Quando toccammo la Luna

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Claudio Gattei

Quando toccammo la Luna

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QUANDO TOCCAMMO LA LUNA Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2010 Claudio Gattei ISBN: 978-88-6307-302-7 In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Giugno 2010 da Digital Print Segrate - Milano


L'illusione è il lusso della gioventù. Anonimo

La delusione della maturità segue l'illusione della gioventù. Benjamin Disraeli



Quando ho conosciuto Karl era un altro mondo. Un mondo lontano di tanto tempo fa dove oggi è impossibile che le nuove generazioni possano riconoscersi e quelle vecchie, come la mia, che continuano a subirne il fascino, si ostinano ad ignorare di aver generato l’attuale sistema. L’esatto contrario dei loro intendimenti. C.G.



7

I

La Mercedes Gialla scivolava imponente e maestosa sull’asfalto lucido. Lasciati alle spalle i rumori della città, s’inerpicava sicura sui tornanti che conducevano verso la quiete dei Castelli Romani. La bella giornata di sole di un’estate appena sbocciata rendeva piacevole il cammino e all’interno, mentre Sergio, alla guida, cercava di interessare la compagna con argomenti frivoli, Emma, seduta sul sedile di fianco, aveva per la testa altalenanti pensieri. L’espressione assorta e lo sguardo smarrito in mondi lontani, favorivano a tutta la sua bellezza di venire fuori con prepotenza per modellarsi sotto forma di un’intensa luce negli occhi e in un sorriso inquieto. Nonostante le cicatrici di una vita travagliata non fossero ancora del tutto rimarginate, il suo aspetto era fresco e giovanile. Aveva solo 35 anni e suo malgrado, vissuti intensamente. Gli eventi inaspettati e le drammatiche vicissitudini che si erano accavallate una dietro l’altra, non le avevano tolto la fiducia nel continuare ad andare avanti, la speranza in una vita migliore, e la capacità di commuoversi. Proprio come in quel momento di voluta e intima solitudine, quando lo scopo di quel breve viaggio le faceva oscillare il pensiero tra la tenerezza e il rimorso. Sergio, accortosi di quello stato, non poté fare a meno di guardarla. “A cosa pensi?” esclamò incuriosito. Lei si distolse e soffiando fuori un sospiro, rispose “Come sempre, ho la sensazione di aver sbagliato tutto e di essermene accorta troppo tardi.” “Ma di che parli?” “Di aver lasciato mio figlio in un collegio senza capire prima quanto mi sarebbe mancato e senza sapere mai quanto gli possa essere mancata io.” “Adesso è un po’ tardi per recriminare. Non credi?” “È appunto quello che sto dicendo. Arrivo sempre dopo.” “Non stai forse andando da lui per riportarlo a casa? Allora perché agitarsi? Rammaricarsi per un fatto concluso e definito è stupido, non por-


8 ta a niente e soprattutto non cambia le cose. Quindi smettila di tormentarti e pensa al dopo.” “L’ho abbandonato.” “Ma perché rendi sempre tutto così dannatamente difficile! Accidenti a te e ai tuoi maledetti sensi di colpa! Ne abbiamo discusso migliaia di volte e dobbiamo sempre ritornarci sopra! Lo abbiamo fatto per lui. Karl è un bambino irrequieto, aveva bisogno di essere seguito e formato in maniera decisa. Tu non ne avevi il tempo né la forza e a me non lo avresti mai permesso. Credimi il collegio era l’ unica soluzione e noi abbiamo fatto la scelta migliore.” “Per te era la scelta migliore, non certo per me.” “Mi sembra che poi eri d’accordo. A Parigi e a Praga non avevi queste perplessità o sbaglio?” le ricordò Sergio con sorrisi e sottintesi. “Manca ancora molto?” fece Emma cambiando argomento per sottrarsi a quel discorso imbarazzante. “No. Siamo quasi arrivati.” “Allora dai, sbrigati. Andiamo a prenderlo.” E a quella scossa di determinazione si accompagnò una forte accelerazione dell’automobile. L’Istituto di Santa Maria Vergine era un complesso scolastico molto stimato e apprezzato soprattutto da quei genitori che non avevano la voglia di spendere il proprio tempo nella formazione dei propri figli ritenuti, forse troppo frettolosamente, svogliati o negligenti. L’Ordine religioso che ne vantava la proprietà, si faceva carico di tale mancanza e ostentava senza modestia la prestigiosa considerazione che si era costruita col tempo. Vista la qualità del materiale da gestire, portava avanti il mestiere di Educatore secondo i canoni dell’autorità e della disciplina ottenendo ottimi risultati, almeno cosi sembrava o così credeva chi doveva pagare la cospicua retta. L’anno scolastico era terminato e i ragazzi erano in liquidazione. Chi in camera a preparare la valigia, chi in giardino a giocare e chi, come Karl, aveva appena finito di servire la sua ultima Messa. Da un finestrone del terzo piano era affacciato Matteo, un dodicenne minuto dall’aria triste e malinconica. Senza avere impegni immediati, visto che i suoi genitori l’avrebbero lasciato lì per tutta l’estate e per la stagione scolastica successiva, passava il tempo a guardare e controllare con curiosità tutto quanto avveniva di sotto e quando vide la Mercedes Gialla attraversare il cancello e fermarsi nell’area adibita al parcheggio, urlò “Karl sono arrivati i tuoi!”


9 Guardò scendere Sergio, appoggiarsi in stato di attesa sulla fiancata dell’automobile e accendersi una sigaretta. Con ammirazione seguiva ogni movimento di quella figura elegante, alta e atletica. I capelli leggermente lunghi e ben pettinati erano chiazzati di bianco sulle tempie e risaltavano sulla pelle abbronzata. Matteo pensò che i grossi occhiali scuri, indossati per dar maggior rilievo al suo charme dovessero nascondere chissà quali misteri. “Ma tuo padre è un attore?” domandò. “Quello non è mio padre. Ma quella che scende adesso è mia madre!” rispose Karl appena giunto a verificare. Con i capelli castani tagliati a caschetto e dentro la sua divisa blu da collegiale, Karl sembrava più grande dei suoi quasi 14 anni. E se la giacca e la cravatta, annodata sulla camicia bianca, gli conferivano un aspetto più serioso e importante, i pantaloni corti sotto il ginocchio, i calzini lunghi rigorosamente bianchi infilati dentro un paio di sandali blu, lo riportavano indietro, alla semplicità della fanciullezza e ai primi vagiti dell’adolescenza. A quell’adolescenza che stava esplodendo e cominciava a modificare i lineamenti delicati di un viso ancora acerbo. Il comparire della prima peluria sulle guance e la profondità dello sguardo stampata su due occhi irrequieti e impazienti, erano i segnali del passaggio dal candore lieve dell’innocenza al sapore salmastro della malizia. Scese di corsa giù per le scale trascinando e rovesciando tutto quello che gli si parava davanti. “Mamma, mamma…” urlò fino a che non si trovò abbarbicato dentro le sue braccia. “Karl… Karl!” fu il grido soffocato della madre, mentre lo stringeva forte al petto. Poi, sfilandosi da un abbraccio infinito, continuò a mantenere il contatto fisico nel toccarlo e nel carezzargli il viso. “Ma come stai?” “Adesso che ti vedo, meglio. Sei venuta a prendermi per portarmi via?” “Sì siamo venuti a portarti via. Io e Sergio. Hai visto è venuto anche lui, perché non lo saluti?” “Ciao.” fu il saluto a mezza bocca di Karl con il braccio appena alzato, ma rimanendo a debita distanza. Fissò con una certa ostilità Sergio il quale rispose con un sorriso a mezza bocca. Emma che era l’unica in grado di riportare stabilità a ogni situazione imbarazzante, si rivolse al figlio. “Adesso noi dobbiamo incontrare Padre Solano, ma faremo presto. Tu intanto ti vai a preparare e tra mezz’ora ce ne andiamo.”


