In uscita il 30/4/2018 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine aprile e inizio maggio 2018 ( ,99 euro)
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LARA ROMA
LA REGINA DEGLI INCANTI
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni
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LA REGINA DEGLI INCANTI Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-198-3 Copertina: illustrazioni di Ilaria Ciummei
Prima edizione Aprile 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Sono come la pianta che cresce sulla nuda roccia: quanto piĂš mi sferza il vento tanto piĂš affondo le mie radici (proverbio indiano)
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ANIMA RIBELLE
Il vento spazzava delicatamente le foglie nel piccolo prato e i rami degli aceri secolari ondeggiavano, con leggeri fremiti, nella brezza pomeridiana. Syria guardava il mondo fuori dalla finestra della sua camera e le sembrava tutto così pulsante e così colorato, in confronto al desolante grigiore della sua esistenza. “Isma e le sue amiche saranno già in marcia, ormai” pensò con cupa rassegnazione. Sua madre non le aveva consentito di unirsi a loro nel breve viaggio verso la Festa di Primavera. Aveva provato in tutti i modi a convincerla, ma non c’era stato niente da fare! Aveva resistito ai musi lunghi, alle sfuriate, al silenzio e perfino allo sciopero della fame! Per tutta la settimana Syria si era data da fare, sfoderando l’intero repertorio, ma lei non aveva ceduto. Certamente una ragazza del suo lignaggio non poteva partecipare ai festeggiamenti, questo lo sapeva; però sperava, con tutto il cuore, che le permettesse almeno di vedere di cosa si trattasse! Se solo suo fratello Siorn non fosse stato impegnato nel rito di passaggio, avrebbe certamente acconsentito ad accompagnarla e sua madre, quella testarda, avrebbe capitolato! Gli occhi le si velarono di lacrime: era prigioniera di quella casa, di quella famiglia, del suo destino segnato e ineluttabile. Il suo diciottesimo compleanno era alle porte e suo padre avrebbe, a breve, scelto il suo sposo! Le coetanee della sua casta, erano già quasi tutte promesse e lei era spaventatissima al pensiero di unirsi con un uomo che non le piacesse. E se fosse stato come suo padre? Tremò al pensiero. Era così stanca di doveri e buone maniere, e guardava al mondo dei Paria con enorme invidia. Le ragazze del ceto più basso non avevano bei vestiti, ma potevano girare indisturbate per le vie della città, esplorando perfino i sobborghi
6 meridionali, senza paura di essere rapinate o importunate. I loro genitori non erano ossessionati dall’educazione: non pretendevano che dedicassero lunghe ore allo studio del cerimoniale, della gestione domestica e, persino, della matematica e della storia! Sospirò. Entro poche ore il bosco si sarebbe illuminato di torce e lanterne colorate e i musicanti avrebbero intonato le allegre ballate tradizionali. I ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne, tutti quanti, avrebbero danzato senza sosta fino all’alba. I cespugli si sarebbero animati di bisbigli e di sospiri e il popolo di Guendar avrebbe onorato la primavera nel modo in cui la natura stessa più ama essere onorata. Syria non ci era mai stata, ovviamente, ma, come tutte le ragazze che ne erano escluse, aveva atteso con ansia di ascoltare i resoconti scandalizzati che ne facevano, all’indomani, sua madre e le altre donne della sua casta. Via via che si faceva più grande, non le era sfuggito il pizzico di lussuria che incrinava a volte la voce delle adulte, mentre, col naso arricciato, si spronavano l’un l’altra a fornire i particolari più scabrosi. Le ragazze, nascoste dietro le porte chiuse, ascoltavano con il cuore che batteva a mille, bevendo con bramosia ogni singola goccia di quei racconti di perdizione e di peccato; sognando, non di rado, di esserne esse stesse le protagoniste. Syria lanciò un ultimo sguardo attraverso il vetro: il sole, ormai prossimo al tramonto, gettava una luce appena aranciata sul piccolo prato. La finestra si trovava poco più in alto. “Forse solo un metro” calcolò. “Se solo avessi il coraggio di Isma”, pensò rammaricandosi, “ci metterei un istante a saltare fuori da questa prigione!” Si voltò di scatto, tirando un calcio all’aria con un gesto di stizza; l’ampia gonna del suo vestito frusciò dolcemente frenandone l’impeto. La osservò, lasciandosi trasportare dall’immaginazione. Vide sé stessa, dimentica dei suoi doveri e del suo stato, ridere a crepapelle, mentre, trasportata da una musica sfrenata, roteava leggiadra tra le braccia di un muscoloso giovanotto. Poi si fermò, osservando la sua immagine riflessa nello specchio: il delicato abito primaverile del cotone più pregiato era decorato con preziosi ricami, realizzati a mano con filo d’argento. Chi voleva prendere in giro?
7 Lei non era una Paria, era una Alta, la casta più importante di Guendar e non sarebbe mai passata inosservata, né alla festa di Primavera né in nessun altro luogo. La tristezza prese il sopravvento, le lacrime le inondarono le guance e quell’immagine nello specchio le divenne insopportabile. Si buttò sul letto, singhiozzando disperata. Si dimenticò delle buone maniere, dei suoi doveri, si dimenticò di tutto e lasciò che la tristezza la travolgesse. *** Glynn osservava il micino rincorrere il gomitolo di lana rossa che aveva rubato dal suo cesto di lavoro. Palla di Pelo, come lo chiamava suo marito Orbiz, era entrato nelle loro vite da poco più di un mese e già aveva preso possesso della casa, deliziando, con agili balzi e corse rocambolesche, la sua famiglia e la servitù. Perfino la burbera Nina gli teneva sempre da parte qualche gustoso boccone. Osservò con aria critica il lavoro all’uncinetto che teneva tra le mani: nell’ultima riga aveva sbagliato la sequenza dei punti e, a guardare bene, anche la penultima sembrava non corretta. Gettò il lavoro nel cestino sbuffando. La litigata con sua figlia Syria l’aveva messa di pessimo umore! Era tutta la settimana che teneva testa ai suoi capricci e aveva ormai esaurito la pazienza! Si alzò, inquieta. Per qualche istante si fermò a contemplare il paesaggio in lontananza: le dolci colline tondeggianti e, subito dietro, il monumentale monte Arba, dove suo figlio Siorn stava completando il rito di passaggio. Le sfuggì un sospiro. Quello di madre era un compito ingrato! Con il primo figlio era stato tutto più semplice: forse perché era un maschio, forse perché aveva ereditato dal padre il carattere austero, forse perché era sempre stato, in fondo, un piccolo adulto. Non aveva avuto alcuna crisi adolescenziale, nessun moto di ribellione, neppure il più piccolo screzio. Soprattutto, non aveva mai messo in discussione i doveri del suo rango e non aveva mai deluso le aspettative. Syria, invece…
8 Quella creatura era stata da sempre un’indomabile ribelle! Da piccola correva come un furetto per tutta la casa, infilandosi sotto le gonne delle serve e, pittosto che intrattenersi con le bambole, preferiva giocare con i sassi e la terra, nel giardino. Non c’era verso di acconciarle i riccioli biondi, e quei codini stretti che raramente riusciva a farle duravano il tempo di un battito di ciglia. Sospirò di nuovo. Il sole stava tramontando e fra poco la notte più folle dell’anno sarebbe iniziata. Syria ce l’aveva messa proprio tutta, ma lei naturalmente non aveva ceduto: mai e poi mai avrebbe lasciato che la sua bambina assistesse a qull’orgia infame di bruti senza dignità e senza onore! Le guance le si infiammarono per lo sdegno. Era già così imbarazzante che sua figlia, la rampolla di una delle famiglie più importanti di Guendar, avesse fatto amicizia con una ragazza del volgo. Scosse la testa con decisione, scacciando il pensiero. “Quel maledetto Alzar e il suo ‘programma d’integrazione’!”, pensò con stizza. Nell’ultimo anno, per ordine del Consigliere Supremo, tutte le diciassettenni di qualsiasi casta avevano dovuto partecipare alle attività comuni che si tenevano, una volta al mese, nella Casa Centrale. C’era da aspettarselo che Syria avrebbe familiarizzato con qualche ragazza di casta inferiore, ma addirittura una Paria! Era inaccettabile! Glynn era riuscita a tenerlo nascosto a suo marito, confidando solo mezze verità e contando sul fatto che una simile opportunità non avrebbe nemmeno sfiorato la mente di Orbiz. Così era stato, e tutto era andato liscio, fino a che Syria si era messa a fare il diavolo a quattro per quella stupida festa! Si era rinchiusa nella sua stanza arrivando, persino, a rifiutare il cibo! Suo padre si era così arrabbiato, che le aveva proibito di uscire di casa e aveva preteso che venisse sorvegliata giorno e notte. Quella testona! Con il suo comportamento indisciplinato aveva reso la vita impossibile a tutti! Uscì dalla stanza e si diresse decisa verso la camera della figlia. Accanto alla porta trovò la guardia che, appena la vide, scattò sull’attenti. «Ha pianto molto?» chiese Glynn sottovoce.
9 «Fino a poco tempo fa, ma ora è tranquilla», rispose l’uomo. Glynn sospirò, abbattuta. Spinse piano la porta di legno brunito e sbirciò all’interno. La stanza era avvolta dall’oscurità: i pesanti tendoni di broccato erano tirati e sua figlia era immobile, appallottolata nel letto, con le coperte fin sopra la testa. “Avrà pianto fino a sfinirsi! La lascerò dormire ancora un po’, prima che torni suo padre”, pensò con un misto di pena e irritazione. Fece per richiudere la porta, quando un movimentò attirò la sua attenzione. Rimase per un istante a fissare la finestra, poi un colpo di vento scosse leggermente le tende. La finestra era aperta. Un piccolo brivido le percorse la schiena, quasi un presentimento. Entrò con circospezione. Man mano che si avvicinava, nonostante il buio, si rendeva conto che qualcosa in quel fagotto non andava. Il cuore prese a batterle furiosamente, ma continuò imperterrita. Raggiunse il letto e vi si sedette. Era ormai chiaro che non ci fosse alcun essere vivente sotto quelle coperte, ma sapeva che la guardia la stava osservando e che se avesse intuito la verità avrebbe immediatamente dato l’allarme. “Stupida ragazzina senza testa!” pensò con stizza. Questa volta nessuno avrebbe potuto salvarla dalla furia del capo famiglia! Orbiz avrebbe avuto la prova che i metodi “liberali”, come li chiamava lui, che lei stava usando con Syria fossero inadeguati. Avrebbe, alla fine, applicato la sua politica del “pugno di ferro”, fatta di castighi, intimidazioni e punizioni corporali. Cosa ne sarebbe stato di Syria nelle sue mani? Avrebbe di certo perso il suo entusiasmo, la sua freschezza, la sua energia! Ricordò la sua adolescenza e i maltrattamenti ricevuti in nome della buona educazione. Sentì un brivido lungo la schiena. Non poteva permetterlo! Appoggiò lentamente una mano sul fagotto. I cuscini di piuma d’oca che lo formavano cedettero più di quanto si aspettasse. «Syria, devi alzarti, fra poco arriverà tuo padre», disse con un filo di voce. «Sii ragionevole!» finse di insistere. Si voltò verso la porta sospirando.
10 La guardia distolse subito lo sguardo. Glynn approfittò della sua momentanea distrazione per alzarsi e uscire con passo deciso. Chiuse la porta, con forza, dietro di sé. «Testarda come un mulo! Se non vuole alzarsi, che non mangi per un giorno intero!» esclamò ad alta voce. «Uscirà dalla sua stanza solo per accogliere suo padre, poi vi ritornerà immediatamente! Nessuno potrà farle visita o portarle del cibo; ne risponderai personalmente!» ordinò poi. L’uomo annuì con decisione, riprendendo il suo posto accanto alla porta. Glynn si allontanò, percorrendo a grandi passi il lungo corridoio fino alla cucina. «Syria non cena!» comunicò alla cuoca che annuì senza commentare; poi si guardò intorno. «Nina, vieni un minuto, ho bisogno di te!» aggiunse. La serva lasciò immediatamente la sua occupazione e le volò accanto. Glynn chiuse la porta e si diresse in silenzio verso la sala da pranzo, la oltrepassò e uscì, attraverso il patio, in giardino. Fece alcuni passi lungo il vialetto e poi, quando fu certa che nessuno potesse sentirla, si fermò. «Syria è scappata!» le disse semplicemente. «È uscita di nascosto dalla finestra. Sarà di certo andata a quella maledetta festa!» Nina si mise una mano sulla bocca, sconcertata. «Se lo scopre il padrone…» riuscì solo a commentare. «Esatto!» confermò Glynn. «Sarebbe meglio che il Maestro non lo venisse a sapere! Di’ a Stefan di andarla a prendere; rientrerà dalla finestra, proprio come è uscita: l’ho lasciata aperta e ho dato ordine che nessuno entri. Se la porta indietro prima che mio marito rincasi, faremo in modo che anche per questa bravata non ci siano conseguenze!» Nina annuì seria e poi si avviò, correndo, verso gli alloggi della servitù. *** Il sole era quasi del tutto tramontato: una palla di fuoco, illuminava l’orizzonte avvolgendo il paesaggio in un caldo abbraccio aranciato. «Notte tiepida e serena!» esclamò il Consigliere Bernt. «Quest’anno i villici avranno una Festa di Primavera con i contro-fiocchi!» continuò menando una gran pacca sulla spalla del suo vicino. I quattro Maestri, Consiglieri di Prima Classe, cavalcavano affiancati lungo la strada del ritorno.
11 Le otto guardie personali, due per ciascuno di loro, li circondavano creando una barriera compatta e impenetrabile. A Orbiz, Bernt non piaceva. Non gli piacevano i suoi modi rozzi, la sua inclinazione al turpiloquio e, soprattutto, non gli piaceva la sua tendenza a lasciarsi sopraffare dagli istinti. Aveva l’abitudine di passare gran parte del suo tempo intrattenendosi con serve e cortigiane, anche in casa d’altri, e pareva che avesse gusti quanto meno originali. Non che ci fosse del biasimo in questo, naturalmente, ma nemmeno onore! Gli uomini, stuzzicati dall’arguzia di Bernt, si lanciarono in commenti sagaci su quanto sarebbe accaduto, a breve, nel bosco poco distante. Per un lungo tratto di strada si intrattennero raccontandosi storielle piccanti e aneddoti divertenti. Nessuno prestò attenzione a Orbiz che se ne stava, come al solito, in disparte, per quanto si potesse in quella formazione compatta, con il muso lungo e la fronte corrucciata. Dal canto suo, il Maestro dei Cinque Incanti avrebbe dato il braccio destro per potere, almeno per una volta, rientrare da solo, ma, purtroppo per lui, l’etichetta prevedeva che al termine dell’incontro mensile i consiglieri rincasassero tutti insieme, terminando i lavori con un momento di convivialità. Orbiz scosse la testa, amareggiato. Molte delle antiche regole, sebbene si impegnasse a rispettarle senza commentare, per lui erano totalmente senza senso! Dopo un’insopportabile lunga ora di viaggio, raggiunsero finalmente il bivio dei quattro Territori e poterono separarsi. Orbiz tirò un sospiro di sollievo e si diresse al piccolo trotto verso casa; anelando più che mai il caldo silenzio della sua dimora. Una delle guardie corse avanti per annunciare l’arrivo del Maestro, in modo che i servi e i famigliari potessero prepararsi adeguatamente ad accoglierlo. Quando il padrone di casa e la sua scorta raggiunsero il cortile d’ingresso, una piccola folla li stava aspettando in gruppi ordinati. In prima fila gli stallieri, poi gli addetti ai paramenti e, a seguire, un certo numero di ancelle con panni caldi, acqua fresca e cibo. Da ultimo, proprio di fronte al portone d’ingresso, attendeva la servitù di alto rango e i membri della famiglia. Orbiz notò subito l’assenza di sua figlia.
12 Scese da cavallo, consegnò le armi e il mantello, ignorò le ancelle e proseguì deciso. Sua moglie e la sua ultimo-genita erano deliziose nei loro abiti primaverili. Orbiz si stupì di come, ogni volta, la bellezza della sua compagna lo lasciasse senza fiato. I capelli color del grano erano intrecciati in una complessa acconciatura, arricchita da piccoli fiori azzurri. Il viso, dai lineamenti delicati, splendeva di un incarnato fresco e rosato nonostante non fosse più giovanissima; ma ciò che più lo colpiva, allora come adesso, erano i suoi occhi. In quell’azzurro intenso ardeva il fuoco di un temperamento indomito e di un’intelligenza brillante e vivace. La piccola Gisel lo salutò con un grazioso inchino. Il suo abitino vaporoso, decorato con piccole rose bianche, frusciò delicatamente. Accanto a lei, Glynn fece altrettanto, muovendosi con grazia e abbassando il capo in segno di rispetto. Orbiz le si parò di fronte. «Dov’è tua figlia?» chiese con piglio deciso. «Ti implora di scusarla, mio Signore, ma si sentiva troppo male per alzarsi.» L’uomo sbuffò, esasperato. «È finito il tempo delle smancierie! Da domani si farà a modo mio!» sentenziò. Glynn annuì abbassando ulterioremente la testa, mentre cercava di tenere a bada i cattivi presentimenti, domandandosi, con ansia crescente, dove fosse sua figlia Syria. *** Orbiz era sparito nelle sue stanze, accompagnato da due delle sue ancelle preferite. Da queste riunioni tornava sempre stanco e irritato e, per riuscire a calmarsi, aveva bisogno di un lungo bagno caldo e di morbidi massaggi con oli profumati. Glynn era in attesa presso il grande tavolo di quercia. Il drappo rosso era apparso sulla maniglia della porta della camera, indicando che il Maestro era pronto e si stava vestendo.
13 Al suo arrivo nella grande sala da pranzo, era consuetudine che trovasse il tavolo apparecchiato, la cena pronta, e il resto della famiglia al proprio posto. Nessuno sapeva quanto potesse essere lunga l’attesa: il padrone di casa poteva cambiare idea in qualsiasi momento, e decidere di trastullarsi nuovamente con le ancelle, o dedicarsi alla lettura o anche schiacciare un pisolino. Alla moglie e ai figli era richiesto di aspettare in piedi dietro alla propria sedia, composti e in silenzio. Per fortuna Orbiz non era solito cambiare i suoi piani e, infatti, qualche minuto dopo, apparve. Glynn e Gisel lo salutarono con un piccolo inchino. Il Maestro dei Cinque Incanti le ignorò e si sedette. Un servitore si avvicinò con un piatto fumante di fagiano arrosto e patate; lo servì con estrema cautela e rimase in attesa alle sue spalle. Orbiz mangiò un boccone di carne e uno di patate; appoggiò le posate e prese il bicchiere, bevve un generoso sorso di vino rosso, poi riprese a mangiare. Solo dopo diverso tempo, quando aveva ormai quasi terminato, fece un gesto con la mano e, finalmente, la sua famiglia poté sedere e partecipare alla cena. Non era un comportamento abituale, ma era arrabbiato per via di Syria, e incolpava Glynn per l’atteggiamento irriverente della figlia. «Quando ero ragazzo», esordì, «nemmeno la febbre gialla mi avrebbe impedito di onorare mio padre al suo arrivo a casa! E io ero un maschio! E primogenito!» esclamò furioso. Glynn abbassò il capo, non osando guardarlo. «Domattina dieci colpi di verga non gliele toglie nessuno! E sarò felice di dargliele personalmente!» concluse. Glynn trasalì, ma non proferì parola. Orbiz, ancora irritato, terminò velocemente il pasto. «Ho finito!» dichiarò. Glynn e sua figlia avevano mangiato solo pochi bocconi, ma si alzarono immediatamente. «Hai bisogno dei miei servigi, mio Signore?» gli chiese. «Avrei davvero voglia di batterti con la frusta, donna incapace!» esclamò lui con cattiveria. «Ma sono troppo stanco, questa sera!» Lasciò la stanza, allontanandosi a grandi passi. I servitori cominciarono a sparecchiare; Gisel guardava con rammarico il piatto ancora pieno: il suo pancino brontolava dalla fame, ma la cena si era conclusa, ovviamente, anche per loro.
14
Glynn osservò il marito scomparire tra i corridoi del palazzo. Più tardi sarebbe andata nelle sue stanze: lui l’avrebbe allontanata, umiliandola, lei avrebbe insistito, pregandolo e implorando il suo perdono e, alla fine, lui avrebbe ceduto. In seguito, tra le lenzuola, si sarebbe preso la sua rivincita, ribadendo la sua autorità su di lei. Questo era il suo dovere di moglie e di madre! Prima, però, doveva parlare con Syria. Come aveva osato essere tanto sfacciata da non presentarsi all’arrivo del Maestro? Come si permetteva di sfidarlo in questo modo? Tremò al pensiero della punizione che lui le avrebbe inferto; lei stessa portava, sulla schiena, le cicatrici di questo tipo di lezione. L’unica possibilità era che andasse dal padre a chiedere pietà per il suo comportamento e, se fosse risultata convincente, avrebbe forse potuto salvarsi, almeno in parte. La piccola Gisel le si gettò addosso stringendola forte alla vita. «Buona notte mammina», salutò. Glynn la abbracciò con calore e la baciò sulla fronte. «Buona notte piccolo fiore, fai tanti bei sogni!» Le tempestò le guance di baci, facendola trillare di gioia, poi la affidò alla tata. Appena sola, si diresse verso la camera di Syria. La guardia alla porta la salutò, scattando sull’attenti. «Mia Signora!» «È tranquilla?» chiese Glynn a bassa voce. «Sì, Milady.» Aprì lentamente la porta decisa a parlar chiaro con sua figlia, una volta per tutte. Il cuore mancò un battito. Richiuse la porta, trattenendo a stento il tremito della mano. «Dorme», commentò. «Che nessuno entri fino a domani!» ordinò infine. «Certo Milady.» Glynn si allontanò in fretta, cercando di mantenere il controllo, ma il cuore le batteva così forte che, per un istante, temette che potesse esploderle in petto. Percorse il corridoio fino alle stanze della servitù, si fermò e batté un colpo secco con le nocche. La porta si aprì immediatamente. Nina aveva lo stesso sguardo cupo e preoccupato della padrona.
15 «Dove sono? Perché non sono ancora tornati?» «Non lo so mia Signora, avrebbero dovuto già essere qui! La signorina Syria si era appena allontanata e Stef corre veoce!» balbettò la governante in preda al panico. Glynn cercò di combattere la nausea e le vertigini che la stavano assalendo e provò, con tutte le forze, a mantenersi lucida. Si guardava intorno, come in cerca di un’idea, tormentandosi ansiosamente le mani. «Cosa faccio… cosa faccio…» ripeteva tra sé e sé. Nina prese un bel respiro. «Mio marito Remian è andato in cerca di entrambi», annunciò poi con voce greve. «Cosa?» domandò Glynn, scioccata. «Come vi siete permessi di prendere questa iniziativa senza prima consultarmi?» Le implicazioni di questo gesto erano molto gravi: si trattava di alto tradimento! Era inammissibile che qualcuno tenesse nascosta una qualsivoglia informazione al padrone di casa. Se il Maestro avesse scoperto la fuga di Syria e tutto quello che era accaduto dopo, a Glynn sarebbero toccate cento frustate, ma Nina, suo figlio e, ora, suo marito, avrebbero pagato con la vita. «Quando è partito?» proseguì addolcendosi. «Non appena il Padrone si è seduto a tavola.» Circa un’ora, calcolò Glynn mentalmente. Guardò la governante: gli occhi infossati e il terrore dipinto sul suo viso. Si sentì terribilmente in colpa. Come aveva potuto essere così stupida da metterla in questa pericolosa situazione, per salvare sua figlia da un destino che le sarebbe toccato, comunque, in sorte! Quanto sarebbe costato preservare, ancora qualche anno, forse qualche mese, quella scintilla di entusiasmo e voglia di vivere che lei stessa aveva perduto, tanto tempo prima? Avrebbe dovuto avvisare la guardia, avrebbe dovuto fare il suo dovere! Aveva voluto agire di testa propria e queste erano le conseguenze: la mente di una donna non era adatta a trovare soluzioni, non era adatta a pensare! Tutto questo ne era la prova! Dietro a Nina, devastata dalla preoccupazione, altre quattro esistenze attendevano che il loro destino si compisse.
16 Se il Padrone avesse scoperto l’intrigo, dopo la morte dei genitori sarebbero stati allontanati, perché si sa che il seme di un cattivo padre alberga dentro la prole! Nessun’altra famiglia li avrebbe mai accolti e sarebbero stati costretti a vivere nei fossi, come topi, rubando, elemosinando e vendendo il loro corpo o morendo di stenti e di malattia. Se Nina non avesse coinvolto il marito, la colpa sarebbe ricaduta solo su di lei e i suoi figli sarebbero stati salvi. “Perché l’ha fatto?” si domandò in preda al panico. “Perché lui ha accettato?” Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Oh Nina! Cosa abbiamo fatto!» esclamò sconvolta. Le donne si abbracciarono piangendo una sulla spalla dell’altra. Andare da Orbiz, ora, sarebbe stato impossibile, e anche tornare nelle sue stanze le risultava difficile. “Al diavolo l’etichetta!” pensò Glynn, trovando una scintilla di ribellione; rimase nell’alloggio di Nina ad aspettare il ritorno di suo marito. Altre due ore passarono con lentezza esasperante, poi, finalmente, la porta si aprì. Tutti saltarono in piedi. Remian, il marito di Nina, entrò a testa bassa, da solo. Appena notò la presenza della padrona, si inginocchiò fino a terra, contrito. Glynn gli corse incontro, sollevandogli il viso con entrambe le mani, per guardarlo negli occhi. Non fu necessario parlare. Le gambe le cedettero e Nina e suo marito l’aiutarono a sedersi. «Mia Signora», esordì Remian, «ho cercato in tutta l’area, per più di due ore, ma non ho trovato nessuna traccia della signorina Syria.» Glynn annuì, mesta. «L’unica soluzione, ora, è dare l’allarme», concluse l’uomo. Non era normale che un servitore si permettesse di dare consigli, ma quella era un’occasione eccezionale. «Vi uccideranno!» esclamò Glynn in preda al panico. «La salvezza della Signorina vale molto più delle nostre povere vite!» replicò Remian. Nina lo guardò implorante. «Ucciderò io stesso i miei figli, per evitare loro una fine peggiore!» continuò, ricambiando lo sguardo accorato della moglie.
17 Glynn si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, stringendosi le braccia al petto. Narrò loro brevemente i fatti: spiegò del fagotto sotto le coperte, di come lei avesse ingannato la guardia, fingendo che sua figlia si trovasse lì sotto e di come il fagotto fosse nello stesso posto quando era passata a trovarla dopo cena. «La seconda volta, non sono entrata nella stanza», spiegò, «potrei farlo ora! Tornerò, mi siederò sul letto e fingerò di scoprire, solo in quel momento, l’assenza di mia figlia.» Negli occhi dei due servi si accese una luce di speranza, che la spronò a continuare. «Nina, tu verrai con me: andremo da Syria con la scusa di portarle del cibo. Il Padrone non si è espresso in merito, era un ordine mio, e si sa che le donne non sono coerenti!» «Se le cose dovessero mettersi male, Nina potrà tornare indietro di corsa ad avvisarti», aggiunse guardando Remian dritto negli occhi. L’uomo annuì. Era impossibile immaginare quanta angoscia riempisse l’animo di quel padre, sapendo che avrebbe potuto essere costretto a uccidere, con le proprie mani, i suoi figli. Le si strinse il cuore. Scosse la testa, scacciando il pensiero con forza. “Non accadrà!” pensò decisa. «Mia Signora», osò Nina con un filo di voce. «Sì?» La governante abbassò la testa, tormentando penosamente il nastro del grembiule. Glynn le toccò il braccio esortandola a continuare. «E Stefan?» sussurrò appena. «Tuo figlio è un maschio di diciotto anni, donna! È andato alla Festa di Primavera in cerca di qualche sottana!» tagliò corto Remian. “Questa donna è esasperante! Con la vita della Signorina Syria in pericolo, come le viene in mente di annoiare la Padrona, parlando della sorte del suo inutile figlio!” pensò irritato. Guardò Glynn, sperando che non fosse troppo arrabbiata; l’inaspettata scintilla di ammirazione che vide nei suoi occhi lo sorprese e gli riempì il petto di orgoglio. «Ben detto Remian!» confermò lei.
18 Glynn tornò nella sua camera e indossò la veste da notte. Nina si presentò alla sua porta, poco dopo, con un cestino di pane e formaggio e, come pianificato, proseguirono insieme verso la stanza di Syria. Fuori dalla porta trovarono la guardia appisolata sul pavimento. “Perfetto!” pensò Glynn. Scambiò uno sguardo ottimista con la serva, che annuì. Si schiarì sonoramente la voce. La guardia saltò in piedi scovolta. «Mia Signora!» salutò. «Deduco che sia tutto tranquillo lì dentro!» esclamò con tono irritato. «Sì, Milady! Nessun suono!» balbettò l’uomo in preda al panico. Glynn aprì la porta con un gesto stizzoso ed entrò. Alla vista del fagotto il cuore prese a batterle furiosamente, si fece forza e seguì il piano; per fortuna, nello stato confusionale in cui si trovava, la guardia non avrebbe potuto notare niente di sospetto. Si sedette sul bordo del letto. «Syria, dobbiamo parlare!» esclamò a bassa voce. Aspettò un istante. «Syria, svegliati!» continuò toccando il fagotto. “Ora arriva la parte difficile!” pensò in preda all’ansia. Si alzò di scatto, afferrò il bordo della coperta e la tirò indietro con forza, scoprendo il piccolo cumulo di vestiti e cuscini sottostante. Gettò un grido. La guardia entrò come una furia e si rese conto, in un solo secondo, che il suo tempo sulla terra era terminato. L’uomo strabuzzò gli occhi girando su sé stesso, in cerca di un’apparizione miracolosa, ma la camera era fredda e, attraverso la finestra aperta, entrava un vento gelido, carico di cattivi presagi. Rimase in mezzo alla stanza, guardando ora la finestra, ora il letto vuoto, paralizzato dalla paura. A Glynn si strinse il cuore. “Non posso farci niente, devo seguire il piano”, pensò con gelida determinazione. «Guardie! Guardie! Mia figlia è stata rapita! Correte! Correte!» urlò angosciata. Guardò gli occhi imploranti della guardia: vi lesse la disperazione di un animale al macello. I suoi pantaloni si macchiarono e l’uomo cadde in ginocchio. “È giovane e non ha figli che pagheranno per lui!” pensò Glynn cercando un briciolo di consolazione.
19 Poi, l’ansia, la disperazione e l’angoscia delle ultime ore, le piombarono addosso tutte insieme: si accasciò sul letto, singhiozzando disperata. In pochi secondi la casa si animò. Il capo delle guardie arrivò per primo, seguito, a ruota, da cinque dei suoi uomini migliori. Fece portare via il ragazzo e si rivolse a Glynn. «Mia Signora!» «La mia bambina!» urlò lei, disperata. «Trovate la mia bambina! Trovate la mia Syria!» Il capo delle guardie fece un cenno a Nina che si affrettò a obbedire: intensificò la stretta attorno alle spalle di Glynn, aiutandola ad alzarsi e poi la condusse, con delicatezza, fuori dalla camera, verso i suoi alloggi. Solo quando fu entrata nella sua stanza, Glynn si concesse un respiro di sollievo. «Non è ancora finita, ma, almeno, la prima parte è andata!» La governante era in pena per suo figlio Stefan, disperso chissà dove, per suo marito e per i suoi quattro altri figli, ma abbozzò un sorriso. *** Orbiz entrò nella stanza di Syria come una furia, con addosso solo la veste da notte. «Comandante, rapporto!» ordinò. Il capo delle guardie lo ragguagliò: cinque uomini erano già stati mandati in esplorazione e il ragazzo di guardia era stato interrogato e rinchiuso in cella. «Invia venti uomini al villaggio, che frughino in ogni angolo, in ogni casa, in ogni singolo bugigattolo e manda i tuoi uomini migliori nel bosco.» Girò sui tacchi e tornò alle sue stanze. Si vestì con calma e, quando si sentì pronto, fece chiamare sua moglie. Pochi minuti più tardi, Glynn bussò. «Entra», la invitò con voce greve. La donna varcò la soglia e si fermò appena dopo la porta. La richiuse dietro di sé, attendendo con il capo chino. Orbiz la osservò a lungo. I capelli erano acconciati in una semplice treccia che scendeva lungo la schiena, sfiorandole la vita; sopra alla leggera veste da notte, portava solo una mantella di morbida lana blu che la copriva interamente.
20 Era a piedi nudi e le piccole dita rosee spuntavano da sotto l’orlo della sottana. Il suo bel viso era trasfigurato dall’ansia e profonde occhiaie segnavano i suoi splendidi occhi. «Vedo che sei sinceramente turbata, anche se non ne capisco la ragione! Troveremo tua figlia prima che il sole sorga», esclamò. «… Se è questo che ti preoccupa!» aggiunse in un sibilo. Si avvicinò alla sua compagna con fare circospetto. «La guardia ha detto che sei andata a fare visita a Syria diverse volte oggi pomeriggio.» Glynn annuì. «Chiarisci!» intimò. «Dopo pranzo abbiamo litigato perché lei…» ebbe un momento di esitazione. Orbiz la fissò con intensità. «Lei voleva andare alla Festa di Primavera!» L’uomo trasalì. «Non voleva partecipare, era curiosa, voleva solo vedere di cosa si trattasse! Mi chiese di andare scortata da una guardia», si affrettò a spiegare. Il Maestro grugnì e aggiunse, mentalmente, altri dieci colpi di verga alla lista delle punizioni che le avrebbe inferto. «Continua!» ingiunse. «Naturalmente gliel’ho proibito e abbiamo avuto una violenta discussione. L’ho messa in castigo, obbligandola a rimanere nella sua stanza per tutto il pomeriggio.» Orbiz sollevò un sopracciglio: come poteva chiamare, questa, una punizione! Glynn deglutì, a disagio. «Sono tornata da lei, prima del tuo arrivo, per accertarmi che si preparasse per te. La guardia mi aveva riferito che aveva pianto parecchio e, quando sono entrata, era sotto le coperte, stremata e senza forze.» Orbiz sbuffò, al colmo dell’esasperazione. «Era dunque questo il malessere che le ha impedito di accogliermi?» chiese furioso. Glynn abbassò il capo, contrita. «Continua!» La donna prese un respiro profondo.
21 «Dopo cena sono passata di nuovo, per controllare e l’ho trovata ancora sotto le coperte. Non volevo dargliela vinta, così l’ho ignorata, ma ero davvero turbata per il suo comportamento e non riuscivo a prendere sonno, così sono andata da Nina e sono rimasta con lei a lungo, poi sono tornata a trovarla.» «Le stavi portando del cibo?» «Sì, mio Signore.» «Perché? La guardia ha detto che avevi ordinato tu stessa che restasse a digiuno!» Glynn sollevò appena il viso, incontrando il suo sguardo, carico d’odio. «Sono solo una stupida donna!» commentò contrita. «Sei peggio di questo! Molto peggio! Mi hai sfidato donna! Hai permesso che tua figlia mi disonorasse, l’hai usata, hai usato i suoi ardori giovanili per umiliarmi!» Glynn scosse la testa con forza, improvvisamente colta dal panico per la piega che stava prendendo la conversazione. «No mio Signore, non mi permetterei mai, io ti adoro, mio Principe, sei il mio giorno e la mia notte, il mio sole e la mia luna!» Il colpo la prese alla sprovvista. La forza dell’impatto le fece perdere l’equilibrio: cadde e scivolò per alcuni metri, andando a sbattere contro la parete. Non emise nemmeno un gemito, ma premette forte la mano sulla guancia, nel tentativo inconscio di contenere il dolore. «Alzati!» urlò lui con rabbia. Lei obbedì immediatamente e tornò al suo cospetto. «Non ci sono segni di lotta: tua figlia, quella maledetta, è uscita di sua volontà!» Glynn faceva fatica a ragionare: era stanca e sopraffatta dalla disperazione e dai cattivi presagi. Suo marito avrebbe potuto fare di lei qualsiasi cosa: punirla, rinnengarla, esiliarla, persino ucciderla! Lei gli apparteneva ed era suo diritto farne ciò che voleva e lo stesso valeva per Syria e per gli altri suoi figli. Era una madre e una moglie incapace! Questo era un dato di fatto! La disperazione prese il sopravvento: gli occhi le si riempirono di lacrime e le forze la abbandonarono; cadde sulle ginocchia, affondò il viso tra le mani e si arrese al suo destino. Orbiz la osservava con un groppo alla gola.
22 Cercò di fermare il fremito della sua mano. Non l’aveva mai colpita prima! Era sconvolto, ma lei non doveva accorgersene! «Vattene!» intimò.
23
IN CERCA DI TRACCE
Dapprima arrivò un brusio indistinto, poi, lentamente, la consapevolezza si fece strada, attraverso la nebbia. Le tempie cominciarono a pulsarle e c’era qualcosa di duro e appuntito che le perforava il fianco. Il bavaglio premeva dolorosamente ai lati della bocca e la gola era così riarsa che faceva fatica a respirare. Syria aprì gli occhi sbattendo più volte le palpebre. Il pavimento su cui era sdraiata, era duro e sconnesso, le pareti erano umide e il soffitto così basso da non consentire, nemmeno a una persona piccola come lei, di stare in piedi. Fuori dalla grotta, attraverso una stretta apertura, vedeva il bagliore di un grande falò, attorno al quale sedeva un certo numero di uomini. Cercò di raddrizzarsi. Non fu facile perché aveva i piedi bloccati e le mani legate dietro la schiena; dopo diversi tentativi, riuscì, finalmente, a mettersi a sedere. Attorno al fuoco, qualcuno notò i suoi movimenti: un uomo alzò il viso, scrutandola da lontano, poi diede di gomito al vicino. Accanto a lui, una specie di gigante si alzò a fatica; trovò l’equilibrio e poi iniziò a muoversi con passi lenti e pesanti. Syria lo osservò a occhi sgranati e ci mise un po’ a realizzare che quell’essere bizzarro stava venendo proprio nella sua direzione! Il cuore prese a battere furiosamente e cominciò, freneticamente, a guardarsi intorno in cerca di una via di fuga, ma la grotta era piccola e con una sola apertura. Era spacciata! Il gigante si piegò sulle ginocchia, sbirciando all’interno. Syria lanciò un urlo soffocato e scattò indietro, schiacciandosi contro la parete. L’uomo si mosse di un solo passo, restando acquattato; il suo corpo riempì la piccola grotta, coprendo interamente la visuale. La sua enorme testa era a soli pochi centimetri dal viso di Syria. Per alcuni istanti non successe nulla, poi alzò una mano e, sfiorandole la guancia, afferrò una lunga ciocca ribelle.
24 La rigirò tra le dita, con inaspettata delicatezza, osservandola con attenzione; poi spostò lo sguardo nuovamente sul viso di Syria, fissando i grandi occhi bovini nei suoi. «È bella!» esclamò con voce gutturale. Gli uomini attorno al fuoco scoppiarono in una fragorosa risata. «Non la puoi ancora avere Grunt!» gridò uno di loro. «Quando posso averla?» insistette il gigante con una nota infantile nella voce. Le risate si fecero ancora più forti. Syria era paralizzata dalla paura. «Se farai il bravo potrai avere il giocattolo! Però, questa volta, cerca di non romperlo subito eh!» gridò uno degli uomini. La battuta generò un altro scoppio di risa. «Basta!» intimò, improvvisamente, una voce stentorea. Il trambusto cessò all’istante, trasformandosi in un leggero brusio. «Toglile il bavaglio e dalle da bere!» continuò la voce. Grunt lasciò la ciocca; le abbassò il bavaglio dietro la nuca e passò un dito all’interno della stoffa, estraendola dalla bocca; poi, con il pollice, le massaggiò delicatamente le labbra. «Fa male vero?» sussurrò. Prese una brocca, versò l’acqua in una ciotola e l’aiutò a bere. Syria era molto assetata e bevve avidamente. «Piano, piano», commentò Grunt, accarezzandole i capelli. La ragazza non era soddisfatta. «Ancora», biascicò. Ricevette un’altra ciotola d’acqua, ma non le bastò. «Ancora», chiese nuovamente. Grunt esitò, indeciso. «Ha ancora sete!» esclamò ad alta voce. Ci fu un altro scoppio di risate. Per qualche minuto non successe nulla. Il gigante era immobile, il grosso viso inespressivo, concentrato su di lei. «Vai Grunt», ordinò, poi, una voce inaspettatamente vicina. Il gigante si mosse controvoglia, uscendo a carponi. Non appena si fu allontanato, un’altra figura apparve nel campo visivo di Syria. L’uomo si acquattò, restando fuori dalla grotta. «Buona sera Signorina», salutò sarcastico. Syria raddrizzò la schiena.
25 «Sono molto spiacente per i legacci, so che lei è molto educata e non scapperebbe mai, ma le precauzioni non sono mai troppe!» continuò con un ghigno sinistro. Inquietanti occhi azzurro ghiaccio la fissarono con un misto di odio e disprezzo. “Chi diavolo è questo ignorante presuntuoso!” pensò Syria sdegnata. «Non avete idea del guaio in cui vi siete cacciato signore! Mio padre è un uomo molto potente!» esclamò. L’uomo rimase in silenzio, scrutandola a lungo, con grande attenzione. «Lo so», ammise infine. Si raddrizzò. «Dalle da bere e da mangiare, poi chiudi», ordinò. Il faccione di Grunt riapparve. Syria bevve, ma rifiutò il cibo. Dopo aver insistito una volta, il gigante fece spallucce; uscì e chiuse l’apertura della grotta con un grosso masso tondeggiante. Rimasta sola, nel buio della sua cella umida e maleodorante, Syria si rese finalmente conto di quello che era accaduto. Le lacrime presero a rigarle le guance. Non temeva per la sua vita: gli uomini di suo padre sarebbero arrivati prima dell’alba; ciò che le faceva più male era il motivo per cui si trovava in quella orribile situazione! Una rabbia sorda la pervase, mentre riportava alla mente il viso sorridente di Isma che appariva, inaspettato, alla finestra della sua stanza. Come era stata contenta di vederla! Che sorpresa fantastica! Che gioia immensa! Isma era balzata agilmente all’interno della sua camera da letto e l’aveva abbracciata forte, senza parlare. «Cosa ci fai tutta sola?» le aveva bisbigliato all’orecchio. «Mia madre mi ha messo in punizione!» L’amica aveva ridacchiato, poi si era affacciata, aveva fatto un cenno con il braccio e, dopo pochi istanti, era apparsa una ragazza sconosciuta. Era entrata, molto meno agilmente, poi si era guardata intorno sgranando gli occhi. «Bello!» aveva sussurrato estasiata. Dopo alcuni istanti, però, aveva cominciato a piangere e disperarsi. A Syria era venuto un colpo! Si era precipitata a soccorrerla in preda a una confusione totale. Isma l’aveva afferrata per un braccio.
26 «Tranquilla! È una professionista. Serve per la guardia perché non ci senta parlare», aveva sussurrato. “Che genio!” aveva pensato Syria con ammirazione. «Andiamo alla festa!» le aveva proposto. Syria aveva accarezzato l’idea, per un istante. «Non posso!» aveva, poi, rifiutato tristemente. Isma ci aveva pensato su un momento. «Va bene, allora facciamo solo un giro! Torniamo presto!» aveva insistito. «Mio padre arriverà tra poche ore!» aveva risposto Syria titubante. «Dai, non fare la guastafeste!» l’aveva tentata. «Guarda!» aveva esclamato mostrandole la borsa che portava a tracolla. «Ti ho portato un vestito.» Aveva tirato fuori una semplice veste azzurra e blu. «Con questa nessuno ti noterà! C’è una cosa che voglio farti vedere, ma è nel quartiere orientale.» Syria ci aveva pensato su a lungo. «Vorrei tanto, Isma, ma se mio padre non mi trova al suo ritorno saranno guai seri!» «Lo so, lo so…» l’aveva traquillizata l’amica, «ci vorrà meno di un’ora: nessuno se ne accorgerà!» Syria scuoteva la testa, reticente. «Va bene, mi arrendo!» aveva concluso Isma allargando le braccia e si era voltata verso la finestra, per andarsene. «Aspetta!» l’aveva fermata Syria. L’offerta la tentava moltissimo! Esitava, guardando incerta il vestito. «Dammi qui!» aveva esclamato, alla fine, strappandoglielo dalle mani. Isma aveva esultato, soffocando una risata. Syria si era vestita in fretta e aveva seguito l’amica fuori dalla finestra, mentre l’altra ragazza continuava a piangere e disperarsi per coprire i rumori della loro fuga. Avevano attraversato il giardino, acquattandosi tra i cespugli. Quando erano arrivate al muro di cinta, Syria aveva visto la lunga scala a pioli e si era fermata, indecisa. «Dai, non dirmi che hai paura!» l’aveva esortata Isma, spingendola in avanti con delicatezza. Syria era salita per prima ed era riuscita ad arrivare in cima, nonostante le tremassero le gambe. Ad attenderla aveva trovato un’altra scala e senza più esitare, era passata attraverso le guglie ed era scesa. Quando si era trovata a terra, l’aveva pervasa un’incontenibile euforia: si era sentita viva e, finalmente, per la prima volta in vita sua, libera!
27 Aveva abbracciato forte Isma, riconoscente per quel dono inaspettato. L’amica aveva ricambiato l’abbraccio e l’entusiasmo e poi l’aveva condotta, attraverso la gente comune, tenendola per mano. Avevano camminato per le vie del paese, come due semplici paesane e Isma le aveva mostrato il suo mondo, guidandola sicura attraverso gli stretti vicoli, in luoghi inaspettati, dove la vita si svolgeva direttamente in strada: gli uomini mangiavano e si lavavano, i bambini correvano completamente nudi e le donne chiacchieravano oziosamente. Sospirò, riportando alla mente la spensieratezza di quei momenti e non poté trattenere un sorriso ripensando alla divertente scena del cucciolo e del bambino che si litigavano un pezzo di salsiccia a morsi e ringhi. Improvvisamente, un gran trambusto la distolse dai suoi pensieri. Uomini e cavalli si muovevano al di fuori della piccola grotta; voci maschili urlavano ordini con un accento sconosciuto. “Ci siamo!” pensò Syria. *** Orbiz era seduto sulla sua poltrona preferita, al centro della biblioteca; di fronte a lui, il grande camino era spento. Lo osservò per alcuni minuti, poi si alzò, scrutando il giardino immerso nella notte. Nel cielo brillava una luna grande e luminosa. Gli sembrava che i suoi uomini ci stessero mettendo un po’ troppo, ma forse era solo l’insofferenza che alterava la sua percezione del tempo traendolo in inganno. Pensò a sua figlia, bella come la madre, gli stessi colori, lo stesso temperamento ribelle e spavaldo e si domandò cosa diavolo l’avesse spinta a un’azione così irresponsabile. Era chiaro che aveva lasciato la casa di sua volontà, probabilmente aiutata da qualcuno della servitù. Rifletté sul da farsi una volta che Syria fosse tornata, sana e salva, tra le mura domestiche. Per prima cosa l’avrebbe rinchiusa in casa a vita o, almeno, fino al giorno delle sue nozze! Poi avrebbe riunito la servitù, e avrebbe interrogato tutti, fino a che non fosse saltato fuori chi era stato il complice di una simile, scellata, azione. Il colpevole avrebbe pagato con la vita, ovviamente e, se si fosse trattato di un padre di famiglia, i suoi figli e sua moglie sarebbero stati cacciati. Sospirò.
28 “Dura lex, sed lex”, pensò con amarezza. «Mio Signore!» salutò il capo delle guardie entrando. Orbiz si voltò e fu sorpreso di leggere ansia e preoccupazione sul volto del militare. «Parla!» ordinò. L’uomo deglutì. «Abbiamo setacciato tutto il paese, tutto il bosco, ogni singolo anfratto, ogni miserabile capanna.» Il Maestro si mosse inquieto: non gli piacevano le premesse di questo rapporto. «Non c’è traccia della signorina Syria», concluse la guardia. Orbiz rimase in silenzio per un lungo istante. «Mi state dicendo, capitano, che non siete riuscito a trovare mia figlia?» sibilò. L’uomo tremò, leggermente. «Non ancora, mio Signore!» «Com’è possibile?» tuonò Orbiz furioso. «Stiamo interrogando tutti, Maestro; qualcuno deve pur averla vista!» si affrettò ad aggiungere il capitano. «A quanto pare, omuncolo incapace, sono costretto a occuparmene personalmente! Fate sellare il mio cavallo! Subito!» L’uomo si precipitò fuori dalla stanza. Orbiz fu assalito da cupi presentimenti. Seppure aiutata da una persona scaltra e intelligente, come era riuscita, Syria, a eludere le sue guardie? Si voltò nuovamente verso la finestra, riflettendo. Il fatto che non l’avessero trovata né in paese, né nel bosco poteva significare solo una cosa! “È stata davvero rapita!” pensò, realizzando improvvisamente la gravità della situazione. Mai come in quel momento avrebbe voluto condividere con Glynn i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, ma era un uomo e doveva comportarsi come tale. Sua moglie sarebbe venuta a sapere dai servi della sua partenza e ne avrebbe tratto le giuste conclusioni. “È tanto intelligente quanto bella!” pensò. Sorrise a sé stesso: se solo suo padre avesse saputo dei pensieri gentili che spesso rivolgeva a Glynn, lo avrebbe picchiato per un giorno intero.
29 «Le donne servono per i figli o per il piacere!» soleva dire. «Non ci si può aspettare nessuna azione coerente da loro: hanno la segatura al posto del cervello!» Scosse la testa, si voltò e si incamminò con determinazione verso le scuderie. *** Glynn sedeva sul letto, senza più lacrime; accanto a lei, Nina aveva la stessa espressione vuota e rassegnata. Bussarono alla porta. Scattarono in piedi entrambe, scambiandosi uno sguardo sconcertato; poi Nina aprì: qualcuno, in corridoio, portava notizie importanti. «Fallo entrare!» esclamò Glynn, non riuscendo a contenersi. Il figlio dello scudiero entrò e si inchinò fino a terra. «Mia Signora», salutò con deferenza. Glynn non stava nella pelle. «Parla, parla!» lo esortò. «Il Signore è partito qualche minuto fa, con cinquanta uomini della guardia.» «Mio marito… è partito?» «Sì, mia Signora» «Perché?» «Non hanno trovato la signorina Syria né in paese né nel bosco e il Maestro ha deciso di guidare personalmente la ricerca.» Glynn si sentì mancare. Le gambe le cedettero e si lasciò cadere pesantemente sul letto. «Grazie, vai pure», ordinò con un filo di voce. Il ragazzo uscì, chiudendo la porta. Guardò la sua serva con occhi sgranati, realizzando, in un istante, le implicazioni di una tale informazione. «Syria è stata rapita… veramente!» sussurrò senza fiato. «Come ho potuto pensare male di lei? Se avessi dato subito l’allarme, a quest’ora sarebbe qui, sana e salva, tra le mie braccia!» Sentì il terreno sprofondarle sotto i piedi e un baratro senza fine risucchiarla al suo interno. «Sono una madre orribile!» ammise scoppiando in un pianto diperato. Accanto a lei, Nina le accarezzava dolcemente una mano, mentre, in preda a un terrore sconfinato, traeva essa stessa le sue conclusioni.
30 Se Syria era stata rapita e Stefan, che era stato mandato a cercarla, non era ancora tornato, voleva dire solo una cosa: il suo primogenito, la luce dei suoi occhi, il suo sostegno e la sua forza, era sicuramente morto! Avrebbe voluto condividere il dolore con suo marito e con i suoi figli; avrebbe voluto, almeno, avere il tempo e lo spazio per piangere la sua scomparsa. Invece restò lì, con il braccio attorno alle spalle della sua Signora, la cui pena aveva la precedenza su tutto! *** Orbiz cavalcava in testa ai suoi. Avevano perquisito il villaggio e si erano addentrati in profondità nel bosco, ma né i battitori, né i segugi erano riusciti a trovare le tracce di Syria: sembrava che la ragazza si fosse volatilizzata, il che, naturalmente, era impossibile! Da casa sua, c’erano solo due possibili direzioni che i rapitori avrebbero potuto prendere: verso nord, attraverso il villaggio o verso ovest, attraverso il bosco. Entrambi i luoghi erano già stati battuti dalle sue guardie, ma Orbiz non voleva darsi per vinto. «Capitano!» chiamò. «Mio Signore?» «Ci divideremo in due gruppi: io prenderò venti uomini e andrò a nord, tu, con gli altri, andrai a ovest. Due uomini faranno la staffetta, comunicando, con regolarità, gli aggiornamenti.» «Sì, mio Signore!» Quando arrivarono, tutto il paese era sveglio. Uomini e donne ciondolavano davanti alle porte aperte. Erano già stati tutti interrogati più volte, ma sapevano che fintanto che Syria non fosse stata trovata non avrebbero avuto pace. Orbiz decise di provare a richiamare il potere di localizzazione: mise il cavallo al passo e chiuse gli occhi; visualizzò nella mente il bel sorriso di sua figlia, la sua delicata figura, il sua graziosa fossetta sulla guancia sinistra. Lasciò che il suo istinto lo guidasse, che il legame di sangue gli indicasse la giusta strada. “Speriamo che funzioni!” pensò. Ci sperava, sinceramente, ne andava della sua reputazione!
31 Era nato da un mago, discendente di maghi e aveva studiato magia per tutta la vita; si era applicato davvero molto e, tuttavia, la magia non gli veniva facile. Aveva dovuto ripetere gli esercizi infinite volte, anche i più semplici, prima di ottenere qualche risultato. Con quelli più difficili come la trasmigrazione o il controllo degli elementi, aveva ancora molte difficoltà; solo gli incantesimi di guarigione gli riuscivano bene. Respirò profondamente. A un certo punto sentì un piccolo brivido scorrere lungo la schiena. Si fermò, stupito. L’immagine di Syria riempì la sua mente: la vide ridere di gusto, accucciata nel cortile di una povera casa. Accanto a lei c’era una ragazza con i capelli corvini e degli incredibili occhi verdi. La scena che stavano osservando era surreale: un bimbo piccolo, completamente nudo, stava lottando con un cucciolo di labrador. Avevano entrambi in bocca l’estremità di una lunga salsiccia e se la strappavano a vicenda, reclamandone il diritto. Orbiz aprì gli occhi. Di fronte a lui, tra alcune stamberghe semi-diroccate, vide il cortile della sua visione. Scese da cavallo con un balzo. «Perquisite queste case, interrogate tutti!» Gli uomini si affrettarono a eseguire gli ordini. Gli abitanti furono portati all’esterno e ripeterono, stremati, le stesse parole che avevano detto tutta la notte: nessuno aveva visto la signorina Syria, nessuna dama era passata per quelle strade, nessun cavaliere, nessun servitore. Orbiz ripensò alla sua visione: sua figlia indossava un modesto abito azzurro e i capelli erano intrecciati e arrotolati in uno stretto chignon, come usavano portarli le paesane. Si avvicinò a una donna magra, con gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. «Avete visto una ragazza bionda, di diciassette anni?» La donna scosse la testa. «No Milord, le signore non passano da queste parti», ripeté stancamente. «Non una signora, una paesana! Era insieme a un’altra ragazza, più o meno della stessa età, con i capelli neri e gli occhi verdi.» La donna si riscosse. «Isma?» chiese.
32 Orbiz annuì, pur non capendo, per invitarla a proseguire. «Sì, lei è passata di qui oggi. La sua nuova amica è molto carina, non l’avevo mai vista prima! Si sono fermate a guardare Toy che giocava col cane.» Il Maesto esultò: ce l’aveva fatta! «Dove sono andate?» chiese con impazienza. La donna scosse la testa. «Non so, verso il quartiere ovest… credo», rispose indicando con il braccio la direzione. *** Seduto su una stretta panca di legno, Orbiz aspettava il rientro della spedizione, sorseggiando un bicchiere di sidro di mele. Aveva fornito ai suoi uomini i dettagli della sua visione, in modo che potessero fare le giuste domande, perché si sa che i paesani non sono molto intelligenti e mancano completamente di spirito di osservazione. Anche con un vestito dimesso e i capelli acconciati in quel modo, era impossibile scambiare sua figlia per una contadina; eppure tutto il paese lo aveva fatto! “In fondo”, pensò poi, “quanti di loro hanno mai visto una signora?” Erano senza dubbio due mondi separati; del tutto sconosciuti l’uno all’altro. A questo punto, era certo che Syria aveva lasciato la villa di sua volontà! Era una scoperta sconvolgente e, tuttavia, non così incomprensibile. Lui stesso, da adolescente, aveva sentito il desiderio di esplorare i sobborghi; di mettere alla prova il suo coraggio, inoltrandosi da solo tra la povera gente. Molti suoi coetanei l’avevano fatto e raccontavano storie incredibili: di mezzi uomini e vecchi deformi e donne che, con gli abiti aperti sul davanti, vendevano il loro corpo per pochi denari. Lui, però, non ci era mai andato. In una sola occasione, aveva osato uscire di casa senza permesso: si era recato al fiume, con il suo scudiero, per assistere alla raccolta dei fiori della sera. I candidi petali si aprivano, una sola volta all’anno, al cospetto della luna, rivelando il grande pistillo il cui contenuto, giallo e appiccicoso, era l’ingrediente fondamentale di molte pozioni. Spettava ai servi raccoglierlo, ma lui aveva voluto vedere di persona lo spettacolo.
33 Il piccolo prato, immerso nell’oscurità, si era improvvisamente animato ed erano apparsi centinaia di delicati puntini bianchi. Dapprima erano solo macchioline indistinte che avevano, poi, cominciato ad allargarsi con un movimento visibile a occhio nudo, mentre, al loro interno, appariva lo sfavillio di una flebile luce: il giallo nettare brillava, luminosissimo, nella notte. Sembrava un giardino fatato. Era rimasto a lungo immobile, a contemplare l’incanto di quel momento, senza fiato per l’emozione! Solo quando l’ultima luce si era spenta, nelle mani dei servi, si era deciso a rientrare. La fuga, purtroppo, non era passata inosservata e, al suo arrivo, suo padre lo aspettava in scuderia. Aveva solo quattordici anni, ma la sua disobbedienza venne punita duramente: il suo attendente fu scacciato e a lui toccarono dieci frustate e una settimana in cella, a digiuno. Cosa avrebbe dovuto fare lui con Syria? Aveva compiuto un’azione ben più grave e, inoltre, era una ragazza! Cosa mai aveva potuto spingere una femmina a una tale impresa? Che Syria non fosse come le altre ragazze era certo! Si ricordò di quella volta che, tramite sua madre, gli aveva chiesto di poter apprendere l’uso dell’arco e della spada. Non era inusuale che le donne imparassero a difendersi e un certo addestramento militare, seppure non caldeggiato, non era neppure ostacolato. La stranezza era che sua figlia aveva solo sette anni quando glielo chiese: l’età delle bambole, dei finti ricevimenti e delle ghirlande di fiori! Sospirò. Era diventata così brava! Il maestro d’armi era talmente impressionato che una volta aveva commentato che, in quanto a precisione di tiro, avrebbe potuto competere, persino, con le sue guardie. Lui si era infuriato. «Vuoi forse dire che i miei uomini sono femminucce?» gli aveva urlato contro. Lo aveva fatto battere con la verga per ribadire la sua autorità, ma in cuor suo si era rallegrato del temperamento ardito della sua bambina. Syria era ribelle e testarda e, certamente, aveva voluto sfidare l’autorità di sua madre, ma non era stupida! Se era certo che fosse uscita di sua volontà, era altrettanto certo che, per nessun motivo, avrebbe deciso di proposito di mancare alla sua accoglienza!
34 Sua figlia era in pericolo, ne era certo! «Signore!» la guardia lo distrasse dai suoi pensieri. «Parla!» «Un ragazzo ha riferito notizie importanti: ha visto la signorina Syria entrare nella casa della paesana. Dopo di loro sono arrivati cinque uomini che hanno portato via un tappeto arrotolato; dopo di che non ha più visto uscire nessuno.» Ecco! I suoi timori erano confermati! «Dove sono andati?» eclamò Orbiz balzando in piedi. «Li hanno visti dirigersi verso il monte Arba.» “Siorn è lì per il rito! Non può essere una coincidenza!” pensò smarrito. «Hanno idea di chi fossero quegli uomini?» domandò, improvvisamente ansioso. «Il ragazzo ha detto che sembravano guerrieri delle Terre del Vento, Signore!» Orbiz si sentì mancare. «Mandate dei messeggeri alle altre casate, dobbiamo essere pronti!» «Sì, mio Signore!»
35
IN FUGA
Syria guardava il grosso masso che ostruiva l’ingresso della grotta. Il trambusto all’esterno si era fatto più intenso; aveva anche riconosciuto la voce di Grunt, a un certo punto; poi i rumori si erano affievoliti, fino a scomparire del tutto. Da diverso tempo non si sentiva più alcun suono. Le era sembrato strano: era sicura che gli uomini di suo padre l’avrebbero trovata entro poche ore, ma era notte fonda, ormai, e nessuno si era fatto vivo. Si sdraiò, in preda allo sconforto e ricominciò a piangere, senza riuscire a trattenersi. “Arrivano, arrivano”, ripeté a sé stessa. Ripensò a sua madre, alla litigata che avevano avuto, alle parole terribili che le aveva rivolto. Che stupida era stata! Avrebbe dovuto darle ascolto, fin dall’inizio! Ah se solo l’avesse fatto! Era provata e terribilmente stanca e si addormentò, con gli occhi bagnati di pianto, singhiozzando piano. Erano passati pochi minuti, o forse alcune ore quando uno stridio improvviso la fece sussultare; si ritrovò seduta, prima ancora di realizzare di essere sveglia. Il masso si stava lentamente spostando. Trattenne il fiato, con un misto di ansia ed eccitazione. Sicuramente dall’altra parte non c’era Grunt, perché, chiunque stesse cercando di liberare l’apertura della grotta, stava facendo molta fatica. Dopo alcuni minuti, la roccia si fermò. Attraverso la fessura vide spuntare una gamba lunga e affusolata, seguita da un busto altrettanto magro e, da ultimo, una testa ricciuta fece capolino. Lo riconobbe all’istante. «Stef!» esclamò senza riuscire a trattenersi. Il ragazzo balzò all’interno, spaventato. «Schhh! Non urlare o ci sentiranno!» sussurrò.
36 Syria non riusciva a trattenere l’eccitazione: di tutti i salvatori che si sarebbe aspettata di vedere, Stefan era il meno probabile. Gli rivolse un gran sorriso, che lui ricambiò con poco entusiasmo. Si avvicinò, estrasse il coltello dal lato dello stivaletto e tagliò le corde che le serravano i polsi e le caviglie. L’aiutò a mettersi in piedi, nonostante il soffitto fosse troppo basso anche per lei, e la condusse fuori dalla stretta prigione. Stefan passò per primo, si guardandò intorno con circospezione e, poi, infilò il braccio nella fessura, facendole segno di seguirlo. Syria sgusciò fuori con facilità. Il fuoco era stato spento, ma le braci calde fumavano ancora ed emettevano un bagliore sinistro, che rischiarava lo spiazzo antistante. La ragazza si guardò intorno, cercando di orientarsi, ma il luogo dove si trovavano le era del tutto sconosciuto. Alla sua sinistra vedeva l’accampamento: c’erano alcune tende, qualche carro e diverse stuoie, buttate per terra. Apparentemente era tutto tranquillo, dormivano tutti e non c’era nessun uomo a fare la guardia. Le sembrò un po’ strano, ma non poté non sentirsi sollevata. Stefan la guidò nella direzione opposta. Procedettero camminando rasente la parete, insinuandosi, dove possibile, negli anfratti della roccia. Appena oltre il grande spiazzo, cominciava il bosco. Si addentrarono, camminando con cautela, attenti a non fare nemmeno il più piccolo rumore. Dopo diverso tempo, quando Stefan ritenne che si fossero allontanati a sufficienza, si fermarono e si sedettero, tra gli alberi, a riposare. Bevvero acqua ormai molto calda e, apparentemente poco pulita, dalla borraccia. Syria fece una smorfia di disgusto. «Che schifo!» esclamò. Stefan fece spallucce. «Ma dove l’hai presa?» insistette la ragazza. «Al fiume, oggi pomeriggio.» «Oggi pomeriggio?» Stefan annuì. «Tua madre mi ha mandato a cercarti: pensava che fossi fuggita di casa per andare alla Festa di Primavera.» «Perché ha mandato te?» «Non voleva farlo sapere a tuo padre, suppongo. Pensava che sarei riuscito a trovarti e a riportarti a casa prima del suo arrivo.»
37 Syria sentì una stretta al cuore: nonostante il modo in cui si era comportata, sua madre aveva voluto proteggerla. «Invece hai fallito, a quanto pare!» commentò acida. Come al solito, scaricava la rabbia che provava per sé stessa, su di lui. Stefan parve non farci caso. «No, in realtà io ti ho trovato! Era ancora troppo presto per la festa, così ho pensato che fossi in paese, con la tua nuova amica.» Syria arrossì leggermente: era così prevedibile? «Ti ho riconosciuta, nonostante ti fossi travestita da paesana! Prima di riucire a raggiungerti, ti ho vista entrare in casa di quella ragazza carina… Isma?» «Sì, sì, continua», lo esortò stizzita. «Ero indeciso e ho preferito aspettare che uscissi, ma poi sono arrivati quei cinque tipi poco raccomandabili e mi sono nascosto. Qualche minuto dopo li ho visti uscire: uno era un vero gigante e portava sulla spalla un tappeto arrotolato, molto sospetto! Ho capito subito che, lì dentro, c’eri tu e così li ho seguiti e, quando ne ho finalmente avuto la possibilità, ti ho liberato.» Syria scrutò Stefan con attenzione. Era solo un ragazzo eppure si era comportato come un vero eroe! Aveva fatto le mosse giuste, era stato un acuto osservatore e aveva avuto la pazienza e la tenacia necessarie per riuscire nell’impresa. Se solo fosse nato in una famiglia diversa, sarebbe diventato un ottimo soldato, forse addirittura un generale! Invece era figlio di un giardiniere, e, nel suo futuro, c’era solo il mestiere di giardiniere, e così era pure in quello dei suoi figli, e dei figli dei suoi figli, dopo di lui. “Un vero peccato!” pensò Syria, “ma, perlomeno, lui è un uomo e avrà sempre diritto di parola tra i servitori, e di vita e di morte sulla sua famiglia!” Il destino era molto diverso per le donne, anche quelle delle caste più alte. Le sfuggì un sospiro. «Dove siamo?» chiese infine. «Da qualche parte sul monte Arba», rispose lui distrattamente. Tormentava un rametto tra le mani, indeciso. «Cosa è successo, nella casa della tua amica?» chiese poi con un filo di voce. «Credevo che ti avessero dato una botta in testa, ma, quando ti hanno liberata dal tappeto, non eri ferita! Sembravi solo… addormentata!»
38 A Syria non faceva piacere ripensare agli ultimi momenti passati con Isma, ma questo ragazzo coraggioso l’aveva liberata e glielo doveva. «Mi ha convinto a entrare nella sua stamberga, con la scusa di mostrarmi un reperto molto antico», raccontò. «Un artiglio di drago!» aggiunse, con una smorfia. «È un oggetto magico molto potente!» commentò il ragazzo sgranando gli occhi. Syria annuì. «Mi disse che glielo aveva dato un mago straniero, come compenso per i suoi servigi e che lo avrebbe donato a mio padre, se avesse accolto in famiglia lei e sua sorella.» Stefan non riuscì a trattenere un’espressione sbigottita. I servitori rimanevano per generazioni nella stessa casa: solo le dame di compagnia e gli scudieri potevano essere prestati o ceduti. I Paria non potevano entrare neppure nel cortile di una casa signorile, figuriamoci chiedere di essere ammessi a servizio! «Isma non è nata Paria», spiegò Syria, rispondendo alla domanda inepressa. «La sua famiglia apparteneva ai Musselin. Otto anni fa il suo padrone è stato condannato per alto tradimento; i suoi averi sono stati confiscati, la sua famiglia giustiziata, i servi maschi uccisi e le donne e i bambini cacciati di casa.» Stefan annuì, ricordava perfettamente quella triste storia. «Ma, anche così, cosa le faceva pensare che tuo padre avrebbe accettato in casa una reietta?» chiese confuso. «L’hai detto tu stesso: l’artiglio è uno strumento magico eccezionale!» «Sì, ma…» protestò lui. Syria gli rivolse uno sguardo carico di sottintesi. «Mio padre non è famoso per essere un mago molto potente!» commentò infine. Stefan abbassò lo sguardo. «Comunque era un’idea molto stupida! Una volta ricevuta la proposta, il Maestro avrebbe ordinato alle sue guardie di prendere l’artiglio e di uccidere lei e il resto della sua famiglia!» commentò semplicemente. Syria annuì. «È quello che le ho detto anch’io!» confermò. «Comunque, nonostante fosse un po’ delusa dalla mia reazione, mi ha offerto del tè verde che, a quanto pare, era una droga, perché, qualche minuto dopo, ho perso i sensi e mi sono risvegliata nella grotta, legata e imbavagliata!» concluse con una smorfia. Si alzò, scuotendo la gonna dalle foglie.
39 «Andiamo?» propose. Stefan rimase seduto, guardandola interdetto. «Non è una buona idea: è troppo pericoloso con il buio; aspettiamo che faccia giorno, intanto potremmo riposare qualche ora e rimetterci in forze!» «Cosa?» domandò Syria risentita. «Nanche per idea! Io non voglio restare su questa montagna puzzolente un minuto di più!» esclamò con stizza. Stefan esitava. «Allora?» insistette lei con impazienza. «Mia Signora», esordì il servo alzandosi con riluttanza, «è pieno di brutti ceffi qui intorno. Ci sono sentinelle appostate ovunque! Si aspettano l’arrivo del Padrone da un momento all’altro!» Era insolito per Stefan usare frasi formali con lei: erano praticamente cresciuti insieme! Glynn fingeva di non accorgersi quando lei abbandonava le bambole in mezzo al prato per raggiungerlo nel boschetto a giocare con i sassi e la terra. Lui le era sempre stato accanto: era stato il suo compagno di giochi, il suo scudiero, il suo confidente. Era un ragazzo forte e gentile e assecondava sempre ogni suo desiderio; il fatto che ora la stesse ostacolando con tanta insistenza la fece innervosire. «Coraggio Stef, non fare la ragazzina piagnucolosa!» lo esortò. «D’accordo», cedette lui, «ma tieni gli occhi e le orecchie apertissimi!» La ragazza annuì seria, per segnalare che non aveva sottovalutato le sue parole, ed entrambi si incamminarono addentrandosi nel fitto bosco. «Quanto siamo distanti dal paese?» chiese Syria dopo un po’. «È difficile dirlo: l’accampamento si trova a circa sei ore di cammino dal paese, ma noi dobbiamo passare da dietro la montagna, se vogliamo sperare di non essere presi!» «Non se ne parla!» esclamò Syria sgranando gli occhi. «Passeremo da sopra!» concluse. Stefan scosse la testa, deciso. «No, non è possibile! Te l’ho detto: è pieno di cecchini!» «Li eviteremo!» Il ragazzo si fermò e la prese per le spalle, con un’espressione dura sul viso. «Ci sono centinaia di uomini sparsi qui attorno: l’idea era, probabilmente, di attirare tuo padre nello spiazzo e poi attaccarlo dall’alto. Siamo in viaggio da più di un’ora: se non hanno già scoperto la
40 tua fuga, lo faranno tra pochissimo e, da quel momento, ci daranno tutti la caccia. La cosa migliore è trovare un nascondiglio, la cosa peggiore andare loro incontro!» Syria apprezzò il coraggio e la lucidità di pensiero, ma non volle dargliela vinta. «Tu fai come credi, ma io non me ne starò rintanata come un coniglio! Se non posso passare dall’alto, allora proseguirò in direzione delle Terre del Vento, poi scenderò e tornerò a Guendar per la via mercantile.» Stefan si arrese; annuì, sebbene non del tutto convinto, e ripresero il cammino. *** Orbiz aspettava nella Casa Comune, camminando ansioso avanti e indietro. I Membri del Gran Consiglio erano stati convocati in tutta fretta; una simile rappresaglia, da parte di uomini delle Terre del Vento, significava una sola cosa: la guerra! Questa volta era davvero inevitabile! Aveva mandato i suoi cavalieri più veloci sul monte Arba, per avvisare suo figlio e gli altri due maghi, impegnati nel rito di passaggio. Sperava di vederli arrivare da un momento all’altro, ma, in cuor suo, temeva che la situazione fosse ben peggiore! Syria era una pedina piccola e c’era la possibilità che i guerrieri l’avessero rapita per sviare l’attenzione da un bersaglio più importante. Temeva per suo figlio! Siorn era un mago scarsamente dotato e gli altri due ragazzi, che si trovavano con lui, ancor meno. I guerrieri delle Terre del Vento questo non potevano saperlo, ma era comunque probabile che il dover affrontare tre maghi inesperti non rappresentasse, per loro, un gran deterrente. Si sentì del trambusto al di fuori della porta: qualcuno stava arrivando. Bernt si precipitò nella Sala del Consiglio come una furia. «Come osano? Maledetti cani rognosi!» berciò. «È arrivato il momento di dare una bella lezione a quegli schifosi mangia-sterco!» Orbiz trattenne a stento un moto di stizza. «Dobbiamo pianificare una guerra Consigliere Bernt, bisogna essere lucidi ed efficaci!» suggerì con una nota aspra che non passò inosservata. Bernt lo fissò con astio, per un momento.
41 «Naturalmente Maestro Orbiz, siamo tutti qui per la medesima ragione», rispose tra i denti. Prese posto al Tavolo del Consiglio e attese, con malcelata impazienza, l’arrivo degli altri. Orbiz riprese a passeggiare avanti e indietro; ogni tanto si fermava gettando un occhio fuori dalla finestra. Non c’era niente che potesse fare, ma l’inattività lo rendeva estremamente nervoso, soprattutto quando c’era di mezzo l’incolumità del suo primogenito. Gli altri due consiglieri, Korad, dei possedimenti dell’ovest e Liamm, di quelli del sud, arrivarono qualche minuto dopo. Mancava solo il Consigliere Supremo e il Consiglio di guerra non poteva iniziare senza di lui. Per ingannare l’attesa, furono servite focaccine di mais, sidro di mele e spremute di frutta, ma il tempo nella Casa Comune non passava mai. La tensione era alle stelle e l’ansia di Orbiz stava diventando incontenibile. “Aspetterò altri cinque minuti”, pensò al colmo della frustrazione, “poi andrò a riprendermi i miei figli, costi quel che costi!” Lo aveva pensato, ma sapeva che non l’avrebbe mai fatto: il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto! Una simile azione era considerata alto tradimento, perché metteva in pericolo l’intera Guendar. Il ricordo di quello che era successo ai Musselin, solo otto anni prima, era ancora ben impresso nelle menti degli abitanti dell’intera regione. Orbiz sbuffò. Finalmente, quasi mezz’ora dopo, Alzar si presentò alla Casa Comune. I Consiglieri scattarono in piedi, pronti all’azione. Il Maestro dei Cinque Incanti, essendo il più informato, mise al corrente gli altri di come si erano svolti i fatti. Sorvolò sul fatto che sua figlia si fosse recata al paese di sua volontà e concluse con i suoi sospetti sul fatto che Siorn fosse l’obiettivo principale dell’intera azione. Il fatto che, dopo più di due ore, i cavalieri che aveva mandato a prenderlo non fossero ancora tornati, era un pessimo segnale. I Consiglieri si guardarono l’un l’altro, preoccupati. Siorn era il futuro Maestro dei Cinque Incanti e unico figlio maschio di Orbiz, perderlo sarebbe stato un vero problema. Alla fine, il Consigliere Supremo prese la parola. «Amici miei. Noi tutti nutriamo una avversione particolare per gli abitanti delle Terre del Vento; però, sebbene questo astio sia
42 ampliamente giustificato, non possiamo permetterci di scatenare una guerra, senza che questa sia strettamente necessaria.» Un mormorio di disapprovazione si diffuse, ma nessuno osò interromperlo. «Prima intraprendere una qualsiasi azione, dobbiamo mandare degli esploratori e verificare quale sia la reale situazione. Una volta appurato il numero e la reale entità dei guerrieri appostati sul monte Arba, saremo pronti per riunirci e pianificare nel dettaglio l’azione bellica.» Orbiz scatto in piedi, senza riuscire a contenersi. «Con tutto il rispetto, Consigliere Supremo, i miei figli sono nelle mani di quegli assassini senza scrupoli e io non posso stare con le mani in mano!» «Andiamo a riprenderci i ragazzi!» propose Korad. «Ben detto! Ricacciamo i bruti giù dal monte Arba! E, poi, mettiamo a ferro e fuoco i villaggi al confine per rappresaglia! Che sia di monito per cento generazioni! Non avranno mai più il coraggio di farsi vivi!» esclamò Bernt, al colmo dell’eccitazione. «Dobbiamo mostrare la nostra forza!» rinforzò Korad. Alzar lasciò che si sfogassero, poi, alzò una mano; quando tornò il silenzio, prese nuovamente la parola. «Sappiamo che Syria è stata rapita, ma non sappiamo con certezza da chi. A parte la testimonianza di qualche paesano, non abbiamo alcuna prova che siano stati i guerrieri delle Terre del Vento.» Gli uomini si scambiarono uno sguardo indeciso. «Inoltre, per quanto ne sappiamo, Siorn e gli atri due maghi, sono in ritiro per il rito di passaggio. Al terzo giorno, se non ricordo male, si affronta la trasmigrazione dell’anima; sbaglio Maestro dei Cinque Incanti?» Orbiz rifletté un istante, preso alla sprovvista. «Dici bene Consigliere Supremo: prima in un vegetale e poi in un animale», confermò. «Ed è un processo complicato non è vero?» «Certamente! Molto difficile!» «Per un mago inesperto, ci possono volere anche due o più giorni, giusto?» incalzò Alzar. Orbiz ricordò il suo rito di passaggio: gli ci vollero tre giorni interi per migrare in una pianta, e addirittura sette per riuscirci con un corvo. «Sì, è un compito arduo anche per un mago esperto!» ammise. «Dunque, è plausibile che tuo figlio e i suoi compagni siano nascosti in qualche punto isolato, totalmente concentrati nel loro compito,
43 insensibili alla fame, alla sete e ai rumori esterni?» concluse con un sorriso soddisfatto. «Lo spero!» esclamò Orbiz, ritrovando, con inaspettato sollievo, un barlume di speranza. «E le sue guardie? Perché non sono tornate a riferire?» incalzò Bernt. In quello stesso istante, si sentirono rumori di cavalli all’esterno. Orbiz si precipitò alla finestra. «I miei uomini!» esclamò. «Mi scuserete signori», aggiunse, uscendo dalla stanza a grandi falcate. Raggiuse il piccolo drappello in pochi istanti. Suo figlio e gli altri maghi non c’erano. Il capo spedizione scese agilmente da cavallo e lo salutò con un inchino profondo. «Mio Signore.» «Parla!» ingiunse Orbiz. «Il fuoco era ancora caldo, di un giorno al massimo, ma l’accampamento era vuoto. Abbiamo ispezionato l’area e siamo riusciti a trovare uno dei maghi. Ci ha riferito che si erano sparpagliati per cercare la giusta concentrazione; non mi ha saputo dire dove si trovasse Siorn, il mago era un po’… distratto! Non siamo riusciti a portarlo via, ha detto che si sarebbe suicidato se l’avessimo fatto!» Orbiz rifletté: le pozioni che i maghi usavano per poter effettuare il rito erano potenti allucinogeni e questo spiegava il comportamento alienato del mago. «Come ti è sembrato il campo?» chiese. «Era in ordine.» «Avete controllato nei dintorni?» «Sì, mio Signore! Non c’era traccia del passaggio di cavalli o uomini.» «Bene!» concluse Orbiz, con il cuore più leggero. Inviò un gruppo di guardie a sorvegliare il campo, fino a che i ragazzi non avessero completato il rito, e tornò dai consiglieri. Quando lo videro entrare con un’espressione soddisfatta e serena, si scambiarono occhiate interrogative. «Signori», esordì Orbiz, «i miei uomini hanno riferito di non aver trovato i maghi, tranne uno, ma il campo era in ordine e non c’era alcun indizio di incursione esterna.» «Dunque, per il momento, il pericolo è rientrato!» dedusse Alzar. «Syria è ancora nelle loro mani!» protestò Orbiz serio. «Certamente e non intendo sminuire la cosa! Ma il rapimento di una donna significa richiesta di riscatto, non guerra!» sentenziò, mitigando
44 l’affermazione con un breve sorriso. «Avrai il nostro appoggio Maestro Orbiz, ma sono sicuro che, un mago potente come te, non avrà difficoltà a sgominare una gruppo di banditi ignoranti!» I Consiglieri si scambiarono sguardi incerti, ma la decisione era presa e, alla luce dei fatti, non c’erano valide ragioni per un’azione bellica contro le Terre del Vento. Erano tutti molto delusi: l’eccitazione della guerra imminente era svanita e la stanchezza di una notte insonne stava prendendo il sopravvento. Orbiz lasciò la Casa Comune con sentimenti contrastanti: da una parte era felice e sollevato per suo figlio Siorn, dall’altra lo preoccupava la pianificazione delle sue prossime mosse. Adesso che era rimasto solo, doveva gestire le operazioni di salvataggio con efficacia e rapidità. Gli altri Consiglieri lo avrebbero tenuto d’occhio e avrebbero valutato ogni sua azione: c’era in ballo la vita di sua figlia, ma soprattutto il suo onore e il suo prestigio! *** Stefan sbadigliava sonoramente, trascinando i piedi già da un po’. Syria pensò che fosse arrivato il momento per una piccola pausa. In fondo lei era riuscita a dormire qualche ora nella grotta, lui, invece, camminava senza sosta dal pomeriggio. «Fermiamoci un minuto a riposare: sei sfinito e, se ci prendessero ora, non mi saresti di alcun aiuto!» lo apostrofò. Stefan annuì, riconoscente, ignorando totalmente l’insulto; gli si chiudevano gli occhi e faceva fatica a controllare gli arti inferiori. Lasciarono il sentiero e si inoltrarono nella boscaglia in cerca di un anfratto in cui nascondersi. Trovarono un piccolo spiazzo riparato; Stefan si sdraiò sotto un grosso cespuglio di cerfoglio e raccolse attorno a sé alcuni rami frondosi: perfino da molto vicino risultava perfettamente mimetizzato. Anche Syria era stanca, ma non voleva dormire. Si sedette su un sasso piatto a riflettere. Aveva calcolato quattro o cinque ore di cammino per raggiungere la base della montagna e, una volta arrivata al primo villaggio, avrebbe dichiarato la sua identità, chiedendo di essere accompagnata dal Signore del luogo. Era certa che le avrebbero messo a disposizione una carrozza per tornare a casa e quella triste avventura sarebbe certamente finita entro la mattinata.
45 Allungò le gambe, sospirando. Questa sosta era una scocciatura! Avrebbe potuto abbandonare Stefan e proseguire da sola, ma non era sicura di conoscere la strada; perdersi in quei luoghi, pieni di crepacci e di animali selvatici, avrebbe potuto essere davvero molto pericoloso. Mentre rifletteva, la stanchezza si fece sentire e gli occhi le si chiusero una volta. Si alzò di scatto, per scacciare il torpore prima che prendesse il sopravvento; girò su sé stessa, guardandosi intorno in cerca di un’ispirazione. Alla fine decise di fare qualche passo, per distrarsi e, anche, per cercare indizi che le permettessero di valutare più dettagliatamente la sua posizione attuale. Fece un pezzo di strada a ritroso, stando ben attenta a imprimersi nella memoria i punti di riferimento che le avrebbero permesso, sucessivamente, di tornare da Stefan. Arrivata al sentiero lo attraversò, procedendo nella direzione opposta. Dopo aver camminato per un breve tratto nel bosco, raggiunse una piccola radura che terminava, bruscamente, in un ripido strapiombo. Mosse un passo sul prato e lo sentì umido e morbido sotto i leggeri sandali di cuoio, che le aveva dato Isma a completamento del suo travestimento. L’aria era frizzante e le prime luci dell’alba inondavano l’orizzonte con un tenue bagliore rosato, estremamente suggestivo. Si lasciò trasportare dalla magia del momento e proseguì, incantata, fino al bordo del precipizio. Si trovava sul versante più esposto della montagna e, sotto di lei, alla fine del crepaccio, si snodava un fiume pieno, dalle acque agitate. Respirò profondamente, godendo della sensazione di pace assoluta che quel luogo meraviglioso le stava regalando. Sollevò le maniche del vestito e allargò le braccia, assaporando i primi raggi del sole sulla pelle. Dopo qualche minuto, rilassata e soddisfatta, si sedette sull’erba a gambe incrociate. Chiuse gli occhi. Si sentì pervadere da una calma totale e inaspettata. In un istante, sentì il suo corpo leggero, come se fosse fatto di una materia impalpabile ed eterea. Nonostante avesse gli occhi chiusi, poteva osservare il paesaggio, con una precisione e una chiarezza di dettagli che la sua vista normale, pur ottima, non le avrebbe mai permesso.
46 Attorno a lei, gli alberi muovevano piano i rami frondosi nella fresca brezza del mattino incipiente; era in grado di identificare, tra le foglie novelle, le priccole gemme appena spuntate, gonfie di linfa e bagnate di rugiada. Fu sopraffatta da una gioia immensa e si sentì totalmente in pace, come non si era mai sentita in vita sua. Sentì che la sua essenza si espandeva all’esterno, toccando la natura che la circondava, con dita sensibili e delicate; poteva riconoscere distintamente i canti degli uccelli e i rumori e gli odori del bosco. In un momento di pura beatitudine si sentì tutt’uno con l’universo. Mentre ancora godeva di questo stato di estasi, percepì che la sua anima veniva risucchiata verso l’alto. Si trovò proiettata tra le nuvole filacciose, in un cielo appena rischiarato dalle prime luci dell’alba. Pensò che quello fosse il paradiso. Dall’alto poteva vedere la montagna: il suo aspetto aspro e frastagliato, il fitto bosco che la abbracciava nella parte inferiore, diradandosi via via e lasciando il posto, verso la cima, a brulli terrazzamenti rocciosi e scoscesi pendii. Poi, senza averne coscienza, cominciò a muoversi. Dapprima fu solo un lento scivolare, sulle ali della corrente; poi si trovò, intenzionalmente, ad accellerare la sua corsa. Il vento, che scorreva forte sul suo corpo, era inebriante e l’eccitazione che provava quasi esplosiva. La sua essenza rideva, urlando euforica, mentre sfrecciava tra le nuvole. Ben presto raggiunse lo spiazzo dove era stata tenuta prigioniera, lo riconobbe all’istante e si fermò. Dopo un attimo di esitazione, decise di avvicinarsi, curiosa di vedere come appariva l’intera area dall’alto. Riconobbe le braci del bivacco e l’ingresso della piccola grotta; la roccia era stata completamente spostata di lato. C’era fermento: gli uomini si muovevano avanti e indietro, dedicandosi alle attività più disparate; osservò la scena divertita: i piccoli uomini sotto di lei si affaccendavano come formiche in un brulicante formicaio. A un certo punto, però, la tranquilla routine quotidiana venne interrotta dall’arrivo di un gruppo di cavalieri che si avvicinavano al passo; tra loro c’era un corpo senza vita, riverso sulla sella. Si stupì di trovarlo, in qualche modo, familiare. Gli uomini si fermarono, scesero da cavallo e trascinarono il corpo a terra. Guardò, attonita, il volto esanime.
47 “No!” gridò nella mente; poi, improvvisamente, un milione di scintille le esplosero nella testa e sentì che veniva risucchiata verso un buio freddo e profondo.
48
CAMBIO DI PROGRAMMA
«Svegliati! Svegliati!» bisbigliava una vocina dolce e delicata. «Apri gli occhi! Apri gli occhi!» le faceva eco un’altra voce gentile. Syria sentiva il suo corpo riprendere lentamente le forze. Le voci continuarono a spronarla, sussurrando piccole esortazioni. Sbatté le palpebre diverse volte, prima di riuscire a mettere a fuoco le immagini. Era sdraiata su un fianco, con le mani legate dietro la schiena e il viso rivolto verso un grosso masso coperto di muschio. Le tempie le pulsavano e un dolore lancinante le perforava il cranio. «Scappa! Scappa!» la esortò la voce alzando il tono di un’ottava. Sollevò lo sguardo, ma non vide nessuno. Testò le corde tirando le braccia: i nodi attorno ai polsi erano ben stretti, ma le gambe erano libere. Pensò di passare subito all’azione, ma per potersi alzare doveva, prima, voltarsi. Si mise in ascolto, cercando di percepire i suoni dietro di lei. Non c’era alcun rumore. Si mosse leggermente. «È ora di scoccare la seconda freccia!» borbottò una voce maschile all’improvviso. Syria si bloccò. Il cuore prese a batterle all’impazzata. Sentì dei rumori a qualche metro di distanza, poi dei passi che si avvicinavano; chiuse gli occhi, cercando di rimanere totalmente immobile. Due stivali infangati si fermarono a pochi centimetri dalla sua testa. «Dormi, dormi, principessina!» cantilenò una sgraziata voce maschile. L’uomo prese l’arco e raccolse da terra una freccia, con la punta ricoperta di tela, imbevuta di una sostanza oleosa. Andò al fuoco, avvicinò la freccia e, quando giudicò che la fiamma sulla punta fosse sufficiente, la incoccò e la scagliò alta nel cielo. Aspettò di vederla ridiscendere, con una parabola ampia e lenta. «Bene», esclamò soddisfatto.
49 Tornò indietro, gettò un’altra occhiata sprezzante alla giovane e sputò di lato. «Schifosi aguzzini!» commentò con disgusto. Appoggiò l’arco alla parete di roccia, fece qualche passo, si stiracchiò rumorosamente, si grattò e sputò di nuovo. «La seconda freccia l’ho lanciata: dovrebbero essere qui tra meno di mezz’ora», calcolò. «È arrivato il momento di una bella cagata!» dichiarò rozzamente. Com’era buona norma anche tra i paesani meno educati, si allontanò dal bivacco, scomparendo nella vegetazione, qualche metro più in là. «Ora! Ora!» incalzò la vocina. Syria si guardò nuovamente intorno: non c’era davvero nessuno, a parte una coppia di passeri appollaiata in cima al masso; li fissò e le parve che gli uccelli le restituissero lo sguardo. Scacciò il pensiero, ma decise di fidarsi della voce e passò immediatamente all’azione. Rotolò sulla schiena e, con un grugnito, si girò sull’altro fianco. “Queste maledette corde!” pensò. Piegò le gambe e sollevò il busto, puntellandosi con il gomito. Improvvisamente i legacci cedettero. La spinta la fece barcollare e si trovò in ginocchio, con le braccia allungate di fronte a sé; al polso destro penzolava una lunga corda, appoggiata mollemente. La osservò, sconcertata. “Com’è possibile? I nodi erano stretti! Ne sono assolutamente sicura!” rifletté. Poi si riprese. “Al diavolo!” concluse. Si alzò e si acquattò dietro al masso. Sentiva la voce sguaiata dell’uomo nella boscaglia: stava cantando una canzone popolare e non sembrava aver alcun pensiero al mondo. Si mise in cerca di un’arma e trovò un grosso ramo nodoso, che, probabilmente, serviva come bastone nelle camminate in alta montagna. Lo soppesò tra le mani e giudicò di poterlo usare efficacemente, nonostante fosse piuttosto pesante. Si preparò ad affrontare il malvivente non appena fosse tornato, ma, improvvisamente, sentì un rumore alle sue spalle. Si guardò intorno in cerca di un riparo.
50 Notò un gruppetto di betulle alla sua sinistra e vi si buttò, senza pensarci troppo; quando realizzò che il rumore proveniva proprio da quella parte, si sentì mancare. Gli alberi erano giovani e il loro tronco non molto grande, ma lei era abbastanza minuta da poter sperare di non essere vista. Strinse forte la gonna tra le gambe, per impedire che l’azzurro della stoffa la tradisse. Da dove si trovava non poteva vedere un granché, ma mise tutti i sensi all’erta, pronta a scattare non appena fosse stato necessario. I passi si avvicinarono lentamente: chiunque fosse stava cercando di non fare rumore. Syria si preparò a colpire: strinse forte il bastone tra le mani e lo sollevò sopra la testa, tenendosi nascosta. L’ombra procedeva furtiva, muovendosi da un riparo all’altro; quando fu abbastanza vicina, la ragazza balzò fuori attaccando il nuovo arrivato con il grosso ramo. Fermò il colpo a pochi centimetri dalla sua testa. «Che diavolo ci fai qui?» bisbigliò ansimando. Stefan la guardava a occhi sgranati, paralizzato dalla paura. «Stavi per ammazzarmi!» balbettò. Syria appoggiò il bastone a terra, puntellandosi e cercando di riprendere fiato. «Non dirmi che stavi venendo a salvarmi?» domandò poi, sarcastica. «Certo!» fece lui, ancora scosso per lo scampato pericolo. La ragazza ridacchiò. «Ero appostato dietro quei massi, in attesa del momento migliore per liberarti!» «Mio eroe!» lo canzonò, ma in cuor suo era davvero felice di vederlo: non era sicura di poter affrontare l’aggressore da sola e l’aiuto di Stefan era proprio quello che ci voleva. «Dov’è?» chiese lui. «È andato nel bosco a fare i suoi bisogni, ma tornerà presto! E ha anche già dato l’allarme, tra poco arriveranno i rinforzi: dobbiamo muoverci!» Stefan annuì e fece per tornare indietro, verso il loro precedente nascondiglio. «Ehi!» lo chiamò Syria. Il ragazzo si voltò, con aria interrogativa. «È un esploratore: ci riprenderebbe subito! Dobbiamo farlo fuori!» Stefan sgranò gli occhi. «Cosa? E come pensi di fare?» domandò. Syria mostrò il bastone.
51 «Io lo distraggo e tu lo colpisci!» Stefan scosse il capo. «Non se ne parla! Sono un giardiniere, non un assassino!» si schermì. Syria sbuffò esasperata. «Perché non gli tiri una freccia?» suggerì lui. Guardarono entrambi in direzione del masso: poco distante da dove si trovava lei appena qualche minuto prima, era appoggiato un arco di medie dimensioni e di fattura accettabile, e, proprio accanto, una faretra apparentemente ben fornita. Si scambiarono un cenno d’intesa e si mossero insieme. Syria passò il bastone a Stefan e afferrò l’arma, poi scivolarono dietro il masso, in attesa. Respiravano appena, mentre l’adrenalina entrava in circolo, acuendo i sensi e accelerando i battiti. Syria sentì l’aria fresca solleticarle il viso mentre il cuore le martellava furioso nelle orecchie; teneva gli occhi fissi nel punto esatto in cui aveva visto l’uomo scomparire, con i muscoli tesi fino allo spasmo. Dopo un tempo che parve infinito, il malvivente sbucò dalla boscaglia, continuando a canticchiare quella canzone oscena, di cui sbagliava il ritmo e le parole. Syria inspirò, prese la mira e, appena fu ben visibile, tirò. Lo prese al collo: la freccia gli attraversò la giugulare, uscendo dalla parte opposta. L’uomo spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa, poi si accasciò a terra, senza emettere alcun suono. I ragazzi rimasero un momento immobili, entrambi sotto choc per l’accaduto. Era successo tutto così in fretta! «Cos’ho fatto!» esclamò Syria con un filo di voce. Cominciò a tremare, le gambe le cedettero e cadde in ginocchio. Fissava la pozza di sangue rosso e vischioso che si stava allargando accanto alla testa dell’uomo, bagnando la brulla terra del bivacco. Non aveva avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava facendo e ora la realtà le appariva in tutta la sua angosciante crudezza. «L’ho ammazzato!» esclamò con voce incerta. Non era la prima volta che uccideva. Era andata a caccia abbastanza spesso, e aveva ucciso diversi animali: lepri, fagiani, montoni; persino un grosso cervo una volta! Il ricordo la fece fremere: le era così dispiaciuto! Lo aveva colpito al collo, esattamente come aveva fatto ora.
52 Stefan fu il primo a riprendersi. «Andiamo!» la esortò tirandola per la manica. La ragazza esitò. «Syria muoviti se ci trovano ci fanno a pezzi! Dobbiamo scappare subito!» Lei lo fissò. Riconobbe l’ansia e la paura negli occhi scuri dell’amico e ritrovò la lucidità. «Hai ragione!» esclamò annuendo. Fecero qualche passo, poi le venne un’idea. «Aspetta!» lo fermò. Si avvicinò all’uomo, con cautela. «Cosa vuoi fare?» chiese Stefan preoccupato. «Non abbiamo cibo, né acqua! Voglio vedere cosa c’è nella sua bisaccia.» La aprirono con circospezione, cercando di ignorare, deliberatamente, la raccapricciante sagoma insanguinata che giaceva lì accanto. Trovarono viveri, utensili e abiti di scorta. Syria la richiuse stringendo forte i legacci, poi si allontanò veloce, entrando nel bosco; Stefan fece qualche passo, poi si fermò. «Aspetta!» la chiamò. «Dobbiamo andare dall’altra parte! Di qui si torna verso l’accampamento!» la mise in guardia. «È esattamente dove voglio andare!» esclamò Syria. Il ragazzo trasalì, sgranando gli occhi per lo stupore. «Non puoi essere seria!» Per tutta risposta, Syria buttò a terra la sacca e la aprì, rovistando all’interno. «Ora mi infilo questi vestiti orrendi, poi ci mettiamo in marcia e ti spiego tutto!» ordinò con piglio deciso. Stefan non riusciva ad accettare la cosa: la guardò a lungo, cercando di saggiare la sua determinazione. «Allora? Che fai lì impalato? Girati!» gli intimò. Era sicuramente molto determinata! Si voltò, completamente frastornato per tutto quello che stava accadendo: Syria che aveva ucciso un uomo con un solo colpo, che si metteva i suoi vestiti pulciosi e puzzolenti e che, soprattutto, voleva tornare nel luogo della sua prigionia! «È uno scherzo! Non è possibile che tu ti stia mettendo quei vestiti!» «L’abito è troppo ingombrante, la gonna si impiglia dappertutto! Avrei voluto lavarli, ma non c’è tempo!»
53 Stefan rimase in silenzio per un istante. «Ma dove vuoi andare? Avevamo un bel piano; facile e ben strutturato! Perché adesso vuoi tornare indietro?» piagnucolò. La ragazza non rispose. «La botta in testa che ti ha dato quello schifoso deve averti fatto perdere la ragione!» insistette. «Andiamo!» fece Syria ignorandolo. Infilò il vestito nella sacca e si mise in marcia. Stefan esitò. Per un momento fu tentato di lasciarla al suo destino, poi si riprese: se l’avesse fatto il rimorso lo avrebbe tormentato per tutta la vita, senza contare le conseguenze che avrebbe comportato per la sua famiglia! Accelerò il passo, per raggiungerla. «Hai detto che mi avresti dato delle spiegazioni!» esordì. «Shh!» fece lei, improvvisamente in allarme. Si acquattò tra i cespugli. Stefan la imitò anche se non sentiva alcun rumore. Restarono immobili, completamente in silenzio per alcuni minuti; alla fine, Stefan sbuffò: era chiaro che Syria fosse andata fuori di testa! Fece per alzarsi, ma lei lo bloccò, afferrandogli il braccio con forza; mise l’indice sulla labbra, facendogli segno di stare in silenzio e tornò a concentrarsi con lo sguardo fisso in direzione del sentiero. Dopo pochi istanti sentirono gli zoccoli di cavalli al passo. “Se la prendono comoda”, pensò Syria con un po’ di disappunto; le donne erano sempre sottovalutate, soprattutto le rampolle viziate dei ceti alti. I due uomini passarono affiancati, chiacchierando. Stefan era allibito: come aveva potuto sentirli con così tanto anticipo? La fissò, incredulo. Lei non ricambiò lo sguardo e quando ritenne che i cavalieri si fossero allontanati abbastanza, si alzò e si mise a correre. «Ehi!» si lasciò sfuggire Stefan; poi si affrettò a raggiungerla. Syria correva veloce e agile come un cerbiatto e non si era mai sentita così viva. Stefan, appena dietro di lei, si muoveva rapido, facendo pochissimo rumore, anche lui completamente a suo agio in mezzo alla vegetazione. Corsero per quasi un’ora, poi raggiunsero un piccolo spiazzo riparato e si fermarono. Nel fitto del bosco, a ridosso della montagna, trovarono un prato verdissimo, punteggiato qua e là da fiorellini gialli e azzurri.
54 Una sottile cascata cadeva ripida attraverso una fessura nella roccia e alimentava una piccola pozza di acqua cristallina. Stefan rimase a bocca aperta per l’emozione. «È bellissimo!» commentò senza fiato. «Già», ammise la ragazza. «Come facevi a conoscere questo posto?» chiese allibito. «L’ho visto!» rispose lei semplicemente. Syria si avvicinò alla riva, prese la borraccia dalla sacca dell’uomo e la sciacquò parecchie volte. Poi la riempì e la rimise via. Bevve avidamente dalla cascata e si bagnò il viso, il collo e le braccia. Sospirò, soddisfatta. Stefan era rimasto immobile, ai margini del prato. «Coraggio, vieni a darti una rinfrescata!» lo invitò. Il ragazzo la raggiunse alla pozza. Si sedette sui talloni e la guardò negli occhi con intensità. «Chi sei tu?» chiese poi cupo. Gli occhi azzurri di Syria ebbero un guizzo di divertimento, poi si fecero seri. Si sedette a gambe incrociate e gli raccontò la fantastica esperienza che aveva vissuto prima di essere aggredita: aveva sentito il bosco, guardato con gli occhi della mente, volato in cielo come un uccello. Da lì aveva visto questo piccolo prato e altri luoghi bellissimi, custoditi dal grande monte Arba; poi gli raccontò dell’accampamento e del motivo per cui doveva tornare indietro. «Quei bastardi hanno preso mio fratello!» esclamò con un filo di voce. «Ho visto il suo corpo, tirato giù dalla sella e buttato nella polvere senza rispetto, come fosse un sacco di grano!» Stefan era spaventato e confuso. «Ma lui era… come sai se… voglio dire…» balbettò. «Non so se è vivo o morto», lo interruppe. «Ma devo scoprirlo e se è vivo, salvarlo; se non lo è, vendicarlo!» Stefan abbassò gli occhi. L’esperienza mistica sulla montagna l’aveva cambiata nel profondo: questa nuova Syria, agguerrita e determinata, lo lasciava interdetto! Lui, però, non era certo un eroe e glielo disse. «Siamo solo due: un giardiniere e una donna e loro sono tanti! Almeno una cinquantina di uomini al campo e molti di più sparsi sulle montagne tutto intorno. Quello che dici non ha senso! È un suicidio! E io non voglio morire!»
55 Syria lo guardò seccata. Gli dava fastidio il modo in cui aveva detto che era una donna, come se fosse un insulto! Ed era seccata che lui fosse tanto restio: l’aveva seguita e l’aveva liberata, perché mai ora si tirava indietro? «Fai come credi!» tagliò corto alzandosi. *** ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD
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