In uscita il 29/5/2015 (13,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2015 (2,99 euro)
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GIOVANNA SENATORE
RACCONTI PER NON DORMIRE
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RACCONTI PER NON DORMIRE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-886-2 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Maggio 2015 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
LO SGABUZZINO
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Non ricordo bene com’è iniziata questa storia. Non so nemmeno se mi va di raccontarla, del resto, se gli accadimenti restano inespressi allora potrebbero non essere veri. Ma veri lo sono. Sono Fabio, ho da poco passato la cinquantina e lavoravo come pubblicitario per un piccolo giornale di provincia. Dico lavoravo perché, un po’ per la crisi, un po’ perché ultimamente avevo altro a cui pensare, alla fine mi hanno licenziato. Poco male. Odiavo quel lavoro. Mi definisco una persona pacata, razionale, pacifista, da poco single. Non sono vegetariano ma la carne la mangio con molta parsimonia. Sono sempre stato regolare con i pagamenti, e chiunque mi conosce dice di me che sono una persona stabile e affidabile. Lo sono? Dipende. Contano come fattori sfavorevoli le tre persone che ho rinchiuso nel mio sgabuzzino? Saperlo è importante, ci tengo all’opinione altrui.
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Per capire bene perché queste tre persone giacciono inanimate nel mio sgabuzzino, devo spiegare alcune cose. La prima è che odio gli idioti. Ho pochi amici, tutte persone rispettabili, che frequento da diversi anni. Uno dei miei amici, il più caro, lavorava come fotografo. Lavorava anche lui per lo stesso giornale per il quale lavoravo io. Solo che lui non è stato licenziato come me. Anzi. Lui ha ottenuto di recente una promozione. Ho usato il tempo al passato riferendomi al suo lavoro perché adesso Paolo, questo è il suo nome, è uno dei tre occupanti del mio sgabuzzino. Lo conoscevo da anni, abbiamo fatto tre splendidi viaggi in India insieme. Era sempre sorridente, lo adoravo per questo. Fino a che un giorno lo chiamai per raccontargli una cosa spiacevole che mi era accaduta. Ci siamo visti e mi ha accolto sorridente. Troppo sorridente. Quando gli ho fracassato il treppiede della sua Nikon in faccia, ancora sorrideva. Non mi aveva mai capito, ora lo so. Il suo sorridere era monito d’idiozia, non di giovialità. Non sopporto gli idioti, come dicevo prima, e tantomeno i depressi. Per questo sono single. La mia ex convivente era un’insegnate. Dolce, gentile, bella, non aveva figli perché come me non ne voleva avere. Ho fatto di tutto per lei. Sempre. È diventata l’occupante numero due dello sgabuzzino quando al
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mio cinquantesimo compleanno mi ha detto «Amore, lo so che oggi è il tuo compleanno, ma devo andare a Roma da uno psicoterapeuta eccezionale e proprio non posso esserci per festeggiare, devo pensare un po’ a me, devo curare la mia depressione». Erano tre anni che in casa si pensava solo a lei. Era un chiodo fisso. Così come fisso è stato il chiodo impiantatole nel lobo frontale. Era ora che pensassi un po’ anche a me. Idioti e depressi vanno a braccetto con i burocrati. Ogni anno, a Gennaio, mi arrivava il canone tv da pagare. Io scarico illegalmente i film sul mio computer ma non guardo la TV dal 2005, ergo io non lo voglio pagare il canone. Pare che si possa evitare di pagare quel salasso inutile chiedendo di suggellare l’apparecchio televisivo. Così ho fatto. Ho letto su dei forum online che nessuno si è mai presentato a suggellare i televisori degli ex abbonati. La statistica delle persone a cui è successo poteva essere di uno su un miliardo. Eccolo, l’uno sul miliardo, sono io. Quando si è presentato l’omino della Rai con un sacco di juta per suggellare la mia TV non ho dovuto fare altro che essere più veloce di lui, aprire il sacco di juta, ficcarcelo dentro e mettere l’immondizia nello sgabuzzino. Sono passati tre mesi, credo che sia morto di fame o di sete, non so bene, ma non sento più rumori in casa e questo mi basta. Quindi, come pote-
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te vedere, la mia abitazione ora è silenziosa, spaziosa, tre locali più servizi e ovviamente uno sgabuzzino talmente ampio da poter accogliere tre persone. Ho deciso di venderla perché voglio andare a vivere a Goa, in India. Questo è esattamente ciò che ho detto all’agente immobiliare venuto a casa mia questa mattina per valutare l’immobile, quando mi chiese perché ci fosse quella puzza tremenda provenire da dietro una porta. Finito il mio racconto iniziò a urlare dicendo che lo sgabuzzino non era un posto per tre cadaveri. Odio le persone che urlano, ma aveva ragione. Lo sgabuzzino è un posto per quattro cadaveri. La mia casa è in vendita dunque, ma vi avviso, sono poco paziente. Offerte?
IL POTERE NASCOSTO
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Sono sempre stata un tipo strano. Strano per i più, certo. Quando avevo sei anni, i bambini mi evitavano. Eppure ero simpatica, lo dicevano tutte le infermiere. Beh, per lo meno finché l’infermiera del turno di giorno, Ruth, mi ha visto sospesa a due metri da terra. È stata quella la prima volta che ho sentito la parola “mostro” riferita a me. Poi con l’età ci si fa l’abitudine. Quasi non te ne importa più. Non ricordo esattamente perché mi trovavo a un centimetro dal soffitto, forse stavo giocando a chi salta più in alto con gli altri bambini ricoverati. Sta di fatto che ero talmente concentrata a vincere quella sfida da non accorgermi di Ruth entrata nella sala comune. Lei urlò così forte che mi spaventai e caddi a terra. Restai in coma per diversi giorni e quando mi svegliai tutti stettero alla larga da me e dalla mia famiglia. Uno psicologo mi disse in quei giorni che mi sentivo responsabile per la separazione dei miei genitori. Non è vero. Mio pa-
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dre non si è separato, è sparito, ed è tutta un'altra storia. Ricominciamo con ordine. Sono Joy, vivo da anni, da sempre dovrei dire, in un ospedale fuori Londra. Seppure il mio nome sia questo, Joy, le persone hanno iniziato a chiamarmi Cassy, diminutivo di Cassandra, dopo la sparizione di mio padre. Quello che ricordo io non è esattamente ciò che è stato riportato dai giornali dell’epoca. Rammento il titolone principale del The Sun: “Esplode casa di periferia in seguito a una lite familiare”. Come sempre, non bisogna credere a ciò che si legge sui giornali. Non c’era stata alcuna lite familiare. Noi in casa non litigavamo mai. I miei genitori non si parlavano neppure, da quando mia madre aveva scoperto che mio padre aveva un’altra famiglia nel Borgo Londinese di Brent. Il giorno dell’incidente mio padre aveva portato a casa un coniglio bianco di peluche, pensavo fosse mio, visto che papà me lo aveva dato con un sorriso dolcissimo ed era il giorno del mio compleanno. Lessi il bigliettino che accompagnava il regalo: “Alla mia coniglietta Samantha, ti voglio bene, Papà”. Samantha era l’altra figlia. Mi arrabbiai moltissimo appena mamma si mise a piangere. Guardai dritto negli occhi mio padre e poi lui, semplicemente, esplose. Non fu faticoso, non fu doloroso. Un at-
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timo prima lui mi guardava negli occhi, un attimo dopo era un ammasso di minuscole particelle. Non c’era sangue. Solo pulviscolo iridescente a mezz’aria per qualche secondo, poi più nulla. Ancora mi chiedo perché mia madre aprì il gas e fece esplodere l’appartamento. Non ce n’era bisogno, tutto era pulito, quasi immacolato. Sta di fatto che dopo quell’episodio lei mi fece ricoverare in ospedale, registrandomi col nome Cassandra Spade e tutti da quel momento mi hanno chiamato Cassy. Non sapevo perché scelse proprio il nome Cassandra, non conoscevo la mitologia greca a cinque anni, nonostante sapessi leggere e scrivere già da un po’, ma quando l’infermiera Ruth, due giorni dopo il mio risveglio dal coma, morì in modo analogo a mio padre, la gente iniziò a etichettarmi quale portatrice di sventura come il mio nome indicava. Fui messa in isolamento e ci rimasi per diversi anni. Parlai solo con uno psicologo un paio di volte, il genio che mi aveva parlato del senso di colpa che provavo a causa della separazione dei miei genitori. Cercai di rimanere calma, non volevo certo perdere l’unica persona che aveva il coraggio di avvicinarsi a me. Avevo dodici anni e saranno stati gli ormoni che a quell’età rendono nervosi, sarà stato l’approccio poco professionale di quella seduta da parte sua (non credevo che sedermi sulle gi-
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nocchia del mio psicologo fosse una pratica normale), sarà che era lunedì… fatto è che anche lui, come papà e Ruth, evaporò in una nuvola colorata. Passarono altri anni, non incontrai più nessuno. Ricevevo pasti regolarmente tre volte al giorno, uscivo dalla stanza, andavo nel cortile, ma mai una volta ho incontrato una persona. I primi anni sono stati duri, certo, ma poi, piano piano, ci ho fatto l’abitudine. La curiosità per il mondo esterno non esisteva, a me bastava alzarmi, giocare da sola con le costruzioni in legno dell’area comune, guardare e riguardare il dvd di La Bella e la Bestia e mangiare. Così è stato per anni e per me quella era la vita. Finché una mattina mi svegliai e davanti ai miei occhi c’era un signore. Vecchio. Mi spaventai. Contai fino a tre per vedere se sarebbe esploso. Non lo fece. Si limitò a guardarmi e sorridere. Io mi spaventai di più. Iniziai a levitare, convinta che così facendo avrei messo in fuga l’intruso. In tutta risposta lui inclinò lentamente la testa verso la spalla destra e mi disse: «Dove stai andando?» Tornai sul letto, lo guardai più incuriosita io di quanto non lo fosse lui di me.
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«Chi sei?» gli chiesi. Non mi rispose. Non sorrideva più. Si avvicinò al mio volto e in un sussurro mi disse: «Ti ho cercato tanto Cassy, devi venire con me, subito. Non abbiamo tempo». Pensai a perché mai sarei dovuta andare con lui. «Perché te lo sto chiedendo, perché credi di essere sola ma non è così e perché abbiamo bisogno di te» disse. Come aveva fatto a sentire quello che stavo pensando? «Te lo spiegherò appena saremo usciti da qui». Non dissi nulla. Presi solo la coperta e me la misi sulle spalle. Mi chiese come mai non avessi dei vestiti. Li avevo, ma non mi entravano più. Nessuno veniva mai a trovarmi. Nemmeno la mia mamma. Usciti dal corridoio che portava agli ascensori, mi colse il panico. Non ero mai salita in ascensore. Lo avevo fatto solo quando ero entrata in ospedale tanti anni prima. A un tratto non mi andava più di seguire quell’uomo. Mi fermai. «Se non mi dici chi sei, io resto qui». Ero decisa. «Sono tuo nonno, e ora muoviti, dobbiamo andare». Sotto shock lo seguii dentro l’ascensore. Era davvero mio nonno? Se lo era perché non mi era mai venuto a trovare? E poi nonno da parte di madre o padre? Premette tutti i tasti della pulsantiera. Non aveva senso. A quanto ricordavo ne avrebbe dovuto schiacciare solo uno. Inaspettatamente l’ascensore si mosse all’indietro. Ero
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terrorizzata. L’aria aveva un odore salmastro e a ogni inspirazione diventava più difficile respirare. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, la mia bocca era asciutta e tutto divenne buio. Svenni. Quando riaprii gli occhi, ero in un letto, avvolta da soffici cuscini e protetta da coperte di lana ben rimboccate. Non ero sola. C’erano tre persone oltre al mio sedicente nonno. «Buongiorno!» disse il ragazzino più piccolo. Gli feci solo un cenno. «Come ti senti?» domandò la ragazza bionda alla destra del ragazzo. «Bene, credo. Dove mi trovo?» le risposi. Già bella domanda. Sembrava più una camera da letto di un castello che quella di un ospedale. Alle pareti c’erano degli arazzi e alle finestre erano appese delle spesse tende color cremisi. «Sei nella Casa del Potere» disse l’uomo che si spacciava per mio nonno. Evidentemente feci una faccia buffa, perché tutti scoppiarono in una sonora risata. «Lo so che sembra assurdo, ma ti spiegheremo tutto noi. Io sono Alex» il ragazzino mi porse la mano. Avrei dovuto stringerla? Lo feci.
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«Siamo tutti un po’ strani come te, non ti preoccupare. Sono Kim» disse la ragazza bionda. «Già, ma tu sei il pezzo mancante giusto?». La voce era asciutta e acuta e apparteneva a un ragazzo dai capelli scuri e con un’evidente cicatrice che lo sfigurava dall’attaccatura del sopracciglio sinistro fino al lato inferiore del labbro dalla parte destra. Anche con quell’orribile cicatrice era bellissimo. «Potresti essere più gentile con Cassy, Paul?» disse l’uomo che doveva essere mio nonno. «Ciao a tutti, io sono Cassy, cioè, mi chiamo Joy ma tutti mi chiamano Cassy». «Lo sappiamo chi sei, sei la portatrice di svenuta, la nuova Cassandra». Paul si avvicinò fulmineo al mio letto. Fu così veloce che nemmeno mi accorsi dei suoi movimenti. «Vecchio, ci hai messo un secolo a liberarla o sbaglio? Eppure non era difficile trovarla. Ha seminato in giro più morti lei della peste! Ha ucciso anche il tuo ultimo cercatore, lo “psicologo”, a quanto posso leggerle nella mente». «Non chiamarmi vecchio, e poi sì, la Madre l’ha nascosta bene. Però alla fine l’abbiamo trovata». Mi infastidiva quel parlare di me come se io non fossi presente.
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«Non stanchiamola troppo, abbiamo solo poche ore prima di preparaci all’attacco» era stata Kim a parlare. «Hai ragione. Occupati tu di lei. Torneremo all’alba». Quello che doveva essere mio nonno si congedò insieme agli altri e con me rimase la ragazza bionda, Kim. «È davvero mio nonno?» domandai. «Secondo te?» mi rispose. No, non lo era. «Si fa chiamare Lord Braham, e dice di essere nostro nonno. Ovviamente non lo è. Non siamo davvero parenti tu e io, ma in qualche modo lo siamo». Non riuscivo a capire se parlasse sul serio o meno. «Che cosa voleva dire quel ragazzo con la cicatrice?». «Che Lord Braham ti ha liberato». «Mi ha fatto scappare dall’ospedale? Sì». Kim a quel punto rise. Non pensavo di aver detto nulla di comico. «È lì che credevi di essere? In un ospedale? ». «Credevo? Cosa intendi?». «Non ti trovavi veramente in un ospedale. La Madre ti ha nascosto in una realtà parallela a quella in cui ti trovi ora. È morta per farlo». «Conoscevi mia madre?».
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«Certo, la Madre era la Guardiana del Tempo, era una delle tre Mirabili Sovrane del mondo invisibile». Non riuscivo a capire cosa stava cercando di dirmi. Ero frastornata. Sentii una porta sbattere e trasalii. Era Paul con la sua cicatrice orribile. «La Madre era una Strega. Anche tu lo sei. Anche lei» disse indicando Kim. «Già, e lui è uno Stregone, come lo è il piccolo Alex». «Anche Lord Graham lo è?» chiesi. Paul mi rispose «No, nessuno sa davvero chi sia, di sicuro non è quello che vuole farci credere di essere». «Perché dici questo?» chiese Kim. «Pensaci bene, perché una Mirabile Sovrana avrebbe nascosto una figlia, con un potere addirittura superiore al suo, a un amico? Lord Braham ha avuto bisogno di me, lo Stregone del Sonno e dell’Oblio, per trovarla. E prima ha avuto bisogno di te, la Strega della Violenza e della Caccia. E prima ancora ha usato Alex, lo Stregone del Caos». «State dicendo cose senza senso. Io sono stata per anni in un ospedale psichiatrico». «No, tu sei stata nascosta dalla Madre e sei stata celata per un motivo. Tu sei la Strega della Morte, la più potente tra noi. Non sei stata educata come noi però e questo ti rende pericolosa per tutti».
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«Io non ho fatto del male di proposito, mai» dissi, ma sapevo che non era del tutto vero. Ho odiato mio padre. Solo per un secondo. E quel secondo è stato sufficiente. «Cosa credi dobbiamo fare allora? Scappare?» Kim pareva spaventata. «Non possiamo. Hai notato quei segni sulle porte?». Io non li avevo notati, ma erano presenti. Erano stelle racchiuse in un cerchio. Ora qualcosa mi tornava alla mente. Erano gli stessi simboli che avevo sulla porta della mia camera in ospedale. «Quei simboli ci legano qui, in questa dimensione. Se credevi di essere nel mondo reale ti sbagliavi cara Kim, siamo in un limbo, non tanto diverso dall’ospedale di Cassy». «Perché mai la Madre ci avrebbe dovuto segregare in un limbo? Noi siamo i suoi prediletti!». «È qui che ti sbagli, lei è la sua prediletta, non noi. Ho trovato un libro, guarda». Paul dalla giacca estrasse un libricino, grande poco più di un quaderno. Il titolo del libro era “Il Potere Nascosto”. Kim lo prese dalle sue mani, lo aprì. La prima cosa che colse la sua attenzione fu la temperatura delle pagine. Erano calde. Sembravano vive. Ci mise qualche secondo per capire come mai avesse quella sensazione. La carta pulsava, come avesse del sangue che scorreva tra gli strati di cellulosa. Le lette-
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re erano raggruppate nel margine in fondo alle pagine e le parole erano incomprensibili. «Non capisco, non ci leggo nulla» disse Kim. Io sbirciai il libro. Lo presi tra le mani e non so bene perché, lo chiusi e lo misi sul mio cuore. Il pulsare delle pagine si uniformò al mio battito. Lo riaprii. Le lettere che comparivano sulle pagine si stavano muovendo. Quello che lessi mi inquietò. Mi rivolsi a Paul. «Perché me lo hai fatto leggere?». «Sei riuscita a leggere quello che c’è scritto?» disse Kim. «Io non ci sono riuscito. Cosa dice?» mi chiese Paul. «Parla di noi, di questo momento e di quello che accadrà tra poco» piansi. «Come può essere?» disse Kim prendendomi il libro. Lesse anche lei. «O mio Dio, chi può essere stato così crudele?». Lord Braham e Alex rientrarono. «Avete voi il mio libro? Lo avete letto? Bene. Ora è giunto il momento. Andiamo a prendere ciò che è nostro» disse Lord Braham. Mi arrabbiai. «Non è nostro quello che vuoi prendere» gli urlai. «Certo che lo è. Siamo i Sovrani di quel mondo, di ciò che c’è tra la realtà e l’invisibile. La magia in quel luogo esiste, l’immaginazione è magia. Una volta letto il racconto, i sigilli
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sono spezzati». Guardammo in direzione della porta. Era vero. Non c’erano più i simboli che ci legavano a quella realtà. «Guardatevi ora» disse Lord Braham. Io lo feci, come gli altri. Non riuscivo più a vedere il mio corpo. «Che succede? Cosa ci hai fatto?» domandai. «Io non ho fatto nulla Cassy, sei stata tu, ci hai liberati e ora siamo nel mondo reale. Sei libera. Libera di uccidere se vuoi. Hai liberato me, Lord Braham, l’Ispirazione. Paul, l’Oblio. Kim, la Violenza e Alex il Caos. Siamo stati rinchiusi dalla Madre, la Strega che ti ha creato, nostra madre per essere precisi. Noi siamo Magia Pura e Terribile. E ora siamo liberi». Sono le ultime parole che ho sentito pronunciare da Lord Braham. Ero già andata via. Via dove? Dove si sta leggendo questo racconto. Sono accanto a te, mentre leggi le ultime righe di questa pagina, cercando di capire se è vero quello che hai letto o è pura finzione. Non temere. Lo scoprirai. Forse. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD