In uscita il 30/1/2015 (13,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine gennaio 2015 e inizio febbraio 2015 (3,99 euro)
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MARCO SCALDINI
GIALLO E NERO
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GIALLO E NERO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-850-3 Copertina: illustrazione Shutterstock.com
Prima edizione Gennaio 2015 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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LAPDANCE
Quando l’ispettrice Grazia Verdi vide il luogo del delitto, il caldo, per quanto potesse parere impossibile nei trentotto gradi di quella tarda mattinata di luglio, le sembrò ancora più opprimente. D’altra parte doveva aspettarselo; gli omicidi in provincia di Pistoia non erano pane di tutti i giorni e se tuttavia il vicequestore capo non si scomodava e mandava lei, significava che il morto non era certo eccellente. Un extracomunitario, quasi sicuramente; anzi una extracomunitaria, considerando il luogo. L’arrivo a sirene spiegate fece affacciare ai balconi molte casalinghe dei casamenti popolari circostanti; si trattava di una ghiotta distrazione dalle pulizie del mattino. Come sempre quei brevi lampi su aspetti della vita “normale”, che lei non conosceva più, la mettevano in uno stato di sottile disagio, però quando scese di slancio dall’automobile era già completamente concentrata sul suo lavoro. Trovò ad attenderla fuori del locale tre persone: un vigile urbano, una donna in spolverina blu e un uomo alto, grosso, calvo, con baffi, pizzo e due grossi cerchi d’oro massiccio alle
4 orecchie, in singolare contrasto con l’impeccabile doppiopetto blu gessato. Stava dirigendosi verso la montagna, quando l’avevano fatta rientrare precipitosamente; altrimenti avrebbe trascorso la giornata a San Marcello. Ormai le carenze di organico e di mezzi facevano sì che non fosse possibile assicurare un servizio di pattuglia costante per quanto riguardava l’area della montagna pistoiese; chi era libero - se c’era qualcuno - veniva dirottato in zona, altrimenti che si arrangiassero. L’agente di piantone le aveva passato l’ordine di servizio in maniera molto vaga, come sempre quando le comunicazioni avvenivano via radio; in pratica solo l’indirizzo e il codice che significava omicidio. Anche in provincia le intercettazioni sulle frequenze della polizia erano ormai all’ordine del giorno e oltretutto si trovavano in piena estate. In estate i delitti erano necessari, questo lo sapeva bene. Televisioni e giornali durante la stagione calda si alimentavano soprattutto di omicidi, e stavano continuamente all’erta, aspettando, o meglio sperando, in qualche efferato assassinio. Ovviamente non un omicidio qualunque, un banale pregiudicato freddato in un regolamento di conti o un extracomunitario accoltellato da altri extracomunitari. Di quelli non fregava niente a nessuno. Doveva trattarsi di una ragazza giovane e bella uccisa da coetanei, meglio se durante un rito satanico. Oppure, sogno di tutti i giornalisti di nera, di una madre che uccideva il figlioletto. Meno bene, ma pur sempre accettabile, l’adolescente che massacrava i genitori perché non gli davano abbastanza soldi.
5 Nei due secondi che le ci vollero per arrivare all’ingresso del locale porno, poiché di quello si trattava, aveva fotografato la situazione e sapeva già chi fosse e cosa facesse là ognuna delle tre persone. Avrebbe potuto scommettere lo stipendio di tre mesi che l’uomo imponente era il proprietario del locale, dove con ogni probabilità avevano trovato uccisa una spogliarellista. Scoperta effettuata poco prima dalla donna in spolverina blu che al mattino si occupava delle pulizie. Il vigile urbano era stato il primo a essere chiamato, forse perché conosciuto, forse perché di passaggio. Fu lui a presentarsi per primo. «Buongiorno.» «Buongiorno, sono l’ispettrice Verdi, della questura di Pistoia.» «Morelli, della polizia municipale di Quarrata.» «Mi esponga brevemente i fatti, prima di entrare.» Mi esponga. Odiava esprimersi in modo burocratico, ma aveva sperimentato che all’inizio serviva a stabilire le coordinate su chi dirigesse le operazioni. «È presto detto. La qui presente signora Manila Del Decchi, circa mezz’ora fa, durante le pulizie del locale, ha rinvenuto un cadavere in un camerino. Ha telefonato a me, perché la conosco e nel panico del momento sono il primo nome che le è venuto in mente, e poi al padrone del locale. Le ho detto di attendermi fuori e mentre mi recavo qua ho allertato la questura. Sono arrivato circa venti minuti fa, ho constatato che la persona fosse davvero deceduta e non necessitasse di un’ambulanza, poi sono rimasto di piantone qui all’ingresso per impedire a chiunque di entrare. Poco fa è giunto il signor Manfrini, titolare del locale.»
6 «Molto bene. La ringrazio e se le è possibile continui ad aiutarmi, per favore. Rimanga qui ancora per un po’ e insieme all’agente che è con me provveda ad allontanare eventuali curiosi. Se dovessero presentarsi dei giornalisti, per ora non rilasci alcuna dichiarazione.» «Sarà fatto.» L’agente era visibilmente al settimo cielo per il semplice motivo di trovarsi impegnato in un’autentica operazione di polizia, addirittura un delitto, piuttosto che nelle multe per divieto di sosta. «Lei, signor Manfrini, e lei, signora Del Decchi, volete seguirmi all’interno, per favore?» Grazia non aveva mai bisogno di farsi ripetere i nomi delle persone, che ricordava subito e per sempre. Dall’esterno il Las Vegas non mostrava alcun segno di riconoscimento del suo essere un locale di lapdance. Un’insegna luminosa, ma sobria e non troppo grande, su un ex capannone industriale di una zona periferica trasformatasi da produttiva a residenzial-popolare era tutto ciò che distingueva quell’edificio dai suoi simili, una serie quasi ininterrotta di monumenti alla crisi economica del comprensorio, stroncato come tanti altri dalla concorrenza della Cina. Appena varcata la soglia d’ingresso ci si doveva arrestare per abituare gli occhi all’oscurità. «Non è possibile illuminare meglio?» «Attenda un attimo, accendo tutte le luci.»
