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Martina, una giovane studentessa affascinata dal gotico e attratta come molte giovani da attori belli e dannati, all’uscita di un cinema incontra un ragazzo. Un incontro che parrebbe normale se non fosse che le ricorda il protagonista del film. Un personaggio inquietante e affascinante, misterioso e con un segreto che grava sulle sue spalle. Dopo il primo incontro avvenuto nei corridoi del cinema, rivede il ragazzo molte volte e sempre in circostanze strane. Le apparizioni in camera sua e gli strani poteri che possiede le destano preoccupazione e ansia, mentre la certezza di essere comunque al sicuro e la strana attrazione che prova per la situazione la confondono. Intorno alla vicenda dei due giovani gravitano altri personaggi e nel corso della storia si viene a conoscenza della reale esistenza dei vampiri. Martina è costantemente in pericolo, attaccata da mostri che bramano la sua morte e, a contorno di scontri, rivelazioni e magia, il lieto fine sembra un’utopia.
L'AUTORE: Lucia Scarpa ha scritto anche: "La gioia di ritrovarsi" 2008, Zerounoundici Edizioni "Oblio" (scritto con Stefano Bossotto), Arduino Sacco Editore.
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Titolo: Curse's blood Autore: Lucia Scarpa Editore: 0111edizioni Collana: Guest Book Pagine: 164 Prezzo: 13,50 euro
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Lucia Scarpa
CURSE’S BLOOD
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CURSE’S BLOOD 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Lucia Scarpa ISBN 978-88-6307-223-5 In copertina: immagine di Luca Ricupero Finito di stampare nel mese di Ottobre 2009 da Digital Print Segrate - Milano
Dedicato a tutte quelle persone che non smettono mai di credere, che vivono di sogni, di speranze, di amore e di passione. PerchÊ una vita è degna di essere vissuta solo quando non si ha paura di viverla.
Ringrazio
Luca Ricupero per lo splendido disegno di copertina. Stefano Bossotto per la pazienza che mostra nel leggere sempre quello che scrivo.
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“ .....da “Sangue“ di Illion Kery, Capitolo 23...
Non si può mai sapere. Avvolta nella penombra, Charlotte continuava a camminare senza mai voltarsi indietro. Percepiva con esattezza quegli occhi chiari posati sulla sua schiena, ma non voleva dare conferma al suo timore. La percezione stava diventando lentamente una sensazione sinistra, poiché non udiva nient’altro che il rumore dei suoi passi sulla pietra umida e il suo respiro sempre più affannoso. Gli occhi erano attenti e fissavano con ansia la luminosa uscita che rapidamente si avvicinava, lì sarebbe stata in salvo. A un soffio da essa però, si ritrovò braccata. Un uomo! Quell’uomo era davanti a lei e la fissava con quei suoi occhi azzurro ghiaccio, così chiari, da brillare nel buio della notte. Davanti all’espressione sgomenta della giovane, l’uomo sorrise, un sorriso seducente che metteva in risalto il colore bianco splendente dei suo denti. “Ti ho spaventata?” le chiese con voce calda e profonda. “Come…” iniziò lei guardando le pareti così vicine da impedirle qualsiasi via di fuga “hai fatto?” osò chiedere con timore. Lui le era apparso davanti come per magia, se fosse stato dietro di lei lo avrebbe visto sorpassarla e se invece fosse venuto dall’uscita lo avrebbe visto arrivare, era sconcertata. “Magia” sussurrò lui avvicinandosi pericolosamente a lei. La giovane indietreggiò di un passo “Cosa vuoi?” chiese, mandando giù il nodo di paura che le si stava formando in gola. “Te” rispose lui con naturalezza, mentre faceva scorrere un dito gelido sul suo collo “hai paura?” chiese sogghignando con malizia. “Dovrei?” replicò lei con un’aria da animale cacciato. “Dipende” replicò lui inspirando il profumo dai suoi capelli.
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Lei avrebbe dovuto fuggire, ma le sue gambe e tutto il suo corpo non volevano saperne, si sentiva incatenata da quegli occhi. Quella sera era uscita con le sue amiche ed era andata in un pub del centro, è lì che lo ha visto la prima volta. In un primo momento non lo aveva neanche notato, poi Elizabeth aveva esclamato “Quant’è carino!” e lei si era voltata nella direzione scelta dal suo sguardo. Era seduto al banco in perfetta solitudine, il capo chino su un bicchiere di birra vuoto e un’espressione assente. Appena i suoi occhi si erano posati sul suo volto, lui aveva sollevato il capo e si erano fissati per un lungo istante, era rimasta letteralmente senza parole davanti alla perfezione dei suoi lineamenti. Lui le aveva sorriso, proprio come in quell’istante e il cuore aveva iniziato a batterle all’impazzata nel petto come una scolaretta al liceo. Per tutta la sera aveva cercato inutilmente di ignorare quello sguardo, ma era impossibile. Quale assurda follia aveva colpito un uomo così, lei in fondo non era un granché eppure la guardava con acceso interesse e adesso, nella penombra di un vicolo isolato lui l’aveva bloccata come un predatore. “Sei molto bella” la lusingò avvicinandosi ulteriormente. “Come tante altre” protestò debolmente, il freddo del suo respiro le dava le vertigini. “Sento il tuo cuore” sussurrò e lentamente scese sul suo collo d’avorio. Lei era immobile, paralizzata dalla paura e da un’inspiegabile eccitazione. Attese che quelle labbra lisce e gelide le scivolassero dall’orecchio alla base del collo, una sensazione inspiegabile e inarrestabile. Il calore e… La porta della camera si apre e interrompe magistralmente la mia deliziosa lettura. Dallo spiraglio luminoso vedo fare capolino la testa di mia madre “Cosa ci fai ancora sveglia a quest’ora?” chiede irritata “domani hai scuola” mi ricorda come se non lo sapessi. “Ho quasi finito” protesto sollevando il libro che racchiudo gelosamente tra le mie mani. “Dovresti smetterla di leggere quella robaccia” dichiara senza nascondere il disprezzo e aggiunge seria “poi non lo hai già letto?” “Questa è solo la terza volta” dichiaro sorridendo, ma nel buio non riesce a vedere il mio sorriso. “E’ il libro su quel vampiro?” chiede sedendosi sul letto.
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Annuisco e lei aggiunge “Quello del film di domani?”. “Sì” rispondo tutta a un tratto radiosa, l’idea di vedere il film del mio Antoine mi manda in visibilio, so anche che è sciocco perché è pura fantasia, ma non posso farne a meno. “Dovete proprio andarci domani?” chiede togliendomi il libro dalle mani. “Assolutamente sì” rispondo decisa “non possiamo aspettare mercoledì” aggiungo nella foga del fanatismo. “L’importante è che non vai in giro con dei canini finti” scherza mentre si alza. “Mamma, il libro” le ricordo porgendo la mano. “Devi dormire” dichiara e sorride “provo a leggerlo tanto per vedere com’è” aggiunge e allegra esce dalla camera. “Accidenti!” protesto ficcando la testa sotto le coperte “mi hai interrotto proprio sul più bello” e chiudendo gli occhi cerco di rievocare le immagini di una storia ormai imparata a memoria.
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Capitolo 1
Martina Un timido raggio di sole filtra dai vetri piombati. La sveglia suona, ma fortunatamente per la mia salute sono già sveglia. Indosso un paio di jeans scuri, un maglione beige e gli stivali di camoscio sempre beige che si abbinano perfettamente al maglione. Mi guardo allo specchio con un po’ di disapprovazione mentre decido come legare i capelli e alla fine opto per una coda alta. “Come siamo carine oggi!” esclama mio padre nel vedermi. “Come no!” replico e addento una fettina di torta al cioccolato. “Dov’è la mamma?” chiedo sorpresa di non trovarla in cucina. “E’ in bagno con il tuo libro” dice sorridendo “sono più di venti minuti che è dentro. Secondo te mi devo preoccupare?” chiede ironico. “Secondo me, no” sorrido e affermo contenta mentre mando giù una sorsata di latte “si vede che le sta piacendo”. “Ciao, tesoro!” esclama mia madre mentre entra nella stanza “dormito bene?” chiede con un sorriso ebete sulle labbra. “Non tanto” brontolo davanti alla sua espressione e chiedo subito dopo “lo hai già finito, vero?” Lei annuisce e seguita “Posso venire con voi…”. La interrompo all’istante con due occhi sgranati che fanno paura “Non ci pensare proprio, vado con le mie amiche” preciso irremovibile. “Non do fastidio, mi metto qualche fila dietro” protesta allegra. “Mamma, per favore!” la supplico con occhi teneri. “Va bene” si arrende quasi subito “ma da sola non posso andarci, sai che figura ci farei” spiega la sua motivazione. “Possiamo andarci mercoledì insieme” propongo, allettata dall’idea di vederlo due volte sul grande schermo.
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“Potremmo!” replica pensierosa “adesso però è il caso che tu vada a scuola altrimenti arriverai in ritardo” dichiara indicandomi l’orologio sulla parete. “Agli ordini” sorrido afferrando dieci euro da mio padre e, scoccando un bacio sulle loro guance, mi dileguo rapida e silenziosa. La giornata scolastica vola via veloce come il vento. Le lezioni appaiono leggere e i momenti liberi li dedichiamo all’evento della giornata: l’uscita del film. “Un pomeriggio all’insegna della gioventù!” dichiara Anna guardandoci con un sorriso fiducioso. “Altrochè” concorda Sabrina, mentre apre la porta del fast-food. “Per fortuna che le quattro sono vicine” aggiunge Elisa sedendosi a un tavolo. “Chissà se sarà degno delle nostre aspettative?” chiedo ad alta voce. “Lo sarà senz’altro” replica Elisa “hai visto Antoine quant’è carino” dichiara in estasi. “Infatti, carino” sottolineo pensierosa “io lo immaginavo molto più bello” aggiungo e insieme andiamo a prendere da mangiare cedendo il posto a Sabrina e Anna. “Hai visto quanta gente, secondo te sono tutti per il film?” chiede Elisa guardando la lunga coda davanti a noi. “Forse!” rispondo “ma per fortuna abbiamo prenotato i biglietti” le ricordo allegra. “Ciao Bellezze!” ci saluta una voce familiare, mentre due braccia scivolano sulla vita attirandomi contro il corpo del mio amico. “Ciao Mario” saluto porgendogli la guancia per un bacio. “Pronta per il vampiro?” chiede lasciando la presa. “Prontissima!” rispondo e gli sorrido. Lo vedo guardarmi in modo strano mentre sussurra e sorride sincero “Se tu volessi, potrei essere io il tuo vampiro”. “No grazie!” replico divertita dal suo pessimo corteggiamento e gli do nuovamente le spalle. “Potrei anche morderti il collo” afferma posando le sue labbra sulla mia nuca. “Piantala!” protesto e lo allontano sorridendo mentre chiedo fiduciosa “perché non dedichi le tue attenzioni a qualcun’altra?” “Nessuna mi interessa quanto te!” precisa quasi offeso “tanto lo sai che non demordo” e ghigna con il suo compare di battute. “L’estate è vicina” gli ricordo con ironia.
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“Vero” concorda “ma con l’inverno ci sei solo tu nei miei pensieri”. “Allora ne riparleremo a settembre” rido precisando “anche perché, per ora, non mi interessi”. “Lo so” dichiara e fingendo il broncio, ordina da mangiare. Abbiamo formato una tavolata di dodici teste, tutti impazienti di vedere questo film e finalmente l’ora è giunta. Entriamo nella sala che è ancora semi deserta, il tempo di sederci ed è già completamente piena. Tutti adolescenti, tranne qualche adulto che probabilmente ha accompagnato il figlio. “Pronte?” chiede Anna, quando partono i trailer. “Sì” rispondiamo all’unisono fino a far cadere il più assoluto silenzio. Le immagini sono spettacolari e l’interpretazione ottima, lui è carino davvero, ma gli manca il fascino mortale. Lei interessante e banale come deve essere. Ogni scena la rivivo come nel romanzo, catene di brividi mi imbrigliano sul sedile e inspiegabilmente mi ritrovo con la gola arsa e il minimo desiderio di parlare. “A cosa serve l’intervallo?” protestiamo guardando lo schermo bianco. “Molti vanno a fumare” ci ricorda Mario indicando Luca e Matteo che si apprestano a uscire. “Dovreste smetterla” li rimproveriamo e irritati attendiamo l’inizio del secondo tempo. Il tempo di dire due parole e il film ricomincia. La sala è quasi vuota e il pensiero del loro frettoloso ingresso mi mette di cattivo umore, ma il primo piano di Antoine allevia subito la mia ansia. Con un piacere unico assaporo ogni istante come se fossi io Charlotte. La magica e fatale attrazione, l’immortale trasformazione, la passione e il desiderio dirompente, fino a raggiungere l’agognato finale. Una melodia suonata con il violino accompagna i titoli di coda e l’uscita frettolosa degli altri. Noi rimaniamo fermi a fissare lo schermo e a scorrere quei nomi che adesso diventeranno le icone del momento. I titoli svaniscono e un glaciale primo piano degli occhi del protagonista irrompe sullo schermo, quegli occhi azzurro ghiaccio ci fissano e ci catturano, siamo in pochi a vederli e in pochi ne rimaniamo attratti.
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Usciamo per ultimi, parlando e commentando come dei forsennati quello che abbiamo visto, siamo in visibilio. “Peccato che i vampiri non esistano!” esclama Anna su di giri. “Immagina incontrare uno come Antoine” aggiunge Elisa eccitata. “Magari” concorda Sabrina mentre spinge via Luca che insiste sulla sua bellezza. “Io sono meglio di un vampiro” dice infatti “almeno sono caldo” e ride divertito “tutto caldo”. Le voci concitate si perdono in un istante e stranamente mi giungono come un rumore confuso. Senza volontà mi ritrovo a guardare il lungo corridoio dalle pareti rosse che si staglia davanti a me. Priva di logica guardo alla mia sinistra in cerca di non so neanche io cosa, poi i miei occhi lo vedono. Appoggiato alla parete, c’è un ragazzo alto almeno un metro e ottanta, il fisico è prestante lo si nota anche se è vestito. Indossa un paio di jeans scuri e aderenti, una maglietta chiara e una giacca di pelle nera. I miei occhi scorrono avidamente sul suo fisico statuario, dalle gambe muscolose all’addome piatto, per poi fermarsi incantati sulla perfezione dei lineamenti del suo volto. Le labbra sono carnose e pallide, il naso è dritto e perfetto e gli occhi sono splendidamente di un colore azzurro ghiaccio e risaltano maggiormente con i suoi capelli neri. La pelle è bianca e levigata priva di qualsiasi imperfezione. Con stupore noto che mi sta fissando. Non riesco a distogliere gli occhi dai suoi, anche se dovrei. Lo oltrepasso quasi ipnotizzata dal suo sguardo, così affascinante da rendermi ebete e del tutto folle. Inghiottita da una sensazione nuova avanzo, ma la testa ruota e continua a fissarlo, lui fa lo stesso, ma sembra più rilassato di me. “Cosa ne dici?” chiede Mario, probabilmente alla fine di un lungo discorso da me non udito. Il magnifico ragazzo che aveva catturato la mia attenzione è svanito dietro l’angolo e con lui anche quella strana sensazione di incantesimo. “Ci sei?” scherza muovendo la mano davanti ai miei occhi. “Che c’è?” domando estremamente infastidita e di cattivo umore. “Accidenti!” esclama sollevando le braccia al cielo “questo film ti ha fatto proprio male” aggiunge sgranando gli occhi. “Cosa c’è?” chiedo ammorbidendo il tono “non vi stavo ascoltando” aggiungo lasciandoli sorpresi. “A che cosa stavi pensando? Ai vampiri?” chiede Luca con ironia.
