In uscita il 30/9/2016 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine settembre e inizio ottobre 2016 ( ,99 euro)
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CLAUDIO PAGANINI
IGAT_SHE LA VIAGGIATRICE LIBRO TERZO
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IGAT_SHE LA VIAGGIATRICE Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-025-2 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Settembre 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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Prologo
Poco tempo era rimasto prima dell’avverarsi dell’antica profezia che avrebbe posto il genere umano sull’orlo del baratro. Le forze del Caos, infiltratesi nelle gerarchie più alte della Chiesa, avevano iniziato la sistematica caccia a tutte quelle persone che potevano opporsi al potere malvagio delle Tenebre; streghe, maghi, perfino negromanti e veggenti erano stati oggetto di una pesante persecuzione che aveva mietuto un numero incalcolabile di vittime, il più delle volte innocenti, nel vecchio continente. Il popolo ignorante e superstizioso era stato indotto dai servi dell’Oscurità a credere che coloro che padroneggiavano le arti magiche fossero adoratori del demonio, persone malvagie che operavano nell’ombra per compiacere e servire il diavolo in persona. L’inquisizione, quell’istituzione che avrebbe dovuto servire la Luce, era diventata nelle sue varie forme lo strumento perfetto per fermare le uniche persone che potevano opporsi al dilagare dell’Oscurità sulla terra. Tutto ciò accadeva molto lontano da Wenham, piccola cittadina della contea di Essex nel Massachusetts, fiorente colonia fondata dai Padri Pellegrini nel 1620, dove nacqui io, Sara, in un rigido inverno del 1680. Non ero una bambina come tutte le altre, anche se fino all’età di otto anni non avevo nulla di particolare che mi distinguesse dalle mie coetanee, tranne forse il fatto di avere come madre una strega, una wicca per l’esattezza, una seguace della Grande Madre, la Dea della natura e dei cicli stagionali. Venni a sapere delle mie doti quasi per caso e da quel momento fu un susseguirsi di sorprese e di meraviglie senza fine; altre persone intorno a me possedevano poteri ma, come imparai subito, il resto della popolazione aveva timore e paura delle persone come noi: il culto degli Dei e di Gea, la Dea della Terra, era molto radicato nelle
4 popolazioni native, tanto che mi sentivo molto più a mio agio con loro che non con i miei concittadini, al punto da meritare un nome indiano: Igat_She la Viaggiatrice. Fu Gre_dthe_nuzhe, Falco in Piedi, shamano della tribù dei Mohegan a darmelo, dietro ordine di Wakan Tanka, il Grande Spirito. Fu un periodo intenso, denso di visioni e di rivelazioni importanti; ero stata scelta dalle divinità della Luce per combattere le forze delle tenebre. Un’antica profezia, infatti, aveva previsto l’avvento del Caos e dell’Oscurità su tutto il genere umano, ma aveva anche annunciato l’arrivo di un predestinato che avrebbe sconfitto i demoni della devastazione, riportando la pace e la fratellanza tra i popoli in lotta. Ma non ero pronta per una simile missione; ero poco più di una bambina, una piccola wicca con poteri e conoscenze ancora troppo limitate per poter affrontare tale tremendo destino: avevo bisogno dell’aiuto di persone diverse, con capacità differenti dalle mie e da quelle di mia madre. Cathbad e la cerchia degli stregoni di Salem divennero i miei maestri e da loro appresi i poteri arcani della magia antica. Ero come un contenitore vuoto che si stava riempiendo, cambiando forma e dimensione; tutta quell’energia mistica mi stava cambiando profondamente, trasformandomi in un essere potente, né strega e né maga, l’intima essenza della pura magia, plasmata e forgiata dagli Dei della Luce con l’unico scopo di fronteggiare il loro antico nemico: il Male. Non ero sola in quella battaglia; Wakan Tanka in persona aveva posto al mio fianco dei validi aiuti: Lupo, uno splendido animale selvaggio, tanto docile nei miei confronti quanto feroce e spietato con le persone che volevano farmi del male, Fumo Giallo, figlio di Alce Nero, il sakem della tribù algonchina che per primo aveva creduto nella mia missione e infine Orso che Corre, un forte e giovane shamano della tribù dei Kiowa, che mi aveva raggiunto dopo aver percorso da solo tutto il territorio del nord ovest, dalle grandi pianure fino alla costa orientale. Erano gli angeli custodi che la Grande Madre e il suo sposo, il Grande Spirito, avevano posto al
5 mio fianco per la mia incolumità e come guida nel lungo viaggio che da lì a poco avrei dovuto intraprendere. Gli eventi avevano cominciato a precipitare troppo presto e troppo in fretta; prima che si potesse porvi rimedio, l’offensiva delle forze del Male era cominciata: sobillatori provenienti dal vecchio continente avevano creato i presupposti ideali per scatenare la più grande e cruenta caccia alle streghe che si fosse mai vista nelle colonie del nuovo mondo. Sulla scia della tragedia che si stava consumando al di là dell’oceano, alcune giovani fanciulle con il loro strano comportamento scatenarono l’isteria collettiva della popolazione nei confronti delle streghe e dei loro fiancheggiatori, ritenuti colpevoli delle disgrazie che si erano abbattute negli ultimi anni sulla colonia. Centinaia di uomini, donne e bambini vennero rinchiusi e processati per stregoneria mentre frange più estremiste di sobillatori arrivarono anche a Wenham, istigando la pacifica popolazione di quello sperduto villaggio a dare la caccia proprio a me e alla mia famiglia, colpevoli solo di aver cercato di alleviare i dolori e le malattie dei vicini con pozioni e medicamenti a base di erbe officinali. Eravamo sfuggite alla morte per un soffio, grazie a un’uscita segreta abilmente celata sotto la cantina. Avevo ancora negli occhi l’immagine della mia casa che bruciava mentre insieme ai nostri angeli custodi ci davamo alla fuga, diretti verso una tribù amica che ci avrebbe accolti e protetti, ancora inseguiti da alcuni seguaci delle tenebre convinti che non fossimo perite nel rogo della nostra abitazione. Sara era “morta” quella terribile notte, uccisa nel profondo del suo animo dall’odio e dalla malvagità dei suoi concittadini e delle amiche più care; di lei rimaneva lo spirito guerriero, forgiato e temprato nelle grotte di Salem dai warlocks di Cathbad, protetto e rinvigorito dagli stessi Dei che l’avevano voluta come strumento della loro vittoria sul Caos. Dalle ceneri di quella casa in fiamme risorgeva Igat_She, la viaggiatrice, colei che era conosciuta e rispettata da tutto il popolo rosso, l’incarnazione della profezia, l’ultima difesa contro l’avvento dell’Oscurità.