7 Era la prima volta che il titolare apriva bocca e Grazia fu sorpresa di udirne la vocina flebile ed effeminata, che contrastava col suo corpaccione massiccio. L’illuminazione completa non era in ogni caso a giorno e la mancanza di finestre nonché le tappezzerie scure lasciavano comunque all’ambiente un’atmosfera da locale notturno. L’ingresso, a partire dalla cassa - venti euro consumazione compresa - era tappezzato da manifesti di ragazze nude, con improbabili nomi d’arte in inglese maccheronico, da Sharon Forrest a Gilda Perl. Dopo una curva a esse che impediva che dall’esterno fosse visibile qualcosa, si accedeva al locale vero e proprio. Per quanto dall’aspetto non si differenziasse, adesso che era deserto, da una comune discoteca, Grazia ebbe ugualmente un sobbalzo. Era la prima volta che osservava un luogo come quello in cui era finito il suo matrimonio. * * * Era iniziato tutto con la classica uscita serale fra amici. Non che la cosa fosse frequente per suo marito, al contrario si trattava di un’autentica rarità. Lui preferiva di gran lunga trascorrere le serate in casa dedicandosi ai suoi hobby, piuttosto che uscire. Quella sera era stata proprio lei a insistere perché almeno una volta accettasse l’invito degli amici e non se ne rimanesse rinchiuso nello studio a giocare partite di scacchi via internet, dipingendo miniature di soldatini fra una mossa e l’altra. Lo aveva praticamente preso per mano e accompagnato alla porta, dove lo a-
8 veva consegnato in custodia ai tre amici che erano venuti a prelevarlo, quasi di forza, sin sulla soglia dell’abitazione. Il giorno dopo se ne era già pentita. Non per un motivo in particolare, bensì per un presentimento immotivato, che per tutto il periodo trascorso al lavoro l’aveva internamente angustiata. La notte lui era rientrato tardi, quando lei già dormiva, e la mattina lo aveva lasciato a letto senza potergli chiedere se si fosse divertito. Quel presentimento le era apparso confermato in pieno quando lui, conversando a cena, le aveva candidamente confessato che la serata fra amici, dopo un giro nei pub a bere qualche birra, era terminata in un locale di lap-dance. Grazia era rimasta letteralmente a bocca aperta, incapace per qualche secondo non di replicare, ma persino di respirare. Il marito si era meravigliato del suo stupore. Osservare qualche ragazza che si spoglia contorcendosi acrobaticamente intorno a un palo ormai non poteva scandalizzare più nessuno. «Ma quelle ragazze sono lì per rimorchiare clienti!» era sbottata lei infine, non appena recuperato l’uso della parola. «Certo, ma non mi sembra di aver mai sentito di qualcuna che ti obbligasse puntandoti un fucile contro. Se vuoi fai, se non vuoi non fai. Marco, per esempio, ha fatto.» «Marco? Ma è sposato! E cosa ha fatto?» Sapeva di apparire sciocca e di avere un tono di voce stridulo, quasi isterico, ma non riusciva a dominarsi. «Non lo so, prova a chiederglielo tu. A noi non ha voluto dirlo. Si è rinchiuso in un privè con questa biondina che poteva essere sua figlia e ne è uscito con un’espressione soddisfatta, quasi sublime,
9 sul volto. Però non siamo riusciti a cavargli una confessione, neppure un mezzo accenno. Te lo ripeto, provaci tu; è lavoro da poliziotti.» I tentativi di suo marito di tenere la conversazione su un piano scherzoso non la coinvolgevano minimamente. «E tu hai fatto nulla?» Non voleva porre quella domanda, sapeva che non doveva né poteva, perché non avrebbe fatto altro che accrescere l’espressione di scherno divertito sul volto del marito. Ma ormai era a ruota libera e aveva perso anche il poco controllo che fino a quel momento era riuscita a esercitare su se stessa. «Per questa volta no. Ma non è escluso che la prossima volta che mi costringerai a uscire…» Sentirsi presa in giro così apertamente l’aveva finalmente fatta passare dallo shock alla rabbia. Si era data a inveire contro il marito per essersi fatto trascinare in un locale come quello, ma ormai si era posta in situazione di inferiorità e non poté impedire che lui continuasse a prendersi gioco della sua indignazione. E tuttavia l’incidente, o quello che era, si chiuse lì e ogni cosa tornò alla normalità per quattro mesi. Una sera, con la stessa sbrigatività con cui le aveva detto di essersi recato in quel locale, lui le comunicò che se ne andava. Non glielo disse, glielo scrisse. Durante il giorno, mentre lei era in questura, lui aveva preparato le valigie e scritto uno scarno biglietto d’addio, nel quale la informava in maniera ordinaria, come se le avesse riferito che era uscito a comprare il latte, che da quel giorno non si sarebbero più
10 visti e ogni comunicazione per lui poteva inviarla all’indirizzo dell’avvocato, con il quale si chiudevano quelle cinque righe. Di dove andasse non c’era accenno, ma per lei non fu difficile scoprirlo, tramite il suo lavoro. Era convinta anzi che lui non le avesse scritto nulla al riguardo perché era sicuro che sarebbe comunque venuta a saperlo, e si vergognava di confessare apertamente che era andato a convivere con una ventiduenne slovacca, di professione ballerina di lap-dance. * * * «Chi ha lasciato il locale per ultimo ieri sera?» Grazia aveva chiesto alla donna delle pulizie di farle strada verso il luogo in cui si trovava il cadavere. Mentre camminavano aveva rivolto la domanda al titolare. «Io, come sempre. Ma non ieri sera, questa mattina. Quando chiudo la porta esterna e me ne vado difficilmente è più presto delle quattro e mezzo.» «Un’alzataccia poco fa, allora.» «Veramente non ero ancora andato a letto, avevo delle commissioni da svolgere e…» Le ultime parole si persero nella mente di Grazia. Era davanti al corpo della persona uccisa. E conosceva il nome dell’assassino. * * *
11 La sensazione di irrealtà, che si era impossessata di Grazia dal momento in cui aveva letto il biglietto del marito che la lasciava, non l’aveva ancora abbandonata del tutto dopo quattordici mesi. Il suo lavoro la poneva spesso in contatto con situazioni familiari terribili, le quali, prima di quell’evento per lei ancora incredibile, rafforzavano la sua convinzione che a lei mai e poi mai sarebbe potuto accadere qualcosa di simile. La creazione di una famiglia equilibrata, con due persone che riuscissero a integrare armonicamente lavoro e vita fra le mura domestiche, era ciò verso cui aveva teso ogni suo sforzo. Si era sempre illusa di esserci in buona parte riuscita e la mazzata era stata veramente una mazzata, quasi fisica. Si era sentita materialmente colpita da una mannaia e per settimane aveva continuato a portarsi frequentemente la mano destra alla base della nuca, massaggiandosi quel punto come se vi fosse una cicatrice. Con orrore si era a un certo punto resa conto che, se suo marito fosse tornato, lei sarebbe stata addirittura disposta a perdonarlo. Aveva lottato accanitamente contro quel sentimento che poi era stato sconfitto non da lei, ma dal tempo che trascorreva senza che lui non solo tornasse, ma neppure si facesse vivo per farle almeno gli auguri di compleanno. A darle notizie del marito era una collega dell’ufficio immigrazione. Non erano amiche e lei non le aveva chiesto nulla ma un giorno, una settimana dopo il fatto, incapace di tenersi più oltre quel rovello, si era confidata proprio con lei, lasciandola di stucco per la sorpresa, mentre mangiavano casualmente insieme un panino alla tavola calda vicino alla questura.
12 Laura, così si chiamava, non aveva detto nulla, però il giorno dopo le aveva messo un fascicolo sulla scrivania. Questa è la persona che vive con tuo marito: Sylva Gorgesova, nata a Bratislava il 24 giugno 1991, in Italia dal luglio 2009. Così recitava il cartellino apposto sopra al fascicolo verde. Quindi se ne era venuta in Italia appena compiuti i diciotto anni e aveva ormai quattro anni di soggiorno nel nostro paese; il suo fascicolo cominciava perciò ad assumere una certa consistenza. Aveva iniziato lavorando in un night di Rovigo e proprio dai carabinieri di quella città proveniva la prima segnalazione giudiziaria. Nel corso di un’irruzione in una villa della campagna, nella quale erano stati segnalati strani movimenti, i carabinieri avevano sorpreso la troupe di un film porno in piena lavorazione. Fra le persone fermate risultò esserci l’attrice Silvia Gori, nome d’arte della Gorgesova. Dal 2011 si era trasferita a Montecatini, dove lavorava stabilmente facendo spettacoli nei tanti locali per adulti della zona; la sua carriera di attrice pareva aver decollato; possedeva ormai anche un sito internet dedicato. Dopo aver chiuso a chiave la porta del suo ufficio, Grazia si sedette alla scrivania, ancora incerta se fare o no ciò che aveva in mente. La pornografia era un aspetto dell’attività umana che non l’aveva mai minimamente interessata; non poteva dire neppure che ne fosse urtata o disgustata, semplicemente la ignorava e, contrariamente a molte persone che non fanno consumo di pornografia ma che hanno avuto occasione di osservarla casualmente, lei non aveva mai visto neppure un singolo fotogramma di un film a luci rosse. Quasi le tremavano le mani quando digitò
13 www.silviagorixxx.com sentendosi, per quanto sciocca fosse quella sensazione, sporca dentro. Il disclaimer la avvertì che stava per entrare in un sito a carattere pornografico e che se proseguiva dichiarava di essere maggiorenne e consenziente. Cliccò sul consenso. L’immagine della bionda platinata, nuda e a gambe divaricate, fu quasi una liberazione; ecco la donna con la quale se n’è andato mio marito, una che tutti possono comodamente ammirare, esposta con le cosce spalancate, da casa loro, una che probabilmente è in vendita al miglior offerente, una che… Il gioco al massacro dei pensieri durò poco, perché capì che era solo un modo per ingannare se stessa. Evidentemente quella donna, anzi quella ragazza, rappresentava tutto ciò che lei per suo marito non era e non sarebbe mai stata e disprezzarla non serviva a niente. Anche perché era quella, la pornostar, ad avere vinto. Suo marito aveva scelto, nettamente e definitivamente. Il sito era a pagamento e non poté vedere molto oltre la schermata iniziale. Non che ne avesse desiderio; aprì la pagina del free tour, dove era possibile scaricare alcune foto e dei mini video. Vide la donna che adesso conviveva con suo marito impegnata in acrobazie sessuali che lei neppure sospettava esistessero, con due, tre e anche più uomini contemporaneamente. Attivò la procedura di disconnessione, quasi fuggendo dal computer. Quella non fu l’unica volta che la collega le portò notizie. Tornò ancora per comunicarle prima il cambio d’indirizzo, poi una denuncia per atti osceni in seguito a uno spettacolo troppo spinto, e infine la separazione dal suo convivente.
14 I due avevano preso in affitto un appartamento nel quale a tutti gli effetti convivevano, come dimostravano le bollette intestate a entrambi. Lei non aveva però cessato il suo mestiere, considerato che qualche tempo dopo era stata denunciata perché nel corso di uno spettacolo organizzato per una festa di laurea aveva performato atti sessuali espliciti con i partecipanti a detta festa, suscitando la riprovazione di alcuni convenuti, i quali poi l’avevano denunciata. Tre mesi prima, infine, la notizia che suo marito e la Gorgesova si erano presumibilmente lasciati, poiché lei aveva comunicato un cambio di residenza, solo a suo nome. * * * Sylva Gorgesova, in arte Silvia Gori, giaceva nella classica posizione a sacco di patate. I poliziotti chiamavano così i cadaveri che erano stati evidentemente scaricati da qualcuno che li aveva trascinati per poi liberarsene lasciandoli cadere scompostamente, come si fa appunto con un sacco di patate. Era addossata a una delle pareti del camerino, la testa reclinata, gli occhi vitrei, le gambe innaturalmente ripiegate, il volto cianotico di chi è stato soffocato. Grazia si rivolse al padrone del locale. «È questo il camerino della ragazza?» Osservò velocemente la stanzetta adibita al cambio e al trucco, ma ormai sapeva già che non avrebbe trovato niente fuori posto, a meno che l’assassino non avesse voluto simulare una colluttazione, il che non era.
15 Si accorse che il titolare non aveva ancora risposto e si voltò a guardarlo. Era sbiancato in volto e non riusciva a distogliere gli occhi dalla ragazza morta. «Signor Manfrini, si sente bene?» «No. Mi scusi ma io…» La sua vocina era diventata, se possibile ancor più flebile. Si mise una mano alla bocca e corse via. Grazia si accorse di essere fradicia di sudore. Non solo perché l’impianto di condizionamento dell’aria non era acceso e la temperatura probabilmente sfiorava i quaranta gradi, ma anche perché aveva durato molta fatica a controllarsi di fronte alla vista del cadavere e a recuperare la sua freddezza da lavoro. Ma l’aveva recuperata sul serio? Stava procedendo nel modo giusto? Non c’era il pericolo che si lasciasse sfuggire qualcosa? Ricominciò a sudare abbondantemente. Manfrini ricomparve dopo poco. «Vi prego ancora di scusarmi, ma…» «Non importa. L’unica cosa di cui vorrei pregarla, prima di andare avanti, è di accendere l’aria condizionata, o finiremo per sentirci male tutti.» «Certo, provvedo subito.» Grazia tornò a osservare il cadavere, concentrandosi stavolta sull’abbigliamento. Jeans e maglietta, sandalini infradito ai piedi. Non certo un abito di scena; si era già rivestita per tornarsene a casa, o meglio aveva probabilmente già lasciato il locale, visto che qui era stata trascinata in un secondo tempo. Il suo cervello ora lavorava speditamente.
