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Servizi Culturali è un'associazione di scrittori e lettori nata per diffondere il piacere della lettura, in particolare la narrativa italiana emergente ed esordiente. L'associazione, oltre a pubblicare le opere scritte dai propri soci autori, ha dato il via a numerosissime iniziative mirate al raggiungimento del proprio scopo sociale, cioè la diffusione del piacere per la lettura. Questa pagina, oltre a essere una specie di "mappa", le raggruppa per nome e per tipo. I link riportano ai siti dedicati alle rispettive iniziative.
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Durante una passeggiata lungo l'argine del fiume Navile, Marco Belli, agente della municipale di Bologna, si imbatte nel cadavere di un uomo. La sua giornata di vacanza dedicata alla fotografia si trasforma in un quieto incubo e suo malgrado il protagonista si ritrova a indagare sul misterioso omicidio per conto del maresciallo dei carabinieri del paese. Sullo sfondo la campagna fra Bologna e Ferrara in un tiepido mese di febbraio. L'AUTORE: Massimo Fagnoni, 50 anni, bolognese, laureato in filosofia. Ha lavorato per quasi vent'anni nel sociale fra psichiatria e disagio prima come educatore e poi come coordinatore di servizi. Da otto anni lavora come agente nel Corpo della Polizia Municipale di Bologna
Titolo: La ragazza del Autore: Massimo Fagnoni fiume Editore: 0111edizioni Collana: Selezione Pagine: 86 Prezzo: 11,00 euro
9,35 euro su www.ilclubdeilettori.com
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Federici dedicata ai libri. Ogni mercoledì alle 21 in diretta su TeleNarro. E' possibile vedere le puntate già mandate in onda sul canale OnDemand
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IL CASSETTO DEI SOGNI A differenza di "Parlando di (prima trasmissione libri a casa di Paolo", questa prevista a FEBBRAIO 2010) trasmissione, condotta da Mario Magro e sponsorizzata dalla nostra associazione, tratterà solo libri della 0111edizioni. Anche in questo caso, i libri presentati sono scelti dal conduttore, che li seleziona fra una rosa di titoli proposti dalla casa editrice. VAI AL SITO
E' però possibile richiedere una puntata dedicata a un libro specifico, non compreso nell'elenco di quelli selezionati, accordandosi direttamente con il conduttore, Mario Magro.
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Con EasyReader puoi dare un'occhiata ai nostri libri prima di acquistarli. Sono disponibili online in corpose anticipazioni (circa il 30% dell'intero volume), che ti consentiranno di scegliere solo i libri che preferisci, evitando di acquistare "a scatola chiusa". In più, con l'iniziativa Adottaunlibro, puoi richiedere in regalo il libro che sceglierai. VAI AL SITO
CONCORSO IL CLUB DEI LETTORI VAI AL SITO
Se hai letto un libro di un autore italiano (edito da qualunque casa editrice), votalo al concorso Il Club dei Lettori e partecipa all'estrazione di numerosi premi. La partecipazione al concorso è gratuita.
In questo gioco a premi avvengono rapitimenti un po' anomali: le Gioca con la Banda del Booko vittime sono personaggi di romanzi, che verranno poi "nascosti" in altri romanzi a discrezione dei rapitori e per la liberazione dei (che si legge quali è richiesto un riscatto all'autore. BUCO) all'ANONIMA Qui entra in gioco la "Squadra di Pulizia", che tenterà di liberare il personaggio per evitare all'autore il pagamento del riscatto. In SEQUESTRI VAI AL SITO
questa fase sono anche previsti tentativi di corruzione da parte dei Puliziotti nei confronti dei rapitori... ma non è il caso di spiegare qui tutto il funzionamento del gioco... per il regolamento è meglio fare affidamento all'APPOSITA PAGINA. E' possibile giocare e andare in finale nei ruoli di RAPITORE, VITTIMA, PULIZIOTTO, GIUDICE e PENTITO. In palio c'è un premio per ognuna delle 4 categorie. Il premio, di cui inizialmente viene specificato solo il valore massimo, viene scelto dai rispettivi vincitori dopo il sorteggio.
Massimo Fagnoni
La ragazza del fiume
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com
LA RAGAZZA DEL FIUME Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2010 Massimo Fagnoni ISBN 978-88-6307-266-2 In copertina: disegno di Claudio Trabucchi
Finito di stampare nel mese di Aprile 2010 da Digital Print Segrate - Milano
Dedicato a Cinzia
Seguir con gli occhi un airone sopra al fiume e poi‌ ritrovarsi a volare. Lucio Battisti
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Primo capitolo Un incontro inaspettato
Febbraio. L’alterazione causata dall’effetto serra ha donato una nuova primavera alla pianura padana. L’inverno non fa più paura fra Bologna e Ferrara. La nebbia è solo un triste ricordo. Sarà colpa dell’uomo, il ciclo delle stagioni, forse il fatto che nella storia del mondo anche le condizioni climatiche mutano. Oggi, 18 febbraio, è arrivata la primavera. Marco non ricordava da anni un tale sfoggio di colori, un eguale tepore nell’aria. Questa è la primavera che a scuola da piccolo il maestro Guidicini gli faceva colorare sopra ad album pieni di spazi da riempire. Quella era la primavera dei colori Giotto, colma di disegni approssimativi. Il maestro sosteneva che il disegno non sarebbe stato mai il punto di forza di quel giovane virgulto, troppo alto per la sua età. Marco era consapevole, nonostante la tenera età, dei suoi limiti. Si emozionava ogni volta davanti a un quaderno nuovo. Era l’emozione di iniziare un nuovo lavoro, nella speranza, spesso disattesa, di completare l’album con sempre maggiore maestria. I ricordi riaffiorano labili e sbiaditi come i sogni del mattino, quelli del dormiveglia, che precedono i risvegli affaticati nelle albe buie degli inverni. Marco confonde i ricordi con i racconti di sua madre, che lei ripercorre con lui durante le loro fugaci frequentazioni. Si siedono nel salotto buono, quello degli ospiti. Insieme scorrono le fotografie, quelle che non si fanno più. Fotografie a colori, consumati dal tempo e dall’umidità. Fotografie in bianco e nero. Occhi spauriti di un bambino dai capelli ricci e neri che Marco non ricorda di avere mai avuto.
6 Sguardi seri e imbronciati di un bambino cresciuto in un’Italia dimenticata e da dimenticare, come canta DeGregori. L’Italia degli anni ‘60, del boom economico, che la sua famiglia non ha mai conosciuto. Suo padre era un operaio, uno di quelli veri. Negli anni ‘60 scendeva in piazza con i metalmeccanici, quando appartenere alla CGIL aveva un significato, quando essere comunisti era un mestiere difficile. Marco era un bambino complicato, in un’Italia in bianco e nero, con Carosello la sera a chiudere le serate, dopo un brodino di stelline e i compiti per il giorno dopo. Si addormentava con il terrore di non ritrovare i genitori, di perderli in un luogo tanto grigio quanto desolato come quello della Bologna periferica e operaia, con tanti bambini tristi come lui, a volte più arrabbiati. Nei momenti che precedevano il sonno, un bambino contava mentalmente la differenza d’età fra lui e i suoi genitori. Trent’anni. Un bambino pensava che a quarant’anni suo padre ne avrebbe avuti settanta. L’angoscia lo prendeva, in quegli istanti di consapevolezza adulta. Pensava a se stesso quarantenne, in pantaloncini corti, ad affrontare la vecchiaia del padre. O, peggio, la sua scomparsa. Ce la poteva fare un Marco quarantenne ad affrontare la vita senza il padre e senza la madre? Questi pensieri lo accompagnavano certe sere d’inverno, quando l’unica certezza era il tempo che doveva intercorrere per giungere incolumi alla fine del maledetto inverno. Il freddo e la solitudine dei suoi pomeriggi post scolastici. Per addormentarsi doveva imporsi di non pensare ai suoi genitori. Inventava storie fantastiche dove lui era Tex Willer. S’immaginava armato di colt con il calcio di madreperla luccicante, vestiti da vero pistolero, dollari d’argento a fare brillare il perimetro del suo cappello nero. Affrontava un West immaginario con il coraggio che poteva trovare solo da bambino, quando alla soglia del sonno tutto sembrava possibile. La sua scuola era all’interno di un ex magazzino, ritrasformato per l’occasione. I suoi compagni erano figli di meridionali venuti al nord, a cercare il benessere.
7 In quel periodo non c’erano ancora gli extracomunitari. C’erano i meridionali. In una città come Bologna, la soluzione migliore era sembrata quella di costruire due quartieri ghetto e mandarli tutti là. La Barca e il Pilastro. Marco era nato alla Barca. Lì era cresciuto, con altri bambini seri in viso, che formavano bande per difendersi da una città che non era in grado di stare al passo con i cambiamenti. Marco sa che la sua storia non è normale. Sa che il benessere non ha mai fatto parte del suo vocabolario fino al giorno in cui ha abbandonato il nucleo familiare per inventarsi una sua storia. E’ consapevole di essere il risultato di un mondo che non c’è più. Anche questa giornata invernale non è reale. Un vento tiepido sospinge dolcemente nuvole viola ad accarezzare un tramonto rosso come un’esplosione nucleare, sopra una campagna arata di fresco che fra pochi mesi esploderà di grano e mais. E’ perfetta questa giornata. Non crede di meritarsela. Lui è cresciuto con le nebbie cittadine, con i riflessi di sole che entrano nei cortili screpolati della periferia. Ripensa alla finestra della cucina, da dove studiava, macinando dispense di psicologia, pedagogia e filosofia, sempre con il dubbio di non meritare nulla. Un figlio d’operai rimane figlio di poco più di niente. Un’idea che i suoi genitori gli suggerivano continuamente, con uno stile di vita umile e con una miseria dignitosa che non concedeva nulla alla speranza. Dalla finestra della casa IACP si vedeva solo la facciata di un altro palazzo identico. La facciata del palazzo era stata gialla un tempo. Marco la ricorda piena di crepe e fessure come il viso di un vecchio che non si preoccupa più del suo aspetto. Marco studiava e fumava nazionali senza filtro, immaginando il mondo di là da quel muro di crepe. Sapeva che un giorno se ne sarebbe andato da quel luogo. Il lavoro come facchino durante il giorno. Lo studio la notte e le domeniche.
8 Lo sorreggeva il desiderio disperato di abbandonare quella casa, insieme alla tristezza dei genitori, per risorgere altrove, da solo, finalmente libero dal peso di tanta desolazione. Dove si è dissolta quella sensazione pesante di solitudine? Ogni tanto se lo chiede. Voleva bene a suo padre, quando è morto lui era già lontano, da tempo. Per lui era già morto tanto tempo prima. Rimane questa necessità, di incontrare la madre. Un giorno al mese, lo dedica alle fotografie della sua vita precedente. Ascolta sua madre senza prestare davvero attenzione, mentre racconta aneddoti già divenuti leggenda familiare. Si perde in fotografie inaridite dal tempo senza riconoscersi. Si prodiga nel tentativo di ritrovare un’espressione familiare, uno sguardo uguale al suo, un paesaggio conosciuto. Rimane sempre insoddisfatto da questi tuffi nel passato. Rimangono i ritratti di un se stesso che non riconosce e di un’Italia, sullo sfondo, che non riesce a ritrovare nel ricordo. Oggi è giorno di vacanza per lui. Ha consumato tutti i doveri delle sue giornate festive. Il tempo vuoto, per lui, è denso di compartimenti stagni da colmare. E’ una specie di gioco a livelli da sbloccare. Non può procedere nella sua giornata se non sblocca il livello giusto. La sua donna oggi è al lavoro. Si è alzata piano per non svegliarlo. Lei lavora in fabbrica, macchine a controllo numerico, delegata sindacale Fiom. Occhi marrone, capelli neri, carnagione olivastra. Nera di pelle e d’animo pensa sempre Marco. Una combattente, inesorabile e definitiva come la morte. Una morte dolce per Marco. Lei lo ama. Lui trova il suo amore nella moca pronta sul fornello o nel tavolo preparato per la colazione, con i cornetti caldi che lei è andata ad acquistare nel forno sotto casa. Lui ha dovuto imparare il linguaggio dell’amore. Ha imparato da Anna che esiste la fiducia, la stima, l’affetto. Lei gli ha insegnato la complicità della coppia. A quasi quarant’anni, ha conosciuto l’amore.
9 A volte nella penombra della camera da letto sorride da solo di tanta fortuna, incontrata nello sguardo della sua donna. Marco e Anna non hanno figli. Sono sposati da cinque anni. Lui ha quasi quarant’anni lei otto di meno. I figli in questo paese indeciso, in questo tempo indeterminato, con la luna tanto vicina all’orizzonte, sono certamente un investimento senza la giusta copertura. Il commercialista di Marco, che è in realtà suo collega, sconsiglierebbe tale scelta. Non ci sono né garanzie di rientro né reali prospettive. A proposito di prospettiva, Marco oggi ha deciso di fare una passeggiata al parco del WWF che dilaga a tre chilometri da casa sua. Ha inserito nella digitale batterie nuove, caricate per l’occasione. Non vuole più improvvisarsi fotografo, come quando a vent’anni girava la città con la sua Pentax mx, manuale. Aveva comprato una macchina fotografica manuale perché ipotizzava di diventare un fotografo. Credeva di essere un purista dell’immagine, aveva tempo da consumare ed energie da spendere per imparare la giusta esposizione, la combinazione di tecniche che manualmente, senza automatismi, avrebbe permesso alla sua creatività di esprimersi. Marco pensava, a vent’anni, che la macchina fotografica manuale l’avrebbe costretto a imparare l’utilizzo costruttivo, creativo e comunista dell’immagine. Comunista, certo, perché nel 1980 essere comunisti era sinonimo di tutto ciò che c’era di buono nel mondo. La creatività, la sensualità, la capacità di essere sempre dalla parte dei buoni eccetera, eccetera. Come cantava Gaber, chi era contro era comunista. Leggeva Gramsci, in quel tempo lontano. Gramsci era il padre inarrivabile. Lui avrebbe spiegato con tono sereno come comparare le differenze sociali, trovando una spiegazione alle contraddizioni, una logica nell’integrazione e nella tolleranza. Marco assorbiva la religione comunista, cercava la fede, investiva il proprio tempo. Lo sperperava. Allora non lo sapeva. L’unica cosa veramente importante, l’unico suo capitale era il tempo. Il tempo è un tesoretto.
10 Non ti rendi conto d’essere ricco fino a quando cominci a vederlo sfuggire nel vento delle opportunità perdute. Marco alla soglia dei quarant’anni non vuole farsi cogliere impreparato. Non perde più tempo a cercare di imparare tecniche fotografiche da manuale. Ha comprato una splendida macchina digitale, la sua terza per l’esattezza. Con questo strumento non c’è il rischio di sbagliare. Non deve perdere tempo ad acquisire tecniche. Non deve fare corsi serali nelle tristi sale Arci per apprendere l’arte dell’esposimetro. Le immagini sono reali, quando le stampa dalla digitale? Lo zoom è reale o virtuale? I colori della realtà sono veri o sono inventati dal computer della macchina? A lui non importa. Intanto ha risparmiato tempo. Tanto non diventerà più un fotografo famoso. Non è più il suo obiettivo prioritario. In realtà, il suo obiettivo principale è cercare di accettare le quaranta primavere che questa mattina sente interamente sulle spalle. Si guarda allo specchio. Occhi grigi, che nelle giornate di vento si scuriscono fino a diventare neri. Un filo di barba sottile che comincia a ingrigire. Capelli cortissimi, che Anna bada a tagliare regolarmente con un rasoio elettrico, una volta ogni due settimane. Marco è alto, possente, leggermente curvo a causa di una crescita troppo veloce quando era ragazzo, e di un programma di formazione sportiva non adeguato. Ha mani grandi e braccia forti. Coltiva il suo corpo. E’ una delle celle quotidiane che deve riempire per procedere al livello successivo. Oggi indossa un giaccone marrone scuro, a coste di velluto grosse. Secondo lui s’intona con la giornata primaverile e lo rende più adatto ai luoghi della campagna che corre sul fiume fra Bologna e Ferrara. In realtà anche l’abbigliamento non è la parte preponderante dei suoi pensieri. Indossa quello che capita.
11 Anna ogni tanto gli compra qualcosa da vestire, quando si stanca di vederlo agghindato nello stesso modo per troppo tempo. Marco esce dal portone di casa. Nel giardino davanti a casa il pesco è in fiore. C’è luce e ancora luce a riempire lo sguardo. Marco indossa i ray ban neri per fronteggiare tanto sole. Un vento tiepido e docile scivola sul viso, sul giaccone, muove la corta erba del giardino appena cresciuta, muove i pensieri verso luoghi inaspettati. E’ una giornata da film Disney, Marco si aspetta che esca da un camino Mary Poppins con tanto d’ombrello. Una mattina perfetta. Chi se ne frega se questo è il preludio della fine del mondo, pensa, almeno il mondo finirà ubriacato da questo vento sottile, che trasporta polveri infinitesimali che uccidono lentamente. Non c’è nessuno nella piazza sotto casa. Lunghi camion percorrono la Saliceto verso Ferrara e il Navile è veloce di acque pulite e chiare. Certo non è più il Navile che trasportava le merci da Bologna a Ferrara, ma ha recuperato parte della sua antica bellezza. Un piccolo gioiello nella pianura che l’uomo ha imparato a domare, facendo confluire le acque, quando è necessario, in bacini artificiali per evitare le conosciute e tristi alluvioni del passato. Marco rivede le fotografie mentali di quel fiume. Un pezzo di storia emiliana. Respira forte l’aria umida che si alza dalle acque. Rivede le fotografie in bianco e nero del fiume. Uomini magri, ossuti, stropicciati che, chini sul fiume, da una barca compiono azioni per lui misteriose. Uomini del passato, che si muovevano sulle acque, trasportando carichi da un luogo della pianura all’altro. Uomini magri, sigarette agli angoli della bocca, congelati in fotografie non studiate, in atteggiamenti tanto concreti quanto inimitabili. Fotografie del Navile. Un fiume che scorre sotto casa trasportando il tempo, nello spazio di vite, che Marco non riesce a racchiudere nell’immaginazione. Si sofferma sulla vita transitata da quel luogo e ha come una vertigine.
12 Rimane affascinato, abbagliato dalle immagini di tutti gli uomini che hanno calpestato la terra che lui adesso attraversa senza esserci nato, senza conoscere la storia di questi luoghi per lui incastonati nel tempo. Questa riflessione attraversa la sua mente. Si ritrova a sorridere. Si ritiene fortunato a essere in questo luogo e tempo. La fatica di migliaia d’uomini passati da lì, per lui, è solo lo sforzo di immaginarli e di respirarli in una piccola porzione di luce. Vive in una dimensione che non prevede sacrifici. E’ consapevole di esser un privilegiato. Cammina lungo il sentiero che porta verso il Parco. La strada è bianca di sassi che da giorni non sono bagnati dalla pioggia. Grossi fagiani si alzano a fatica, coprendo piccole tratte in volo, lanciando acuti versi contro il cielo. Marco guarda i grossi volatili che goffamente si alzano in volo e capisce cosa deve provare un cacciatore nel momento dello sparo. La giornata è talmente bella che vorrebbe sentirsi più leggero, per fermare sul suo corpo tutta la leggerezza che gli entra con il vento sotto pelle. Cammina piano verso le antiche risaie, dove conciavano il tabacco e raccoglievano il riso. Rumori indistinti gli arrivano all’orecchio. Un lontano abbaiare di cani, canti familiari di tortore, molto lontano il rombo cupo dei tir che attraversano la pianura. Si ferma e comincia a fotografare spazi, animali, nuvole. Le acque scorrono nel fiume, protetto da un fitto canneto verde che cresce sui margini. Una nutria si muove in superficie, nuotando a filo d’acqua. Sembra un castoro, ma la coda da topo guizza nell’acqua e rende l’animale molto simile a un ratto. Marco s’inoltra nella campagna costeggiando il fiume. Dalle aziende agricole circostanti arriva forte l’odore del letame usato per le concimazioni. Questo odore, mescolato con i profumi primaverili, è piacevole per lui. Il letame, l’odore del fiume, il profumo del vento. Pensa alle cose perdute, ai colori della città, al grigio del cemento, alle macchie dell’asfalto nel suo lavoro di tutti i giorni. I cittadini non sanno cosa significa vivere in tanto spazio, sotto un cielo aperto e luminoso.
13 Lui ha vissuto a lungo in città. Si rende conto del tempo perduto, dello spazio sacrificato, di tutti i profumi che non ha potuto annusare come sta facendo in questo momento. La campagna sembra aperta solo per lui oggi. A perdita d’occhio solo orizzonte. Sparsi in modo disordinatamente armonioso casolari diroccati, fattorie in disuso, vecchie concerie del tabacco o depositi usati nelle risaie. Sullo sfondo, come un miraggio, s’intuisce, sfumato, il sentiero che conduce al parco del WWF e in sottofondo si odono rumori di vento, acuti versi d’uccelli, altri suoni indecifrabili. Marco fotografa il panorama si sofferma sulle case abbandonate, sugli alberi isolati, sui laghetti artificiali dove le nutrie si tuffano al suo passaggio. Improvvisamente entra nel suo mirino fotografico un’immagine diversa. Una donna con un cane, a circa cento metri da lui. Si muove veloce, seguendo un sentiero opposto verso il paese che sorge lì vicino. Cammina svelta, quasi trascinata dal cane. Sembra un cane da caccia che ha intuito una preda e ne segue l’odore. Marco crede di riconoscere la nuca della sconosciuta. Una sua strana predisposizione, quella per le nuche. Una sorta d’intuito che ha scoperto da bambino. Uno di quei talenti inutili, che lo hanno sempre accompagnato. Marco cerca di collegare la silhouette al cane, ma non gli viene in mente nulla. La donna non sembra averlo visto. Si muove leggera nel vento della campagna. Un sottile impermeabile chiaro si muove con lei. Capelli lunghi, biondi, volteggiano nell’aria. Marco la guarda e allontana con imbarazzo un’ombra di desiderio che si affaccia improvvisamente nei pensieri. Non è un desiderio sessuale. E’ qualcosa di diverso, legato all’immagine della donna. La curiosità di fermare quei capelli fluttuanti, la necessità di interrompere quel fluire così solitario e femminile per sapere dove sta scappando e da cosa, in mezzo a una campagna che ha ritmi tanto diversi. E’ un susseguirsi d’emozioni che Marco cerca di decifrare in quella donna in movimento.
14 L’unica azione che gli viene in mente è fotografare lei, il cane e la pianura alle loro spalle, increspata d’acque raccolte in laghetti artificiali, con nubi soffici e venate di rosa che s’inseguono nel giorno. Inquadra quel profilo di donna. Con lo zoom virtuale cerca di catturare l’istante, per poterlo desiderare per sempre. Istintivamente cerca di ripercorrere il tragitto della donna, quasi per solidarietà con l’unica viandante in vista questa mattina. Con passo misurato e cauto, quasi sospeso, giunge in pochi minuti a un’intersezione dove un ponticello attraversa una diramazione del Navile per poi andarsi a perdere nei pressi di una fattoria abbandonata. Le cose e le case in abbandono in questa campagna assumono una dimensione diversa dalle case occupate e fatiscenti della città. Non sono violate da corpi estranei, da disperati di passaggio o da bande di tossici. Le case, le fattorie, gli spazi in questa porzione di campagna sono ancora luoghi misteriosi, con vicende imperscrutabili alle spalle e un futuro incerto. Marco cammina rasente un fosso che finisce nei pressi del casolare abbandonato, e intuisce la morte ancora prima di vederne la manifestazione oggettiva. Vede un grosso ratto che sta annusando qualcosa sul ciglio del fosso, ancora in fase d’esplorazione. Marco detesta i topi. Li trova disgustosamente in sintonia con il decadimento dei grossi centri urbani. Sa che i topi sono ovunque, come gli scarafaggi e l’inquinamento. Sa che sopravvivranno a qualsiasi olocausto. Li teme perché ha coscienza della loro forza, che nasce da uno specialissimo senso d’adattamento. Il topo in questione è distratto da Marco, che raccoglie un grosso sasso e glielo scaglia contro nella speranza di farlo fuggire. Il topo si allontana, disturbato dall’intrusione, ma non appare troppo turbato dall’umano appena comparso. Marco rimpiange di non avere al seguito la Beretta d’ordinanza. Mai e poi mai avrebbe ipotizzato di potere desiderare di essere armato nella sua campagna, per fronteggiare un maledetto ratto, poi.
15 Cerca intorno a sé un ramo robusto o un bastone per difendersi, eventualmente, da altri animali del genere, ma sembra che quell’esemplare sia l’unico, forse un esploratore in avanscoperta. In ogni caso non si tranquillizza fino a quando non individua un grosso ramo nodoso, strappato da un albero dal forte vento delle giornate precedenti. Lavora intorno al ramo ripulendolo dai rametti, ne saggia il peso, la consistenza, decide che con tale arma potrà fronteggiare qualsiasi tipo di roditore. Rincuorato da tale determinazione ricomincia ad avvicinarsi al luogo in cui era appostato il topo. Marco pensa a un cadavere d’animale portato dalla corrente del fiume in questo tratto periferico. Immagina già il cadavere in decomposizione. Rimane impietrito nello scorgere fra le canne del fosso due gambe vestite di un paio di jeans, impregnati d’acqua. Ai piedi un paio di scarponcini marrone da trekking. Il busto è completamente immerso nell’acqua. Non ci vuole un esperto per capire che la persona è morta. Marco cerca di controllare il respiro, senza farsi prendere dal panico. Di cadaveri ne ha già incontrati in vita sua. Fa parte del lavoro. Un agente della polizia municipale alla fine deve farci i conti, con la morte. Lui ha incontrato cadaveri straziati da incidenti stradali, anziani abbandonati in appartamenti desolati, tossici con la siringa piantata nell’inguine, nel tentativo di trovare una vena da utilizzare. Morti da città, annunciate, destini sacrificati e sacrificabili. Marco sa che quando arriva in certi luoghi potrà incontrare un cadavere, un sacco vuoto, ormai, che nella morte perde qualsiasi valenza, se non quella spettacolare che seduce i vari tipi di guardoni che popolano il mondo. Questa morte è, al contrario, non annunciata, non voluta, non prevista. E’ un pugno nello stomaco, una violenta irruzione nei suoi progetti primaverili. Oggi era uscito da casa con il preciso intento di diventare una sola cosa con la natura, per riconciliarsi con il tutto, soprattutto con il proprio corpo.
16 Ogni progetto, anche il meglio costruito, può subire una brutale smentita. Marco lo sa bene. Il suo stomaco non regge la delusione per la giornata rovinata. La sua mente non regge l’orrore per un cadavere che inaspettatamente ha fatto capolino nel suo orizzonte. Marco vomita la colazione del suo giorno di ferie. Lo fa con professionalità, a diversi metri dal cadavere, per non inquinare la scena di un possibile omicidio. Cerca quindi di ricomporsi e di mettere insieme i pensieri. Fruga nelle tasche dove trova il suo vecchio Nokia, malconcio ma sempre affidabile. Telefono di vecchia concezione. Buono solo per telefonare, schermo in bianco e nero. Privo di fotocamera e di connessione a Internet. L’unica cosa che si può fare, con il vecchio telefono, è telefonare. Ottima ricezione, tastiera semplice e utilizzo immediato. Marco non chiede altro a un cellulare. Non ama lo sfoggio d’accessori dei cellulari modernissimi, ultrapiatti. Sono invadenti i telefoni oggi. Ogni volta che si è trovato in una situazione incresciosa sul lavoro, ha dovuto fare i conti con lo stronzo di turno che si è sentito in diritto di riprenderlo mentre cercava di mettere le manette a un malintenzionato, o mentre cercava di calmare un ubriaco o placcare un venditore abusivo. I cellulari in questi casi diventano strumenti in mano al primo cittadino che si sente il diritto di decidere la qualità del tuo approccio professionale, per poi veicolare le immagini rubate dove meglio crede, su youtube o in qualche trasmissione scandalistica. In questo istante Marco benedice la forza dell’abitudine che lo ha spinto a infilare meccanicamente il cellulare nelle tasche del suo giaccone. Ringrazia che ci sia campo in questo luogo, lontano dal paese almeno due chilometri. Cerca nella rubrica il numero di cellulare del Maresciallo Prencipe, suo amico e comandante della locale stazione dei carabinieri. Il cellulare di Prencipe suona libero. Marco ringrazia il patrono dei vigili in vacanza. “Marco Belli, come stai? Stavo pensando a te, alle tue benedette tigelle e alle mie bottiglie d’albana che stanno accumulando polvere in cantina.”
17 La voce di Prencipe è profonda e calda come la terra che lo ha generato. Pugliese di nome e di fatto, orgoglioso delle sue origini, dell’accento e della forza che traspare dalla sua voce. Il tono di Marco è più incerto. “Maresciallo, non parliamo di mangiare, non ora che ho appena vuotato lo stomaco. Mi dispiace d’essere io a dirtelo, ma davanti a me c’è un cadavere, maschile a occhio e croce, e mi faresti una cortesia personale se ti attivassi per constatarne la morte.” Una pausa di sospensione sancisce la drammaticità della situazione. La morte è accettabile solo quando s’incontra in percorsi previsti. Prencipe, uomo di grande esperienza, deve semplicemente accettare l’incommensurabile capacità della morte di manifestarsi nei momenti e nei modi più inaspettati. Prencipe conosce la morte. L’ha vista da vicino, in Jugoslavia prima, in Irak dopo. E’ sempre uguale. Ha una sua determinatezza, tanto agghiacciante quanto ripetitiva. Impiega due secondi per mettere insieme i pensieri. “Dove sei?” Chiede serio. Marco si guarda intorno e cerca punti di riferimento. “Sono vicino alle vecchie risaie, al cascinale in abbandono, parallelo al sentiero che porta al parco del WWF. Entra nel sentiero principale, appena ti vedo mi faccio sentire.” Trascorre un altro secondo. “Non toccare nulla, adesso arrivo.” Mormora Prencipe. “Non ti preoccupare, sono anch’io un appassionato di C.S.I. In ogni caso puoi fidarti. Sono pur sempre un agente di polizia giudiziaria.” “Mi fido di te” risponde Principe “Sai, a volte la tensione gioca brutti scherzi. Fra dieci minuti sono lì.” Trascorrono altri secondi, poi Prencipe piano sussurra: “Sei armato Marco?” Marco non capisce il senso della domanda. “No, perché dovrei essere armat …” Capisce immediatamente dove vuole andare a parare l’amico. “Ascoltami bene” inizia Prencipe.
18 “Nuovo piano. Adesso ti avvicini al cadavere e, muovendoti il minimo indispensabile, gli tasti la parte del corpo che esce dall’acqua e mi comunichi cosa ne pensi della sua temperatura.” Marco vorrebbe essere ovunque in questo momento, in fila in autostrada causa incidente mortale, sotto il trapano di un dentista, sotto la pioggia a dirigere il traffico, non qui a tastare cadaveri. Senza dire altro si avvicina al corpo della persona che esce dall’acqua e, cercando di non pensare che sta per toccare un morto, si abbassa e appoggia il palmo della mano destra al polpaccio del cadavere. “Il corpo è ancora tiepido” sussurra Marco al telefono. “Bene” risponde Prencipe. “Se quella persona è stata uccisa, il suo assassino potrebbe essere lì, nascosto. Devi prestare attenzione!” Marco si allontana, indietreggiando dal corpo. Si alza, uscendo dalla scena del probabile delitto. Questa è sicuramente una situazione nuova per lui. La sua giornata di ferie. Lo spazio della riflessione e della solitudine desiderata, fra poco si riempirà di voci e di rumori sgradevoli. C’è di più. C’è dell’altro. Potrebbe essere in pericolo. “Mi hai sentito?” urla nel telefono, il maresciallo Prencipe. “Ti ho sentito…ti ho sentito…” sussurra rassegnato Marco. “Tu vedi di sbrigarti e di venire qua, ora!” supplica Marco con tono allarmato. “Mi sto già muovendo. Chiamerò la scientifica di Ferrara e il magistrato strada facendo. Quindici minuti al massimo e mi vedrai comparire all’orizzonte.” Marco chiude la comunicazione e si ritrova solo nella campagna, in compagnia di un cadavere ancora caldo. Morto è morto di sicuro, salvo che non riesca a respirare sott’acqua. Marco non è un eroe, si ritiene una persona normale con un concetto di paura relativo alle situazioni in cui si trova. Ora ha paura. E’ solo, disarmato, vicino a un cadavere fresco di giornata. Unica fugace apparizione è stata la bella bionda all’orizzonte, scomparsa ormai dal suo campo visivo ma non dalla sua digitale.
19 Marco fotografa il polpaccio del cadavere, la scena del dramma, continuando a guardarsi intorno con circospezione. Si allontana dieci metri dal perimetro del possibile delitto. Nessuno può inquinare la scena, tranne lui. La paura è maggiore quando non sai se la minaccia è concreta, quando non sai in cosa consiste, da dove arriverà e in quale modo si manifesterà. Marco sta sudando freddo, sente la bocca asciutta, il cuore che pulsa veloce nelle vene. Avverte una sensazione di vuoto allo stomaco come quando doveva affrontare la Sturlese, terribile insegnante di matematica. Donna in realtà amabile a suo modo, con l’unica colpa di insegnare una materia per lui incomprensibile. In questo momento è in balia degli elementi esterni. Conta sul suo metro e novanta d’altezza, sulla sua stazza. Un uomo normale potrebbe temerlo. Sa che ci sono uomini che non hanno paura di nulla. Specialmente se hanno già ucciso. Se hanno qualcosa da perdere e vedono davanti a sè un possibile ostacolo alla loro possibilità di fuga. Marco pensa in fretta, cerca di respirare profondamente per allontanare l’ansia che lo attanaglia. Cerca di fare il disinvolto, di non apparire sconvolto. Un osservatore attento non si farebbe ingannare dal suo maldestro tentativo di dissimulazione. Sono trascorsi sette minuti e non accade nulla. La natura intorno è, come al solito, ignara degli accadimenti umani, dell’ insana volontà dell’ uomo di rovinare un habitat perfetto come questo. Marco pensa a questo fatto, alla sua giornata definitivamente rovinata, al progetto di fotografare la campagna, di pensare se stesso in un giorno programmato da tempo. Più ci pensa, più si arrabbia. La paura, che lo ha dominato fino a quel momento, lascia il campo a un improvviso odio nei confronti di chiunque abbia deciso di uccidere o morire nel suo tempo libero. Pensa al cadavere e lo maledice a denti stretti. Non gli frega niente, in questo momento, della sua storia personale, dei figli che non rivedrà, dei debiti che lascerà inevasi, della donna che lo sta chiamando invano.
20 Più che con il morto Marco è arrabbiato con l’eventuale omicida. Come si è permesso costui di infrangere il delicato rapporto che Marco ha instaurato con questa campagna depressa, che solo da poco tempo si è deciso ad amare a frequentare? Adesso si guarda intorno con altri occhi, arrabbiati. Il suo sguardo è di sfida. “Vieni fuori, bastardo, vieni a finire il tuo lavoro, fatti vedere vigliacco, che ti ammazzo con le mie mani!” Urla queste parole in una campagna che, per un secondo, sembra zittirsi per cercare di interpretare la quotidiana follia degli uomini. Un fagiano, spaventato dalle sue grida, si alza in volo con un rumoroso battere d’ali, lanciando il suo consueto grido sgraziato. Fugge cento metri più a sud. Marco osserva il fagiano, pesante e grasso, protetto dalla caccia degli uomini in questo territorio. Fa scorrere lo sguardo a trecentosessanta gradi intorno a sé ed esplode in una sonora risata, che riecheggia in tutta la campagna. Si guarda le mani, tremanti. Il cuore ricomincia a battere a un ritmo normale. Il respiro è tornato regolare. “Sono proprio un cretino” pensa fra sé e sé. In quel mentre compare la campagnola dei carabinieri che con le sue luci azzurre annuncia che la realtà può andare in scena. La morte può essere svelata. *** Marco è seduto nell’ufficio del Maresciallo Prencipe. L’ufficio è al centro della piccola caserma di paese. La caserma è davanti alla sede del Comune, sulla strada principale che taglia la pianura. La stanza del Maresciallo è senza tempo. Marco è solo. Prencipe sta svolgendo i suoi compiti, impartendo ordini a destra e a manca. Marco lo attende quieto, seduto sulla sedia. Lui è testimone dei fatti. Il Maresciallo dovrà raccogliere dalla sua viva voce sommarie informazioni, poiché lui è stato il primo uomo che ha visto il cadavere.
21 Marco guarda la faccia stanca del Presidente della Repubblica, appesa a due metri da terra, alle spalle della scrivania. La faccia del suo Presidente. Il Presidente di tutti noi, pensa Marco. Presidente di che? Un uomo anziano, vissuto di politica, in un paese che la politica la usa con la stessa eleganza con la quale distrugge i litorali con la speculazione edilizia. Il Presidente è triste. Il paese è un corollario d’anziani presidenti tristi. Unica eccezione che gli affiora alla memoria, è la faccia arcigna e risoluta di Pertini. Pertini è stato davvero il Presidente di tutti gli italiani. Lo rivede sugli spalti di uno stadio a gioire per l’Italia campione del mondo. Sulla fossa di Vermicino, a esprimere l’angoscia di milioni d’italiani che non potevano salvare il bambino caduto nel buco. Il sole entra dalla finestra dell’ufficio che si affaccia sull’orto della caserma. Un’imponente ragnatela campeggia nello spazio fra le imposte di legno, intaccate dal tempo, e il vetro della finestra. I muri dell’ufficio di Prencipe hanno il colore del tempo. Sono dipinti di quello strano colore giallo ocra delle caserme di tutta Italia. Sono lavabili fino a un metro e mezzo d’altezza, con quella porosità liscia al tatto, tipicamente italiana, che a Marco ricorda l’asilo, la scuola elementare, la caserma del suo anno di naia e i corridoi del pronto soccorso. Architettura italiana, arredi per tutte le stagioni, colori per tutte le situazioni. In ogni luogo storico, dove lo Stato ha messo la mano, ha lasciato questa sua affettuosa impronta stilistica. Marco si sente a casa, seduto davanti alle pareti di questo spaccato d’Italia. Ha la sua digitale fra le mani. Rivede l’arrivo convulso dei militari sul luogo del delitto. Rivede i carabinieri che delimitano il terreno con paletti e nastro colorato. E’ rimasto fino all’arrivo del medico legale.
22 Ha visto da vicino i tecnici della Scientifica arrivati da Ferrara con i loro completi bianchi, le macchine fotografiche, i cartellini a indicare segnali per lui invisibili, trovati sul terreno. Una scena da film. Il film della sua giornata naufragata miseramente. E’ arrivata anche una rete locale, a un certo punto, con un giornalista grasso, sudato e leggermente ubriaco che si è avvicinato a lui e, alitandogli in faccia un pessimo alito vinoso, gli ha chiesto cosa avesse visto. Marco non gli ha neanche risposto, confuso dalla moltitudine di persone, dai rumori indistinti e dall’immagine di quel cadavere, che usciva dalle acque sollevato con delicatezza da uomini scrupolosi che con attenzione cercavano sul suo corpo segni rivelatori. Marco ha guardato il volto del morto. Un volto che aspettava di vedere. Il viso è ciò che noi cerchiamo nelle persone. Sono balle quelle che gli uomini raccontano. Gli uomini, bestie addomesticate. Parlano di tette, culi e gambe. Parlano e ruminano gli uomini. Ogni uomo cerca il volto del suo simile. Ogni maschio cerca gli occhi della donna. Gli occhi ti diranno se tu puoi o non puoi amare un volto, un viso. Sprofondare nei visi, negli sguardi degli altri. Gli italiani sono professionisti in quest’arte. Li chiamano latin lover. Sono solo animali. Nel migliore senso della parola. Passeggiare in una strada italiana, significa incontrare gli sguardi. La gente. Gli uomini. Le donne. I cani italiani. Tutti guardano negli occhi. Gli italiani sono fatti così. Si apre lenta la porta d’antico legno dell’ufficio. Si apre bene senza fare rumore. Entra l’appuntato Felice, con la Moka fumante in una mano e un vassoio d’acciaio sbiadito nell’altra.
23 Sopra il vassoio sono collocate due tazze spaiate, che ospiteranno il caffè Kimbo. Nelle caserme della pianura padana va’ per la maggiore. E’ magro e ossuto l’appuntato Felice. Occhi e capelli neri come l’ebano. Una pelle che sembra bruciata dal sole, tanto è scura, due baffi stirati sotto un naso, lungo, esitante, leggermente storto. Sorride Felice, mentre appoggia il caffè sopra la scrivania di legno macchiato del Maresciallo. “Marco, che mi combini? Proprio a te doveva capitare di incontrare un morto?” Ridacchia Felice, che conosce Marco come persona schiva, che non ama mettersi in mostra, essere in primo piano e soprattutto rimanere confinato in spazi per troppo tempo. Marco guarda l’appuntato Felice. Il suo sguardo è sognante, perso nelle pieghe dei colori, di questo spaccato d’Italia dimenticata. Si riscuote. “Appuntato, hai poco da prendere in giro, avrei voluto che ti ci fossi trovato tu in quella campagna con le gambe del morto che uscivano dall’acqua.” Felice non riesce a trattenere il sorriso, immaginando l’amico da solo, di fronte all’inevitabilità della morte. “Bevi un caffè. Adesso Prencipe arriva e in poco tempo puoi tornare ai tuoi affari.” Marco si versa il caffè nella tazza grande che Felice gli ha portato. Una tazza da caffelatte, grande, marrone e leggermente sbrecciata. Mescola piano, sente la fatica anche in quel gesto. L’adrenalina si è insinuata nei muscoli delle braccia, è diventata acido lattico, adesso gli provoca un noioso indolenzimento a tutti i muscoli. L’appuntato Felice esce di scena ed entra finalmente Prencipe, riempiendo l’ufficio con il profumo forte e pungente della sua acqua di colonia. Un profumo che sa di buono, di pulito. Profumo di uomini che si fanno la barba la mattina, prima di indossare una divisa o un qualsiasi indumento di lavoro. Prencipe è l’icona del Maresciallo. Alto uno e ottanta. Spalle larghe, robuste.
24 Baffi scuri sotto un naso volitivo, occhi verdi, intensi, vivaci sotto a una testa di capelli cortissimi. Quarant’anni portati splendidamente, una vita fra Stazione di paese e una moglie scura e soda come lui che gli ha donato due figli che stanno terminando le scuole medie. Prencipe dà una pacca affettuosa sulla spalla di Marco e va’ a sedersi dalla sua parte della scrivania. Il ponte di comando del Capitano della nave. Mescola il caffè con vigore. Lo annusa rapito, con gli occhi socchiusi per un istante. “Felice poche cose sa fare, il caffè è una di queste.” Sorseggia piano, come se dovesse centellinare una bevanda divina. C’è solo lui, il caffè e il piacere di gustarselo in questo momento. Marco invidia l’amico che riesce in ogni momento della sua giornata a non dimenticare che tutto si mescola, morte e vita, lavoro e piacere, caffè e silenzi. “Bene, caro Marco, ci siamo spaventati un poco oggi. L’importante è questo momento, io e te, come sempre, che possiamo parlare di ciò che accade. A proposito, che hai visto?” Marco ascolta l’amico, intanto guarda la luce che entra in quello spazio, ingombro di mobili che qualcuno ha appoggiato in quel luogo, sapendo che un giorno lì sarebbero arrivati i carabinieri. “Non ho visto nulla oltre a ciò che ti ho già raccontato.” Le parole escono fluide, come a seguire i pensieri. Marco guarda l’amico, il maresciallo capo, l’istituzione, il potere prima d’ogni potere in un paese come il loro, ai confini con il nulla. Prencipe lo guarda con occhio sornione. “Sei sicuro Marco? Non hai visto nulla, una persona lontana, un rumore sospetto, un qualsiasi segno di vita insomma.” Apre un cassetto Prencipe ed estrae un pacchetto verde di tabacco, con lentezza comincia ad arrotolarsi una sigaretta con tabacco Golden Virginia. “Tu non fumi più, vero Belli?” Sorride il maresciallo, e intanto lecca la cartina per congiungere i lembi della carta attorno a un mucchietto di tabacco inglese. “Lo sai che ho smesso Antonio, a volte mi chiedo se tu non sei un maledetto diavolo tentatore nascosto dalla tua benedetta bandoliera vuota.”
25 Ride Prencipe, con una risata profonda, contagiosa, potente. “Tu dovresti scriverle certe minchiate, Marco, finiresti per diventare famoso.” Marco lo guarda. Pensa a quell’immagine, fissata nella memoria della macchina fotografica, stampata nella sua memoria, appiccicata allo stomaco. Pensa alla bionda, evanescente immagine che si allontana veloce con un cane da caccia nella luce fine del mattino. “No, Antonio, non c’era nessuno nel raggio di chilometri. Solo io e il morto.” Marco esce nel sole del primo pomeriggio dalla Stazione dei carabinieri. Ha terminato di rilasciare sommarie informazioni al suo amico Prencipe e adesso, leggermente barcollante, attraversa la provinciale che scorre in mezzo al paese. La vita ha ripreso il normale ritmo quotidiano. Nessuno sembra essere rimasto sconvolto dalla morte misteriosa che è piombata a pochi chilometri dal paese. Prencipe gli ha promesso che lo terrà aggiornato sugli sviluppi. Appena giunto a casa entra in cucina e controlla le provviste. Dopo la tensione adesso gli è tornato un appetito aggressivo. Stomaco vuoto per ore. Il colloquio con il maresciallo. Le omissioni. Marco non ha mentito. Ha tralasciato deliberatamente un fatto. Lui sa che ha omesso un dato importante. Lui è un agente di polizia giudiziaria. Lavora a Bologna. A causa dei paradossi italiani, solo a Bologna può dichiararsi poliziotto. Marco si è sempre chiesto che cosa diventa, quando esce dal comune in cui ha la nomina d’agente. Torna a essere un cittadino normale? Perde i superpoteri? Da agente della municipale a semplice coglione. Gli piacerebbe chiarire questo punto con il legislatore, con le ciurme d’amministratori locali, con qualche sindaco e magistrato arrogante. Alla fine se ne frega.
26 Qui a casa sua è soprattutto se stesso. Inoltre nessuno lo può stressare con richieste di favori o regalie. In fin dei conti è meglio così. Si siede davanti alla televisione. Accende sulla rete locale che sta parlando del misterioso ritrovamento di un cadavere nel Navile. La rete locale arriva, come al solito, prima di chiunque ad avere le prime indiscrezioni. L’uomo, della presumibile età di trentacinque anni, è morto per annegamento. Solo l’autopsia potrà stabilire se l’uomo è caduto nel fiume o se è stato gettato. Il cadavere è stato trovato da un vigile urbano che vive in paese … Marco sorride. “Vigile urbano tua sorella … quella zoccola.” Marco è uno dei pochi che non sopporta essere ancora definito in quel modo. “E’ dal 1986 che non ci chiamiamo più così, ma per tutti, giornalisti in primis, continuiamo a essere delle guardie comunali.” Marco mastica vorace il casatiello che la madre di Anna cucina a Pasqua. Un piatto napoletano che adora. Il casatiello è uno dei piatti tipici della tradizione pasquale napoletana in particolare e meridionale in generale. Il termine casatiello deriva da “caso” che in napoletano significa formaggio e, in effetti, nel casatiello c’è una cospicua quantità di formaggio. Non c’è solo formaggio. Ci sono uova sode, salame piccante, e tante altre delizie, tutte all’interno di questa ciambella salata fatta con farina, strutto, acqua. Un’ora di forno e dodici ore per digerirlo. Marco mastica tutte queste minacce per la salute e la dieta. Beve un bicchiere di Trebbiano per favorire la digestione di questo amico del colesterolo, e rimane una mezzora sul divano a meditare davanti alle notizie di Sky. Lui probabilmente conosce la ragazza del fiume. Non ha voluto coinvolgerla. Una sorta d’istinto protettivo è inspiegabilmente scattato. Ha pensato che potesse sbagliare e coinvolgere una persona che in realtà non era lì.
27 Nel dubbio ha preferito nascondere intenzionalmente questa verità a Prencipe. Adesso gli sorge un dubbio. Lui è andato a sbattere contro quel cadavere inseguendo un percorso indotto dall’immagine in movimento della ragazza. C’è la possibilità che la ragazza stesse provenendo dal luogo del ritrovamento. E’ una possibilità relativa, ma non può scartarla. Gli rimane solo una cosa da fare. Andare dall’unica persona che può risolvere i suoi dubbi. Guardarla in faccia, chiederle se era lei in quella campagna, cosa ci faceva, trascinata da un cane. I dubbi s’inseguono nella sua testa. Marco si sposta nello studio. Accende la console della play station e fa partire il suo gioco preferito. Oblivion. Marco ama i giochi. Appena ha potuto, si è comprato un personal computer. In seguito ha scoperto che con il computer si poteva giocare. Non si è ancora stancato di giocare. Da un anno ha scoperto la Play Station due. Più semplice del Computer. Quando è stanco, stressato e ha una mezz’ora da perdere, si lascia possedere dai suoi giochi. Si manifesta sul monitor lcd, nuovo di zecca, venti pollici, un mondo impossibile da trovare in natura. Oblivion è il sogno per eccellenza. Un mondo vastissimo in cui muoversi, pieno di boschi, montagne, cavalieri, orchi e damigelle da salvare. Marco è chiaramente un cavaliere che deve cercare tesori, verità nascoste, risolvere enigmi. Si muove per centinaia di chilometri senza spostarsi dal suo studio. Come Salgari, esperimenta universi improbabili senza doversi muovere da casa sua. L’immaginario virtuale lo appaga, è uno dei premi che si concede quando nella sua giornata ha sbloccato tutti i livelli obbligatori. La sua vita è come un gioco virtuale, nel quale s’impone livelli da superare, il lavoro, le commissioni familiari, lo sport, la lettura. Quando ha fatto tutto ciò che ritiene obbligatorio si concede dei premi.
28 Il gioco, il tempo vuoto, il sogno. La vita con Anna è a metà fra il premio e i livelli da sbloccare. L’amore a volte è gioco, a volte impegno. Oggi non riesce a distrarsi neppure con Oblivion. Cammina nervosamente per casa. Dovrebbe confidarsi con qualcuno. L’unica persona di cui si fida è Anna. Questa volta non può aiutarlo. Dovrebbe spiegarle perché conosce la ragazza. Non capirebbe. Anna è gelosa come solo una donna del sud sa essere. E’ gelosa in modo definitivo. E’ integralista come un terrorista islamico. Se s’insinua in lei un sospetto, può diventare una paranoia e trasformarsi in una catastrofe. Marco si rende conto che dovrà omettere anche a lei qualche informazione. E’ solo questa volta. Da solo deve muoversi, per capire se i suoi sono sospetti infondati o se la ragazza del fiume è colei che pensa. Non riesce a rilassarsi. Deve decidere cosa è giusto fare. La sua morale è personalissima. Rispetta regole tutte sue. Marco si ritiene uomo di legge, con un’originale concezione della giustizia che nasce dalla consapevolezza delle molteplici interpretazioni che gli uomini danno, in questo paese, al concetto d’equità. Decide di bere un bicchiere di trebbiano. L’unico sedativo che in questo momento può aiutarlo a comprendere meglio il vortice confuso dei pensieri. La giornata è iniziata in maniera tumultuosa. Ha avuto ritmi aggressivi, un epilogo inaspettato. Tutti questi accadimenti piombano come un macigno sulle sue spalle e insieme al vino cominciano a provocare in lui un leggero torpore. Marco è un amante della pennichella pomeridiana, attività che ha sempre coltivato fin dall’adolescenza. Parentesi delicata, durante la giornata. ...CONTINUA...