Lupo Triste

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In uscita il 28/10/2014 (13,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2014 (3,99 euro)

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MASSIMILIANO MURGIA

L UPO T RISTE La storia dell’indiano che sconfisse George Armstrong Custer

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LUPO TRISTE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-805-3 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Ottobre 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


“Gli eventi sono in grado di mutare ognuno di noi” Un tributo al Popolo Rosso…



Dedicato a mio figlio‌



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Prefazione

In varie occasioni mi sono posto un quesito: per quale ragione qualcuno decide di iniziare a scrivere un libro? Ovviamente mi riferisco a coloro che prendono carta e penna per la prima volta, e non a scrittori giĂ affermati perchĂŠ, in questo caso, la loro diventa semplicemente una professione come tante altre. Ogni volta ho fornito una spiegazione diversa, senza peraltro scartare le motivazioni date in precedenza; ne sono scaturite una serie di argomentazioni che mi hanno affascinato e sono convinto che altre se ne aggiungeranno in futuro. Io credo che si possa decidere di scrivere qualcosa per puro diletto, o perchĂŠ si desidera raccontare la storia di un personaggio o trattare un argomento che ci interessa personalmente. In altre occasioni si vuole prendere spunto da fatti noti ma poco conosciuti, per condividerli con altre persone e per indirizzare nel contempo un messaggio o una filosofia di vita. In alcune situazioni, invece, lo scrivere ci aiuta semplicemente a scollegare la nostra mente dai problemi


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quotidiani, dalle ansie, dallo stress, permettendoci di sognare e liberare la nostra fantasia, qualità che in molti tengono repressa, impedendole di emergere. In casi più rari ci troviamo di fronte a qualcuno che scrive per raccontare in una qualche forma la propria storia, magari cambiando ambientazione, nomi o epoca, consapevole che lo scritto presenta precisi riferimenti autobiografici. E poi non dimentichiamoci di chi scrive perché quello era il suo sogno da bambino, del tempo in cui alla domanda “Cosa farai da grande?”, la risposta era la più inattesa “Vorrei fare lo scrittore”. Potrei aggiungere chi, con una certa presunzione, potrebbe sostenere di avere del talento innato e non riconosciuto, ma per fortuna non mi considero tra questi. Qual è allora la motivazione che mi ha spinto a pubblicare questo libro? Beh, per mia fortuna tutte e nessuna, nel senso che non ce n’è una predominante, ma tutte concorrono in modo più o meno rilevante alla mia decisione. In realtà queste pagine mi hanno permesso di viaggiare, nel tempo e nello spazio, di conoscere persone e luoghi meravigliosi, pagina dopo pagina mentre prendeva forma. Mi ha aiutato anche a superare un periodo difficile della mia vita, in cui “lui” era, al pari di un amico, l’unico in grado di distrarmi e di farmi compagnia la sera. E da padre, lo vorrei usare come un messaggero, per insegnare alcuni principi di vita a mio figlio. E molto altro ancora rappresenta per me…


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Come poter quindi ricompensare qualcosa che mi ha dato così tanto? Beh la risposta mi è venuta naturale… è un libro? L’unico modo che hai per sdebitarti è provare a pubblicarlo, dandogli una veste, una copertina, una struttura adeguata e un minimo di visibilità. L'oggetto - ho scelto questo tema perché ritengo che si parli troppo poco degli Indiani d'America (soprattutto in televisione), nonostante su Internet ci siano molti siti dedicati e parecchie persone interessate (e nei mercatini non mancano mai le bancarelle che vendono articoli etnici). Ho voluto anche proporre la storia di queste genti in modo originale e diverso rispetto a come ci sono state descritte finora, selvagge nei film western degli anni 40'-'50 o vittime inermi del colonialismo nei testi di storia. Io credo invece che si possa parlare di loro come di uno dei tanti popoli che hanno combattuto con onore per difendere la propria indipendenza e libertà e che hanno finito per soccombere solo grazie alla superiorità e alla crudeltà dell'avversario. La forma - ho scelto quella del romanzo storico, nel senso che volevo raccontare una storia di fantasia arricchendola di riferimenti storici, per conferire una certa veridicità al tutto e contemporaneamente fornire qualche spunto di riflessione. Per questa ragione in alcuni momenti ho volutamente rallentato la narrazione della vicenda, per soffermarmi su alcuni episodi reali che meritano a mio parere di essere assimilati e compresi, perché si dice che la storia si ripete e


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in troppe occasioni abbiamo assistito a episodi di crudeltà e di ingiustizia simili a quelli descritti. I tre protagonisti, Pentola Nera, Piccolo Lupo e Custer, sono tutti esistiti. Nel complesso, i fatti narrati relativi a Pentola Nera e Custer sono reali, mentre la finzione riguarda il rapporto di parentela tra Piccolo Lupo e Pentola Nera, frutto della mia fantasia, utile per creare una continuità narrativa tra due dei protagonisti. Anche la morte di Custer corrisponde a quanto riportato nei testi di storia, perlomeno dal punto di vista delle modalità, mentre l'autore è ignoto. Per quanto riguarda invece Piccolo Lupo, in realtà lui non ha partecipato alla battaglia del Little Big Horn e non era presente alle stragi dei villaggi Cheyenne, ma la seconda parte delle sue avventure sono reali (fuga dalla riserva, reclutamento come scout ecc.). Per quanto riguarda i contenuti direi che sono sempre di attualità: la persecuzione delle minoranze etniche, l'ecologia, la capacità e il desiderio di vivere in armonia con la natura, il rapporto tra padre e figlio, l'onore, la vendetta, l'amore per la propria donna e soprattutto la guerra, l'unico elemento presente in ogni tempo e in ogni luogo e che caratterizza l'essere umano.


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Ovviamente non m’illudo di aver scritto qualcosa di commerciale, ma non era mia intenzione puntare a questo. Ho semplicemente scritto qualcosa da cui ho tratto piacere, immaginando luoghi, genti, odori e sapori che ormai non esistono più. E se riuscirò a far assaporare anche solo a un lettore queste sensazioni, allora avrò raggiunto il mio scopo.



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Prologo

L’approssimarsi della stagione fredda annunciava l’ennesima dura prova per il popolo rosso. Come promesso, i viveri e le coperte erano stati consegnati in anticipo rispetto all’inverno precedente e forse Wakan Tanka, il Grande Spirito, avrebbe dovuto accogliere un minor numero di vecchi e bambini nei suoi verdi pascoli. Per la prima volta l’uomo bianco era stato di parola e questo era di conforto al suo animo, provato da tanti imbrogli e menzogne: forse si trattava di un segno del cambiamento, ma non s’illudeva. Probabilmente era dovuto a un tardivo rimorso, un timido tentativo di rimediare agli orrori commessi durante un’età senza gloria né onore. Al villaggio erano rimasti in pochi. Gli uomini erano a caccia o a raccogliere la legna all’interno della riserva, e 1 sulla strada si scorgevano solo le squaw e qualche anziano ancora in grado di rendersi utile. 1

squaw (donne indiane)


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Il vecchio indiano si accingeva a prepararsi il pranzo. La baracca si presentava in discrete condizioni, nonostante le dimensioni ridotte: un letto, un tavolo, due sedie e un catino per lavarsi costituivano l’arredamento. Fortunatamente era dotata di un braciere, che gli consentiva di scaldarsi, cucinare e asciugare gli abiti che alcune squaw lavavano per lui. L’età non gli consentiva più di procurarsi la legna, ma a questo pensavano alcuni giovani che s’impegnavano affinché la sua legnaia non ne fosse mai sprovvista. Stava terminando di consumare il pasto frugale, quando un’orda di piccoli indiani entrò rumoreggiando nella baracca. Con il freddo non potevano giocare all’esterno e quindi trascorrevano il tempo in compagnia degli anziani, dilettandosi ad ascoltare le vicende del popolo indiano e dei suoi eroi. Gli sguardi attenti, felini, riuscivano a trasferirgli l’ansia dell’attesa. Non capiva quel desiderio ossessivo di conoscere la storia dei loro padri, ma comprendeva la necessità di mitigare quello spirito guerriero dormiente nel loro cuore. Gli indiani nascono liberi, per combattere e per cacciare, questo il suo credo ed era consapevole che i Cheyenne, il popolo magnifico, si sarebbero lentamente spenti in quei luoghi. Nel suo animo la speranza aveva da molto tempo lasciato il posto alla rassegnazione, ma non voleva trasmettere quel messaggio ai discendenti del popolo rosso.


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Incrociò lo sguardo con alcuni di loro, il silenzio calò improvviso nella stanza e i giovani si sistemarono su alcune pelli intorno al fuoco. Il vecchio prese alcuni pezzi di pemmican, la carne di bufalo essiccata a cui aggiunse del grasso e qualche frutto selvatico, versò il contenuto in un tegame e lo mise sul fuoco per preparare piccole porzioni di brodo di carne da distribuire ai suoi ospiti. Sapeva che alla riserva il cibo era razionato e non gli dispiaceva dividere con loro il poco che aveva a disposizione, soprattutto in quelle occasioni. Narratore e spettatori sapevano che quei racconti non erano mai fini a se stessi, ma trasferivano sempre esperienze di vita preziose. «Oggi», esordì il vecchio indiano, «Vi racconterò una storia di amore, amicizia, ma anche di vendetta e ribellione; una lunga avventura ricca di promesse e delusioni, di guerra, persecuzione ma anche di ricerca della pace… questa è la 2 vita dell’ultimo valoroso guerriero del popolo Tsis-tis-tas, Piccolo Lupo, colui che ha vinto il viso pallido noto come 3 Lunga Capigliatura, il lungo coltello che i bianchi chiamavano George Armstrong Custer». 2 3

Tsis-tis-tas’ (nome con cui i nativi chiamavano i Cheyenne)

lungo coltello (soldato, il nome deriva dalla spada che portavano alla cinta)


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«I fatti che vi esporrò» precisò il vecchio «Appartengono in parte alla storia del nostro popolo, mentre altri li ho appresi direttamente dall’uomo bianco, nel corso degli anni trascorsi qui alla riserva. L’insegnamento che voglio tramandarvi» continuò, «Riguarda l’importanza del rapporto tra genitori e figli e tra popoli diversi e della necessità di una vita in simbiosi con la Madre Terra. Il mancato rispetto di queste leggi non scritte, come vedrete, può condurre a effetti terribili, spesso irreparabili, ma sempre e comunque devastanti…».


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Pentola Nera (Mokatavatah)

Quella notte la neve scendeva fitta, ricoprendo di uno spesso 4 manto il villaggio di Pentola Nera. Il Sachem era in attesa, fuori del tepee, della nascita del suo terzo figlio. Avendo già due figlie, desiderava ardentemente un erede maschio, ma non avrebbe di meno amato il nascituro, anche se fosse stato nuovamente femmina. Incapace di stare fermo, si avvicinò ad alcuni vecchi intenti a scaldarsi vicino al fuoco e in loro compagnia si accinse a pregare il Grande Spirito per il buon esito del parto. Improvvisamente un grido lacerante di Nuvola Bianca, la sua squaw, interruppe la preghiera. Rimasero tutti in un religioso silenzio, cercando di percepire altri suoni provenire dal tepee. Inizialmente incerto e lieve, poi sempre piÚ intenso, arrivò il pianto di un neonato. Inconfondibile per il padre, era generato da un maschio: le preghiere erano state accolte e Pentola Nera si sentiva in armonia con tutte le creature del mondo.

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Sachem (Capo del Villaggio)


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Si avviò alla volta del tepee e incrociò una vecchia squaw che vi usciva per portare la lieta notizia. Il Sachem entrò e si avvicinò a Nuvola Bianca; la donna, stremata, lo guardò sorridendo e lui le accarezzò a lungo i capelli, mentre il neonato continuava inascoltato a piangere. Fece un cenno alla donna che gli porse il piccolo. Dopo averlo avvolto in una pelle, lo portò fuori per mostrarlo a tutti. La sua comparsa sulla soglia fu accolta da grida e danze di gioia. Tutto il villaggio era in festa, nonostante fosse notte inoltrata, la neve cadesse copiosa e il freddo pungente. Pentola Nera era un Sachem saggio e coraggioso, amato dal suo popolo e rispettato dagli uomini bianchi, e il villaggio voleva partecipare alla sua felicità in quell’occasione. Dopo aver spogliato il neonato dall’improvvisato indumento, lo alzò al cielo inscenando anch’egli un canto propiziatorio. In quell’istante, un nitrito proveniente dal corral, avvertiva di una qualche minaccia e sul villaggio calò il silenzio. Si trattava però di un falso allarme; da un cespuglio, sul limitare dell’accampamento, si scorgeva una lupa in compagnia del suo cucciolo. Per qualche istante, forse incuriosito dall’agitazione che animava quel luogo, il giovane animale si fermò a osservare la scena. Subito dopo scomparve in direzione della madre, ma il Sachem interpretò la breve apparizione come un segno inviato dal Grande Spirito. «Il nome che porterai, figlio mio», annunciò «sarà Piccolo Lupo, perché questo è il volere di Wakan-Tanka, che io


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ringrazio per questo dono e prego affinché ti renda forte e sia sempre al tuo fianco per proteggerti». I festeggiamenti ripresero, ma poco dopo il freddo intenso spinse il capo tribù a congedare i partecipanti, che si ritirarono rapidamente al coperto, in cerca di sollievo. Anch’egli rientrò nel suo giaciglio in compagnia di Piccolo Lupo, nel frattempo addormentatosi nelle accoglienti braccia del padre. Una vena di malinconia e nostalgia lo colse. Nuvola Bianca la percepì all’istante, non c’erano segreti tra i due e lei era in grado di leggergli nell’animo. «Che cosa affligge il padre dei miei figli?» sussurrò la donna. «Conosco le tue inquietudini e i cattivi pensieri che ti assillano, ma, ti prego, stanotte non permettere che entrino nel nostro tepee». Quella richiesta, proveniente con un filo di voce dalla sua amata, ebbe l’effetto di destarlo dal torpore che lo stava avvolgendo. «Niente di cui debba preoccuparti» replicò il Sachem. «Adesso riposati, sarai stanca». Coprì gentilmente madre e figlio e attese che Nuvola Bianca si assopisse. Si alzò silenziosamente, restando alcuni istanti per ammirarli, così sereni e tranquilli, poi si diresse fuori dal tepee, in cerca di aria fresca. Aveva smesso di nevicare e nel cielo stava comparendo la luna, dapprima incerta, ma poco dopo chiara e splendente nella sua pienezza.


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Si accostò a un fuoco che si stava esaurendo e lo ravvivò con una lancia; poi prese il calumet, la sacra pipa che aveva con sé, la accese e inspirò alcune profonde boccate. I pensieri che inquietavano Pentola Nera erano rivolti alle sorti del suo popolo, sempre più incerte e ardue. Con il passare del tempo, più numerose erano diventate le richieste dell’uomo bianco e di conseguenza crescevano le privazioni cui dovevano sottostare gli indiani. Tutto era dovuto ai bianchi, la terra, gli animali, la vita stessa del suo popolo. La venuta dei visi pallidi aveva sconvolto l’equilibrio tra la natura e i nativi: le sterminate mandrie di buffali che solcavano le praterie erano state decimate e le migrazioni dei capi superstiti completamente stravolte. Erano massacrati per divertimento o per privarli delle pelli, e le carcasse venivano abbandonate, senza distinzione tra animali adulti o cuccioli. Numerosi cacciatori erano anche assoldati nella caccia alle mandrie, allo scopo di fornire il cibo alle infinite orde di manovali che procedevano alla costruzione della strada per il grande Cavallo di Ferro. Anche il territorio stava mutando rapidamente. Intere foreste erano state abbattute per costruire la strada ferrata, le città, le fattorie e per far spazio ai pascoli e alle coltivazioni. L’obiettivo finale ottenuto dai bianchi era di affamare gli indiani e costringerli a frequenti spostamenti, spingendoli in zone sempre più ristrette, aride e senza selvaggina.


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In questo modo le varie tribù delle Grandi Pianure del Wyoming venivano a contatto e finivano per combattersi, nel disperato tentativo di appropriarsi del poco che ancora era disponibile. Gli invasori beneficiavano quindi degli scontri tra le varie popolazioni indiane, troppo impegnate nella lotta alla sopravvivenza, per allearsi e creare un fronte comune da frapporre all’avanzata della civiltà. Nonostante fosse un guerriero valoroso, Pentola Nera aveva sempre tentato di evitare lo scontro con entrambi, cercando la coabitazione pacifica con i suoi simili e il dialogo con i bianchi. E quando non vi era riuscito, preferiva la guerriglia allo scontro diretto, soprattutto contro i bianchi, riuscendo sempre a spostare il conflitto su un terreno amico, lontano dal suo villaggio. La tutela di donne e bambini era per lui cruciale, se voleva garantire un futuro al popolo Cheyenne. Purtroppo non tutti al villaggio erano concordi con la sua condotta: alcuni giovani guerrieri premevano per la guerra e lui faticava nel tenerli a bada. La pressione esercitata dai vari fronti, nonostante il suo impegno, avrebbe condotto infine al punto di rottura; suo compito era cercare di rinviare il più possibile l’inevitabile. Distrattamente, inspirò più volte dalla pipa, ma il tabacco si era spento. Dopo averla ripulita, preferì riporla nel wampun


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che portava in vita, e decise di rientrare nel tepee per godersi il calore della sua famiglia.

Pentola Nera non immaginava che la gioia portata da quella notte sarebbe stata breve: oscure nubi si sarebbero presto addensate sui Cheyenne‌ )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


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