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Servizi Culturali è un'associazione di scrittori e lettori nata per diffondere il piacere della lettura, in particolare la narrativa italiana emergente ed esordiente. L'associazione, oltre a pubblicare le opere scritte dai propri soci autori, ha dato il via a numerosissime iniziative mirate al raggiungimento del proprio scopo sociale, cioè la diffusione del piacere per la lettura. Questa pagina, oltre a essere una specie di "mappa", le raggruppa per nome e per tipo. I link riportano ai siti dedicati alle rispettive iniziative.
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Il Ragionier Fourville non può chiedere altro alla vita, ha un lavoro e una fidanzata che presto sposerà. Non può non essere felice. Tuttavia, gli eventi lo portano all’improvviso a perdere le due certezze su cui ha basato la sua esistenza. Dovrà così lottare e ripartire da zero per ricostruire, su altre basi, il suo personale modello di felicità. Per riuscirci dovrà scendere a patti con se stesso ed è tanto motivato da essere disposto a vendere l’anima al diavolo. L'AUTORE: Francesco Baraldi lavora in banca, è sposato e ha una figlia di nome Martina. Questo è il suo primo libro.
Titolo: Automunita, militeassolto, Anima Offresi Editore: 0111edizioni Pagine: 78
Autore: Francesco Baraldi Collana: Selezione Prezzo: 11,00 euro
9,35 euro su www.ilclubdeilettori.com
Leggi questo libro e poi... - Scambialo gratuitamente con un altro oppure leggilo gratuitamente IN CATENA[leggi qui] - Votalo al concorso "Il Club dei Lettori" e partecipa all'estrazione di un PC Netbook [leggi qui] - Gioca con l'autore e con il membri della Banda del BookO (che si legge BUCO): rapisci un personaggio dal libro e chiedi un riscatto per liberarlo [leggi qui]
E' la nostra web tv, tutta dedicata ai libri. Se hai il video della tua presentazione, oppure un videotrailer del tuo libro, prima pubblicali su YouTube, poi comunicaci i link. Dopo aver valutato il materiale, lo inseriremo nel canale On-Demand di TeleNarro. Se hai in programma una presentazione del tuo libro nel Nord Italia e non hai la possibilità di girare il filmato, sappi che c'è la possibilità di accordarsi con Mario Magro per un suo intervento destinato allo scopo. Contatta Mario e accordati con lui.
PARLANDO DI LIBRI A CASA DI PAOLO ogni mercoledì alle 21 in diretta su TeleNarro La trasmissione di Paolo
BOOKINO il CONTASTORIE
Federici dedicata ai libri. Ogni mercoledì alle 21 in diretta su TeleNarro. E' possibile vedere le puntate già mandate in onda sul canale OnDemand
"Bookino il Contastorie" ti racconta un libro in una manciata di minuti. Poi, potrai proseguire la lettura online, su EasyReader. E se il libro ti piace, potrai richiederne una copia in omaggio con l'iniziativa Adottaunlibro. Clicca su Bookino...
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IL CASSETTO DEI SOGNI A differenza di "Parlando di (prima trasmissione libri a casa di Paolo", questa prevista a FEBBRAIO 2010) trasmissione, condotta da Mario Magro e sponsorizzata dalla nostra associazione, tratterà solo libri della 0111edizioni. Anche in questo caso, i libri presentati sono scelti dal conduttore, che li seleziona fra una rosa di titoli proposti dalla casa editrice. VAI AL SITO
E' però possibile richiedere una puntata dedicata a un libro specifico, non compreso nell'elenco di quelli selezionati, accordandosi direttamente con il conduttore, Mario Magro.
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Con EasyReader puoi dare un'occhiata ai nostri libri prima di acquistarli. Sono disponibili online in corpose anticipazioni (circa il 30% dell'intero volume), che ti consentiranno di scegliere solo i libri che preferisci, evitando di acquistare "a scatola chiusa". In più, con l'iniziativa Adottaunlibro, puoi richiedere in regalo il libro che sceglierai. VAI AL SITO
CONCORSO IL CLUB DEI LETTORI VAI AL SITO
Se hai letto un libro di un autore italiano (edito da qualunque casa editrice), votalo al concorso Il Club dei Lettori e partecipa all'estrazione di numerosi premi. La partecipazione al concorso è gratuita.
In questo gioco a premi avvengono rapitimenti un po' anomali: le Gioca con la Banda del Booko vittime sono personaggi di romanzi, che verranno poi "nascosti" in altri romanzi a discrezione dei rapitori e per la liberazione dei (che si legge quali è richiesto un riscatto all'autore. BUCO) all'ANONIMA Qui entra in gioco la "Squadra di Pulizia", che tenterà di liberare il personaggio per evitare all'autore il pagamento del riscatto. In SEQUESTRI VAI AL SITO
questa fase sono anche previsti tentativi di corruzione da parte dei Puliziotti nei confronti dei rapitori... ma non è il caso di spiegare qui tutto il funzionamento del gioco... per il regolamento è meglio fare affidamento all'APPOSITA PAGINA. E' possibile giocare e andare in finale nei ruoli di RAPITORE, VITTIMA, PULIZIOTTO, GIUDICE e PENTITO. In palio c'è un premio per ognuna delle 4 categorie. Il premio, di cui inizialmente viene specificato solo il valore massimo, viene scelto dai rispettivi vincitori dopo il sorteggio.
Francesco Baraldi
Automunita, militeassolto anima offresi.
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com
AUTOMUNITA, MILITEASSOLTO ANIMA OFFRESI Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2010 Francesco Baraldi ISBN 978-88-6307-284-6 In copertina: immagine Shutterstock.com
Finito di stampare nel mese di Maggio 2010 da Digital Print Segrate - Milano
Automunita, militeassolto anima offresi.
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I
Nonostante il divieto di fumare nei locali pubblici avesse appena avuto il suo tremendo impatto sulle esistenze di tutti noi, la vita non mi aveva ancora manifestato il resto dei suoi rovesci e credo dunque che avrei potuto definirmi un uomo moderatamente soddisfatto degli importanti traguardi raggiunti nei primi trent'anni di vita che nell'ordine risultavano: perdita della verginità appena prima del compimento della maggiore età, diploma di scuola superiore e patente di guida conseguiti in rapida successione in un mese di luglio 1994 davvero sfavillante, discreta conduzione dell'anno di naya senza aver dovuto subire eccessivi accanimenti nonnisti, assunzione in qualità di impiegato di primo livello presso un primario istituto di credito italiano e completamento del percorso di studi con il conseguimento di diploma universitario di contabile professionale, fidanzamento duraturo con collega di scrivania e relativi progetti di matrimonio/convivenza non privi di voli di fantasia riguardo un importo sopportabile della rata del mutuo, scelta della facoltà universitaria (mi rendo conto ora leggermente prematura) cui iscrivere ipotetico primogenito e opzione per il successivo. Il tutto ovviamente condito da una moderata autostima, confermata da un discreto successo nei rapporti interpersonali con colleghi di ufficio, di calcetto il giovedì sera, e con famiglia allargata di fidanzata futura moglie. Da pochi mesi condividevo con lei, la mia fidanzata futura madre dei miei figli, un dignitoso appartamento in affitto con posto auto, impreziosito, l'appartamento, non il posto auto, da chincaglierie Thun e oggettistica di varia specie. Il nostro preferito era
6 l'umidificatore a forma di sole, che appeso al termosifone davanti al talamo nuziale, era la prima visione all'apertura occhi del mattino e l'ultima dopo il bacio della buonanotte. Mentre i suoi raggi irradiavano le nostre prospettive quotidiane scaldando le operazioni di vestizione uso ufficio, le sue funzionalità facilitavano la respirazione notturna atta al pieno godimento del sonno dei giusti. Avevamo passato gli ultimi sei mesi ad occuparci della questione camera da letto e la cosa era stata seppur appassionante, davvero sfiancante. Prendere misure, studiare preventivi, sfogliare cataloghi, scovare mobilifici inediti era un mestiere per gente preparata e non lo si poteva né improvvisare né soprattutto reggere a lungo. Perciò il riposo ristoratore materialmente preso sopra il frutto della spremitura delle nostre prolifiche cortecce cerebrali, un incredibile tatami rasoterra color wenge, comodini di pari altezza e armadio ad ante scorrevoli laccate bianche, era quanto di meglio si potesse chiedere come ricompensa. Il forno a microonde, il ferro da stiro, la lavatrice, l'aspirapolvere, il colore delle pareti, quello del copridivano erano anch'essi stati selezionati con cura nel corso di lunghi mesi preparatori durante i quali il nostro piccolo ma dignitoso appartamento prendeva forma. La decisione della convivenza giungeva dopo un discreto periodo di fidanzamento classico ed era stata senz'altro ponderata con attenzione. I compiti domestici erano stati sapientemente divisi al fine del raggiungimento dell'efficienza, secondo le capacità personali e seguendo il principio della specializzazione del lavoro, e superata brillantemente la fase definita di prova, da qualche tempo si era passati ad analizzare, con la solita razionale capacità valutativa, la possibilità, dopo aver effettuato il viaggio in Messico che da tanti anni ci ripromettevamo, di suggellare la nostra unione con un regolare contratto matrimoniale. Primo passo verso quel processo che ci avrebbe portato nel giro di qualche anno a trasformarci in modelli perfetti di genitori illuminati. La gestione dello spazio all'interno dell'armadio ad ante laccate bianche scorrevoli con montanti wenge era stata anch'essa affrontata con equità. Un'anta a testa gestibile secondo piacere, ma nel pieno rispetto di quelli che ad insindacabile giudizio della tenutaria del
7 buon senso erano i criteri dell'ordine e della decenza. I miei cinque completi grigi e le mie 15 camicie azzurre, insieme alle cravatte avevano trovato una regolare e funzionale collocazione propedeutica alle operazioni di rapida estrazione mattutina. E benché le ante scorrevoli, concepite per non permettere mai alle due sezioni dell'armadio di essere contemporaneamente aperte, fossero un potenziale pericolo alla compatibilità delle rispettive vestizioni, i quindici minuti di differenza tra i nostri orari di sveglia e quindi di fruizione dell'armadio, facevano sì che nessun casus belli, almeno in quell'ambito, si manifestasse. Lo spazio occupato dai suoi innumerevoli twin set, dalle sue sgargianti magliette e via dicendo era circa il doppio di quello occupato dai miei cinque completi, ragione per la quale fui presto costretto ad ospitare parte del suo guardaroba nella mia sezione di armadio. Identici criteri valutavi avevano scaturito medesime conseguenze nella divisione dello spazio nella scarpiera, del mobiletto del bagno e della libreria del soggiorno. Considerato tuttavia che, 1) la quantità di abiti, calzature, cosmetici da lei posseduti aveva dichiaratamente lo scopo, tra gli altri, di allietare i miei occhi, 2) che il resto dei miei vestiti trovava comoda sistemazione nell'ampio cassettone dello sgabuzzino, 3) che la famiglia, punto d'arrivo del nostro percorso, era a detta dei più l'unico luogo in cui il principio cardine dell'utopia marxista trovava realistica applicazione, 4) che il suddetto principio recitava: a ciascuno secondo i suoi bisogni, ciascuno secondo le sue capacità, 5) e soprattutto che esso, il principio, suscitava da sempre il di lei entusiasmo, (fin da quando cioè, io medesimo l'avevo iniziata ai misteri della teoria marxista) allora ne risultava che se uno dei suoi bisogni era trovare uno spazio per i suoi vestiti, uno dei miei era avere le camicie stirate. E se fra le sue capacità c'era quella di stirare le camicie, allora fra le mie c'era
8 quella di farmi bastare lo spazio e cedere le eccedenze. Ai medesimi alti e nobili principi erano ispirate le proporzioni di contribuzione all'economia familiare sia in termini di fatica nei lavori domestici che di denaro nella cassa comune. Arricchito dall'applicazione di simili meccanismi progressisti il nostro embrione di famiglia prendeva forma. Nonostante l'emozione fosse in qualche modo bandita da un regime di vita sobrio e regolare, ricordo comunque con precisione che anche durante le gite della domenica pomeriggio nelle valli di Lanzo, o addirittura a volte ai laghi di Avigliana, e persino durante il mesto ritorno a casa non privo di un paio d'ore di coda e prefiguratore dei travagli dell'indomani lavorativo, potevo assaporare una certa felicità. Gustavo la suddetta felicità come riempimento dei vuoti dell'esistenza e completo soddisfacimento di bisogni umani. Una tranquillità gentile mi lusingava con i suoi modi affabili non permettendomi di mettere a rischio alcunché di quel mondo incastonato dentro se stesso. Il cinema del venerdì sera, un buon libro ogni tanto e lo shopping del sabato pomeriggio prima della pizza erano i necessari corollari ad una vita serena e regolare, fatta di pochi imprevisti e molte certezze. Avevo sì dovuto resistere a qualche seduzione liberatoria e romantica. Ed alcune in verità erano prodotte in maniera autonoma dalla mia stessa morbosità. Istantanea di un momento critico. Situazione: supermercato, ore 19,30 circa di un giorno di convivenza qualunque. Io appoggiato mollemente al carrello parcheggiato davanti al banco frigo, in attesa che la mia futura dolce metà svolga le consuete elucubrazioni sulle calorie apportate dallo yogurt ai frutti di bosco. Prospettive di brevissimo termine: sorbirmi una filippica sulla fatica da spendere nel lavare l’insalata, o essere costretto ad esprimere un’opinione sull’annosa questione dei grassi saturi nei formaggi stagionati. Orizzonti di breve termine: affrontare il problema dell’acqua minerale povera di sodio e relative qualità diuretiche. Divagazioni di una mente pericolosa: il mio sguardo che si sposta distrattamente verso il banco dei surgelati. Visione e conseguente tentazione, 4 salti
9 in padella e affini, con tutto ciò che rappresentano: vita da single impenitente in trombodromo bohemiene mansardato. Sogno nel cassetto: fumare in camera da letto con portacenere su comodino. Ritorno sul pianeta della realtà. Chi mi stirerebbe le camicie? Incubo ricorrente, il funzionamento della lavatrice e la gestione del bucato. Conseguente abbandono di ogni velleità indipendentista e rientro nei canoni originari. Prospettive di medio termine: completamento della spesa in qualità di opinionista monosillabico e svolgimento delle operazioni di pagamento alla cassa, imballaggio e stoccaggio delle derrate su vettura parcheggiata nel multipiano sovrastante. Recupero dell’euro dato in pegno per il carrello, conservazione dello stesso per lavavetri al semaforo, e avventuroso ritorno a casa nel traffico delle otto. Altre tentazioni erano invece più indotte, diciamo, da eventi esterni che mi influenzavano. Ricordo che un giorno, uscito dall'ufficio, mentre mi recavo attraverso i portici di Piazza Castello all'agenzia viaggi di fiducia per prenotare un soggiorno vacanze in un imprecisato villaggio turistico, fui abbordato da una ragazzina minuta vestita come un operaio polacco. Ad un esame più approfondito risultava avere qualche anno in più dei pochi che le avevo assegnato io d'ufficio; seppi in seguito chiamarsi Manola. “Posso farti una domanda?” mi chiese. “….” “Hai nulla contro il volontariato?” “….No…” “Allora ti lascio questi opuscoli informativi sui progetti di volontariato in Italia e nel mondo. Fammi un'offerta di 50 centesimi per cortesia e se fossi così gentile da firmare per la richiesta di fondi pubblici per la missione umanitaria nel Burkina Faso…” “…, sì,….certo” mi controllai nelle tasche alla ricerca di qualche moneta e le consegnai alla tizia “ecco,..ma almeno sai qual è la capitale del Burkina Faso?” le dissi cercando di recuperare un po' di
10 quella fantomatica sicurezza persa sicuramente per il fattore sorpresa. “Ouagadougu, ovviamente. Ci sono stata” la biondina, era biondina sì, mi ripiombò nello stupore. “Sei stata a Ouagadougu?” “Due anni, con i volontari nel mondo. Siamo stati due anni. Allora la metti la firma?” “È da bambino che sogno di andarci, non per un motivo particolare certo, non che conosca qualche posto o qualche museo da visitare, ma mi piace il nome, è talmente esotico. Sai io ho sempre avuto la passione per le capitali, un tempo sapevo a memoria tutte le capitali degli stati africani, di quelli asiatici e del centro america. E minacciavo mia madre di partire per …che so, Ouagadougu, Pyoungyang, Ulan Bator, Tegucicalpa…” Mi guardava un po’ strana effettivamente, come in effetti mi capitava di essere guardato tutte le volte che sfoderavo con gli amici e non la storia delle capitali. Allora terminai l'elenco, lei incalzò: “No, senti, qui è un'altra storia, niente musei, non si va in vacanza nel Burkina Faso. Si va per aiutare la gente a sopravvivere. Leggiti l'opuscolo, poi ne riparliamo, la vuoi mettere o no questa firma? “ “Già, perché si va nel Burkina Faso?” “Le motivazioni sono una parte importante, in effetti. Ognuno ha le sue.” “E quali sono le tue? Se mi permetti la domanda, ovviamente.” “Te la permetto, anche se non so se potrai capirle. Ci sono andata e ci tornerò, lì o da un'altra parte, per trovare il senso.” “Il senso?” “Sì, il senso.” “In che senso scusa?” “Il senso della vita. Tu lo hai mai trovato?” “Ah, quel senso…mah, adesso mi prendi un po' alla sprovvista, ecco, io non lo so, credo di sì. È avere una bella famiglia, crescere dei figli probabilmente.” “Certo, certo è ovvio. Bene, il mio era andare a Ouagadugu a costruire un ospedale.” “….un ospedale?”
11 “Sì, un ospedale.” “Un ospedale con i malati, i medici, le infermiere e tutto il resto?” “Già, proprio un ospedale di quel tipo.” “Credo di essermi innamorato di te. Scappiamo insieme nel Burkina Faso.” Rise. È sempre un buon segno quando le donne ridono, e se le donne ridono gli uomini firmano. Aggiunsi il mio nome alla raccolta di firme pro finanziamento Burkina Faso. Poi alzai lo sguardo e fissai la tizia negli occhi per qualche istante. E vidi l'Africa. Lei mi salutò per abbordare un ragazzetto che si trascinava messaggiando sms a tutto spiano. Io mi accesi una sigaretta e proseguii riflettendo sul profondo significato dell'esistenza. Poi continuai verso l'agenzia di viaggio. Prenotai due settimane in Sardegna in un villaggio turistico convenzionato con il circolo ricreativo aziendale. La mia fidanzata ne sarebbe stata felice. Questa fu la mia tentazione vera. Sovvertire un ordine apparentemente naturale in cui le cose stavano incanalandosi e fuggire con Manola nel Burkina Faso, per vivere di stenti e di fatiche, ma con in tasca il senso della vita. La rividi ripassando sotto gli stessi portici allo stesso angolo nei giorni seguenti e una volta riuscii persino ad offrirle un caffè. Ma niente di più, la nostra fuga non andò oltre il caffè Baratti&Milano, che comunque risultava un po' troppo borghese per lei e lei un po' troppo alternativa per il contesto. Parlai della questione con il mio collega di fiducia tale rag. Finatti che mi ascoltò con attenzione mentre leggeva i titoli di tuttosport e agitava una bustina di zucchero prima di bere il caffè della prima pausa caffè del mattino. “Capisci? Per un attimo un barlume di idea mi si è acceso nel cervello: molla tutto e vai ad ammalarti di mal d'Africa.” “Mhhh…Hai visto la Mia Africa?”
12 “No, ma ho letto Conrad. E il mio mister Kurtz aspetta di essere trovato.” “Non ho ben capito.” “Non importa. È come se ad un certo punto qualcuno mi avesse detto: guarda che la terra è rotonda.” “Ma la terra è rotonda.” “Sì certo, ma io non lo sapevo fino a che qualcuno non me lo ha detto. Non avevo gli elementi per valutare, era come se mi mancassero le informazioni. Mi capisci?” Del ragionier Finatti non ricordavo precisamente il nome. Non si può dire neanche che fossimo amici. O meglio, la nostra amicizia era come circoscritta all'ufficio. Al di là dei confini dell'ambito lavorativo, se cioè ad esempio lo incontravo nel parcheggio la sera, prima di tornare a casa, i nostri rapporti si limitavano ad un cordiale saluto. Ma nelle mattinate in cui era in vena, potevo introdurre una conversazione che esulasse dalle questioni contabili, trovando in lui un interlocutore comprensivo e disposto al dialogo. E se l'argomento era interessante, e soprattutto se non se ne accorgeva, lo si poteva continuare, dopo averlo introdotto in ufficio, persino mentre ci si recava allo spaccio aziendale per la pausa caffè. “Ci sei andato a letto con questa Manola?” “Ovviamente no, figurati, cosa c'entra. Il punto non è questo.” “E qual è allora? Non l'ho ancora capito.” “Il punto è: la terra è rotonda e al di la del mare c'è l'Africa, se capisci la metafora. Il punto è: voglio io trascorrere i prossimi trent'anni al di qua del mare non sapendo cosa c'è al di là.” “Sì, lo vuoi.” “Sì, lo voglio. È vero.” “Ma ora non lo vuoi più.” “Non lo so, è questo il problema.” “Mhhh.” “Cosa significa mhhh?” “Che è finito il quarto d'ora d'aria. Ci tocca rientrare.” “Vabbeh, rientriamo.” “Ma di la verità, ci sei andato a letto?”
13 “Inflazione e stagflazione, due fantasmi si aggirano per l’Europa (e l’America)”. Il mio indomito proposito di essere una persona interessante, profonda di spirito e socialmente informata, mi portava di tanto in tanto a seguire conferenze dai titoli stravaganti. Ci portavo la mia futura ex fidanzata per mostrarmi interessato ad approfondire i temi e rifuggere la superficialità come una malattia infettiva. La mia formazione universitaria aveva una qualche base di economia o come dicono gli anglosassoni economics per distinguerla da economy, ed ero convinto di essere in qualche modo un addetto ai lavori. Frequentavo per questo motivo rassegne organizzate dagli enti più disparati, dall’università all’unione consumatori, dal sindacato bancari alla Regione Piemonte e all’associazione Piccole Imprese. I titoli delle conferenze erano vari e pittoreschi. “Minas Gerais, un modello di sviluppo” si affiancava a “Oskar Lange ed il suo centro meccanografico per la pianificazione economica” e “Elementi quantitativi per la valutazione della semielasticità”. Le premesse erano sempre delle migliori, i prezzi dei biglietti interessanti, ma di solito il filo del discorso scompariva dalla mia portata dopo pochi minuti ed il risultato della mia partecipazione a tali eventi mondani spesso consisteva nel mero apprendimento pappagallesco di parole e personaggi sconosciuti (stagflazione e Oskar Lange su tutti). La tizia di nome Manola aveva invece risvegliato la mia vera passione e cioè l'assopita ambizione di conoscere a memoria le capitali di tutti gli stati del mondo. Invece del buon libro, di tanto in tanto avevo ricominciato a sfogliare il mio vecchio buon atlante. Dopo gli avvenimenti che avevano ridisegnato la geografia mondiale, doveva essere aggiornato, ma per iniziare poteva bastare. Così la sera, dopo aver sbrigato la quota di faccende domestiche di mia competenza, fuggivo verso la steppa siberiana, valicavo gli Urali, visitavo Novosibirsk, giungevo a Vladivostok, risalivo verso Nord e se lo spessore del ghiaccio lo permetteva attraversavo lo stretto di Bering. Alaska, Territori del Nord Ovest, British
14 Columbia, Isole regina Carlotta e poi via verso l'interno e il Saskachewan. E poi Sud. Dakota, Wyoming, Utah, Arizona, New Mexico, e quando il sonno mi sorprendeva potevo decidere di fermarmi a dormire in Louisiana, tanto a New Orleans quanto a Baton Rouge, la vera capitale. Se invece tenevo duro, proseguivo verso il centro America. Honduras, Costa Rica, Guatemala, Nicaragua. Ancora uno sforzo, l'amato Sud America non aveva segreti. Era solo una tappa per spiccare il balzo che, dopo uno scalo tra i ghiacci dell'antartide, mi avrebbe portato verso la terra di Kurtz. E di una Manola qualsiasi. Un corso di latino americano. Dieci lezioni per il primo livello e possibilità di iscrizione al secondo. Tutti i martedÏ sera dalle nove alle dieci. La mia fidanzata futura moglie si era ripromessa di prendersi cura del mio tempo libero scegliendo dall'alto del suo inarrivabile buon senso ciò che era meglio per me e per i miei momenti di svago. Tuttavia, altre nubi perturbatrici del tentato rilassamento del mio sistema nervoso si profilavano all'orizzonte: il crollo dell'Unione Sovietica non aveva certo giovato alla mia rinnovata ambizione di conoscere a memoria le capitali di tutti gli stati del mondo. La capitale dell' Uzbekistan mi faceva impazzire. E insieme a quella di Tagikistan, Kazakistan, Turkmenistan, Kirghistan funestava i miei dieci minuti successivi allo spegnimento della luce e al bacio della buona notte e precedenti l'arrivo del sonno liberatore. Poi sognavo steppe desolate con ignote capitali appena oltre la collina, in cui ne ero certo, asiatici ex cittadini sovietici stavano festeggiando la caduta del comunismo ballando fino all'alba salsa e merengue. Era questo il sol dell'avvenire che si erano meritati: si levava dall'orizzonte infuocato e aveva la forma dell'umidificatore della Thun che avevamo appeso al termosifone.
15
II
“Ragionier Fourville, non so se glielo hanno detto o se l'ha capito da solo, ma la contabilità è morta.” Era il mio capo a parlare, responsabile della gestione del personale dell'ufficio contabilità. Mi aveva convocato nel suo ufficio un venerdì mattina. A me veniva in mente sulla questione solo una vecchia frase di un mio vecchio professore di matematica che suonava più o meno così: la contabilità è miope, ma ciò non ha nulla a che vedere con la miopia dei contabili. Rendendomi tuttavia conto che non fosse quello il momento più propizio per sfoderare una simile citazione, e soprattutto che l'attinenza con il contesto non fosse delle più valide, rimasi in standby: “….mah, so che abbiamo sistemi largamente automatizzati…,” “Ragionier Fourville, non starò a tediarla con noiosi resoconti aziendali sui costi del personale e sull'incidenza di questi sul conto economico. Sappia solo che la direzione intende tagliare. Dopo la fusione con un altro grande istituto di credito e di cui lei avrà senz'altro letto, il centro contabile verrà trasferito in Romania, vicino a Timisoara. Abbiamo pensato che lei potesse ricoprire il ruolo di responsabile della migrazione di alcune procedure contabili. È un ruolo di grande responsabilità, che richiede impegno e un paio d'anni di tempo. Lei sarebbe disponibile alla trasferta?” “……………(molti pensieri per la testa, nessuno riassumibile)” “Sa, l'azienda risparmierebbe tre quarti dei costi del personale. Contiamo molto su di lei.” “……….e dopo i due anni?”
16 “E chi lo può dire Fourville. Tra due anni il mondo sarà cambiato, chi lo sa dove saremo fra due anni. Qui bisogna reinventarsi di giorno in giorno. Tra due anni, beh l'azienda le proporrà qualche altro incarico.” “…….e se non accettassi……” “Fourville, vuole mettersi contro l'azienda, vuole finire in cattiva luce agli occhi della sede? Beh, se non accettasse le chiederemmo di rassegnare le dimissioni.” Rassegnai le dimissioni quando seppi che la proposta della trasferta a Timisoara l'avevano fatta a tutti i colleghi d'ufficio, nessuno escluso. Ovviamente era solo un modo per liberarsi di noiosi ed inutili contabili. La contabilità era morta, le esequie cui non avrei partecipato si sarebbero tenute solo dopo l'autopsia. Fortunatamente, mi dicevo, potevo ancora contare sul conforto della mia fidanzata futura moglie. Ma evidentemente ne avevo già abusato in precedenza, sottraendogliene troppo di conforto, ragione per la quale lei, rimastane a corto, non esitò ad andarsene a cercare un po', nuovo di zecca, tra le braccia di un collega pseudo brillante che lavorava nel commerciale. Uno che andava in giro con il maggiolone cabrio e i capelli lunghi e brizzolati. Un uomo che apparteneva alla specie dei venditori. Uno di quelli il cui unico scopo nella vita è convincere gente a firmare contratti. Mi sembra anche che portasse dei pantaloni vagamente a zampa. Un personaggio da night anni settanta, come lo definì, dopo che glielo descrissi, il mio amico Pier presso cui a mia volta cercai dell'ulteriore conforto. Le cose vanno come devono andare e se non esistono più le mezze stagioni, è anche vero che le donne sono tutte puttane. Angolino del luogo comune: il tradimento è solo una questione di tempo, diceva il cardinale Richelieu. Non posso infatti dire di essere stato completamente colto di sorpresa. I primi sospetti mi erano sorti in tempi non sospetti quando la presunta futura madre dei miei figli aveva estratto dal cilindro della sua conversazione strani argomenti riguardanti l'opportunità di scelte di vita che imponevano sacrifici all'altare della felicità. Traduzione: era forse giusto rinunciare all'emozione dell'amore in nome di scelte razionali effettuate in
17 precedenza? Traduzione della traduzione: se una donnina con la testa sulle spalle e dedita ad una vita votata alla famiglia avesse incontrato se non proprio un principe azzurro come si deve, ma almeno un cavaliere solitario in grado di far girare la suddetta testa, sarebbe stato dai più considerato in maniera oltremodo disdicevole un abbandono del vecchio compagno senza cavallo e senza mantello? Credo di averle risposto che sì, il trito assioma secondo il quale ognuno di noi ha il diritto dovere di inseguire la sua propria felicità era sempre valido. Ed anzi è quasi ammirevole avere il coraggio di cambiare idea. Barlumi di sospetti: mi vuole lasciare? Reazione stile struzzo: mannò figurati, cosa danno stasera su Sky? Alcune conferme alle intenzioni della futura signora Fourville (è di questo cognome che avrebbe potuto fregiarsi) mi erano giunte qualche tempo dopo in maniera semi diretta la sera in cui mi aveva informato di aver conosciuto un tizio davvero simpatico alla cena della palestra aziendale. “Mi ha prestato il cd dei Depeche Mode.” “Tesoro, ti svelo un segreto: a noi due la musica degli anni 80 fa schifo, anzi a noi due fanno schifo tutti gli anni 80, con tutto ciò che hanno prodotto.” “Davvero? Ma a me piacciono tanto i Depeche.” Io l'avevo conosciuta con Crosby Stills Nash e Young, o al massimo con i Supertramp e gli Eagles. Beneficiammo di cd dei Duran Duran, Ziggie marley, Was not Was, Africa Bambata, Gianluca Grignani e le Vibrazioni. La sera in cui tornai a casa con la buona novella delle dimissioni desideroso di trovare oltre al piatto di minestra calda anche un po' di conversazione consolatrice, mi informò che lei aveva già cenato, aveva comprato una borsetta nuova ed era stata a letto con un altro. Buona serata. Reazione: accensione della prima sigaretta di una lunga nottata di nicotina.
18 Mah, che dire. Fino a che l'abbandonato non fui io e l'abbandonante non fu lei, non ero molto sensibile all'argomento donne infelici che cercano emozioni presso pseudo incantatori di serpenti. Semplicemente erano questioni cui apportare laconici commenti stile recensioni commedia sentimentale. La mia fidanzata futura moglie, a dir la verità neo ex futura moglie, mi diede anche delle sommarie spiegazioni. Dell'articolato discorso che mi inflisse ne ricordo distintamente una parte che sintetizzava il suo pensiero. "Sei un uomo senza punti esclamativi. Cioè, sei talmente mite, ma talmente mite che non usi mai i punti esclamativi. Né quando parli, e tanto meno quando scrivi. Non una volta, non una volta nelle quattro lettere che mi hai scritto. Né mai è trasparso da quello che dicevi. Ma neanche su un bigliettino lasciato sul tavolo per avvertirmi che facevi tardi. Non una volta hai usato un punto esclamativo. Era troppo per te, sempre pacato, sempre moderato, mai fuori dalle convenzioni, sei una macchietta." Già, una macchietta che non usa i punti esclamativi. Fra tutte le possibili ragioni originali per essere lasciato da una donna, fra tutte quelle veramente originali sentite accampare, nei libri, nei film, nelle fiction del martedì sera che ci piacevano tanto, questa faceva la sua decorosa figura. Non perché non ero premuroso, o non le facevo dei regali, non funzionavo a letto, o non la facevo divertire. In realtà non ero granché premuroso, non le facevo regali se non alle feste comandate e non ci divertivamo molto, né a letto né fuori. Ma non era questa la ragione. Solo, o anche, non usavo i punti esclamativi. E non li usavo perché ero troppo mite. Ed era vero, i punti esclamativi non mi erano mai piaciuti. Mi piacevano le virgole, i punti e virgola, i punti da soli persino. Significavano pausa, respira, rifletti su quello che hai appena letto, chiediti se stai usando la giusta intonazione, se hai capito il senso della frase, e poi prosegui, via verso nuove avventure, fino alla prossima virgola, o a perdifiato giù per uno scosceso vallone fino alla fine del capoverso. Le virgole sono conferme, rassicuranti controlli intermedi di un percorso articolato. I punti sono traguardi cui tendere, obiettivi da raggiungere, punti fermi cui approdare per
19 rifiatare. Con i due punti già avevo qualche problema: era come se chi scriveva dichiarasse, attenzione ora c'è un noioso elenco, abbiate pazienza ma mi tocca, è incluso nel mio mandato, oppure se non di elenco si trattava: vabbeh, visto che non avete capito bene, ora vi spiego cosa intendevo dire, due punti e avanti con il rendere esplicite cose che magari era meglio lasciare all'intuito del lettore. Neanche i puntini di sospensione mi piacevano… era come dire… occhio che adesso la sparo grossa, ma tutto sommato riuscivo a tollerarli. Per quanto riguarda i punti esclamativi, invece, ebbene lo devo confessare, sì, sono colpevole, ha fatto bene a lasciarmi, non mi sono mai andati giù. Troppo fanfaroni e ridondanti, stucchevoli esibizionisti. Sopra le righe, eccessivi, quasi sempre di cattivo gusto. Era come se chi scriveva dicesse, ma avete capito quel che ho detto, avete davvero capito senza saltare sulla sedia, è il momento di strabuzzare gli occhi, ragazzi. A comando. Puaoh, odiavo tutti i punti esclamativi della vita e immaginavo lei, la mia neo ex fidanzata, ricevere da uomini di mezzo mondo sms e mail zeppe di punti esclamativi, con frasi brevi costituite da soggetto (sovente sottinteso), verbo e complemento, che erano solo una scusa per liberare, solo un modo per arrivare lì, per liberare una miriade di punti esclamativi, uno dietro l'altro, magari uno più grande dell'altro, fino a giungere a quello più grande di tutti, simbolo vagamente fallico che mi ricordava cosa voleva dire non essere mite e moderato e soprattutto cosa volevano invece tutte le donne del mondo. Volevano punti esclamativi! Reazione vera e successiva alla situazione. Fitte di angoscia sotto lo sterno. Il vuoto aborrito dalla natura si presentava in forma cosmica in un punto imprecisato del petto. E i mille tragicomici pensieri che venivano visualizzati sul display delle mie facoltà intellettive non avevano grande significato se tradotti in prosa, ma dolorosamente mettevano fuori uso le ghiandole secernenti la serenità di cui abbisognavo. Solo di tanto in tanto, se mi riusciva di dormire, i miei
20 demoni personali si prendevano un po' di riposo, consentendo alla materia di riconquistare quello spazio che il vuoto le aveva tolto. Riprendere coscienza di sé nel momento in cui aprivo gli occhi significava riattivare il magnete posizionato nel centro del mio cervello, che all'istante calamitava le preoccupazioni lasciate per qualche ora sul comodino. Immediatamente, come delle pompe di aspirazione rientravano in funzione, ricreando il maledetto vuoto. Torna da mamma, fu il consiglio che l'ex futura madre dei miei figli mi diede mentre sul pianerottolo, sommerso dai bagagli, aspettavo l'ascensore. Mestamente avevo estratto i completi grigi dall'armadio ad ante laccate bianche scorrevoli con montanti wenge, li avevo depositati sul sedile posteriore dell'auto, riempito con i miei libri un vecchio borsone avuto in regalo qualche natale prima dall'azienda, infilato lo stesso nel bagagliaio e messo in moto. Destinazione sconosciuta. Partire. Abbandonare tutto (tutto cosa?) e partire per il Burkina Faso, per la Nuova Zelanda, per la Patagonia, per il Madagascar. Vado fino alla fine del mondo, o almeno fino a dove mi porta il cavallo, mi dissi. Arrivai a Fossano, il luogo in cui allievi carabinieri ventenni iniziano ad anni alterni i loro secoli di fedeltà. Poi, dato che in certi momenti non si può evitare di essere patetici, feci inversione: Torino non mi aveva ancora sconfitto. Tornai da mamma e buttandole le braccia al collo le chiesi asilo per qualche giorno. Banalmente mi rifugiai in una serie di sbronze clamorose. Piccoli spacci di birra affacciati su marciapiedi zeppi di bottiglie vuote, panchine di giardini con mozziconi di spinelli, il futuro si presentava sotto questa forma. Suicidio? Che dire. La morte era sempre stata in cima alla lista delle mie paure. Il nulla, l'oblio, il vero vuoto cosmico. Una volta messo di fronte al baratro qualsiasi cosa mi appariva migliore. Qualsiasi esperienza, anche la più dolorosa, la più umiliante, una volta rinunciato a partecipare al grande gioco della vita, era tollerabile più della morte. Avevo giocato, avevo perso, ora potevo accomodarmi ai bordi del campo ad osservare gli altri scannarsi per conquistare i brandelli di felicità che ancora erano in palio. Una vita di contemplazione vegetativa mi attendeva. E poi perché suicidarsi
21 prima di aver fumato qualche buona ultima sigaretta su qualche romantica panchina di giardino? Una sera condivisi panchina, pacchetto di sigarette e bottiglia di birra Moretti da un litro con un muratore romeno che lavorava per spedire soldi in patria a moglie e figli. Dimitri era più ubriaco di me e a giudicare dalla puzza di vino e succhi gastrici che la sua bocca emanava non appena veniva aperta, il distacco dalla famiglia doveva pesargli parecchio. Mi parlò della sua patria, di sua moglie Nadia e dei suoi figli dai nomi inricordabili e neppure la notizia che le sua città natale era Timisoara riuscì a scalfire la mia predisposizione democratica ai brindisi internazionali. Il crollo del comunismo li aveva colti di sorpresa e il capitalismo non aveva saputo riempirne i vuoti. Non c'era libertà mi disse, ma almeno c'era da mangiare. Ora siamo liberi di morire di fame senza che nessuno ci possa dire cosa possiamo o non possiamo fare, aggiunse. In onore ai (suoi) vecchi tempi misi il mezzo pacchetto di sigarette che mi rimaneva in comunione. Ancora una volta, forse l'ultima, a ciascuno secondo i suoi bisogni, ciascuno secondo le sue capacità.
22
III
Le mie, di capacitĂ , erano state messe in dubbio dal corso degli eventi e i miei bisogni non potevano trovare quella soddisfazione immediata che avrebbe fatto assopire il cane rognoso che mi divorava la cistifellea operando dall'interno. Novello Jacopo Ortis, tradito negli ideali che piĂš cari aveva al mondo, il lavoro e la famiglia (seppur futura), non mi rimaneva che la sigaretta come unica amica. Non tradiva mai, e anche se mi uccideva lentamente, io non avevo fretta. A proposito di amici. Condivisero birre, fornirono metaforiche spalle su cui piangere e furono ascoltatori pazienti dei miei sfoghi. Trovai distrazione alle tristezze della vita ricatapultandomi nelle stesso tipo di serate pseudo brillanti con i due amici di vecchia data Pier e Fabrizio, che avevano costellato gli anni squattrinati del dopo diploma. Pier era uno spilungone di un metro e novanta che conoscevo fin dai tempi in cui tracopiavamo i fumetti di topolino per vedere chi disegnava meglio. Un tempo voleva fare il fotomodello, o il giocatore di pallanuoto, ora, dopo due anni di economia e commercio, cercava con scarsi risultati di convincere insulsi clienti a sottoscrivere polizze assicurative. Aveva avuto anche lui i suoi travagli sentimentali essendo uscito da una convivenza logorante durata circa tre anni, e ultimamente non passava settimana senza che uscisse con una diversa. Le abbordava ovunque. In treno, in autobus, per strada, al bar, persino al pronto soccorso dove era stato portato per una colica renale. Sul computer in ufficio conservava un file con la lista di tutte le donne con cui era uscito e di quelle con cui aveva intenzione di farlo. Ovviamente l'aggiornamento era meticoloso e costante. Aveva anche redatto un modello di lettera tipo da adattare con poche rapide modifiche alla donzella di turno scopo intenerirle il
23 cuore. Frasi mielose ed appiccicaticcie tradotte persino in inglese e francese a beneficio di potenziali lettrici straniere ed affinché nessun ostacolo si opponesse alla libera circolazione delle storie d'amore in ambito internazionale. Poteva apparire un cinico sciupafemmine, in realtà, al pari di Diogene alla ricerca di un uomo onesto, cercava con metodo scientifico la donna della sua vita. Era l'ultimo dei romantici. Fabrizio lo conoscevo dalla scuola superiore, quando gli passavo esercizi di matematica durante i compiti in classe; ora montava e manutenzionava caldaie a domicilio, ma sognava di aprire un albergo in Messico. Per smaltire gli eccessi del sabato sera, passava le domeniche in montagna a camminare d'estate e a sciare di fondo d'inverno. Aveva una piccola fidanzata che era tenera come un peluche tenero e che voleva sposarlo entro la fine dell'anno. Era cresciuto come me e Pier in Barriera di Milano, ma aveva imparato a relazionarsi con il resto del mondo in quel luogo indescrivibile che sono i giardini del Toro. Spacciatori e via vai di motorini guidati da adolescenti, io almeno me lo ricordo così, l'ambiente in cui il caro Fabrizio aveva formato la sua personalità non era dei più formali. Furono molte le serate in cui io e i due compagni di sventura cercammo rifugio tra i tavoli di qualche triste ristorante pizzeria che, con gli asterischi sul menu per i prodotti surgelati, forniva dignitose cene a prezzi ragionevoli. Ma anche in questo campo, la questione non era semplice.
...CONTINUA...