Anna Olcese
IL SIGNORE DI ZATLA Ferry, Quinto Episodio
Edizioni SHALIBOO
www.shaliboo.it
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IL SIGNORE DI ZATLA Ferry, Quinto Episodio Copyright Š 2010 Anna Olcese ISBN 978-88-6578-003-9 In copertina: immagine Shutterstock.com
Finito di stampare nel mese di Giugno 2010 da Digital Print Segrate - Milano
Il Signore di Zatla (Ferry quinto episodio)
Questo è il quinto libro della saga di JADRAN FERRY che da giovane è stato sbalzato nel mondo di Zatla, un universo parallelo per certi aspetti simile alla Terra, ma dove vivono e operano popoli e personaggi straordinari. Sono passati duecento anni dalle avventure narrate nel primo libro, “Ferry, il cuore e la spada”. Il mondo di Zatla è cambiato radicalmente, dopo che l’umanità è stata quasi annientata a causa della vendetta della setta fanatica dei GUNDILI. La storia si svolge adesso in un ambiente arcaico, dove il giovane HEINO DI SINTRA cerca di arrangiarsi come può. Anche perché, il mondo di Zatla è adesso dominato da un essere spietato e quasi soprannaturale, che opprime le popolazioni. Durante il sodalizio con il vecchio S’RO e l’incontro con la giovane SHEDI del popolo Hegxen, il popolo dagli occhi blu che studia i poteri della mente, Heino scoprirà delle cose sconvolgenti sul suo passato, e saprà di avere un compito importantissimo e quasi impossibile….
I romanzi precedenti: Ferry, il cuore e la spada (Ferry primo episodio) 2007, Il Filo Edizioni Le guerre di Zatla (Ferry secondo episodio) 2009, Il Filo Edizioni Il Fuoco Azzurro (Ferry terzo episodio) 2010, Edizioni Shaliboo La Macchia (Ferry quartoo episodio) 2010, Edizioni Shaliboo
PARTE PRIMA
7
1.1
La Natura domina rigogliosa e selvaggia nel mondo di Zatla. Un oceano immenso, una sola grande terra emersa: un continente attorniato da numerose isole. All’estremo nord il clima è ancora temperato; solo d’inverno la neve cade abbondante. Più giù, oltre il Deserto di Pietra torrido di giorno e gelido di notte, si stendono le sterminate foreste della zona calda, regno un tempo del grande popolo dei dakei. Alla stessa latitudine e ancora più in basso c’è il Territorio del Sud, abitato dai favolosi Hegxen. Il Territorio del Sud è costituito per gran parte da alte montagne, alcune coperte di nevi perenni. Sulle loro pendici si trovano i villaggi degli Hegxen, inaccessibili per chiunque non sia dei loro, a meno che non siano gli Hegxen stessi a permettere visite agli estranei. All’estremo sud, Zatla è frastagliata in una serie di fiordi e isole, quasi del tutto disabitati. Fra il territorio degli Hegxen e la foresta dei dakei si stende la Grande Palude di Skyb, una distesa di piante acquatiche, giungla impraticabile e sabbie mobili, dalla quale tutti si tengono ben lontani. Prima della Grande Catastrofe, gli uomini si spingevano nella palude per raccogliere i fiori di chorka, una droga che in molti consumavano. Ma adesso, gli abitanti di Zatla sono troppo occupati a sopravvivere per essere attratti dalla droga. La Grande Palude di Skyb quindi è il regno dei serpenti e degli uccelli acquatici, ma non ha abitanti umani. Altrettanto disabitata è la vicina Selva di Anni, custode di terribili segreti legati alla Grande Catastrofe di duecento anni prima. Dopo la Grande Catastrofe, la popolazione di Zatla è stata quasi annientata. Ma l’uomo è tenace e ostinato: dai piccoli gruppi di sopravvissuti, si è ora sviluppata una nuova civiltà, rimasta però ancora a uno stadio abbastanza primitivo: niente energia, niente tecnologie, niente mezzi di trasporto salvo il cavallo. Le varie popolazioni di Zatla, duecento anni prima, avevano automobili e autobus, fonici per le comunicazioni, veicoli antigravità per volare sui lunghi percorsi, armi da fuoco. Non avevano saputo fare buon uso di tutto questo e avevano sprecato energie e vite umane per combattersi a vicenda. Un accordo fra i vari governi di Zatla
8 per combattere i Gundili, i fanatici adoratori di Gunda era stato fatto troppo tardi, e la loro vendetta si era compiuta. Ma oggi, tutto questo è quasi dimenticato. L’umanità ha faticato molto a riprendersi dopo la Grande Catastrofe, e gli uomini hanno perso anche parte della memoria del passato: nessuno più si ricorda esattamente che cosa sono stati i Gundili e perché il loro odio fanatico abbia portato la razza umana sull’orlo dell’estinzione. Su Zatla, oggi, piante ed animali, nella quasi totale assenza dell’uomo, si sono riprodotti e moltiplicati. Anche adesso, duecento anni dopo, l’umanità non è tanto cresciuta di numero da disturbarne l’equilibrio. Estese foreste ricoprono il territorio; cavalli selvaggi ne percorrono gli spazi aperti; lupi e drax popolano boschi e montagne, e nel Deserto di Pietra vivono mostruosi animali alati, creati duecento anni prima dalla fantasia di uno scienziato folle: specie di gigantesche cavallette che tutti chiamano “draghi” e che a volte, spinte dalla fame, escono dal deserto e assalgono gli uomini seminando il terrore. Ma Zatla è grande, e moltissimi dei suoi abitanti non hanno mai visto questi “draghi” e pensano si tratti di una leggenda. La bellezza dela natura di Zatla è per molta parte intatta: i boschi, i torrenti, le cascate, le montagne, il mare e il cielo di Zatla. Nessuno direbbe che un’ombra scura si stenda su tutto quel mondo apparentemente felice, come una cappa grigia che ricopre pesantemente tutto l’orizzonte: è un essere che nessuno ha mai visto ma di cui tutti conoscono la potenza. Si fa chiamare “il Signore”. E’ dotato di poteri soprannaturali e gli si deve cieca obbedienza. Il Signore domina su tutta Zatla, vede tutto, e la sua collera può essere terribile. Gli uomini non sanno chi sia il Signore, né l’hanno visto di persona, ma il suo potere si manifesta per mezzo dei suoi sgherri, che vengono chiamati “i Grigi” per via del colore delle loro uniformi: i Grigi compiono crudeltà inaudite verso la popolazione, e in particolare verso chi in qualche modo offende il Signore rifiutando obbedienza e devozione, o peggio rifiutando di pagare le pesanti tasse, in denaro e in natura, che tengono gli abitanti di Zatla a livello di pura sopravvivenza. Da molto, molto tempo ormai il Signore domina Zatla. Si dice che sia immortale. Di certo ha un immenso potere: è capace di far piovere fuoco dal cielo o di oscurare il sole, se qualcuno osa sfidare la sua collera. Zatla vive così una vita “dimezzata”, perché l’umanità non è in grado di sviluppare benessere, avvolta com’è in questa mostruosa tela di ragno senza uscite.
9 I centri abitati, su Zatla, sono piccolissimi: paesi di poche centinaia di abitanti; solo qualche borgo maggiore, radunato intorno al castello di qualche principe, raggiunge il migliaio. E poi c’è Tryan, che un tempo si vantava di essere chiamata “la Splendida”. A Tryan sopravvivono alcune migliaia di discendenti degli antichi nobili, ed è l’unico angolo di Zatla dove ci siano macchinari e armi da fuoco. Anche loro, naturalmente, pagano le tasse al Signore. Ma la maggior parte degli abitanti di Zatla non sa nemmeno che esistono se non per sentito dire o, ancora una volta, a livello di leggenda. *** Nemmeno Heino di Sintra, venticinque anni e pochi problemi, ne sa molto su Tryan, né sui Draghi, né sui favolosi Hegxen dagli occhi blu. Tanto meno si pone problemi mentre, a cavallo, si sta avvicinando al paese di Hanlok. E’ stato qui, l’ultima volta, cinque o sei mesi fa. Chissà se Lujane lo accoglierà a braccia aperte? E come starà Velda, e Klaare...? Heino non è legato a nessuna donna, animo di vagabondo com’è, ma sono sempre in tante, dovunque vada, ad aspettare con ansia il suo ritorno. Nemmeno si ricorda, Heino di Sintra, se non come una leggenda, la storia del grande Jadran Ferry, lo Straniero venuto su Zatla dalla Terra, che tanta parte aveva avuto nella storia di Zatla, e che aveva trovato la morte, come milioni di altri, durante la Grande Catastrofe.
10
1.2
Si chiamava Heino. Heino di Sintra, dal nome del suo paese di origine, nelle montagne del Nordovest. Sua madre lo aveva avuto da un ragazzo che poi era morto senza sposarla, prima ancora che lui nascesse; lo aveva chiamato Heino, che era un nome importante, da nobile, perché quel nome le piaceva e anche, chissà, per una sorta di auspicio, come per augurargli di avere una vita importante, non l’esistenza grama che aveva vissuto lei. Era morta, sua madre, quando Heino era ancora molto piccolo: lui quasi non se la ricordava. Era cresciuto con altri bambini, come un piccolo animale libero, nei cortili e nei campi della fattoria dove sua madre lavorava, a Sintra. Poi il maestro del paese gli aveva insegnato a leggere e scrivere e qualche elemento della storia di Zatla, dalla Grande Catastrofe in poi. Ma la storia, come del resto la geografia, veniva insegnata lasciando molto spazio alla fantasia: così il piccolo Heino aveva imparato che gli “Occhiblu”, i favolosi Hegxen che vivevano oltre i fiumi e le montagne, erano stregoni capaci di rendersi invisibili e di fare altre cose stupefacenti; che i Dakei delle foreste erano selvaggi dediti anche al cannibalismo; e che i terribili “draghi” che avevano le loro tane nel Deserto di Pietra, erano ferocissimi e non si potevano propiziare né con offerte né con sacrifici «Con i Draghi bisogna solo scappare, scappare in fretta» aveva dichiarato il maestro. Ma il piccolo Heino preferiva correre nei prati e nella foresta piuttosto che ascoltare gli insegnamenti del maestro. Era bravissimo invece nei lavori manuali e nella lotta: non era particolarmente alto e robusto, ma agile come una scimmia. Nelle zuffe tra coetanei raramente aveva la peggio. Nessuno però lo chiamava “Heino”. Fin da piccolo tutti, perfino sua madre, avevano abbandonato quel nome “importante” e lo chiamavano Ino. Ino di Sintra, così si considerava lui stesso. Era cresciuto, si era trovato un suo spazio in quella società dura e difficile. Ben poco si interessava di sapere cosa fosse successo ai tempi della Grande Catastrofe, e anche prima; poco anche si interessava di tutto ciò che riguardava il Signore e i suoi sgherri, salvo fare il minimo indispensabile per evitarne la collera.
11 *** Heino guidò il cavallo abilmente giù per la collina verdissima. Aveva piovuto, la notte, e tutto sembrava nuovo sotto la luce del sole. Il paese si intravedeva già, fra due colline sul torrente; un ponte in pietra e una passerella di legno permettevano di passare da un lato all’altro. Si mise a cantare, di buon umore. A Heino piaceva cantare: aveva anche una bella voce, e si accompagnava con il suo “galyd”. Conosceva una quantità di canzoni, e alcune le componeva lui stesso. Ogni volta che arrivava in un paese la gente, soprattutto donne, gli stava intorno la sera, e lui cantava per loro: questa era però la sua attività secondaria, dato che la principale consisteva nel fabbricare e vendere oggettini di cuoio e pietre: collane, bracciali, catene; e nel riparare utensili e attrezzi di ogni genere. Di solito, Heino era atteso con entusiasmo dalle donne, e un po’ meno dagli uomini che vedevano in lui un potenziale concorrente. Prima ancora di arrivare al sentiero che portava direttamente in paese, Heino fu avvistato da un gruppo di ragazze che lavoravano nei campi. Lasciarono il lavoro e corsero su per il sentiero, incontro al suo cavallo. «Ino! Ino!» «E’ arrivato Ino!» «Ben tornato!» «Cosa ci hai portato, Ino?» Si assiepavano intorno al cavallo. Heino rideva, scambiava battute, stringeva mani, allungava carezze sulle guance. «Ma siete cresciute, parola mia!» esclamò fingendo ammirazione. Le ragazze risero in coro. «Ma sei stato qui pochi mesi fa, Ino!» Heino saltò giù da cavallo mentre le ragazze gli si stringevano intorno. Qualcuna si azzardò a baciarlo, mentre lui distribuiva equamente carezze e qualche pizzicotto. «Su, ragazze, lasciatemi andare. Sono in viaggio da tre giorni e ho bisogno di riposarmi un po’» «Canterai per noi stasera, Ino!» «Certamente! E ho per voi dei braccialetti nuovi con pietre azzurre. Lasciatemi scendere in paese, su. A più tardi» Riuscì a districarsi dall’abbraccio delle ragazze e risalì a cavallo. Dopo dieci minuti varcava il ponte di pietra e entrava in paese, mentre altra gente usciva dalle case per salutarlo. Mentre si dirigeva verso l’unica locanda del paese, tenendo il cavallo per le briglie, incontrò Lujane. Gli occhi della donna si illuminarono di gioia
12 nel rivederlo «Mi ero dimenticato di quanto sei bella» affermò Heino baciandole le mani e i polsi. «Stupido!» però sorrideva. Gettò indietro i lunghi capelli neri «da dove vieni adesso, Ino?» «Sono stato giù, oltre la foresta di Rimal. Adesso che la neve si è sciolta tutta sto risalendo verso i paesi del nord» «Come vivono, negli altri paesi?» «Beh, più o meno...» diede un’occhiata intorno, alle misere case di un solo piano «c’è molta povertà dappertutto, Lujane, e quest’inverno c’è stata anche carestia» «Qui abbiamo avuto visite» Lujane abbassò la voce guardandosi intorno «ci sono stati i Grigi, due mesi fa. Ci hanno imposto nuove tasse. Non so se riusciremo a pagarle» «Ah!» Heino fece una smorfia. Sapeva che i Grigi potevano essere molto crudeli: aveva sentito storie terribili su di loro nei paesi che aveva attraversato «ma tu non avrai guai, vero?» «Spero di no» Lujane gli sorrise, poi alzò le spalle «ma parliamo d’altro. Lo sai che Klaare si è sposata?» «Davvero? E con chi...» «Ha sposato Arnout. Forse si era stancata di aspettarti...» «Ah, io non mi sposerò! Tutt’al più potrei sposare te...» Lujane rise con superiorità fingendo di allungargli un ceffone. Lui la bloccò e la tenne stretta un attimo. «Non dire queste stupidaggini» disse Lujane «io ti voglio bene, Ino, ma sono troppo vecchia per te. E poi, lo sai il mestiere che faccio» Heino riprese a camminare tenendole il braccio in vita «Tu hai cuore, Lujane, molto più delle ragazze cosiddette perbene» «Si, ma non parliamo più di me. Ce ne sono tante, di ragazze, in paese, che ti sposerebbero...» «Te l’ho detto, non voglio sposarmi» «Però con Klaare l’avresti fatto...» «Beh, Klaare...» Heino alzò le spalle «si è sposata, no? Felice lei. In quanto a me, non metto radici, lo sai» Erano arrivati alla locanda. La padrona era sulla porta. Heino si inchinò con un sorriso «Daljet, nonna. Eccomi qui ancora da te» «Ah, il ragazzaccio!» la vecchia lo squadrò da capo a piedi fingendo di non vedere Lujane «di nuovo in paese a far girare la testa alle ragazze, eh? Guarda che Klaare non è più per te» «Si, nonna, me l’hanno detto. Vuol dire che farò la corte a te...»
13 Il cipiglio della donna si sciolse in un sorriso «Vieni su, disgraziato! Ho sempre un letto per te, io» Heino passò il resto della giornata a vendere e fabbricare oggetti di cuoio e pietre: collane, bracciali, per uomini e soprattutto donne, e a raccogliere le prenotazioni per gli utensili da riparare l’indomani: casalinghi, attrezzi agricoli, stivali. Era molto abile, e la sua opera era sempre richiesta nei paesi che attraversava. Quando fu buio, mezzo paese era riunito sulla piazzetta centrale per sentirlo cantare. Alcuni avevano lanterne e torce. Le ragazze si spingevano per stare in prima fila. «Cosa ci canterai, Ino?» «Ho composto una canzone per voi» disse lui accordando il galyd «ma prima vi farò sentire qualcosa di conosciuto» La notte era chiara, e già tiepida. Lo scroscio del torrente in lontananza era come un accompagnamento al canto. Ino iniziò con un’antica ballata che tutti conoscevano. “Ian il cavaliere aveva una lunga lancia, “Ian il cavaliere aveva una lunga lancia, “e Ran il suo cavallo aveva una lunga coda... Man mano tutti venivano presi dal ritmo, battevano le mani a tempo, mentre qualcuno faceva girare boccali di saik. «Ancora, Ino, canta ancora!» Heino guardava il suo pubblico alla luce delle lanterne. Klaare stava un po’ indietro, e Arnout stava proprio alle sue spalle come per confermare il proprio possesso. Doveva essere un marito geloso, Arnout. E aveva ragione: non era né giovane né bello, mentre Klaare con quei capelli biondi giù per le spalle e quelle gambe da dea si meritava ben altro. Klaare non staccava gli occhi di dosso a Heino, uno sguardo che significava molte cose. Chissà perché aveva sposato quel brutto tipo di Arnout. Questione di soldi, probabilmente. Heino continuò a cantare, mentre la gente batteva le mani e rispondeva al coro, e quando si furono tutti ben scaldati con la musica e con il saik, disse «Adesso vi canterò una canzone nuova che ho scritto per le donne di Hanlok» fece un largo sorriso, conscio di aver provocato l’invidia gelosa dei maschi presenti, e si mise a cantare. “Una notte di luna, una notte di luna, “Iria la più bella fra tutte le donne del paese “andò nella foresta. “Aveva una lampada, una lampada d’oro “per rischiarare il suo cammino, Iria la bella,
14 “il suo lungo cammino. Gli spettatori non fiatavano. Klaare gli sorrideva nell’ombra. “E dalla foresta, dal folto della foresta “saltò fuori Drax, il Gatto Selvaggio “ma lei non ebbe paura, “disse: io ti conosco, ti conosco bene “Gatto Selvaggio, e questa notte voglio “giacere con te, nella foresta. “E Drax, il Gatto Selvaggio della foresta “diventò subito un giovane bellissimo “vestito d’oro, e Iria lo baciò sulla bocca..”. Cantò per un pezzo, e quando la ballata fu finita fu sommerso dagli applausi. Quella gente, pensava, non aveva nessuna occasione di divertimento. Lavoravano la terra e riuscivano appena a sopravvivere. Il poco che avevano in più, e spesso anche il necessario, glie lo portavano via i Grigi per conto del Signore. Così era la vita. Cantò fino a tardi, bevve saik, e finalmente andò a dormire nella locanda. Non si stupì di sentire un leggero fruscio alla finestra, appena entrato. Intravide gli occhi scuri di Lujane, sotto il cappuccio. «Entra» la aiutò a scavalcare il davanzale basso «sono così stanco che non riuscirei a venire io fin da te» «Stanco anche per fare l’amore?» domandò lei mentre lasciava cadere il mantello logoro. «Oh, per quello mai!» sorrise mentre le spingeva giù la camicia leggera. Lujane, sotto, non aveva altro, e lui cominciò a baciarle i seni. «Aspetta, non fare l’impaziente...» lasciò cadere anche la gonna e si sedette sul letto «c’è Sandel che viene da me, quasi tutte le sere... mi dà qualche corona, quando può. Ma stasera gli ho detto che non ne facesse niente» «Sai, io non posso pagarti» disse Heino mentre giaceva con lei e la baciava in tutto il corpo. «Sssst! Da te non vorrei niente, lo sai» «Si, Lujane, lo so» rotolarono lentamente sul letto. Ogni volta che passava da Hanlok, Heino poteva contare sui favori di Lujane. Lui la considerava più che altro un’amica, ma non mancava di approfittare della situazione senza porsi problemi. Si addormentò contro di lei più tardi, e con la prima luce Lujane lo scostò gentilmente e cominciò a vestirsi: preferiva tornare a casa prima che il paese la vedesse. Heino allungò una mano in un’ultima carezza, ancora semiaddormentato «E’ stato bello» mormorò con gli occhi chiusi.
15 «E’ sempre bello, con te» disse lei. Passò le dita fra i suoi capelli chiari, lo baciò sugli occhi «daljet, tesoro, alla prossima volta» Il giorno dopo, Heino si sistemò sulla piazzetta sotto un vecchio portale, e cominciò la processione di quelli che avevano oggetti da riparare. Contava di restare in paese qualche giorno, giusto il tempo di raggranellare qualche corona per comprare nuovo materiale per il suo lavoro. I suoi prezzi erano molto bassi, né avrebbe potuto essere altrimenti date le misere condizioni in cui vivevano i suoi clienti. Aveva sempre in mente di andare, una volta o l’altra, al castello di qualche principe, Evergard di Kata per esempio, contando di trovare clienti che gli avrebbero fatto guadagnare di più. Ma fino allora non lo aveva fatto: il castello di Evergard era lontano molte giornate di cavallo. E poi in fondo non gli interessava più di tanto di aumentare i suoi guadagni. Per tutto il giorno Klaare non si fece vedere; si presentò invece il mattino seguente con un recipiente di cuoio per tenere l’acqua in fresco, scucito su un lato. Heino lo esaminò con occhio esperto, giudicando che era un lavoretto che anche Klaare stessa avrebbe potuto fare. Ma prese il recipiente rivolgendo uno smagliante sorriso alla proprietaria «Ripassa questa sera» disse «questo lavoro non è difficile, ma per te io lo farò alla perfezione» La ragazza arrossì leggermente e disse «Grazie» senza decidersi ad andarsene. «Come sta Arnout?» buttò là Heino. la testa china sul lavoro che stava facendo. «Bene... è andato al campo di Shekaar» disse lei «tornerà solo domani» «Ah!» Heino alzò la testa, la guardò negli occhi «questa notte sei sola, allora?» «Si» Klaare diede un’occhiata in giro, ma la piazza era deserta. Abbassò la voce «lui è molto geloso... quando lui non c’è, sua madre dorme nell’ingresso» «Ah» «Se fai molto piano, forse...» «Sarò silenzioso come un serpente» affermò Heino, e sorrise guardandola «aspettami... stanotte» Heino trascorse la giornata in piacevole eccitazione pensando all’avventura che lo aspettava. Non che ci tenesse particolarmente, a Klaare: le aveva fatto la corte, è vero, ogni volta che passava da Hanlok, ma lei non gli aveva dato mai molta confidenza. E così, adesso lei lo voleva. Klaare aveva sposato Arnout che rappresentava, per quanto precaria a quei tempi, una sicurezza economica, ma a-
16 desso voleva lui. Piccola strega! Comunque lui ne avrebbe approfittato di sicuro. Quello stupido di Arnout! Certamente non era capace di soddisfarla, freddo com’era. E aveva incaricato sua madre di fare la guardia alla moglie! Heino rideva fra sÊ: porta o finestra che fosse, lui sarebbe entrato.
17
1.3
La notte era fonda e il paese immerso nel buio e nel silenzio quando Heino arrivò alla casa di Klaare. Era, come tutte le altre case, una costruzione di pietra a livello terra. Tutto era tranquillo. Girò intorno alla casa, tentò la porta con precauzione. Era chiusa. Rifece il giro guardando le finestre, chiuse anche quelle, domandandosi se ci fosse una via per entrare. Un bisbiglio a voce appena percettibile lo fermò di colpo. «Ino! Ino, sono qui!...» la voce veniva da una finestra bassa, mezzo metro da terra, difesa da sbarre di ferro. Klaare era dietro la finestra. «Tesoro!» le sorrise nel buio «sono qui tutto per te, e caldo come un camino ben acceso. Aprimi, su» «Non posso. E’ che... Staala mi ha chiuso a chiave in camera» «Oh, merda» valutò rapidamente la situazione «quella strega! E adesso...» «Ino, Ino, tesoro» mormorava Klaare, aggrappata alle sbarre. Aveva addosso solo una camicia, aperta sul seno. Ino cominciò a baciarla attraverso le sbarre: ci passava giusto la testa. Klaare era eccitata come una cagna in calore, pensò mentre entrava nella sua bocca con la lingua e sollevava la camicia per stringere le natiche. Anche così, l’avventura si presentava piacevole. «Ino, oh Ino... tu si che sai baciare...» «So fare anche altro» cominciò a carezzare i seni, e poi fra le gambe continuando a baciarla. Un bel corpo aveva, la piccola, Lei si rovesciava indietro in preda al desiderio. «Ino, oh Ino, Ino...» Quell’idiota di Arnout, pensò lui velocemente, di certo non ci sapeva fare. Continuò a carezzarla, poi le circondò le reni con le braccia continuando a baciarla e toccarla. Klaare gemeva di piacere, aggrappata alle sbarre. Intento alla sua piacevole fatica, Heino che stava semi-inginocchiato davanti alla finestra non si accorse che all’ultimo momento di una presenza alle sue spalle: un attimo più tardi qualcuno lo afferrò brutalmente per le caviglie trascinandolo indietro.
18 «Cane, sporco verme bastardo, lurido figlio di una troia» urlò Arnout tirandolo su di peso. Lo colpì alla bocca dello stomaco, poi come una furia cominciò a tempestarlo di pugni e calci. Heino, dopo il primo momento di stordimento, rotolò di lato cercando di sfuggirgli, ma Arnout era forte come un toro, e la sua forza era moltiplicata dalla rabbia. «Ti ammazzo, ti ammazzo con le mie mani!» urlava Arnout fuori di sé. Dalle case intanto cominciavano a uscire gli uomini del paese, svegliati da tutto quel chiasso. Subito tentarono di separarli. «Su, Arnout, calmati» cercavano di tenerlo fermo, ma ci vollero dieci minuti di sforzi perché riuscisse a parlare in modo comprensibile. In quanto a Heino, i paesani lo tenevano saldamente e lui non faceva cenno di volersi muovere. «Voglio ammazzarlo, quel figlio di cane!» gridò Arnout. «Ma che ti ha fatto?» «Si, che ti ha fatto?» «Lui stava...» già, che stava facendo? «stava tentando di prendermi la moglie» disse finalmente senza scendere in troppi particolari. Heino prese la palla al balzo per tentare di capovolgere la situazione in suo favore. «Non ho fatto niente di male» gridò rivolto alla gente presente «stavo parlando con Klaare, ero fuori della finestra e lei dietro le sbarre. Cosa credete che potessi fare?...» «Tu... tu, maledetto verme!» Arnout furioso era diventato paonazzo «tu le tenevi le mani addosso, ecco cosa!» «Ma via, una carezza...» disse Heino mentre i paesani si guardavano l’un l’altro, non avendo ancora ben chiara la situazione. «Una carezza!» sbottò Arnout tentando di liberarsi di quelli che continuavano a tenerlo «di’ piuttosto che stavi con la faccia tra le sue gambe, e lei godeva, la troia! Ah, ma la pagherete!...» Alcuni dei paesani si misero a ridere, ma furono subito zittiti: la fedeltà coniugale era una cosa seria, e anche se la situazione era abbastanza ridicola non era permesso ridere. «Tu sei un bestione stupido!» gridò Heino affrontando Arnout che lo superava di mezza testa, e pensando che era meglio difendersi attaccando «Ma guardati! Cosa ci ha trovato Klaare in uno come te? Dovresti ringraziarmi, invece, per aver dato a tua moglie un po’ di quel piacere che tu evidentemente non sei capace di darle...» «Io ti ammazzo!... ti ammazzo!» Arnout, sentendosi messo in ridicolo, lottava furiosamente con gli uomini che lo tenevano Più indietro, spuntavano visi di donne, anche loro uscite sentendo il chiasso, e si sentiva qualche risata sommessa.
19 Intanto erano arrivati i due Anziani del paese, quelli che avevano il compito di giudicare i reati e di dirimere le controversie. Erano visibilmente infastiditi per essere stati svegliati nel cuore della notte. «Di che ti lamenti infine, Arnout?» disse uno dei due «Ino non ha mica posseduto tua moglie, mi pare» «Ma lui... cioè lei, lei godeva, Anziano, godeva con lui!» «Via, via» disse l’altro Anziano «lasciamo a te di dare a tua moglie la punizione che si merita. In quanto a Ino, che sia cacciato dal paese» «Ma, Anziano» provò a dire Heino tentando un’estrema difesa «io non facevo niente di...» «Basta così, ragazzo» intervenne l’altro Anziano «ti conosciamo: tu pensi di poterti divertire con tutte le donne, anche con quelle degli altri. Ringrazia che non ti facciamo dare una dose di bastonate; prendi la tua roba e non ti far mai più vedere qui» «Se torni, sarai bastonato a morte, ricordatelo» disse il primo Anziano. «Ino se l’è cavata troppo bene» protestò Arnout. Ma l’Anziano si voltò irritato, mentre già stava tornando a casa. «Smettila anche tu, Arnout. Pensa a controllare tue moglie, piuttosto» Lentamente la gente cominciò a tornare alle case. Heino, accompagnato da un gruppo di contadini silenziosi, andò a prendere le sue cose, le caricò sul cavallo. «Daljet, amici» disse provando a scherzare «penso che non ci vedremo per un po’, qui l’aria si è fatta difficile per me, ma forse un giorno...» «E’ meglio che tu non riprovi a tornare» disse uno dei suoi accompagnatori con tono malevolo «sarei felice di partecipare alla tua bastonatura» Heino notò che anche le facce degli altri non promettevano bene. Gli uomini del paese erano solidali con Arnout: lui non era che uno straniero che ci aveva provato con una delle loro donne. Saltò in sella con un gesto di saluto e diresse il cavallo verso nord uscendo dal paese mentre i contadini restavano fermi al di là del ponte, a guardarlo. Non albeggiava ancora. Sapeva che Arnout avrebbe picchiato Klaare duramente, ma non si sentiva in colpa: in fin dei conti quella piccola strega se l’era cercata, la punizione. E poi, la coscienza di Heino nei confronti degli affari di donne era piuttosto elastica. *** Arrivò tre giorni dopo a Treek, un gruppo di case di pietra sulla riva di un torrente. Conosceva parecchia gente a Treek, ed erano molti mesi che
20 non ci andava. Anche questo era un paese di gente molto povera. Ci vivevano anche alcune famiglie di razza behir, scuri di pelle e con i capelli a caschetto. I behir erano forse, su Zatla, i più derelitti: si prestavano a fare qualsiasi lavoro e non possedevano nemmeno la terra che coltivavano. Più a nord, dove i behir erano più numerosi e i bianchi in minoranza, la loro situazione era un po’ migliore; ma in genere conducevano una vita piuttosto grama, e spesso venivano chiamati “scimmie” con disprezzo. Intorno al paese, nei campi, non c’era nessuno, e questo era molto strano. Heino arrivò alle prime case e si inoltrò in paese con molta prudenza. Ebbe un colpo nel trovarsi davanti improvvisamente i cadaveri di due uomini inchiodati su rudimentali croci di legno. Heino si portò rapidamente con le spalle al muro trattenendo il cavallo. Improvvisamente due persone, un uomo e una donna, sbucarono da un portico e corsero verso di lui. Heino riconobbe l’uomo «Erald! Ma cosa è successo?» La donna piangeva, e l’uomo chiamato Erald era sconvolto «Ino, questo paese è maledetto...» «Ma che è successo?» ripeté Heino che non capiva, mentre la donna gli si aggrappava al braccio. «Sono stati qui i Grigi, ieri. Qui in paese qualcuno ha bestemmiato il Signore e lui, che il Suo nome sia benedetto! deve essersene accorto...» «Si, che il Suo nome sia benedetto» si affrettò a dire Heino che non ci teneva ad attirarsi le ire dell’onnipotente Signore «E allora, i Grigi?...» «Si, loro hanno dato fuoco alla casa di Jol, laggiù» indicò un rudere annerito «e hanno tirato fuori di casa Jol e le sue due figlie. Il fratello di Jol è uscito di casa con la moglie e... e...» «E allora?» incalzò Heino «I Grigi hanno preso Jol e il fratello e li hanno inchiodati, lì» indicò con la mano, senza guardare «e poi davanti a loro hanno violentato le due ragazze e la moglie. Poi li hanno torturati e si sono portati via le donne» «Tutto questo perché...» «Dicevano che Jol aveva bestemmiato. Io ho sempre pensato che lui fosse un fedele del Signore, come tutti noi, ma chi può saperlo? Le figlie hanno giurato piangendo che lui non ha mai bestemmiato, ma i Grigi hanno detto che il Signore vede nel cuore e nella mente, e che Jol era colpevole» «Ah» Heino si sentì a disagio. Sperò che al Signore non venisse in mente di esaminare il suo, di cuore.
21 «Questo paese è maledetto» ripeté Erald mentre la donna tremava tenendo sempre il braccio di Heino «non più tardi di una settimana fa erano state qui le guardie del principe...» «Del principe Evergard?» si informò Heino. «Proprio. Cercavano soldi, come puoi immaginare. Altre tasse. E siccome Adlis non ha potuto pagare lo hanno dichiarato Perduto» «E lui?...» «Se n’è andato. Lo sai che non si può dare ospitalità a un Perduto» «Adlis!» lo conosceva bene, poteva quasi considerarlo un amico, se non fosse che si vedevano così di rado «e sua moglie?» «Non lo sai? E’ morta due mesi fa. Una febbre. Aspettava un bambino, ma anche lui...» allargò le braccia. Heino rimase silenzioso un attimo. La tragedia di Adlis lo aveva colpito più ancora di quella, lì visibile, di Jol e suo fratello. Così in due mesi Adlis aveva perso moglie e figlio e le guardie lo avevano dichiarato Perduto. «E che farà ora Adlis?» L’altro si strinse nelle spalle «Tenterà di sopravvivere. Certo nessuno gli darà da mangiare o lo aiuterà. Mica vogliamo rischiare la vita» «Potrebbe tentare di raggiungere gli altri Perduti... mi hanno detto che hanno fondato una comunità, da qualche parte» «Se ce la farà...» l’uomo sembrava insensibile alle sventure di Adlis, preso com’era dal suo precario presente. Perché infatti un Perduto – riconoscibile dal piccolo marchio che le guardie gli imprimevano a fuoco sulla fronte – non era più nessuno: poteva essere derubato e anche ucciso senza che questo costituisse reato. Nessuno poteva dargli asilo o aiutarlo in qualche modo se non voleva incorrere nella collera del principe. Il silenzio si era fatto pesante. La donna si era allontanata di qualche metro e piangeva sempre piano. Dalle case non usciva nessuno: evidentemente erano troppo terrorizzati anche per parlare con un estraneo. «Bene, Erald. Mi dispiace...» Heino additò i due crocifissi «volete una mano per seppellirli?» L‘uomo cominciò a tremare «I Grigi ci hanno detto di lasciarli lì e non toccarli per tre giorni, perché servano di esempio» «Come vuoi tu» Heino, a disagio, cercò di non guardare i due corpi seviziati «bene, credo sia meglio che io me ne vada» Salì lentamente sul cavallo, lo mise al passo. Attraversò il paese deserto, un pugno di case con qualche decina di persone atterrite. Mezz’ora dopo, abbandonato il sentiero, si addentrava nel bosco dirigendosi verso nord.
22 *** A sera, Heino si fermò sulle rive di un torrente per passare la notte. Per raggiungere il prossimo paese gli ci sarebbero voluti almeno tre giorni, ma non c’era fretta. Mentre mangiava la sua cena vicino al fuoco, ripensava a quello che era successo a Treek: quegli uomini crocifissi, e le donne violentate... lui non era mai stato testimone delle atrocità dei Grigi: queste cose le aveva sempre sentite raccontare ma mai ne aveva fatto un’esperienza così brutale e diretta. E il Signore si era accorto che Jol lo aveva bestemmiato!... con la fame che c’era, e con quegli sgherri feroci che lui mandava in giro, dopo tutto Jol aveva qualche ragione di bestemmiare... si riscosse spaventato: il Signore, glie l’avevano detto, leggeva nei cuori e nelle menti. Rabbrividì nell’aria fredda della sera. Si sforzò di pensare ad altro: il povero Adlis, per esempio. Ben sfortunato, quel ragazzo. Probabilmente dopo che aveva perso la moglie non gli importava più molto di lavorare, e quindi non aveva i soldi per le tasse. E adesso lui era un Perduto e la sua vita valeva meno di niente. Cercò di riscuotersi e di vedere le cose realisticamente: così era la vita, su Zatla. «Bene!» disse a voce alta «dopo tutto, a me cosa me ne importa?» alzò le spalle come ogni volta che non voleva pensare, cosa che gli capitava spesso. Lui aveva la sua vita, e cercava di passarla meglio che poteva. Si svegliò col primo sole, si stiracchiò, disse meccanicamente «Sia lode al Signore, e che il Suo nome sia benedetto». Era un’abitudine che aveva preso fin da bambino: gli adulti glie l’avevano inculcata a suon di ceffoni, perché non si doveva irritare il Signore in nessuna maniera. Quel giorno percorse un buon tratto di strada. Verso metà pomeriggio il cielo cominciò ad annuvolarsi e il buio calò presto, accelerato dalle nuvole scure che non promettevano niente di buono. Heino si fermò non lontano da un torrente impetuoso dalle acque gelide. C’era, lì vicino, un gruppo di case in rovina: se ne trovavano molte, su Zatla, e risalivano ai tempi della Grande Catastrofe, quando l’umanità era stata quasi del tutto spazzata via. Intorno ai muri diroccati, la vegetazione era cresciuta rigogliosa. I tetti erano quasi tutti caduti, ma lui trovò una comoda sistemazione in una costruzione che doveva essere stata una stalla, realizzata sfruttando una grande lastra di roccia obliqua: lì sotto non avrebbe piovuto di certo. Heino scaricò le sue cose e tolse al cavallo anche la sella, lasciandolo libero di cercarsi la sua cena nei dintorni. Uscì dal suo ricovero per raccogliere una gran bracciata di foglie che gli sarebbero servite da materasso.
23 Diede un’occhiata al cielo nel rientrare, e in quel momento il primo lampo illuminò la notte. “Ah, sarà una nottataccia” si disse Heino rallegrandosi di aver trovato un riparo così confortevole: il lastrone di roccia era sporgente di sei o sette metri, e ai lati resistevano ancora vecchi muri che lo avrebbero riparato dal vento. Il tuono squarciò il silenzio con un boato tremendo, e subito cominciò a cadere una pioggia torrenziale. Sdraiato sulle foglie, Heino si rilassava guardando il fuoco che faceva contrasto con l’acqua che, fuori, si rovesciava giù dal cielo. Gli avvenimenti del giorno prima non avevano lasciato, tutto sommato, una traccia molto profonda in lui, abituato com’era a vivere alla giornata e preoccuparsi poco di tutto ciò che non lo riguardava da vicino. Aveva ancora qualche provvista, e la frutta non mancava certo nella foresta. Non c’era da preoccuparsi d’altro per il momento. Si addormentò nel bel mezzo del temporale, mentre il fuoco era ancora alto.
24
1.4
Si svegliò di soprassalto perché qualcuno, molto vicino, lo aveva chiamato «Heino! Heino!...» Il fuoco era ridotto a brace, e in quella luce incerta Heino, che era schizzato in piedi, non vide nessuno. Si strofinò gli occhi. Aveva sognato? Eppure... Lo aveva sentito chiaramente: qualcuno lo aveva chiamato due volte, da vicino. E lo aveva chiamato “Heino”, cosa che non faceva nessuno. Fece minuziosamente il giro del locale, ma non c’era nessuno. Il temporale lanciava i suoi ultimi brontolii da lontano, ma pioveva sempre forte. Heino uscì sull’ingresso, nel buio. “Devo aver sognato, per forza” si disse, voltandosi per rientrare all’asciutto. Ma qualcosa lo trattenne sull’ingresso: lontano, confuso nel rumore della pioggia, gli era parso di sentire come un lamento, un grido di aiuto. Restò sull’ingresso mentre il cuore accelerava i battiti. «Aiuto, aiuto!...» ora lo aveva sentito bene: era la voce di un uomo e veniva dalla direzione del torrente. Ma non poteva essere stato lui a chiamarlo: la voce che lui aveva sentito era vicina, e ben chiara. Restò indeciso. «Aiuto...» ripeté la voce, come se chi aveva pronunciato quel disperato richiamo fosse ormai senza forze. Heino sbuffò per un momento, infastidito: doveva lasciare il suo angolo riparato per buttarsi in mezzo alla pioggia per aiutare uno sconosciuto?... alla fine si decise a uscire. Il torrente si era ingrossato e ora scorreva impetuoso a poche decine di metri dalle case, trascinando rami e arbusti strappati alle rive. Heino cercò di vedere qualcosa nell’oscurità rotta da rari lampi. «Ehi!» gridò «ehi, tu! Dove sei?» «Aiutatemi!» ripeté la voce «non mi posso muovere!» Heino scese nell’acqua vorticosa del torrente scorticandosi le mani sulle rocce, maledicendo mentalmente l’imprudente che si era cacciato in quel guaio e ora lo stava costringendo a quell’avventura. «Ma dove diavolo sei, per i Profeti!...» «Qui, sotto il tronco...» era veramente incastrato sotto un tronco, fra due grossi massi, e il torrente ogni pochi secondi gli sommergeva anche la
25 testa. Miracolo che fosse ancora vivo. Heino si avvicinò cercando di non perdere l’equilibrio. «Aspetta, ora proverò a liberarti» era un lavoro maledettamente difficile: il tronco era pesante e non era facile far presa con i piedi sul fondo. Solo dopo molti tentativi Heino riuscì a spostarlo di lato, perdendo poi l’equilibrio e finendo contro altri sassi dove riuscì ad abbrancarsi e tirarsi in piedi. L’altro faticosamente si stava trascinando verso la riva. Heino lo tirò su fino alla sponda poi cadde a terra con lui, senza fiato. «Ouff! Che faticaccia!...» era contuso in varie parti, e l’altro non stava certo meglio di lui: respirava affannosamente con la bocca aperta, come se volesse recuperare i momenti terribili che doveva aver passato nell’acqua. «Su, andiamo al coperto» Heino aiutò l’uomo a raggiungere il ricovero dove aveva dormito, e per prima cosa riattizzò il fuoco che dopo poco cominciò a bruciare allegramente. Poi si tolse stivali, giubbotto e pantaloni e mise tutto ad asciugare su alcuni rami vicino al fuoco; infine si avvolse nella sua coperta. «Uomo» gli disse il tizio che lui aveva salvato «se credi in un Dio, che ti ricompensi» «Ma tu chi sei?» l’uomo sembrava anziano, sebbene fosse difficile stabilirne l’età così bagnato e conciato com’era. La barba corta era grigia, e grigi i pochi capelli che gli restavano in testa «Parola mia, mi sembri più morto che vivo. Tieni, mangia» gli allungò una mezza focaccia avanzata dalla sua cena. L’uomo cominciò a mangiare senza parlare, standosene ben vicino al fuoco. Quando ebbe finito tirò un paio di respiri profondi, poi si allungò vicino al fuoco con evidente soddisfazione. Heino lo guardava, standosene comodamente sdraiato sul suo giaciglio di foglie. Lo sconosciuto se ne stava sempre in silenzio, vicino al fuoco. Passò così parecchio tempo. «Bene» disse alla fine Heino «non dici niente?» L’altro alzò gli occhi con espressione di sorpresa «Ti ho già ringraziato» «Bè, non volevo dire questo. Ma sei ben silenzioso, uomo» «E cosa dovrei dire?» «Ah, ma sei proprio strano, lasciamelo dire» Heino si sollevò sul gomito «ti trovo mezzo morto, in un posto dove non c’è nessuno per miglia e miglia, in una situazione dove solo un idiota poteva cacciarsi... tutto questo non mi pare molto normale. Non sarebbe logico che mi dicessi qualcosa di te, no? chi sei, da dove vieni, e perché in nome dei démoni di Styr te ne stavi lì quasi per annegare...»
26 L’uomo fece un gesto di impazienza «Solo le femmine dicono sempre un mucchio di parole inutili» disse mentre Heino lo guardava stupefatto. Finalmente aggiunse «mi chiamo S’ro» «S’ro? Che razza di nome è?...» «E’ il mio nome. Non ne ho altro» stette nuovamente zitto mentre Heino lo osservava: si era rinfrancato e i suoi vestiti stavano asciugando al calore del fuoco. Poteva avere una sessantina d’anni, giudicò. Non aveva alcun segno sulla fronte, quindi non era un Perduto. Il suo corpo era magro e spigoloso. Ai piedi aveva stivali bassi, e portava un giubbotto con molte tasche, come i cacciatori del nord. «Sei un cacciatore?» domandò Heino. «No» rispose S’ro senza aggiungere altro. Heino era disorientato dai modi taciturni del vecchio. Improvvisamente si ricordò della voce che lo aveva chiamato quella notte. «Uomo» disse «dimmi una cosa: sei stato tu a chiamarmi per nome, stanotte?» «Per nome?» S’ro lo guardò con sincero stupore «se non lo conosco nemmeno, il tuo nome!» «Non mi hai chiamato, allora?» «Come devo dirtelo? Ho solo chiamato aiuto, stanotte» si allungò contro il fuoco, con l’espressione di chi evidentemente è stufo di parlare. «Vecchio» gli disse alla fine Heino «il meno che posso dire è che tu parli molto poco. Comunque credo che farai bene a riposarti, e lo stesso farò io» si girò nella coperta voltando le spalle al fuoco, e poco dopo si addormentò. *** Era l’alba quando Heino si svegliò sentendosi toccare la spalla. Si voltò di colpo ricordando gli avvenimenti della notte e incontrò lo sguardo di S’ro. «Ah, sei tu!» si alzò a sedere e diede un’occhiata fuori «non ti sembra troppo presto per partire?» «Ssss!...» S’ro si portò un dito davanti alla bocca, poi indicò fuori «ci sono i soldati» «Quali soldati?» «Le guardie di Evergard. Stanno arrivando. Cercano me» «Oh, maledizione» afferrò il vecchio per il bavero, furioso «e perché non me l’hai detto, stanotte, che ti stavano cercando?»
27 «Non far rumore» disse S’ro «li ho visti arrivare, sono duecento metri da qui, lungo il torrente. Sono in cinque» «Maledizione a te» Heino provò il desiderio di prenderlo per il collo: aveva già abbastanza problemi, lui, per farsi coinvolgere da uno sconosciuto che era nei guai con le guardie del principe. Indossò velocemente i suoi indumenti, poi con precauzione uscì e si arrampicò sul lastrone che serviva da tetto. I soldati erano molto vicini: erano a piedi ma, come Heino constatò con rabbia, si erano impadroniti del suo cavallo. Valutò in fretta la situazione: lui non aveva pendenze con le guardie di Evergard, anche se preferiva tenersene alla larga. Forse se si faceva vedere e S’ro si teneva nascosto, poteva recuperare il cavallo e salvare sé e anche il vecchio. Ridiscese e disse la sua idea a S’ro che fece una smorfia. «Non ti crederanno, quei bastardi» «Ma non possiamo scappare senza che ci vedano, e non mi pare il caso di aspettare che ci trovino loro. Tu resta rintanato da qualche parte, io vado a parlare con loro» «Come vuoi tu» S’ro sparì nell’ombra. In quanto a Heino, raccolse la cintura col pugnale, si mise in spalla il galyd e una delle sue sacche e si preparò a sfoderare sorriso e faccia tosta. Salutò con un gesto della mano i soldati che stavano entrando fra le case e che subito si fermarono, due di loro con la freccia incoccata nell’arco. «Daljet, amici» disse Heino «grazie per avermi riportato il mio cavallo» Le guardie non si mossero salvo quello che, dal fermaglio sulla spalla, sembrava il capo e che fece due passi avanti «Il cavallo era solo, qui, e adesso è nostro. E tu, chi sei?» «Mi chiamo Ino di Sintra» Heino cominciava a capire che l’aria non era affatto buona, ma cercò ancora di usare un tono leggero «ieri mi ha sorpreso la pioggia. Io sono un artigiano viaggiante, signore, riparo utensili e canto, anche. Vengo da Treek e sono diretto al castello del principe Evergard per rallegrare la sua gente con le mie canzoni...» «Al castello non abbiamo bisogno di strimpellatori» disse rudemente il capo «e nel paese di Treek siamo passati poco tempo fa. Brutta gente, non pagano le tasse. Non credo che avessero i soldi per pagare te» «Infatti non mi sono fermato a Treek. C’erano stati i Grigi qualche giorno fa, e la gente...» «Basta così!» il capo evidentemente non gradiva che si facesse riferimento al Signore e ai suoi sgherri «queste cose non ci interessano. Hai visto un uomo, stanotte? Un vecchio con un giubbotto verde» «Non ho visto nessuno, signore. Io questa notte ho dormito»
28 «Eppure non può essere lontano. L’abbiamo inseguito fino a poche ore fa. Sei ben sicuro di non averlo visto?» Le guardie stavano cercando in giro, sempre con le frecce pronte. Entrarono anche nel rifugio dove Heino aveva passato la notte. Lui cominciò ad avere paura: sapeva che i modi delle guardie erano spicci. Per motivi futili, o anche per un semplice sospetto, potevano ammazzarlo lì come un cane, oppure portarlo al Castello e gettarlo in qualche sotterraneo dimenticandosi di lui, o sottoporlo a qualche atroce tortura. Sperò che S’ro fosse ben nascosto. Uno dei soldati uscì dal suo rifugio facendo un cenno al capo «Ci sono tracce, là dentro» Il capo fece un gesto, e subito due guardie presero Heino saldamente per le braccia, mentre un terzo lo teneva sotto mira con l’arco. Il capo entrò nel rifugio e uscì poco dopo. «Hai acceso tu il fuoco, là dentro?» «Si, signore. Non ho fatto niente di male: ordina ai tuoi uomini di lasciarmi andare...» uno dei due che lo tenevano lo colpì inaspettatamente col ginocchio nelle reni, togliendogli quasi il fiato. «Zitto, maiale» gli disse con uno strattone. Il capo lo guardò con aperto sospetto. «Vicino al fuoco ci sono molte tracce, di più di una persona. Tu ci nascondi qualcosa, non è vero, cane rognoso?» gli tirò un calcio all’altezza dello stomaco, e i due che lo tenevano risero, reggendolo di peso «sarà un piacere portarti al Castello, a meno che tu non ci dica subito tutto» «Ma non so di cosa stiate parlando!. » protestò Heino. Vide in un lampo il calcio tirato con cattiveria all’inguine; con un guizzo evitò di prenderlo in pieno, ma fu duro ugualmente. Lo lasciarono cadere, e il capo gli rifilò un altro calcio nelle costole. «Via, legategli le mani a questo cane, e che cammini fino al Castello» Una delle guardie tirò fuori una corda, si chinò per afferrargli i polsi. Ci fu un sibilo: la guardia, colpita da una freccia in mezzo agli occhi, cadde con un urlo lungo. «Di qua, Ino!» gridò S’ro che teneva un’altra freccia nell’arco. Heino con una capriola era sfuggito alla seconda guardia; schizzò verso S’ro e corsero a rotta di collo verso il torrente. «Ferma!» urlò il capo. Gli altri due soldati sbucarono da dietro i ruderi. Heino, che aveva in mano il pugnale, colpì uno dei due affondandogli l’arma in una gamba. S’ro afferrò l’altro al volo facendolo ruotare sopra di sé: l’uomo finì nel torrente con un gran tonfo. «Corri, ragazzo» disse S’ro trascinando Heino che guardava il pugnale rosso di sangue.
29 «Forse l’ho ucciso» balbettò spaventato. «L’hai solo ferito. Via ora, corri» Filarono su per il sentiero e poi nel folto del bosco, mentre la voce del caposquadra che urlava “Vi riprenderemo!” si affievoliva, e si fermarono solo molto tempo dopo, buttandosi a terra senza fiato. Heino respirò affannosamente per qualche minuto ancora, poi disse «Beh, sembra che mi hai salvato tu, stavolta» «Una volta per uno» il vecchio si strinse nelle spalle. Heino lo guardò per un po’, poi si mise a ridere. «Vecchio S’ro, non siamo tanto diversi, tu e io, dopo tutto» «Sei svelto, tu» «Ah, ma anche tu non te la cavi male...» si stese sull’erba con un sospiro e corrugò la fronte «siamo qui senza provviste, S’ro, e senza un cavallo» «E dove si va?» «Vediamo. Io stavo andando verso nord. Nei paesi riparo utensili, vendo bracciali, canto... e mi faccio le ragazze» terminò con un gesto eloquente. S’ro fece una smorfia di disgusto. «Le donne sono peggio dei démoni di Styr» disse «parlano e parlano e così ti imbrogliano le idee. Portano solo guai. Mi guardi il Dio» Heino rise «Ma che dici, S’ro? Vuoi dirmi che non ti piacerebbe di dormire su un bel paio di seni morbidi?» si ricordò improvvisamente che i suoi recenti guai erano proprio dovuti a una donna, o più realisticamente, a lui stesso. Ma S’ro scosse la testa e ripeté «Portano solo guai» «Comunque io vado nei paesi, te l’ho detto. Da vivere ne guadagno» «Bene» disse il vecchio «andiamo» «Come sarebbe “andiamo”? Tu, dove eri diretto?» S’ro allargò le braccia «Qua o là, per me è lo stesso» «Vuoi dire che mi resterai alle costole?» «Ma» disse S’ro esitando «non è meglio essere in due, visto che i soldati di Evergard ci stanno cercando?» «Già» Heino fece una smorfia. In fondo, era S’ro che l’aveva messo nei guai con le guardie, ma non se la sentiva di prendersela con lui perché anche lui, Heino, non aveva la coscienza del tutto tranquilla e dai soldati del principe preferiva stare lontano. Stette a pensare un momento. «Potremmo risalire la montagna ancora per un tratto, e deviare sulla valle del Res. Abbiamo archi e frecce, e per qualche giorno possiamo cacciare qualcosa da mangiare. Nella valle poi ci sono tre o quattro paesi dove potremo fermarci. E io ho sempre il mio galyd» batté sullo strumento che teneva tuttora agganciato dietro le spalle.
30 «Ah» disse solo S’ro con un’occhiata critica allo strumento «per me va bene» e fu tutto quello che disse per confermare il suo accordo. Nessuno dei due lo sapeva, ma in quel momento cominciava tra loro un sodalizIo che si sarebbe rivelato, nelle avventure che stavano per incontrare, più duraturo e più saldo di quanto immaginassero.
31
1.5
Qualche ora dopo erano molto meno euforici: mentre risalivano verso la montagna erano stati nuovamente avvistati dai soldati. Questi avevano ricevuto rinforzi ed erano più in basso rispetto a loro, ma si erano messi a correre su per il sentiero: Heino e S’ro continuavano a salire, ma il sentiero era scoperto e i soldati non potevano perderli di vista. Heino si fermò a un certo punto, indicando in basso «Aspetta, S’ro. Non ci guadagneremo niente continuando a scappare. Loro vedono benissimo dove andiamo e prima o poi ci prenderanno» «E allora?» il vecchio tirò il fiato due o tre volte. Heino guardò in alto. «Lassù c’è l’altro sentiero, quello in cresta. Se lo raggiungiamo...» «C’è un lungo giro da fare, ci prenderanno prima...» «Non faremo il giro. Andremo su di qui» batté la mano sulla roccia. S’ro guardò in su, poi interrogò Heino con lo sguardo. «Come su di qui?» «Ci arrampichiamo. Se siamo svelti...» «Di’, sei ammattito?» S’ro guardò di nuovo la roccia, quasi verticale. «Preferisci aspettare i soldati?» e visto che S’ro esitava, lo tirò per un braccio «sbrigati. Metti le mani e i piedi dove li metto io. Andiamo» Quasi venti metri di roccia li separavano da una traccia ripida che portava al sentiero alto. Heino saliva velocemente aiutato dalla sua eccezionale agilità, ma S’ro sbuffava come un mantice. Heino si accorse che il vecchio era in difficoltà. «Tieniti qua!» gli allungò una mano che l’altro, che stava annaspando alla ricerca di un appiglio, afferrò saldamente «non guardare in basso, tirati su, coraggio!» con qualche strattone lo aiutò a issarsi sulla stretta cengia che immetteva sulla traccia tra i sassi. «Ouff! Per i Profeti!» S’ro si passò una mano sulla fronte sudata: si vedeva che l’exploit alpinistico cui era stato costretto lo aveva scosso. Intanto i soldati erano arrivati sotto, e dapprima cercarono di salire: ma i venti metri che Heino e S’ro erano riusciti a scalare si rivelarono, per il gruppo, proibitivi e, dopo qualche tentativo, le guardia rinunciarono e si misero a correre su per il sentiero con l’intenzione di raggiungere la pista alta con un giro.
32 «Daljet!» gli gridò Heino con scherno «buon viaggio, e salutatemi il principe!...» «Vi prenderemo, non dubitate!» gridò dal basso il capo delle guardie. Ma Heino alzò le spalle e rise. «Anche stavolta li abbiamo fregati» disse con un sospiro di soddisfazione, rivolto a S’ro «andiamo, dobbiamo uscire dalla valle prima di loro» diede un’occhiata in alto: era improbabile che i soldati riuscissero in poco tempo a raggiungere il sentiero. La traccia sulla quale loro stavano camminando proseguiva su una breve cengia in un tratto roccioso, ai piedi di un’alta parete, poi la valle si apriva in prati e pascoli. Si avviarono di buon passo, quasi di corsa. Appena raggiunta la parte rocciosa, qualche minuto dopo, rallentarono il passo perché occorreva fare attenzione sul terreno ripido. Quasi subito S’ro afferrò Heino per un braccio, fermandolo con uno strattone «Lassù» indicò in alto «altri soldati» Le sagome di alcune persone si erano appena intraviste, in alto: altre guardie, appostate dietro un grosso masso. «Beh, da quella distanza le loro frecce ci faranno il solletico» disse Heino, e fece per andare avanti. Un sesto senso gli fece alzare gli occhi: un enorme masso, quello dietro il quale si erano intravisti i soldati, si stava staccando dall’alto e, si, precipitava su di loro. Questione di secondi. Heino gettò un grido di orrore: il masso li avrebbe schiacciati come insetti. La sua ombra già li copriva... ...poi videro distintamente, tutti e due, il masso cambiare direzione durante la caduta e proiettarsi verso l’esterno: dopo qualche secondo cadde giù nel vallone con un boato che risvegliò echi per miglia. Le guardie in alto gridavano di stupore e di rabbia. Heino e S’ro erano rimasti immobili, un misto di sollievo e di stupefazione. «Ma sono ancora vivo!» esclamò Heino toccandosi il petto con le mani, ancora incredulo. «Via di qui» lo strattonò S’ro «prima che ci riprovino. Qui siamo troppo esposti» Superarono quasi di corsa la cengia rocciosa e dopo una decina di minuti si fermarono. La valle si stendeva davanti a loro, ora più aperta. Il sentiero che avevano preso i soldati era molto lontano da lì: potevano dirsi per il momento al sicuro. Ma erano ancora sotto l’impressione del fatto incredibile successo poco prima. «L’hai visto anche tu» disse Heino a S’ro, che fece segno di si. «L’ho visto»
33 «Ma è stato... impossibile. Se non l’avessi visto con i miei occhi... quella cosa che stava per schiacciarci ha cambiato direzione» «L’ho visto» ripeté S’ro «forse ha urtato la parete» «No, no! Stava cadendo dritto su di noi e...» si fermò improvvisamente, al colmo dello stupore: pochi metri davanti a lui, seduta nell’erba, stava una ragazza. Era giovanissima, almeno così sembrava: scura di pelle, i capelli biondi corti. Indossava una semplicissima tunica bianca corta, stretta in vita, e sandali ai piedi. Se ne stava lì, seduta tranquillamente nell’erba, e vicino a lei non c’era né un cavallo né una sacca né una coperta. Era sola, e sembrava perfettamente a suo agio. «E tu chi sei?» domandò Heino, ancora troppo colpito da quell’apparizione inaspettata. «Mi chiamo Shedi» disse lei. Heino avrebbe giurato che lo guardava con espressione divertita, e forse lo voleva prendere in giro. Si sentì improvvisamente irritato. «Bene, e cosa fai qui?» «Non lo vedi?» disse lei con l’aria più naturale del mondo «sto seduta nell’erba e guardo i fiori» «Non prendermi in giro, mocciosa» disse Heino sconcertato. Lei lo guardò con aria innocente, poi scosse la testa e si mise a osservare i fili d’erba alla sua sinistra. S’ro sbuffò irrequieto e accigliato «Andiamocene via da questa qua, Ino» «Bè!...» Heino era irritato, ma anche curioso. Prese la ragazza per un braccio per farla alzare, e lei si liberò con calma «allora, mi vuoi dire cosa ci fai qui?» «E perché vuoi saperlo?» lei si alzò in piedi: era minuta e sottile, ma non aveva l’aspetto fragile; anzi, Heino provò un certo senso di soggezione e ne fu ancora più irritato: Per vincere l’imbarazzo adottò la linea “maschio arrogante” e la squadrò da capo a piedi. «Da dove vieni, ragazza? E perché sei qui sola?» «Ma non sono sola» disse lei «qui ci siete anche voi due, mi pare» Ancora una volta Heino ebbe la netta impressione di essere preso in giro. La scosse per un braccio rudemente «Una ragazza non va in giro, così...» cominciò. «Ah, no? E perché non dovrebbe?» Heino risolse di passare al contrattacco sul medesimo terreno dell’ironia «Già, hai ragione!» disse facendo un passo indietro «forse non sei nemmeno una ragazza: infatti non hai quasi seno! Sembri un ragazzo. Sei un ragazzo, eh?»
34 «Mi chiamo Shedi» ripeté lei pazientemente. «Non mi importa come ti chiami. Io ti chiamerò Ragazzo» Shedi alzò le spalle «Fai come ti pare» S’ro tirò Heino per il braccio, con aria preoccupata «Andiamo, Ino, i soldati potrebbero tornare» «I soldati stanno lassù» Shedi indicò il sentiero che si snodava ormai lontano «e non arriveranno tanto presto. E’ che tu odi le donne» «Ah, ha scoperto il tuo punto debole» Heino si mise a ridere «ma non ti preoccupare, vecchio S’ro. Questa non è una donna, è solo una ragazzina impertinente, anzi un ragazzo. Un Ragazzo» ripeté, come per ribadire il concetto. Shedi alzò le spalle. «Mi avevano detto che eri un vanitoso gaglioffo senza cervello» disse guardando Heino con una leggera smorfia. Lui subito aggrottò la fronte. «Chi ti ha detto queste cose di me? E come fai a conoscermi?» e poiché Shedi scuoteva la testa, la strattonò rudemente «Parla,. Ragazzo, o per i Profeti ti prendo a ceffoni» «Ti servirebbe solo per sfogarti» Shedi lo fronteggiava e lui la lasciò subito andare «in quanto a conoscerti, certo che ti conosco, Heino di Sintra» Heino sobbalzò nel sentire il suo nome: il suo nome per intero, non il diminutivo “Ino” che usavano tutti «Ma...» disse dopo un momento, guardandola bene «io non ti conosco proprio» «Tu no, ma io so chi sei» «Ragazzo» disse Heino con un pensiero improvviso «sei stata tu che mi hai chiamato la notte scorsa, vero?» Shedi fece cenno di si: S’ro intanto guardava in alto, impaziente. «Ino, andiamocene» ripeté il vecchio. Heino si riscosse. «Ma si, andiamo» avrebbe voluto saperne di più su quella strana ragazza, ma nello stesso tempo aveva paura di conoscere cose troppo difficili per lui. Shedi lo guardava con un mezzo sorriso divertito. Si sentì di nuovo preso in giro «Ragazzo, rimettiti pure a contare i fili d’erba. Noi ce ne andiamo» «Bene, verrò con te» disse lei. Heino si sentì insieme sollevato e urtato «E’ meglio se te ne stai alla larga, Ragazzo» «Si, non provare a venirci appresso» aggiunse S’ro, ostile. Shedi si mise a ridere. «Meno di dieci minuti fa stavate per essere ridotti a una focaccia, ma vedo che vi siete ripresi bene...» «L’hai veduto anche tu, allora, quel masso?» domandò Heino.
35 «Certo, sono stata io a deviarlo, se no sareste già morti» «Non scherzare, Ragazzo» disse Heino bruscamente. Guardò meglio la ragazza: pelle scura, capelli biondi, tunica bianca, e occhi di un azzurro profondo. Qualcosa si svegliò nei recessi della sua memoria “Guardati dal popolo stregone degli Hegxen” aveva detto il suo maestro “sono capaci di rendersi invisibili, e di fare prodigi e malefici. Hanno gli occhi blu come il mare...” si riscosse «Tu sei una Hegxen?» domandò. Shedi annuì «Sono qui per portarti dal mio popolo» «Ah, questa!...» Heino si mise a ridere: quella ragazza era sicuramente pazza. Per il masso che, cadendo, aveva cambiato rotta ci doveva essere di certo una logica spiegazione; e forse non era vero che era stata lei a chiamarlo, la notte.«tu sogni, Ragazzo. Di che vai farneticando?» «Tu devi fare una cosa importante per tutti gli uomini di Zatla» disse Shedi «e noi Hegxen dobbiamo insegnarti come fare» «Che fesseria è mai questa? Perché dovrei aiutare tutti gli uomini, proprio io, eh?» Heino si dibatteva fra la curiosità e l’insofferenza. S’ro continuava a starsene accigliato in disparte. «Tu hai sentito parlare dei Grigi, vero?» Heino fu bruscamente richiamato alla realtà della tragedia del paese di Treek. Reagì simulando indifferenza «Si, e allora?» «Sai che li comanda un certo Yafardhi, il peggiore di tutti» «L’ho sentito nominare» «Yafardhi è il figlio del Signore» Heino batté il piede, impaziente. L’argomento stava diventando pericoloso «Dove vuoi arrivare, Ragazzo? Guarda che sto per perdere la pazienza» «Tu, Heino di Sintra, devi distruggere Yafardhi» «Cosa???!?» Heino aveva fatto un salto: quello che la ragazza aveva detto era una bestemmia vera e propria, e loro due erano in pericolo anche solo per averla ascoltata. Non ci si poteva permettere di sfidare così il Signore. Guardò il cielo spaventato, domandandosi se ora il Signore, offeso, avrebbe mandato una Tenebra; ma tutto l’orizzonte era chiaro. «Questa ragazza è un pericolo» disse S’ro allontanandosi di qualche passo. Shedi sorrideva, calmissima. «Senti, Ragazzo» disse Heino «non voglio stare un minuto di più a sentire le tue fantasie blasfeme, e che il Signore ti perdoni. Addio, e vedi di starci lontano» Si avviò con S’ro, e Shedi gli gridò dietro «Non hai visto quello che fanno i Grigi?» ma loro due erano abbastanza spaventati per darle retta.
