La casa maledetta, Lucrezia Riberi

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In uscita il 21/12/2020 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine dicembre 2020 e inizio gennaio 2021 (2,99 euro)

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LUCREZIA RIBERI

LA CASA MALEDETTA

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ LA CASA MALEDETTA Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-429-8 Copertina: immagine a cura di Luca Di Marcoberardino Prima edizione Novembre 2020 Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, avvenimenti e luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice o usati in modo fittizio. Ogni somiglianza con persone esistenti o esistite e con le vicende narrate è puramente casuale.


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Alla mia famiglia, le mie radici A Luca, la mia roccia



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CAPITOLO I

Un agente immobiliare profumato, vestito di tutto punto, dotato di una dialettica abile e persuasiva stava accompagnando Rebecca Barbero per le vie di Savona. La donna aveva già visitato parecchie case, ma nessuna andava bene o erano troppo fatiscenti o non rientravano nel budget prefissato. Si lasciò sfuggire un sospiro, mentre il suo sguardo ormai stanco e spento vagava senza fermarsi in nessun punto preciso. All’inizio la ricerca di un’abitazione le era parsa emozionante e provava un brivido ogni volta in cui entrava in un nuovo immobile, tutto da scoprire. Ma, adesso, non ne poteva più. Colpì distrattamente un sassolino e, mostrando una leggera preoccupazione, si accertò subito che i sandali bianchi, per di più nuovi di zecca e costati un capitale, non si fossero rovinati. L’agente immobiliare la stava scrutando già da un po’ con la coda dell’occhio. Non doveva far capire alla sua cliente che la stava studiando attentamente. Al contrario, il suo atteggiamento doveva risultare spontaneo e genuino o, almeno, così gli era stato insegnato. Conosceva bene quello sguardo annoiato e quell’atteggiamento stanco: era una cliente in procinto di arrendersi. Ecco, era giunto il momento di sfoderare il suo lato migliore! Si schiarì la voce, si aggiustò la cravatta e iniziò a parlare: «Vedrà, si innamorerà di questa casa!» esclamò, continuando a sfoderare un sorriso smagliante, «Si tratta di un vero affare, mi creda!» affermò ancora con entusiasmo «Lei non dovrà badare alle apparenze: la casa necessita sicuramente di una ristrutturazione, ma a quel prezzo…». Sembrò andare in sollucchero. Alzò gli occhi al cielo e, emettendo un gemito, le suggerì: «Deve fidarsi di me e guardare il potenziale di quest’immobile, dovrà immaginarlo come sarà dopo i lavori…», brevissima pausa a effetto, «uno spettacolo!» accompagnata da un’esclamazione finale con aumento improvviso del volume della voce per attirare l’attenzione della cliente.


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Rebecca Barbero ascoltava le parole dell’agente senza farsi coinvolgere troppo. All’inizio delle sue ricerche era cascata in alcune di quelle trappole: tutti millantavano un affare imperdibile, un’occasione d’oro ma, alla fine, si rivelavano solo parole vuote. Con il tempo, però, aveva imparato a non farsi più illudere da tutte quelle promesse. Tra ‘un affare’ e ‘un’occasione’, erano arrivati nella via giusta, dove li stava aspettando una lunghissima serie di villette a schiera. La donna rimase molto stupita dal silenzio e dalla pace di quella strada. Pur essendo ancora molto vicini al centro di Savona, pareva di essersi spostati in un altro luogo. Rebecca lasciò vagare lo sguardo: i giardinetti di quelle case erano tutti curati, chi li aveva riempiti di piante, chi aveva installato un gazebo e chi li aveva lasciati liberi e sgombri con un unico praticello all’inglese. In quel momento si sentì a casa. Le piaceva l’idea di vivere in una zona residenziale come quella. Intanto, l’agente immobiliare continuava a tenerla sotto controllo osservandola di sottecchi. Aveva notato che quel giovane volto si stava piano piano accendendo. Dopo alcuni minuti, raggiunsero l’ultima villetta di quella lunga schiera. Era molto diversa dalle precedenti: i muri erano grigio scuro, privi di intonaco, le finestre vecchie e rotte, la vegetazione in giardino aveva preso il sopravvento e aveva avvolto tutto ciò su cui poteva crescere. Rebecca rimase ferma a guardare la facciata di quella casa e avvertì un brivido salirle lungo la schiena: la sensazione di pace era svanita e aveva lasciato il posto a uno strano presentimento. D’istinto sì coprì la pancia con le braccia… sentiva anche freddo. «Eccoci finalmente arrivati!» esultò l’agente, ignorando la faccia spaesata della sua cliente e girando la chiave nella toppa. «Venga, entri» la esortò, mentre strappava alcuni rami di edera che avviluppavano la serratura e ne impedivano l’apertura. Il cancello esterno, sverniciato e ormai coperto di ruggine e piante varie, cigolò facendo sussultare Rebecca. “Che mi prende? Non sono mai stata così impressionabile!” pensò la donna, iniziando a guardarsi attorno. Mosse i primi passi incerti nel giardino, come se la terra sotto ai suoi piedi potesse franare da un momento all’altro o potesse sbucare fuori un animale rintanato dietro ai cespugli. Intanto l’agente immobiliare, continuando a ignorare i timori della cliente, aveva già aperto il portoncino di ingresso e le stava facendo cenno di avvicinarsi.


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All’interno, vi era un forte odore di stantio e di muffa, numerose ragnatele avevano coperto gli angoli del soffitto e il pavimento era cosparso di un fitto strato di polvere nera. Non era rimasto nessun mobile, fatta eccezione per una grossa stufa di ghisa verde in cucina. «L’avevo avvisata di non farsi spaventare dall’aspetto di questa casa: è esattamente come le altre, solo trascurata. Ora chiuda gli occhi,» disse, ma vedendo che Rebecca non aveva compreso di doverlo fare per davvero, ripeté: «Chiuda gli occhi! Inizi a immaginare le pareti rinfrescate, un grosso divano angolare messo alla sua destra, una cucina nuova davanti a lei…» la voce si faceva mano a mano sempre più delicata, come per conciliare i sogni della donna. Subito dopo, Rebecca poté visitare i due piani della casetta e la cantina. Lo spazio non mancava assolutamente! «A quanto mi ha detto che la vendono?». L’agente, intuendo che forse Rebecca aveva buone intenzioni, allargò ancora di più la bocca per sorridere. Ormai, i muscoli della faccia iniziavano a dolergli per quanto si stava sforzando di mantenere un’espressione serena. «Centocinquantamila euro, un affare!» affermò, annuendo vigorosamente. «Perché chiedono così poco? Non ho mai visto una casa con una metratura simile, con una posizione così comoda al centro, a questo prezzo!» commentò scettica, immaginando che dietro quell’occasione si nascondesse qualche magagna. «I proprietari hanno fretta di vendere. Vivono già da molti anni all’estero, sono anziani e necessitano di denaro. E poi…» esitò, pentendosi subito di aver accennato al discorso. La cliente lo guardò in modo piuttosto esplicito, esortandolo a terminare la frase. «Girano alcune voci su questa casa. Prima o poi lo verrà a sapere, quindi tanto vale che glielo dica direttamente io: alcuni credono che qui viva il fantasma di una donna» confessò, prevedendo la reazione negativa della cliente. Rebecca rimase in silenzio e iniziò a riflettere per conto proprio. “Ecco spiegato il motivo di quella terribile sensazione di freddo e di disagio.” si disse. Poi, diede ancora uno sguardo alla casa: aveva tutto quello che desiderava e finalmente il prezzo era perfetto per le loro tasche.


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“Da quando credo a queste baggianate? Da quando mi faccio influenzare da stupide dicerie?” si chiese, senza smettere di notare il potenziale di quella dimora, “No, io non sono così! Non credo a tutto questo!” Si voltò verso l’agente che, nel frattempo, aveva perso il solito sorriso e questa volta fu lei a esclamare: «La prendo!». Sul volto dell’uomo comparve un’espressione di gioia, finalmente non forzata ma spontanea. «Ottima scelta!» si complimentò. *** Rebecca stava seguendo con attenzione i movimenti degli operai. Il lavoro non mancava: gli impianti erano da mettere a norma, gli infissi da sostituire, le pareti da rinfrescare e, per finire, bisognava comprare tutti gli arredi. Certo, il prezzo iniziale della casa era stato davvero vantaggioso, ma i lavori di ristrutturazione avevano fatto salire drasticamente quella cifra. Forse era per quel motivo che molti avevano rinunciato a comprare quella villetta e non per le storie sui fantasmi, considerò Rebecca. Per fortuna, almeno la divisione degli spazi era già stata studiata attentamente e quindi non era stato necessario pensare di abbattere nessun muro. Rebecca posò uno scatolone a terra, si asciugò la fronte con il dorso della mano e prese il telefonino dalla tasca dei pantaloni. «Francesco! Qui stanno già montando i mobili, tu quando arrivi?» chiese, mentre indicava a un operaio appena entrato il piano di sopra. «Purtroppo non posso venire…» ebbe appena il tempo di replicare che lei protestò, sbuffando: «Come? Anche questa volta?». «Non ti preoccupare, ho telefonato a mio fratello. Viene lui a darti una mano». «Ah… andiamo bene! Ha seguito più lui i lavori di te e poi sai che non ci vado molto d’accordo» disse, con tono stizzito. «Lascialo perdere, non ascoltare le sue battute. Fa così con tutti, ma in fondo è buono» tentò di addolcirla Francesco. Rebecca, in un attacco di collera, chiuse la conversazione senza dire più nulla. Era stufa e non accettava di essere messa al secondo posto.


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Francesco dava la priorità sempre al suo lavoro. Era stata lei a scegliere la casa, era stata lei a decidere il mobilio e, sempre lei, aveva dovuto gestire i lavori di ristrutturazione. Non le era dispiaciuto essere al comando, ma si era sentita sola e avrebbe preferito avere il compagno al suo fianco. Invece, negli ultimi periodi Francesco faceva molti straordinari e trascorreva giornate intere al lavoro. Gabriele non tardò ad arrivare. Aveva cinquant’anni, ma se li portava molto bene. I capelli erano leggermente mossi e brizzolati. Era abbronzato tutto l’anno e poteva vantare una dentatura perfetta e bianchissima grazie alla quale aveva conquistato non poche donne, almeno a suo dire. Non si era mai voluto sposare e aveva optato per una vita libera e spensierata. Sosteneva con fermezza che l’uomo fosse un cacciatore naturale e che non potesse essere chiuso in gabbia. «Come sta la mia biondina preferita?» salutò così la compagna del fratello, ammirandola dalla testa ai piedi. Rebecca era sicuramente una di quelle donne che fanno voltare e perdere la testa agli uomini. Capelli lisci biondi, fisico longilineo, curve generose, occhi azzurri e bocca carnosa. Quel giorno indossava una tuta azzurra molto attillata che non lasciava spazio alla fantasia. Le piaceva vestire capi aderenti, scollati e che mettessero in risalto la sua fisicità. «Vai a controllare gli operai al piano di sopra» ordinò lei, ignorando il solito commento. Gabriele, infatti, non perdeva occasione di punzecchiarla e lei, questo, non lo sopportava proprio. Non si limitava a rivolgerle dei complimenti, quelli sarebbero stati ben accetti, ma sottolineava molte volte, troppe, che era strano che una donna di appena trent’anni avesse alle spalle già un divorzio e un lutto. Ovviamente profetizzava con macabra ironia che suo fratello sarebbe stato il numero tre di quel triste elenco. «Ti auguro di dover affrontare solo una separazione, come il numero uno, e non la morte come il numero due!» soleva ripetere fra una risata e un’altra, mentre dava grosse pacche sulle spalle del fratello. Francesco era troppo timido e ben educato per rispondere a quello zoticone e riusciva appena a tenere il broncio. Rebecca lo vide salire per le scale e tirò un sospiro di sollievo. «Troverai pane per i tuoi denti» ridacchiò, parlando da sola e pensando alla situazione del piano superiore e a quanti scatoloni ci fossero da svuotare, «E poi…» mormorò, restando immobile a fissare le scale.


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Una folata di vento investì Rebecca. “Basta! Mi sto solo facendo suggestionare!” si rimproverò duramente, tornando al proprio lavoro. In effetti, durante la ristrutturazione, si erano verificati alcuni episodi molto strani, la maggior parte al piano di sopra. Porte e finestre che sbattevano all’improvviso, rubinetti trovati aperti… nulla di particolare in una casa vecchia e piena di correnti eppure, più volte, a Rebecca era parso di non essere sola, di avvertire vicino a lei una presenza. “Ho sentito troppe storie…” pensò, mentre apriva lo scatolone, in cui aveva riposto le pentole. Appena i vicini si erano accorti che qualcuno aveva acquistato quella casa, non avevano esitato a farsi avanti per curiosare, per metterla in guardia e per terrorizzarla con storie di fantasmi. Chi le aveva riferito che alcuni inquilini erano scappati dopo solo una settimana, chi le aveva raccontato che in quella casa vagava lo spirito disperato di una donna tradita, chi ancora le aveva giurato di aver visto in più occasioni il volto di qualcuno dietro la finestra di una delle stanze al piano superiore. Fatalità volle che fosse proprio quella che lei aveva scelto come camera da letto. Tra tutte le voci che risuonavano nella sua testa una spiccava in modo particolare, era quella roca e fastidiosa di Margherita. Era una strana donna e, sicuramente, quel nome non la rappresentava affatto. Non ricordava in alcun modo un candido fiore appena sbocciato, ma, tutt’al più, una spiga di grano secca. Abitava nella prima casa di quella lunga schiera. Era sempre imbronciata e nel suo giardino aveva appeso un numero impressionante di scacciapensieri. In molti si rivolgevano a lei per farsi leggere le carte, per fantomatici amuleti e, a quanto aveva capito Rebecca, era questo il modo in cui si manteneva. «Quella casa non può essere abitata. Te ne accorgerai presto!» le ripeteva Margherita con uno strano ghigno sulla bocca «Scappa finché sei in tempo. Poi, potrebbe essere troppo tardi!» o ancora «I segni si faranno sempre più forti e non potrai più dominarli!». Inoltre, le aveva raccontato che per molti anni quella casa era sempre stata affittata e che tutti gli inquilini non avevano resistito per oltre tre mesi. Era questo il motivo per cui i proprietari l’avevano messa in vendita a un prezzo ridicolo per il suo valore. Rebecca non era tanto intimorita da quegli stupidi racconti, quanto dalla figura della donna. Era strana, pareva essere sempre un passo avanti


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agli altri, come se davvero potesse prevedere gli eventi e, soprattutto, la fissava con due occhi che parevano volerle strappare via l’anima dal corpo. La voce di Margherita era sempre più forte nella mente di Rebecca al punto che, per un attimo, le parve proprio di vederla di fronte a sé, con i suoi capelli grigi, la faccia rugosa e i vestiti neri. “Brutta strega!” pensò Rebecca, quasi Margherita potesse ricevere per davvero quell’insulto. Per scacciare tutte quelle voci dalla sua testa, tornò al lavoro: darsi da fare era sempre un ottimo rimedio per evitare di rimuginare sulle stesse cose. Quando gli operai andarono via, si era fatta ora di pranzo e Gabriele propose di ordinare il pasto a casa. Rebecca era troppo affamata per rifiutare e accettò, sebbene la compagnia non fosse delle migliori. Si misero a mangiare i panini in giardino, l’aria era calda ma tirava un venticello molto piacevole. «Sai le cose non vanno molto bene con l’ultimo lavoro…» sospirò lui. «Me ne ero accorta, sei sempre qui!» ribatté lei con sarcasmo. «Stavo pensando di chiedere a Fra se posso fermarmi per un periodo da voi…» disse, cautamente, per tastare il terreno. Rebecca buttò giù il boccone che aveva in bocca e si voltò di scatto. «Non mi sembra una buona idea!» esclamò, con tono perfino troppo duro. «Sarebbe solo una sistemazione temporanea e lo spazio non vi manca» rispose Gabriele, guardandola con occhi supplichevoli. «Non hai considerato i ragazzi… hanno bisogno dei loro spazi… la casa l’abbiamo scelta apposta…» accampò diverse scuse, iniziando ad annaspare. «Sì, una camera per voi, una per tuo figlio, una per la figlia di mio fratello e ne avanzerebbe giusto una al piano di sopra». «Vedo che hai già fatto i tuoi conti!» esclamò Rebecca, furibonda, «È meglio se adesso te ne vai e subito!» scattò in piedi e andò come un fulmine ad aprire il cancello. «Non ti sembra di esagerare?» protestò lui, non mostrando alcuna voglia di alzarsi dalla sedia. «Fuori!» urlò lei, accompagnando alle parole un movimento secco della testa rivolto verso l’uscita. Gabriele buttò a terra il panino e uscì, continuando a lamentarsi.


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Beatrice, la vicina di casa di settant’anni, ormai vedova ma circondata da un’infinità di nipotini, stava potando la siepe vicino al cancello e seguì la scena con vivo interesse, tanto che a un certo punto le cesoie tagliarono inavvertitamente un ramo di troppo. “Un altro litigio. Vediamo un po’ per quale motivo…” pensò, aggiustandosi il cappellino di paglia sulla testa e mettendosi gli occhiali da vista, appesi al collo grazie a una cordicella. Da lontano non vedeva molto bene ma, per fortuna, l’udito era ancora quello di una ragazzina. Drizzò le orecchie, proprio come potrebbe fare un animale a caccia, e si mise in ascolto. Rebecca, come se sentisse su di sé gli occhi della vicina, si voltò e la gelò con lo sguardo. “Possibile che quella vecchia sia sempre lì appostata a origliare?” si domandò, mentre la fulminava, “Praticamente vive in giardino, vicino al nostro cancello!” Infatti, non era la prima volta che Beatrice assisteva ad alcuni dei loro litigi. Pareva fosse nata con un radar incorporato in grado di captare pettegolezzi. *** Beatrice Colombo, superando di gran lunga le aspettative della sua vicina Rebecca, aveva organizzato per il pomeriggio stesso una merenda con altre due vecchiette del quartiere per spettegolare sull’ultima arrivata. L’anziana donna non aveva di certo riservato un trattamento privilegiato a Rebecca, infatti si era comportata in quel modo ogni volta in cui una persona sconosciuta andava a vivere in una di quelle graziose casette. Le pareti del suo salotto erano pitturate di rosa antico e su tutte erano appesi quadretti contenenti fiori secchi del giardino, la sua più grande passione dopo i nipoti, ovviamente! Infatti, sui mobili si potevano ammirare le fotografie dei bambini, dal giorno in cui erano nati. Ogni anno, Beatrice aggiungeva alla collezione le foto attuali per poterli ammirare con un unico colpo d’occhio in tutta la loro meravigliosa crescita. Il prossimo anno avrebbe dovuto chiedere a qualcuno di montarle una mensola perché non era rimasto nemmeno un piccolo spazio vuoto. L’anziana aveva disposto sul tavolino della sala alcuni


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biscotti, ma a nessuna di loro interessava mangiare, le loro bocche dovevano essere vuote per poter parlare! Ambra e Rita, oltre a essere due vicine di casa, erano anche le sue amiche del cuore. Quando si riunivano, ringiovanivano e mostravano lo stesso entusiasmo di tre adolescenti che si incontrano per parlare del ragazzo più bello della scuola. Peccato che loro sparlassero di tutti! «Hanno litigato ancora!» commentò Rita che aveva ascoltato con estrema attenzione. «Già, non vanno proprio d’accordo» disse Beatrice, annuendo in modo energico, «Tu, Ambra, hai scoperto qualcosa di nuovo?». L’amica sorrise. «Sì, ieri al mercato ho incontrato un po’ di gente e non è stato difficile scoprire il passato di quella donna e che passato!» ridacchiò maliziosamente «Si è sposata una prima volta a vent’anni con il padre del suo bambino, avuto a soli diciotto anni. Lui era molto più grande e, non so dirvi perché, hanno divorziato un anno dopo le nozze» il racconto era sapientemente accompagnato da gesti, smorfie e versetti di disapprovazione mista a malizia, «Poi, ha conosciuto il secondo marito. Pensate aveva la nostra età! Chissà cosa l’ha attratta?» domandò con sarcasmo, iniziando a sfregare le dita fra loro per indicare il denaro. «Be', il poveretto è morto qualche anno dopo». «Allora ha ereditato una fortuna?» domandò Rita, strabuzzando gli occhi. «Sì, una discreta somma e, inoltre, le è rimasta una bella pensione. Però, per sua sfortuna,» sottolineò con ironia «la maggior parte degli averi spettavano ai figli di lui. Be', può essere contenta. Non ha mai lavorato in vita sua e si trova con una rendita fissa». «Hai proprio gli agganci giusti!» commentò Beatrice che ancora si stupiva di quante informazioni l’amica riuscisse a reperire, «Invece sul marito hai scoperto nulla?». «Sì, ma niente di interessante. Lavora come impiegato in banca. Ha quarant’anni e si è separato da poco dalla moglie. In comune hanno quella brutta ragazzina che vediamo spesso in bicicletta». «Ambra! Poveretta, è solo nella fase adolescenziale, non puoi definirla brutta!» la corresse Beatrice. «Io dico sempre la verità! Le sue coetanee sono tutte carine, invece lei sembra un rospo. Sempre in tuta da ginnastica e dovrebbe fare anche una dieta drastica!» dichiarò l’amica, seccata.


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Beatrice sbuffò. Forse perché aveva tanti nipoti, non le piaceva sentire parlare in quel modo di una ragazza anche se, sotto sotto, sapeva che era la verità. «Ha scelto ancora un uomo più grande, ma questa volta si è accontentata di un reddito più basso» puntualizzò intanto Rita che, invece di ascoltare i loro battibecchi a cui era abituata, stava ancora riflettendo sulle scelte di vita di Rebecca. Le amiche annuirono e continuarono i loro pettegolezzi, passando agli altri vicini che, purtroppo, erano molto meno interessanti.


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CAPITOLO II

La casa era finalmente pronta, l’ultimo operaio era andato via quella mattina. I ragazzi sarebbero tornati da scuola tra un’oretta e il suo compagno era tutto il giorno al lavoro, quindi Rebecca aveva ancora un po’di tempo per godersi la sua amata villetta. Fece una passeggiata nel giardino per ammirarlo. Non se ne intendeva particolarmente di piante, ma le piacevano molto. Non aveva potuto permettersi un giardiniere, quindi era stata lei a rimuovere le erbacce, lasciando i fiori e gli arbusti che gradiva maggiormente. Si guardò attorno e, sebbene non sapesse nemmeno il nome di uno di quegli arbusti, si complimentò con se stessa per il lavoro svolto. Il risultato finale era davvero piacevole. L’unico acquisto botanico consisteva in una lunga fila di siepi verdi che aveva posto sul lato confinante con Beatrice. Erano ancora piccoline e si augurava che crescessero in fretta per garantirle maggiore privacy. Per il resto, Rebecca aveva preferito non occupare tutto lo spazio in modo da poter installare in futuro un gazebo e magari anche una piccola piscina. Dopo aver ammirato l’esterno, entrò in casa. L’ingresso dava su un vastissimo locale in cui vi erano cucina e sala. Al piano terra c’erano anche un piccolo bagno, un locale adibito a lavanderia e uno sgabuzzino. Salì lentamente le scale sovrastanti il salone e osservò con soddisfazione gli ambienti dall’alto. Aveva fatto proprio un ottimo lavoro! Al piano di sopra vi erano le camere da letto e un grandissimo bagno. In quel momento Rebecca ripensò all’agente immobiliare che l’aveva portata in quella casa; aveva avuto ragione, con poche modifiche e uno stile moderno, la casa era diventata irriconoscibile. Andò nella sua stanza e uscì sul balcone. Anche il terrazzo, purtroppo, era attaccato a quello di Beatrice. Un piccolissimo e trasparente vetro li separava. Rebecca lo fissò con astio pensando che avrebbe dovuto escogitare un modo perché quell’anziana non potesse spiarla. Poi, rientrò e si lasciò cadere sul letto. Il suo corpo sprofondò nel morbido materasso e la


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copertina bianca le accarezzò la pelle. Avrebbe potuto restare lì anche tutto il giorno. Chiuse gli occhi e si lasciò coccolare dal fresco venticello che entrava dalla finestra. Tutto profumava di nuovo, l’aria era pulita, alcuni uccellini cinguettavano… quando sentì un rumore in corridoio. Aprì gli occhi e rimase immobile. Regnava il silenzio più assoluto. Poi, di nuovo quel rumore seguito da altri simili. Sembravano dei passi… c’era qualcuno in casa! Rebecca si alzò. Era talmente impaurita che, a stento, riusciva a controllare il respiro che diveniva sempre più affannoso. Iniziò a camminare cercando di non far rumore e, nascosta dietro il muro, si affacciò quel tanto che bastava per vedere il corridoio. Non c’era nessuno, almeno in apparenza. Si tastò le tasche dei pantaloni per controllare se aveva il cellulare e solo allora si ricordò di averlo lasciato in cucina appoggiato sul tavolo. Rimase ferma in ascolto. In quei pochi minuti, che ovviamente le parvero anni, le tornò alla mente uno strano incidente accaduto il giorno prima. Era sola in casa e, mentre stava per mettere il piede sul primo scalino per scendere al piano di sotto, era caduta giù dalle scale. Per fortuna non si era fatta male perché era riuscita a mettere le mani in avanti per attutire il colpo. La cosa strana fu che non le era sembrato di scivolare, ma aveva avuto la sensazione che qualcuno la spingesse alle sue spalle. Però, la casa era completamente vuota per cui era impossibile. Alcuni rumori al piano di sotto la riportarono al presente. Trattenne il respiro, sperando che tutto finisse. Invece, quei passi si fecero sempre più vicini. Strabuzzò gli occhi, quando una voce gridò: «Mamma siamo a casa!». Era il suo bambino che l’aveva raggiunta al piano superiore. Lo abbracciò come se non lo vedesse da tempo e, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, gli disse di andare in bagno a lavarsi le mani e di scendere per il pranzo. Fu solo allora, quando attraversò il corridoio, che vide la grossa impronta nera di uno stivale al centro del pavimento. La guardò con orrore e la superò, promettendosi di ripulirla in seguito. “Dev’essere stato l’operaio...” pensò con poca convinzione, continuando a guardarsi alle spalle. Seduta sul divano c’era Monica, la figlia di Francesco. La osservò mentre scendeva le scale. La ragazzina aveva già tirato fuori dallo zaino alcuni libri e stava leggendo con concentrazione. Rebecca ripensò a quando aveva iniziato a frequentare il suo compagno e a quanto era stata felice di sapere che aveva una figlia femmina. Lei amava il suo


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piccolo Pietro, ma aveva sempre desiderato una femminuccia da poter vestire come una principessa, da aiutare a truccarsi e con cui chiacchierare di gossip. Purtroppo, Monica non era quel tipo di ragazza. Studiava e questo non era un difetto, peccato non facesse altro. Tutto ciò, secondo Rebecca, non era normale a sedici anni. Non si prendeva cura di se stessa in alcun modo, anzi sembrava far l’esatto opposto per dispetto. Monica non aveva accettato la separazione dei genitori e ancora meno la nuova compagna del padre. La odiava e faceva di tutto per dimostrare il suo rancore. La madre di Monica, per motivi lavorativi, non aveva potuto tenere la figlia con sé e quindi la ragazza aveva dovuto per forza andare a vivere con il padre. «Vieni a tavola, il pranzo è pronto» le disse, abbozzando un sorriso. La ragazza lasciò il libro aperto sul sofà e andò in cucina. «Speravo avessi preparato qualcosa di diverso rispetto alla solita insalata mista…» borbottò, guardando avvilita il tavolo. «Mangia che ti fa bene, ci sono tutti i macronutrienti necessari per la tua dieta: carboidrati, proteine e fibre». Rebecca ci teneva molto alla forma fisica, infatti gli unici libri che leggeva con entusiasmo erano quelli legati alla nutrizione. Era stata lei a far scoprire a quella famiglia e a far assaggiare per la prima volta cerali come il farro e l’orzo. Al contrario, Pietro era abituato a quell’alimentazione sana e, anche se aveva appena compiuto dodici anni, mangiava tutto con gusto. Monica guardò con aria schifata madre e figlio, giocherellò per un paio di minuti con la forchetta, poi andò a prendere in dispensa alcune merendine e, senza dire nulla, si diresse verso la sala per tornare a studiare. «Ti fanno male, vieni a mangiare con noi» la rimproverò Rebecca. «Non sei mica mia madre! Non puoi dirmi cosa devo fare!» sbottò la ragazza, senza nemmeno voltarsi. La donna contò fino a dieci prima di aprire bocca, proprio come le aveva consigliato il suo compagno. Il suo istinto le diceva di non farsi trattare così da una ragazzina, ma sapeva che iniziare una discussione avrebbe solo peggiorato le cose. Quindi, bevve un sorso d’acqua e non replicò nulla.


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“Come dice Francesco devo solo darle tempo… si abituerà al cambiamento” pensò, chiudendo gli occhi per non cedere al suo istinto di andare a sgridarla per bene. *** Rebecca aveva appena steso il tappetino da yoga in sala e stava per iniziare la sua solita sessione di allenamento, quando sentì aprire il cancello. Si affacciò e vide Francesco. «Sei tornato prima del solito!» lo accolse calorosamente, iniziando ad abbracciarlo e a baciarlo. Il compagno le sorrise e si lasciò coccolare. «Sì, proprio così! Ho letto il messaggio in cui mi dicevi che volevi raccontarmi alcune cose. Com’è andata la giornata?» le chiese, posando la giacca e dirigendosi verso la macchinetta del caffè. «Sì, mi sono presa davvero un bello spavento!» replicò lei, porgendogli una cialda, «Stamattina, quando ero sola, ho sentito dei rumori. Ero certa ci fosse qualcuno in casa. Per fortuna, sono arrivati i ragazzi ed è stato in quel momento che mi sono accorta della strana impronta di uno stivale in corridoio. Deve averla lasciata l’operaio di questa mattina. Non ci sono altre spiegazioni, ma sul momento mi è preso un colpo!» e ridacchiò, sentendosi una stupida a riferirgli un fatto così sciocco. «Ti sei solo fatta influenzare dalle cornacchie!» questo era il soprannome che Francesco aveva assegnato alle loro vicine. Rebecca lo guardò intensamente per alcuni istanti. Era diverso dal solito, sfuggente e di poche parole. «Ti volevo anche parlare di Monica» iniziò a dire, optando per una voce calma e delicata, «Oggi si è rifiutata di mangiare quello che avevo preparato e mi ha anche risposto in modo molto maleducato. Non so più cosa fare con lei». «È solo un’adolescente che non ha accettato la separazione dei genitori. Devi darle tempo!». «Be', di tempo mi sembra di avergliene dato abbastanza!» esclamò Rebecca, stizzita, perdendo in un’unica botta tutta la pazienza. Intanto, il compagno si era seduto al tavolo e stava bevendo il caffè. «Non ti preoccupare, dopo provo a parlarle io, sai che con me è più ragionevole» la rincuorò, puntandola con i suoi caldi e dolci occhi color ambra.


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«Grazie» mormorò lei, baciandolo sul collo. «Sono tornato a casa in anticipo per un motivo» disse, tenendo lo sguardo basso e allontanando la compagna, «Gabriele mi ha…». Non gli fu possibile proseguire perché Rebecca, udendo quel nome, cambiò espressione e divenne paonazza in volto. Aveva capito cosa stava per dirle. «Ne abbiamo già discusso. Non lo voglio qui! E spero per te, che tu non gli abbia detto il contrario!» gridò, furibonda. «È mio fratello… non posso lasciarlo in mezzo a una strada» rispose Francesco che, forse per contrasto, aveva abbassato ulteriormente il tono della sua voce. «Invece puoi, visto che lui si permette sempre di prenderti in giro e di sminuirti. Perché, per una volta, non ti ribelli e lo lasci cuocere nel suo brodo?». Francesco rimase, come al solito, in silenzio. La sua compagna aveva perfettamente ragione e lui lo sapeva, ma non aveva la forza di opporsi a suo fratello. Rebecca lo scrutò con occhi torvi. «Stasera dormirai sul divano!» sentenziò, allontanandosi per tornare a fare yoga e facendo finta che il compagno si fosse appena volatilizzato nel nulla. Francesco non finì nemmeno di bere il caffè e tentò in vari modi di attirare l’attenzione della fidanzata, ma lei non ne voleva proprio sapere. Sconsolato e affranto salì per le scale, sperando che Rebecca lo fermasse. Purtroppo non accadde. Gli pareva di essere diviso fra due fuochi. Era d’accordo con Rebecca sul fatto che Gabriele non si comportasse nel modo giusto, ma non poteva di certo voltare le spalle a suo fratello. Sì, stava facendo la cosa giusta e, prima o poi, Rebecca avrebbe dovuto capirlo. Bussò delicatamente alla porta della figlia. «Ah, sei tu papà, vieni!» lo accolse Monica, che, data l’ora aveva creduto fosse Rebecca. La ragazza era seduta alla scrivania e stava studiando per il compito del giorno seguente. «Cosa stai preparando?» le chiese, sedendosi accanto a lei. «Scienze per la verifica di domani. Ci fanno studiare tutte le piante. È davvero interessante. Molte le abbiamo proprio nel nostro giardino e alcune di esse sono addirittura velenose» spiegò, sorridendogli. Quando parlava con il padre, il volto le si illuminava di gioia.


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«Dobbiamo fare un discorso» rispose, come se non avesse nemmeno sentito quello che la figlia gli aveva appena detto, «Rebecca mi ha detto che avete avuto nuovamente dei problemi. Sei una ragazza intelligente, perché non cerchi di andarle incontro?» chiese il padre, andando dritto al sodo. Il viso di Monica cambiò espressione in modo drastico e il sorriso le morì sulle labbra. Doveva aspettarselo che fosse venuto da lei per parlare di quella. Ormai esisteva solo Rebecca! Amava suo padre, ma proprio non riusciva a perdonarlo per aver scelto di distruggere la sua famiglia. «Quella non la voglio nella mia vita! Non è nessuno per me! Rivoglio la mia famiglia!» sbottò la ragazza in preda a una vera crisi isterica, iniziando a piangere e a disperarsi. «Calmati, non è il caso di fare questa scena. Ne abbiamo già parlato. Tua madre e io non andavamo più d’accordo». «Non è vero. Nessuno me lo vuole dire, ma so cosa le hai fatto. L’hai tradita con quella poco di buono!» gridò in modo che anche Rebecca, al piano di sotto, potesse sentirla. Dopo aver strizzato gli occhi, rossi per l’ira, aggiunse: «Vorrei che quella donna sparisse dal pianeta, che morisse in questo preciso momento, almeno potrei essere di nuovo felice!» ansimava, come se avesse fatto uno sforzo enorme. Francesco, incredulo che la figlia potesse spingersi a tanto, senza pensarci, le diede uno schiaffo. Si pentì subito di quel gesto tanto avventato, ma ormai era troppo tardi. Monica, fuori di sé, con le guance arrossate per il pianto e per il ceffone, prese di corsa lo zaino, scese al piano sottostante e, gridando a Rebecca: «Ora sarai contenta!», uscì e si allontanò sulla sua bicicletta. Francesco dal balcone le urlò di tornare a casa, ma fu tutto inutile. L’uomo rientrò e sedette sul letto della figlia. Nascose la testa fra le mani e trattenne un grido di disperazione. Anche Beatrice era sul balcone a innaffiare i suoi magnifici gerani e da lì non solo aveva potuto assistere allo spettacolo della fuga della ragazzina, ma aveva anche potuto ascoltare la conversazione tra padre e figlia. L’anziana non poteva prevedere che, proprio mentre tagliava le erbacce, quella sera avrebbe assistito a un altro interessante spettacolo. Criticava spesso i nuovi vicini ma doveva ammettere che, da quando erano arrivati, le sue giornate erano diventate molto più emozionanti.


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*** Poco prima di cena, Gabriele si presentò con due grosse valigie fuori dal cancello. Fu Francesco ad andargli incontro per aiutarlo. La vicina di casa non poteva credere ai suoi occhi. “Ne sentiremo delle belle!” pensò, cercando di spostare alcune foglie della siepe per studiare le loro mosse. In quel momento, Rebecca uscì in giardino. Indossava un abito nero e un paio di tacchi vertiginosi. «Cara, dove vai?» le domandò Francesco, lasciando cadere le valigie. «Ceno con una mia amica. Voi ordinatevi delle pizze. Non ti preoccupare per Pietro, gli ho già dato da mangiare» rispose, gelida. «Pensavo ti fossi agghindata per me!» esclamò Gabriele, esaminando l’intera figura con occhi bramosi. Rebecca scosse il capo e guardò con disgusto il compagno. «Ti ho lasciato un paio di lenzuola sul divano» disse, prima di allontanarsi. Gabriele si voltò per ammirare il suo fondoschiena sculettante. Era davvero una donna attraente. «Forza, entra» lo incoraggiò il fratello. Beatrice lasciò le cesoie sul tavolino in giardino e salì di corsa verso il balcone del primo piano. Sperava di poter sentire ancora qualcosa. Fu di nuovo fortunata. I due uomini erano nella camera degli ospiti, la futura stanza di Gabriele, e stavano parlando di fronte alla finestra aperta. Francesco stava spiegando al fratello che Rebecca non accettava la sua presenza in casa e che, se voleva continuare a restare lì, doveva darsi una calmata ed evitare le solite battute infelici, oltre a certi sguardi. Gabriele, invece di ascoltarlo, cercava di sdrammatizzare e non si fece scrupoli ad approfittare del loro litigio per tentare di convincerlo ancora a lasciare quella donna. «Non hai bisogno di lei. Pensa a come staresti bene da solo con me. Noi due in questa casa. Hai fatto già un grosso errore a sposarti con la madre di Monica, non commetterlo una seconda volta!». «Non ho intenzione di sposarla, non è conveniente» rispose Francesco. «Finalmente ti sento ragionare come si deve! Lasciala, dammi retta!». «No, questo non posso proprio farlo» replicò Francesco, con una tale decisione da ammutolire Gabriele.


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Beatrice rimase appostata ancora un po’, ma i due fratelli dovevano essersi allontanati. L’anziana, come se fosse improvvisamente ringiovanita, scese le scale a capofitto. Nessuno dei suoi nipoti avrebbe potuto riconoscerla in quel momento, mentre sgambettava e teneva ben fermo il cappellino di paglia che soleva indossare. Si precipitò in giardino, sperando che Francesco e Gabriele fossero tornati lì. Il silenzio, rotto unicamente dal frinire di grilli e cicale, fu l’unica cosa che Beatrice poté udire.


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CAPITOLO III

Rebecca aveva dovuto accettare la presenza di Gabriele in casa, ma non perdeva occasione per discutere con lui. Per la gioia di Beatrice, in certi momenti le urla erano talmente alte che arrivavano in modo nitido fino alle sue orecchie, sempre pronte ad ascoltare tutto. Inaspettatamente, la situazione aveva pure un risvolto positivo, infatti, anche se Rebecca non l’avrebbe mai ammesso a nessuno, nemmeno a se stessa, la presenza di un uomo la rincuorava. Il compagno e i ragazzi uscivano la mattina presto e tornavano solo nel pomeriggio o, peggio ancora, in serata e negli ultimi periodi in casa si erano verificati numerosi fatti insoliti che avevano allarmato la donna. Anche quella notte era accaduto qualcosa che le aveva fatto gelare il sangue nelle vene. A questo si aggiungevano i continui avvertimenti di Margherita che, divenuti sempre più insistenti, avevano iniziato a insinuarsi nella sua mente e a formare radici sempre più forti. «Ne sei proprio sicura?» le chiese Francesco, mentre spalmava la marmellata sulla fetta biscottata e controllava rapidamente l’ora per accertarsi di non essere in ritardo. «Certo, per chi mi hai presa?» ribatté Rebecca, lasciando il cucchiaio colmo di macedonia fermo a mezz’aria. «Questa notte è entrato qualcuno in casa! Ho sentito dei rumori e, quando sono scesa al piano di sotto, ho trovato la porta aperta». «Cara, ti rendi conto che è impossibile? Abbiamo fatto sostituire tutte le serrature. E, poi, chi si prenderebbe la briga di entrare in una casa senza rubare nulla? Sono certo che si tratti solo di una nostra dimenticanza». Francesco non la stava prendendo sul serio e, mentre sollevava quei dubbi leciti, le accarezzava la mano. All’altro lato del tavolo Monica continuava ad alzare gli occhi al cielo, a borbottare quanto fosse sciocca quella donna e a domandarsi come avesse fatto suo padre a innamorarsi di una così. Al contrario, Pietro cercava di captare le parole della madre che, per non spaventarlo, parlava a bassa voce.


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«Mamma, la prossima volta vieni da me. Ti proteggerò io!» esclamò il ragazzino, non appena ebbe capito il discorso. Il volto della madre si illuminò. Gli sorrise dolcemente e, accarezzandogli la guancia, lo ringraziò. Ogni volta in cui Monica assisteva a quelle scene così smielate, avvertiva una fortissima sensazione di nausea: non sopportava quel ragazzino perennemente attaccato alle gonne della madre. Era sempre pronto a difenderla, a bisbigliarle dolci parole all’orecchio, a richiedere attenzioni e a dirle che per lei, ‘per la sua mammina’, avrebbe fatto di tutto. “Sarebbe bello separarli!” pensò malignamente, mentre gli occhi le scintillavano. Poco dopo Gabriele li raggiunse. Visto che non aveva ancora trovato un’occupazione stabile, tutte le mattine se la prendeva comoda. Trascorreva ore in bagno per imbellettarsi, peggio di una donna: capelli fonati, accessori vari rigorosamente abbinati fra loro e profumo in abbondanza. Però, quel giorno, aveva qualcosa di diverso. Rebecca si accorse subito che era troppo serio e che non aveva stampato in faccia il solito sorriso beffardo. Gabriele si accostò al fratello e gli bisbigliò alcune parole all’orecchio. Rebecca si sforzò di capire, ma fu tutto inutile. Allora guardò con aria interrogativa i due uomini che la tranquillizzarono scuotendo il capo e dicendole che non era successo nulla. Gabriele, in silenzio, condusse il fratello nel bagno al piano inferiore. Era il solo a usufruire di quel locale, generalmente riservato agli ospiti. Tutti gli altri adoperavano quello al piano di sopra. «Devi assolutamente vedere una cosa…» sussurrò, aprendo la porta in precedenza chiusa a chiave. Francesco era piuttosto preoccupato, soprattutto perché era strano vedere suo fratello così serio. Entrò nel bagno senza sapere cosa aspettarsi. Vide una scena raccapricciante e, d’istinto, si portò una mano alla bocca. Una coppia di corvi morti, con il collo spezzato, era posizionata al centro della stanza. Si avvicinò con cautela. L’odore era nauseante e sul suo volto l’espressione si trasformava sempre più in disgusto. Si accorse che un foglietto era stato nascosto sotto ai cadaveri dei volatili. Lo raccolse, usando solo la punta delle dita per non toccare i due corvi. Lo aprì e lesse a bassa voce: ‘Disgraziata, se non vuoi fare una brutta fine, te ne devi andare!’.


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Gabriele, fermo alle sue spalle, era riuscito a leggere il messaggio intimidatorio. Entrambi erano impalliditi ed erano rimasti ammutoliti. Francesco lo appallottolò, lo nascose nella tasca dei pantaloni e pregò il fratello di sbarazzarsi dei corvi. «Lo dirai a Rebecca?» gli chiese Gabriele. «Non lo so, non vorrei si spaventasse… se fosse davvero in pericolo? Allora dovrebbe saperlo…» sospirò «Ci devo pensare». «Pensare a cosa?» chiese una voce alle sue spalle. Francesco si voltò e si accorse che Rebecca li aveva seguiti per vedere cosa stava accadendo. Fu in quel momento, quando il compagno si mosse, che la donna scorse la coppia di corvi per terra. Le uscì un urlo improvviso, acuto, colmo di paura. Francesco l’abbracciò subito nel tentativo di farla sentire al sicuro. «Vedi… avevo ragione!» esclamò Rebecca con la voce che tremava. «Su cosa?» domandò Gabriele che non aveva ascoltato la loro conversazione durante la colazione. «Stanotte è entrato qualcuno in casa. Ho sentito dei rumori e ho trovato la porta principale aperta. A meno che… in questa casa non ci sia davvero un fantasma. Margherita mi aveva avvisata» concluse Rebecca, pallida in volto e con gli occhi sbarrati. «Non credo che uno spirito possa aver lasciato anche quel messaggio» considerò Gabriele. La donna chiese spiegazioni con lo sguardo e Francesco non poté far altro che mostrarle il biglietto. Lei lo lesse, gli occhi impauriti, soffermandosi più del necessario su ogni singola lettera e sillabando le parole nella sua mente. Restò un attimo in silenzio, come se il messaggio non le fosse del tutto chiaro o come se avesse avuto un’idea improvvisa. «Chi? Chi potrebbe farmi una cosa del genere?» chiese, rivolgendosi a se stessa, «In casa c’è solo una persona che mi odia, che vuole vedermi morta!» si disse, annuendo in modo deciso per alimentare la sua convinzione e alzando gradualmente la voce. «Non penserai che possa aver fatto una cosa simile?» replicò Francesco, che aveva capito subito a chi si riferiva. Il compagno, leggendo negli occhi di Rebecca il desiderio di agire, l’afferrò per le spalle per evitare che tornasse in cucina come una furia. Ma lei diede un forte scossone e si divincolò dalla sua presa salda.


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Quindi, senza nemmeno ascoltare le proteste del compagno, andò spedita in cucina. Era una donna impulsiva, abituata a seguire l’istinto e, in quell’occasione, diede a tutti la conferma di possedere un carattere indomabile. Si avvicinò a Monica e, spiattellando il foglietto sul tavolo, l’aggredì: «Adesso ragazzina stai davvero esagerando! Volevi spaventarmi? Volevi farmi scappare da questa casa? Mi dispiace per te ma il tuo tentativo è fallito. Sono stata fin troppo buona nei tuoi confronti. Ho avuto anche troppa pazienza con te!». Monica spostò lo sguardo dal foglietto alla faccia di Rebecca un paio di volte. «Non capisco. Non ho fatto nulla» balbettò, visibilmente impaurita. Francesco si mise in mezzo. «Piccola mia, non ti preoccupare. Si tratta solo di un fraintendimento» e, detto questo, allontanò Rebecca. Monica li guardò con uno stupore che parve a tutti autentico. Mentre gli adulti si stavano allontanando, la giovane prese in mano il foglietto che Rebecca aveva abbandonato sul tavolo. Lo lesse con curiosità. Non aveva idea di chi fosse l’autore però, in cuor suo, approvò ogni singola parola. Intanto Francesco aveva accompagnato Rebecca in corridoio. Non era da lui avere quel tipo di reazioni e Rebecca ne fu molto sorpresa. “Magari si infuriasse in questo modo per difendermi!” pensò. «Ora stai esagerando. Non può essere lei. È solo una ragazzina» la rimproverò Francesco, appena furono nascosti dalla parete del corridoio. «Allora, l’unico che può venirmi in mente è tuo fratello» sbottò la compagna, indignata, voltandosi verso Gabriele che li aveva seguiti per tutto il tempo. «Chi? Io?» si difese l’uomo, portandosi le mani al petto. «Certo! Non fai altro che ripetere a tuo fratello quanto stareste bene in questa casa da soli… che è un errore imperdonabile impegnarsi con una donna!». «Ora cerca di calmarti» replicò Francesco «Andremo a fondo e scopriremo chi è il colpevole ma, ti prego, non puntare il dito su nessuno fino a quando non avremo delle prove».


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«Per te è facile parlare in questo modo… in questa casa tutti mi odiano e non ne posso più!» aveva iniziato a piangere e le parole si mischiavano ai singhiozzi e ai lamenti «Qualcuno vuole vedermi diventare pazza! E ci sta riuscendo…» mormorò, portandosi le mani sulla testa, «La cosa peggiore è che tu, Francesco, per tutto questo tempo non mi hai mai creduta, anzi mi hai sempre reputata esagerata». «Ora sei spaventata, è normale. Vedrai che troverò una soluzione» la rincuorò. Se pochi minuti prima Francesco avrebbe preso volentieri a schiaffi la compagna, adesso si sentì in colpa per essere stato così severo. Troppo spesso dimenticava la loro differenza di età e anche il fatto che Rebecca fosse molto più debole di quanto volesse ammettere. *** Su consiglio del fratello, Francesco aveva reputato opportuno fissare un appuntamento da un investigatore privato. Temeva che rivolgersi alle istituzioni pubbliche sarebbe stato inutile, infatti i Carabinieri, in assenza di prove tangibili, avrebbero potuto fare ben poco. Quindi si recò dal migliore detective d’Italia, o almeno questo era quello che aveva appreso dai giornali. «Non so se lei si occupa di casi come il mio» iniziò, dopo essersi accomodato in un elegante e accogliente studio sito in via Leon Pancaldo a Savona. «Non si preoccupi. Lei adesso pensi solamente a illustrarmi i fatti» rispose Carlos Ruggieri, accarezzandosi la folta barba nera. Seduta alla sua scrivania, Sabrina era pronta per annotare le informazioni sul solito libriccino. Carlos era ossessionato dai piccoli dettagli e, per questo motivo, durante le indagini, era solito leggere e rileggere le deposizioni che la sua assistente doveva riportare in modo dettagliato, senza tralasciare il minimo particolare. Sabrina era alquanto incuriosita da quel nuovo cliente e si era incantata a guardarlo. I capelli castani erano stati pettinati in modo preciso e questo le diede l’idea di una persona ordinata e pulita. Anche l’abbigliamento, dalle linee semplici e curate, accrebbe la sua prima impressione. Aveva gli occhi di uno strano colore, simile all’ambra. Sul mento e sulle guance spuntava un accenno di barba, leggermente rossiccia, che in confronto a quella foltissima di Carlos era quasi


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impercettibile. Nel complesso pensò che si trattasse di un uomo semplice, pacifico, disposto a cambiare opinione pur di evitare una discussione. Doveva essere abile a capire gli altri e a prevedere le loro mosse. Questo l’aveva compreso da come aveva parlato con loro, senza sbilanciarsi e tastando con calma il terreno. «Qualcuno sta cercando di spaventare mia moglie e vorrei che lei riuscisse a scoprire di chi si tratta» rispose Francesco, poi fece una brevissima pausa per studiare la reazione di Carlos, «Da quando ci siamo trasferiti stanno capitando molti, direi troppi, fatti insoliti. Dapprima non avevo dato peso alla questione, avevo creduto che la mia compagna si fosse fatta influenzare ma, dopo i corvi, ho capito che qualcosa non andava!». «I corvi?» domandò Ruggieri, stranito. «Sì, mi perdoni, sono un po’ agitato e parlo senza riflettere. Deve sapere che, alcuni giorni fa, abbiamo trovato nel bagno della nostra casa una coppia di corvi morti e un messaggio intimidatorio» spiegò il cliente, socchiudendo leggermente gli occhi alla parola corvi. Sabrina notò che lo sguardo di Carlos era cambiato. Quando si interessava a un caso, i suoi occhi divenivano di un azzurro gelido e tutta la sua figura si faceva più rigida e seria. «Le sarei grato se mi raccontasse tutto in ordine cronologico, è molto importante» lo esortò l’investigatore. Subito dopo, giunse le mani fra loro e abbassò le palpebre. Francesco non reputò strana la richiesta dell’investigatore, ma giudicò particolare la sua reazione. Pareva quasi dormire. Quindi si voltò verso Sabrina che, accennando un sorriso, sussurrò: «Non si preoccupi, fa sempre così. Lo aiuta a riflettere» e le scappò un risolino perché nemmeno lei, dopo anni di collaborazioni, si era ancora abituata ai metodi di Carlos. A quel punto, Francesco con un pizzico di perplessità iniziò a raccontare: «La mia compagna e io ci siamo trasferiti da quasi due mesi in una villetta a schiera, qui a Savona. Desideravamo comprare casa e abbiamo trovato una vera e propria occasione. Fin da subito, alcuni vicini hanno iniziato a raccontare a Rebecca, questo è il nome della mia compagna, delle storie inquietanti su quella casa. Le dicevano che lì viveva il fantasma di una donna tradita e cose di questo tipo. Rebecca non è assolutamente il tipo di donna che crede a queste sciocchezze»


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sospirò e scosse il capo. «Proprio per questo avrei dovuto capire prima che i suoi timori erano fondati» si rimproverò. «Quindi sono capitati altri episodi oltre a quello dei corvi?» domandò Ruggieri, senza muoversi di un millimetro. «Sì, Rebecca mi ha raccontato altri fatti strani, ma non mi era sembrato nulla di particolare» scosse ancora una volta il capo con decisione. «Durante i lavori di ristrutturazione sono spariti numerosi oggetti, alcuni anche di valore. All’epoca avevo pensato che fossero andati semplicemente persi o che qualche operaio avesse allungato le mani. Sono cose che capitano durante un trasloco. Altre volte la mia compagna mi ha raccontato di aver trovato un vestito spostato o un piatto in una posizione diversa da quella in cui l’aveva lasciato. Anche in quei casi, ho creduto che fosse lei a confondersi visto che ci eravamo trasferiti da poco tempo e la casa è spaziosa» continuava a ribadire quanto fosse stato superficiale, era evidente che il suo senso di colpa era molto grande. «Un giorno mi ha perfino raccontato che era caduta dalle scale e che le era parso che qualcuno l’avesse spinta. Ma la casa era vuota quindi non ho avuto il minimo dubbio che si fosse sbagliata» si fermò per respirare, aveva parlato troppo in fretta. «Però, la cosa più grave è accaduta tre giorni fa: Rebecca mi aveva raccontato di aver sentito dei rumori nella notte e di aver trovato la porta principale aperta. Ho pensato che fossero stati i ragazzi a dimenticarla socchiusa la sera precedente ma, poi, mio fratello ha trovato quei corvi morti in bagno ed è stato allora che ho collegato tutto. Qualcuno doveva essere entrato per lasciarle quel terribile messaggio con l’intento di spaventarla». «Cosa c’era scritto sul biglietto?». Francesco tenne le palpebre chiuse un po’ più a lungo. Gli faceva male ricordare. «Disgraziata, se non vuoi fare una brutta fine, te ne devi andare!» ripeté a denti stretti quella frase che aveva subito memorizzato. «Ha con sé il biglietto?» chiese Carlos, ancora immerso nel suo stato di apparente trance. «No, purtroppo no. L’avevo messo nella tasca dei pantaloni e poi… devo averlo perso o buttato per errore» ammise, sconsolato. Ruggieri sollevò di qualche millimetro le palpebre e fissò il volto del cliente. Poi, richiuse gli occhi e proseguì, con il solito tono da cui era impossibile capire i suoi pensieri. «Si ricorda almeno se era stato scritto a mano o a computer?».


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«Certo, lo ricordo eccome! Ce l’ho ben stampato nella memoria. Era stato scritto a mano, ma l’autore deve aver tentato di camuffare la grafia, perché aveva qualcosa di innaturale e meccanico» si diede un colpetto alla testa. «Se non l’avessi perso, forse avremmo potuto risalire all’autore del crimine grazie alla sua scrittura!» si lamentò. A Sabrina quella voce pareva davvero preoccupata e dispiaciuta. «Da quanto mi ha raccontato non vivete da soli. Avete dei figli?» indagò Ruggieri. Francesco si sentì alleggerito da quella domanda. Era molto più semplice parlare dei suoi affetti più cari che di quei terribili episodi. «Sì, vive con noi mia figlia, avuta dal mio precedente matrimonio. Si chiama Monica e ha sedici anni. Poi, c’è Pietro, il figlio di dodici anni della mia compagna. E, momentaneamente, anche mio fratello Gabriele sta alloggiando da noi». Sabrina alzò un attimo gli occhi dal foglio e vide che il volto del cliente aveva preso un po’ di colore. «Andate tutti d’accordo?». La domanda di Ruggieri riportò la pelle di Francesco al pallore iniziale. Era stato uno sciocco a pensare che l’investigatore non gli rivolgesse un simile quesito. Era logico che sospettasse di uno di loro. Perché non ci aveva pensato? «Be', diciamo di sì». Si mantenne sul vago. «Ci sono alcuni attriti, ma nulla di particolare o strano. Siamo una famiglia allargata e reputo assolutamente normale avere delle incomprensioni» parlò per la prima volta senza le solite interruzioni. «Si fidi di me, il colpevole è da ricercare al di fuori della mia famiglia. Si tratterà di qualche vicino pazzo e invidioso» concluse, mentre manteneva fisso lo sguardo sul volto dell’investigatore. In quel momento, Carlos aprì di scatto gli occhi. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO I ................................................................................ 5 CAPITOLO II ............................................................................. 15 CAPITOLO III ............................................................................ 23 CAPITOLO IV ........................................................................... 31 CAPITOLO V ............................................................................. 41 CAPITOLO VI ........................................................................... 46 CAPITOLO VII .......................................................................... 55 CAPITOLO VIII ......................................................................... 66 CAPITOLO IX ........................................................................... 75 CAPITOLO X ............................................................................. 88 CAPITOLO XI ........................................................................... 98 CAPITOLO XII ........................................................................ 106 CAPITOLO XIII ....................................................................... 114 CAPITOLO XIV....................................................................... 121 CAPITOLO XV ........................................................................ 133 CAPITOLO XVI....................................................................... 139 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 151


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