10 “E dove mi porti?” “Ce ne torniamo a casa dove ci fermiamo qualche giorno. Poi partiamo per Viareggio e ce ne stiamo tutto agosto al mare. Io e te da soli. D’accordo? Vai ora, vai.” Licenziò il figlio con una carezza e rimase a osservarlo fino a che non scomparve poi, assieme a Sergio, s’incamminò verso l’ufficio della Presidenza dove attesero ancora a lungo prima che Padre Solano facesse la sua comparsa. Questi era il Rettore dell’Istituto e svolgeva quel ruolo da tempo immemore. Giunto alla soglia dei settant’anni godeva di incontrastato prestigio costruito giorno dopo giorno grazie a una vasta conoscenza del sapere che, abbinata a una sottile abilità politica, gli permetteva di imbastire rapporti importanti. Cucire e intrecciare relazioni con chi contava nel mondo esterno, sia quello ecclesiastico che ogni altro, in modo da mantenere sempre alta la sua reputazione. Esercitava con fanatico pragmatismo e autonomamente il governo del suo Istituto dove tutto doveva funzionare secondo i suoi rigidi dettami e nulla doveva incrinare l’ordine da lui costituito. Era lungo e asciutto come una pertica. Il processo degenerativo di un’artrosi in atto, oltre a costringerlo alla rigidità dei movimenti, aveva modificato il suo fisico fiaccato quotidianamente da atroci spasimi. Ma sapeva portarne il peso con cristiana sopportazione e ascetica volontà. Sottile come un’acciuga, non amava molto i piaceri della tavola, camminava a passo lento con le mani intrecciate come fossero perennemente in preghiera e i grandi occhiali, montati sopra un lungo naso aquilino, mettevano in evidenza due occhi stretti e affilati che incutevano timore in chiunque li incontrasse. Emma e Sergio attendevano il suo arrivo seduti sulle sedie del suo studio. Uno studio austero, spoglio, privato di ogni inutilità ed Emma lo ispezionava con gli occhi curiosi di chi vuole scoprirne i misteri. Una libreria alta fino al soffitto riempiva tre pareti e svolgeva bene la funzione di intimidire, con la vastità della cultura, chiunque fosse all’interno. La larga scrivania si imponeva per la sua essenzialità. Era nuda, scarna, completamente vuota, a eccezione di una bella penna stilografica in argento che risplendeva dal suo astuccio regale come a voler simboleggiare la pulizia, l’ordine e il prestigio. Ma dentro quell’ordine così lineare e rigoroso, agli occhi di Emma, stonò la presenza di un libro posato sulla scrivania. Emma chinò lievemente la testa di lato per controllare meglio e riconobbe una edizione pregiata de La Morte a Venezia di Thomas Mann. Sembrava come buttato, messo lì


11 appositamente per ostentare la seriosità e l’autorevolezza di quel luogo. Ma a Emma sembrava che creasse disordine, negligenza e lo giudicò decisamente fuori posto. Quando Padre Solano entrò nella stanza guardò le persone sedute che lo stavano aspettando e li salutò con la sua voce cupa e tenebrosa. “Signori, buongiorno!” “Buongiorno Padre.” rispose Emma alzandosi in piedi in segno di deferenza, ma qualcosa d’imprecisato, simile a un vento gelido, la costrinse a ritrarsi e fare un impercettibile gesto all’indietro come colpita dall’immediata antipatia che quell’uomo trasmetteva. “Siamo i genitori di Karl. Karl…” “Anche se è un’affermazione impropria e non particolarmente esatta, sappiamo chi siete. Lo sappiamo bene.” sottolineò Padre Solano. Poi, ad accentuare volutamente un’atmosfera di attesa, si soffermò più del necessario a osservare alcuni incartamenti. “Karl eh?… che ragazzino vivace! Ma dobbiamo farci i complimenti per avercela fatta.” “A fare cosa?” domandò preoccupata Emma. “A fargli conseguire la Licenza Media. Non era questo il vostro obiettivo?” Porse la pagella a Emma, mentre a Sergio consegnò un altro documento argomentando “Obiettivo raggiunto non senza difficoltà da parte di tutti e l’assegno che vorrà gentilmente compilare andrà a sanare oltre la retta anche il sudore e la fatica del corpo insegnante. È stata dura, ma ci siamo riusciti.” Prese l’assegno emesso da Sergio, lo controllò accuratamente e lo ripose in un cassetto della scrivania. “Dura per cosa, mi scusi?” fece Emma seriamente intenzionata a dare battaglia. “Vede Signora, suo figlio ha una spiccata propensione alla disubbidienza, ma di questo ne siete perfettamente a conoscenza altrimenti non l’avreste affidato a noi. Giusto?” Fece una pausa gelando con uno sguardo tagliente come la lama di un rasoio, una Emma sempre più a disagio e consapevole di non ottenere risposta alla sua domanda, continuò. “Nel nostro ingrato mestiere di educatori sappiamo di dover fare i conti con una vasta gamma di umanità, ma sappiamo anche riconoscere gli elementi molesti al primo sguardo, sappiamo come fronteggiarli e come curarli. In questo caso abbiamo sottomano uno studente pigro, demoti-