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Capitolo 1
Risalimmo la corrente del fiume Merrimack per due giorni portando con noi tutto quello che possedevamo; la tribù si era divisa nuovamente puntando verso differenti zone della regione dei grandi laghi; l’inverno stava arrivando e sarebbe stato più facile trovare cibo e riparo se il popolo dei Penacook si fosse diviso in gruppi più piccoli. Wonalancet con il grosso della sua gente aveva preferito viaggiare via terra, utilizzando i cavalli per trasportare le tende e gli anziani, mentre donne e bambini, protetti da un gran numero di guerrieri, seguivano il gruppo di testa marciando senza mai lamentarsi. Fumo Giallo, Orso che Corre, mia madre e io, con una scorta di dieci pellerossa ben armati, utilizzammo le canoe per spingerci più velocemente verso sud ovest; viaggiavamo leggeri proprio per poterci spostare utilizzando la via fluviale che in quel periodo dell’anno era quieta e povera d’acqua. Sentivo il cuore stranamente leggero mentre la riva scivolava pigra alle mie spalle aprendo davanti a me orizzonti nuovi, inesplorati. Lo spirito di avventura stava fortunatamente prevalendo sulle recenti vicissitudini che avevano messo a dura prova le nostre capacità di sopravvivere in un ambiente così pericoloso; la voglia di scoprire nuovi territori, di conoscere altra gente era una sensazione inebriante che però non cancellava la preoccupazione per la sorte dei miei famigliari; non avevo avuto l’occasione di raggiungerli usando i miei poteri e quindi dovevo fidarmi della parola dei miei alleati circa la loro salvezza e la loro incolumità. Il viaggio sarebbe stato lungo e faticoso; i grandi laghi dov’eravamo diretti erano a più di cinquecento chilometri di distanza, un cammino pieno di insidie e di pericoli, attraverso un territorio che poteva rivelarsi dannatamente ostile. Lupo ci stava seguendo lungo la riva;
7 lo vedevo saltare da una roccia e l’altra, apparendo sulle piccole spiagge che scorrevano senza sosta ai nostri lati, pazientemente in attesa del nostro arrivo, per poi scomparire nuovamente appena ci avvistava: si era rivelato un compagno di viaggio prezioso e presto avremmo avuto ancora bisogno di lui. Nonostante l’euforia del cambiamento, c’erano ancora grosse nubi nere sul mio orizzonte; la distruzione del diaspro aveva segnato un punto a nostro favore, ma allo stesso tempo, aveva dato la conferma alle forze del Caos che eravamo ancora vivi: il Male non si sarebbe fermato ad attendere un’altra nostra mossa e avrebbe schierato le sue pedine sul campo per intercettarci prima che potessimo arrivare a destinazione. Intanto però un altro strano fenomeno stava accadendo intorno a noi; la voce che Igat_She era sopravvissuta ed era in viaggio in quel territorio si era rapidamente sparsa tra le tribù del fiume, tanto che sempre più spesso avvistavamo fuochi sulla riva e al nostro passaggio piccoli gruppi di cacciatori ci salutavano gridando ripetutamene il mio nome. Era tempo che il mio nome indiano assumesse pienamente il suo significato. Sara, la piccola wicca di Wenham era morta per sempre; ero divenuta Igat_She la Viaggiatrice, la prediletta della Grande Madre, protetta da Wakan Tanka e dagli Dei della Luce, e quello era l’inizio della mia missione contro le Tenebre. Eravamo partiti all’alba, salutando tutti i membri della tribù che ci aveva accolto con generosità e fratellanza; la gente del mio popolo li chiamava spesso selvaggi, ma avevamo molte cose da imparare da loro, prima fra tutti il sacro spirito di ospitalità che albergava nei loro cuori. Il fiume era stato calmo e placido per tutta la mattina, abbastanza largo e profondo da farci scivolare sull’acqua senza problemi; anche se remavamo controcorrente, era un modo di viaggiare che avrei presto rimpianto. Avevamo molta strada davanti a noi, valli e montagne da superare con l’inverno che stava rapidamente arrivando da nord, un’impresa dettata più dalla disperazione che dal calcolo. La mano mi faceva ancora male, anche se ogni traccia della presenza del talismano nero era scomparsa. All’inizio il sigillo posto sul
8 palmo destro reagiva violentemente a quella presenza estranea, così stranamente oscura, rivelandosi in tutta la sua potenza, ma con il passare delle ore, subentrò una sorta di muta accettazione l’uno dell’altro, come se entrambi gli amuleti fossero pervenuti a un accordo, come se avessero coscienza di essere tutti e due lì per il medesimo scopo. Ansa dopo ansa giungemmo finalmente dove il Merrimack cambiava direzione, puntando decisamente verso nord; stavamo attraversando una regione di basse colline verdeggianti, incendiate di rosso e di oro, i tipici colori dell’autunno. Stentavo a credere, guardando il paesaggio che scorreva pigro ai nostri lati, che ci stavamo lasciando alle spalle tutte le atrocità che avevamo vissuto negli ultimi tempi, l’odio, la sete di sangue innocente, la perfidia della gente per bene che aveva condiviso con noi ogni attimo della nostra vita. Non stavamo fuggendo dal nostro destino; cercavamo di ricomporre le nostre fila per passare al contrattacco, per donare nuovamente al mondo una speranza. Non vedevo l’ora di arrivare dove ci saremmo accampati per la notte; sentivo il bisogno di riprendere in mano il mio grimorio e scrivere quello che mi era capitato, dalla fuga da Wenham in poi, prima che i ricordi sbiadissero nella mia mente, sopraffatti da altri più recenti. Mamma era stata previdente; aveva aggiunto al bagaglio, che aveva sistemato prima che gli eventi precipitassero, tutto l’occorrente per scrivere, compresa una piccola boccetta d’inchiostro appena preparato: anche lei non voleva dimenticare nulla e la possibilità di scrivere nel suo libro specchio la faceva sentire viva. Molto più avanti si scorgeva un’alta collina, diversa da quelle basse e tondeggianti incontrate fino a quel momento; assomigliava a un grosso roccione, un’enorme macigno che si stagliava alla nostra sinistra. Una delle nostre guide attirò la mia attenzione; «Laggiù monteremo il campo per la notte. Dovremo abbandonare le canoe e proseguire a piedi verso ovest; sarà un lungo viaggio e la
9 stagione non è quella giusta per affrontare un itinerario così impegnativo ma tutti noi verremo con te, fino alla fine…» «Ce la faremo, non ti preoccupare; il Grande Spirito guida i nostri passi e non permetterà che ci accada nulla di male. Lui parla con la mia voce e non ci ha mai deluso.» Cercai di sorridere a quel giovane indiano pieno di fiducia e speranza, anche se dentro di me ero piena di dubbi e paure; da troppo tempo né la Grande Madre né Wakan Tanka si erano più manifestati e ciò produceva in me un sentimento di frustrazione e di abbandono che minava le certezze così faticosamente costruite. Eravamo ancora protetti dagli Dei oppure ci avevano abbandonati al nostro destino, visto che al momento eravamo la parte sconfitta? Tali erano i miei pensieri e i miei sentimenti mentre, un colpo di remi dietro l’altro, ci avvicinavamo alla prima tappa del nostro viaggio, una piccola spiaggia tra il fiume e quella strana collina davanti a noi. «Questa terra appartiene ai Nashaway, una tribù amica della nazione dei Wabanaki. Chiamano se stessi Alnôbak, ossia “Il vero popolo”, o più semplicemente Alnanbal, vale a dire “uomini”: sono una stirpe fiera e leale che ci darà aiuto in caso di bisogno.» Orso che Corre, come a conferma di ciò che mi aveva appena detto, stava indicando un gruppo di alberi poco distanti dalla riva; tra i cespugli si scorgevano alcuni guerrieri che osservavano il nostro passaggio senza muoversi, immobili come statue. Senza preavviso emise un lungo segnale, modulando un grido sottile con la gola fino a farlo sembrare un richiamo di un animale selvaggio; dalla riva altri suoni simili si levarono, segno che chi ci stava osservando aveva capito che eravamo amici. Lupo, che continuava a seguirci dalla riva, fece sentire anch’esso la sua presenza con un lungo ululato, confermando ai nuovi alleati che quella era la canoa di Igat_She la protetta di Manitou. Sapevamo che qualcuno ci stava aspettando all’approdo molto prima di arrivarci; una colonna di fumo si alzava sottile da dietro l’ultima ansa del fiume, segno inequivocabile di un fuoco da campo appena
10 acceso. L’avvistamento dei guerrieri Nashaway ci faceva ben sperare in un incontro pacifico, ma il pericolo di un agguato era sempre un’eventualità da tenere in considerazione. la prudenza era l’unica cosa che ci aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento e poteva rivelarsi utile anche in quel caso. Quando prendemmo terra Lupo ci raggiunse con il suo trotterellare tranquillo; non era particolarmente allarmato e ciò ci fece tirare immediatamente un sospiro di sollievo. Il ritorno di Fumo Giallo dal suo giro di perlustrazione fugò ogni dubbio; i pellerossa che avevamo avvistato in precedenza avevano preparato un piccolo accampamento proprio dove avremmo dovuto sbarcare e ci stavano aspettando per offrirci del cibo e un riparo per la notte, una notizia meravigliosa per le mie povere membra dolenti, dopo un intero giorno passato seduta su una piccola canoa. Tornammo sulle nostre imbarcazioni e percorremmo l’ultimo tratto velocemente; eravamo tutti esausti e non vedevamo l’ora di poterci riposare e rifocillare. C’erano quattro squaw e due pellerossa ad attenderci sulla radura poco dopo l’argine basso del fiume; le donne erano intente a ultimare un grande wigwam destinato quasi sicuramente a noi, mentre gli uomini stavano macellando della selvaggina: l’odore del sangue e delle interiora era forte e pungente ma faceva presagire una cena veramente succulenta. Il nostro arrivo fu salutato con le identiche grida che avevamo udito in precedenza; uno dei cacciatori, evidentemente il capo di quella piccola delegazione di benvenuto, ci venne incontro sorridendo. «Siamo onorati di ospitare l’eletta del Grande Spirito; la profezia del ritorno delle tenebre è ben conosciuta tra il vero popolo, ma non ci aspettavamo che il guerriero che tutti aspettavano fosse una giovane donna bianca. Vi abbiamo preparato un riparo, dove riposare e recuperare le forze; le nostre squaw penseranno ai vostri bisogni per tutto il tempo che deciderete di fermarvi, dopo di che torneranno alla nostra tribù; che Manitou vi protegga nel vostro lungo cammino…» Ero lusingata della loro premura; eravamo degli estranei eppure tutti si prodigavano ad aiutarci, consci di contribuire in quel modo alla
11 riuscita della nostra missione. Ringraziai con calore e gratitudine, notando quanto apprezzassero la riconoscenza con cui accettavamo la loro ospitalità: il viaggio era solo all’inizio ed era opportuno affrontarlo nel modo migliore, riposati e riforniti di cibo e acqua. Lupo era sempre al mio fianco, lo sguardo perso verso un punto lontano, sulle pendici di quella strana collina che ci sovrastava. Cercai di scoprire cosa attirava la sua attenzione ma non riuscii a scorgere nulla fino a quando qualcosa si mosse tra i fitti cespugli. Era un enorme cervo con un unico, imponente ramo di corna sul suo capo; dell’altro rimaneva solo un grosso moncone, segno di qualche battaglia combattuta e sicuramente vinta. Ci osservava fiero dall’alto senza temere di essere visto, quasi sfrontato dato il bisogno di carne fresca che avevamo in previsione della lunga marcia. Mi ricordava il superbo animale cavalcato dalla Grande Madre nelle mie visioni, anche se quello che stavo osservando era menomato di parte delle sue corna e, cosa ancor più strana, si stava avvicinando sempre di più, maestoso e incurante, passo dopo passo, come se volesse anche lui porgerci il suo particolare benvenuto. “Ricorda Sara; quando ti trovi a osservare qualcosa che sfugge a ogni logica o è talmente anomala da attirare la tua attenzione, allora devi stare in guardia: o sta per accadere qualcosa di sovrannaturale oppure sei in balia, senza accorgertene, di una visione”. L’eco delle parole del mio maestro risuonò come un campanello d’allarme nella mia mente; non era possibile che un animale così timido e schivo si facesse avanti in quel modo. Le mie mani pulsavano di energia mentre mi preparavo a quello strano incontro, incerta se attendere gli eventi oppure attaccare senza indugio. L’animale parve avvertire il cambiamento e si fermò prudentemente a una certa distanza; i suoi occhi grandi, di un nero quasi liquido mi fissavano senza battere ciglio. Avevo paura a distogliere lo sguardo anche solo un istante per vedere cosa facessero nel frattempo i miei compagni, ma avevo al tempo stesso la strana consapevolezza di essere sola su quella radura.
12 «Chi sei?» chiesi cercando di non far tremare la mia voce. Ero pronta allo scontro, nervi e muscoli tesi allo spasmo, eppure ancora titubante a fare la prima mossa, come se in un angolino della mia coscienza una voce mi ripetesse di attendere. L’animale era immobile, ormai quasi di fronte a me, enorme se paragonato alla mia esile corporatura, eppure non minaccioso come mi sarei aspettata. «Strano che sia proprio tu a farmi questa domanda Igat_She…» Il cervo si era tramutato nel giovane guerriero che ben conoscevo e che speravo di incontrare da tanto, troppo tempo ormai. «Wakan Tanka…» sussurrai con un filo di voce mentre calde lacrime mi rigavano il viso; avevo temuto di non rivedere più lo sposo della mia Dea, dopo tutte le suppliche e le richieste di aiuto che gli avevo rivolto senza ottenere alcuna risposta. «Mi sono sentita sola, abbandonata mentre il mondo che conoscevo mi crollava addosso; perché non mi avete più fatto sentire la vostra presenza? Che cosa è successo di così grave da impedirvi di darci l’aiuto promesso?» Singhiozzavo, sopraffatta dalla gioia di rivederlo e dal dolore soffocato da ormai troppo tempo; solo in quel momento notai in lui un’aria stanca, provata, come se anch’egli fosse reduce da una battaglia aspramente combattuta. «Che cosa è successo? Dimmelo ti prego…» Cominciavo a comprendere che la guerra che stavamo combattendo non poteva essere limitata solo a noi esseri umani ma, probabilmente, coinvolgeva molte più entità di quelle che avevo previsto. «Non siete gli unici ad affrontare nemici potenti; la profezia parla di un cambiamento così drastico e radicale che tutte le forze sono coinvolte su molteplici piani. Tutti si stanno impegnando al massimo, in entrambi gli schieramenti, e ciò porta a un dispendio di energie mai visto prima. D’ora in avanti ognuno dovrà dare il massimo senza aspettarsi aiuti che potrebbero non arrivare mai…» Era dunque quella la situazione; avevamo sottovalutato il nemico tanto da essere stati quasi sconfitti al primo colpo e stavamo
13 arginando l’attacco in attesa di un miracolo che poteva anche non accadere. Capivo in quel momento che le corna rotte del cervo erano il suo modo per anticiparmi quello che mi aveva appena detto, il tentativo di rendere meno cruda la realtà; stavamo perdendo e sarebbe stata dura, se non quasi impossibile, recuperare le posizioni perse in una guerra dove c’era in gioco la nostra stessa sopravvivenza. «Perdonami Wakan Tanka, non avevo capito fino a che punto fossimo arrivati. Cosa possiamo fare ora? C’è ancora speranza o tutto è irrimediabilmente perduto?» «C’è sempre speranza, piccola viaggiatrice; le nostre armate sono più forti qui che altrove e il fulcro della profezia è ancora viva e pronta a lottare, almeno da quello che ho visto quando mi hai affrontato. Presto altre persone si uniranno a te, mettendo i loro poteri al servizio della Luce. Sarà un cammino difficile, doloroso; ci saranno sofferenze e piccole gioie, ma alla fine lo scontro con le tenebre sarà inevitabile. Il destino è in continua mutazione; niente è già stato scritto tranne il fatto che sarai proprio tu, Igat_She, l’ago della bilancia che deciderà le sorti di questo cosmico conflitto. So che farai di tutto per non deluderci…» Mi guardai in giro spaesata senza sapere quanto fosse durata la visione; la gente intorno a me sembrava non essersi accorta di nulla, tranne forse Lupo che mi stava fissando preoccupato. Lo accarezzai dietro alle orecchie per tranquillizzarlo e lui, in risposta al mio gesto d’affetto, mi ricambiò leccandomi la mano.
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Capitolo 2
Restammo al campo due giorni, cercando di pianificare il percorso più adatto per la stagione; le piogge, che sarebbero arrivate copiose, avrebbero ingrossato i corsi d’acqua rendendo difficoltosi eventuali guadi ma anche la marcia in pianura sarebbe stata rallentata, senza contare che le prime nevicate ci avrebbero costretti a frequenti cambiamenti di direzione. Non vi era nessuna certezza in quello che stavamo per fare, solo l’urgenza di partire al più presto e sfruttare ogni giornata di sole per percorrere più strada possibile. Ottobre ormai era alle porte e con esso l’autunno, con le sue giornate sempre più corte, preludio di un inverno fin troppo vicino. Fumo Giallo continuava a raccogliere informazioni sulle tribù che avremmo incontrato sul nostro cammino, in modo da sapere in anticipo quali ci avrebbero accolto come fratelli e quali invece dovevamo evitare. I Nashaway ci avrebbero fatto da guida fino ai confini del loro territorio, in modo da far sapere alle tribù amiche del nostro viaggio; se la fortuna continuava ad assisterci, avremmo incontrato altri che ci avrebbero aiutato a trovare sentieri sicuri su cui proseguire il nostro cammino, altrimenti avremmo contato solo su noi stessi e sulla protezione e guida dei nostri Dei. Orso che Corre sembrava più preoccupato di far scorta di cibo piuttosto che dei brutti incontri che avremmo potuto fare; più di una volta lo avevo visto aiutare le squaw nella preparazione della carne e del pesce che avrebbe costituito la nostra riserva alimentare. Era infatti impensabile perdere tempo con battute di caccia in grande stile; il nostro fabbisogno doveva essere soddisfatto strada facendo ed era indispensabile disporre di riserve secche o affumicate che ci garantissero un pasto, seppur frugale, anche nei giorni di magra.
15 Ero compiaciuta nel vedere come mia madre si prodigava per aiutarli, utilizzando piccoli espedienti magici per facilitare il lavoro di tutti, dall’accensione dei fuochi alla conservazione degli alimenti. La sua esperienza con le erbe si stava rivelando essenziale per la buona riuscita della nostra impresa, perché i problemi grossi iniziano sempre dalle piccole difficoltà quotidiane come il cibo andato a male o l’acqua non più potabile. Non avevo molto da fare per cui impiegai quel tempo prezioso per una cosa che mi stava a cuore; trovare mio padre e mio fratello e verificare che stessero bene e al sicuro. Sapevo che era rischioso usare un flusso troppo potente di magia perché sarebbe stato come un faro per i nostri inseguitori, ma confidavo che quelli uccisi dai guerrieri di Wonalancet fossero gli unici talmente vicini da scoprirci. Impiegai più di un’ora per circondare il wigwam con un pentacolo di protezione, isolandolo dal resto del mondo, o così almeno speravo. Il fuoco che ardeva al suo interno mi avrebbe conferito la forza necessaria per evocare la protezione della Dea e dare inizio al sortilegio della bilocazione. Ero consapevole che i rischi aumentavano senza l’aiuto e l’assistenza della mamma o di Orso, ma il timore di essere persuasa a rinunciare mi spingeva ugualmente a rischiare. Esortai la Grande Madre di proteggere e occultare quel luogo per il tempo necessario e cominciai a concentrarmi sui volti dei miei cari, visi sorridenti pieni di gioia e di amore per me; così me li ricordavo, prima che il mondo ci crollasse addosso dividendo le nostre strade e i nostri destini. Riuscivo a vederli, avvolti da una nebbiolina densa, irreale, seduti uno di fronte all’altro, vicino a un fuoco da campo; erano soli al momento ma percepivo altre persone intorno a loro, distanti ma non ostili, intenti a sorvegliare il luogo da una posizione favorevole. “Sentinelle.” La parola si formò naturalmente nella mia mente tranquillizzandomi sulla loro sicurezza; dovevano trovarsi in un accampamento, protetti e nascosti da pellerossa amici. Orso aveva detto il vero quando mi
16 aveva rassicurata sulla loro sorte ma ciò non poteva bastarmi; dovevo sincerarmene di persona, dir loro che stavamo bene, che io e mamma eravamo vive, dirette a nord, verso un destino incerto ma non disperato, che volevamo loro bene e che saremmo sempre stati in contatto. Tante cose da esprimere e troppo poco tempo per farlo. Concentrai la mia energia in un punto preciso, talmente vicino a loro da riuscire quasi a toccarli… il resto venne da sé; i palmi delle mani, resi roventi dai due talismani che sprigionavano all’unisono la loro forza e gli insegnamenti dei miei maestri fecero il resto. Vedevo le pupille di mio fratello dilatarsi dallo stupore mentre la forma del mio corpo si materializzava tra loro; mio padre tratteneva Giles per un braccio, impedendogli di alzarsi e fuggire mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di gioia. «Sara, sei proprio tu?» C’era una nota d’incredulità nella sua voce che mi fece tenerezza; aveva passato buona parte della sua vita a proteggere il nostro segreto senza domandarsi fino a che punto potevano spingersi i nostri poteri. «Sì papà, sono proprio io…» Giles mi guardava inorridito, come se stesse guardando un fantasma di sua sorella anziché lei in persona; credo che tutte quelle emozioni concentrate in un’unica volta fossero troppe anche per lui: tremava visibilmente anche se cercava di non farlo vedere. “L’orgoglio maschile, a volte, è veramente incredibile; sta morendo di paura ma non vuole farlo vedere…” pensavo sorridendo mentre correvo nell’abbraccio di mio padre. Era una sensazione meravigliosa sentire le sue braccia forti che mi stringevano, il suo cuore che batteva nelle mie orecchie mentre un senso di assoluta sicurezza pervadeva tutta la mia anima. Anche Giles si era sbloccato e si era unito a quello slancio d’affetto con un entusiasmo che non ricordavo avesse mai avuto nei miei confronti. «Ma come hai fatto ad arrivare fino a qui? Siamo lontanissimi da casa… e le sentinelle? Come mai non ci hanno avvertiti del tuo
17 arrivo? E mamma? Perché non è qui con te? Le è successo qualcosa?» Dovetti a malincuore bloccare quel fiume interminabile di domande; il tempo a mia disposizione era limitato e non potevo permettermi il lusso di sprecarlo inutilmente. «Papà, fermati un attimo e ascolta; non ho molto tempo e ho tante cose da dirti. Io non sono realmente qui ma molto distante da voi, a nord, nella terra dei Nashaway, un popolo amico che ci sta aiutando. Mamma sta bene nonostante abbiano cercato di farci del male; abbiamo una missione importante da compiere e sarà difficile riuscire nuovamente a vederci per un po’ di tempo. Dovevo sapere se eravate al sicuro perché eravamo tanto in pena per la vostra sorte; ora possiamo affrontare il nostro viaggio con il cuore più leggero, sapendovi sani e salvi. Giles, sei cresciuto, e tanto anche; sei praticamente un uomo: mamma sarà contenta di saperlo…» Le lacrime scendevano copiose mentre sfruttavamo ogni secondo a nostra disposizione per colmare l’angoscia e la solitudine provata durante quel lungo distacco. «Non posso trattenermi oltre, devo andare. Abbiate cura l’uno dell’altro e non vi preoccupate per noi; troveremo amici fidati che ci guideranno fino alla nostra meta finale. Gli Dei sono dalla nostra parte e ci proteggono. Cercherò di contattarvi di nuovo quando saremo in un posto sicuro ma nel frattempo state in guardia, sempre…» Le mie ultime parole si persero nel vento mentre la mia figura si dissolveva lentamente nell’aria fresca della sera. Stavo ancora piangendo quando riebbi coscienza di dove mi trovavo, seduta davanti al falò nella tenda vicino al fiume. Lupo era accucciato vicino a me e guaiva preoccupato; lo accarezzai cercando, senza riuscirci, di calmare sia lui che me stessa prima di raggiungere mia madre e darle tutte le buone notizie che avevo appena appreso. Il fuoco si era completamente esaurito lasciando solo un mucchietto di cenere; l’energia che avevo utilizzato aveva consumato le fiamme e tutto il combustibile fino all’ultima scintilla, mentre il terreno
18 all’interno del wigwam appariva come bruciato dal sole, riarso e spaccato in più punti. Non persi tempo a cercare di capire la portata di quel fenomeno ma corsi subito a dire a tutti quello che avevo appena scoperto; papà e Giles stavano bene e anche loro sapevano che ci eravamo salvate. Era un peso in meno che gravava sui nostri cuori, una gioia in più in un momento in cui il nostro morale aveva bisogno di una bella spinta positiva. Più nulla ci tratteneva in quel luogo; ero in preda a una smania di partire, di iniziare il viaggio che ci avrebbe portate lontano da casa, verso un destino così incerto da essere ancora inimmaginabile: era pur sempre un cambiamento e volevo viverlo nel modo più positivo possibile. «Voglio partire domani mattina, appena sorge il sole; non ha senso aspettare ancora visto che le giornate sono ancora calde e assolate. Cerchiamo di percorrere più strada possibile prima che la pioggia e il gelo ci ostacolino…» «Partiremo domani all’alba; le nostre guide nashaway credono di poterci far raggiungere un grosso torrente che scorre da nord a sud a una decina di chilometri da qui, o almeno i primi laghetti che lo alimentano. Sarà una marcia impegnativa ma siamo riposati per cui non dovrebbe essere un grosso problema… ce la faremo Igat_She non ti preoccupare.» Ma non era il cammino del giorno dopo a crearmi apprensione, bensì mia madre; da quando le avevo detto di papà era come invecchiata di colpo: la vedevo stanca, curva sulla schiena come se il peso degli ultimi avvenimenti gravasse sulle sue spalle. Ero seriamente preoccupata e, alla prima occasione, decisi di parlarle. «Cos’hai mamma? Ti vedo triste e preoccupata e questo mi preoccupa più di tutto quello che abbiamo passato finora; che cosa ti succede?» «Non posso più venire con voi; la Grande Madre mi ha parlato la notte scorsa: sarei solo un peso, un intralcio nel vostro cammino. Sono stanca, distrutta nell’anima e non riesco più a reagire come fai tu; ho deciso di terminare qui il mio viaggio con voi, di trovare
19 ospitalità presso le wicca che si trovano qui vicino. Ci sono segni della loro presenza ovunque lungo questo tratto di fiume e le squaw mi hanno confermato che nel villaggio più a monte ci sono delle donne che praticano la magia. Andrò a conoscerle e racconterò loro le nostre vicissitudini e il grande compito che Gea ti ha affidato. Starò bene, non ti preoccupare, e allo stesso tempo sarò contenta di non essere un peso per voi…» «Non dire così mamma, non potrei mai continuare il viaggio senza di te; come farei senza il tuo aiuto e i tuoi consigli, la tua presenza e il tuo affetto? Ti prego, ripensaci…» Le lacrime stavano nuovamente solcando le mie guance, piccole perle che rivelavano il mio dolore nel costatare che mia madre aveva ragione; ero diventata talmente potente che ora sembrava lei la mia discepola e non il contrario. Se avesse trovato rifugio presso una coven di consorelle, il saperla al sicuro mi avrebbe dato la forza di affrontare qualunque avversità senza la preoccupazione costante per la sua incolumità. La abbracciarono tutti con grande affetto la mattina dopo, quando risalimmo l’argine del fiume inoltrandoci nel fitto sottobosco e lasciandoci alle spalle l’accampamento. Mia madre, in piedi davanti al wigwan, ci salutava agitando la mano; era strano sentirsi così sola in mezzo a tante persone amiche, ma il mio cuore era così piccolo al pensiero che non l’avrei rivista per tanto tempo. Costeggiammo la riva di un grosso stagno per sfruttare il più possibile il terreno sgombro; più avanti la foresta sarebbe stata così intricata da costringerci a lunghe deviazioni, ma al momento quella sponda ci forniva un’ottima alternativa al sottobosco. Occorreva raggiungere due basse colline che si ergevano a qualche chilometro di distanza, una sorta di grosso varco tra le montagne circostanti, da cui poi proseguire verso nord seguendo il corso dei vari torrenti fino alla nostra prossima meta. C’erano più di dieci chilometri da percorrere, attraversando vallette e stretti sentieri nel folto di una foresta così intricata da non riuscire neppure a scorgere il cielo; un’impresa per nulla facile ma che potevamo compiere visto
20 che eravamo ben riposati. Ci sarebbero stati periodi in cui la stanchezza ci avrebbe costretti a percorrere brevi tratti oppure ad aspettare di recuperare totalmente le forze, ma al momento quello era un pensiero così remoto che non mi sfiorava neppure la mente. Tenemmo un’andatura piuttosto sostenuta costeggiando il lago; la sua riva, a tratti sabbiosa e a tratti rocciosa, ci permetteva di procedere speditamente costeggiando il bosco che si spingeva praticamente fin sulle sue rive. Il fogliame, d’un verde intenso, si stava screziando di rosso e di oro per l’arrivo dell’autunno, riempiendo di tonalità calde e accese le chiome più imponenti; era uno spettacolo che mi aveva sempre lasciata a bocca aperta e che in quel frangente acquistava un significato ancora più profondo. Come l’autunno era la stagione che preparava la natura al riposo invernale, così anche noi radunavamo le nostre forze in vista della battaglia che avremmo dovuto affrontare, un paragone che sentivo sempre più calzante nel mio modo di percepire le cose. Le nostre guide si muovevamo agili tra una roccia e l’altra, seguendo sentieri ai miei occhi invisibili o appena accennati, piste di piccoli animali che andavano a bere ogni sera, al tramonto. Li vedevo parlare con Fumo Giallo indicando colline lontane oppure piccoli ruscelli; il suo modo di annuire impercettibilmente con il capo mi dava un senso di sicurezza e di tranquillità che solo in quel frangente apprezzavo nella sua interezza. Loro mi avrebbero condotta fino ai grandi laghi, alla meta finale del mio viaggio, proteggendomi e vegliando su di me come amici fidati, uniti nella vita da un destino comune.
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Capitolo 3
Dal libro specchio di Sara 3 ottobre 1692. Mi sembra trascorso un secolo dall’ultima volta che ho tenuto tra le mani il mio grimorio. È una sensazione strana, come se nel frattempo avessi perso buona parte della mia anima, come se tutte le brutte cose che ci erano successe avessero in qualche modo modificato la mia essenza vitale. Stringevo forte il mio libro, con affetto, quasi avessi paura di sognare. Lo avevo fatto comparire dal suo nascondiglio la sera stessa del nostro primo bivacco, lo stesso giorno in cui avevo salutato mia madre sulla riva del fiume Merrimack per dirigermi verso l’interno della regione. Non eravamo riusciti a raggiungere la meta prefissata ma c’eravamo andati molto vicino; il sentiero era risultato più impervio del previsto oppure io non ero stata all’altezza delle aspettative dei nostri amici indiani? Orso era rimasto quasi sempre dietro di me, nelle retrovie, ufficialmente a controllare che nessuno ci seguisse, ma più probabilmente ad accertarsi che riuscissi a mantenere il passo senza stancarmi troppo. Mi aveva offerto più volte di dividere con lui il mio bagaglio ma avevo sempre rifiutato, orgogliosa di fare la mia parte fino in fondo. Il risultato però era un mal di schiena tremendo che mi stava torturando, prova che avevo fatto il mio dovere fino in fondo; papà sarebbe stato orgoglioso di me e così pure Giles, almeno credo. Ci eravamo lasciati alle spalle il lago procedendo tra due alte colline tondeggianti, una sorta di porta d’ingresso a una vallata più ampia con al centro un altro lago lungo e stretto; era una regione ricca d’acqua che poteva rivelarsi una pericolosa trappola vista la stagione
22 a cui andavamo incontro: vedevamo sempre più spesso densi cumuli di nubi plumbee oscurare il cielo a nord, mentre il sordo brontolio dei tuoni era un tenue sottofondo ai rumori più forti del bosco. Ci eravamo diretti a nord, costeggiando la montagna alla nostra destra fino a entrare in un passaggio scavato nella nuda roccia in cui scorreva limpido un piccolo fiumiciattolo. Era una gola larga ma profonda, lunga poco meno di un chilometro, che mi mise addosso un’ansia immotivata; lì dentro mi sentivo oppressa, come se qualcosa di malvagio cercasse di imprigionarmi l’anima. Raccontai a Orso di quella strana sensazione e lui, invece di rassicurarmi con la sua voce pacata, fece fermare immediatamente la colonna. Non riuscivo a comprendere il motivo di quella sosta fuori programma; anche se provavo un malessere dovuto al luogo che stavamo attraversando, non mi sembrava una ragione valida per rallentare il nostro cammino. Di tutt’altra opinione era il mio compagno, visibilmente preoccupato di quello che mi stava succedendo; anche lui aveva avvertito qualcosa di sinistro in quel luogo, ma non aveva voluto dire nulla fino a quando le mie parole gli avevano fornito la conferma che cercava. Ci fece fermare all’imboccatura del canyon e proseguì da solo per alcuni metri, attento anche al più piccolo indizio che svelasse la natura della minaccia; lo vidi accucciarsi, prendere una manciata di terra e, dopo aver mormorato frasi incomprensibili, lasciarla filtrare lentamente tra le dita. Rimasi completamente di sasso; la polvere, nonostante il vento contrario che soffiava verso di noi, tendeva a disperdersi verso il centro del passaggio, contro ogni logica e ogni legge della natura. «Che sta succedendo?» mormorai al suo orecchio, quasi avessi paura di farmi udire. Non c’erano posti dove qualcuno potesse nascondersi perché le pareti scendevano ripide e lisce, prive di vegetazione e di ripari; eppure i nostri occhi frugavano in ogni angolo alla ricerca del motivo di tanta inquietudine. «C’è qualcosa in questo luogo che non riesco ben a definire, come una sorta di presenza malvagia eppure diversa da quelle incontrate in
23 precedenza. Potrebbe essere la traccia del passaggio recente di uno stregone oscuro, ma non ne sono sicuro. Aspettami qui Igat_She; vado a vedere cosa si nasconde alla fine del sentiero…» «Ho un’idea migliore; radunatevi tutti all’imboccatura della gola e non muovetevi di lì, al resto penso io…» Le parole fluivano fuori dalla mia bocca senza che ne avessi il controllo, come se qualcun altro parlasse con la mia voce; non ero spaventata, tutt’altro: era subentrata in me una sicurezza e una determinazione che non mi appartenevano ma che sapevo essere ugualmente parte di me, di quello che ero diventata. Con mia grande sorpresa, Orso ubbidì senza dire una parola, troppo accondiscendente per il suo carattere curioso e analitico; si limitò a eseguire i miei ordini e a stare in disparte mentre, tutta sola, affrontavo quell’incognita. Era sconcertante vedere il mio corpo ubbidire a ordini che non arrivavano dalla mia mente, almeno non dalla parte cosciente del mio cervello, e avere allo stesso tempo la consapevolezza di star facendo la cosa giusta. Ero in piedi, sola in mezzo alla pista, potenzialmente vulnerabile a qualsiasi attacco, eppure sapevo che quello era l’unico modo per far venire allo scoperto la minaccia che incombeva su di noi. Aprii lentamente il palmo della mano sinistra, dove il disco di onice stava riaffiorando dalle mie carni; non avvertivo dolore ma potere, forza allo stato puro che pulsava di una luce scura, inebriante. Indugiai alcuni istanti a osservare la purezza di quella tinta così profonda, talmente cupa da assorbire la luce anziché rifletterla. Le venature rosse che componevano il suo intricato disegno sembravano mutare forma mentre assorbivano la mia energia convogliandola nel gioiello. C’era un silenzio innaturale intorno a me; me ne stavo accorgendo solo in quel momento, troppo assorta nel compiacermi del mio potere oscuro. Anche il vento aveva cessato di soffiare e l’aria tutt’intorno ristagnava greve e immobile.
24 Giza vikosi mimi waomba wewe, kwamba hewa karibu yangu inakuwa moto. Kwa nguvu ya hirizi katika milki yangu, adui yangu kushuka ndani ya shimo. Blizzard moyo wake, kufanya yatangaza hivyo kwamba wanaweza kumwangamiza. Mimi kilio nguvu ya Sulemani; kuharibu giza katika nafasi hii. 1 Le parole fluivano lente dalla mia bocca, come una nenia per far addormentare i bambini, taglienti come una lama di rasoio; avevo gli occhi chiusi ma percepivo ugualmente quello che succedeva intorno a me: l’aria si era fatta improvvisamente rovente mentre un vento caldo spazzava le pareti del canyon alzando mulinelli di polvere rossiccia. Il talismano bruciava di energia mentre l’invocazione agli Dei oscuri cominciava a dare i suoi frutti; c’era una figura poco distante da me, indistinta eppure reale quanto lo ero io. «Chi sei tu che osi sfidarmi; mostrati a me e dimmi che intenzioni hai…» Sentivo quell’essere dibattersi nel tentativo di liberarsi dalla stretta magica in cui lo tenevo prigioniero, sfrontato nella sua ignorante arroganza; pensava ancora di avere a che fare con una piccola wicca indifesa e quello era l’errore più grande che avrebbe potuto commettere. Continuai a stringerlo sempre di più fino a che, con un urlo straziante, cedette. «Basta, ti prego, fermati!» mi implorò, consapevole ormai di essere in trappola. Ero stupita del piacere che provavo nell’infliggere tormento a quell’essere, una sorta di dolce nettare con cui mi dissetavo senza riserva; ma che differenza c’era tra me e lui se anch’io gioivo del 1
Forze oscure io v’invoco, che l'aria intorno a me diventi fuoco. Per il potere dell'amuleto in mio possesso, sprofondi il mio nemico nell'abisso. Tormenta il suo cuore, fallo rivelare, in modo che lo possa annientare. Potere di Salomone io t'invoco: distruggi le tenebre in questo luogo.
25 male che potevo procurare? Fu quel pensiero a farmi tornare in me, ristabilendo il giusto equilibrio. «Chi sei tu?!» ripetei ancora più incisivamente; l’energia che consumavo non sarebbe durata ancora a lungo e, forse, quell’essere contava proprio su questo per potersi liberare. «Sono uno dei servi del Caos; sapevamo che eri ancora viva e ti stavamo cercando ovunque. I miei padroni saranno felici di scoprire che ti ho trovata…» La frase che aveva pronunciato rivelava un indizio fondamentale; ero riuscita a bloccarlo prima che potesse svelare la nostra posizione e quello era un vantaggio che non potevo lasciarmi sfuggire. Spalancai la mia mano destra proprio di fronte a lui e aprii la mia aura; il sigillo sul palmo prese a vibrare, illuminandosi di una lucentezza bianca, accecante. Il demone riconobbe subito l’emblema inciso nelle mie carni, ma non fece in tempo a emettere alcun suono prima di venir spazzato via dalla forza della Luce. Ricordo solo di essere caduta a terra esausta e di essermi risvegliata poco dopo, sorretta dalle forti braccia di Fumo Giallo. Orso stava preparando qualcosa, sbriciolando nel palmo della mano alcune foglie che teneva nella sua sacca della medicina; le mischiò a qualche goccia d’acqua mormorando parole incomprensibili, come era solito fare. Gli sorrisi quando m’infilò a forza quella poltiglia tra le labbra e, riconoscente, cominciai a masticarla senza chiedere spiegazioni; era molto amara, con un vago aroma di menta e mi fece sentire subito leggera, euforica. Mi addormentai quasi all’istante mentre Fumo Giallo mi caricava senza sforzo sulle sue spalle; il pericolo era scongiurato ma dovevamo riprendere al più presto la marcia: il sole continuava inesorabile il suo cammino nel cielo e la nostra meta di quel giorno era ancora terribilmente lontana. Quando mi risvegliai mi sentivo veramente bene, fresca e riposata come se avessi dormito nel mio letto una notte intera; non sapevo quanto fossi rimasta in quella condizione, ma il sole ancora alto nel cielo mi faceva sperare che il periodo fosse stato breve. Facemmo una breve sosta sulla riva di un piccolo ruscello; in quel punto una
26 leggera depressione aveva creato un laghetto poco profondo ma ricco di piccoli pesci che cercavano di nascondersi tra i sassi del fondo. Mentre le nostre guide procuravano la cena, i miei amici pellerossa cercavano di colmare le lacune della mia memoria circa gli ultimi avvenimenti; Lupo non si vedeva da nessuna parte ma non era inusuale che scomparisse per lunghi periodi: muovendosi molto più in fretta di noi, poteva tenere sotto controllo una porzione di territorio molto più vasto e al contempo procacciarsi il cibo in modo autonomo. «Non hai dormito per molto, solo un paio d’ore, ma ne avevi veramente bisogno. Solo tu sai cosa realmente è successo in quella gola; da dove eravamo noi abbiamo visto un turbine di vento che alzava un denso polverone, poi quella sensazione di minaccia incombente è svanita come neve al sole. Ti abbiamo trovata a terra, esausta, e ti abbiamo trasportata in braccio fino a qui, in modo che tu potessi recuperare velocemente le forze. Dobbiamo ripartire presto perché abbiamo ancora molta strada da percorrere prima di arrivare nel luogo prefissato per montare il campo. Te la senti di proseguire o hai ancora bisogno di riposo?» Ero mortificata di essere stata un peso nell’ultimo tratto del viaggio; Ricordavo perfettamente quello che era successo, lo scontro con il demone e quello strano vigore che si era impadronito di me: non era stato semplice mantenere l’equilibrio tra le forze positive e oscure che agivano nella mia mente in quel frangente. La magia nera aveva un fascino perverso che mi attirava irresistibilmente, ma gli insegnamenti di Cathbad erano profondamente radicati in ogni fibra del mio essere: forse la tonalità di grigio di cui parlava Valerie riguardo alla mia magia era regolato proprio da quel delicato equilibrio. Non volevo perdere altro tempo in quel luogo e diedi immediatamente il mio assenso alla partenza; avrei avuto tutto il tempo di meditare su quell’esperienza una volta arrivati a destinazione.
27 Era tardi; la luna splendeva alta nel cielo, circondata da miriadi di stelle pulsanti. Ero ancora seduta davanti al fuoco mentre gli altri stavano dormendo già da tempo. Non avevo sonno, prigioniera dell’agitazione e dei pensieri che affollavano la mia mente dopo le ultime vicissitudini. Scriverli sul mio grimorio aveva contribuito a schiarirmi le idee e potevo finalmente riporre il mio libro e cercare il giusto riposo dopo una giornata così emozionante. Era inevitabile che il mio ultimo pensiero andasse a mia madre che si era volontariamente sottratta al viaggio per non essere d’intralcio e a mio padre che, con mio fratello, stava scontando un esilio di cui la colpa era solo mia. Era un dispiacere che mi stringeva il cuore, un male purtroppo necessario per il raggiungimento di un bene superiore, o così almeno cercavo di convincermi in quella notte piena di tristezza e di dubbi. L’alba arrivò fin troppo presto, portandosi via le ultime briciole di un sonno agitato; per fortuna il tempo si manteneva sereno, permettendoci di sperare in una giornata favorevole. Se non avessimo trovato altri intoppi, forse saremo riusciti a coprire un’altra decina di chilometri prima di accamparci nuovamente. Seppellimmo con cura ogni traccia della nostra permanenza e, solo dopo il parere favorevole di Orso, cominciammo un’altra giornata di cammino attraverso i territori del nord-ovest, diretti verso un destino ancora incerto. Arrivammo al piccolo corso d’acqua, che doveva essere la nostra meta del giorno precedente, a mattina inoltrata; il torrente scorreva da nord a sud in un letto largo e abbastanza pianeggiante, fornendoci una via comoda, almeno in quel tratto. I piovaschi che avevamo intravisto il giorno precedente stavano portando acqua in tutti i corsi d’acqua della regione, compreso il rio che stavamo seguendo, ma al momento non era il caso di preoccuparsene. Risalimmo il suo letto tortuoso per più di un chilometro prima di trovare quello che cercavamo, una larga valletta che si apriva all’improvviso a ovest subito dopo una stretta ansa racchiusa tra due basse colline. Il bosco sulle loro pendici delimitava un largo tappeto di erba alta, solcato al
28 centro da un piccolo ruscello poco profondo di acqua cristallina; una visione a dir poco rilassante dopo il sentiero roccioso che avevamo percorso fino ad allora. «Grande Madre, ti ringrazio…» mormorai grata mentre il dolore ai piedi sembrava svanire d’incanto. Le nostre guide ci facevano segno di seguirli mentre si inoltravano tra gli alti steli di quell’erba verdeggiante. «Speriamo di non incontrare serpenti…» sentii sussurrare alle mie spalle. Mi voltai spaventata solo per incontrare lo sguardo scherzoso di Orso; mi stava prendendo in giro e quella voglia di scherzare era la migliore medicina contro la fatica del viaggio. «Lo spero anch’io…» gli risposi cercando di rimanere seria «mi dispiacerebbe fargli fare la stessa fine dell’ultimo che mi è capitato tra le mani…» La risata di Fumo Giallo poco distante contribuì ad allentare la tensione e, di buon grado, ci incamminammo verso quel mare d’erba verdeggiante. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD