Le note del mare, Piera Grandola

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In uscita il 31/4/2018 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2018 (3,99 euro)

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PIERA GRANDOLA

LE NOTE DEL MARE

ZeroUnoUndici Edizioni


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LE NOTE DEL MARE

Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-211-9 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Maggio 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


Dopo l'istante magico in cui i miei occhi si sono aperti nel mare, non mi è stato piÚ possibile vedere, pensare, vivere come prima. Jacques-Yves Cousteau



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PROLOGO

Sarebbe stata l’ennesima delusione e ne era consapevole, ma non poteva negarsi quel brivido di speranza che lo scuoteva ogni volta. Seduto alla scrivania del suo nuovo ufficio di New York, accanto alla moglie Helena, attendeva con impazienza l’arrivo dei suoi uomini fissando la porta di vetro sottile che non ne voleva sapere di aprirsi. Il sole penetrava pigramente attraverso le finestre spalancate, portando con sé un soffice venticello che mitigava quella giornata afosa di inizio settembre. «Rilassati, caro. Questa volta ci siamo, dobbiamo avere fede». Jonathan strinse la mano della bellissima donna che tentava invano di consolarlo, ma non riuscì a ricambiare lo sguardo di lei temendo di scorgervi i suoi stessi timori o, peggio, le sue stesse aspettative. In fondo al loro cuore, entrambi ne erano consci, ogni anno le possibilità di ritrovarla diminuivano. Potrebbe essere già morta, gli sussurrò un’insidiosa vocina nella sua testa ma l’uomo non voleva contemplare quell’ipotesi. Semplicemente non poteva accettarla. L’ambiente sconosciuto riempito da mobili sterili, vuoti e privi di qualsiasi ricordo, non contribuiva ad alleggerire l’atmosfera pesante che aleggiava nell’aria.


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Le lancette dell’orologio a muro parevano essersi fermate del tutto. Possibile che quell’aggeggio si fosse guastato? Quell’attesa era insostenibile. «Abbiamo fatto il prima possibile, signore». Due energumeni dall’espressione indecifrabile, con il viso fasciato da un paio di occhiali scuri, fecero finalmente irruzione dalla porta. «Non teneteci ancora sulle spine, è lei?» tuonò Jonathan con il tono più imperioso di cui fu capace. Tuttavia il tremito nella sua voce non si poteva nascondere. «Abbiamo fatto tutte le ricerche del caso e sì, l’abbiamo trovata». Un singhiozzo soffocato uscì dalle labbra di Helena. «Possiamo esserne certi?» continuò lui. «Anche l’ultima volta dicevate lo stesso». «Constatate voi stesso, signore» disse il più anziano dei suoi dipendenti, porgendogli una foto leggermente sgualcita. Jonathan l’agguantò diffidente. Poi vide i suoi occhi, il sorriso divertito, la grazia con la quale posava. Forse erano solo i vaneggiamenti di un povero padre disperato ma avrebbe potuto giurarlo: quella era la sua bambina.


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CAPITOLO 1

Per la prima volta in vita sua, Selena si rese conto di essere nervosa all’idea di salire sul palco. Cominciò a muoversi per scaricare l’adrenalina, saltellando da un piede all’altro; il cuore le rimbombava così forte nel petto che quasi sembrava sovrastare la performance dell’altra band. Sbirciò il pubblico da dietro le quinte, accertandosi ancora una volta che il locale fosse semi-vuoto. In realtà, non era la folla a spaventarla bensì il pensiero di esibirsi davanti ai suoi genitori, Nora e David. Si mordicchiò il labbro ripensando all’ultima furiosa litigata con la famiglia che, quando si trattava di musica, non la prendeva sul serio. Forse se avesse dimostrato loro quanto era migliorata negli ultimi tempi, avrebbero capito. Le avrebbero concesso una chance. «La vuoi smettere di mangiarti il lucidalabbra? Ci ho messo mezz’ora per sistemarti il trucco». Lesley, la sua migliore amica, la raggiunse e le ripassò con calma uno strato leggero di trucco sulle labbra carnose. Era l’unica, tra i suoi compagni, a essere presente quella sera perché il giorno dopo il terribile professore di fisica aveva fissato il primo compito in classe dell’anno. «Mi fa male la gola» annunciò Selena con voce roca. «Forse dovrei tirarmi indietro, non posso cantare così».


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«Non fare la vigliacca adesso» la rimproverò la ragazza e, senza tanti complimenti, la lasciò da sola ad affrontare le sue paure. Un paio di braccia ricoperte di tatuaggi le cinsero la vita in un abbraccio affettuoso. «Tra cinque minuti tocca a noi. Mi raccomando, state pronti». Non c’era tempo per i ripensamenti, questo era il suo momento. I riflettori le illuminarono i fluenti capelli biondi tra i quali faceva capolino una ciocca color magenta. Lentamente si portò sul centro del palco, rifiutandosi di lasciarsi deconcentrare dalle preoccupazioni che, in quei giorni, avevano fatto da padrone alla propria vita. Impugnò il microfono, si concentrò sulle note malinconiche che fuoriuscivano dagli strumenti e tutto il resto svanì come d’incanto. Ora era da sola con la sua musica e il pubblico era solo una massa di volti sfocati, null’altro. La prima immagine che il suo campo visivo registrò quando emerse dallo stato di trance fu il bellissimo sorriso di un ragazzo.

Il locale fumoso e accogliente lo confortò un poco. Alexander non era abituato a frequentare gli ambienti degli umani perciò, sebbene la situazione sembrasse tranquilla, continuava a guardarsi intorno con aria furtiva. Si ritrovò a pensare che un drink avrebbe potuto allentare la tensione, gli sgabelli liberi accanto al bar costituivano una tentazione irresistibile. Tuttavia quella era la prima missione che gli veniva affidata, e


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bere in servizio non era certo nei piani. Doveva ammetterlo, quando lo avevano convocato non si aspettava nulla di simile: fare da balia a una bambinetta era un compito piuttosto deludente. C’era molto più di questo in ballo e quell’incarico era determinante per le sorti del suo popolo ma, anche se Alex lo sapeva bene, non si sentiva pronto a riconoscerlo. Già aveva provveduto a rifornire il suo arsenale con armi di ogni tipo e ora gli toccava stare in disparte mentre i suoi compagni si preparavano a fronteggiare le vere minacce. Si specchiò nell’enorme vetrata sul fondo della sala. Le luci cangianti e psichedeliche distorcevano i suoi zigomi alti, le labbra appena imbronciante, i capelli scuri e ribelli. Una rossa con una scollatura vertiginosa gli sorrise ammaliante, ma Alex non si soffermò a guardarla. Invece fisso l’ora seccato: era già piuttosto tardi e si domandò quando avrebbe visto la ragazza della foto. La band che si stava esibendo sul palco faceva pena e quello strazio stava diventando fastidioso. Forse i suoi standard erano troppo elevati, probabilmente avrebbe dovuto essere più indulgente ma non si sentiva in vena di complimenti. «E ora diamo il benvenuto a un gruppo fenomenale» annunciò quello che doveva essere il presentatore con un po’ troppo entusiasmo. «I ragazzi non hanno ancora un nome ma vedrete che vi stupiranno con il loro sound». Finalmente un applauso tiepido accompagnò l’ingresso in scena di Selena Winter. In principio Alex era stato scettico ma, dopo averla vista dal vivo, i dubbi si stavano in fretta dissolvendo: non poteva essere


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che lei, pensò rapito. Aveva le onde fra i capelli, gli occhi che si inabissavano nel blu tipico delle profondità marine e, soprattutto, una voce meravigliosa. Era una di loro. Per qualche istante Alex non riuscì a formulare nessun altro pensiero di senso compiuto; poteva solo ascoltare il richiamo melodioso cercando di non annegare in quel vortice senza fondo. Il batterista tatuato era più che mediocre e anche il ragazzo che strimpellava con la chitarra ci sapeva fare, ma nessuno avrebbe potuto far caso a loro. La voce di lei era talmente ipnotica da catturare gli umani come tante piccole prede indifese. Prede inconsapevoli che quella ragazza sul palco non era l’ennesima aspirante celebrità, bensì la figlia del re degli oceani.


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CAPITOLO 2

Selena si avviò con passo fiacco verso i camerini. L’eco degli applausi ancora le risuonava nelle orecchie e persino la severa critica di Lesley, che si era autoeletta manager della band, era stata clemente. Eppure, nonostante l’esibizione riuscita, non poteva gioire; una sorta di strano malessere le aveva preso lo stomaco e le costole. Si ritrovò le mani sudate e appiccicose, perciò pensò che forse una doccia l’avrebbe aiutata. «Sono così orgogliosa di nostra figlia, è stata incredibile. Non immaginavo nulla di simile». La voce della mamma la raggiunse da un punto imprecisato davanti a lei. Si avvicinò alla porta degli spogliatoi e la trovò lì, insieme a David, che confabulava. Qualcosa la trattenne dall’entrare e così rimase sulla soglia a origliare quell’interessante conversazione. «Penso che sia arrivato il momento di essere onesti. Non voglio più rimandare» continuò Nora decisa. «Se non ci decidiamo a confessarle la verità, potremmo perderla per sempre ed è l’ultima cosa che voglio». «Non è una decisione che possiamo prendere stasera, amore». Questo era David con un tono angosciato che Selena non gli aveva mai sentito prima. «Incoraggeremo la sua passione per il


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canto, ma questo è tutto. Non possiamo comunicarle, come se niente fosse, che è stata adottata. Sarebbe uno shock troppo grande da digerire». In quel preciso istante la vita di Selena si fermò. Sedici anni di bugie le piombarono addosso come un’inarrestabile frana. La stanza cominciò a inclinarsi pericolosamente e il dolore si fece quasi insopportabile. Un mormorare concitato la raggiunse, ma il suo cervello aveva rinunciato a elaborare qualsiasi tipo di informazione. Se fosse riuscita a procurarsi un po’ d’acqua, probabilmente si sarebbe ripresa, ma prima che potesse anche solo muovere un muscolo, il buio inghiottì ogni cosa. Anche i due estranei che aveva sempre chiamato mamma e papà.

Il giorno dopo per Selena alzarsi fu particolarmente sgradevole. Avrebbe potuto rimanere a casa, al caldo sotto le coperte, protetta da altre rivelazioni spiacevoli, ma questo significava che avrebbe avuto attorno i suoi genitori per tutta la giornata e ancora non se la sentiva di affrontarli. In cuor suo non era arrabbiata, solo terribilmente delusa. Nora e David si erano presi cura di lei da quando era in fasce, l’avevano amata e sostenuta ma non avevano mai trovato il coraggio di essere sinceri. Allo specchio la attendeva la sua immagine stanca, con due occhiaie da primato sotto lo sguardo lucente. Non sarebbe bastato tutto il correttore del mondo a coprirle. Prima di cambiare idea e nascondere la testa sotto il cuscino,


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Selena si fiondò in bagno per una doccia veloce. La pelle, rinvigorita dal contatto con l’acqua calda, immediatamente divenne più luminosa e morbida. Il vapore appannò i vetri e invece di una doccia di dieci minuti la ragazza rimase a mollo per almeno mezz’ora. Aveva pochissimo tempo per finire di prepararsi, ma quando si precipitò davanti allo specchio per truccarsi ogni traccia di spossatezza era svanita. Le guance avevano riacquistato il loro colorito naturale e un viso radioso era riflesso al posto della sua faccia da funerale di poco prima. Quella doccia aveva fatto miracoli. Peccato che il flusso bollente non potesse cancellare anche la smorfia di angoscia che le incurvava la bocca. Evitò di indugiare oltre e scese velocemente le scale seguendo l’invitante profumo di cappuccino. Dopotutto quello che era successo avrebbe dovuto avere una fame da lupi ma si limitò a spiluccare distrattamente un croissant confezionato. I sorrisi tirati e le frasi fatte dei genitori non aiutavano né l’appetito né la sua voglia di chiarire. Aveva bisogno di tempo e la famiglia avrebbe dovuto accettarlo. Percorse distrattamente il tragitto che la separava dall’istituto scolastico, ignara del paio d’occhi che la scrutava durante il percorso. Davanti al suo armadietto un’apprensiva Lesley riuscì finalmente a riportarla nel mondo reale. Indossava un paio di jeans attillati abbinati con una camicetta vintage di colore chiaro; le sopracciglia castane erano inarcate in un’espressione


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di disappunto. «Si può sapere dove cavolo eri finita? Ho chiamato cinque volte e ho lasciato tre messaggi ma non ti sei mai degnata di rispondere. Sei andata via senza neanche salutare ieri sera». «Lo so, devi scusarmi. Il fatto è che è successo un casino e non ho avuto modo di avvertiti». Lesley rimase in attesa di spiegazioni soddisfacenti per il comportamento insolito dell’amica ma, quando vide che non arrivavano, cominciò a spazientirsi. «Fai sempre così, in questo periodo. Non mi racconti mai nulla, devo sempre scoprire tutto da sola. Dimmi la verità, ha forse a che fare con Brett? Ho saputo che si è deciso a rompere con la ragazza perciò ho pensato che voi due…». Selena scosse la testa energicamente. In un altro momento quella notizia l’avrebbe riempita di gioia perché, era inutile negarlo, aveva preso una sbandata niente male per il bel batterista che la accompagnava durante le esibizioni. Ora, però, aveva la testa da un’altra parte. «Ti prometto che più tardi ti racconterò ogni cosa, ma prima ho bisogno di superare indenne questo schifo di giornata. Non riesco neppure a trovare l’orario in questo caos di armadietto». La bocca di Lesley si aprì in una o rotonda. «Non dirmi che ti sei scordata del compito di fisica. Se è così, devi essere davvero sottosopra, mia cara studentessa modello!». «Questa volta non ho scampo» mormorò Selena improvvisamente consapevole di ciò che la attendeva da lì a pochi minuti. «Sai che devo mantenere una media alta se voglio che i miei genitori continuino a lasciarmi cantare». «Dai, scommetto che te la caverai come al solito» la incoraggiò


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la compagna che aveva preso a guardarsi intorno senza più badarle. «Non per metterti ancora più sotto pressione ma c’è un tipo che ti fissa da quando sei entrata». La campanella, con un trillo insistente, soffocò ogni altra osservazione, e prima che Selena potesse voltare la testa per sbirciare la sagoma scura era già svanita.

A metà mattinata, Alexander era decisamente abbattuto. Tenere d’occhio la principessa Selena in una scuola così grande si stava rivelando un’impresa tutt’altro che semplice. Gli umani avevano la straordinaria capacità di rendere complicate anche le cose più elementari, constatò il ragazzo, cercando di districarsi in quel labirinto di aule tutte uguali. Fingersi uno studente gli costava non poca fatica e, la sua collezione di gaffe era in continuo aumento. Scelse un banco in ultima fila e si preparò all’ennesima lezione della giornata. Il professore di storia spiegava senza entusiasmo, con voce monocorde, perdendosi in prolissi commenti, tanto dettagliati quanto inutili. Durante la sua ora Alex si ritrovò addirittura a rimpiangere gli allenamenti corpo a corpo che, nel corso dell’addestramento, gli avevano lasciato ben più di un livido. Istintivamente si passo la mano sul ginocchio destro dove ancora portava il segno di uno scontro finito particolarmente male. Al suono della campanella si lasciò guidare verso la mensa dal fiume di studenti che si riversava fuori dalle classi. Prese un vassoio e prima di rendersene conto si ritrovò in fila dietro tutti gli altri.


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Non prestò troppa attenzione al cibo, anzi, scelse un paio di pietanze a caso. A ogni modo, nessuno tra i cibi che aveva passato in rassegna sembrava essere particolarmente appetitoso. Doveva sbrigare la missione nel più breve tempo possibile, gli ordini erano stati perentori. Il punto era che non aveva idea di come entrare in contatto con quella ragazza. «Vostra maestà, non sarebbe più opportuno scegliere qualcun altro per quest’incarico?» aveva obbiettato debolmente quando era venuto a conoscenza dei piani del re. «Alexander, tu sei l’unica recluta abbastanza giovane per infiltrarti nella sua scuola, come studente». Il tono solenne del sovrano non ammetteva repliche. «Sei un coetaneo di Selena. Hai solo un anno di più, per lei sarà più facile aprirsi con te piuttosto che con altri». Tuttavia Alex aveva più di un dubbio. La ragazza sembrava ignorare completamente sia le sue origini sia le sue capacità e lui non avrebbe saputo da che parte cominciare a spiegare. Come se non bastasse, qualsiasi leggerezza da parte sua avrebbe potuto scatenare i sospetti dei nemici e mettere gravemente in pericolo la vita della principessa. Il filo conduttore dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da quella voce che gli era rimasta nel cervello. «Ti consiglio di lasciar perdere il pasticcio di verdure. L’ultima volta che l’hanno preparato una ragazza si è sentita male». Lei era comparsa chissà come alle sue spalle e gli stava rivolgendo la parola con semplicità e gentilezza. Il problema era che lui non era pronto. Non aveva pianificato ancora nessuna mossa. Aveva abbassato


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la guardia e si era lasciato cogliere impreparato perciò si limito a grugnire un rozzo «Grazie», e a sparire tra i tavoli, ignorandola. La peggior prima impressione di sempre.


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CAPITOLO 3

Selena, con la borsa a tracolla, scese frettolosa i gradini della metro rischiando di travolgere più di un passante. Qualcuno le urtò la spalla causandole una piccola fitta di dolore che le arrivò fino alla punta delle dita, ma lei evitò di badarci. Mentre si lanciava verso le porte della metro che stavano per richiudersi, si congratulò con se stessa per aver scelto il paio di ballerine più comode che aveva. Quel giorno, infatti, la ragazza aveva quello che riteneva l’impegno più importante della settimana: la lezione di canto. A farle da insegnante era una signorina giovane ma inflessibile, di origine francese, con una vera ossessione per la puntualità. «Un minuto e quindici secondi di ritardo, Winter» la salutò facendola accomodare nel suo appartamento accogliente e ordinato. A Selena indispettivano molto qui rimproveri perché, quando si trattava di cantare, voleva sempre dimostrare di dare il centodieci per cento. Inoltre, in generale, tendeva a essere sempre precisa in fatto di orari. Si accomodò nello studio della signora Deveroux, che era la sala più ampia della casa. La stanza era arredata con gusto: l’ambiente era luminoso e i colori chiari sia delle pareti sia dei mobili contribuivano a dare


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quell’idea di luce e spazio che si avvertiva appena si oltrepassava la porta scorrevole. Al centro della sala c’era un bellissimo pianoforte a coda, mentre a un lato erano esposti con cura alcuni strumenti a corda: una chitarra elettrica e un violoncello. La signorina Deveroux, che viveva negli Stati Uniti da poco, domandò con un leggero accento francese: «Hai svolto a casa tutti gli esercizi che ti avevo chiesto? Oggi vorrei provare un nuovo pezzo. Una ballata pop, per essere precisi». «Sì, signorina». Selena sorrise al pensiero di lasciarsi di nuovo trasportare dalla musica. Persino i pensieri sui suoi genitori sembravano averla lasciata in pace, annidati chissà in quale parte nascosta del suo cervello. L’ora che avevano a disposizione volò più veloce del previsto e, come a ogni fine lezione, Selena si ritrovò a supplicare per qualche minuto in più. «Siete sicura che l’intonazione di questo verso, andava bene? Potrei provare con una tonalità diversa». La signorina Deveroux annuì paziente, facendo ondeggiare il lucido caschetto di capelli neri. Aveva la pelle molto chiara e le labbra sottili sempre ravvivate da uno strato di rossetto rosso. «Très bien, mia cara. Non so neanche perché continui a venire qui. Dal piccolo passero spaurito che eri, ti sei trasformata in un usignolo melodioso. Ormai, c’è ben poco che posso insegnarti». «Non dica sciocchezze. Ho ancora molta strada da fare» si animò Selena che, a sedici anni e mezzo, non si sentiva per


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nulla pronta a percorrere la sua strada senza una guida. La ragazza salutò educatamente la donna e si infilò nel piccolo ascensore che l’avrebbe ricondotta a piano terra. Mentre le porte si chiudevano silenziose, con dei gesti meccanici, riaccese il cellulare che durante la lezione di canto doveva essere rigorosamente spento. Ad attenderla c’era un messaggio di Lesley. “Questo fine settimana mega-festa. Vieni da me per provare qualche vestito? Ti aspetto!” Selena si sentiva molto stanca ma, l’ultima cosa che voleva, era sorbirsi una delle scenate di Lesley del tipo tu-non-sei-unabuona-amica. Controllò l’orario e decise che c’era ancora tempo per tornare a casa.

Casa di Lesley si trovava in un quartiere abbastanza raccomandabile. Arrivarci in pieno giorno, o durante le prime ore della sera, era sicuro ma dopo un certo orario era consigliabile non farsi trovare per strada. L’appartamento della sua migliore amica era caotico e colorato ma in maniera piacevole: non c’erano ambienti realmente disordinati ma solo stanze vissute con qualche oggetto immancabilmente fuori posto. «Cosa ci fa il balsamo sul tavolino del soggiorno?». «Non chiedere» sogghignò Lesley, sfoderando la sua classica risposta. Per tutto il pomeriggio, le due amiche si scambiarono vestiti e consigli cercando il look più adatto per ognuna di loro. «A proposito, di chi è questa mega-festa?» chiese a un certo


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punto Selena, che si era appropriata del letto e se ne stava accovacciata tra due enormi cuscini. Le guance avevano assunto un colorito vagamente accaldato nonostante avesse le labbra incollate a una bibita fresca al gusto d’arancia con tante bollicine che fluttuavano nel bicchiere. «Non lo so. Di qualcuno del gruppo, credo. Ci sarà anche Brett, però. La sua prima uscita ufficiale dopo la rottura… Devi essere perfetta!». «Ma si è appena lasciato con la ragazza e non sappiamo nemmeno come sono andate le cose esattamente…». Selena pensò alla prima volta che aveva visto Brett. Lui era proprio affascinante con quel look da musicista ribelle e le aveva rapito il cuore. Avevano cominciato a suonare insieme e, per qualche momento, le era sembrato che davvero stesse per succedere qualcosa tra di loro. Dopo qualche settimana, però, aveva scoperto che lui era fidanzato con una certa Ashley e quindi era giunta alla conclusione di essersi immaginata tutto. «Uff, non ti preoccupare sempre per tutto» si lagnò Lesley infilandosi un top verde elettrico. «Che ne dici di questo?». In quell’istante, la porta si aprì rivelando una testolina piena di ricci. Tommy, il fratellino di Lesley, fece capolino nella stanza. Con i suoi cinque anni e la bocca sempre sporca di cioccolato era niente meno che adorabile. «Posso giocare con voi? Ho un costume da pirata bellissimo, molto meglio di tutti quei vostri vestiti da femmina». Selena sorrise e dimenticò di controllare l’orologio. Era ormai buio quando la ragazza si ricordò di dover tornare a casa. Mentre scendeva le scale del pianerottolo e finiva in una


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stradina vuota e poco illuminata, tutta la stanchezza di quei giorni le piombò sulle spalle. Il compito di fisica sarebbe stato innegabilmente al di sotto della media, i suoi genitori non erano i suoi genitori, una famiglia sconosciuta l’aveva abbandonata per chissà quale improbabile motivo e per di più ultimamente si sentiva sempre debole. Anche adesso il calore che le imporporava le guance era inspiegabile, una perlina di sudore le colava lungo la fronte e la vista era appannata come mai era stata prima di allora. Probabilmente le era salito qualche decimo di febbre perciò doveva farsi forza: chiamare la madre era l’unica soluzione. Tra l’altro, forse per colpa della suggestione, strani mormorii cominciarono a ronzarle nelle orecchie. Eppure, per quanto si girava e si rigirava, Selena non riusciva a scorgere nessuno al di là della propria ombra. Aprì il cellulare e si lascò abbagliare dallo schermo multicolor che aveva scelto. Digitare i numeri era così difficile, le mani non volevano saperne di muoversi nella direzione giusta. E mentre era lì che cliccava tasti a caso, incapace persino di aprire la rubrica, un paio di fari accecanti si diressero a tutta velocità verso di lei. Viva praticamente per miracolo, Selena fece un passo zoppicante verso un palo della luce e tentò con le ultime forze rimaste di aggrapparvisi. Come era possibile che si sentisse così spossata? La mano scivolò sul metallo caldo e la ragazza si preparò all’urto inevitabile della sua testa che si schiantava contro il marciapiede. Contro ogni previsione, invece, l’atterraggio fu morbido e indolore.


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Così Selena fece l’unica cosa possibile, si abbandonò a quello che sembrava un dolce abbraccio di nuvole. Alex era furioso di rabbia. Quell’irresponsabile di una ragazzina che si trovava tra le braccia era praticamente disidratata. Se fosse arrivato con qualche secondo di ritardo, Selena si sarebbe schiantata sull’asfalto del marciapiede. Da sola, al buio, in un quartiere a dir poco malfamato… Praticamente stava servendo la sua testolina su un vassoio d’argento ai nemici. A cosa servivano i sicari che probabilmente erano già sulle tracce della sirena? Selena era capacissima di mettersi nei guai da sola. Di malavoglia si diresse verso un pub a caso. Urgeva trovare un po’ d’acqua… A New York i punti di ritrovo non mancavano di certo, eppure poteva risultare sospetto infilarsi da qualche parte con una ragazza mezza svenuta che non si reggeva in piedi da sola. Come era possibile che Selena non si rendesse conto del cambiamento che stava subendo il suo corpo? Alla fine Alex scelse un locale piccolo in cui era già stato qualche volta prima di allora. Era un pub con i divanetti verde mela e le luci soffuse. «La mia ragazza non si sente bene» comunicò al proprietario, «portateci una bottiglia d’acqua fresca e in fretta, grazie». Seduti in un tavolino appartato, Alex cominciò a tamponare il viso accaldato della sirena con un fazzoletto di carta inumidito. Poi provò a posarle un bicchiere pieno d’acqua sulle labbra e sospirò di sollievo sentendo scendere la temperatura della ragazza.


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Nei primi tempi della trasformazione era più difficile resistere senza quel liquido che, per loro, era ancora più vitale rispetto alle altre specie viventi. A rendere il tritone ancora più arrabbiato era che quel viso bellissimo a pochi centimetri dal suo gli portava alla mente pensieri poco professionali… Selena era più bella di qualunque ragazza avesse immaginato nei propri sogni. Sarebbe stato perfetto in un’altra vita, in un altro mondo dove i loro ruoli non erano già così definiti. «Ehi, io ti conosco» sussurrò lei confusa, con la voce impastata dal sonno. «Tu sei il tizio che l’altra sera è venuto al concerto. E ti ho visto anche in mensa». «Devi bere di più. E non parlo delle bibite dolciastre che qui vanno tanto di moda» mormorò lui in tutta risposta, scorbutico. «Non lasciare che passi troppo tempo senza che il tuo corpo entri in contatto con l’acqua». «Cos’è, sei nella squadra di nuoto?» chiese lei, ancora fuori fase. «Sei molto carino…Come ti chiami?». «Alex. Ascolta, non ti sei sentita bene. Ti ho trovato per strada e ora ti sto aiutando. Questo è quanto». Selena aveva un sacco di domande che le frullavano per la testa ma poca forza per aprire bocca, perciò si accontentò di quella conversazione semplicistica che, in un altro momento, l’avrebbe di certo indignata. Chiuse le palpebre per quelli che le sembrarono pochi secondi e quando le riaprì si ritrovò davanti casa sua, con un taxi giallo che sfrecciava via e si perdeva tra le strade illuminate della grande mela.


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CAPITOLO 4

In the dark… In the light… Only you, It’s so right. Selena sospirò pensando al testo della canzone che proprio non riusciva a terminare. Erano passati pochi giorni dall’incontro con quello strano ragazzo, Alex. Le era sembrato più un sogno che una realtà, eppure aveva seguito i suoi consigli. Di solito come minimo passava un’ora e mezza della giornata a mollo nella vasca da bagno (di prima mattina verso l’alba), non usciva mai senza salviettine umidificate o senza due bottigliette d’acqua, e si sciacquava continuamente il viso e le braccia. You’re my ocean, always kind. in the caos of my mind. Selena stropicciò il foglio e controllò l’orologio. La festa alla quale doveva partecipare era in serata e lei non aveva ancora cominciato a prepararsi. «Tesoro, sono la mamma. Allora sei sicura che in questa festa


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non serviranno alcolici? Io e tuo padre siamo ancora un po’ scettici visto che sei stata così carente di informazioni». Selena aveva un paio di risposte pungenti in bocca ma, a volte, ignorare una persona fa ancora più male che urlarle contro, perciò si chiuse in un mutismo completo. «Io e David ci eravamo ripromessi di dirti tutto se i tuoi genitori biologici si fossero fatti vivi» disse lei con voce rotta dopo un lungo silenzio. «Pensavamo che qualcuno ti avrebbe reclamato prima o poi. Sei stata ritrovata a Central Park, vicino a una bambinaia che ha giurato di non averti mai vista prima. La prima cosa che ha fatto è stata portarti a una stazione di polizia». Il viso della mamma era calmo, ma nei suoi occhi c’erano lacrime di tristezza che minacciavano di colare giù da un momento all’altro. «All’inizio non si sapeva neppure il tuo nome. Ma quando ti hanno affidato alle nostre cure ho trovato sulla tua tuta da bebè una piccola targhetta con un nome ricamato sopra: Selena». La ragazza voleva gridare, lanciarle un cuscino contro, fare qualunque cosa per far smettere di parlare quella donna perché, particolare dopo particolare, la storia diventa sempre più vera… meno negabile. Era la sua storia. Non voleva che quella fosse la sua storia. Nei telefilm fanno sempre vedere questi poveri figli abbandonati che cercano i genitori biologici per mari e per terra. Lei, invece, provava solo odio e rabbia verso quelli incoscienti che l’avevano lasciata da sola nel bel mezzo di una metropoli. Che non l’avevano cercata per sedici anni. No, non voleva sentire questa stupida storia. Voleva solamente essere figlia di David e di Nora, come era


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sempre stato. La ragazza sbatté la madre fuori dalla porta e dopo aver poggiato la testa contro il muro freddo contò fino a dieci. E poi di nuovo, più lentamente. Alla fine, fece un bel sorriso e si preparò per la festa.

Alex si fece strada tra le centinaia di teste di estranei che gridavano a squarciagola o ballavano come impazziti al ritmo della musica. Quella mattina aveva ricevuto tramite cellulare una bella lavata di capo dal sovrano del suo regno, dopo aver riportato che i suoi progressi nei rapporti con la principessa non avevano fatto particolari balzi in avanti. Quella sera doveva darsi da fare. Comunicare a Selena qualche indizio che le facesse quantomeno sospettare qualcosa sulla verità. Sempre che lei si ricordasse della sua esistenza… Se non ricordava male, l’ultima volta che lo aveva visto aveva blaterato qualcosa a proposito della squadra di nuoto e poi era finita k.o. Una festa non era proprio l’occasione giusta per parlare in privato, eppure doveva trovare il modo per stare da solo con lei. Il party si svolgeva nel giardino anteriore di una dimora privata. Chiunque possedesse quella casa doveva avere molti soldi. Dopo molti saluti a sconosciuti e una tappa al buffet, di Selena ancora non si vedeva traccia. «Cerchi qualcuno, Alex?». Come al solito, la ciocca color


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magenta della sua nuova amica aveva la cattiva abitudine di spuntare all’improvviso e prenderlo alla sprovvista. «Nah, un compagno di scuola. Nessuno di particolare» rispose lui soffermandosi un po’ troppo sull’abitino di pizzo color panna che lei aveva deciso di indossare. Lesley aveva sbuffato per il modello semplice e troppo banale, ma a Selena piaceva quel vestito delicato che, pur non mettendo troppo in mostra, lasciava la schiena completamente scoperta. I capelli erano tirati su in uno chignon morbido. Solo la ciocca magenta sfuggiva, capricciosa, al fermaglio di strass. «Credo di doverti ringraziare. Non ricordo bene ma l’altro giorno mentre tornavo a casa di una mia amica ho avuto un malessere e…» Selena non sapeva bene come continuare. Era stata sempre un po’ fissata con Brett, il batterista della band, ma con Alex sentiva come una scintilla che la confondeva. Eppure lo aveva visto solo una manciata di volte. E non sapeva niente di lui, tranne che nelle occasioni in cui lo aveva incontrato lui si era comportato in modo piuttosto strano. Sì, certo era bellissimo ma… «Non ti preoccupare. Ti ho solo chiamato un taxi. Lo avrei fatto per chiunque» commentò lui come per sminuire l’intera faccenda. «Mi hai dato anche dei consigli, però. Qualcosa a proposito dell’acqua… Sembra che in questo periodo io non ne sia mai sazia». Dicendolo arrossì fino alla punta dei capelli. In fondo non era certa di quello che aveva sentito quella sera al pub e forse stava facendo la figura della stupida. «Ah, acqua… Be’…». Una palla fluorescente arrivò nella loro direzione. Non era proprio il momento di parlare di sirene e cose del genere quindi Alexander tentò di prendere tempo.


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«Mah… ecco… forse dovremmo allontanarci da questo caos e parlare più liberamente in un posto più tranquillo». «Ehi, come stai bene Sel». Il tipo tatuato che faceva parte della band si fece strada con disinvoltura verso i due ragazzi. Aveva i capelli color sabbia con un ciuffo sapientemente pettinato ed era dotato di un sorriso bianchissimo. Sembrava un tipo socievole e in gamba, ma fin troppo consapevole di esserlo e ansioso di sfoggiarlo. «Grazie Brett. Anche tu…» sorrise Selena dimenticando di presentare Alex che fu costretto a introdursi da solo. «Vorrei parlarti di una cosa importante» cominciò il tatuato mentre Alex diceva nello stesso tempo: «Be’, noi due dovremmo andare». Selena guardò i ragazzi che le stavano di fronte. Ognuno le stava chiedendo di seguirlo. Lei fissò prima l’uno e poi l’altro imbarazzata. L’istinto la faceva propendere per Alex, ma la ragione... «Alex, Brett deve parlarmi di qualcosa d’importante. Se quello che hai da dire può aspettare allora possiamo vederci dopo… che ne dici?» commentò Selena cercando di restare sul diplomatico e di non fare troppi voli pindarici con la fantasia. Alex avrebbe voluto intervenire ma qualcosa dentro di lui si bloccò. Probabilmente la consapevolezza che lui non poteva permettersi di fare il galante con Selena come quello sbruffone di Brett. Lui era lì per una missione. Una missione che le avrebbe sconvolto la vita. Probabilmente lei, una volta saputa la verità, avrebbe finito per odiarlo. Probabilmente era giusto concedere alla principessa qualche altra serata da ragazza normale, prima


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di trascinarla nel vortice soprannaturale che ogni minuto si faceva più pressante. Perciò se ne resto lì in silenzio, a guardarla andar via con un altro ragazzo. Brett condusse Selena in un salone con una vetrata ampia che irradiava i raggi tenui della luna per tutta la stanza. Lo stanzone era vuoto, tutti i loro compagni erano in giardino. A Selena venne spontaneo chiedersi se fosse possibile rimanere lì, ma aveva paura di aprire la bocca e interrompere l’atmosfera che si stava creando. «Bello qui, eh?». «Sì» rispose lei come in attesa di qualcosa. «Anche se sinceramente non ho ancora capito di chi è la festa». Brett sorrise e le prese la mano. Aveva un viso lineare, con due occhi quasi angelici, ma quell’immagine da santarellino veniva spazza via dal look un po’ ribelle e dalle braccia tatuate. Selena non amava i tatuaggi, ma quelli di Brett aveva un loro fascino: le spirali e i simboli scuri intrecciati tra di loro sulla pelle del ragazzo creavano un effetto ipnotico senza però risultare invasivi. Nel silenzio della stanza Selena sentì un vuoto che non avrebbe dovuto esserci. Avrebbe dovuto provare qualcosa che però non voleva saperne di farsi vivo. Un’accelerazione del battito cardiaco, un tremito delle mani e invece… nulla. «Allora, con la tua ragazza come va? O forse dovrei dire exragazza perché ho sentito che… ». «Tu mi piaci molto di più» disse semplicemente lui e la baciò. Il bacio fu intenso, piacevole, lungo … un bel bacio. Selena per qualche secondo smise di pensare… poi si staccò


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delicatamente da Brett in modo fin troppo tranquillo. Qualsiasi cosa ci fosse stata tra Selena e Brett almeno per lei sembrava essersi diluita in un tiepido interesse. Forse era solo l’ansia che le impediva di assaporare a pieno quel momento… «Cosa cavolo stai facendo, cretina che non sei altro! Non lo sai che Brett è il MIO ragazzo?». Ashley, o Stregashley come preferiva chiamarla Lesley, fece la sua comparsa a passo di carica nella stanza strattonandosi al seguito la sua immancabile amica di cui Selena non si era neanche mai disturbata a imparare il nome. «Veramente ci siamo lasciati tu e io…» rispose lui poco interessato. «Non ti ci mettere anche tu, testa vuota!» rispose lei, continuando a parlare a voce altissima. «Ci siamo presi una pausa, non lasciati». «E comunque» intervenne l’amica senza nome, «questa è casa mia e il mio party. Ladre di ragazzi, qui, non ce ne voglio! Sei pregata di andartene. Ora». Fantastico! Pensò Selena, Brett stava facendo il doppio gioco e quella che veniva sbattuta fuori dalla festa era lei. Mentre usciva dalla stanza con le guance color porpora, vide il batterista che le mimava con le labbra una frase del tipo «ti chiamo dopo». Prima di dormire, Selena si sarebbe assicurata di avere il cellulare spento. Che schifo di serata! L’unica cosa che avrebbe potuto farla andare peggio era vedere Alex che chiacchierava animatamente con una ragazza fornita di un bel caschetto di riccioli castani.


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Esattamente ciò che Selena vide mentre attraversava il giardino anteriore della casa e richiudeva dietro di sÊ il cancello della dimora privata, allontanandosi da quella festa da incubo. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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