In uscita il 30/5/2016 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine giugno e inizio luglio 2016 (3,99 euro)
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MASSIMILIANO MURGIA
RINASCITA
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RINASCITA Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-991-3 Copertina: immagine “La Rinascita” di Ivana Magagnino - anno 2016
Prima edizione Maggio 2016 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
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Vorrei dedicare questa storia all’artista Ivana Magagnino, pittrice di talento che è stata in grado di cogliere in un’istantanea lo spirito del mio libro. Grazie di cuore Ivana, spero che questo sia solo l’inizio di una lunga collaborazione tra noi.
Una dedica anche a tutte quelle persone che, nonostante siano stati illusi, traditi o delusi, continuano a credere nell’amore puro e sincero.
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Prefazione
Da molto tempo non credo più nell’amore eppure, dopo due romanzi di ambientazione storica, ho voluto scrivere una storia su quest’argomento. La ragione non la conosco nemmeno io, so solo che avevo questo racconto in testa e lo dovevo scrivere. Forse ho sentito il bisogno di dare una mia versione al significato di questa parola o, semplicemente, volevo provare ancora le sensazioni che è in grado di scatenare, vivendole attraverso i personaggi del mio romanzo. L’amore è il sentimento più affascinante e misterioso che esista, perché è coinvolgente ed emozionante, semplice e complesso allo stesso tempo, ma può essere anche distruttivo o frustrante quando non corrisposto o impossibile da realizzarsi. Infiniti sono gli aggettivi che possono descriverlo, ma io li racchiudo tutti in un unico termine: irrazionale, perché ha origine nel cuore e non nella mente, quindi è sospinto da dinamiche spesso sconosciute e incomprensibili per chi lo vive. Tempo fa stavo navigando in un noto store online, per vedere la posizione nelle classifiche di vendita dei miei libri. Tra le recensioni dei lettori, ne ho trovata una che ha suscitato in me perplessità e amarezza e, lo ammetto, anche un po’ di rabbia. Era molto critica e aveva dei toni duri nei confronti del mio lavoro. L’ho riletta molte volte, cercando di trovare degli alibi a quanto mi era contestato, ma poi ho capito il punto di vista del lettore. Era semplicemente rimasto deluso, perché un argomento che aveva trovato interessante, non era
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stato sviluppato nel modo che desiderava. In realtà, quelle che ai suoi occhi erano delle mancanze o dei limiti alla narrazione, rappresentano mie scelte ben precise d’impostazione e di stesura. Il problema era che il lettore in questione non le conosceva. Nelle mie prefazioni cerco di spiegare le caratteristiche principali del romanzo e in quest’occasione sarò ancor più esaustivo, perché mi piace leggere, oltre che scrivere, quindi so bene quanto sia sconfortante un libro sul quale nutriamo delle aspettative che sono poi disattese. L’elemento comune ai miei scritti è che sono redatti in modo scorrevole e non molto lunghi, perché è mia convinzione che i libri voluminosi spesso diventano ripetitivi, ricchi di dettagli e lenti nello svolgimento. Lo stile invece non è ricercato, perché un romanzo si legge per svago e quindi lo preferisco di facile comprensione per tutti. Un incontro incidentale in un luogo isolato, questa è la situazione di partenza, condizione ideale per descrivere le emozioni vissute da due estranei, indotti dal caso a condividere totalmente la loro esistenza. La storia si sviluppa in un breve periodo, perciò ho evidenziato le sensazioni che emergono quando un uomo e una donna iniziano a conoscersi, perché credo siano le più intense e imprevedibili da descrivere. Tra queste, la diffidenza iniziale, la curiosità, l’attrazione, ma anche un pizzico di conflittualità e la ricerca disperata della fiducia, caratterizzano per lunghi tratti il rapporto che nasce tra i protagonisti. Nei momenti salienti ho cercato di immedesimarmi maggiormente nelle percezioni e nelle riflessioni della protagonista femminile, nel tentativo di indagare, attraverso di lei, la complessità e il mistero che ai miei occhi contraddistinguono l’altro sesso.
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Nel racconto si trovano però anche altri aspetti, tra cui un mio desiderio irrealizzato di un ritorno a una vita più semplice, a stretto contatto con la natura, perché credo che ognuno di noi debba ritagliarsi il proprio spazio nel mondo, nel rispetto dei doni che ci sono concessi dalla nostra madre terra. Osservare un cielo stellato, accendere un fuoco, fare il bagno in un lago, sentire la neve cadere, sono solo alcuni dei gesti che ho ripresentato, perché sembrano tanto banali quanto lontani dalla nostra visione, troppo legata a una vita moderna frenetica e asettica, in cui il tempo sembra sfuggirci di mano in modo inesorabile. La ricerca del calore umano, la solitudine, come riscoperta del nostro bisogno d’intimità e d’introspezione, la volontà di realizzare i nostri desideri e il coraggio di mutare completamente la propria esistenza, sono altri elementi che emergono nel corso della lettura. Per terminare questa mia premessa, vorrei precisare che nel libro non si trovano sfumature di un qualche colore, giusto per citare una nota serie di romanzi. Non è quindi un racconto erotico e neanche una storia condita di sentimentalismo. Ammetto di non aver mai letto un libro d’amore in vita mia e questo mi ha permesso di scrivere liberamente, senza dovermi ispirare ad altri autori o a schemi narrativi predefiniti. Ho quindi scritto quella che definirei semplicemente una storia di amore e di avventura. Credo perciò che sia una lettura in grado di stimolare la curiosità, adatta a tutti e quindi anche ai non appassionati del genere.
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Prologo
Attraverso i vetri della sala d’aspetto, la donna osservava la pista, nella speranza di scorgere qualche segnale di miglioramento nelle condizioni meteo. Tutto era fermo però, non vedeva luci in movimento né udiva il rumore dei motori. Sembrava un aeroporto abbandonato. La bufera era giunta improvvisa e aveva avvolto nella sua coltre tutta la regione, provocando ingenti danni e paralizzando le vie di comunicazione. Approfittando di una breve tregua, aveva raggiunto lo scalo a bordo del suo fuoristrada, ma in quelle condizioni non poteva far altro che aspettare. L’auto era già mezza sepolta dalla neve ed era troppo rischioso guidare lungo strade deserte e ghiacciate, per di più di notte. Al piano inferiore erano disponibili alcune stanze per accogliere i passeggeri in attesa prolungata, eventualità sicuramente non rara vista la latitudine. Il locale si era ormai svuotato, ma non avendo sonno, lasciava che il nervosismo alimentasse in lei l’illusione di una svolta favorevole. Non riuscendo a stare seduta a lungo, si alzava spesso, dirigendosi impaziente verso le vetrate. Vi poggiava contro il naso e faceva scorrere una mano sulla fronte, cercando di eliminare il riflesso delle luci interne. Ogni volta però si dimenticava di trattenere il respiro, finendo per appannare tutto e spostandosi stizzita in altra posizione. Il grosso orologio della sala scandiva lo scorrere dei minuti troppo velocemente. Si domandava rassegnata perché il tempo non fosse mai in grado di adeguarsi alle proprie necessità, ma viaggiasse sempre per proprio conto, seguendo le sue logiche immutabili.
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Stava per scoccare la mezzanotte, quando udì dei passi provenire dal lungo corridoio di accesso. Sicuramente era la persona che stava aspettando e lei si mosse nella direzione opposta per andarle incontro. «Buonasera Miss Sanders, mi scusi per il ritardo. Mi hanno informato che aveva richiesto un elicottero. Prima di venire da lei ho dovuto discutere parecchio con i tecnici della torre di controllo. Hanno appena ricevuto l’aggiornamento dal servizio meteorologico dell’aviazione e sembra che non siano previsti cambiamenti nelle prossime quarantotto ore». La donna fissò il pass che l’uomo portava appeso al giubbotto, giusto il tempo di leggerne il nome. «Mr. Dawson, io ho assolutamente bisogno di essere a destinazione entro domani sera. Quanto mi costerà il disturbo di volare in queste condizioni?». «Scusi, ma non capisco». La donna prese dalla borsa una busta e la porse all’uomo il quale, dopo averne analizzato il contenuto, si rivolse a lei scuotendo la testa. «Non è una questione di soldi. Il rischio è troppo elevato e non posso mettere in pericolo la sua vita». Stringendo nella mano la busta, si pentì subito di quella dichiarazione troppo affrettata. Il gesto non sfuggì però all’attenta vista della donna, che lo incalzò sfruttando il momento d’indecisione. «Le farò avere altrettanto al momento dell’atterraggio. Cosa mi risponde adesso?». Il pilota si girò verso le vetrate, per distogliere lo sguardo da quegli occhi così profondi e per fingere di controllare la situazione all’esterno. Era incerto, ma l’offerta allettante lo induceva a prendersi qualche istante di riflessione. Non era la prima volta che volava con quelle condizioni, ma si era limitato a brevi voli dettati dall’urgenza o per interventi di soccorso.
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Il servizio postale che prestava nelle piccole località montane non era sufficiente per garantire alla sua famiglia una vita dignitosa. Doveva impegnarsi in continuazione nella ricerca di cacciatori, escursionisti o alpinisti che volessero raggiungere luoghi selvaggi o le vette più impervie. Erano persone che pagavano bene per il passaggio e spesso prenotavano il posto anche per il ritorno. Purtroppo il periodo non era dei migliori e nell’ultimo anno le richieste si erano ridotte notevolmente. La mancanza di liquidità lo aveva indotto a rimandare alcune piccole manutenzioni all’elicottero, dettaglio sul quale era preferibile non informare la sua cliente. Pensò che per racimolare una cifra del genere avrebbe dovuto impegnarsi almeno due mesi con il servizio postale e questo gli fece comprendere ancora una volta quanto fosse poco remunerativo il suo lavoro. Mancavano quindici giorni a Natale e con quel lavoro extra avrebbe potuto regalare a sua moglie un bel cappotto nuovo e magari un paio di scarpe da abbinare e sotto l’albero ci sarebbe stato anche lo splendido trenino elettrico tanto desiderato da suo figlio. Sicuramente quella donna, dalle argomentazioni così convincenti, avrebbe trovato qualcuno disposto ad accompagnarla, quindi era deciso a non lasciarsi sfuggire quell’occasione. Non gli interessava la ragione che la rendesse così intransigente, perché era abituato a ricevere richieste strane da parte di avventurieri spericolati o escursionisti incoscienti. Si voltò di scatto, cogliendola alla sprovvista e la vide arretrare sorpresa. «Mi scusi Miss Sanders, non era mia intenzione spaventarla. Ero sovrappensiero e non mi sono accorto che fosse così vicino». «Non si preoccupi e mi chiami pure Cassandra. Che cosa ha deciso allora?». «Va bene, accetto» rispose risoluto porgendo la mano. «E io sono Jim. Partiremo domani mattina alle prime luci. Ci vogliono poco più di due ore e mezza per arrivare, tempo permettendo».
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Detto questo, i due si congedarono e Cassandra, mentre recuperava soddisfatta il suo bagaglio, si rivolse incuriosita verso il pilota. «Ma dalla torre di controllo non faranno storie?». «Non si preoccupi di questo, me la caverò con una cena e un paio di birre. Buonanotte». Figurarsi, pensò, mentre si dirigeva verso la sala dei controllori di volo: quelli erano premurosi e fiscali solamente se volavi con i mezzi di qualche compagnia o con velivoli militari. Lui era un civile e usava un elicottero privato, quindi, se voleva volare, era a suo rischio e pericolo. L’unico vantaggio di quella situazione era che avrebbe sicuramente trovato i cieli sgombri, situazione ottimale se avesse dovuto cambiare rotta. Ottenuto, senza troppa fatica, il via libera per l’indomani, salutò tutti e si diresse all’alloggio a lui riservato. La sua cliente riposava nella stanza adiacente, perché erano gli unici ospiti in attesa di partenza dell’aeroporto e, nel silenzio profondo, riusciva a sentirla mentre rumorosamente si preparava per la notte. La doccia non era servita a rilassarla. La tensione non accennava a diminuire e continuava a pensare a quanto fosse importante l’appuntamento che la attendeva. Dall’esito di quell’incontro dipendevano la sua carriera e il suo futuro. Si sdraiò nel letto che erano quasi le tre e a fatica riuscì a prendere sonno. All’alba il pilota era intento a controllare il mezzo. Un paio di avviamenti prolungati e altrettanti sollevamenti da terra di qualche metro lo indussero a stabilire che tutto era in ordine. Lasciò il motore acceso, mentre dalla torre di controllo gli fornivano le ultime indicazioni e la conferma dell’orario per il decollo. Ripassò la rotta da tenere con le carte alla mano. Non voleva sottovalutare le forti correnti ascensionali tra le montagne e il vento frontale, sicuramente fastidioso con una bufera in corso. Condizioni che avrebbero determinato un consumo supplementare di carburante, rispetto alla distanza da coprire. Gli ultimi calcoli confermarono che
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l’autonomia dell’elicottero gli consentiva un margine di sicurezza e questo lo sollevò in parte dalle sue preoccupazioni. Con impazienza iniziò a osservare il portone del magazzino spedizioni, in attesa che vi uscisse il trenino incaricato di consegnarli la posta. Siccome doveva viaggiare, era stupido non approfittarne per caricare a bordo anche qualche sacco postale, ammassatosi nel frattempo in deposito. Avrebbe anche fatto un’ottima impressione e soddisfatto chi, ogni tanto, criticava la puntualità del servizio. Ultimato il carico, fece un segnale prestabilito con i fari verso la sala d’attesa e dopo pochi istanti, Cassandra fece la sua comparsa sulla pista. Con gli stivali a tacco alto e il trolley da trainare, sembrava in procinto di cadere a ogni passo e allora Jim preferì scendere per andarle incontro. Mentre saliva a bordo, la donna lanciò un’occhiata dubbiosa al mezzo. Era la prima volta che viaggiava in elicottero, ma se lo era sempre immaginato più grande. Il pilota notò subito lo sguardo critico e ne approfittò per provocare la donna. «È ancora in tempo per cambiare idea se vuole…». «Non si preoccupi la mia era solo curiosità. Non ne avevo mai visto uno così da vicino». Appena salita, la donna si avvicinò alla cabina, convinta di trovarvi posto a fianco del pilota, ma questi la deluse, facendole segno di accomodarsi dietro. «Mi sento più tranquillo se fa compagnia alla corrispondenza. Sarà più al sicuro e sentirà meno i sobbalzi che sicuramente ci attendono con questo vento». Un po’ contrariata Cassandra si sedette sull’unico sedile a disposizione, dopo aver spostato a fatica un paio di grossi sacchi di juta. Allacciata la cintura, fece cenno al pilota di essere pronta e questi decollò con una brusca manovra, facendo scivolare il bagaglio della donna in fondo all’abitacolo. Non gli piacevano le persone convinte di poter comprare tutto con i soldi e quel gesto di disappunto voleva testimoniare che si era
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venduto solo per necessità, ma che restava sempre un uomo padrone del suo destino. L’uomo era intento a mungere una delle capre, mentre l’altra osservava la scena, in attesa del suo turno. Le galline intanto vagavano liberamente nella stalla, alla ricerca degli ultimi chicchi di mangime celati dalla paglia. Terminata l’incombenza, si alzò, distendendo la schiena all’indietro e sollevando il magro compenso del suo lavoro. Per fortuna che sono solo, pensò, altrimenti con questo latte ci farei ben poco. Prima di uscire, introdusse gli ultimi due ceppi dentro la stufa e spense le grosse lampade che garantivano l’illuminazione del locale. Giunto all’esterno fece scorrere il chiavistello lungo il portone e lo bloccò con un grosso lucchetto. Da quelle parti le precauzioni non erano mai troppe e lui teneva alla sicurezza dei suoi amici animali. La bufera non accennava a placarsi e prima di rientrare si soffermò alcuni istanti a osservare la neve, accumulatasi sul tetto della baita e intorno a essa. L’indomani sarebbe stato un altro giorno da spalatore, ma per lui era un modo come un altro per fare sano movimento, e quindi non se ne preoccupava. Giustificava la sua solerzia pensando che, se non avesse voluto spalare, era preferibile trasferirsi ai tropici, invece di vivere su una montagna. Abbassò istintivamente la cuffia per coprire le orecchie e, raggiunto l’uscio di casa, si voltò in direzione del sentiero. Portò quindi due dita alla bocca ed emise un triplice fischio, restando in attesa. Stava per ripetere il richiamo quando l’animale fece la sua comparsa. Camminava a passo lento ma a testa alta, come sempre. Spesso si era domandato, dove andasse quando si allontanava da lui: probabile che sentisse il bisogno di trascorrere del tempo insieme ai suoi simili ed era una cosa che non poteva condividere con il suo padrone. L’aveva trovato cucciolo, abbandonato e indifeso, convinto si trattasse di un randagio. Crescendo scoprì che era molto di più, un incrocio tra un lupo e un cane da slitta forse, ma non ne era sicuro. Gli occhi erano color ghiaccio, visibili anche al buio e sembravano
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appartenere a una creatura di un altro mondo. Il pelo grigio e la stazza notevole, indicavano che uno dei genitori dovesse essere un cane di grosse dimensioni, mentre gli husky erano notoriamente di taglia media. Adorava quell’essere e l’averlo incrociato era stato un dono inestimabile, il miglior compagno che potesse desiderare in quel luogo sperduto. Fedele e indipendente, un mix di qualità che lo rendeva unico e insostituibile. Lo seguiva ovunque quando si allontanava dalla baita, sempre pronto a segnalargli qualche minaccia e a soccorrerlo in caso di pericolo. Frequenti erano gli incontri con branchi di lupi o orsi ma insieme ne erano sempre usciti indenni. Spesso era sufficiente un solo gesto di allerta del suo amico, per indurlo a cambiare direzione o ad arretrare, scampando in tal modo a qualche incontro indesiderato. Arrivato sulla porta, abbozzò un timido tentativo di rimproverarlo. «Zack, te l’ho detto mille volte che non ti devi allontanare durante le bufere. E lo sai che non ti faccio entrare in quelle condizioni». L’uomo aprì la porta, ma sbarrò il passaggio con il proprio corpo, per far comprendere all’animale cosa pretendesse da lui. Rassegnato, Zack iniziò a scrollarsi di dosso la neve e, completata l’operazione, si accucciò in attesa di ricevere il via libera. Il padrone afferrò un grosso straccio per asciugargli con cura il pelo e infine entrambi si accomodarono al riparo. Zack si diresse subito verso lo spesso tappeto posto vicino al camino e vi si accucciò sopra in attesa della cena. Pochi minuti dopo l’uomo lo chiamò e lui scattò in direzione del tavolo. Già pronta a terra trovò la sua ciotola colma di cibo e ancora fumante. «Poiché sei stato a spasso tutto il pomeriggio, immagino che sarai affamato. Razione doppia per stasera, ma dovrai aspettare perché è ancora calda». Impaziente l’animale iniziò a girare intorno alla ciotola, cercando un improbabile sistema per accelerarne il raffreddamento. L’uomo rise
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divertito alla scena, mentre Zack tentava di impietosirlo con il suo lamento, ottenendo l’aiuto insperato sotto forma di un prolungato soffio sulla sua cena. La stanchezza ebbe il sopravvento e l’uomo decise di mettersi a letto appena terminato di mangiare. Cercò di iniziare a leggere un buon libro, rinunciandovi però dopo poche pagine. Spense la candela e si addormentò profondamente. Il sogno era simile a molti altri; si sviluppava in modo piacevole nella prima parte, per tramutarsi poi in un incubo. Ogni volta il risveglio era improvviso e lui si trovava ansimante, quasi fosse stato in apnea, sudato e con il battito del cuore che gli pulsava fin nelle tempie. Si mise seduto sul fianco del letto, passandosi le mani nei lunghi capelli bagnati per raccoglierli dietro la nuca. Purtroppo per lui, a parte qualche variante, quello non era solo un frutto del suo subconscio: era un ricordo. Si alzò per guardare l’ora. Erano le quattro di notte, inutile provare a riprendere sonno. Dalla credenza prese una bottiglia di rum e il barattolo del tabacco con la pipa. Bevve subito un sorso e poi riempì un bicchiere, mentre con la mano libera sbatteva la pipa per pulirla. Recuperò la chiave dal contenitore in cui la teneva nascosta e si diresse verso la porta. La aprì ed entrò nella piccola stanza, godendo per un attimo del fresco che proveniva dall’interno. In origine doveva trattarsi di un piccolo magazzino, dove lui era riuscito a infilare giusto una massiccia libreria e una stretta scrivania, entrambe costruite con le sue mani. Non era quindi riscaldato e quando vi soggiornava lasciava la porta aperta, per consentire al calore generato dal camino di penetrarvi. Zack conosceva bene quel rituale: ogni volta che il suo padrone si alzava di notte finiva per dirigersi lì dentro. E lui lo seguiva sempre, sistemandosi sotto la scrivania per stargli vicino. L’uomo sorseggiò un po’ di rum e accese la pipa, inspirando profondamente e trattenendo a lungo il fumo nei polmoni. Fumava
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solo in quelle occasioni e quei tiri intensi che gli annebbiavano la mente, erano per lui liberatori. Bene, direi che ora posso mettermi al lavoro‌.
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Erano circa a metà percorso, quando Jim iniziò a percepire un rumore strano. Cassandra sembrò non accorgersi di niente, ma l’orecchio allenato del pilota era molto sensibile nel cogliere il minimo segnale di anomalia. Non era il fragore del vento o della neve che sbatteva contro l’elicottero: il suono proveniva da sopra, dal rotore. Sentiva dei vuoti intermittenti, come se le pale non ruotassero sempre alla stessa velocità. Cercò di non concentrarsi troppo su quel dettaglio, perché lo distraeva dalla guida e, in condizioni così critiche, era preferibile essere attenti e concentrati. All’improvviso le turbolenze aumentarono d’intensità, generando preoccupanti variazioni di assetto. Jim faticava a governare il mezzo, diventato quasi un toro impazzito da domare in un rodeo. Decise di modificare la rotta, spostandosi verso ovest, per cercare protezione dalla bufera all’interno delle montagne. Provò a comunicare via radio la variazione, ma le trasmissioni erano troppo disturbate. Era improbabile rischiare di incrociare la rotta di qualche altro velivolo con un tempo del genere, quindi rimase della sua idea e cambiò rotta, anche senza ricevere il benestare dai controllori di volo. «Non credevo che avremmo attraversato le montagne» disse Cassandra, quasi urlando per farsi udire da Jim. «Il percorso non si allunga in questo modo?». «Non si preoccupi, è una misura precauzionale. Tra le montagne il meteo dava condizioni più favorevoli al volo. Aumenterò un po’ la velocità e in breve recupereremo il tempo perduto con la deviazione».
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Il tono della risposta era tranquillizzante e Cassandra tornò a guardare fuori dal finestrino, inconsapevole dell’inquietudine di Jim. Gli strumenti non segnalavano malfunzionamenti, ma l’orecchio del pilota era ormai concentrato sui vuoti generati dalle pale, sempre più frequenti e prolungati. Chiuse gli occhi alcuni istanti, per selezionare in quel frastuono generale solo il suono di suo interesse. Comprese che la situazione poteva degenerare rapidamente e allora decise di prendere quota… ma non fece in tempo. Il motore si arrestò mentre tirava la cloche verso di sé. Udì Cassandra gridare agitata, ma non sentì cosa gli dicesse e lui cercò in ogni caso di rincuorarla. «Stia seduta e allacci le cinture di sicurezza, devo tentare un atterraggio di fortuna». Doveva pensare e agire velocemente. Ripassò nella mente la sequenza di operazioni per l’atterraggio a motore spento. La velocità orizzontale era discreta quindi controllò l’altimetro per verificare l’altezza dal suolo. Rimase impietrito: l’elicottero stava scendendo di quota, ma lo strumento non segnalava variazioni. Lo colpì con un piede, ma comprese subito che era guasto. Lo colse il panico. Aveva eseguito quella manovra in alcune occasioni al simulatore e una sola volta durante il corso per acquisire il brevetto, ma con un piccolo elicottero monoposto, la strumentazione funzionante e non nel mezzo di una bufera. La visibilità era pessima e non riusciva a trovare punti di riferimenti dal suolo. Era necessario anche individuare un’area in piano e sgombra, ma sotto di lui vedeva solo alberi. Privato dell’azione del motore, l’elicottero perse velocità rapidamente a causa del forte vento frontale e la discesa controllata diventò impossibile. Il terreno era ormai troppo vicino, per eseguire la frenata in sicurezza. Stiamo precipitando, pensò Jim, mentre tendeva le membra per prepararsi all’impatto. L’uomo si risvegliò intorpidito. Si accorse di essersi addormentato sulla sedia, con i piedi appoggiati alla scrivania. L’intenzione era di
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prendersi solo una breve pausa, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento e si era assopito pesantemente. Zack era sempre al suo posto e si alzò insieme al padrone. Dopo un’abbondante colazione con uova e formaggio, si vestì, intenzionato a ripulire il tetto della baita dalla neve. Uscì e iniziò a valutare l’entità del lavoro che lo attendeva. Aveva nevicato tutta la notte e non era ottimista riguardo a un possibile miglioramento della situazione. Prelevò dal fienile la pertica che aveva realizzato per agevolargli il compito. Alla sommità aveva fissato un largo rastrello con denti di ferro ricurvi, ottimo per arpionare la neve dal tetto e sospingerla verso il basso. Il lungo bastone gli consentiva di svolgere l’operazione a distanza di sicurezza, oltre a consentirgli di raggiungere anche la zona più alta del tetto senza doverci necessariamente salire. Più faticoso era invece sgombrare tutta la neve che cadendo si accumulava al suolo intorno alla casa, ma era attività cui poteva dedicarsi con più calma, magari nel pomeriggio. Si stava ripulendo gli stivali, prima di rientrare per il pranzo, quando udì l’inconfondibile rumore di un elicottero. Spesso li vedeva mentre attraversavano le montagne, ma era la prima volta che ne sentiva uno volare durante una bufera. Non riusciva a vederlo ma era vicino, troppo vicino, pensò. Riusciva a sentirlo distintamente e si domandò perché volasse così basso. All’improvviso fu il silenzio e lui rimase interminabili istanti con i sensi all’erta. Era successo qualcosa di grave: avrebbe dovuto sentire il rumore del motore scemare, mentre l’elicottero si allontanava. Il suono si era invece interrotto di colpo. Si riprese dal suo stato di trance, quando Zack iniziò a ululare. Ogni volta che il suo amico si esibiva in uno dei suoi prolungati ululati, l’uomo ne percepiva l’indole selvaggia e quella sensazione gli metteva i brividi. In quelle occasioni, la fiducia che nutriva per l’animale lasciava spazio a un senso di timore, normale secondo lui, se condividi la tua esistenza con un essere che non riuscirai mai a comprendere fin nel profondo.
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Zack si era infilato di corsa lungo il sentiero che entrambi avevano contribuito a creare, con i loro frequenti passaggi. Provò a richiamarlo, ma l’abbaiare del cane copriva la sua voce. Decise di seguirlo, perché era sicuro che il suo compagno fosse l’unico in grado di aiutarlo a far luce sull’accaduto. Corse in casa a prendere il fucile, una coperta e una torcia a petrolio e poi si diresse nella stalla, dove legò il tutto alla sua pratica slitta a mano. L’aveva costruita lui stesso, fissando una lunga e stretta cassa di pino sopra due vecchi sci da fondo. Per trainarla usava una robusta cinghia di tela che faceva scorrere lungo i fianchi. Indossate le racchette da neve, si avviò all’inseguimento di Zack, sicuro che ne avrebbe trovate le tracce sulla neve fresca. Era tarda mattinata, ma il cielo plumbeo e la bufera rendevano scarsa la visibilità e solo un esperto conoscitore della zona poteva azzardarsi a muoversi senza il rischio di smarrirsi. Per sua fortuna Zack aveva proseguito seguendo la via già battuta, altrimenti sarebbe stato azzardato seguirlo tra i boschi, oltre che complicato con la slitta al seguito. Dopo un miglio abbondante, le orme lasciarono il sentiero e s’inoltrarono dentro un fitto bosco di abeti. Lasciò la slitta incustodita e proseguì alla ricerca dell’amico, portando con sé solo il fucile. Rispetto a quelle ben visibili sul sentiero, nel bosco le tracce apparivano confuse, come se il cane fosse indeciso sulla pista da seguire. In più punti le vedeva sovrapporsi combinandosi tra loro e in un paio di occasioni notò che Zack si era fermato, forse per annusare l’aria o in ascolto di qualche suono. Chiamò il cane a più riprese, nella speranza che non fosse distante. Finalmente, ne udì distintamente l’inconfondibile ululato e ne seguì la provenienza. Quando lo intravide, Zack si stava ancora esibendo nel richiamo e lo interruppe, solo quando il padrone gli appoggiò affettuosamente una mano sulla testa per accarezzarlo. «Bravo campione, vediamo cosa hai trovato».
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La scena non era molto incoraggiante. L’elicottero si era spezzato in due e le pale si erano frantumate in mille pezzi, disseminandosi ovunque. La cabina di pilotaggio si era accartocciata in seguito all’urto frontale, mentre la fusoliera appariva ancora in discrete condizioni, grazie anche al carrello che si era schiacciato senza staccarsi. Fortunatamente non era esploso, forse grazie allo spesso strato di neve e agli alberi che ne avevano attutito l’impatto. Privato di quell’ammortizzatore naturale, probabilmente si sarebbe disintegrato, senza lasciare scampo agli occupanti. Si avvicinò a fatica, perché la neve caduta dagli alberi aveva formato una barriera quasi invalicabile, alta quanto un uomo. Tornò alla slitta, per prendere la pala che saggiamente aveva aggiunto all’equipaggiamento e la usò per aprirsi la via. Decise di liberare dalla neve prima la cabina di pilotaggio, ma purtroppo si accorse che era stata invasa dalla neve nei vari punti in cui aveva ceduto. Il pilota giaceva riverso su un fianco, tenuto al suo posto dalle cinture di sicurezza. Quello strumento di protezione era però stato fatale, perché un grosso ramo era penetrato frontalmente e l’aveva colpito. Forse senza cinture sarebbe riuscito istintivamente a spostarsi di lato, o comunque a limitare la gravità del colpo. Provò a liberarlo, ma non vi riuscì. Sarebbe dovuto tornare con una sega e tagliare prima il legno, ma decise di farlo a tormenta finita, perché era un’operazione che richiedeva tempo e molta attenzione. L’elicottero era rimasto sollevato da terra da quella parte, proprio a causa della presenza del ramo che lo sosteneva, ma allo stesso tempo teneva in bilico e inclinato pericolosamente. Diede un’occhiata veloce anche all’abitacolo posteriore, scorgendo solo grossi sacchi che riportavano la scritta “servizio postale”. Anche il retro era invaso dalla neve e preferì non avventurarsi, temendo che il pavimento non fosse perfettamente integro e quindi potenzialmente pericoloso.
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Scese dalla cabina, spiccando un leggero salto, e, dopo aver recuperato la pala, fece cenno al cane di seguirlo. «Andiamo Zack, per ora non possiamo fare altro». Il cane si fermò dinanzi alla fusoliera e si sedette, guardando alternativamente il padrone e l’elicottero. L’uomo non ci fece caso e si avviò, mentre Zack continuava nervosamente a muoversi avanti e indietro lungo la fiancata del rottame, abbaiando con foga. Non si ricordava una volta in cui il suo amico avesse attirato la sua attenzione senza ragione. Gli stava dicendo che là dentro c’era qualcosa che gli era sfuggita e che doveva rientrare a controllare. «Va bene, ho capito. Vieni dentro con me e mostrami cosa devo cercare». Prese in braccio l’animale e lo issò, prima di salire anch’egli nell’abitacolo. Senza esitazione Zack sfrecciò nella parte posteriore e si fermò davanti a due grossi sacchi che sembravano appoggiati alla parete. L’uomo ne spostò uno e vide la donna, ancora seduta al suo posto e con le cinture fissate. Non l’aveva vista prima, perché abbracciava uno dei due sacchi, probabilmente l’unica cosa a disposizione per proteggersi. A prima vista sembrava che la scelta fosse stata la migliore possibile perché era svenuta, ma la sentiva respirare, anche se debolmente. Aveva sbattuto la testa e presentava un grosso ematoma sulla fronte, ma l’uomo non era in grado di valutare se avesse subito altri traumi. L’uomo rovistò intorno, alla ricerca di qualcosa per coprirla, e per fortuna trovò subito un cappotto su un altro sedile, insieme a una cuffia e una sciarpa. Dopo averla liberata, aprì a fatica il portellone e la prese in braccio per portarla alla slitta, dove la adagiò, appoggiandole sopra la coperta. Zack presidiò tutte le operazioni, seguendo diligentemente il proprio padrone il quale, al momento di riprendere la strada di casa, gli fece una profonda carezza sulla testa. «Bravo amico, senza il tuo aiuto non l’avrei trovata. Ora riportaci a casa».
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Il ritorno fu più complicato del previsto perché la slitta, sotto il peso della donna, sprofondava nella neve fresca e per questa ragione, diverse volte l’uomo fu costretto a fermarsi per riprendere fiato. Finalmente, dopo oltre un’ora, iniziò a intravedere le luci interne della baita e questo lo spronò ad accelerare. Sapeva che il tempo poteva essere decisivo e dal momento dell’incidente ne era trascorso già troppo.
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II
Appena entrato in casa, l’uomo appoggiò la donna sull’ampio letto, poi si preoccupò di ravvivare velocemente il fuoco. Quando si voltò per controllare le condizioni della sua ospite, la trovò in preda ai tremori. Non riusciva a comprendere se fossero convulsioni dovute al colpo alla testa, oppure semplici brividi di freddo. Nel primo caso non avrebbe potuto fare molto per lei. La spogliò con cura, perché non voleva provocare danni, nel caso avesse subito traumi in altre parti del corpo. I vestiti erano tutti bagnati e in parte congelati e questo particolare gli fece sperare che la donna fosse soltanto in preda a ipotermia. L’uomo avvicinò una lampada e in quel momento non riuscì a fare a meno di ammirare quel corpo esile ma slanciato. Non era molto alta, ma aveva un fisico tonico, probabilmente risultato d’intense sedute in palestra o in piscina. Aveva lunghi capelli castani molto mossi e per contenerli, li teneva legati con un elastico. Esternamente non erano visibili segni di fratture, a parte una brutta botta rimediata alla spalla, dalla stessa parte dove aveva ricevuto il colpo alla testa. La girò su un fianco e infine, sollevato, decise di coprirla con un paio di coperte e di metterle un impacco di ghiaccio sulla testa per ridurre l’estensione dell’ematoma. La donna però non riprendeva i sensi, aveva la respirazione irregolare e continuava a tremare. Dopo un attimo di esitazione, l’uomo scelse di usare l’unico rimedio che conosceva per contrastare l’ipotermia. Si spogliò anch’egli e si sdraiò a fianco della donna, cercando di scaldarla con il calore del proprio corpo. Per interminabili minuti tra i due sembrò esserci un incontro di lotta libera, nel quale la donna cercava di divincolarsi dalla presa dell’uomo e si lasciava andare a movimenti repentini e imprevedibili, incapace di controllare il proprio corpo. L’uomo
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cercò di serrarle le braccia con un abbraccio e tentò di bloccarle le gambe in mezzo alle sue. Finalmente, con infinita lentezza, la donna iniziò a calmarsi e a ritrovare un ritmo della respirazione più regolare, mentre il suo corpo, inizialmente freddo, tornava a una temperatura normale. L’uomo si tranquillizzò a sua volta e sentì la tensione abbandonarlo, mentre la stanchezza prendeva il sopravvento. Da troppo tempo non sentiva il contatto del corpo femminile e quella sensazione piacevole lo tratteneva vicino alla donna. Ancora cinque minuti, poi mi alzo, continuava a ripetersi nella mente… ancora cinque minuti… ma alla fine crollò e si addormentò profondamente. Cassandra riaprì lentamente gli occhi. La testa le pulsava con insistenza e la vista era annebbiata. Li chiuse con forza e poi li riaprì, cercando di mettere a fuoco per capire dove si trovasse. Era una grossa stanza tutta di legno, una baita probabilmente, ed era in penombra perché la luce che proveniva dal camino era fievole e dava un’aria sinistra all’ambiente. Era sdraiata su un letto, girata su un fianco e sentiva di non avere niente indosso. All’improvviso, sentì la presenza dell’uomo accanto a sé. Le cingeva la vita con un braccio e lo sentiva respirare lentamente, segnale inequivocabile che giaceva in un sonno profondo. Il cuore iniziò a batterle con foga, accentuando la sensazione di malessere che le proveniva dalla testa. Le stava per venire un attacco di panico: doveva alzarsi subito e allontanarsi, ma non voleva svegliare l’uomo, perché non poteva prevederne la reazione. Era una situazione surreale e non ricordava niente dal momento in cui l’elicottero aveva iniziato a perdere quota. Tentò delicatamente di sollevare quel braccio che le impediva di scivolare fuori dal letto, ma la frenesia e la debolezza le impedivano di farlo con la calma necessaria. Con uno strattone decise di liberarsi da quella morsa opprimente e di scattare verso il camino, dove
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riusciva a scorgere un grosso attizzatoio da usare come arma di difesa. Com’era prevedibile, la mossa fece svegliare di colpo l’uomo. Cassandra afferrò rapidamente una camicia di flanella da una sedia e mentre la indossava, impugnò l’improvvisata arma puntandola verso lo sconosciuto, il quale aveva avuto solo il tempo di mettersi a sedere nel letto. Per alcuni istanti l’uomo rimase a osservarla, sorpreso da quella scena, ma subito dopo si accorse che la donna aveva fatto cadere alcune braci sul pavimento, generando un principio d’incendio. Si alzò di scatto per rimediare a quella situazione pericolosa, dirigendosi verso un catino colmo d’acqua, ma Cassandra, invece di indietreggiare, gli sbarrò la strada e cercò di usare l’attizzatoio come un fioretto per farlo desistere. L’uomo era infuriato e si rivolse a Cassandra con tono minaccioso. «Dannazione, se hai intenzione di appiccare il fuoco alla baita, puoi prendere e tornartene dove ti ho trovato!». Così dicendo indicò alla donna le braci accese sul pavimento e questo gli diede un vantaggio, perché la donna abbassò per un istante la guardia, distratta da quella visione. L’uomo le fu addosso e le strappò l’attizzatoio di mano, ma afferrandolo dall’estremità incandescente fu obbligato subito a scagliarlo lontano, lanciando un urlo di dolore. Zack intanto si era messo dinanzi alla donna e le ringhiava contro, mentre il padrone si occupava di spegnere i fuochi con l’acqua e con un panno. Finita l’operazione, si rivolse alla donna, puntandole un dito come per ammonirla, ma si fermò subito. Cassandra si era spostata lungo la parete fino all’angolo e si teneva chiusa la camicia con entrambe le mani, serrando i gomiti lungo i fianchi. Era terrorizzata e tremava. L’uomo comprese di aver esagerato nella reazione e cercò di calmarla, alzando entrambe le mani aperte in segno di resa e usando un tono rassicurante, si avvicinò lentamente. Anche Zack si era placato e a un cenno del padrone si allontanò verso la porta d’ingresso.
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«Non devi temere nulla da me, voglio solo aiutarti. Ricordi quello che ti è successo? Dovresti pensare a riposarti…». L’uomo parlava, ma Cassandra non riusciva a percepire le parole. La testa sembrava esploderle e aveva le vertigini. Tutto iniziò a girare intorno a lei e si rese conto che stava per perdere i sensi. L’ultima cosa che sentì era il proprio corpo che cadeva in avanti e due braccia che la sostenevano e la prendevano in braccio. Poi tutto fu nero. Quando Cassandra si risvegliò, l’uomo era vicino a lei, seduto su un’ampia sedia, che la osservava. «Come ti senti?». La donna sembrò esitare. «Puoi verificare da sola che adesso indossi i tuoi abiti. Sono tornato all’elicottero e ho recuperato i tuoi bagagli e ti ho messo qualcosa di comodo addosso. Non sono uno stilista quindi non so se li ho abbinati correttamente, ma non credo che questo sia un grosso problema». Dopo essersi accertata di avere i vestiti addosso, Cassandra rispose con tono sollevato. «Mi gira un po’ la testa, però mi sembra di stare meglio. Dove mi trovo?». «Sei in una baita di montagna. Ti ho portato qui dopo averti trovata nel bosco a oltre un miglio da qui. Sei stata fortunata a sopravvivere alla caduta. Per il pilota non c’è stato niente da fare». «Mi dispiace. Lui non voleva volare, ma l’ho convinto io». «Ormai è tardi per dispiacersi. Spero che la ragione che ti ha spinto a viaggiare in queste condizioni fosse veramente grave, ma non credo che mi debba interessare. È una questione che devi discutere con la tua coscienza…». «C’è una cosa che vorrei chiederti, riguardo al nostro primo incontro…» Cassandra era sulla difensiva e all’uomo sembrava non sfuggire niente.
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«Immagino che tu voglia sapere cosa ci facevamo a letto insieme e nudi. Ti ho dovuto spogliare perché avevi gli abiti fradici e per verificare se avessi riportato ferite o fratture. Eri in ipotermia e ho cercato semplicemente di scaldarti con il calore del mio corpo. Tra i nativi delle montagne è il rimedio più diffuso in questi casi. Dalla tua espressione però non mi sembri molto convinta della mia versione. Avrei evitato di farci trovare al tuo risveglio in quelle condizioni, ma ero stanco e mi sono appisolato. Mi dispiace che ti sia spaventata». «Non preoccuparti, ero molto più terrorizzata mentre l’elicottero precipitava. Ero sicura di morire». A quel ricordo un brivido freddo attraversò il corpo di Cassandra, che s’irrigidì, cercando conforto nella coperta che sollevò fin sulle spalle. «Non ci siamo ancora presentati. Mi chiamo Cassandra Sanders. Piacere di conoscerti e grazie per tutto quello che hai fatto per me». Cosi dicendo, la donna allungò la mano in segno amichevole e l’uomo ricambiò il gesto stringendola leggermente. Aveva la mano destra fasciata, ricordo dell’attizzatoio rovente. «Mi dispiace per la mano…». «Non preoccuparti non è niente di grave. So già chi sei, ho guardato nella borsetta i tuoi documenti. Io invece sono Vince». «Vince, come?». «Come diminutivo di Vincent. Il cognome serve al postino e all’agenzia delle imposte e qui non ho rapporti con nessuno di questi soggetti. Cassandra percepì dall’uomo un tono ostile, come se non gradisse la sua presenza. «Sei sempre così scorbutico con i tuoi ospiti?». «Mi dispiace di darti questa impressione, ma vivo qui da solo con il mio cane e ho dimenticato le buone maniere. A proposito, lui è Zack». Sentendo il suo nome, il cane sì alzò da dove era accucciato e andò a sedersi davanti al letto, tra il suo padrone e Cassandra.
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Per un attimo la donna si ritrasse, ricordando l’espressione del cane quando le aveva ringhiato contro. «Non devi avere paura di lui. Due giorni fa pensava che fossi in pericolo e stava solo cercando di difendermi da te. È grazie al suo istinto se sei viva. Io non mi ero accorto della tua presenza sull’elicottero, ma lui ha insistito per farmi rientrare». «Due giorni fa? Vuoi dire che ho dormito così a lungo? Grazie allora, Zack…». Così dicendo la donna accarezzò timidamente l’animale sulla testa, mentre lui la osservava, scodinzolando soddisfatto. «Sì, e quando hai ripreso i sensi la prima volta, eri qui già da quasi un giorno. Prendi questa adesso». L’uomo le porse una tazza fumante. «È una tisana fatta con erbe di montagna. Sono antidolorifiche e antinfiammatorie e ti aiuteranno a riprenderti in fretta. Un impacco per la testa l’ho preparato con le stesse erbe e a vedere come si è ridotto l’ematoma, sembra che facciano effetto. Non ho farmaci qui, quindi devi affidarti a questo genere di cure». «Va bene, se non c’è altro. Cosa sei, un guaritore?». «No, però sono amico di un vecchio sciamano indiano, che mi ha insegnato come usarle». Cassandra preferì non proseguire la discussione, non riuscendo a capire se l’uomo la prendesse in giro. Assaggiò la tisana e fece una smorfia di disgusto. «Ma è amarissima». «È una medicina, cosa pretendi? Se vuoi, te la posso addolcire con un po’ di miele. Cassandra annuì con la testa, come una bimba restia a prendere il rimedio, in mancanza di un modo per renderlo più gradevole». Con una pazienza che non credeva di avere, Vince la assecondò, provando un certo piacere nel costatare che Cassandra gradisse le sue premure. Preferì però districarsi da quella situazione ai limiti del sentimentale, perciò indossò il giaccone e gli scarponi. «Ora vado un po’ fuori a spaccare la legna, prima che faccia buio».
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«Va bene». Cassandra stava nel frattempo rovistando nella sua borsetta, finché non trovò il cellulare. Era acceso e aveva ancora la batteria carica, però non c’era segnale… Prima di uscire Vince si rivolse a lei scuotendo la testa. «Quello non ti servirà finché resterai qui. Per oltre cento miglia in ogni direzione non c’è nessun segno di civiltà, solo montagne e alberi». Cassandra incassò la notizia come un pugile riceve un knock out imprevedibile e micidiale. L’appuntamento tanto importante era saltato e non riusciva ad accettarlo. Si sdraiò nuovamente, fissando a lungo il soffitto, in compagnia della sua frustrazione. Dopo un profondo sospiro decise alla fine di alzarsi, lentamente, per accertarsi se fosse in grado di stare in piedi senza problemi. Le gambe sembravano reggere e il dolore alla testa era sopportabile. Il suo scetticismo gratuito verso l’efficacia delle erbe forse era infondato, perché si sentiva bene e riposata. Si soffermò alcuni istanti a osservare l’interno della baita. Sembrava composta di un unico locale molto ampio, rettangolare, interamente fatta di legno, ed era molto accogliente. Due finestre con le persiane, ricavate su una delle pareti lunghe, garantivano l’illuminazione all’interno. L’arredamento era spartano, costituito dal letto, un grosso tavolo robusto, due sedie, un mobiletto con appoggiato un catino e una capiente caraffa, una vecchia poltrona di fronte al camino e una larga cassettiera posta ai piedi del letto. Completava il tutto la zona cucina, formata da un paio di mobili alti e stretti, da una credenza e una stufa a legna con due piani cottura, il tutto disposto lungo una delle pareti più strette. In un angolo c’era anche un water, nascosto alla vista da una tenda scorrevole. Cassandra notò anche un bell’appendiabiti fissato alla parete vicino alla porta. Si avvicinò per vederlo meglio: era stato interamente intagliato a mano da un unico ceppo, al quale erano stati aggiunti alcuni ferri ricurvi per appoggiarvi i vestiti.
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Un particolare che l’era inizialmente sfuggito catturò la sua attenzione. In uno degli angoli la casa aveva una rientranza, come se una piccola stanza fosse stata realizzata per custodire qualcosa. Una spessa porta ne impediva l’accesso e Cassandra pensò che potesse essere un magazzino, viste le dimensioni ridotte. Provò ad aprirla, ma era chiusa a chiave. Un’altra cosa che intuì era l’assenza di energia elettrica, perché diverse candele e un paio di lampade a petrolio erano disseminati ovunque. Per lei, abituata alle comodità della vita moderna, era come fare un viaggio nel tempo. Si avvicinò a una finestra per vedere meglio l’esterno. Vince aveva finito di spaccare la legna e la stava caricando su una carriola. Lui non poteva vederla perché era assorto nel lavoro e lei ne approfittò per scrutarlo attentamente. Era piuttosto alto e robusto, capelli non curati e barba di tre giorni. Tipico uomo un po’ rozzo di montagna, pensò lei sorridendo. Un particolare però non le era sfuggito durante il loro dialogo precedente: l’uomo aveva due occhi verdi folgoranti, ma l’espressione del viso un po’ spenta ne limitava il fascino. Doveva essere sui quaranta, forse qualcosa di più, ma era difficile capirlo con precisione a causa di quel portamento così trasandato. La voce era decisa e calda, tipica di un uomo maturo, ma al tempo stesso pungente. L’unica cosa sicura era che non sembrava un soggetto semplice e questo la impensieriva. Fine anteprima. Continua...