12 vato. Un ragazzino ribelle che non riconosce l’autorità, che non sa stare al suo posto e si intromette sempre in situazioni che non lo riguardano. Un piccolo arruffapopolo e non vi nascondo che qualche volta abbiamo dovuto ricorrere a piccole punizioni.” A Emma le si gelò il sangue. Stava per replicare ma Sergio la fermò col braccio e domandò “Ha mancato in qualche cosa di grave?” “Diverse volte, ma sono cose passate.” chiuse Padre Solano per poi riaprire un altro argomento. “Gli aspetti che ci preme analizzare e approfondire con voi sono altri. Quello del profitto, quello della personalità e soprattutto quello del suo prosieguo. I primi due aspetti sono strettamente legati e per dipanarli abbiamo bisogno di tempo. Karl, nonostante i suoi 13 anni è un piccolo adulto ma in balia delle correnti. Senza punti fermi.” “Io sono il suo punto fermo. Io e basta.” tagliò corto Emma sempre più indispettita. “Conosciamo bene la sua condizione familiare…” proseguì Padre Solano come se non fosse stato interrotto, cosa che tra l’altro detestava, e sottolineò questo passaggio con una sapiente pausa che zittì Emma e le fece abbassare lo sguardo in segno di pudore “… e questo ha influito pesantemente sulla sua personalità causando instabilità di carattere e precarietà nello studio. Ma ha enormi potenzialità. Un’intelligenza vivace e una fantasia inconsueta. Le dobbiamo incanalare nei binari giusti per evitare che vadano disperse, e se permettete un consiglio da chi ha maggiore esperienza di voi in materia, per vostro figlio sarebbe opportuno continuare le scuole superiori qui da noi.” “Vede Padre,” disse Emma prendendo la parola “io ho un debito di riconoscenza con lei e devo ringraziarla perché senza il suo aiuto forse mio figlio non avrebbe avuto questa occasione, ma adesso voglio essergli vicino io e Karl continuerà gli studi in un liceo statale di Roma.” “Scusate se insistiamo, ma per l’istruzione di Karl serve polso e la scuola pubblica è molle. Influenzata da un vento malato. E quel vento che oggi sentite soffiare fuori qui da noi non entra. Abbiamo chiuso porte e finestre.” “È inutile che insistiate Padre, me lo porto via.” “Rischiate di veder sfumate le sue possibilità.” “Correrò il rischio.” Emma si era alzata felice di aver messo la parola fine a una scomoda conversazione e quando uscì da quella stanza provò un senso di sollie-


13 vo, ma ancora turbata confidò a Sergio “Ma perché tutta quell’ostinazione nel voler trattenere Karl? Cosa vuole da lui?” “Continuare a incassare la retta?” “No. Non è solo quello. C’è dell’altro e ho paura a pensarci.” “Allora non ci pensare.” “Quell’uomo mi spaventa.” “Ma se è una persona così cara …” “Cara? È un nazista.” “Cara per quanto mi è costato. L’importo era così grande che non entrava nell’assegno.” replicò uno sconsolato Sergio e finalmente Emma sorrise. Raggiunsero il parcheggio dove Karl li stava aspettando con tanto di valigia al seguito. Emma lo abbracciò di nuovo, lo strinse forte, sempre più forte, per trasmettergli tutto l’amore e tutto l’affetto come a estinguere in un’unica rata un debito pregresso. Cercò le parole più dolci e dopo averle trovate le sciorinò una dopo l’altra come un devoto sgrana un rosario, ma al primo colpo di clacson di Sergio si interruppe dopo aver assicurato “È stata l’ultima volta, l’ultima. Non ci separeremo mai più.” “Giuramelo!” fece Karl esplodendo finalmente fuori tutti i rancori e le amarezze provate, sopite e accumulate per mesi. “Te lo giuro.” Poi, finalmente, si prepararono alla partenza. Padre Solano era ancora nel suo studio. In piedi, guardava fuori della finestra con le mani dietro la schiena, pensieroso e inquieto. Imponente come l’aquila reale, controllava dall’alto del suo nido il regno ai suoi piedi e quando vide la Mercedes Gialla in movimento, gli uscì un filo di voce. “Addio piccolo diavolo, mi mancherai.” Seguì il procedere dell’automobile fino a quando non fu fuori dall’ Istituto poi sollevò lo sguardo oltre il cancello e lo posò sulla veduta in lontananza di una città sterminata, frenetica e irrequieta. “Ma tu là dentro non avrai fortuna.” Chiuse la finestra e ripreso il tono superbo e solenne, tornò alle sue incombenze. Anche Matteo, il ragazzino minuto e curioso, era ancora lassù, appollaiato sul finestrone del terzo piano che si sbracciava e urlava. “Addio Karl non tornare più qui… l’abbiamo giurato ricordi? Non tornare… c’è un mondo nuovo là fuori.”


14 Karl, seduto in macchina, vide la figura esile di Matteo agitarsi e gesticolare da lassÚ, abbassò il finestrino e si mise a salutare con entrambe le braccia mentre sul viso di Emma comparve, imprevista e impietosa, una lacrima.


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II

Un’Italia sonnacchiosa e indolente consumava gli ultimi scampoli di vacanza e Sergio, alla guida della Mercedes Gialla, non voleva essere da meno. Era riuscito a staccarsi dagli impegni di lavoro per concedersi una pausa di una decina di giorni, gli ultimi di un agosto infuocato, da consumare in Versilia in compagnia di Emma di stanza in quei luoghi sin dai primi del mese. Divorava la Via Aurelia con velocità e potenza in direzione di Viareggio e per farsi compagnia, ascoltava il giornale radio. La notizia lo colse di sorpresa e gli suscitò forte apprensione. L’Unione Sovietica aveva invaso la Cecoslovacchia. La splendida Praga, che da sempre gli richiamava suggestioni poetiche nelle sue guglie e nei tetti rossi delle sue case, nei fascinosi tramonti sulla Moldava, e nei bei colori che Emma gli aveva fatto ammirare quando la luce del giorno si attenuava presto sulle mura barocche del quartiere di Mala Strana, si era svegliata con i carri armati in Piazza San Vencislao. E si spegnevano definitivamente le speranze di una primavera di libertà. Ma non erano le ragioni sentimentali, morali o politiche che turbavano Sergio. A lui della politica poco importava, il suo interesse si esauriva al momento del voto, rigorosamente governativo. La vera ragione era puramente economica e lo avrebbe investito direttamente con pesanti ripercussioni sulla sua attività di Import & Export che proprio a Praga aveva una sede operativa. Il denaro per Sergio rappresentava il primo valore. Ne aveva guadagnato molto scoprendo fin da subito il potere che tale elemento esercitava dedicando l’intera sua vita al lavoro, iniziato molto presto, rinunciando così ad acquisire un titolo di studio senza mai giungere a tardivi ripensamenti. Ma altrettanto denaro lo aveva speso per poter godere degli altri piaceri della vita. Quei piaceri che lo avevano portato ad amare le automobili, gli orologi, i vestiti, e le belle donne. Si era tenuto volutamente lontano da impegni vincolanti come il matrimonio, privilegiando rapporti più agevoli e leggeri, ma quando conobbe Emma perse di colpo ogni sicurezza rovesciando tutte le sue vecchie concezioni e alla soglia dei quarant’anni si mise completamente a disposizione. Aveva tro-


16 vato in lei la scelta definitiva, quella che gli imponeva di fermarsi, quella che gli avrebbe garantito l’immutabilità di un rapporto importante. Solo la ferrea volontà di lei, già toccata profondamente su quel tasto e con un figlio al seguito, gli aveva impedito per anni un legame stretto. Erano uniti, ma liberi e soprattutto ognuno a casa propria. Nonostante questo, Sergio considerava Emma e Karl la sua famiglia. Una famiglia ufficiosa alla quale, per farsi amare di più, non faceva mai mancare il suo apporto ritenuto, spesso, esagerato. E mentre Sergio, preoccupato, faceva i conti con l’Armata Rossa, Karl, abbronzato, faceva i conti con i primi turbamenti del cuore. Al Bagno Acqua Azzurra, vicina d’ombrellone di Emma e Karl, stava la famiglia Miranda, formata dalla madre e dalla figlia Diana. Il padre, un diplomatico venezuelano, era stato prontamente richiamato dall’ambasciata, causa la crisi internazionale, ed era tornato a Roma luogo dove risiedeva con la famiglia. Per effetto delle analogie di una situazione familiare comune, le due famiglie avevano legato e determinato un’assidua frequentazione. Dalla mattina al mare, ai pomeriggi in Pineta, alle passeggiate sul lungomare Carducci e qualche serata spesa meglio nella vicina Torre del Lago, luogo in cui l’amore per la lirica di due appassionate pucciniane, si consumava pieno cercando un improbabile rinnovo nelle nuove generazioni. Diana aveva quindici anni e in lei la bellezza era già sbocciata. Una lunga chioma di capelli corvini che le scendeva sulla schiena, incorniciava un bel viso rotondo dove le folte sopracciglia già curate con civetteria femminile, sormontavano due occhi grandi dall’intenso colore viola. Quando parlava, con una bocca succosa e ben delineata, faceva intravedere lo splendore di una dentatura perfetta dai larghi incisivi e quando il suo buon italiano scivolava nella cadenza ispanica, l’interlocutore si smarriva nelle sensazioni e nei richiami di una musica esotica. Il corpo sviluppato, che già evidenziava un seno esuberante e un fondoschiena ben tornito, si muoveva dentro un’andatura sinuosa grazie a due gambe snelle e slanciate. Karl, che non aveva dimestichezza ma soprattutto difese con l’altro sesso, si trovò ad avvertire sensazioni mai provate. Non avendo ancora ben chiari i segnali del corpo, la sua agitazione la percepiva più in alto, dalle parti del cuore, con fitte lancinanti, con rimescolamenti dentro lo stomaco dove profondi vuoti e buchi neri lo facevano precipitare al solo pensiero di quel viso sorridente e quando inciampava nei suoi occhi si bloccava nell’incertezza. Non capiva cosa


17 gli stesse succedendo, ma un senso di pudica vergogna gli impediva di fare domande e chiedere in giro. E quando stava con lei provava a sciogliersi dall’atteggiamento goffo e impaurito perdendosi in racconti fantasiosi e inventate narrazioni. Il piacere della lettura, che spaziava dai romanzi di Jules Verne tra i quali Dalla Terra alla Luna aveva un posto privilegiato, a quelli di Emilio Salgari con i suoi personaggi avventurosi ed esotici, la passione per il Cinema in cui ogni pellicola era un nuovo viaggio da esplorare e da immedesimarsi nei vari protagonisti, gli avevano stimolato fantasia e proprietà di linguaggio che lui usava in sua difesa nei momenti di difficoltà. A Diana piaceva Karl, lo trovava molto carino anche con quel viso imberbe, le piaceva ascoltare le sue evoluzioni dialettiche così colorate di inventiva. Per certe sue esigenze tentava di incoraggiarlo ad altro, stimolarlo, invitarlo a passi più decisi, ma l’unica reazione di Karl era uno sterile imbarazzo. E se la differenza di età li rendeva quasi coetanei, la differenza biologica creava una distanza incolmabile e lei, già signorina, avvertiva pulsioni che lui non avrebbe saputo ancora calmare. Emma riassaporava finalmente per sé un momento di serenità. Una serenità cercata con ostinazione, afferrata, trattenuta e poi sfuggita nei difficili anni del dopoguerra, quando appena ventenne e orfana di guerra, entrò come segretaria al Ministero dell’Aeronautica con la qualifica di Lavandaia di casermaggio. E lì imparò a conoscere e a difendersi dal variegato mondo degli uomini. Uomini anziani come il Dr Noja, che con educazione e rispetto la iniziavano al lavoro e ne apprezzavano le qualità lavorative e altri più giovani come il Dr Pinto, che con la villania e la prepotenza del ruolo di capo ufficio, apprezzava in Emma solo l’esteriorità, la bellezza e l’avvenenza, qualità che riteneva di poter disporre a proprio piacimento avanzando assurde pretese. Ai rifiuti, ritenuti affronti personali, rispondeva con piccoli soprusi e continui abusi di potere. Ma Emma non si dava pena più di tanto. Era distratta, ma soprattutto attratta da altro. Nella sua vita era entrato Alberto, uomo colto e fascinoso che aveva colorato di rosa i suoi giorni. Dalla Bassa Padana dove aveva combattuto contro tedeschi e fascisti e contribuito in maniera fattiva alla lotta di liberazione, era sceso a Roma per continuare nuove battaglie dentro il sindacato della CGIL e, come rappresentante dei lavoratori ospedalieri, era sempre in prima linea o come amava ripetere, sempre in corsia. E fu proprio in corsia che Em-


18 ma lo conobbe. Durante una visita al Policlinico, scambiandolo per un medico per via del portamento altero e di uno svolazzante camice bianco, gli aveva chiesto informazioni sullo stato di salute di sua sorella, lì ricoverata, poi entrambi avevano sorriso all’errore. Il fascino del partigiano, ultimo eroe moderno, aveva dilatato i giovanili sentimenti di Emma, che già sensibile e predisposta ai grandi temi sociali, si perse definitivamente nell’ascoltare i racconti della lotta clandestina; di staffette, giovani donne che in bicicletta raggiungevano i compagni nascosti in montagna a portare viveri e informazioni; di fazzoletti rossi annodati attorno al collo e poi sventolati in segno di riconquistata libertà. Ma fu quando lesse la lettera di Giordano Cavestro detto Mirko di soli 18 anni, partigiano, condannato a morte e fucilato il 4 maggio 1944 nei pressi di Bardi (Parma) assieme ad altri 3 ragazzi, che Emma prese coscienza e diede fiducia alle grandi speranze di un futuro immediato che sostituissero in fretta gli orrori e le brutture di un passato prossimo da non ripetere mai più. Parma, 4 maggio 1944. Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l'idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà. Fecero tutto molto in fretta. Il giorno del loro matrimonio avvenne con rito civile e a Emma che avrebbe preferito, più per tradizione che per credo, il rito religioso, stonò quel tanto da dispiacersene. Al bambino che venne al mondo qualche mese più tardi, fu imposto il nome di Karl in onore del più grande pensatore dell’800 dalle cui idee nacque il mondo nuovo. Poco tempo dopo, per quella sorta di rispetto o di timore che la gente semplice nutre verso la Chiesa, Emma, tenendo Alberto all’oscuro di tutto e accompagnata dalla sorella e dal cognato, si recò nella vicina basilica di Santa Maria Maggiore, dove Karl ricevette in gran segreto il sacramento del battesimo.


19 La vita di Emma sembrava incanalata nella giusta direzione. Non poteva desiderare di più e anche se trascorreva molto tempo da sola, visti i numerosi viaggi di Alberto impegnato a girare in lungo e in largo l’Italia, si sentiva felice e appagata. Quando tornò al lavoro, il Dr.Pinto la convocò d’urgenza nel suo ufficio e con una faccia strafottente mista di derisione e compiacimento, le disse che il contratto UNAL con cui era stata assunta, era scaduto e che non era stato rinnovato. “Scherza! Io non posso perdere il lavoro.” furono le prime parole di una esitante Emma. “Lo ha già fatto.” “Ma ho sempre lavorato sodo.” “Oltre all’applicazione serve il comportamento.” “E secondo lei come mi sono comportata? ” “Se si fosse dimostrata più gentile…” “Soprattutto con lei, vero?” “… se avesse smesso di indossare quegli orrendi vestiti rossi…” “Mi licenziate per il vestiario?” “… e se non avesse sposato un comunista, l’esito del contratto sarebbe stato differente.” “Oh finalmente c’è arrivato! Lei mi ha stupito lo sa? L’ho sempre considerata un codardo. Ma mi dica dove ha trovato il coraggio per dire la verità?” “Il suo contratto è scaduto e lei è fuori. Arrivederci.” Non sarebbe servito replicare ed Emma non replicò. Ma la rabbia che le ribolliva dentro, accumulata durante un anno intero di molestie e angherie, salì incontrollabile ed Emma, incapace di arginarla, la fece esplodere in un potente e sonoro ceffone sul viso del direttore che, colpito con violenza, stramazzò di peso per terra. Dopo alcuni attimi di sbigottimento, tentò di rialzarsi sollevandosi goffamente con l’aiuto dei bordi della scrivania e quando riapparve, la sua faccia arrossata mostrava una espressione strampalata tra il sorpreso e il ridicolo. Guardò Emma con stupore, ma gli occhi sbarrati, i capelli arruffati, la bocca aperta e la lingua mezza fuori, gli avevano tolto ogni autorità spogliandolo del suo ruolo per accostarlo sempre più alla figura di un minorato mentale. Rimase fermo lì in quella posizione e in quell’atteggiamento beota ad ascoltare le parole di Emma. “Adesso sì che le ho dato una buona ragione per licenziarmi. Così finalmente mi libero di lei e di tutto il sudiciume che marcisce nel pro-


20 fondo del suo animo. Ma la cosa più triste è che non riuscirà mai a disfarsene. Le resterà cucito dentro per tutto il resto della sua miserabile vita durante la quale continuerà a nascondere ciò che è sempre stato, un vigliacco. Dovrebbe vedersi ora con quella faccia da idiota! Adesso sì che mostra il suo vero volto.” Se ne andò sbattendo la porta rincorsa, fermata e confortata dal solo Dr Noja che le dimostrò una sincera solidarietà e tutto il suo rammarico per aver tentato in tutte le maniere di confermarla e di non esserci riuscito. Emma lo guardava, ma era ancora carica di collera. La grande stima che nutriva per quell’uomo, in quel momento non fu sufficiente a darle sollievo. Solo quando la sua ira fu del tutto sbollita, un gran senso di vuoto e di prostrazione si impadronirono di lei catapultandola nella nuova realtà. L’umiliazione e lo sconforto provati la infiacchirono fino a farla cedere. Con disperazione si aggrappò al Dr Noja in un abbraccio serrato poi, crollò in un pianto dirotto. Alberto prese la notizia in malo modo. Andò su tutte le furie ed Emma ebbe la sensazione di sentirsi ancora di più isolata, come se fosse la responsabile di quanto avvenuto. Seguirono tensioni, mutismi e i viaggi di Alberto si intensificarono. Nel momento di maggior disagio, le difficoltà di un rapporto nato troppo in fretta si accentuarono. Gli obblighi e le rinunce che la presenza di un bambino imponevano, il bisogno di sostegno morale ed economico di Emma e le sue continue richieste di una maggiore disponibilità ai ruoli di marito e di padre, per Alberto furono differenze culturali insormontabili e il contratto stipulato davanti allo Stato, si sciolse. Così nel breve giro di pochi mesi, Emma si trovò disoccupata, abbandonata dal marito e con un figlio piccolo da crescere. Non fu facile fare i conti con i problemi pratici e affrontare quelli psicologici. In preda a forti emicranie che la precipitavano dentro paurose crisi depressive, dovette sforzarsi di apparire normale malgrado i suoi occhi vuoti e assenti rivelassero una pena infinita. Doveva farlo per Karl, solo per lui, al quale evitava accuratamente di non trasmettere le sue ansie. Poi, in uno di quei brutti giorni, forse il peggiore, cercò disperatamente un appiglio, un sostegno che non fosse medicina o pianto e lo trovò. Scoprì di possedere dentro di sé una forza di volontà non comune e la usò. La usò per fronteggiare il dolore e riuscire a vincerlo. La usò per negarsi nuovi sogni. La usò per raccontare al figlio la verità. La usò per trovare il coraggio di liberare l’imprudenza dei suoi 22 anni e provò a ricominciare. Abbandonò i suoi luoghi, lasciò dietro di sé la


21 casetta in affitto di Piazza Vittorio, i sussurri e le malignità della gente, un passato doloroso, e con Karl in braccio si rifugiò a casa della sorella dove vennero accolti con calore. Ma la vita, come uno straordinario copione, continuava a riservarle altri colpi di scena. A distanza di un anno, si presentò alla porta del nuovo indirizzo una piacevole sorpresa. Fu proprio Emma ad andare ad aprire e rimase sbalordita nel vedere quel distinto signore togliersi il cappello in segno di rispetto, inchinarsi ed esclamare “Signora Emma, che fatica trovarla! Se sapesse da quanto tempo è che la cerco!” “Signor Nicola, ma che ci fa lei qui?” “Devo parlarle. Posso entrare?” “Oh mi scusi, è che sono rimasta sorpresa. Tutto pensavo meno che una sua visita. Prego si accomodi che le faccio un caffè.” “Grazie, un caffè è proprio quello che ci vuole.” “Ma come ha fatto a trovarmi?” Il Dr Nicola Noja le raccontò di essersi recato al vecchio indirizzo di Piazza Vittorio di essere stato informato dal portiere dello stabile di tutte le vicissitudini passate, ma questi non sapeva dirgli altro. Le informazioni si fermavano lì senza ulteriori tracce. Poi si ricordò che durante una conversazione, Emma gli aveva parlato della sorella ricoverata. Andò al Policlinico e inventando una storia credibile era riuscito, tramite la cartella clinica, a farsi dare l’indirizzo. “Ed eccomi qua. Come Sherlock Holmes, ho svelato il mistero.” “Sono proprio contenta di vederla.” “Anche io, molto. Ma non sono venuto solo a trovarla, devo dirle qualcosa d’importante.” Posò la tazzina e riprese a parlare con tono più serio. “Vede Signora, la ricostruzione del nostro paese procede a ritmo sostenuto e il Ministero dell’Aeronautica è in espansione. Ora si chiama Ministero dei Trasporti e nei pressi di Fiumicino è in fase di realizzazione un nuovo aeroporto con un nostro distaccamento. Io ho avuto l’incarico di dirigere un dipartimento e sto reclutando il personale. Ma ho bisogno di gente capace e se lei se la sentisse di darmi una mano…” Quello che Emma sentiva era solo il battito del cuore percuoterle il petto e una gran voglia di abbracciare quell’uomo e quando lo fece con eccessivo entusiasmo, urtò il cabaret e la zuccheriera, le tazzine e i piatti-


22 ni volarono in aria, si rigirarono e ricaddero in terra rompendosi in mille pezzi crepitando come fuochi d’artificio. “Signor Nicola, permette un’altra domanda?” “Prego, dica.” “Sempre Lavandaia di casermaggio?” “Nooo! Riordinatrice, ma sempre di casermaggio.” “E vai!” Fece Emma alzando il braccio in segno di giubilo. Al tredicesimo stipendio si concesse l’acquisto a rate della sua prima automobile e si trasferì con il figlio in una piccola casetta nel popoloso quartiere della Garbatella, in modo che gli spostamenti lavoro/casa fossero più brevi. Lentamente riacquistò fiducia e sempre più soddisfatta di sé e della sua autonomia, non pensava minimamente che di lì a poco altre novità nascoste dietro l’angolo, si sarebbero mostrate. Ora, dopo undici anni, sorrideva a quei ricordi. Trascorreva quella vacanza a Viareggio finalmente in tranquillità e la compagnia della famiglia Miranda con cui aveva imbastito un buon rapporto, le era più che sufficiente. I cacciatori estivi vedendola sola con figlio e di un’avvenenza fuori del comune, la considerarono subito una facile preda e le rivolgevano insistenti e fastidiose attenzioni. Lei, forte dei suoi trascorsi che l’avevano temprata, pensava di meritare maggior rispetto e con noncuranza li evitava tenendoli a giusta distanza per dedicarsi esclusivamente a Karl. Trovava appagante la gioia di essere presente nella sua crescita. I suoi occhi di madre provavano una tenerezza infinita nel guardare quel corpicino così lungo e tanto magro che il torace sembrava una radiografia. Trovarlo ancora infantile nei giochi di spiaggia con i compagni, esuberante e più ometto quando alla guida del Go-kart, spingeva sull’acceleratore concentrandosi sulle curve. Gioire all’ascolto degli sghignazzi e dei commenti che riservavano a Karl tutte le ragazzine del Bagno, infine vederlo fuori luogo e impacciato con Diana. Una notte, percependo dei rumori dalla stanza accanto, socchiuse piano la porta senza far notare la sua presenza e lo vide affacciato in finestra, tenero e malinconico come Pierrot, affidare i propri segreti alla Luna. Richiuse piano la porta e tornò a letto indecisa se sorridere o preoccuparsi. “Tu che ne pensi?” confidò a Sergio finalmente in relax a godersi un filo di sole sdraiato sotto l’ombrellone.


23 “È normale. Sta crescendo e vedrai che tra poco lascerà i romanticismi della luna per chiudersi dentro il bagno a…” le rispose ridacchiando. “Che poeta che sei!” “Forse ho più senso pratico.” “Quello che mi colpisce è la sua sensibilità.” “Sei la madre. Credi di avere un figlio speciale, ma è uguale, identico a tutti gli altri bambini della sua età.” “Sì forse hai ragione, ma ripensavo alle parole di Padre Solano. Nella capacità di comunicare con gli altri ha colto nel segno mentre le perplessità sul suo carattere difficile mi sembrano del tutto infondate.” “Stare con te gli ha fatto bene. E forse non solo con te.” osservò Sergio indicando Karl seduto sul bagnasciuga a conversare amorevolmente con Diana. “Guardalo là quanto è bello!” continuò Emma coinvolgendo il compagno in una smorfia sorridente. “Timido e indifeso di fronte allo splendore di quella ragazzina che se lo rigira come e quando vuole.” Karl invece non aveva alcuna voglia di ridere. La conversazione intrattenuta con Diana gli procurava solo dolore. “Così domani parti?” le domandò con l’espressione da cane bastonato. “Sì la vacanza è finita.” “Sentirò la tua mancanza.” le fece arrossendo. “Tanto ci rivedremo a Roma, no?” “È quello che spero.” “Certo. Teniamoci in contatto. Nell’attesa ti ho fatto un regalo.” “A me?” fece Karl sorpreso. “Sì a te. Ho letto questo libro e l’ho trovato bellissimo. Ti aiuterà a crescere più in fretta.” “Ma io non ho nessuna fretta di crescere.” disse Karl con un candore disarmante. “Purtroppo lo so.” rispose Diana sconsolata soffermandosi a guardarlo con occhi diversi. Più intensi, più profondi. Quello sguardo velato di rammarico la rendeva ancora più bella e Karl se ne accorse. Vide due occhi invitanti, ma non riuscì a liberarsi dai legami della timidezza che lo frenarono e ancora una volta non trovò il coraggio per chinarsi e raggiungere le labbra di lei che, leggermente dischiuse, lo stavano aspettando.


24 L’ultima settimana per Karl fu un tormento e sembrava non finisse mai. Il suo cuore scoppiava d’infelicità. Diana, che amava, era partita sostituita da Sergio, che non amava. Ancora non aveva ben chiaro nella mente il ruolo di quell’uomo nella sua vita. Non era suo padre, ma ne voleva fare le veci e anche se si era presentato a Viareggio con una splendida bicicletta Bianchi 22 cromata, regalo per la sua promozione, lui non riusciva ad apprezzarlo. Detestava quel suo modo di voler essere sempre spiritoso e troppo appiccicato a sua madre. Non c’era mai e quando era presente lo trovava ingombrante e inopportuno. I suoi consigli erano ordini, avevano il tono dell’intimidazione proprio come quelli di Padre Solano e agli ordini, lui non riusciva proprio ad abituarsi. Anche sua madre vedeva cambiata, gli sembrò di notare un ritorno di ansietà. Si rinchiuse nel proprio mondo e per dare una tregua ai suoi affanni, cercò un posto che lo avvicinasse a Diana e lo trovò ne L’Isola di Arturo, il libro che lei gli aveva regalato e pagina dopo pagina crebbe in lui l’immedesimazione. L’età del protagonista, l’arrivo di Nunziatina a destabilizzare l’entusiasmo infantile giunto ormai alla sua naturale conclusione, erano tutti segnali che Diana gli inviava. “Cresci Karl,” sembrava volesse dirgli “abbandona l’ isola dell’infanzia e diventa uomo. Procida non è altro che un puntino nero nel mare che può sembrare un universo solo agli occhi di un bambino. Mettiti in viaggio e scoprirai la vastità di nuovi continenti e se ti andrà di cercarmi mi troverai in qualche posto ad aspettarti.” Emma era preoccupata. I suoi ruoli di madre e compagna tornavano in conflitto. Com’era difficile avvicinare i suoi due uomini, portarli sul terreno dell’incontro. Se concedeva attenzioni a uno, si scatenavano le gelosie dell’altro. Ognuno dei due voleva l’esclusiva e lei che aveva già scelto, non aveva il coraggio di rivelare a Sergio la sua preferenza. Finalmente venne anche l’ultimo giorno di vacanza. Come un’annunciazione divina, il cielo era coperto da nuvoloni scuri e un fastidioso vento di scirocco soffiava forte a disturbare i preparativi della partenza vissuta da tutti e tre come una sorta di liberazione. “Sbrighiamoci che viene a piovere.” urlò Sergio guardando il cielo mentre correva dalla casa all’auto con pacchi e valige. “Su forza mamma, muoviti. Sei sempre l’ultima.” gli fece eco con un sorriso ritrovato un Karl molto più disponibile e finalmente d’accordo con Sergio.


25 “Guardalo com’è contento!” osservò Emma con finto stupore, mentre posava un pesante scatolone nel portabagagli. “Ma che dovrai mai fare di tanto importante a casa?” “La cosa non ti riguarda, ma per favore sbrigati!” disse Karl spazientito. “Ehi signorino, più rispetto per la mamma.” fece Emma più divertita che per protesta, ma ci fu qualcuno che non capendo il gioco, fraintese. “Ha ragione tua madre. Porta più rispetto per le persone adulte. Capito? E poi Diana non è ancora rientrata. È rimasta in Venezuela.” sbottò Sergio sorprendendosi al tono di quelle parole per poi pentirsene immediatamente, ma ormai era troppo tardi. Karl si sentì mancare. Indietreggiò due o tre passi e gli lanciò uno sguardo carico d’odio moltiplicato per tre. Per essere stato ripreso, perché il più intimo dei suoi segreti era stato violato e perché la notizia l’aveva sconvolto. “Torna per l’inizio della scuola.” tentò amorevolmente di consolarlo la madre, ma servì a poco. Karl con lo stato d’animo venato di tristezze e rancori, si accucciò sul sedile posteriore nel più chiuso dei mutismi. Emma furibonda con Sergio per l’insensibilità dimostrata, sbatté la portiera e cercò riparo nel silenzio. Sergio imbronciato e taciturno, si mise al volante e mentre la Mercedes Gialla si immetteva sulla Via Aurelia direzione Roma con il suo carico di tensioni, le prime gocce di un temporale estivo stropicciavano il manifesto di un film in programmazione deformando i volti di Michèle Mercier e Robert Hossein.


26

III

Emma non aveva potuto studiare e si portava dentro questo cruccio come una mancanza grave. Considerava il Sapere una larga autostrada da percorrere intera da casello a casello senza uscite intermedie. Un bene elevato, il cibo principale per la mente che infonde fiducia e sicurezze. Che educa al comportamento e sostiene il confronto con gli altri. Che arricchisce la parola e approfondisce il pensiero, vestendoli con abiti di sartoria. Se a suo figlio fosse venuto a mancare, non se lo sarebbe mai perdonato. Per questo voleva per Karl un percorso scolastico importante. Ma dalla sua non aveva la cognizione né la conoscenza giuste che la potessero aiutare a scegliere e non voleva coinvolgere Sergio in una responsabilità che non gli competeva. Decise così di rivolgersi ad Alberto. Malgrado lo ritenesse un uomo detestabile sotto tutti i punti di vista, continuava a nutrire una profonda stima per la sua cultura e ogni sua parola o parere era da tenere in considerazione. E poi in fondo, anche se molto in fondo, era il padre di Karl ed era ora che facesse qualcosa per suo figlio. Seduta nei tavolini di un bar nei pressi di Viale Mazzini, mentre aspettava l’arrivo dell’ex marito, Emma era a disagio. Le rare volte che doveva incontrarsi con Alberto, nonostante undici anni di assenza totale, i rancori mai sopiti riaffioravano e l’emicrania ritornava a delinearsi per stazionare diversi giorni ancora. Negli anni bui dell’abbandono e della solitudine non aveva mai ricevuto notizie, né conforti, né denaro e quando a seguito della separazione legale, un giudice le aveva riconosciuto alimenti per una cifra consistente, lui era impallidito e aveva tentato di trovare con lei un accordo stragiudiziale che fosse meno costoso. Un patto solamente tra loro due al di fuori degli uffici legali e dei tribunali ma una volta ottenuto, si guardò bene dal provvedervi. Ora, nel vederlo arrivare al volante del Duetto, una luccicante spider rossa guidata con vanteria ed esibizione, Emma non poté trattenere un gesto di stizza. Alberto era ancora un bell’uomo. Reggeva ancora bene il peso di quarantacinque primavere nonostante qualche rigonfiamento intorno alla


27 vita ne appesantisse il passo, ma sempre elegante e ben vestito, in un portamento altero e un po’ affettato, faceva la sua bella figura. Il viso segnato sotto gli occhi da profonde occhiaie e i capelli ben curati di un bel grigio intenso, accentuavano il suo fascino. Prima di scendere dall’automobile, incontrò il suo viso nello specchietto retrovisore. Un’ultima passata di mano a sistemare la pettinatura, una veloce panoramica con la lingua a controllare lo stato della sua dentatura e una volta rassicurato, fu pronto per l’incontro. Quando la vide le lanciò il suo irresistibile sorriso. “La mia Emma! Deve essere qualcosa d’importante se hai deciso di vedermi. Mi devo preoccupare?” esordì sedendosi. “Sarebbe bello vederti preoccupato, ma purtroppo si tratta solo di un consiglio, una richiesta che non ti costerà niente, è gratis.” “Di che si tratta?” “Di Karl.” “Ah. E cosa ha fatto?” “Non ha fatto niente. Ma ha quattordici anni… a proposito il prossimo trenta settembre compie gli anni, se non ti costa troppo, fagliela una telefonata lo faresti contento, lui ti vuole ancora bene.” “Mi hai convocato qui per ricordarmi del suo compleanno?” “No. Anche se non ti farebbe male rammentarlo qualche volta. Ho bisogno del tuo aiuto nella scelta della scuola più adatta a lui.” “Ma non andava dai preti?” “Tante volte l’avessi dimenticato tuo figlio ha terminato le medie e deve affrontare la scuola superiore.” “E come ci arriva?” “Con la sufficienza.” “Dal giudizio complessivo che viene fuori?” “Che è un ragazzo svogliato e indisciplinato.” “Non parte bene, ma quello che dicono in quelle scuole non ha un gran valore. I loro metodi non mi hanno mai convinto. Più che alla qualità dell’istruzione tengono alla retta. Mi interessa il tuo giudizio, non il loro.” “È un bambino straordinario anche se soffre le imposizioni, i vincoli. Lo studio imposto per lui è un sopruso, una prepotenza, allora lo trascura. Ma si sceglie autonomamente i libri che legge, arricchendosi di fantasia. È tenero e malinconico, ma non introverso. Al contrario è molto aperto e comunicativo. Gli amici lo cercano in continuazione e le amiche di più. È informatissimo sulla Storia passata e attentissimo


28 sull’attualità. Pensa che aveva pochi anni e già mi parlava di Ciombè come fosse un suo amico o forse come un nemico, non ricordo bene.” “Sicuramente un nemico. Ma a prescindere dalle sue predisposizioni, oggi come oggi non ci sono grandi scelte. Se si vuole far proseguire gli studi ai figli, per me esistono solo due alternative. Il liceo Scientifico, dove la formazione è più tecnologica e il Liceo Classico dove la formazione è più umanistica. Io ho una predilezione per il Classico, ma è un cammino impegnativo. Anno dopo anno si fa sempre più difficile e ci vogliono costanza e dedizione per arrivare in fondo, è però l’unica scuola che ti dà la certezza dei saperi forti, la sola che ti avvicina alla completezza del sapere.” “Era quello che pensavo e speravo, ma mi serviva una conferma. Grazie, adesso mi sento più sicura.” Per Emma la conversazione era conclusa. Stava per andarsene quando Alberto riprese a parlare. “Emma, un altro consiglio gratis. Non tenerlo lì in zona, fagli cambiare aria. Dagli l’opportunità di confrontarsi con i ragazzi che provengono da altri ambienti. Misurarsi con realtà diverse gli sarà di stimolo, servirà per fare nuove conoscenze che non fa mai male, e crescere meglio.” “E dove dovrei mandarlo?” “Dove vuoi. Al Visconti, al Tasso, al Giulio Cesare, al Lucrezio Caro… o in uno dei tanti altri che ora non ricordo. Hai una vasta scelta e tutti sono allo stesso livello e situati in ogni quartiere. Proprio qui dietro, a duecento metri dai tuoi piedi, c’è il Mamiani che in passato è stata una fucina di menti nobili e ha mantenuto nel tempo una grossa tradizione. Sarei felice di saperlo lì.” “Il Mamiani … non è un nome nuovo, mi ricorda qualcosa.” fece Emma sforzandosi di ricordare. “Lo avrai letto sui giornali. È stato in prima pagina diverse volte quest’anno.” “È vero! L’occupazione degli studenti!” “E lo sgombero della polizia.” Ad Alberto piacque sottolineare quel passaggio lasciando in Emma qualche perplessità. “Sei sicuro che per Karl sia l’istituto giusto?” “Chi può dirlo? La Scuola è in un periodo di transizione, in cerca di assestamenti. Tuo figlio…” “È anche il tuo, non scordarlo.” “… Karl troverebbe l’identica situazione in ogni scuola d’Italia.”


29 Nella mente di Emma riecheggiarono le parole di Padre Solano e una fitta alla testa le fece stringere gli occhi. “Allora, non aveva tutti i torti…” “Chi?” “Un insegnante che voleva trattenere Karl.” “Tu invece lascialo libero. È un momento storico nuovo, fatto di pulsioni e fermenti. È in costruzione la futura classe dirigente, quella che guiderà il paese nel prossimo millennio, negli anni duemila. E con questi presupposti fonderà una società liberata da ogni differenza, e da ogni interesse personale. Ma il fenomeno è scoppiato da troppo poco tempo per poterlo decifrare e sfugge ancora a ogni analisi e controllo. Siamo solo ai preliminari e dobbiamo aspettare che la polvere sollevata si posi per comprenderlo e gestirlo al meglio. Karl ci si trova dentro e tu non puoi né devi impedirglielo. Quindi lasciagli vivere la sua epoca.” “Eh certo per te è facile. Tu vieni qui con la tua bella macchina rossa, tutto sorrisi e smancerie…” “Sei tu che mi hai cercato.” “… fai il tuo bel discorsetto, che comprendo solo a metà, poi risali sulla spider e hai finito. Per te Karl è cosa lontana. Io invece ci sono dentro da sempre e non me lo posso permettere di analizzare e/o comprendere dopo, io devo sapere adesso. Quello che voglio per Karl è solo un’istruzione appropriata, la pretendo. Voglio che studi senza distrazioni di sorta. Che studi e basta. Ma ho bisogno di garanzie, quelle che io non gli posso offrire perché mi mancano, perché non ce l’ho e tu, il Mamiani, o chiunque altro, siete in grado di darmele?” “Devo rispondere io? e cosa posso dirti? che non lo so. Non è colpa di nessuno se Karl inizia il liceo nel ’68.” FINE ANTEPRIMA CONTINUA...


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