “Vengo verso mezzogiorno. Un bacio.” Le rispondo subito: “Buon compleanno Masha!" Finisco la mia colazione e vado a fare una passeggiata. Fa caldo, è una magnifica giornata di sole. L'albergo è in un ampio viale. Sul lato opposto, c'è la cattedrale (ortodossa, naturalmente), con le cupole dorate e la classica vecchietta che spazza i gradini. Ricordo la prima


26 volta che sono entrato in una chiesa ortodossa, a Bucarest con Wiga. Non credo in nulla, ma lei voleva che io ringraziassi il Signore perché stavo bene. L'ho fatto, facendo il segno della croce – al contrario, alla maniera ortodossa, come lei. Serio, senza sorridere. Perché la religione è una cosa seria e non sono contento di non avere fede. Poi siamo usciti nella neve di gennaio, abbracciati. Nella mia vita ho amato tre sole donne: mia moglie Paola, Wiga e Marija. Certo, l’amore per Paola non è neppure accostabile agli altri: “È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.” (Antoine de SaintExupéry, Il Piccolo Principe). Ne ho avute molte altre e, a volte, ho creduto di amarle. No, non era amore. Ma il vero amore lo si riconosce quando lo si perde. E io sono solo. “La solitudine è un anticipo di vecchiaia” e io non sono vecchio. Per questo sono qui. Cercherò una compagna dovunque sia necessario, su tutti i siti per incontri, in ogni angolo del mondo – e la troverò. Lancio un ultimo sguardo alla vecchietta che spazza i gradini. Anche lei è sola, ma s'illude che esista Dio. S'illude di essere amata, da un padre che la sta aspettando per renderla finalmente felice. E l'illusione di un amore, di sicuro, la aiuta. Per me la vita eterna non esiste. “La vita è lineare, dal punto A al punto B. Non è circolare, non è eterna. La nostra vita è adesso Masha e io voglio conoscerti.” Cammino verso il centro. È una strana città, senza alcun edificio storico. Casermoni popolari in periferia e condomini tristi e squallidi nel centro. Soltanto davanti al Donbass Palace Hotel c'è una bella fila di edifici colorati che sembrano più vecchi. Sulla strada, negozi di abbigliamento con nomi italiani, ancora chiusi. Poche auto, soprattutto coreane e giapponesi. Davanti al Donbass Palace, una Porsche Cayenne S nuova fiammante. Mi allontano dal centro nella direzione opposta al mio albergo. La città ha viali ampi ma nessuna eleganza. Così diversa dallo splendore decadente di Budapest – dove mi sono rifugiato a leccarmi le ferite al termine del mio folle viaggio di seimila kilometri in macchina (Milano, Beaulieu sur Mer, Maribor, Bratislava, Zakopane, Budapest, Vienna, Milano) dopo avere lasciato la mia famiglia – o dal fascino di Lipscani a Bucarest, dove ho amato Wiga. Soltanto lo stadio è veramente bello. Appena costruito, per i campionati europei di calcio che si terranno qui e in Polonia. Cammino per circa mezz'ora, poi torno indietro verso l'albergo. Rifaccio la stessa strada, per non perdermi. Trovo una fioraia e compro tre rose rosse. Le pago una vera fortuna – più che a Milano – e penso che debbano essere


27 un fiore raro in questa parte del mondo. Proprio un attimo prima di entrare nella hall, mi arriva un sms: “Giulio, devi assolutamente approvare l'editing. L'editore vuole la versione definitiva entro oggi. Enrica.” È venerdì. Certo, mi sono dimenticato di rispondere alla mail di Enrica. Il mio racconto Celeste verrà pubblicato, ho vinto il concorso letterario di Mondoscrittura. È la mia seconda pubblicazione, dopo il mio folle romanzo, Confessioni di un pazzo di raro talento. Ma non ho un computer. Scrivo un sms: “Masha, ho bisogno di un computer. Per favore, portami il tuo in albergo. È molto importante. Grazie, a più tardi. Giulio. P.S. Mi sei mancata, questa notte. Mi piaci.” Mi risponde “OK.” Salgo in camera, prendo il libro, metto fuori dalla porta il cartello “Please make up room" e scendo a leggere, seduto sul divano, vicino alla porta. Verso mezzogiorno salgo in camera e mi metto sul letto a guardare la televisione. Ci sono moltissimi canali e dopo un po' di zapping lascio MTV di sottofondo e prendo qualche appunto sul taccuino Moleskine. Voglio partecipare al Premio Letterario Cesare Pavese, ma non ho un racconto adatto. Troppo sesso, troppe battute di dubbio gusto. Non credo che una giuria capirebbe il mio mondo orgasmocentrico. Scrivo per una mezz'ora, poi suona il telefono della stanza. È Masha: «Ciao, sono arrivata. Scendi?» «Hai portato il computer?» «Sì, certo.» «C'è il collegamento wireless nella hall?» «Aspetta che domando.» Sento che parla col concierge. Poi mi dice: «No. C'è soltanto in camera.» «Allora sali un momento, per favore.» «OK.» Bussa alla porta, vado ad aprirle e la abbraccio. «Auguri.» La prendo per mano e la porto dentro, per darle il profumo e le rose. È nervosa, sembra esitare. A voce bassa mi dice: «Tieni il computer. Ti aspetto giù.» «Un attimo, almeno aiutami ad accenderlo.» Appoggio il portatile sulla scrivania, attacco l'alimentatore e mi siedo. Masha è in piedi, alla mia sinistra. Mi dice quello che devo fare. Ha una mano appoggiata accanto alla mia. Le trema la voce. Impercettibilmente, ma le trema. Mi giro e la fisso. Fa finta di nulla, continuando a spiegarmi cosa devo fare. È soltanto un istante, ma sono


28 certo che mi desideri. È spaventata e mi desidera. È mia. Timida e tremante, ma è mia. La sua ansia mi eccita. Mi alzo di scatto e la stringo. Tra le mie braccia implora «No.» La bacio. Cerca ancora di resistere, ma la mia lingua è tra le sue labbra. Rotoliamo sul letto. Una mano è già sotto la sua camicia, a cercare il gancio del reggiseno. Geme e si abbandona. Sbottono la camicia e vedo i suoi capezzoli per la prima volta. Le slaccio i jeans e infilo la mano sinistra negli slip. È mia. Con il candore di una vergine si lascia spogliare e poi fare tutto. Viene una prima volta, ansimando. Getto a terra i vestiti, mi metto un preservativo e la prendo, prima piano piano, poi sempre più forte, sempre più a fondo, finché grida e mi graffia i fianchi. Vengo anch'io e restiamo abbracciati, mano nella mano.


29

7.

Non volevo farlo, ma è stato più forte di me. Come l'ho visto, sulla porta della sua stanza, ho capito che ero sua. La mia resistenza è durata un attimo, poi il desiderio è cresciuto fino a esplodere quando è sceso tra le mie gambe. Sono venuta e senza che avessi il tempo di riprendermi l'ho sentito dentro, sempre più a fondo. Sono venuta di nuovo – è venuto anche lui. E ora è tra le mie braccia, nudo. Mi accarezza i capelli e mi sussurra: «È stato bellissimo. Mi piaci.» Lo stringo. Sento il suo sesso sulla mia coscia, non ho neanche avuto il tempo di guardarlo. Ma lo sentivo fino in fondo, ogni suo movimento mi strappava un gemito. Si mette su un fianco e mi accarezza un seno con la mano sinistra. «Masha, hai un seno perfetto. Mi piaci da matti.» Si mette in ginocchio e mi guarda. Poi va giù, a guardare da vicino il mio sesso. Lo accarezza con il palmo della mano. Mi apre le gambe e mi guarda. Mi vergogno, le richiudo. Mi abbraccia di nuovo e mi dice: «Dobbiamo guardarci, non ci siamo mai visti.» Mi mostra il suo tatuaggio, sulla spalla, poi una cicatrice sul torace. È un bell'uomo e non si vergogna di essere nudo. Guardo il suo sesso e se ne accorge. Mi prende la mano e ce la mette sopra. Mi stringe e mi dice: «Stiamo così, a coccolarci.» Mi bacia dolcemente. Mi accarezza e il suo sesso cresce nella mia mano. È lungo e dritto. Ora è di nuovo duro, ma mi toglie e mi sussurra: «No, soltanto coccole.» Prima mi ha preso con forza, ora è dolcissimo. Mi piace. Restiamo così, dieci minuti, forse venti. Poi mi chiede se ho fame. «Sì, un po'.» «Anch'io, andiamo a mangiare.» Ci laviamo insieme. Si eccita di nuovo sotto la doccia, ma subito esce e si asciuga. Resto in bagno da sola e per un secondo penso che sarebbe bello lavarsi insieme, nella nostra casa, la domenica mattina. No, non mi devo illudere. È venuto per portarmi a letto e c'è riuscito. Nulla di più. Per fortuna, mi vengono in mente le parole di Galya: “Vinci le tue paure. Goditi la vita, Masha.”


30

8.

Rispondo a Enrica: “Cara Enrica, l'editing è perfetto. Ti ringrazio di avere migliorato il mio racconto.” Ci sono tre nuove mail da Fdating. Avrei voglia di aprirle, ma Masha potrebbe uscire dal bagno e restarci male, vedendomi qui, nudo, a rispondere a qualche russa col suo computer. I siti per incontri sono utili (utilissimi direi), ma creano dipendenza. Si è soli e la mattina, appena acceso il computer, è bello trovare dei messaggi. Sono di persone sole, come noi, che cercano compagnia. Non sempre l'amore. A volte soltanto sesso, altre qualcuno con cui chattare. C'è di tutto, anche puttane, truffatrici e stalker. Ma questo è un aspetto normale. L'aspetto meno normale, è che si chatta con persone che non abbiamo mai incontrato. Ci si racconta tutto, proprio perché non conoscersi facilita una sorta di confessione. Ci si illude di aver trovato una persona che ci capisca. Poi, a volte, l'incontro è una terribile delusione. Piacersi dipende da tante cose, ma soltanto di persona, uno davanti all'altra, si scopre se c'è attrazione. Una sera, dopo tre settimane di messaggi sempre più intimi, ho finalmente incontrato una ragazza lituana. Nelle fotografie era bellissima. Scriveva cose meravigliose. È salita in macchina e ho capito che proprio non mi piaceva. Era sciatta, invecchiata male. Eppure, già le volevo bene, dopo tante serate a scriverci. Lei mi guardava e giuro che ho avuto la sensazione che anche lei fosse delusa: sono sciupato anch’io. Abbiamo cenato, naturalmente pesce e risate poi, in strada, ci siamo baciati. Nessuno dei due era piaciuto all'altro. Ci siamo baciati per educazione, per non deludere l'altro. Ci siamo ripromessi di rivederci, di scriverci – e non lo abbiamo mai più fatto. Sembra una storia incredibile, ma è vera. Masha esce dal bagno, avvolta nell'accappatoio. È in imbarazzo. Raccoglie i vestiti e si gira verso il muro per metterseli. Col computer ho finito. Lo spengo e mi vesto anch'io. Vado da lei, seduta sul letto. Le sollevo il mento e le dico: «Masha, non essere triste. È stato bellissimo.» Sorride appena. Abbiamo appena fatto l'amore, quasi se ne


31 vergogna. Mi fa tenerezza. Non mi capita quasi mai: ho voglia di conquistarla.


32

9.

Camminiamo mano nella mano. Porta lui il mio computer. Passando davanti alla cattedrale ortodossa mi domanda se credo in Dio. Gli rispondo: «Sì, certo.» «E credi anche nella resurrezione?» «Sì: credo che incontreremo di nuovo le persone che abbiamo amato in questa vita e con loro saremo felici, come una volta.» Mi fissa con gli occhi lucidi. Sta per mettersi a piangere. Gli uomini non devono piangere, non mi piace che pianga. Io non ho più pianto, da quando è morta la mamma. E poi, cos'ho detto? «Giulio, smettila. Per favore, smettila.» «OK, scusami. È stato un attimo, ho pensato a una cosa. Anzi, mi hai fatto pensare a una cosa. Hai una strana idea della resurrezione, ma mi piace.» Ho paura che quest'uomo sia un debole. È troppo sensibile, così diverso da Vladimir. Un uomo deve essere forte, coraggioso. Troppi uomini finiscono male per la loro debolezza. Bevono, non reagiscono davanti alle difficoltà e si lasciano andare. E noi donne dobbiamo accudirli come se fossero dei bambini. Io non voglio un bambino, voglio un uomo. Non sono sua madre. Forse mi sono illusa che potesse essere perfetto: non lo è e ora inizio a scoprire i suoi difetti. Far l'amore è stato bello, ma la vita è difficile, non è un attimo di poesia. Entra nel ristorante davanti a me e domanda un tavolo. Ma qui la cameriera non parla inglese e devo parlarle io. Ci sediamo accanto a una finestra. Il menu è soltanto in ucraino, gli chiedo cosa voglia mangiare. Ordino, petto di pollo con purè per lui e varenyky per me. Siamo seduti uno davanti all'altra, per la prima volta (ieri eravamo uno accanto all’altra). Giulio osserva i manifesti in francese sulle pareti: «Perché ci sono tutti questi manifesti in francese?» «Perché il proprietario si è ispirato ai bistrot parigini, almeno credo.» «Ci sono molti manifesti della Costa Azzurra.» «Sì, la Costa Azzurra è il sogno di tutti.»


33 «Vorresti andarci?» «Certo.» «Io e la mia ex moglie abbiamo avuto casa prima a Montecarlo, poi a Beaulieu sur Mer. Ci siamo conosciuti a St. Tropez. Sono andato in Costa Azzurra fin da bambino. I miei nonni avevano una grande villa art déco a San Remo – sulla riviera dei fiori italiana – e io ci andavo sempre.» Lo ascolto e penso a quanto siamo diversi. Non so perché sia venuto, cosa ci trovi in me e sento che non può funzionare. Per fortuna arriva il suo pollo e la smette di parlare. Per curiosità, o forse per educazione, gli domando se parli il francese. «Sì, ho avuto una tata di Lione. Poi, in Canada, l’ho imparato guardando la televisione. Mi piace leggere Georges Simenon in francese, è uno dei miei scrittori preferiti.» «Mi hai scritto spesso del Canada. È bello?» «Sì, è un paese molto bello. Ma forse ne parlo perché ho nostalgia dei miei vent'anni.» Ride. Poi però aggiunge, serio: «Oggi, però, sono un uomo migliore.» Mi sembra sempre sincero, quando parla, però parla troppo. Sta per aggiungere qualcosa, ma lo interrompo: «Stai per dirmi qualcosa di triste. Non farlo. Oggi voglio essere felice. Qualunque pensiero fosse, per favore, dimmelo domani.»


34

10.

Crede in Dio. E crede che “incontreremo di nuovo le persone che abbiamo amato in questa vita e con loro saremo felici, come una volta.” Stavo per mettermi a piangere. Ha compreso che “Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione" (Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere). Ma, a suo modo, ha pensato a un rimedio: il tempo della nostra vita avanza in linea retta. Ma quando moriremo torneremo indietro, alla nostra felicità. La sua è la più bella delle illusioni: rivivere la felicità, insieme a coloro che abbiamo amato. Sono commosso dalla poesia di questa sua convinzione. E, una volta ancora, ho la conferma che un'illusione può renderci più felici. Allora, perché non riesco a illudermi anch'io? L'intelligenza non ha nulla a che vedere con l'illusione. Forse non ho sufficiente fantasia. O forse voglio soltanto continuare a compatirmi. Poi penso che, in fondo, m'illudo anch'io. L'illusione di essere uno scrittore, uno scrittore vero, prima o poi. E questa illusione mi rende felice. Mentre ci rifletto mi dice brusca: «Giulio, smettila. Per favore, smettila.» Esco dalle mie riflessioni, per risponderle: «OK, scusami. È stato un attimo, ho pensato a una cosa. Anzi, mi hai fatto pensare a una cosa. Hai una strana idea della resurrezione, ma mi piace.» Ma non riesco a riprendermi. C'è in me un fondo di tristezza che non vuole andarsene. Il ristorante, poi, è tappezzato di manifesti della Costa Azzurra e la nostalgia del mio passato felice mi assale. No, non la sto conquistando, la sto perdendo. Nulla è peggio che un attimo di depressione: lo sguardo si abbassa, ci si siede di traverso, non la si fa ridere e la si perde. Per mesi non sono riuscito a stare con nessuna donna, nessuna. Poi ho capito cosa dovessi assolutamente evitare e ne ho avute venti. Ora sono al tappeto, e l'arbitro ha già iniziato il conteggio del K.O. Mi domanda della Francia, ma la sento fredda. Le racconto qualcosa, poi le dico che oggi sono un uomo migliore. Vorrei


35 spiegarle il perché, ma mi interrompe: «Stai per dirmi qualcosa di triste. Non farlo. Oggi voglio essere felice. Qualunque pensiero fosse, per favore, dimmelo domani.» Poco fa abbiamo fatto l'amore – ed era mia. Ora la sto perdendo. La conquista è un gioco difficile, basta un niente e si deve ripartire da capo. Vuole essere felice. Anch'io. Ma non posso abbandonarmi tra le sue braccia per dimenticare tutto, devo farle capire che voglio costruire tutto, che ho la forza di ricostruire tutto, insieme. Progettare il futuro, esserne l’artefice. Non semplicemente dimenticare il passato. Altrimenti sarà stata soltanto l'ennesima avventura. Come nel racconto Le notti bianche di Dostoevskij: il nostro amore si spegnerà alle prime luci del mattino, davanti alla realtà del giorno.


36

11.

Finiamo di mangiare in silenzio. Tiene la testa bassa, leggermente inclinata a destra. Ogni tanto mi fissa e non riesco a sostenere il suo sguardo. No, non è come Giuseppe. Giuseppe era un uomo, prendeva quello che voleva senza curarsi di nulla. Giulio è fragile come un bambino, vorrebbe curarsi di tutto. E questa sua ansia diventa un'angoscia che comunica agli altri e spaventa. I suoi occhi sono trasparenti, riflettono ogni emozione. Forse dovrei provare compassione, ma non ci riesco. Magari è meglio così, perché la compassione è la fine del desiderio. Siamo troppo diversi, non ho voglia di stare con lui. Inventerò una scusa e lo lascerò al suo albergo. Telefono a Galya e le dico che torno in ufficio. La sento delusa, ma mi dice: «Va bene Masha, resto ad aspettarti.» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

Parte prima: La primavera (Adagio) ........................................... 5 1. ............................................................................................... 7 2. ............................................................................................. 12 3. ............................................................................................. 16 4. ............................................................................................. 19 5. ............................................................................................. 21 6. ............................................................................................. 24 7. ............................................................................................. 29 8. ............................................................................................. 30 9. ............................................................................................. 32 10. ........................................................................................... 34 11. ........................................................................................... 36 12. ........................................................................................... 37 13. ........................................................................................... 39 14. ........................................................................................... 42 15. ........................................................................................... 44 16. ........................................................................................... 46 17. ........................................................................................... 47 18. ........................................................................................... 49 19. ........................................................................................... 51 20. ........................................................................................... 53 21. ........................................................................................... 54 22. ........................................................................................... 56 23. ........................................................................................... 58 24. ........................................................................................... 60 25. ........................................................................................... 62 26. ........................................................................................... 64 27. ........................................................................................... 67


28. ........................................................................................... 69 29. ........................................................................................... 71 30. ........................................................................................... 73 31. ........................................................................................... 75 Parte seconda: L’estate (Andante) ............................................ 77 1. ............................................................................................. 79 2. ............................................................................................. 81 3. ............................................................................................. 86 4. ............................................................................................. 87 5. ............................................................................................. 88 6. ............................................................................................. 89 7. ............................................................................................. 91 8. ............................................................................................. 92 9. ............................................................................................. 95 10. ........................................................................................... 96 11. ........................................................................................... 98 12. ........................................................................................... 99 13. ......................................................................................... 100 14. ......................................................................................... 102 15. ......................................................................................... 103 16. ......................................................................................... 105 17. ......................................................................................... 107 18. ......................................................................................... 108 19. ......................................................................................... 109 20. ......................................................................................... 115 21. ......................................................................................... 116 22. ......................................................................................... 118 23. ......................................................................................... 119 24. ......................................................................................... 127 25. ......................................................................................... 132 Parte terza: L’autunno (Allegretto)......................................... 135 1. ........................................................................................... 137


2. ........................................................................................... 139 3. ........................................................................................... 140 Parte quarta: L’inverno (Adagio) ........................................... 147 1. ........................................................................................... 149 2. ........................................................................................... 154 3. ........................................................................................... 159 Parte quinta: La primavera (Allegro con brio) ....................... 161 1. ........................................................................................... 163 2. ........................................................................................... 171 3. ........................................................................................... 172 Epilogo...................................................................................... 175



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.