16 «Signor Manfrini, mi accompagni in un giro del locale. Ho alcune domande da porle. Lei signora per il momento può andare, la farò chiamare in questura per la deposizione.» Manfrini era ancora pallido come la cera. Balbettò qualcosa sui danni per l’immagine del locale, poi seguì Grazia docilmente e rispose alle sue domande. A lei rimaneva ora la parte che non era sicura di voler affrontare; l’arresto dell’assassino. * * * Per qualche tempo dopo la notizia del “divorzio” dalla giovane slovacca si era aspettata di vederlo tornare con la coda fra le gambe. Del resto questo era quello che le avevano detto tutti, parenti, amici, conoscenti e anche perfetti sconosciuti, i quali in questi casi si sentono sempre pronti a una disamina della situazione: i quarantenni che prendono una sbandata per le ventenni, dopo qualche tempo “rinsaviscono” e tornano all’ovile. Grazia era ormai ben decisa a non fargli neppure varcare la soglia di quell’ovile, e tuttavia fu un altro colpo per il suo orgoglio che lui smentisse i facili profeti e continuasse a non farsi vivo. Volle darsi una spiegazione con il senso di vergogna che lui provava; sicuramente desiderava tornare, ma non ne aveva il coraggio. Tipico degli uomini. Il coraggio per abbandonarla di punto in bianco non gli era mancato, quello per dichiararsi pentito invece scarseggiava. Questo teorema l’aveva cullata per qualche giorno, finché casualmente non incontrò il suo ex marito. Non si erano più visti
17 dopo il suo abbandono, anche se poteva sembrare impossibile in una città di provincia, dove tutti frequentano gli stessi luoghi. Era invece accaduto che le loro strade non si incrociassero più. Di separazione ufficiale, nonostante lui le avesse lasciato il recapito dell’avvocato, non si era ancora parlato, forse perché nessuno desiderava fare la prima mossa, e il marito non si era più voluto ripresentare a casa, neppure per ritirare le sue collezioni di soldatini. Un giorno, poco dopo la sua fuga, Grazia aveva sentito suonare il campanello all’ora di cena; sorpresa per quella stranezza, lo era stata ancora di più quando aveva scoperto sulla soglia di casa un amico del marito. «Ciao Grazia.» «Ciao Federico. Cosa è successo?» «Niente. Ecco, io…» Era evidentemente in grande imbarazzo. «Accomodati, intanto. Vuoi un caffè? Stavo per farlo.» «No, grazie. Mi dispiace anzi di disturbarti a quest’ora, ma… insomma, vengo al punto. Carlo mi ha affidato un incarico.» «E cioè?» Lo sapeva, lo aveva intuito fin dal momento in cui lo aveva visto sulla porta, ma voleva e doveva dimostrarsi indifferente, perché il suo atteggiamento sarebbe poi stato riferito fin nei minimi dettagli. «Ecco… l’incarico che mi ha dato, te lo dico subito io non volevo, però ha insistito e non ho saputo come rifiutare e allora…» «Ti avrà mica detto di scoparmi?» Federico diventò, se possibile, ancora più rosso.
18 «Che dici? Ti pare che in quel caso mi sarei rifiutato? Cioè, volevo dire, scusa… io…» «Lascia perdere, stavo scherzando. Dimmi pure senza imbarazzo, ci conosciamo da tanto.» «Insomma, avrei il compito di ritirare le collezioni di soldatini di Carlo.» «E che problema c’è? Per Carlo, intendo dire. Non poteva venire a prenderseli da solo?» «Credo che si vergogni.» Non si vergognò invece quando finalmente accadde che si incontrassero casualmente al supermercato. Come in un film banale i loro carrelli si scontrarono mentre entrambi li spingevano guardando gli scaffali. «Mi scusi… oh, sei tu. Ciao.» Le aveva rivolto un sorriso smagliante e aveva proseguito, come se niente fosse, senza imbarazzo né una parola in più, lasciandola lì come una sciocca, incapace di rispondere al saluto. Fu proprio il ricordo di quel sorriso smagliante a convincerla a essere lei a recarsi da lui per interrogarlo ed eventualmente arrestarlo, piuttosto che delegare un collega. * * * Che la morta fosse Sylva Gorgesova, o Silvia Gori che dir si voglia, Grazia lo aveva capito subito. Le fotografie del fascicolo e quelle del sito internet le erano rimaste bene impresse, e ormai lo sarebbero state per sempre. Che l’assassino fosse il suo ex marito
19 lo deduceva dall’ultima in ordine di tempo fra le cartelle che la sua collega le aveva fatto recapitare sulla scrivania. Una denuncia da parte di Sylva Gorgesova nei confronti del suo ex convivente, per molestie e minacce. Dal rapporto risultava che la slovacca si era presentata in questura perché, diceva, l’uomo la aspettava continuamente fuori dalla sua abitazione per cercare di convincerla, quando con le buone quando con le cattive, a tornare con lui. Detto uomo, sempre secondo la deposizione, si recava spesso a importunarla anche nel locale dove lei lavorava, impedendole di intrattenersi con altri clienti. Un delitto di gelosia. Un classico. * * * Quando uscì fuori dal Las Vegas, il caldo era ormai di quelli che prendono alla gola. La pioggia era un ricordo lontano e ogni giorno l’afa arroventava sempre più l’aria delle città. L’esatto contrario di ciò di cui aveva bisogno; un po’ di fresco per schiarirsi le idee. Incrociò il medico legale, col quale scambiò un rapido cenno di saluto, sorprendendosi a invidiarlo per il suo lavoro che si svolgeva in buona parte nel fresco dell’obitorio. Vide l’insegna di un bar e vi si diresse. «Una vodka al melone. Ghiacciatissima.» La reazione di sorpresa del barista si concretò in un unico sopracciglio alzato, come un accento circonflesso sul suo occhio destro.
20 Sicuramente, come chiunque nelle vicinanze, l’aveva vista scendere dall’auto della polizia. «Non si preoccupi, non sono io che guido. E quella balla che gli agenti non bevono in servizio si vede solo nei film.» In due lunghi sorsi il liquido le scese nello stomaco. L’alcol le dava lucidità. Si sedette a un tavolo, dove si trovava La Nazione, con le pagine spillate come si usa nei bar per evitare che vengano disperse dagli avventori. Andò alla cronaca locale e si immerse nella lettura, sperando che funzionasse. In genere se voleva raggiungere una decisione evitava di concentrarsi immediatamente sul problema, creandosi un diversivo artificiale. Proprio nel bel mezzo della distrazione giungeva di solito un’idea utile. Non le bastò né la cronaca locale né quella nazionale. Richiuso il quotidiano, vide su un tavolo accanto Il Tirreno, ma rifiutò di leggersi le medesime notizie in versione diversa, tanto ormai doveva rinunciare. Le sue idee erano più ingarbugliate di prima, ed era una situazione che non sopportava. Era abituata a sapere sempre quale decisione prendere e adesso, più che fastidio, sembrava panico quello che si stava impadronendo di lei. Prima di precipitarvi dentro a capofitto, fece quello che l’istinto le dettava; era già determinata a voler essere lei a occuparsi del caso e adesso si risolse a farlo a modo suo. Era il suo ex marito, era uno stronzo e non si meritava niente, ma voleva comunque andare da lui in via informale e convincerlo a costituirsi.
21 * * * La cosa che maggiormente aveva detestato del marito era il fratello, per cui fu ben poco lieta di trovarselo davanti nello studio. Giovanni, il fratello maggiore, si era sempre atteggiato a genitore nei confronti del minore, sebbene fra i due corressero solo quattro anni di differenza. Rimasti orfani di padre molto presto, il ruolo di guida assunto dal fratello più grande poteva essere stato giustificato, a parere di Grazia, fino a quando Carlo non era diventato adulto; sembrava invece che si trattasse di un’abitudine destinata a perdurare all’infinito. «Oh, Grazia, finalmente!» L’espressione di gioia sul volto di Giovanni fu per lei così inaspettata da lasciarle il dubbio che lui stesse scherzando e prendendola in giro. «Carlo non c’è?» I due fratelli, entrambi architetti, avevano uno studio insieme. «No, stamattina non l’ho visto né sentito, ma è da tanto che spero tu ti faccia viva.» «In che senso?» «Nel senso che io non avevo il diritto di intromettermi e chiamarti, ma pregavo che fossi tu a cercare di far tornare Carlo sui suoi passi. È da quando lui ha fatto quella follia incomprensibile che cerco di perorare la tua causa, convincendolo a rientrare in famiglia.» Il suo tono stucchevole da predicatore televisivo le fece riaffiorare all’istante l’afa che l’aria condizionata dello studio aveva un po’ mitigato.
22 «Veramente non lo sto cercando per motivi privati ma per lavoro.» «Ah.» «Sai dove posso trovarlo?» «Io… ecco, è successo qualcosa?» «Niente, a parte il fatto che è indagato per omicidio, per aver ucciso la sua ex convivente.» Se ne pentì subito dopo. Dire quella frase costituiva la violazione di almeno una decina di norme, ma non aveva resistito alla tentazione e, almeno in parte, ne fu ripagata; l’espressione di desolato e assoluto sgomento che si dipinse sulla faccia del cognato, alla notizia del fallimento totale dei suoi sforzi di una vita per “crescere bene” il fratello minore, costituì un ricostituente più forte del ginseng. «Se lo senti prima che lo rintracci io, digli di contattarmi. Lui il numero del mio cellulare ce lo ha.» Il giorno successivo al suo abbandono, Grazia aveva ricevuto un messaggio sul telefonino che la informava che lui non desiderava più essere contattato neppure al cellulare e perciò cambiava numero. Tanti saluti e grazie. Fatti pochi passi dopo aver chiuso la porta, Grazia si fermò, tornò silenziosamente indietro e appoggiò l’orecchio allo stipite; come si aspettava, sentì Giovanni che batteva furiosamente sui tasti del telefono. A quel punto non fece altro che sedersi su una delle sedie nell’atrio. Trascorsero cinque minuti e Carlo arrivò trafelato. Grazia stentò a riconoscerlo. Barba incolta, capelli arruffati, abiti stazzonati, addirittura calzini di due colori diversi. Stava per passarle oltre di corsa, la vide, incespicò e cadde rovinosamente a
23 terra. Sembrava incapace di rialzarsi e Grazia, a malincuore, dovette dargli una mano. Sostenendolo, lo fece sedere. Era sconvolto. La guardò con occhi spiritati e disse; «Sylva è morta?» Lei lo fissò intenzionalmente a lungo, prima di rispondere. «Ascoltami Carlo. Ascoltami bene. Sei lucido? Sei in grado di comprendere quello che ti dirò?» Lo sguardo rimase stranito, ma lui annuì con convinzione. «Allora fai bene attenzione; io non sono qui, non sono venuta a cercarti e noi non ci siamo mai incontrati. Ti descrivo la tua situazione affinché tu possa valutare correttamente quanto sto per dirti.» Sovrastandolo, lei in piedi e lui seduto, gli enumerò i fatti elencandoli sulla punta delle dita. «Primo: Sylva Gorgesova è stata uccisa. Secondo: era la tua ex amante, la quale aveva sporto denuncia per molestie nei tuoi confronti. Terzo: ieri sera tu eri al Las Vegas, un locale del quale sei cliente fisso, anche se ultimamente poco gradito. Per pura combinazione avevo ancora una tua fotografia nel borsellino e l’ho mostrata al padrone del locale, che ti ha immediatamente riconosciuto; pare che tu ti sia distinto per scenate di gelosia nei confronti della pornostar Silvia Gori, soprattutto mentre costei era impegnata a svolgere il suo lavoro nei cosiddetti privè del locale. Quarto: fumi, a meno che tu non abbia smesso recentemente, cosa che dal tuo alito non si direbbe. Poiché la Gorgesova è sicuramente stata uccisa da qualcuno che l’ha attesa fuori dal locale, mi sono chiesta come fosse stato possibile poi riportarla all’interno.
