ANTEPRIMA: Il mercante di vaniglia

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ANTEPRIMA Giallo In uscita verso i primi di dicembre 2009 Contatta l'autore su www.isalotti.serviziculturali.org

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DESCRIZIONE: Navidad, Nuova Spagna, 1666. Un uomo ferito e privo di sensi viene trovato riverso sulla sabbia. L’uomo, lo Straniero, curato dalla gente di Navidad, non ha memoria del suo passato e neppure i quattro piccoli semi che stringe nel pugno lo aiutano a ricordare. Personaggi giunti da un passato dimenticato e una serie di misteriosi delitti minano da quel momento la secolare tranquillità di Navidad. Una vicenda incalzante e divertente che accompagna il lettore fino all’inevitabile epilogo a sorpresa. Scambia i tuoi libri Leggi gratuitamente i nostri libri Pubblica un libro Pubblica un racconto Concorso "Il Club dei Lettori" Guarda TeleNarro Crea il tuo Social Network personale Gioca con la Banda del BookO (che si legge BUCO)

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L'AUTORE: Corrado Sobrero è nato a Torino nel 1968. Cresciuto a Lecce, si è laureato nel 1993 in Economia Aziendale a Milano, dove vive, scrive e lavora (in ordine di preferenza). Scrittore compulsivo, è da tempo impegnato a far quadrare i conti, in attesa del definitivo successo editoriale.

Titolo: Il mercante di vaniglia Autore: Corrado Sobrero Editore: 0111edizioni Collana: Selezione Pagine: 164 Prezzo: 13,00 euro

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Corrado Sobrero

IL MERCANTE DI VANIGLIA

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com www.corradosobrero.it

IL MERCANTE DI VANIGLIA 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Corrado Sobrero ISBN 978-88-6307-230-3 In copertina: “Cornucopia” di Valentina Caruso (particolare)

Finito di stampare nel mese di Novembre 2009 da Digital Print Segrate - Milano


A Roberto Medved, amico eterno; A mio fratello Marco, ai miei genitori e a tutti coloro che a vario titolo, quotidianamente, mi sopportano o lo hanno fatto (a Luisella); Alla mia amica Valentina Caruso, che mi aiuta a rendere leggibile quello che scrivo e che ha realizzato la copertina di questo romanzo; le ho promesso che l’avrei assunta regolarmente dopo le centomila copie vendute: datele una mano, diciamo NO al precariato; A tutti gli altri, che saranno ricordati senz’altro nei miei romanzi futuri, se non nelle dediche di sicuro nelle vicende narrate (ma non so cosa sia meglio).



Parte I Navidad, A.D. 1666. Agosto

Studia il passato se vuoi prevedere il futuro. (Confucio)



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1. LO STRANIERO

Era una fresca mattina di agosto quando Juanita lo trovò, riverso sulla sabbia, svenuto e seminudo. Come ogni mattina la giovane Juanita - avrebbe compiuto i sedici anni a novembre - andava a cercare conchiglie su quella spiaggia, conchiglie per fare collane, bracciali, monili, piccoli oggetti da vendere il sabato, al mercato del villaggio. Juanita si alzava all’alba ogni mattina perché le prime ore del giorno erano le migliori, per trovar conchiglie. Juanita lo vide, svenuto e seminudo e rimase immobile, incerta, spaventata. Incuriosita. Anche. Non era certo la prima volta che vedeva qualcuno svenuto, ma era sicuramente la prima volta che si trovava davanti ad un uomo seminudo. Così tanto seminudo. L’uomo era riverso con la faccia sulla sabbia, capelli lunghi e ispidi, una maglietta strappata che probabilmente un tempo era stata a righe rosse, bicipiti sfrontati e ruvidi, pantaloni al polpaccio, unti e strappati, glutei esposti. Juanita lo osservò con attenzione, avvicinandosi cautamente, chinandosi su di lui. Decise di osservarlo meglio, di girarlo, e la prima cosa che la colpì fu il suo volto, attraente e normale, sereno e disteso nella sua incoscienza. Barba incolta, viso sporco e segnato dal mare e dal sale, un lungo taglio al volto, dal lobo destro al mento, la carne viva imbiancata dal sale e dalla sabbia. Un volto come tanti ma tuttavia unico. Le labbra viola, i capelli crespi e ispidi, la barba incolta. La prima cosa a colpirla fu quel volto. La seconda cosa che la colpì fu l’ignoto. La paura per qualcosa mai vista prima su qualcuno e mai neppure sospettata, qualcosa di sconosciuto e forse minaccioso che fuoriusciva inaspettato da quei pantaloni logori e unti, appena sotto la vita. Juanita scattò in piedi e corse via e correndo pensava.


8 “Come fa un così bel volto a condividere lo stesso corpo con quella cosa?” pensava Juanita, e pensando correva veloce verso il paese, lontana dal volto bello e sicuro e dall’ignoto minaccioso. Lo sguardo di Juanita - veloce, incuriosito e poi spaventato - su quell’uomo riverso sulla sabbia non colse la mano serrata a pugno, un pugno stretto e impenetrabile su qualcosa di prezioso e misterioso, forse. Un piccolo scrigno alla fine di un braccio forte e inerme abbandonato sulla sabbia, che quella fresca mattina di agosto sfuggì allo sguardo dapprima incuriosito e poi spaventato della piccola Juanita. Carlos Playa Ortez, padre di Juanita e Ramon, suo fratello, corsero alla spiaggia, avvertiti dalla giovane raccoglitrice di conchiglie che li seguì stando qualche passo indietro. “Mio Dio… è mezzo nudo… ” “Ragazza… tu hai visto quest’uomo… in queste condizioni?” Preoccupazione paterna. “Beh… padre… in verità ho visto solo la parte mezza vestita”. Sguardo innocente, mezza verità, o mezza bugia. Sollievo. Innocenza salvata. Tutto a posto. Preoccupazioni infondate. “È ancora vivo”. Carlos si caricò sulle spalle quel corpo. Lo Straniero fu portato in paese, a casa di Carlos Playa Ortez. “Buon Dio… santo Cielo… poggiatelo lì… ” Amanda, moglie di Carlos e madre di Juanita e Ramon era agitata e si diede subito da fare. Acqua calda, stracci, acqua da bere… indumenti… servivano indumenti… Amanda, moglie di Carlos, madre di famiglia e devota cristiana. “Non abbiamo indumenti… lo avvolgeremo nella tela di lino… ” “Bisogna pulirlo, è incrostato di sale e di sabbia… ” “Ci penso io” disse Carlos. “Anche se quasi morto è pur sempre un uomo” pensava “e qui ci sono troppe donne”. Un uomo rimane un uomo anche da morto, al limite, pensava Carlos. Stracci bagnati strofinarono la faccia e le braccia dello Straniero. Taglio sul volto, tatuaggi, vecchie ferite lungo quel corpo magro e possente. Capelli lunghi e ispidi. Una ferita sulla testa, sangue incrostato.


9 Un volto segnato dal mare, dal caldo e da una lama, un corpo robusto e forte. La pelle scura e seccata da anni di sale e di sole, istoriata con cuori spezzati, teschi e altri segni. Carlos studiava quel corpo, la faccia, la schiena, le braccia. Le mani. Una mano sola, per la verità. L’altra, serrata in un pugno indissolubile, si negava ostinatamente a qualunque esame, sottraendosi a qualsiasi sguardo. “Deve essere ben forte, se anche da quasi-morto riesce a stringere così” pensò Carlos. Provò ad aprire quel pugno - più che un pugno quasi un’incudine - ma lo Straniero quasi-morto sembrava più forte dell’indigeno sicuramentevivo. Carlos chiamò il figlio Ramon. Provarono insieme, Carlos e Ramon. Poi chiamarono il vecchio Anton, padre di Amanda. Vecchio, ma pur sempre più vivo di quello straniero. Provarono insieme e uno dopo l’altro, insieme e in successione, separatamente e congiuntamente, provarono e riprovarono. Nessuno riuscì ad estrarre la spada - se mai ce ne fosse stata una - da quell’incudine, quella fresca mattina di agosto. Così, desistendo dal loro intento e piegando la curiosità alla volontà del destino e più ancora alla volontà dello Straniero, i tre si arresero. Carlos riprese a pulirlo. Acqua dolce sulle labbra e sulle ferite secche e salate. Lo straniero non sembrava volersi riprendere. Fu coperto, avvolto nella tela di lino e portato nella stalla, adagiato sul pagliericcio, accanto ad Anita, la giumenta. Il corpo riverso nell’involto di lino, il braccio abbandonato e penzolante. La paglia. “È bello come Gesù” pensava Juanita, lo sguardo rapito da quell’uomo misterioso e dal ricordo dell’ignoto. “Dev’essere un pirata” pensava Carlos, il ricordo del suo sguardo ancora fisso sui tatuaggi e sui segni di quel corpo arrivato dal nulla. “È lino buono… speriamo non si sporchi troppo” pensava Amanda, semplicemente. La notizia dell’arrivo di quel corpo inanimato si diffuse velocemente a Navidad, e presto una piccola folla, curiosa quanto all’apparenza ignara di quel ritrovamento, si formò nelle immediate vicinanze di casa Ortez.


10 A Navidad non succedeva quasi mai nulla di insolito e l’arrivo di qualcuno era sempre un evento. In qualunque modo questo “qualcuno” arrivasse, o fosse ritrovato. A Navidad nessuno era mai morto di morte violenta, nessuno si era mai neanche ferito, se non accidentalmente, lavorando la terra o pescando. A Navidad qualcuno moriva, ogni tanto, ma di vecchiaia per lo più. Il vecchio Francisco cinque anni prima era affogato nella baia cadendo dalla sua barca, mentre pescava. Questo tutti se lo ricordavano. Come tutti si ricordavano ancora di Sisto Veron, arrostito da un fulmine nel suo campo durante un temporale ventidue anni prima. Nessuno si ricordava più invece di Isabella Velasquez, la sarta di Navidad, morta dopo aver ingoiato accidentalmente degli spilli che teneva in bocca. La morte di Isabella era ormai storia, non più ricordo, e nessuno sapeva esattamente quando fosse avvenuta. Di sicuro molti anni prima, molto prima di quella di Sisto. Di vecchiaia. Così si moriva di solito a Navidad, salvo poche occasionali quanto accidentali circostanze. Ora qualcuno stava per morire, e forse per mano di qualcun altro. Così si mormorava. Qualcuno ferito e privo di coscienza stava per morire. Tutti volevano dare un’occhiata allo Straniero, ora che uno Straniero era arrivato. A Navidad non veniva mai nessuno. Nessuno di passaggio, nessun pellegrino, nessun mercante, nessun brigante, nessuno neanche per sbaglio. Una volta, molti anni prima, era stata avvistata all’orizzonte una nave pirata. Il vessillo dell’Olonese. Era sulle tracce di un galeone spagnolo, visto passare lungo lo stesso orizzonte qualche ora prima. Quei due rapidi passaggi sulla linea dell’orizzonte erano stati gli incontri più ravvicinati di Navidad con qualcuno di fuori. Quel giorno lontano fu ricordato per molto tempo come un giorno speciale, “il giorno delle due navi”, il giorno delle “visite”. Nessuno era mai arrivato così vicino, così dentro a Navidad come lo Straniero. Uno Straniero. Molto più di due navi veloci sulla linea dell’orizzonte. Uno Straniero a Navidad, quasi morente e neanche di vecchiaia.


11 Tutti volevano vederlo, nessuno riuscì ad avvicinarlo, a parte, beninteso, l’unico essere vivente a Navidad davvero disinteressato a tutto quel movimento e tuttavia l’unico a poterlo osservare da vicino. A parte Anita, la giumenta, la quale peraltro non faceva nulla per dissimulare il suo totale disinteresse a quelle vicende e a quell’individuo. Molti degli abitanti di Navidad si accalcavano appena fuori dalla stalla, fuori dalla porta, alternandosi impazienti dietro l’inferriata della piccola finestra. Lo Straniero giaceva immobile, sulla paglia, sotto decine di sguardi, vicini e lontani. “Sarà uno spagnolo?” “Di sicuro un marinaio”. “Forse un inglese… un poco di buono… un pirata”. “Potrebbe essere anche portoghese… ” “Un mercante… o forse solo un marinaio”. “Chissà cosa stringe nel pugno”. Il vecchio Anton, e la sua frustrazione per non averlo aperto, quel pugno… Solo in quel momento tutti si accorsero che in effetti lo Straniero stringeva qualcosa nel pugno. Forse. “Chissà cosa stringe… ” “Una moneta magica, forse… ” Il piccolo Francis, e l’innocenza della sua età. “Una chiave… la chiave di un forziere, magari… ” Carlos, e la sue speranze di ricchezze inattese. “Un anello… un pegno d’amore… ” Juanita, giovane donna e la sua visione romantica della realtà. “Forse nulla, è solo un crampo… ” Amanda e il realismo di una donna realista, come tante. Molti di quei dubbi - ma non tutti - furono fugati dal diretto interessato, due giorni dopo, quando si svegliò, risvegliando Navidad dal suo consueto torpore.


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2. IL RISVEGLIO

Due giorni dopo si risvegliò. Era appena sorto il sole, quando Amanda, anche lei appena alzata, se lo trovò di fronte. L’uomo stava in piedi nel suo sudario di lino, appena fuori dalla soglia di casa Ortez, l’alone di luce del sole appena sorto alle sue spalle, il silenzio dell’alba. Stava in piedi, e osservava intorno, lo Straniero. Quando Amanda si trovò di fronte quella figura mistica vestita di luce e di lino si sentì mancare. Quasi urlò. “Gesù… ” Esclamazione, o forse invocazione, illusione mista a speranza. “Dove mi trovo?” Lo Straniero parlava spagnolo. Non era poi così tanto straniero, lo Straniero. Probabilmente. Amanda si sedette, cercando di trovare la calma e le parole giuste. “Qui siamo a Navidad, città di pescatori, agricoltori e contadini. Siamo in Nuova Spagna”. Sguardo perso, silenzio. “Nuovo Mondo, regno di Sua Maestà re di Spagna”. Precisazione. Silenzio. Amanda chiamò suo marito, urlandone il nome piano, quasi a non voler disturbare troppo quel silenzio mistico e lucente di quell’alba magica. Carlos arrivò con calma. “Gesù… ” Silenzio. “Qual è il tuo nome, Straniero?” Silenzio. “Non ricordo precisamente”. Carlos guardò le mani dello Straniero. Il pugno ancora stretto, forse senza una precisa volontà. Forse solo per inerzia. Forse neanche lui riusciva ad aprirlo più, quel pugno. “Solo un crampo” poteva essere la spiegazione più giusta, tutto sommato. “Ricordo solo un nome”, disse lo Straniero.


13 “Qualcosa tipo Papantla. Ricordo solo questa parola”. Papantla. Di certo non era un nome cristiano. Forse non era neanche un nome, tutto sommato. “Papantla?” Si. Papantla. Silenzio. “Io sono Carlos, lei è Amanda, mia moglie”. “Vorrei i miei vestiti… ” “Questo non è più possibile, signor… ” Pausa. “Papantla… Non è più possibile. Ecco… lei non aveva molti vestiti, addosso… in verità”. Lo Straniero ascoltava, dritto in piedi nel suo telo di lino bianco, in silenzio. Lo Straniero, nel suo sudario di lino bianco, la barba incolta, i piedi scalzi, incorniciato dalla nascente luce mattutina incuteva su quella soglia una sorta di mistica soggezione. “Mio marito le presterà qualcosa”. “Grazie, allora”. Lo Straniero si girò e scomparve oltre la soglia, lasciando Carlos e Amanda in una strana inquietudine. Lo Straniero non parlava molto, ma era comunque uno spagnolo. Non così straniero, in realtà. Carlos e Amanda non parlarono, rimanendo nel silenzio della perplessità e della curiosità non del tutto soddisfatta. Papantla non è un nome, pensava Amanda. “Papantla non è un nome”, disse. Carlos annuì. Sembra quasi un termine di un’altra lingua, un altro popolo. Suoni venuti da lontano. “Di certo non è un nome spagnolo” rispose. No. Non lo era. E forse neanche un nome cristiano. *** Nella stalla lo Straniero si distese nuovamente sul pagliericcio. La giumenta lo guardava col suo solito malcelato disinteresse. Papantla era il suono che rimbombava incessante nella testa dello Straniero. Non un ricordo, un nome, un luogo riusciva ad emergere, a sovrastare e vincere quell’unico suono, dando un senso a qualcosa. Nulla aveva un senso.


14 Papantla. Lo sguardo fisso al soffitto, la mente nel vuoto oltre quell’unica parola senza senso. Papantla. Non è il mio nome, pensava lo Straniero, e forse non è neanche il nome di qualcuno. Solo un suono misterioso e lontano, di un’altra gente, di un’altra terra. Chi sono, allora? Da dove vengo, cosa mi è successo? Perché sono qui, chi sono queste persone? Papantla. Nome di persona, un oggetto… o forse un luogo? Papantla, suono mai sentito ma ricordato. Navidad, posto mai sentito e mai considerato. Lo sguardo laterale si posò sul suo braccio. Un tatuaggio. Piccolo e sbiadito. Una cicatrice, più in basso. Mano ruvida e possente. Mano chiusa. Solo allora lo Straniero realizzò di avere l’altra mano serrata. Pugno inespugnabile intorno a qualcosa da proteggere, salvare. La forza del pugno pareva avere una propria volontà, incrollabile e autonoma resistenza. Calma. Ora aprirò la mano, con calma, piano piano. Nessuno può rubarmi nulla, qualunque cosa io abbia in questa mano. La mano intorpidita si aprì piano, concedendo gradualmente un po’ di sangue ai tessuti irrigiditi dal tempo e dalla ferrea e inconscia volontà, e fu quasi dolore, il lieve dolore del torpore che allentandosi gradualmente lascia campo alla volontà. La mano si aprì e svelò il suo contenuto. Quattro sassolini, forse. Ad un primo sguardo. Piccole sfere irregolari e scure, lievemente odorose. Probabilmente semi. Lo straniero li nascose veloce e furtivo sotto il pagliericcio. “Non tradirmi”. Sguardo complice di Anita. Non lo farò, sembrò dire la giumenta, solito sguardo indolente e rassegnato, e quindi complice. Si distese nuovamente, coprendosi con il telo di lino e fu proprio allora che qualcuno bussò alla porta. Non succedeva spesso, alla porta della stalla, che qualcuno ci bussasse sopra, ma d’altra parte Anita non si formalizzava molto, di solito, per questo genere di mancanze. Ora però era diverso, e lo Straniero rimase inizialmente in silenzio. “Avanti” disse dopo un po’.


15 “Pantaloni, maglia, giacchetta, un berretto. È tutto quello che posso darti”. Carlos fece planare i pochi indumenti sullo Straniero. “Grazie”. Alzando lo sguardo verso Carlos, lo Straniero incrociò un altro sguardo, oltre a quello di Carlos. Juanita stava in piedi dietro a suo padre, quasi nascosta dallo stipite della porta, più lontana, e guardava lo straniero, i suoi capelli lunghi, il viso incolto e attraente, la sua pelle sotto il lino. “Dovere… ” rispose Carlos. “Guarisci in fretta, messer Papantla”. Un giovane e sommesso sorriso sottolineò quelle parole di augurio, e fu allora che lo straniero capì. Capì, grazie a quelle poche parole e a quel sorriso quasi rubato. Capì di aver trovato un posto dove stare, dove poter vivere e ricominciare a vivere, ripartendo dal nulla dal quale era appena riemerso. Ricordò, grazie a quel sorriso giovane e sommesso, un altro sorriso giovane e luminoso, in un altro tempo e un altro spazio, un lampo di luce, uno squarcio nel buio, un istante. Papantla, il sorriso di una giovane donna, un urlo, molte urla, sangue. La testa che scoppia, il dolore. Ricordare fa male ma dimenticare è ancora più doloroso. Carlos si allontanò, senza troppe cerimonie e con lui - nell’ombra - la figlia Juanita, sorriso luminoso e sommesso. Lo Straniero guardò i vestiti, corti e stretti per le sue dimensioni, ma meglio di un telo di lino. Si vestì. Riprese i sassolini da sotto la paglia ficcandoseli in tasca. “Andrò a conoscere questo posto” pensò, prima di ricadere sul pagliericcio di nuovo stanco e senza forze. “Prima però riposo ancora un po’ … ” Il riposo arrivò senza mai spingersi a diventare sonno, contrastato dal mal di testa e da lontani e sfumati rumori, suoni. Forse ricordi. Papantla, occhi neri e sorriso di donna, urla. Sangue. Papantla, il mare nel buio, e poi sangue, ancora sangue, sangue tiepido, il suo sapore di ruggine, il mare in tempesta. Urla. Quando riaprì gli occhi la luce rossa del tramonto proiettava dentro la stalla le lunghe ombre della strada.


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