36 Camminarono in fretta lungo il sentiero. Shedi restò immobile, in piedi, contro il cielo sereno.
37
1.6
Passò una settimana. Heino e S’ro erano discesi a valle senza incidenti. Si erano fermati un paio di volte in altrettanti piccoli centri abitati, dove Heino aveva guadagnato qualche corona con le sue solite attività, anche se aveva perduto parte del suo materiale. In quanto a S’ro, gironzolava da solo nei dintorni e cacciava qualche coniglio selvatico che poi rivendeva ai paesani per pochi soldi. Nel terzo paese incontrarono di nuovo i soldati di Evergard. Per fortuna non erano gli stessi che avevano dato loro la caccia e quindi non potevano riconoscerli. Heino, che stava sulla piazzetta a lavorare quando i soldati erano entrati in paese, si era accorto subito che si trattava di altri soldati e aveva tirato un respiro di sollievo. Stava in guardia però, perché anche questi soldati potevano aver ricevuto segnalazione dei loro nomi e del loro aspetto fisico. Doveva, soprattutto, avvisare S’ro di tenersi lontano affinché non li vedessero insieme. Lavorò tranquillamente tutto il pomeriggio, mentre le guardie facevano il giro delle case per rastrellare tasse, in denaro o in natura. I contadini già abbastanza miseri non osavano protestare. Chi non pagava veniva bastonato e, nei casi più gravi, dichiarato “Perduto”. Heino continuò a lavorare facendo finta di non sentire nulla. Verso sera le guardie radunarono la popolazione, meno di duecento persone in tutto, sulla piazzetta, e il capo salì sul bordo della fontana per fare una comunicazione. Il sole era appena tramontato ed era ancora chiaro. Heino smise di lavorare e si unì alla gente. «Ascoltatemi bene, villani» disse l’ufficiale «per oggi avete pagato le tasse, e quindi torneremo da voi solo fra sei mesi, al prossimo raccolto. Vedete di farci trovare i soldi necessari per evitare guai. In nome del principe Evergard di Kata» si fermò un attimo, poi aggiunse «stiamo cercando due uomini, e se qualcuno di voi li ha visti farà bene a dirlo subito. Uno è un pericoloso assassino, si chiama S’ro e ha sessant’anni. L’altro è suo complice, è giovane e si chiama Ino di Sintra» Un mormorio passò tra la folla. Heino fece qualche passo indietro, lentamente, cercando di portarsi a lato della piazza per poi sgattaiolare fra le case. Meno male che S’ro non si era fatto vivo per tutto il giorno.
38 Mentre l’ufficiale continuava a parlare, Heino proseguiva la sua manovra. Qualcuno gli rivolse una rapida occhiata. Molti nel paese, soprattutto ragazze, sapevano che lui si chiamava “Ino”, ma non aveva molta paura di essere denunciato: c’era una solidarietà degli oppressi, nei confronti delle guardie del principe. Si fermò sotto il tetto spiovente di una porta sgangherata mentre l’ufficiale terminava il suo discorso: «...così, se per caso questi S’ro e Ino arrivassero qui, è vostro dovere in nome del principe legarli bene e mandare ad avvisare al Castello, mi sono spiegato?» «Non è necessario, signore» disse improvvisamente una voce «Ino è proprio qui davanti a voi» Heino con un soprassalto fece per scappare, ma braccia robuste lo afferrarono dando tempo alle guardie di immobilizzarlo. «Arnout! Maledizione a te!» era proprio il marito di Klaare, che spesso viaggiava da un paese all’altro, e che ora lo guardava con scherno soddisfatto. «Ti ho visto, oggi in paese» disse Arnout «volevo ammazzarti, pezzo di merda, ma invece è meglio così» si mise a ridere. Heino si dibatté inutilmente, trattenuto dai soldati. «Avrei dovuto fotterla, tua moglie!» gli gridò «è solo quello che ti meriti, verme d’una spia!» Arnout sputò verso di lui, smise di ridere «Spero che le guardie del Castello ti strappino le palle» gli disse «e poi che ti cavino gli occhi, e ti rinchiudano in un pozzo con scorpioni e serpenti...» Heino evitò di rispondere. I soldati gli legarono strettamente i polsi e le caviglie, lasciandolo poi lì per terra. «Due di voi stiano a fargli la guardia, stanotte» disse l’ufficiale «all’alba partiremo per il Castello. Prima vediamo di battere i dintorni, quell’altro non può essere lontano» Per fortuna sua, S’ro sembrava essersi volatilizzato, e le ricerche delle guardie furono inutili. Heino fu lasciato in terra, legato, tutta la notte. Ogni tanto una delle guardie gli rifilava un calcio, per sfogarsi di essere costretto a stare sveglio per lui. La mattina presto, gli slegarono le caviglie perché potesse camminare. L’ufficiale e due dei soldati erano a cavallo: legarono i polsi di Heino con una lunga corda a uno dei cavalli, e partirono diretti al castello di Kata. Il viaggio durò tre giorni alla fine dei quali Heino a stento si reggeva in piedi. Gli avevano dato solo qualche sorso d’acqua ogni tanto, e una mezza pagnotta una volta al giorno. Aveva i polsi piagati per gli strattoni della corda, e durante l’ultima giornata, la peggiore perché tutta in salita,
39 spesso inciampava e veniva trascinato sul terreno ineguale. I soldati non gli risparmiavano i calci ogni volta che cadeva, o semplicemente ogni volta che gli si avvicinavano. Quando finalmente arrivarono al Castello, era in un tale stato di prostrazione che non aveva nemmeno la voglia di guardarsi intorno; e sì che il Castello di Kata era una delle mete che avevano acceso la sua curiosità in passato e che contava di visitare prima o poi. Non immaginava certo che ci sarebbe arrivato da prigioniero, e in quelle miserevoli condizioni. Nel castello, sede del principe Evergard e della sua corte, vivevano quasi 500 persone, e altrettante in un gruppo di case raggruppate intorno alle mura. Nel complesso, un centro abitato importante. Evergard non era un tiranno, ma esercitava il potere in modo duro e, a modo suo, giusto. Politicamente, non doveva render conto a nessuno; in pratica però, anche lui come tutti gli abitanti di Zatla era schiavo dei capricci del Signore, al quale rendeva scrupolosamente omaggio e pagava le tasse. Quando i Grigi arrivavano al castello, nessuno osava opporsi alle loro prepotenze, e Evergard li riceveva con tutti gli onori. Si ricordava che suo padre, quando lui era un ragazzo, aveva una volta tentato di cacciare i Grigi con la forza: ma il Signore aveva mandato sul castello e dintorni una Tenebra durata parecchie ore: ore di terrore durante le quali i Volanti avevano dilaniato e ucciso quasi cinquanta persone. Evergard aveva imparato la lezione: non si poteva opporsi al Signore in alcun modo. In quanto a Heino, fu trascinato giù per strette scale di pietra e gettato senza complimenti in uno stanzone difeso da sbarre di ferro. Dentro, c’era una ventina di uomini, quasi tutti in condizioni miserabili, con le barbe lunghe e segni di percosse in faccia. Non mostrarono curiosità per il nuovo venuto. Uno di loro tuttavia, dopo un po’ strisciò vicino a lui e cominciò a sciogliere i nodi che gli segavano i polsi e che i suoi carcerieri si erano ben guardati da slegare. «Via, bevi» disse l’uomo avvicinandogli una ciotola con dell’acqua. Heino bevve avidamente: si stava lentamente riprendendo, ma allo stesso tempo era sempre più spaventato: sarebbe rimasto lì per chissà quanto tempo, riducendosi come quelle specie di larve che gli stavano intorno?... Passò una notte d’inferno, sul pavimento umido, battendo i denti per il freddo. A volte malediceva il suo incontro con S’ro, a volte avrebbe voluto strangolare Arnout, a volte ancora si dava dell’idiota. E in mezzo alla sua disperazione spuntava il pensiero di Shedi. Quella strana ragazza! E diceva di volerlo portare nel Territorio degli Hegxen, perché lui doveva fare qualcosa di importante!... eccolo lì invece, Ino di Sintra,
40 l’ultimo verme della terra, prossimo a essere seppellito vivo in quel sotterraneo di fantasmi umani. *** La mattina seguente invece, le guardie vennero a prendere alcuni di loro: lui e altri cinque prigionieri. «Tu, tu e tu» ordinò il capo, indicandoli «e anche tu, e anche voi due in fondo, si, voi. Il principe Evergard vi giudicherà fra un’ora» Heino provò un senso di sollievo: almeno avrebbe saputo subito la sua sorte, e chissà che non gli riuscisse di convincere il principe della sua innocenza. Sbatté gli occhi quando uscirono nel cortile del castello, al sole. Attraversarono il cortile pieno di gente, e alcune ragazze che prendevano l’acqua al pozzo non mancarono di rivolgergli sguardi di compassione e tenerezza. Lui ricambiò gli sguardi e sorrise. I soldati lo spinsero rudemente avanti. Un’ora dopo erano in fila davanti a Evergard in un salone pieno di guardie. Non erano soli, e c’era già un’altra dozzina di persone in attesa di esser giudicata. Evergard stava seduto su un seggiolone rialzato, e ai suoi lati c’erano alcuni funzionari, giudici forse; se erano giudici, avevano comunque funzioni consultive, perché l’ultima parola spettava al principe. A prima vista, Heino ebbe un’impressione positiva di Evergard: un uomo fra i 30 e i 40 anni, capelli corti, vestiti sobri, niente a che vedere con il lusso pacchiano di certi principi di Zatla. Ma il suo ottimismo si smorzò presto nell’osservare i risultati dei giudizi sbrigativi del principe. Il “processo” consisteva in un breve interrogatorio, poi l’imputato poteva aggiungere qualcosa, se lo riteneva opportuno, venivano ascoltati i testimoni, infine Evergard pronunciava la sentenza dopo breve consultazione con i giudici. Il tutto in circa dieci minuti. Prima che fosse il turno di Heino ci furono quattro condanne a morte, cinque fustigazioni, due condanne a tre giorni di esposizione al pubblico senza mangiare e bere, nessuna assoluzione. Heino era piuttosto scosso. «Ino di Sintra» uno dei giudici lo chiamò, e lui fece due passi avanti e mise un ginocchio a terra davanti al principe «Lunga vita a te, signore» disse rivolto a Evergard «io sono un povero artigiano e sono innocente, lo giuro!» Evergard lo guardò appena. Il giudice che stava alla sua destra gli fece le rituali domande: nome, età, provenienza, attività eccetera. Poi gli domandò se era vero che stava insieme a un certo S’ro, e lui raccontò fe-
41 delmente l’avventura della notte in cui lo aveva salvato dal torrente in piena. «Dunque sostieni che prima non lo conoscevi. Però hai cercato di nasconderlo quando sono arrivate le guardie» Heino si sentì in difficoltà perché non sapeva come spiegare a quella gente che stava per disporre del suo destino, che lo aveva fatto più che per solidarietà col vecchio, per diffidenza verso le guardie «Signore, credimi» disse rivolto a Evergard «non sapevo che S’ro fosse un assassino. Mi sembrava...» «Di fronte alle guardie avresti dovuto capire che proteggevi un ricercato» disse il giudice. «Ma, se poi le guardie se la fossero presa con me?...» capì che si stava mettendo nei guai. Il giudice fece una smorfia e disse qualcosa a Evergard. «Hai qualcosa d’altro da dire?» domandò il secondo giudice. Heino si sentiva in trappola. Cosa dire a quella gente perché almeno lo ascoltasse con attenzione?... «Signore, i tuoi soldati mi hanno colpito più volte senza motivo, e per questo S’ro è intervenuto. E anche nei tre giorni dopo la mia cattura non hanno fatto che prendermi a calci e mi hanno lasciato senza mangiare. Io avevo paura delle guardie, signore, e avevo ragione...» «Va bene. Fate venire il caposquadra» Heino riconobbe il capo delle guardie che li avevano rincorsi il primo giorno. L’ufficiale raccontò in poche parole i fatti, sottolineando che uno dei suoi uomini era stato ucciso da S’ro e un altro ferito da Heino stesso. Evergard parlò pochi minuti con i giudici, poi batté per terra col bastone d’argento, il simbolo della sentenza «Che sia legato in cortile fino a stasera e riceva venti frustate, poi sia dichiarato Perduto» «No!...» Heino si era gettato in ginocchio: non gli importava delle frustate, o anche della tortura, ma essere un Perduto significava che la sua vita era finita «No, signore, ti supplico per il Dio, non puoi dichiararmi Perduto!...» Evergard si alzò in piedi, guardandolo per un momento con attenzione «Uomo, può darsi che le mie guardie esagerino, tuttavia tu con loro hai mentito e ne hai ferito gravemente uno. Le guardie facevano il loro dovere. Non si può passare sopra a questo, né tollerare che altri lo facciano. E ora un altro!» si risedette. I soldati afferrarono Heino che cercò di dibattersi, mentre lagrime di rabbia gli scendevano sulla faccia «Non distruggere la mia vita in questo modo!» gridò mentre i soldati lo trascinavano via.
42 Uno dei giudici gli gridò dietro «Ringrazia che non sei stato condannato a morte» Heino singhiozzava mentre lo portavano giù, in cortile. Tutto gli sembrava un incubo pauroso. Soprattutto lo atterriva il pensiero che lui sarebbe stato un Perduto, un uomo la cui esistenza era finita. Gli tolsero il giubbotto lasciandolo a torso nudo, poi gli legarono le mani a una trave in alto, in modo che toccasse terra solo con la punta dei piedi. Il dolore ai polsi, già segnati dalle corde, era alleviato solo se lui si reggeva sulle gambe: ma così in punta di piedi non poteva resistere molto. Il sole picchiava forte perché era quasi mezzogiorno. I soldati cominciarono a frustarlo, con cattiveria, e lui gridò e pianse mentre il sangue gli rigava il petto e la schiena. Dopo dieci colpi si fermarono e lo lasciarono lì, sotto il sole, senza dargli da bere. Le corde ai polsi e le ferite delle frustate lo facevano soffrire crudelmente. La sua disperazione era tale che non riusciva neanche a pensare. Verso le tre passò un gruppo di ragazze, quelle che lui aveva incontrato appena arrivato al Castello. Heino stava col viso reclinato in avanti, ma alzò la testa quando passarono. Una di loro diede una veloce occhiata al soldato di guardia, poi tornò fino al pozzo, raccolse una ciotola d’acqua, la portò al prigioniero. Heino bevve tutta l’acqua senza alzare la testa.«Grazie» mormorò soltanto. La ragazza gli bagnò anche la faccia, si soffermò in una rapida carezza sulla fronte sudata, poi corse via. Heino tentò di stare per un po’ in punta di piedi, poi ricadde ansimando, gemendo per il dolore. Un’ora dopo le guardie tornarono per la seconda razione di frustate. Questa volta il dolore, sulla pelle già spaccata dai colpi precedenti, fu lancinante e Heino singhiozzò pensando che era meglio morire. I soldati ridevano, e prima di lasciarlo si divertirono ancora a prenderlo a calci. Heino pendeva inerte, abbrutito dal dolore e dalla sete. Col buio, l’ultimo atto: due guardie che reggono un braciere, un terzo che gli tira indietro brutalmente la testa, il marchio col ferro rovente sulla fronte. Heino gettò un urlo terribile e i soldati risero fragorosamente. Misero via i ferri, poi gli sciolsero i polsi. Heino cadde per terra come morto. «Svegliati, su cane bastardo» qualcuno gli buttò addosso un secchio d’acqua gelata. Gli misero fra le braccia il suo giubbotto e la sua cintura col pugnale, poi lo sollevarono trascinandolo verso l’uscita. Lui era un Perduto, non poteva restare al Castello.
43 Lo scaraventarono giù per il sentiero appena fuori dal portone. Le guardie tenevano alte le torce. Alcuni di loro avevano frecce negli archi «Vattene via subito» gli gridò uno di loro «se fra un minuto sei ancora qui ti ammazziamo» Heino cercava disperatamente di alzarsi: la testa gli girava e dolori insopportabili percorrevano il suo corpo. Una freccia sibilò in aria e si piantò per terra a pochi centimetri dalle sue gambe. Con affanno Heino si trascinò avanti, e un’altra freccia lo sfiorò perdendosi nel buio. «Va’ via, Perduto, cane rognoso» gridarono i soldati. Heino corse giù per il sentiero, cadendo varie volte, nel buio. Corse molto oltre le case, fino al bosco, e alla fine si gettò bocconi per terra, senza più forze. Sentiva come un cerchio di fuoco intorno alla testa, che partiva dal punto dove lo avevano marchiato. Respirava a scatti, con singhiozzi senza lagrime. Poi lo avvolse il buio, e i sensi lo abbandonarono.
44
1.7
La notte ci fu temporale. La pioggia violenta risvegliò Heino dal torpore. In un primo tempo il freddo lo aiutò a svegliarsi e gli diede refrigerio; poi cominciò a tremare di febbre. Si addentrò nel bosco, barcollando sotto il diluvio, e trovò un precario rifugio sotto un grosso masso sporgente: lì almeno non ci pioveva. S avvolse nel giubbotto e si coprì con foglie secche che abbondavano, lì sotto; per fortuna non erano bagnate. Riuscì a prendere sonno. Si svegliò abbastanza riposato. C’era il sole, ed era già alto. Si ricordò di tutto quello che gli era successo: lui era un Perduto però era vivo, per il Dio, e intendeva vivere. Era giovane e robusto e abituato alle intemperie e ai disagi. Avrebbe superato anche quella difficile situazione. Provò ad alzarsi in piedi: sentiva male in tutto il corpo. Il petto, le braccia e la schiena erano percorsi dai segni delle frustate. Lavò le ferite nell’acqua limpida delle pozze che la pioggia aveva lasciato tra i sassi. Non osò toccarsi la fronte, là dove sentiva il bruciore del marchio di Perduto. «Bene» disse a voce alta «sono proprio nella merda, non c’è che dire» Non aveva più niente, né gli attrezzi né un soldo né un’arma salvo il pugnale. Ed era un Perduto: nessuno gli avrebbe dato da mangiare né lo avrebbe aiutato. Rimase seduto per qualche tempo, riordinando le idee. Chissà cosa era successo a S’ro. Sperò che il vecchio se la fosse cavata: nonostante tutto, non riusciva a provare risentimento nei suoi confronti. E Shedi!... Il pensiero di quella strana ragazza dagli occhi blu tornò di colpo nella sua mente. E se lei avesse ragione? Respinse l’idea quasi spaventato: era già nei guai con il principe, ci mancava altro che si mettesse anche a offendere il Signore. E poi doveva essere sicuramente fuori di testa, la ragazza “Anzi, il Ragazzo: non ha seno” si disse, e provò a ridere. Riuscì a saziarsi con la frutta che abbondava nel bosco e trovò anche acqua fresca da una sorgente. Cercò di essere realistico, come faceva sempre quando si trovava nei guai, e pensare solo a se stesso e al suo immediato futuro. “Vediamo” si disse “se taglio la foresta, in tre o quattro giorni dovrei essere dalle parti di Hanlok. Lujane potrebbe aiutarmi a
45 procurarmi qualche attrezzo” e se Arnout fosse già tornato al paese?... Peggio per lui, pensò, se cercasse di darmi ancora dei fastidi. Camminò per i due giorni successivi mangiando frutta e prodotti del bosco, e sentendosi sempre più rinfrancato. Evitava solo di toccarsi la fronte, che sulla sinistra portava il marchietto di Perduto. La mattina del terzo giorno, ormai fuori della foresta, si fermò a guardare un volo di avvoltoi bassi sulla valle: un brutto segno, laggiù ci dovevano essere dei cadaveri, uomini o animali che fossero. Proseguì sul sentiero che scendeva leggermente, finché trovò conferma alle sue supposizioni: sei uomini ammazzati, uno qua e uno là, le loro povere cose sparse sul terreno “Per il Dio” pensò Heino guardandoli “chiunque sia stato, non è andato tanto per il sottile” gi uomini dovevano essere stati colpiti con inaudita violenza con armi da taglio: teste spaccate e membra semistaccate lo confermavano. I Grigi: non potevano essere che loro. Rabbrividì suo malgrado. Poco dopo, prevalse il senso del realismo: quegli uomini erano morti e lui poteva portarsi via le loro armi, che servivano di più a lui che era vivo. Già che c’era, poteva dare un’occhiata alle loro sacche: forse c’era qualcosa da mangiare. Mentre si inginocchiava per terra, qualcuno gli saltò addosso urlando e afferrandolo per il collo: Heino rotolò con lui: più agile del suo avversario, saltò in piedi, poi subito addosso all’uomo tenendolo per il collo, un ginocchio sul petto «Chi sei tu, perché mi hai assalito? Eh, brutta carogna!...» L’uomo roteava gli occhi annaspando con le mani. Heino allentò la stretta «Rispondi!...» «Tu, tu sei il Braccio dello Stregone!» ansimò l’uomo «colui che accende il sole e illumina il buio!...» «Tu sei pazzo!» Heino alzò il pugno per spaventarlo, e l’uomo sembrò tornare in sé. Lo guardò e subito prese un’espressione atterrita. «Sei un Perduto!» esclamò «non uccidermi, ti prego, non farmi del male!» Heino si alzò lasciandolo andare: l’uomo non sembrava pericoloso. Si sentì scosso al pensiero che un Perduto, nell’opinione della gente comune, non poteva essere altro che un pericoloso assassino. «Non ti farò niente. Ma tu chi sei, e cosa fai qui?» «Io ho visto...» l’uomo indicò i cadaveri per terra «ho visto i Grigi che hanno ammazzato questi qua, e il Signore mi ha colpito» indicò la propria testa «il Signore mi ha colpito qui, che il Suo nome sia benedetto» «Si, che sia benedetto» ripeté Heino meccanicamente «e allora?» «E allora il Signore mi ha colpito...»
46 «Si, si, ho capito» disse Heino pensando “è un povero pazzo”, e senza dargli più retta si mise a cercare nelle cose dei caduti. Prese un lungo coltello, arco e frecce, e anche una sacca che conteneva un paio di focacce rafferme. «Tu sei un Perduto, vero?» domandò l’uomo, che sembrava improvvisamente tornato in sé. «Già, non si vede?» Heino indicò la propria fronte. «Mi hanno detto dove si riuniscono i Perduti...» «Ah!» Heino fu subito interessato «allora è vero che hanno fondato una comunità?...» «Si, io lo so dove si riuniscono» l’uomo abbassò la voce «ma non lo dire a nessuno, amico, perché è un posto maledetto: la foresta di Rimal!» Rimal!.... Qualcosa si svegliò di colpo nella mente di Heino, qualcosa di remoto, di sconosciuto e, si, di terribile. Non era la prima volta che gli succedeva di provare quella sensazione, quando sentiva nominare un posto o un nome, ma adesso era nettissima. Si passò la mano sulla fronte. «Rimal» ripeté meccanicamente «ma perché dici che è un posto maledetto?...» «Perché è da lì che è partita la Vendetta!» l’uomo si mise a ridere come un pazzo «la Vendetta! Si, la Grande Catastrofe!...» «Smettila, uomo: tu sei proprio matto» «Ma tu, sei il Braccio dello Stregone, vero?» Heino alzò le spalle, prese la sacca e le armi e fece per avviarsi «Daljet, uomo» «Il Signore mi ha colpito!» gridò l’altro con gli occhi sbarrati. Poi fece un rapido dietrofront e si mise a correre verso il bosco, gridando frasi senza senso. Heino scosse la testa e si allontanò in fretta da quel posto, mentre gli avvoltoi continuavano a volare bassi. Quell’uomo era un povero pazzo. “Il Signore mi ha colpito qui” aveva detto, indicando la propria testa. Dunque era possibile che qualcuno, o qualcosa, lo avesse reso pazzo per impedirgli di denunciare gli assassini. Ma perché poi li avrebbe denunciati? I Grigi godevano della più completa immunità e tutti lo sapevano. Ma fino a quando la gente di Zatla avrebbe dovuto subire le loro prepotenze e i loro crimini? si domandò Heino, e subito allontanò il pensiero: non doveva offendere il Signore. Rimal!... Quel nome aveva risvegliato in lui una sensazione sinistra, come se ci fossero dei ricordi sepolti che affioravano appena e subito si spegnevano. Altre volte aveva provato quella sensazione, come quando, da ragazzo, gli avevano raccontato la storia, o forse la leggenda, del
47 grande Gerrit Burni, il principe dakei che aveva unificato il popolo della foresta e regnato con saggezza per lunghi anni, morto anche lui ai tempi della Grande Catastrofe. Il matto aveva detto “Da Rimal è partita la Vendetta e la Grande Catastrofe”. Pensava, mentre continuava a camminare: tutte le volte che aveva provato quella sensazione di ricordo, era stato per nomi o fatti che in qualche modo si riferivano alla Grande Catastrofe. “Forse è vero quello che certa gente dice, della reincarnazione” pensò, poi rise tra sé: lui non credeva in queste sciocchezze. Aveva altro da pensare: ad esempio, a come sopravvivere, e non era facile per un Perduto. Chissà se era vero che i Perduti avevano fondato una comunità proprio nella foresta di Rimal: il matto era matto, ma aveva qualche sprazzo di lucidità. Una comunità di Perduti non era proprio il massimo, però poteva anche essere una ipotesi se la vita “normale” da Perduto si fosse rivelata proprio impossibile. Contava di entrare a Hanlok di notte, ma arrivò in vista del paese nel pomeriggio. O meglio, di quello che restava del paese: più di metà delle case erano crollate, e nuvole di polvere e fumo ancora stagnavano nell’aria. Anche il ponte in pietra sopra il torrente era crollato. Nei campi non c’era nessuno: un silenzio di morte. Un terremoto, pensò per prima cosa Heino; poi subito scartò l’idea: un terremoto, lui l’avrebbe sentito dato che non era poi così lontano. E poi, i sopravvissuti starebbero lavorando, scavando, cercando di recuperare qualcuno o qualcosa. Invece tutto era silenzio. I Grigi. Si sentì di colpo bagnato di sudore freddo: forse erano ancora nei dintorni. Ma gli abitanti? Possibile che fossero tutti morti?... Scese di corsa, superò il torrente scendendo sul greto e saltando fra i sassi, e più da vicino vide qualche persona: alcuni uomini e donne, in ginocchio, che singhiozzavano, oppure stavano seduti qua e là, in silenzio. Non gli fecero molto caso quando arrivò: dovevano essere annichiliti. Lui prese per un braccio Peerio, un giovanotto che conosceva abbastanza bene, che se ne stava seduto con lo sguardo vuoto. Lo scosse finché quello si alzò in piedi. «Ino» balbettò lui «noi siamo finiti... finiti» «Cosa è stato?» «I Grigi. Sono arrivati stamattina. Dicevano che dovevano fare pulizia» «Pulizia?...» Intanto, altre tre o quattro persone si erano avvicinate, come a cercare conforto dal nuovo venuto.
48 «Si, pulizia: il loro capo ha detto che, qui a Hanlok, dovevano punire i ladri, i bestemmiatori, le puttane, e tutti...» «Si, e il loro capo era un uomo terribile» interruppe una donna «un uomo grandissimo, con gli occhi di fuoco» «E rideva, Ino!» disse un altro «rideva da gelare il sangue!» Heino si era subito reso conto che Lujane non faceva parte del gruppo «Lujane» disse «sapete dov’è Lujane?» «E’ morta» disse Peerio «l’hanno uccisa» «No... non può essere» Lujane che era stata per lui più di un’amica... uccisa dai Grigi. Ma perché?... «Io lo so chi è quell’uomo» disse uno del gruppo «l’ho già sentito dire da altra gente: un uomo terribile con gli occhi di fuoco. Si chiama Yafardhi» “Yafardhi è il figlio del Signore” aveva detto Shedi. «Maledizione» gridò Heino cercando di strapparsi fuori da quell’incubo «parla tu solo, Peerio, se no mi fate ammattire» «Non c’è molto da dire. Loro erano una ventina, e hanno detto subito che “tutta la feccia sarebbe stata spazzata via”, così hanno detto. Loro tiravano la gente fuori dalle case e hanno cominciato a massacrare uomini e donne. Allora molti hanno cercato di scappare, e il loro capo ha alzato le braccia e gridato qualcosa...» «Invocava il Signore» interruppe una donna. «E allora tutto ha cominciato a tremare, e le case crollavano. E lui rideva molto divertito» «E... poi?» «Tutti si buttavano in ginocchio, perché capisci, eravamo tutti terrorizzati. Lui indicava l’uno o l’altro, e come dovevano morire. A Jueg hanno tagliato le mani e i piedi; e il povero Laros lo hanno... bruciato, un pezzo alla volta; e Reob lo hanno infilato su una lancia e prima di andarsene lo hanno finito con le frecce; Keia l’hanno ammazzata a colpi di pietra...» «Che hanno fatto a Lujane?» sentiva la propria voce come se fosse di un altro, stranamente rauca. «L’hanno... si, legato le gambe a due cavalli e poi...» Heino si era coperto la faccia con le mani, le orecchie con le mani: non voleva più sentire niente. Tanta perfidia gratuita era mostruosa. Lujane uccisa in quel modo atroce! Qualcuno doveva pagare: quel Yafardhi, chiunque fosse, doveva pagare. Lo pensò con tutta l’intensità di cui era capace: lo punisse pure il Signore.
49 Dopo un po’ si riprese. Non gli era successo niente, quindi il Signore non si era curato di leggere nella sua mente. Forse lui non era che un povero Perduto che al Signore non interessava. «Che cosa è rimasto, del paese?» domandò guardando in giro. «Quello che vedi. Ci sono poche case ancora in piedi, quelle laggiù. Di persone, solo noi» «E... Klaare? E Sidelia? Armin?... Souvay?...» Peerio scuoteva la testa «Tutti morti» «Arnout?...» «Ucciso anche lui. Era appena tornato, proprio questa mattina» Heino respirò a fondo. Arnout, quel disgraziato! Aveva pagato, forse troppo caro, anche per la mascalzonata fatta a lui. «Bene» disse con voce insolitamente dura «non ha senso stare qui a piangere. Ci saranno morti da seppellire, macerie da rimuovere, case da rendere abitabili. Vi darò una mano io» non sapeva nemmeno lui perché avesse offerto il suo aiuto: forse era la prima volta in vita sua che pensava agli altri prima che a se stesso. Ma la tragedia che aveva colpito quella povera gente gli sembrava troppo enorme. Solo allora una delle donne guardandolo meglio disse «Ma tu... sei un Perduto!» e tutti insensibilmente si allontanarono da lui. Heino ebbe un colpo, e non rispose subito. «Si, è vero» disse poi «vedete, la cicatrice è fresca: è stato a causa di un uomo, che ho aiutato; non sapevo che lo cercassero per assassinio. I soldati poi hanno preso me, e là nel castello di Evergard...» scosse la testa: anche lui aveva dei ricordi terribili «Ma pensiamo al presente: se avete paura di me perché sono un Perduto ditemelo subito e io me ne andrò» «Di te non abbiamo paura» dichiarò Peerio «e in quanto alla punizione per averti qui con noi, cosa ci può ancora capitare di peggio?...» *** Heino rimase a Hanlok una settimana, lavorando molto e parlando poco. La sua naturale allegria si era spenta nel sangue del massacro fatto dai Grigi. A volte pensava che era ora di finirla con quella gente, specialmente con quel Yafardhi. Chissà se era vero che era il figlio del Signore, come aveva detto Shedi. Le prime volte cercava di evitare quei pensieri blasfemi: non si può liberarsi di colpo da venticinque anni di condizionamenti. Però apparentemente, il Signore lo lasciava almeno pensare. Così, giorno dopo giorno, sempre più spesso e con sempre minor paura del castigo, pensava a come
50 Zatla fosse schiacciata dalla violenza dei Grigi, e se non fosse ora di ribellarsi. In che maniera non sapeva, poiché era certo che i poteri del Signore erano immensi: poteva far calare le tenebre e scatenare i Volanti; poteva dominare le forze della natura come i venti e i terremoti; poteva incenerire o rendere pazza una persona a distanza... “Con me, questo non gli riuscirà” si sorprese a pensare Heino un giorno, e subito si spaventò della sua audacia. Ma non gli successe niente: il Signore lo ignorava. O forse, non poteva colpirlo: quest’ultima idea gli sembrò lì per lì la più blasfema e pericolosa; man mano però cominciò a farsi strada nella sua mente, infondendogli nuova sicurezza.
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Quando Heino se ne andò da Hanlok, qualcosa in lui era cambiato. Era stata una scoperta emozionante quella di non aver più paura di pensare. Incredibile, in tutta Zatla gli uomini tremavano sotto il giogo del Signore e non osavano nemmeno pensare. Ma lui si, lui poteva. Evidentemente il Signore non si era accorto di lui: ma forse aveva dei limiti, dopo tutto. Forse non poteva controllare veramente le menti di tutti. Non sapeva nemmeno lui cosa avrebbe fatto adesso: era troppo scosso per ricominciare la sua vita di cantore e artigiano girovago come se niente fosse. E poi, era un Perduto. Era andato via da Hanlok anche per non mettere ulteriormente in pericolo quella gente: era vietato accogliere un Perduto. Di problemi, quindi, ne aveva. E adesso aveva un’idea: andare a vedere se nella foresta di Rimal ci fosse davvero la comunità dei Perduti. Si accorse presto che la vita di un Perduto era particolarmente difficile. Nelle settimane seguenti, ogni volta che passava per un paese doveva avvicinarsi con molta precauzione per accertarsi che non ci fossero dei soldati né, possibilmente, gente ostile. Si rendeva conto che, anche quelli che lo conoscevano, erano piuttosto guardinghi nei suoi confronti, e i pochi che lo aiutavano dandogli da mangiare stavano ben attenti a non farsi vedere. Più volte fu semplicemente cacciato via; una volta tentarono anche di ucciderlo, e buon per lui che aveva riflessi pronti e gambe veloci. Un paio di volte si vide costretto a rubare del cibo. La sua decisione di andare nella foresta di Rimal diventava sempre più ferma, visto che la gente “normale” gli rendeva la vita così difficile. Trovò ancora tracce del passaggio dei Grigi: persone uccise e paesi saccheggiati. Nell’allontanarsi dal Nordovest, scendendo verso sud nelle grandi praterie della Hyver, le difficoltà aumentavano perché in quella regione non conosceva quasi nessuno ed era costretto a vivere di frutta, caccia e pesca. Si tenne il più possibile alla larga dei centri abitati finché arrivò al Ponte di Kastor: quello era un punto obbligato se si voleva passare il fiume, incassato per miglia in una gola molto pittoresca dalle alte pareti rocciose. Era anche impossibile passare il ponte di notte perché dal tramonto all’alba il passaggio, considerato un punto strategico, veniva sbarrato e
52 guardato dai soldati di Evergard. Di giorno invece la sorveglianza era solo teorica. Doveva rischiare. Arrivò in vista del ponte verso mezzogiorno. Per nascondere il marchio di Perduto si era legato intorno alla fronte una striscia di stoffa bianca, come facevano le popolazioni del sud di Zatla. Scese verso il ponte, intorno al quale stava un discreto gruppo di case, tenendo in spalla la sacca, l’arco e le frecce, e sperando di confondersi con la gente di passaggio. Non fu fortunato: mentre attraversava la piazza antistante il ponte, tre soldati uscirono dal vicolo e lo guardarono fisso; si fermarono proprio davanti a lui. «Perché porti quello straccio sulla fronte, eh?» gli domandò uno di loro. «E’ l’usanza del mio paese, signore. Io vengo dal sud» Ma l’altro allungò una mano «Va bene, ma fai vedere se per caso non sei un Perduto» Heino istintivamente portò la mano alla fronte e fece un passo indietro. Non c’era verso di salvarsi, pensò in un attimo, e adesso... «Lasciate quel ragazzo, è un mio amico» disse una voce autorevole. Heino si voltò e restò di sasso: S’ro, ma si, era proprio lui, e portava l’uniforme di ufficiale della Guardia di Evergard. «Che piacere vederti!» esclamò Heino andandogli incontro. S’ro gli batté paternamente una mano sulla spalla. «Il piacere è mio» disse; e poi rivolto ai soldati «Andate pure, rispondo io per lui» «Si, signore» i soldati si allontanarono verso il fondo della piazza. «Vieni» disse S’ro a bassa voce «andiamo dove non ci possano sentire» Camminarono in silenzio per dieci minuti finché furono lontani dall’abitato. Poi S’ro si fermò e si mise a ridere «Ino, di nuovo nei guai! Sono felice di vederti, davvero» «Io più di te! Ma spiegami un po’, vecchio imbroglione...» «Perché porto questa divisa?» «Già! Devo pensare che mentre i soldati si divertivano a frustarmi e prendermi a calci per causa tua, tu eri riuscito a dartela a gambe...» «Proprio così. Quando ti hanno preso non aveva senso che mi presentassi anch’io, ti pare? Così me ne sono stato alla larga, e poi ti ho seguito al Castello. Purtroppo ho perso le tue tracce: mi hanno detto che ti avevano fatto Perduto e che ovviamente te n’eri andato dal Castello, così non sapevo dove trovarti» «Ma questa uniforme?...»
53 «Aspetta. Mentre venivo giù dal Nordovest mi è capitato di incontrare un ufficiale con tre uomini che avevano avuto, per così dire, uno scambio di idee con i Grigi. Erano tutti morti, insomma. Dalle carte che l’ufficiale aveva in tasca ho visto che loro dovevano venire qui a presidiare il Ponte di Kastor, così ho preso armi e vestiti del tipo e ho raccontato ai soldati di qui che i miei uomini erano stati ammazzati dai Grigi, il che era anche vero. Qui non hanno avuto dubbi e visto che sono un ufficiale mi ubbidiscono» «Ma perché venivi via dal Nordovest?» «Ho pensato che forse, essendo un Perduto, avresti cercato di raggiungere la foresta di Rimal» «Esiste allora la comunità dei Perduti?» «Certo che esiste. Come vivono non so, e forse non sono gente molto raccomandabile nemmeno per tipi da forca come noi...» Heino rise e batté sulla spalla del vecchio «Sei proprio un figlio di buona donna, vecchio S’ro. Anzi, lo siamo tutti e due, ecco perché andiamo d’accordo» «E ora, cosa pensi di fare?» Heino si rabbuiò in faccia «Hanno distrutto il paese di Hanlok, dove io conoscevo molta gente» «Chi?» «I Grigi. Il Signore ha fatto crollare le case, poi i Grigi hanno ammazzato la maggior parte degli abitanti, torturandoli. Non hai idea delle atrocità che hanno fatto. Io... ho aiutato i pochi rimasti a seppellire i morti. E ho visto come sono morti. Hanno ucciso anche una donna che per me... aveva significato molto. E li comandava un uomo alto e grosso, un certo Yafardhi» «Yafardhi» S’ro corrugò la fronte «quella ragazza...» «Si, lei diceva che è il figlio del Signore. Ma chiunque sia, ha compiuto una strage orrenda» «Così è il mondo» S’ro alzò le spalle. «No, S’ro, così non può essere. Le prepotenze di questi Grigi sono intollerabili» «Ehi» disse S’ro allarmato «questi sono discorsi pericolosi. Non devi provocare il Signore, che il Suo nome sia benedetto» «Invece si!» S’ro aprì la bocca spaventato, ma Heino continuò «Io ho passato una settimana a Hanlok e ho spesso pensato che il potere del Signore è... si, è mostruoso! e che i Grigi sono bande di assassini criminali. E non mi è successo niente, S’ro: o il Signore non si è accorto di me, oppure non può colpirmi!»
54 «Ma può colpire me!» esclamò S’ro con un’occhiata al cielo chiaro «per i Profeti, Ino, piantala con le bestemmie. Abbiamo già abbastanza guai» «Come sarebbe “abbiamo”? Tu sei ben sistemato a quanto vedo» indicò il giubbotto rinforzato di cuoio e la casacca con i colori del principe. Ma S’ro alzò le spalle. «Quanto credi che possa durare questa burla? Prima o poi qualcuno si accorgerà che io non sono un ufficiale ma un uomo ricercato, e magari mi accuserebbero anche di averlo ammazzato io, l’ufficiale. Perciò è ora che ce ne andiamo» «Verresti con me a Rimal?» «Si» «Dicono che è un posto maledetto. Tu ne sai qualcosa?» «Mmmhhh! Ho sentito dire che nella foresta ci sono dei sotterranei dove sono state ammazzate molte persone. Una setta che faceva sacrifici umani, pare. Ma forse è una leggenda, e comunque una cosa di molto tempo fa» «E cosa dirai ai soldati?» «Vuoi scherzare? Sparirò semplicemente, e a nessuno verrà in mente di cercarmi per un po’. O forse mai, con i tempi che corrono» «Quando?» «Subito. Il tempo di raccogliere qualcosa da mangiare e filiamo» «Non è meglio aspettare la notte?» «No, di notte i soldati stanno sul ponte, di guardia. Adesso sono in giro per il paese, ma sei assieme a me e nessuno avrà sospetti» Lasciarono il paese senza problemi, camminarono tutta la notte, e il giorno seguente erano già ben lontani dal Ponte di Kastor, molto avanti in territorio Hyver, dove fra l’altro il principe Evergard, almeno in teoria, non aveva giurisdizione. La stagione era buona, la primavera copriva alberi e prati di fiori colorati, i drax e i conigli selvatici facevano la loro vita nella foresta. Ma le donne e gli uomini di Zatla erano schiacciati dal potere del Signore, e la loro vita era precaria e miserabile. FINE ANTEPRIMA CONTINUA...