24 Il proprietario mi ha spiegato che esiste una porticina per “fumatori”, una specie di uscita di sicurezza, però priva di allarme, che consente a chi voglia fumare una sigaretta di entrare e uscire senza troppi problemi. L’ho esaminata. Nel vicolo su cui si affaccia, per terra proprio accanto all’uscita c’era un mattone. Può essere servito per lasciare aperta la porta. Sono solo indizi, ma puntano tutti contro di te. Ti conosco; se ti sottopongono a un interrogatorio come si deve, non reggerai dieci minuti. Per questo ti consiglio di venire con me a costituirti; alleggerirà la tua posizione.» «Sylva è morta.» Lo sguardo perso nel vuoto, il suo ex marito, una volta stimato architetto e coniuge esemplare, non riuscì a dire altro. D’improvviso Grazia capì che era sinceramente sconvolto per la notizia della morte e che lei aveva sbagliato tutto. * * * «Fammi un po’ il quadro della situazione. Ho avuto una falsa partenza e ho bisogno di un punto di riferimento.» Parlava con Di Luca, il capo della buoncostume. «Hai detto che è, anzi era, una slovacca? Questo rende un po’ più difficile conoscere che vita facesse. Scommetto che abitava da sola.» «Esatto.» Le parve inutile precisare che fino a qualche tempo prima aveva convissuto con il suo ex marito. «Fosse stata una russa, sarebbe stato diverso. Qui ogni etnia ha il suo codice di comportamento. Le ragazze dell’est sono il serbato-
25 io inesauribile a cui attinge questo mercato, che è un groviglio inestricabile di prostituzione e pornografia; non ho ancora esaminato la scheda della ragazza che mi hai detto, ma sono sicuro che avrà girato film porno, si sarà esibita nei locali di lapdance e non avrà disdegnato qualche occasionale marchetta.» «Corrisponde tutto, ma perché mi dicevi che ogni etnia ha il suo comportamento?» «Le russe, per esempio, tendono a formare una comunità. Vivono in tre o quattro in un appartamento, si aiutano vicendevolmente, tendono a ricreare una vita sociale autonoma, a Montecatini hanno perfino i loro negozi con le insegne in russo. Le slovacche al contrario sono lupi solitari, cercano di mimetizzarsi nella società, non ci tengono ad affermare nessun tipo di orgoglio nazionalistico. Non dico che con una russa sarebbe stato più facile, perché fanno muro contro le intrusioni esterne, però avremmo avuto delle compagne da interrogare, pedinare e quant’altro. Qui invece dobbiamo partire obbligatoriamente dall’obiettivo comune.» «L’obiettivo comune?» «Non farti ingannare dalle apparenze. Russe, ceche, bulgare, ungheresi, moldave, ucraine hanno tutte un solo e unico obiettivo.» «I soldi?» «Non precisamente. Potrà sembrare strano, parlando di ragazze la più inesperta delle quali in fatto di sesso sarebbe in grado di tenere un corso universitario, ma tutte loro tendono, in ultima analisi, solo alla conquista di un uomo, o meglio di un marito.» «Vogliono sistemarsi?»
26 «Come la più piccolo-borghese delle zitelle di una volta. Un marito italiano è lo scopo della loro vita.» «Ma perché?» «Niente di straordinario, le solite storie di realtà poco piacevoli dalle quali fuggono e che sperano di lasciarsi definitivamente alle spalle con la cittadinanza tramite matrimonio. Prova a pensare al giro di persone che conosci e vedrai che troverai sicuramente qualcuno che ha lasciato la moglie per mettersi con…» Di Luca si fermò di colpo, lasciando a metà il discorso e aperta la bocca, come se gli mancasse il respiro. Ovviamente la storia di Grazia era conosciuta da tutti in questura, ma lui si era perso nella sua esposizione, dimenticando chi gli stava davanti. «Grazia, scusa… io non volevo, è solo che…» «Non ti preoccupare, non c’è niente che possa urtarmi in questo affare, altrimenti non sarei qui a parlartene. Anzi, è proprio partendo dal mio caso che voglio sapere una cosa; quello che io considero il mio ex marito, in realtà lo è ancora poiché, almeno fino a questo momento, non ha mai chiesto il divorzio. Ci sono quindi anche quelle che si accontentano della semplice convivenza?» «Non mi risulta. Una situazione molto comune è questa; l’uomo accalappiato» di nuovo arrossì, accorgendosi di essersi lasciato sfuggire un termine poco rispettoso «be’, insomma, noi li chiamiamo così, è molto ricco e può permettersi di mantenerla in un appartamento, non di rado intestato alla donna stessa, alla quale passa un cospicuo mensile unicamente per essere lì a sua disposizione quando vuole o quando può. Perché ovviamente ha famiglia
27 e la incontra di nascosto. Generalmente queste storie finiscono male o addirittura malissimo.» «Perché?» «Prova a indovinare.» «Il ricatto?» «Esatto. In genere non è la donna stessa, ma un’amica o un altro amante con i quali si è messa d’accordo. Riceviamo mensilmente almeno due o tre denunce di persone ricattate, e puoi immaginare che siano solo una piccola parte coloro che si rivolgono a noi. In più di un caso si arriva al fatto di sangue; il ricattato spara, al ricattatore o a se stesso, il suicidio per disperazione è piuttosto comune.» «Ma se l’uomo non ha abbastanza soldi per mantenerla a vivere da sola e non la vuole sposare?» «Allora finisce invariabilmente scaricato.» * * * Freddezza e distacco. Questi i soli sentimenti che provava di fronte allo spettacolo, per lei poco edificante, del suo ex marito distrutto e in lacrime per la morte di colei che lo aveva prima sfruttato e poi scaricato. Non appena si era resa conto che il dolore di lui era genuino, aveva girato i tacchi e se ne era andata senza voltarsi, seppellendo a quel punto definitivamente il suo passato. Davanti a sé aveva adesso solo un obiettivo; un assassino da scovare. * * *
28 La sera, ormai da settimane, non portava più con sé il fresco. Rientrata a casa, Grazia accese l’aria condizionata. A cose normali avrebbe preferito cenare in terrazza, osservando il panorama della città sottostante, perché era il suo modo migliore per riflettere, ma ormai neppure al quinto piano c’era una brezza degna di questo nome e l’afa opprimente era il nemico peggiore per la chiarezza delle idee. Godendosi il fresco artificiale, si liberò dei vestiti impregnati di sudore e provò il sollievo di togliersi la fasciatura del reggiseno. Non le accadeva mai di perdere troppo tempo davanti allo specchio, ma stavolta si osservò con attenzione a figura intera, nuda, cercando di essere il più critica possibile con il proprio aspetto fisico. A trentasette anni non poteva dire di dimostrarne molti di meno, ma sicuramente neppure un giorno in più. Le due sere alla settimana di piscina le mantenevano i glutei solidi e senza cellulite, il seno era sodo e contrastava ancora bene la forza di gravità. Decise sul momento che avrebbe dato spago a Marciani. Il giovane ispettore, timido e carino, si era fatto avanti la settimana precedente con un goffo invito a cena, al quale lei non aveva ancora detto né sì né no; certo, forse era troppo giovane per lei, ma da parte sua non aveva sicuramente intenzione di dare inizio a una storia seria, e uno del suo stesso ambiente le avrebbe creato meno complicazioni. Fu solo dopo che ebbe cenato con un piatto dietetico scongelato nel microonde che, distesa sul divano, si concesse di ripensare al lavoro.
29 Ovviamente aveva sbagliato tutto in quella giornata. La semplice vista dell’insegna del locale l’aveva posta in uno stato di agitazione interna che non era stata in grado di controllare. La scoperta dell’identità del cadavere le aveva poi fatto saltare qualsiasi corretta procedura di indagine, convinta com’era di avere già il nome dell’assassino. L’aspetto positivo causato dalla morte di quella disgraziata ragazza era che finalmente, nel giro di poche ore, era riuscita a fare i conti con il passato e a chiudere per sempre e definitivamente quella parte della sua vita. Adesso che lo aveva fatto si stupiva di come potesse essere stato semplice, ma forse era stata solo una questione di tempo e maturazione interiore. Il giorno seguente avrebbe ricominciato da capo. Sia l’indagine che la sua vita. * * * «Guardi che il nostro è un ambiente pulito, non ha niente a che vedere con la prostituzione e qui dentro di droga non ne circola. Sappiamo benissimo di essere un settore al margine di ciò che è considerato lecito, perciò se vogliamo vivere tranquilli dobbiamo essere i primi guardiani di noi stessi. Io sono quello che più di tutti si rende conto che le ragazze che lavorano per noi non possono essere degli stinchi di santo e sicuramente, in privato, qualcuna di loro ogni tanto fa anche qualche marchetta. Ma sono affari loro, ai quali il locale è del tutto estraneo.»
30 Aveva ricominciato con colui che, verosimilmente, era più di tutti al corrente delle frequentazioni della vittima, cioè il suo datore di lavoro. «E cosa accade quando una ragazza si ritira con un cliente nel privè?» «Nessun contatto fisico. Assolutamente. Questo viene messo in chiaro subito ed esplicitamente. Nel caso in cui un cliente allunghi le mani, la ragazza suona un campanello e interviene subito la sicurezza.» «E qual è allora lo scopo di portarsi una ragazza in una stanza chiusa, se poi non è consentito farci nulla?» «Si assiste a uno spettacolo fatto appositamente per il cliente.» «Che non sarà poi tanto diverso da quelli che si svolgono sul palco, di fronte a tutti.» «No, in effetti no, però…» «Però la ragazza fornisce al cliente il proprio numero di cellulare.» Di Luca le aveva tratteggiato un quadro ben preciso delle consuetudini di quei locali. «Questo nessuno può impedirglielo.» «Certo, così come nessuno può impedire al cliente di chiamare il giorno successivo la ragazza per fissare un incontro privato.» «Gliel’ho già detto. Di cosa facciano le ragazze in orario non lavorativo, fuori dal locale, noi non possiamo essere ritenuti responsabili.» «Certo, a voi basta far pagare cento euro per dieci minuti di privè.» «Ispettrice, noi…»
31 «Ecco, mi spieghi perché parla al plurale. Eppure mi risulta che lei sia l’unico titolare del locale.» «Io…» «Non sarà perché lei, incensurato, fa da prestanome a un tale Francesco Ingroia, pluripregiudicato per sfruttamento della prostituzione e sospettato di gestire una tratta delle bianche dai paesi dell’est all’Italia?» «Forse è meglio se questo colloquio continua in presenza del mio avvocato.» «Non ce n’è bisogno. Non ho nessuna intenzione di scavare nei suoi affari, che non sono affare mio, scusi il gioco di parole. Io credo che noi due abbiamo un obiettivo comune.» «Noi due?» «Certo. Mi dica un po’; quanta gente pensa di avere nel locale, una volta che saranno tolti i sigilli?» «Che vuol dire?» «Voglio dire che i titoli dei giornali locali oggi erano tutti su questo omicidio. Alla riapertura ci saranno i giornalisti fuori del Las Vegas, per intervistare i clienti abituali. Peccato che questi ultimi appartengano al tipo che non vuol certo vedere divulgata la propria frequentazione, per cui glielo dico io quanti biglietti d’ingresso staccherà; nessuno.» Il proprietario tacque. «La cosa migliore per lei è quindi aiutarmi a scoprire l’assassino. Risolto il caso, anche l’interesse della stampa si dirotterà altrove, e lei potrà riaprire indisturbato.» Il proprietario sospirò.
32 «Cosa le serve?» L’unica cosa risultata rubata alla Gorgesova era il suo cellulare, segno che conteneva il numero dell’assassino. «Il numero di cellulare della ragazza, per poter controllare i tabulati e scoprire chi l’ha chiamata.» Altro sospiro. «Sono in un’agenda nel mio ufficio, all’interno del locale.» «Allora andiamoci subito.» * * * Il suo primo pensiero era stato di mandare un agente a farsi dare il numero da quell’ameba del suo ex marito, ma poi aveva ripensato alla lezione di Di Luca: queste ragazze cambiano il cellulare più spesso delle mutande; specialmente dopo aver mollato un tipo, si affrettano a procurarsi un altro numero per non essere più importunate. Era quindi assai improbabile che Carlo fosse in possesso del numero più recente. Ma il titolare doveva averlo per forza. Durante il viaggio dalla questura al locale, mentre erano in un silenzio che, si notava, imbarazzava molto Manfrini, lei si ritrovò a pensare che in fondo non le era antipatico. Dopo un po’ lui sbottò: «Io ho una laurea, sa?» «Guardi che non deve giustificarsi con me.» «No, ma lo so cosa siete portati a pensare voi poliziotti di uno come me. Un magnaccia, ecco cosa mi ritiene lei, dica la verità.»
33 «Al contrario, stavo proprio pensando fra me e me che lei mi è simpatico. In cosa è laureato?» «Non si metta a ridere; agraria. E non mi chieda perché non faccio ciò per cui ho studiato, anche perché conosce già la risposta.» «I soldi.» «Guardi, per un po’ ho fatto il tirocinio e non dico che il lavoro non mi piacesse, ma ho visto dove sarei arrivato. Quelli che erano i miei capi, il livello al quale io sarei giunto dopo una lunga gavetta…» «Ebbene?» «Ebbene, le scarpe di Cavalli che ho adesso ai piedi costano più del loro stipendio. E non creda che sia un ipocrita, non mi dico che farò questo lavoro solo finché non avrò messo da parte abbastanza soldi per dedicarmi a ciò che voglio. So bene che ho imboccato una strada dalla quale non si torna indietro, non ho illusioni. Però sudo.» «Suda?» «Continuamente. Il caldo non c’entra nulla, se mi vedesse il sei di gennaio sarebbe lo stesso.» In effetti Manfrini era una maschera di sudore, la sua pelle sembrava coperta da una patina lucente, che lui si affannava a rimuovere in continuazione con l’aiuto di un fazzoletto. «Ma perché?» «L’ansia. Il non sentirmi bene e a mio agio nella posizione che occupo. Purtroppo non posso farci nulla, ho sentito fior di specialisti, ma è un problema psicosomatico e non esiste soluzione.»
34 Grazia sperò che non si aspettasse che fosse proprio lei a fornirgliene una, ma per fortuna erano arrivati e la conversazione cessò lì. L’ingresso nel locale dette a Grazia una sensazione strana, che riuscì a identificare quasi subito: la consapevolezza di aver tralasciato qualcosa. * * * «Non tengo mai i numeri delle ragazze memorizzati sul mio cellulare, perché dovrei trascorrere tutto il mio tempo ad aggiornarlo, vista la velocità con cui loro vanno e vengono e, anche se rimangono, cambiano numero. Preferisco tenere un’agendina nel mio ufficio, sulla scrivania. Sono le ragazze stesse a scriverci sopra il loro numero e le eventuali variazioni… strano.» «Cosa?» Manfrini si dette ad aprire cassetti e a rovistare. «È sparita. La tengo sempre qui sopra, ma ora non c’è più.» «Può darsi che mancasse già ieri?» «È possibile, certo. Non è una cosa particolarmente importante e quando ho fatto il controllo per vedere se avessero rubato nulla, non ho controllato se ci fosse l’agenda.» * * * Il furto dell’agenda non disturbò Grazia più di tanto, era solo un altro tassello del puzzle che andava a posto; se il telefono era importante, logicamente l’assassino aveva cercato di distruggere tut-
35 te le tracce per scoprire chi fosse a chiamare spesso la vittima. Anzi, in un certo senso serviva a restringere molto il campo d’azione; chi aveva ucciso la Gorgesova apparteneva all’ambiente, tanto da conoscere l’esistenza dell’agenda; a questo punto, quindi, era probabile che si dovesse cominciare a parlare di assassina e non di assassino, poiché si doveva andare a cercare fra le colleghe. Restringere il campo d’azione non era però, a pensarci bene, un’espressione adeguata. «Funzionano più o meno come le vecchie “quindicine” dei casini di una volta» le aveva detto Di Luca «le ragazze rimangono poco in un locale, girano da una parte all’altra della provincia, della regione e anche dell’Italia.» Poiché non era detto che a ucciderla fosse stata una delle ragazze attuali, quelle da controllare e interrogare potevano ammontare a diverse decine. Un’impresa che, con quel caldo, faceva mancare le forze solo a pensarci. Ma il fatto che le aveva messo addosso inquietudine era stata quella percezione, la sensazione precisa, netta e chiarissima di aver commesso un errore madornale il giorno precedente. Purtroppo, quando la sensazione stava per affiorare e trasformarsi in ricordo, era venuto alla luce il furto dell’agenda e i suoi pensieri avevano preso tutt’altro corso. Non restava che ripetere l’esperienza. «Manfrini, desidera un caffè?» «Piuttosto qualcosa di fresco, comunque andiamo al bar qua vicino, offro io.»
36 «Si avvii lei, per favore. Io ho bisogno di restare qua da sola.» «Ma…» «Non si preoccupi, è solo per riordinare le idee. Fra dieci minuti al massimo la raggiungo.» Rimasta sola, Grazia si concentrò, poi, partendo dal portone cercò di ripercorrere movimenti e parole del giorno prima, il più precisamente possibile. La verità era lì, nascosta in un particolare stonato, qualcosa che a prima vista non dava nell’occhio, ma che era incoerente. Quando arrivò fu, come sempre, con un brivido alla base della schiena, che poi per un attimo la scosse fin quasi a farle perdere l’equilibrio. La luce. * * * Era sera quando, ultimati tutti i controlli e ottenuto il mandato, fece fermare l’agente davanti al condominio di una zona popolare. Voleva essere lei stessa a parlare con quella persona, perché si sentiva coinvolta e vi vedeva un destino in parte simile al suo. Il portone dabbasso era aperto, così non ebbe bisogno di usare il citofono. Salì senza prendere l’ascensore, al terzo piano. Ad aprire venne un uomo che sembrava sulla sessantina ma che probabilmente era più giovane. Indossava calzoncini corti, canottiera e ciabatte. «Il signor Roberto Cionfi?» «Sono io, lei chi è?»
37 «Ispettrice Grazia Verdi. Desidero parlare con sua moglie.» «Ma veramente…» «Mi dispiace, ma ho un mandato di arresto. Deve per forza farmi entrare. Dove la trovo?» Senza attendere risposta, Grazia entrò e si diresse verso il suono della televisione. In cucina, davanti a Jerry Scotti che distribuiva milioni, o almeno migliaia, di euro, seduta alla tavola apparecchiata c’era Manila Del Decchi, la donna delle pulizie del Las Vegas. * * * Perché la luce all’interno del locale non era già accesa quando Grazia vi era entrata insieme al titolare e alla donna che aveva scoperto il cadavere? Ecco il particolare fuori posto; se quest’ultima avesse davvero rinvenuto la vittima mentre effettuava le pulizie, le luci avrebbero dovuto essere già tutte accese, vista l’oscurità del locale. * * * L’espressione della donna era talmente stanca che sembrava impossibile potesse trasmettere qualsiasi altra emozione, oltre alla spossatezza. «La seguo subito. Me lo aspettavo. Come ha fatto?» Grazia glielo disse.
38 «E io che pensavo di essere stata abile a far sparire l’agenda. Comunque lo dico solo a lei e non lo ripeterò certo in tribunale; non sono pentita. Quella zoccola ha avuto quello che si meritava. In pochi mesi si è succhiata i risparmi di una vita di quel coglione di mio marito. Coglione, come tutti gli uomini. Quando si è accorta che il pozzo era prosciugato, l’ha scaricato come un pezzo di merda e lui continuava a telefonarle, a sperare. Coglione. Ho sempre dovuto risolvergli tutto io nella vita. Ho aspettato quella troia vicino a casa sua, le ho dato un colpo in testa e l’ho portata via, che per una abituata ai lavori pesanti come me era come trasportare un sacco dell’immondizia. Sono entrata al Las Vegas con le mie chiavi, ho aperto l’uscita dei fumatori e l’ho trascinata dentro da lì. Ah, già; prima, in macchina, l’avevo soffocata. Le ho preso il cellulare dalla borsetta e poi ho portato via l’agenda del titolare, alla fine sono tornata a casa a cercare di dormire, anche se non ci sono riuscita. Quando sono ritornata al locale, qualche ora dopo, chissà perché, mi è presa la paura. Ho aperto la porta d’ingresso e sono entrata dentro, ma mi sono fermata subito dopo, non avevo il coraggio di tornare a guardare il corpo; ho aspettato dieci minuti e poi sono uscita per telefonare. La luce. Non ci ho pensato. Si vede che era destino, chi sposa un coglione prima o poi la paga.» Uscendo di casa trovarono il marito seduto su una sedia, la testa fra le mani. Grazia si fermò un attimo, ma la Del Decchi proseguì. «Lo lasci perdere, a lui dispiace solo che quella troietta sia morta.»
39 * * * Marciani era goffo negli inviti e timido nella conversazione, ma dopo un paio di bicchieri di vino si sciolse e Grazia passò una delle serate piÚ divertenti degli ultimi anni. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD