IGOR LAMPIS
QUASI 17
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QUASI 17 Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-554-0 Copertina:Immagine proposta dall’Autore
Prima edizione Giugno 2013 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova
Non è vero che chi è puro ha già trovato la sua strada (Punkillonis- “Non è vero”)
A Romeo
Grazie a: Debora, Tiziano, Dania, Alessio, Alberto, Prof. Pili, Perquero, Vincenzo, Manuela, Emiliano, Rita, Andrea, Simone, Antonello, Sabina, Nanni, Francesco, Gioia, Vick.
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1. 6 giugno 2006
Marco fissava preoccupato il figlio. Quella notte aveva rifatto l’incubo, ma era stato molto più reale e spaventoso delle altre volte. Per questo nella sua mente il ricordo era ancora così vivido. Sentiva quasi il bisogno di parlargliene. Ma lui era solo un bambino di dieci anni. Poteva raccontargli un sogno così? Forse l’avrebbe spaventato. No, non era il caso. Gianni continuava a leggere con la faccia immersa nel libro, ma di tanto in tanto scrutava di sottecchi lo sguardo perso nel vuoto del padre. All’improvviso disse: «Papà, qualcosa non va?» Era sveglio e intelligente, Gianni. A volte Marco pensava che i loro ruoli si fossero scambiati. Cosa avrebbe fatto senza di lui? Al solo pensiero si sentiva perso. Eppure quel sogno, ogni notte; ci doveva essere un motivo. Marco si decise a parlare, aveva bisogno di sfogarsi. «Niente, Gianni. Stanotte ho fatto un brutto sogno. Non riesco a togliermelo dalla testa.» «Probabilmente sei stressato. Avresti bisogno di qualche giorno di ferie» disse più sicuro di un adulto il figlio. «Com’era?» continuò serio. «Terribile» rispose il padre, già pentito di averne parlato. «I sogni non avvengono per caso. Vogliono dirci qualcosa» si fece ancora più serio Gianni, chiudendo il libro e guardandolo fisso negli occhi «devi scoprire la causa del sogno e affrontarla nella realtà. Sicuramente c’è qualcosa che ti perseguita nella vita di tutti i giorni. Hai avuto problemi con qualche collega? Se è così devi risolvere la questione e vedrai che l’incubo sparirà. Ti
10 senti in colpa con qualcuno? Non avere vergogna a chiedere scusa. Vedrai, tutto passerà.» Marco ascoltava attento. Rassicurò il figlio: «Forse hai ragione. Al lavoro le cose non vanno benissimo. Dovrei parlarne col capo.» Ma come poteva dire che il sogno non c’entrava niente col lavoro? Che ogni notte sognava di ammazzarlo senza pietà? E di rigirargli quel coltello nel petto sino a spaccargli il cuore tra le urla di dolore? E solo a quel punto si svegliava sudato, e subito si guardava le mani convinto di trovarsele davvero sporche di sangue? Gianni riprese a parlare: «Comunque i sogni vogliono comunicarci qualcosa. Tu lo devi ascoltare, devi fare quello che ti dice» strizzò l’occhio al padre sorridendo. Marcò rabbrividì. Nella mente gli apparve l’immagine delle sue mani rosse. No, non poteva assolutamente prendere in considerazione il consiglio del figlio. «Dài, ora mangiamo che si è fatto tardi» disse per chiudere la questione. Cenarono, si diedero il bacio della buonanotte e andarono a dormire. Anche quella notte Marco fece l’incubo e così ogni altra notte a venire di quel mese. L’incubo era sempre lo stesso, ma man mano che lo ripeteva si aggiungevano particolari che lo rendevano sempre più reale. L’odore del sangue, il battito cardiaco del piccolo cuore. Tutto sembrava così vero! Marco non riusciva più a dormire. Continuando di quel passo sarebbe impazzito. Gianni lo vedeva sempre più stanco e distrutto e lo esortava a dare retta al sogno. “Fai quello che ti dice e insieme a lui sparirà anche l’insonnia. Non puoi andare avanti così” gli ripeteva allo stremo. Era assolutamente vero. Anche la notte del 6 giugno 2006 Marco non dormiva.
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Si addormentò solo verso le due, ma come se il sogno lo attendesse al varco, eccolo comparire appena le palpebre cedettero. Come sempre si svegliò agitato, ma non ebbe il tempo di guardarsi le mani. A fianco al letto Gianni lo osservava severo. «Che ci fai in piedi?» chiese con un filo di voce Marco. «Papà. Ho cercato di aiutarti ma non mi hai dato retta. Te l’ho detto che dovevi seguire il sogno. Volevo salvarti ma tu non mi hai ascoltato.» E prima che Marco potesse reagire, Gianni lo colpì alla gola con un coltello da cucina che nascondeva dietro alla schiena. Marco incredulo si portò le mani sulla ferita. Il sangue sgorgò liquido come se gli avessero aperto un rubinetto nel collo. Poi Gianni lo colpì al cuore e guardò la scena sorridente. Tra i rantoli del padre, il destino si stava compiendo.
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2. Caramelle per un vecchio
Come ogni mattina, da quando è morta la moglie, il vecchio Antonio Aiazzo esce di casa presto, diretto in quella che da qualche tempo a questa parte lui definisce la “sua” panchina. In primavera è anche più stimolante fare due passi all’aperto e raggiungere la piazzetta in cui trascorre le ore a sfogliare il giornale e osservare i passanti. L’aria frizzante lentamente si riscalda e all’ora di punta può persino essere fastidiosa, ma Antonio non se ne preoccupa. Come diceva sempre alla sua Chiara, lui sopporta benissimo il caldo e un po’ meno il freddo. Sembra quasi orgoglioso di quella frase e se gli capita a qualcuno la dice ancora. A passi lenti si dirige nel chiosco dell’edicola. L’edicolante ogni giorno lo attende impaziente e spesso sporge la testa dalla sua gabbia di giornali per vedere se arriva. Quando giunge, gli offre un sorriso, gli dà il giornale e gli chiede come sta. Antonio risponde. La sua voce è sempre più debole e, come ogni parte del suo corpo, giorno dopo giorno sembra abbandonarlo. Senza Chiara è molto dura per lui continuare a vivere in questo mondo che non gli appartiene più ed è fatto quasi esclusivamente di solitudine. Antonio non ha né amici né parenti, e oramai è troppo vecchio per riuscire a intraprendere nuove conoscenze. Se solo potesse decidere lui, avrebbe già raggiunto sua moglie, invece va avanti come un’auto in corsa che all’improvviso spegne il motore e continua a muoversi per inerzia. Se avesse la volontà di farlo, basterebbe pigiare il freno e fermarsi una volta per tutte, ma
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Antonio non ci ha mai pensato. Aspetta che le cose vadano come devono andare e gode di quel poco che ancora gli è concesso, nell’attesa di riabbracciare per sempre chi con lui ha condiviso gran parte della sua esistenza. Tutto è diventato faticoso. Muoversi, mangiare, fare la spesa, alzarsi dal letto o da una sedia. Anche i lavori fatti per rendere il bagno più agibile non hanno migliorato le sue condizioni di vita, così entrare in doccia tutti i giorni è diventato troppo impegnativo. Una volta alla settimana può bastare. Per non parlare di guardare la TV. Il digitale terrestre? Da quando hanno inventato quella diavoleria il vecchio ha smesso una volta per tutte di accenderla. Non è che gli manchi molto, le immagini le vedeva sempre più sfocate e anche seguire i dialoghi era sempre più difficile. L’unico di cui sentiva la mancanza, all’inizio, era quel giornalista che dalle sei del pomeriggio gli teneva compagnia alternando gossip a fatti di cronaca e politica. “Quello sì che ne sa” ripeteva spesso. Ma dopo un breve periodo il vecchio si era già dimenticato di lui. Ora non ricorda più neppure il suo nome. Con le mani tremanti afferra il quotidiano, sempre lo stesso. Si è abituato a prendere quello, di cambiare non se ne parla. A piccoli passi Antonio cammina verso la panchina che prima del suo arrivo è quasi sempre occupata dai piccioni. Appena questi lo vedono volano via tubando nervosamente con uno sbattere di ali confuso, subito dopo però tornano all’attacco zampettandogli attorno indisturbati in cerca di briciole da beccare. Gli uccelli non lo infastidiscono. In un certo senso gli fanno compagnia. Prima di concentrarsi sul giornale li osserva per qualche attimo. Svuota le tasche dalle briciole di pane che ha portato per loro e aspetta di vedere quale sarà il più coraggioso che banchetterà per primo. Quando il temerario inizia a beccare, seguito a ruota dagli altri, Antonio accenna un sorriso e si concentra sul giornale.
14 Socchiude gli occhi e abitua le pupille stanche alla luce accecante del sole che si riflette sulle pagine chiare. È pronto per immergersi nella lettura. In realtà non è che lo legga davvero il giornale. A malapena riesce a focalizzare i titoli scritti in grande e qualche fotografia, e così di pagina in pagina il tempo scorre sino a mezzogiorno, ora in cui il vecchio ha l’abitudine di rincasare. Di tanto in tanto distoglie lo sguardo dal quotidiano e si osserva intorno. Nella piazza, donne con buste colme di spesa, uomini d’affari incravattati, ragazzi e ragazze che hanno marinato la scuola. Tutti gli passano davanti indaffarati. Nessuno sembra accorgersi di lui. Nessuno incrocia il suo sguardo. Nessuno lo saluta. Antonio ha l’impressione di essere invisibile. È triste e rassegnato, ma questa è la vita. D’altronde lui stesso in passato non si è mai interessato ai vecchi. Forse ora se potesse tornare indietro cambierebbe quell’atteggiamento nella speranza di avere, oggi, un po’ di considerazione da parte dei giovani. Troppo tardi però per piangere sul latte versato. È quasi mezzogiorno e la piazza ormai è deserta. Finalmente posso avvicinarmi alla panchina in cui sta seduto il mio amico. Antonio l’ho conosciuto per caso e mi fa una gran pena, forse mi assomiglia, per questo mi sono legato molto a lui. Come tutti i giorni mi siedo al suo fianco. Lo saluto e gli chiedo come va. Accenna un sorriso, dice che va tutto bene. Solo qualche dolore ai muscoli. Stanotte si è agitato nel sonno e scoprendosi ha preso freddo. Gli dico che passerà presto. Impreco contro i piccioni. Il loro verso mi irrita, puzzano e hanno le pulci. Antonio ride di gusto e dà due o tre colpetti di tosse. Agito il braccio sinistro nell’aria e tutt’attorno è uno svolazzare di uccelli. Il vecchio continua a ridere divertito. Mi trova buffo. Oggi ho una sorpresa per lui. Credo che l’apprezzerà. Nella mano destra stringo un sacchetto di caramelle al limone, le sue preferite. Le mangiava spesso durante le lunghe passeggiate in città abbracciato stretto alla sua Chiara. Da quando però lei è
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morta, Antonio non ne ha più toccata una. Ha paura delle sensazioni che potrebbero causargli. Ma oggi, grazie a me, le riproverà intensamente e credo che non potrà biasimarmi per questo. In un certo senso lo riavvicinerò alla sua Chiara. Anche se non c’è nulla di male in tutto ciò, sono un po’ nervoso. Il sudore, come una colla, mi rende il palmo appiccicoso. Più ci penso e più mi sembra che la mano si incolli al sacchetto. Forse dovrei farmi i fatti miei. No, Antonio sarà felice della sorpresa. Lui ha bisogno di Chiara e io voglio aiutarlo a ritrovarla. Gli offro una caramella. Antonio sorride. Fa un cenno di diniego, coi suoi denti non può masticare. Insisto. Dico che non c’è bisogno di masticare, basta succhiarle. Sono al limone, aggiungo. Fa uno scatto con la testa. I suoi occhi diventano lucidi, forse ha intuito dove voglio arrivare e alla fine cede. Allunga la mano tremante e insicura. A fatica centra il sacchetto e tira fuori una caramella, la mette in bocca, chiude gli occhi e assapora. Credo che adesso la vita gli scorra davanti. Lo osservo impaziente. Ho le gambe molli. Il veleno fa subito effetto. Il viso gli si contorce assumendo forme innaturali e raccapriccianti. La sua bocca si riempie di bava bianca e densa. Allunga le mani verso di me come se volesse stringermi, come se cercasse un sostegno. Mi scosto in fretta, non deve assolutamente toccarmi. Mi alzo, intorno non c’è nessuno, e anche l’edicolante dalla sua posizione non può vederci. Antonio si accascia sulla panchina e respira affannosamente. Attendo ancora qualche attimo. Dalle viscere si diffonde un forte calore che mi sale sino alla testa e mi arrossa il viso. Non posso stare qui per molto, qualcuno potrebbe vedermi. Finalmente esala l’ultimo respiro. Il suo viso è una smorfia di dolore e sofferenza, ma non credo sia in collera con me per quello che ho fatto. Come potrebbe? L’ho fatto solo per il suo bene. L’ho riavvicinato per sempre al suo amore.