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“Non ai vampiri, ma al mio vampiro” rispondo con un sorriso mentre un gelo impalpabile filtra nelle mie ossa quando riascolto le mie parole. “Tutte ne vorremmo avere uno” sospira Anna “peccato che di Antoine ce ne sia uno solo e che viva tra le pagine di un romanzo” aggiunge eccessivamente demoralizzata. Sorridiamo ilari e poi ci salutiamo per raggiungere le rispettive case. Siamo sull’autobus, io ed Elisa come al solito, lei continua a parlare del film di Antoine e, solo a metà viaggio, si accorge di non essere considerata. “Si può sapere a cosa stai pensando?” chiede toccandomi una spalla. Io la guardo con un’espressione assente. “E’ da quando siamo uscite che sei strana, che hai?” domanda ancora con interesse. “Non hai notato niente al cinema?” chiedo di rimando. Lei scuote la testa in segno di diniego. “Certo” concordo “se l’avessi visto, l’avresti notato sicuramente” sottolineo in un sussurro. “Chi?” inquisisce attenta. “Niente lascia perdere” dico schernendomi, mi viene quasi da pensare di essermelo immaginato. “Parla” ordina perentoria sedendosi dietro di me. “Niente davvero” replico non sapendo cosa dire. “Siamo amiche, dai” supplica guardandomi con curiosità crescente. “E va bene” sospiro sorridendo “mi è sembrato di vedere un ragazzo simile alla descrizione di Antoine” spiego, senza rivelarle la forte attrazione che esercitava la sua presenza su di me. “L’avrei notato di sicuro” replica scuotendo la testa “ne hai di immaginazione” aggiunge poi divertita. “Infatti” le do ragione e, ricominciando a parlare del film, cerco di non pensare a quello che i miei occhi credono di aver visto. La cena a casa si risolve in fretta, ovviamente devo raccontare a mia madre il film, ma non è un problema e alla fine stanca e spossata vado in cameretta. Indosso il pigiama e rapida mi infilo sotto le coperte. Apro il libro nello stesso punto lasciato in sospeso la notte precedente e inizio a leggere. Una frase o forse due e un’inspiegabile stanchezza mi colpi-
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sce tramortendo i miei sensi solitamente vigili e in un attimo piombo in un sonno profondo.
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Capitolo 2
Martina Apro gli occhi nella penombra della mia stanza. C’è silenzio, solo il rumore intervallato del mio respiro spezza questa monotonia. Il soffitto giace immobile sopra di me, lo guardo per un istante poi, girandomi su un fianco osservo la finestra invasa dalla tenue luce della luna. Un profumo dolce e intenso di lavanda invade le mie narici, mentre il bisogno impellente di voltarmi a guardare nella direzione opposta solletica i miei sensi. Impaurita, da questo strano bisogno, giro su me stessa con gli occhi chiusi. E’ sciocco avere paura, ma non posso farne a meno. “Apri gli occhi” mi sento ordinare da una voce dolce. Li apro e balzo a sedere. Tirando le coperte fin sotto il collo resto a guardare il ragazzo che è fermo ai piedi del mio letto e che è lo stesso meraviglioso giovane del cinema. Urlo, ma la voce è intrappolata nella gola e riesco a produrre solo flebili suoni. “Se prometti di non urlare ti lascio libera la voce” sussurra sedendosi a pochi centimetri da me. Io mi rannicchio maggiormente contro la spalliera del letto e annuisco debolmente. “Brava” si complimenta e lentamente sento la gola riempirsi d’aria. “Come hai fatto a entrare?” chiedo subito anziché urlare. “Magia” risponde emulando Antoine e mi sorride. Un sorriso così bello e seducente da mozzarmi il fiato. <<Da dove è uscito uno così!>> “Perché sei qui? Cosa vuoi?” chiedo e sento la mia voce tremare mentre i miei occhi continuano indipendenti a fissare i suoi lineamenti perfetti. “Te” risponde emulando sempre il mio vampiro.
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Un altro sorriso magico gli illumina il viso pallido, sento il cuore martellarmi nel petto e d’istinto mi porto le mani sul cuore. “Vattene, non sei divertente” ordino con voce stridula “altrimenti urlo” aggiungo con foga. “Ti conviene non farlo” minaccia con la sua voce melodiosa “per i tuoi genitori, ovviamente” aggiunge e il sorriso sbieco gli dona il fascino del cattivo. “Chi sei?” chiedo in un sussurro, vorrei scappare ma le mie gambe sono intrappolate tra le coperte. “Lo sai chi sono” replica senza mutare l’espressione. “No” accenno piano “ti ho visto al cinema, ma non so chi sei” spiego con un filo di voce. “Pensaci” mi consiglia facendo scorrere il suo indice gelido lungo la linea del naso, sulle labbra e per finire, svanendo sul mento. Un brivido mi colpisce al contatto inibendo ogni cellula del mio corpo, solo il tempo di ricominciare a pensare e lui è già sparito e, non so dire neanche come. Apro gli occhi. Un gelo palpabile aleggia nella stanza immersa nella penombra. Mi siedo rannicchiandomi contro la spalliera mentre i miei occhi analizzano ogni angolo della camera completamente vuota. Sono sola, è stato soltanto un sogno. Prendo il plaid dalla sedia e lo poso sul copriletto di cotone, ho freddo. Stringendomi in modo convulso alle coperte chiudo gli occhi e confusa cerco di riprendere sonno.
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Capitolo 3
Martina Il sole primaverile filtra attraverso i leggeri tendaggi della mia stanza e caldo sfiora il mio pallido viso. La seconda notte trascorsa quasi insonne mi ha regalato un aspetto tetro e le occhiaie accentuano quest’aria da signora della notte che mi ritrovo. Indosso un paio di jeans bianchi e una maglietta nera, lascio i capelli sciolti in modo da muoversi liberamente, dal momento che sono costretta quasi sempre a tenerli legati. La domenica è l’unico giorno di rilassamento completo. Guardo la cascata castana piovere liberamente sulle mie spalle fino a circondare la vita. “Dovrei tagliarli” faccio notare a mia madre che è riflessa nello specchio. “Sarebbe un peccato” ribatte con un sorriso “io purtroppo non ce li ho mai avuti così” aggiunge e li sfiora con le dita. “Sarei più agile” spiego sorridendole “non credi”. “Forse” concorda scoccandomi un bacio sulla fronte “per che ora torni?” chiede poi interessata. “Per cena” rispondo lanciando un’occhiata all’orologio. “Ok” replica allontanandosi “ci vediamo dopo”. ”A dopo” ripeto rincorrendola e ricambiando il bacio esco di casa. L’aria primaverile profuma di fiori che sbocciano e di natura al risveglio. Attraverso l’ingresso del parco come una furia e a rotta di collo raggiungo le mie amiche. “Sei in ritardo” mi fa notare Elisa allegra “vedi, senza di me sei perduta” scherza sorridendo. “Altrochè” confermo facendo un profondo respiro. “Mamma mia, che occhiaie” sottolinea Anna con uno sguardo perplesso.
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“Sono due notti che non dormo tanto bene” spiego guardandomi intorno. “Sta per arrivare Sabrina” mi informa Elisa “è bloccata sull’autobus” spiega coprendosi la bocca con una mano. Il pomeriggio corre veloce come ogni volta che stiamo insieme, ormai la cosa non mi sorprende più. Il tramonto è alle porte e leggere strisce rosee solcano il cielo azzurro tingendolo con i colori tenui del sole che ci abbandona. “Io devo proprio andare” dice Elisa guardando Carlo che l’aspetta sullo scooter. “E’ proprio carino!” esclama poi al colmo della gioia. “Infatti, non capisco cosa ci trovi in te” replica Anna acidamente. “Qualcosa che tu di sicuro non hai” replica facendole le linguacce e stampandosi sul viso un sorriso allegro lo raggiunge. “E’ davvero carino” replica Sabrina. “Mai come Antoine” replica Anna che aumenta il passo per allontanarsi. In questi momenti mi fanno ridere, siamo tutte alla ricerca del nostro Antoine, peccato che i ragazzi come lui non esistono e anche se esistessero non sceglierebbero certo noi. “Io non mi accontento” replica Anna, ma non ho ascoltato l’intera discussione. “Non si tratta di accontentarsi è più un camminare con i piedi per terra” spiega Sabrina. “E la testa attaccata al collo” aggiunge Anna “però ho solo sedici anni, se mi togliessi anche i sogni non mi rimarrebbe nulla” si giustifica. Una strana sensazione mi colpisce all’improvviso, uno sguardo forte e penetrante è posato con insistenza sulla mia schiena. Un brivido freddo mi corre lungo la spina dorsale mentre mi giro a guardare. Eccolo, fermo a pochi metri da me. Gli occhi azzurri sono fissi nei miei, mi sento rapita e confusa allo stesso tempo, mentre cerco di distogliere lo sguardo. Una visione divina che è quasi irreale. Con un notevole sforzo chiamo le mie amiche e chiedo quasi supplicandole di dirmi se lo vedono. “Chi Marti?” mi chiede Anna confusa. “Quel ragazzo appoggiato all’albero” spiego quasi rabbiosa. “Non c’è nessuno” replica sconcertata. “Impossibile, è proprio lì ti dico” specifico voltandomi nuovamente a indicare un tronco vuoto.
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Il mio dito cade affranto lungo i fianchi “era lì” sussurro sottovoce. “Ti senti bene?” chiede Sabrina che nel frattempo si è portata al mio fianco. “No” biascico frastornata “devo andare” aggiungo in fretta e quasi senza salutare corro via. I miei passi s’inseguono con una tale velocità che mi fanno quasi paura. Un peso mi blocca il respiro e mi fa quasi impazzire. Cammino o forse corro e in pochissimo tempo mi ritrovo davanti al portone di casa. Con la mano sul petto stringo convulsamente fra le dita un sottile strato di tessuto nero, la sensazione è rimasta, ma per fortuna sono a casa. Entro cercando di non far trasparire la mia ansia. “Sei tornata!” esclama mio padre senza farsi sentire e sussulto senza controllo. “Papà” urlo isterica. “Hai i nervi a fior di pelle, vedo?” ghigna sollevando le mani. “Sì” confermo non riuscendo a trattenere il tremito della mia voce. “Tutto bene?” chiede questa volta con il viso preoccupato. “No” rispondo con sincerità e borbottando una scusa vado a letto senza cena. “Maledizione” impreco una volta rimasta sola nella mia camera “ma che diavolo mi succede?” chiedo a me stessa, spossata. Tolgo la tracolla e passo le mani tra i capelli “rilassati M, rilassati” continuo a ripetermi sconvolta. Finalmente sento il mio cuore tornare a battere regolarmente, il respiro si è calmato e la testa non pulsa più “sto impazzendo!” affermo guardando la mia immagine riflessa nello specchio “sto impazzendo, non c’è altra spiegazione” ripeto per convincermi. Metto il pigiama e contro ogni abitudine cerco di dormire alle otto di sera. La testa è pesante mentre si sente dolcemente sorretta dal morbido cuscino, conto i respiri e con calma mi ritrovo immersa in un sogno. “Dobbiamo parlare” afferma una voce maschile che mi conduce delicatamente al risveglio. Apro gli occhi ancora intontita e davanti a me scorgo un volto ormai familiare. Senza avere neanche il tempo di realizzare la sua presenza, sono già appiattita contro la testiera. Tento di parlare, ma la voce è soffocata in gola. Mi basta un attimo, capisco e nella follia lo guardo con occhi supplichevoli.
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“Non urlare” mi ricorda con la sua voce armoniosa. “Non urlo” ripeto in un sussurro e finalmente mi sento completa. “Chi sei?” chiedo, completamente arresa alla mia follia. Lui sorride. “Sono pazza, vero?” chiedo all’ologramma dei miei desideri “Tu non esisti?” aggiungo incapace di controllarmi. “Credi di esserlo?” replica con quel suo sorriso seducente. “Nessuno ti vede e in questo momento sei in camera mia” replico stringendomi nel copriletto. “Non può essere che siano loro i pazzi?” chiede senza mutare la sua espressione d’angelo dannato. “Chi sei?” chiedo incapace di staccare lo sguardo dai suoi occhi. Una simile attrazione è pura follia. “Il mio nome è Stefan” risponde finalmente e i miei occhi si illuminano di curiosità. “Non è un nome italiano” constato concedendomi un sorriso, assurdo. Mi sento stranamente rilassata, molto più tranquilla, adesso. “Mio padre era francese” spiega, ma sembra infastidito dal mio ammorbidimento. “Sei molto bello” affermo stupidamente, vorrei mordermi la lingua ma ogni gesto mi viene impedito, sembro ancora più folle davanti a questa mia incapacità di ragionare. “Taci” ordina guardandomi torvo “e non guardarmi così” impreca alzandosi in piedi “tutte uguali, maledizione!” impreca passandosi le mani tra i lunghi capelli neri. Non riesco a spiegarmi la sua reazione, ma l’unica cosa che so con certezza è che lo voglio al mio fianco. “Non te ne andare” supplico, ho un disperato bisogno di lui. “Smettila” grida in un sussurro gelido al mio orecchio “non lasciarti andare” aggiunge e in un istante lo vedo svanire in una nuvola di fumo. Appena i miei occhi si liberano dei suoi, la mia mente inizia a ragionare. Stancamente sprofondo sotto le coperte, la testa pesante e i muscoli del corpo indolenziti per la tensione. La mia mente adesso è carica di un turbinio di domande “Perché sono impazzita?” chiedo iniziando a singhiozzare.
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La follia che mi ha colpito mi fa soffrire e, incapace di controllarmi, continuo a piangere fino al mattino seguente.
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Capitolo 4
Martina “Che faccia!” esclama mia madre nel vedermi entrare in cucina “ma non hai dormito neanche questa notte?” chiede accarezzandomi il viso. “Poco e male” rispondo prendendo la tazza di latte e sorseggiandolo aggiungo “faccio dei sogni strani”. “Incubi?” chiede interessata e davanti al mio silenzio aggiunge “di che tipo?” “Non proprio incubi” rispondo a fatica “adesso però devo andare” liquido il discorso e senza mangiare nulla mi avvicino alla porta. “Vai da Asia, oggi?” chiede da lontano. “Si” confermo oltrepassando la soglia. “Dalle un bacio da parte mia” aggiunge e la sua voce si perde nell’eco delle scale. La mente è un vortice di pensieri e non ho alcuna voglia di andare a scuola, ma è il mio dovere e non posso esimermi. Il tempo trascorre lento e noioso, pesante e angoscioso, ma finalmente è l’ora di andare a casa. Quasi trotterellando corro alla fermata dell’autobus e con una gioia particolare mi dirigo a casa di mia sorella. Due cambi, una coda lunghissima ma alle 14.00 sono da lei. “Ciao tesoro!” saluta abbracciandomi con affetto e aggiunge scrutandomi il viso “che faccia”. “Non fate altro che ripetermelo” la informo “non è colpa mia se sono così” aggiungo indicandomi. “Scemina” scherza arruffandomi i capelli e aggiunge precedendomi in cucina “dai entra”. Poso lo zaino a terra e con passi allegri la seguo “Che profumino!” esclamo sollevando il coperchio da una pentola. “Ti ho preparato lo spezzatino” spiega scrutandomi di nuovo. “Cosa c’è?” chiedo spazientita davanti a quel falso finto esame.
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“La mamma mi ha detto che non stai bene” spiega “dice che sono alcuni giorni che ti comporti in modo strano”. “Sai com’è la mamma” replico lasciando cadere la domanda implicita. “Marti, cos’hai?” chiede fissando i suoi occhi neri nei miei. “Niente” replico affranta “dormo soltanto male” spiego nella speranza di convincerla. “Perché?” chiede. “Possiamo mangiare, ne parliamo dopo” insisto testarda. Lo spezzatino è squisito e per tutto il tempo non facciamo altro che parlare della mia scuola e del suo lavoro, ma non appena la tavola è sparecchiata riparte con il terzo grado. “Allora, cos’hai?” chiede sedendosi al mio fianco “problemi di cuore?” chiede a raffica. “Sei completamente fuori strada” replico scuotendo il capo. Sospira alzando gli occhi al cielo “Guarda cosa mi tocca fare” aggiunge andando in sala e, tornando poco dopo, mi mostra il mazzo di carte. “Non è il caso” dichiaro sollevando le mani per accentuare il rifiuto. “Questo si che è strano” afferma con un sorriso “tu non dici mai di no, anzi” e posa i tarocchi davanti a me. “Non serve” ripeto scuotendo nuovamente il capo. “Se ti rifiuti, vuol dire che hai qualcosa da nascondere” dichiara soddisfatta. “Ma non ho niente da” sbuffo indispettita e aggiungo afferrando il mazzo “come vuoi”. Mischio le carte stando attenta a non incrociare le gambe, cerco di tenere la mente sgombra, ma due occhi magnetici affiorano di continuo nella mia memoria, è impossibile non pensarci. Le poso sul tavolo e con un movimento quasi rabbioso, spacco. I suoi occhi sono accesi, come sempre. Con movimenti misurati ruota le prime sette carte che compongono il mio nome, poi gira le altre e le dispone a piramide rovesciata sotto di esse. La sua espressione lentamente muta e quell’accenno di sorriso che spesso accompagna la lettura su di me svanisce, lasciando il posto a una strana ansia. “Hai conosciuto qualcuno in questi giorni?” chiede interessata. “No” rispondo convinta. “Eppure a me non sembra” replica scettica.
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“Lo saprei se avessi conosciuto qualcuno, non credi?” replico tesa. “Io lo vedo al tuo fianco. E’… ” si interrompe all’improvviso e con un movimento rapido le chiude. “Mischiale di nuovo” ordina e la sua espressione è preoccupante. “Cosa succede?” chiedo impensierita, una simile reazione non era mai successa. “Devo vedere una cosa” risponde senza dire niente. “Cosa?” domando. “Mischia” ripete seria. Poso i tarocchi sul tavolo e la mia ansia aumenta con l’osservare i cambiamenti delle espressioni sul suo volto man mano che le carte vengono girate. “Ti cerca” sussurra cauta “lo vedo intorno a te sempre, non puoi non averlo già incontrato” afferma convinta. “Asia, non ho conosciuto nessuno. Lo sai che a te non mentirei” replico seria. “Adesso lo stai facendo” sottolinea sollevando su di me i suoi profondi occhi neri. “Io” inizio, poi un pensiero mi raggiunge da lontano “adesso leggi anche i miei sogni” dico sollevata, la sua preoccupazione mi aveva contagiata. “Sogni?” inquisisce perplessa “di cosa stai parlando?” chiede interessata. “L’unica persona che ho conosciuto in questi giorni lo vedo solo in sogno” spiego con un mesto sorriso. I suoi occhi si sgranano increduli “Alto, fisico perfetto, viso d’angelo, capelli neri poco mossi fino alle spalle, occhi azzurri e penetranti?“ chiede descrivendo alla perfezione Stefan. Annuisco colpita da tanta esattezza. “Non sono sogni” replica asciutta “tu lo hai incontrato sul serio” aggiunge richiudendo il mazzo. “Impossibile” e le strappo le carte dalle mani “lo vedo solo io” spiego iniziando a mescolarle. “Lascialo stare” ordina con voce ferma “stai lontana da lui”. “Asia lui entra nella mia camera, come lo spieghi?” chiedo con la voce incrinata da uno strano timore. “E’ una presenza tenebrosa” continua senza dare credito alle mie parole “un’aura scura lo avvolge, devi stare lontana da lui” replica come una cantilena.
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“Non sono io che lo cerco” brontolo stizzita “è lui che viene da me” aggiungo confermando una realtà assurda. “Impossibile” sussurra mentre lascia scorrere lo sguardo sui tarocchi disposti sul tavolo “non ora, non sono pronta” replica sempre tra sé. “Mi fai capire?” chiedo in ansia, non è da lei fingere un tale timore. “Vedo la tua morte” dichiara senza ironia “una morte dolce, quasi agognata” aggiunge e i suoi occhi diventano lucidi. “Uno scherzo di pessimo gusto” la rimprovero con la voce tremante “non sei per niente divertente” continuo soffermandomi sul suo viso preoccupato. “Lo sai che su queste cose non scherzo” ribatte con foga “che motivo avrei? Sei la mia sorellina” aggiunge chiudendo il mazzo e gettandolo di malo modo nel cassetto. Rimaniamo in silenzio, io ferma sulla soglia della cucina, lei vicino al cassetto richiuso. Dopo alcuni istanti si avvicina e si toglie la catenina dal collo “Indossala” dice chiudendo l’aggancio sulla mia nuca. “Non te ne separi mai” le faccio notare con voce sottile. “E’ benedetta” spiega e aggiunge accarezzandomi il viso “adesso ne hai più bisogno tu”. Guardo il piccolo crocefisso d’oro bianco che mi penzola al collo “Mi fai preoccupare” sospiro mentre un brivido mi corre lungo la schiena. “Lui tenterà di irretirti e di soggiogarti con i suoi poteri innati, cerca di combattere il suo fascino con la tua mente” consiglia. “Lui chi? Di cosa stai parlando?” chiedo scuotendo il capo “non capisco”. “Il ragazzo dei tuoi sogni” risponde con un pallido sorriso “tieni sempre presente che ogni pensiero e ogni azione che vorrai fare in sua presenza è frutto del suo potere” mi stringe le mani in modo affettuoso e raccomanda alla fine mentre mi accompagna alla porta “fa attenzione”. “Non so cosa dire” rispondo mostrando la mia reale confusione “sei enigmatica e strana, oggi” continuo “tutto quello che dici non ha senso” concludo indossando lo zaino sulle spalle. “Lo so che tutto quello che dico ti risulta assurdo” dice calma “ti assicuro che anche per me è una novità, ma ho il dovere di dirti quello che vedo” sospira affranta “spero con tutto il cuore di essermi sba-
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gliata, ma se così non fosse torna da me e decideremo insieme il da farsi” chiude posando un bacio sulla mia fronte. “Ok” rispondo confusa e stranita mi allontano. Le parole di Asia continuano a riproporsi nella mia mente, nitide come suono ma opache come significato. “Cosa vuol dire che l’ho conosciuto davvero, che devo stare attenta al suo fascino, ai suoi poteri e poi, la mia morte” rabbrividisco al pensiero, ma non riesco a non pensare a come la mia voce scompare in sua presenza, a come la mia mente diventa vuota e le mie azioni e le mie parole si muovano con volontà proprie. Entro in casa giusto il tempo per prendere la borsa con il cambio per gli allenamenti e sono di nuovo in strada.
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Capitolo 5
Martina Lo spogliatoio è già in fermento, voci concitate e risatine frivole mi giungono lontane, la mia mente è ancora invasa dalla preoccupazione. “Ciao Martina, alla buon’ora” mi saluta Katia con un sorriso sincero “come stai?”. “Bene” rispondo in automatico, cercando di non dare peso alla mia ansia. “Cosa succede?” chiedo indicando il caos prodotto dalle voci squillanti delle altre. “In che mondo vivi?” chiede allegra “non lo hai visto?” aggiunge sorpresa. “Chi?” chiedo, mostrando un finto interesse. “C’è un nuovo iscritto” spiega allegra “ed è uno schianto” aggiunge radiosa. “Direi meraviglioso” aggiunge Elisa, mentre finisce di prepararsi. “Hai visto che occhi?” dice un’altra “stupendi!”. “Un attore di Hollywood non reggerebbe il confronto” specifica Katia con enfasi “devi vederlo” aggiunge eccitata. “Lo vedrò, credo” sorrido per cortesia, in realtà non riesco a essere realmente incuriosita dal nuovo arrivato. Indosso il karategi, lego in vita la mia preziosa cintura nera e seguo le altre in palestra. Salgo a piedi nudi sul tatami e con passi lenti mi avvicino agli altri che sono già disposti in file ordinate. Il maestro spicca davanti a noi, l’aria seria velata da un gioviale sorriso “Ragazzi, voglio presentarvi un nuovo iscritto, si chiama Stefan Leion, viene da Parigi” presenta il giovane invitandolo ad avvicinarsi. Ecco la fonte di tanta frenesia e ammirazione. I passi sono misurati e perfetti. Il portamento retto e ben coordinato ne lascia intravedere il
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profilo delicato e quando si volta verso di noi, ne vedo chiaramente il volto: è lui. Ci sorride, ma i suoi occhi sembrano fissi su di me <<Allora non ti ho sognato>> penso con angoscia crescente. “Vediamo la tua preparazione” dice il maestro interrompendo il flusso dei miei pensieri “Marco vieni” chiama uno dei ragazzi più preparati. I due si dispongono uno di fronte all’altro, il saluto karateka e poi partono con lo scontro. I movimenti sono così rapidi che fatico a distinguerli, in meno di un minuto Marco è a terra, prono con il braccio bloccato dietro alla schiena. Vedo il volto del maestro illuminarsi, impressionato. “Devi tagliare i capelli” dice al nuovo arrivato e precisa la sua motivazione “potrebbe essere il tuo punto debole”. “Lo sarebbe se riuscissero a prenderli” risponde con una tranquillità disarmante “Maestro”. Il Maestro tace per alcuni istanti, vedo i volti di tutti attratti da Stefan e provo soggezione e una strana ansia. “Vedremo” sospira l’uomo “adesso entra in riga così iniziamo gli allenamenti” aggiunge con una strana rassegnazione sul volto. La lezione procede in modo strano, i movimenti di tutti sono scoordinati e anche il maestro appare distratto, solo una persona non sembra subire il suo magnetismo, io. Dentro gli spogliatoi regna lo stesso strano caos di quando sono arrivata, tutte corrono col desiderio pressante di uscire e di scambiare qualche parola con lui. Io invece faccio tutto con calma e sono esattamente l’ultima a uscire. I miei passi suonano leggeri sull’asfalto scuro, le luci dei lampioni illuminano la strada fino casa, non sono stanca, ma ho il bisogno di dormire. Sento dei passi silenziosi alle mie spalle, è più lo spostamento d’aria a farmi percepire la sua presenza. La sensazione di quello sguardo poi, è diventato troppo familiare per ignorarlo. “Smettila di seguirmi” dico senza voltarmi. “Mi hai sentito arrivare?” chiede e la sua dolce voce è stupita. “Non sei molto silenzioso” rispondo continuando a camminare. “Di solito le persone non si accorgono del mio arrivo” dichiara accostandosi a me.
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“Sei abituato a colpire le persone alle spalle?” domando senza spostare lo sguardo su di lui. Non so quanto di preoccupante ci sia in questa situazione, ma so che se lo guardassi negli occhi sarei perduta. “A volte capita” risponde con una risatina leggera. “Come hai fatto a seminarle?” chiedo ancora, spinta da una curiosità morbosa. “Chi? Le tue amiche?” chiede e mi impone di guardarlo bloccandosi davanti a me “mi stai evitando, per caso?” chiede poi, sorpreso. “Non per caso, ma di proposito” rispondo lanciandogli uno sguardo fugace e con un rapido movimento lo sorpasso. “L’altra notte eri più disponibile” afferma alle mie spalle “oggi sei diversa”. “Sono sempre la stessa” replico innervosita dal pensiero che lui riesca a entrare indisturbato nella mia stanza “lasciami stare” sussurro in supplica. “Ieri hai anche detto che sono bello” ghigna piazzandosi nuovamente davanti a me “non volevi che me ne andassi” puntualizza con la sua voce suadente. Siamo nel piccolo vialetto che conduce nel cortile del mio palazzo. Il luogo è poco illuminato, ma nella penombra riesco a vedere bene lo scintillio dei suoi occhi glaciali. Mi sta bloccando il passo e sono costretta a guardarlo in viso. “Ieri ero irretita da te, oggi sono irritata da te” replico con voce dura. Serro la mascella per cercare di non lasciare libera la lingua di parlare e di sciorinare complimenti. I suoi occhi si sgranano stupiti “Tu non mi vuoi?” domanda incredulo. “No” rispondo secca, mentre stringo con foga i pugni, non devo lasciare che mi governi, chiunque sia, per me è il male, mi fido di Asia. Indietreggia di un passo e i suoi occhi si fanno attenti mentre si fissano sul piccolo crocefisso che brilla sul mio collo “Non ce l’avevi ieri” dice indicandolo e aumentando la distanza. “Un regalo previdente di una persona che mi vuole bene” rispondo con enfasi e d’istinto stringo le dita intorno al piccolo oggetto “tiene lontani i vampiri” aggiungo in un sussurro. Lui mi lancia un sorriso sbieco mentre gli occhi lampeggiano per uno strano sentimento. “Credi ai vampiri?” domanda indietreggiando ancora.
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“Non ci ho mai creduto” rispondo chiara, continuando a stringere la croce che per un gioco mentale sembra darmi forza. “Li adori” dichiara scuotendo il capo “hai la casa piena di libri, film e cimeli” continua come a voler giustificare qualcosa che per me è incomprensibile. “Non adoro i vampiri, ma i personaggi buoni che governano le storie” spiego sorpresa dalla sua reazione. “Tu li adori” ripete con foga “non ne hai paura” aggiunge con rabbia “lo hai detto alle tue amiche” impreca “tu ne vorresti uno tutto per te” ringhia “lo vorresti, l’hai detto” ripete irato. “Chi diavolo sei?” chiedo confusa e spaventata da una simile sfuriata. “Io sono Stefan” sibila rabbioso e quasi senza accorgermene svanisce nella sua nube di fumo. Mi guardo intorno per un attimo, confusa e spaventata al tempo stesso, poi sospirando continuo il mio viaggio verso casa.
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Capitolo 6
Gaetano Finalmente il sole è tramontato. Il silenzio che incombe in questo luogo di morte mi da sempre uno strano conforto. Esco dalla tomba di famiglia con movimenti lenti, non ho alcun bisogno di correre. Chiudo la porta di vetro alle mie spalle e imperterrito attraverso i lunghi sentieri che mi conducono in città. Gli imponenti cipressi mi oscurano il passaggio, ma dopo centotrenta anni di buio obbligato sono vigili e attenti come se fosse pieno giorno. Una leggera brezza mi colpisce in pieno viso, portando con sé lo stagnante profumo di crisantemi e gigli. Davanti a me l’imponente cancello di ferro battuto, alto dieci metri e largo sei immancabilmente chiuso. Un ghigno mi illumina il volto, immagino la mia pelle pallida tendersi a questo sorriso diabolico, non posso più guardarmi attraverso uno specchio, ma l’acqua riesce ancora a mostrarmi i miei lineamenti da perfetto angelo della morte. Fletto leggermente le gambe, quel tanto che basta per darmi la spinta e oltrepassare questa falsa barriera. Un salto vigoroso e un atterraggio composto e delicato, riesco a essere quasi invisibile, è meraviglioso. Vivere in un cimitero è davvero un brutto affare, troppo distante da un invitante centro abitato, ma dove altro potrei vivere se non qui? Salgo sull’autobus che è quasi deserto. Solo un vecchietto dal volto stanco e una donna dall’aspetto trasandato, entrambi sono privi di sostanza per me. Scendo alla solita fermata, imbocco il solito vialetto e in men che non si dica sono davanti al mio “ristorante”, un locale nascosto ma ben frequentato, il Golden Pub. L’insegna a forma di lingotto lampeggia sopra la mia testa. La musica dei Red Hot Chili Peppers mi giunge potente mentre entro e mi siedo a un tavolino. “Cosa ti posso portare?” domanda la giovane cameriera. “Una media rossa” rispondo elargendole un sorriso.
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La vedo arrossire sotto il mio sguardo, le succede sempre, e poi si allontana lanciandomi una strana occhiata. Si chiama Anna, me l’ha detto la prima sera che sono entrato in questo locale. E’ carina ed è l’unica persona che non mi fa sentire un mostro. Il suo profumo è invitante e il battito del suo cuore è una musica ipnotizzante, ma non ho alcun desiderio di farle del male, preferisco scegliere qualcun altro per i miei bisogni. Nel frattempo entra una giovane alta, magra e dal viso arrogante. “Ciao, inutile!” saluta Anna con la sua voce fastidiosa, mentre si siede al banco. “Cosa vuoi?” inquisisce l’altra, acida. “Che tu morissi” replica l’ultima arrivata senza ironia. “Va al diavolo” sbuffa la cameriera allontanandosi. “Sei una perdente e lo sarai per sempre” continua a voce alta, in modo che le persone a lei vicine potessero sentire. Come una furia Anna posa il bicchiere sul mio tavolo “Scegli lei, per stanotte” sibila a denti stretti che solo il mio udito riesce a sentire. “Parlava con me?” inizio a chiedermi confuso, nessuno può sapere di me, eppure la sua supplica mi è sembrata una richiesta. Avrò sicuramente frainteso, non è possibile, lei non può sapere. E’ più di un anno che vengo qui tutte le sere e c’è sempre lei dolce e gentile. Penso abbia notato che una volta al mese esco immancabilmente con una diversa, forse è a questo che si riferiva, lei non può sapere quale fortuna sia non essere scelta da me. Passo distrattamente le mani tra i capelli castani, un attimo e decido, mi volto nella direzione della giovane e un istante dopo lei si è già girata verso di me. I suoi occhi scuri si sgranano impressionati nel vedermi mentre le sue labbra s’illuminano di un sorriso suadente. Senza staccare gli occhi da lei la circuisco, è fin troppo facile, si sta già avvicinando “Questo posto è occupato?” chiede con la sua voce civettuola. “Sì” rispondo aumentando il sorriso “da te” e vedo la sua vanità aumentare. Si siede rimanendo in silenzio, io sorseggio la mia birra che scivola senza sapore nel mio stomaco e quando ho finito le chiedo “Ti va di venire con me?”. Niente di romantico o cavalleresco, niente corteggiamento, basta che io lo desideri e loro cadono vittime ai miei piedi. Infatti, annuisce, lascio i soldi sul tavolo e prendendole la mano mi appresto a uscire.
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“Guarda la differenza” ghigna la mia compagna della quale non so neanche il nome “mi è bastata una sera per averlo” aggiunge alla cameriera che mi lancia uno sguardo furioso. <<Poverina, non immagina che sia il contrario>> penso soddisfatto. Camminiamo lungo il vialetto e ripercorriamo a ritroso tutta la strada fatta da me prima. Lei è silenziosa e completamente inerme tra le mie mani. Mi è talmente sottomessa che forse non si rende neanche conto che siamo scesi alla fermata del cimitero. Davanti al cancello l’afferro per le braccia e, bloccandola sulle mie spalle, salto con il suo peso e atterro senza difficoltà dall’altra parte della cancellata. “Dove mi hai portata?” finalmente chiede e sento una nota di terrore nella sua voce. Il cimitero è la mia casa e di notte è il mio regno, nessuno osa varcare quel cancello. Ho smesso di irretirla mi piace sentirle sussurrare “pietà!” prima di morire. “Rispondimi” grida strattonando il polso e facendosi male. “Ssst” l’ammonisco posandole un dito sulle labbra tremanti “non ti farò male” aggiungo con sincerità. “Portami via” singhiozza isterica, ma cerco di non sentire e la mia presa diventa più decisa quando vedo la tomba. Apro la porta e la getto con violenza giù per le scale. Atterra carponi, con un rapido movimento la giro e inginocchiandomi davanti a lei le faccio la fatidica domanda “Morire o essere morta per sempre?”. I suoi occhi si spalancano confusi mentre lacrime copiose le solcano il viso imbruttito dal trucco disfatto. “Non lo so” singhiozza disperata, ma è troppo tardi ormai, l’odore del sangue mi inonda le narici, la gola brucia dal desiderio di bere e il suo cuore, con il suo battere frenetico mi chiede di continuare. Con un ruggito demoniaco lascio che la trasformazione abbia inizio, la bocca è in fiamme mentre i canini fuggono dal loro forma umana ed escono rabbiosi. La vista si annebbia e niente ha più senso se non il mio bisogno impellente di bere. La sua giugulare pulsa invitante sotto i miei occhi ne percepisco l’intensità. Affondo, i miei denti perforano la sua tenera carne e ne succhio piccole parti di vita. Il sapore del sangue attraversa la mia bocca bisognosa e veloce attraversa il mio esofago fino ad approdare nel mio stomaco in fiamme. Un immediato senso di benessere, la freschezza lasciata dal suo passaggio è meraviglioso, quando riapro gli occhi lei è esanime e dissanguata tra
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le mie braccia. Gli occhi sono rovesciati all’indietro e il volto è tirato, non ha avuto neanche il tempo di implorare pietà. La prendo in braccio e con passi veloci mi reco nella camera mortuaria, apro la prima bara e ce l’adagio dentro, merita una sepoltura. Richiudo il coperchio inchiodando gli stessi punti e, sazio, torno nel mio loculo per riposare e aspettare che cali una nuova notte.
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Capitolo 7
Stefan La porta si richiude alle mie spalle con un rumore sordo. Ho i nervi tesi e la mente è un vulcano in eruzione. “Finalmente!” mi apostrofa Erik uscendo dalla sua camera. “Non ti ci mettere anche tu” brontolo al limite della sopportazione. “Qualcosa non va?” chiede con un ghigno pallido. Mi lascio andare a un ringhio rabbioso mentre scivolo sul divano di pelle nera che brilla sul tappeto bianco. “Problemi con la ragazzina?” inquisisce ancora sedendosi al mio fianco “un altro fallimento?” continua senza freno. “Sta zitto” ordino nella speranza di farlo tacere. “Dopo tutti questi anni dovresti sapere come funziona” scherza allegro “non è mica la prima”. “In un certo senso lo è” affermo distrattamente. “Che vuoi dire?” chiede tutto a un tratto interessato. “Mi ha tenuto testa” rispondo sorridendo incredulo. “Come ti ha tenuto testa?” ripete senza capire fino in fondo la mia frase. “Mi ha detto di lasciarla in pace” spiego passandomi una mano tra i capelli. “Non hai poteri su di lei?” chiede incredulo “comunque, da una parte sarebbe un bene” aggiunge prestandomi la massima attenzione. “Prima ce li avevo” sibilo “oggi invece sembrava un’altra e poi quel crocefisso” aggiungo affranto “non riesco a capire questo cambiamento” spiego con voce tesa. “Crocefisso” ripete e capisco che sta avendo il mio stesso pensiero. “Comunque il fatto che non sia succube dei tuoi poteri è un bene” ripete con l’intento di rincuorarmi “sarà più facile capire se ti ama davvero” aggiunge abbandonandosi contro lo schienale.
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“Non le piacciono i vampiri” spiego di getto “io le ho detto che li adora e lei mi ha risposto che adora solo i personaggi dei libri che legge”. “Accidenti Ste” impreca sottovoce scotendo il capo “già è difficile e tu ti scegli anche una che li odia”. “Non ha detto che li odia” preciso con fervore e questa precisazione è più per me che per lui “ha detto che non li adora, neanche a me piacciono” sorrido “posso farla innamorare di me” dichiaro convinto e per la prima volta mi sento rinvigorito dall’idea della sfida. “Quante ne sono passate?” mi chiede dispiaciuto. “Non conta il numero” rispondo sicuro. “Puoi scegliere una giovane ogni dieci anni, non gettare quest’opportunità” mi consiglia con affetto. Scuoto la testa in segno di diniego. “Usa la ragione” mi rimprovera “e l’esperienza che hai accumulato in questi secoli, quante possibilità speri di avere con una ragazza così?” impreca sperando di condurmi alla ragione. “Deve essere lei” dichiaro convinto. “E’ una scelta priva di senso” brontola serio. “E’ la mia scelta” replico alzandomi dal divano e raggiungendo la grande vetrata che affaccia sul mare fisso lo sguardo sulla Lanterna. “Perché sei così cocciuto?” impreca affiancandomi “se dovessi fallire di nuovo ti attendono altri dieci anni di vita sanguinaria” mi ricorda come se non lo sapessi. “La mia natura è l’unica cosa che non posso dimenticare” affermo sentendo l’arsura salirmi alla gola “ho bisogno di bere” aggiungo andando in cucina. Apro il frigo ed estraggo una caraffa di vetro, prendo un bicchiere e riempiendolo fino all’orlo bevo con avidità il contenuto ferroso. “Un’impresa ardua, la tua” dice alle mie spalle. “Lo so” confermo “ma voglio lei” dichiaro senza capire realmente il motivo di tanta testardaggine. “Se sei davvero così convinto credo che non ci sia bisogno di indugiare oltre, andiamo dal sacerdote Kernec” dice indicandomi il portone d’ingresso. Con un movimento deciso poso il bicchiere nel lavandino e con passi veloci lo precedo lungo la strada che conduce dal sacerdote di Apopi. La casa è silenziosa e versa in un profondo buio. “Kernec, ci sei?” chiede Erik con voce tonante.
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“Dove vuoi che vada?” replica con un ghigno, mentre lo vediamo uscire lentamente da una stanza buia, illuminato sinistramente da un cero acceso. “Benvenuti” saluta poi non appena ci è di fronte. “Non perdiamo tempo in inutili convenevoli, sai perché siamo qui” lo interrompe Erik con sicurezza. “Sono già trascorsi dieci anni?” chiede sorpreso “sarà che per me i giorni non contano” aggiunge sollevando le esili spalle. Kernec è un uomo vecchio e non solo di anni, ma anche di aspetto. La pelle è diafana e gli occhi sono piccoli e neri, il naso adunco è spesso ed emerge con imponenza sul suo viso ossuto. Pallidi e ridicoli appaiono i suoi denti aguzzi che cercano di sembrare letali. “Seguitemi” ordina con la voce roca. Servire Apopi gli ha tolto ogni genere di favore, essere un non morto per lui, è solo una condanna. Relegato in questa casa da oltre venti secoli, non può procurarsi il cibo e non può sperare in una liberazione, per lui la condanna è eterna e inevitabile. Facendo molta attenzione scendiamo la lunga scalinata d’ardesia che conduce ai fondi dell’edificio. Scendiamo a circa cento metri di profondità, dove ad attenderci c’è un odore stagnante di muffa e di sangue. Giunti nell’atrio inclina la fiamma del cero sull’origine del percorso luminoso, pochi secondi e il tempio brilla nella luce fioca del fuoco. Come una sottile cantilena, il sacerdote inizia a formulare la sua antica preghiera e in breve tempo appare davanti a noi il Dio-Demone Apopi. Il gigante serpente volteggia davanti ai nostri occhi. I suoi, rossi come braci accese, brillano nella penombra con una luce crudele. Il corpo, sinuoso e sinistro allo stesso tempo, sfavilla del suo splendido verde smeraldo e per un istante devo socchiudere gli occhi a causa dell’intensità della luce che emana. “Sei tornato” dice con il suo tono serpentino, mentre frusta l’aria con la lingua biforcuta. “E’ il mio tempo” dico senza timore. “Hai soltanto trenta giorni” mi ricorda con un potente sibilo. “Lo so” rispondo lanciando uno sguardo impaziente al sacerdote. Al suo cenno d’assenso srotolo la pergamena di Ra e la poso davanti alle sue spire.
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“Shshss” sibila infastidito da quel nome che lampeggia quasi sulla carta ingiallita. “Il Sigillo” gli ricorda Kernec con deferenza. Apopi fissa lo sguardo nuovamente sulla pergamena, poi, emettendo un sibilo acuto lascia cadere l’anello, il Sigillo. L’incarnazione del vincolo che mi lega al Dio discende nell’aria, fluttuando. I miei occhi si posano su di esso come sempre incantati. Il rosso rubino brilla di luce propria sul liscio e semplice sostegno. Con un movimento repentino lo raccolgo e, indossandolo, sollevo il pugno. “Martina Lenzi” dichiaro con voce tonante, mentre faccio scorrere lo sguardo sulle incisioni che ricoprono il Sigillo e, con impazienza, attendo il completamento del rito. “Ti dono il Sigillo con il potere dello scioglimento parte contrapposta Martina Lenzi. Per trenta giorni tu potrai vivere come un vivo e lo farai. Giorno e notte cambierà Perché il bisogno umano in te ci sarà. Oggi, domani e ancora ieri Tu per sempre un non morto sei. E se un vero amore non troverai Un Maledetto ritornerai e Il suo sangue mi donerai. Ma se la fortuna ti assisterà E un vero amore ti incontrerà Il bisogno in te si placherà E una vita senza sete in Te fiorirà.” Il sibilo termina seguito da un fischio sottile e subito un fascio di luce si irradia dalla pietra color sangue, impegnando il Dio nella sua promessa di liberazione. Apopi scompare nella sua luce, lasciandoci soli a pensare. “Trenta giorni” ripete il sacerdote dopo alcuni minuti di religioso silenzio. “Certo” dichiaro e mi appresto a seguirli, deciso più che mai a godermi questo mese di vita.
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Fuori dalla casa il cielo è terso e si vedono nitide le stelle che ne fanno brillare il manto. Mi concedo ugualmente un respiro, anche se non mi serve. L’unica differenza tra il Maledetto che ero e quello che sono è che adesso non ho bisogno di bere e che posso uscire alla luce del sole. Il crocefisso, l’acqua santa e l’aglio sono sciocchezze, per un mese sarò immune a tutto e se lei dovesse innamorarsi di me, potrei gioire di queste cose per l’eternità. “E’ strano pensare che sia il demone Apopi a concederci quest’occasione” affermo discorsivo. “E’ un patto che hanno stipulato molti secoli fa, Apopi continua a mietere vittime indisturbato in cambio di questo” mi spiega per l’ennesima volta. “Lo so, ma non è proporzionato, quante vittime e quanti salvati dal Sigillo” dico mestamente ripensando ai miei tentativi precedenti. “Adesso cerca solo di impegnarti” insiste “trenta giorni non sono tanti” e restando in silenzio continuiamo a passeggiare tranquilli sotto il cielo stellato in una campagna semi deserta, dove a valle ci accoglierà nuovamente la città.
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Capitolo 8
Stefan Sto aspettando il sole che nasca e i suoi caldi raggi che inondino il mio viso bianco. Sono ore ormai che sono fermo qui davanti alla finestra, ma dopo dieci anni di negazione è uno spettacolo a cui non posso rinunciare. Ecco il cielo schiarirsi, lentamente abbandona l’opprimente buio della notte per lasciarsi illuminare da quei sottili raggi. Fasci rosei ne segnano l’orizzonte creando disegni allegorici sulla tela del mondo, è tutto così meraviglioso. Il sole, eccolo, timido e quasi sconosciuto irrompe davanti a me colpendomi attraverso l’immensa vetrata del terrazzo. Guardo la pelle del mio corpo rinvigorirsi sotto la sua luce e con un sorriso infantile mi volto a guardare la porta chiusa di Erik. Immagino la sua prigionia nel baratro che lo avvolge e ricordo mestamente i miei anni di prigionia. Anni che poi non sono tanto lontani e che se non riuscirò a farla innamorare di me torneranno con prepotenza nella mia “vita”. E’ triste pensare a quando, durante le ore del giorno restavo segregato in camera, con le tende di velluto pesante chiuse sui vetri scuri in modo da bandire il più minuscolo brandello di sole e la testa china sulla tastiera del computer. Il computer, unico vero contatto con il mondo esterno e unica vera gioia, per ora. Sposto lo sguardo sulla parete, finalmente l’orologio segna le sette, posso uscire e fare due passi. Indosso una camicia leggera bianca sopra i jeans scuri, la lascio fuori dai pantaloni, risvolto le maniche fino a metà avambraccio e lego i capelli in una coda bassa, poi esco. L’aria fresca del mattino mi infonde di gioia e per uno come me è una sensazione assolutamente nuova e irripetibile. L’inebriante profumo di brioches appena uscite dal forno mi coglie di sorpresa e quasi incantato, entro nel bar che da origine a tale aroma. Con la mente, torno indietro di cinquant’anni.
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L’insegna ancora accesa del Cafè de Paris illuminava la porta d’ingresso. Entrai, l’ambiente era accogliente e caldo. Mi sedetti su un divanetto e immobile, restai in attesa che qualcuno arrivasse a servirmi. Un solo istante ed ecco arrivare la giovane Marie, i lunghi capelli biondi erano legati diligentemente in una coda bassa. Gli occhi color nocciola erano velati di imbarazzo mentre prendeva l’ordinazione. Sentivo il suo cuore palpitare e la sua mente inebetirsi davanti a me, una facile conquista, una sicura preda come tutti, maledizione! Spostai lo sguardo e cercai di guardare altrove, le sue reazioni puerili mi nauseavano, anche non volendo, non riuscivo a tenerle lontane dal mio magnetismo. Nessuna poteva e può resistermi, sono morto per attrarre come una calamita ed è questa la mia condanna. “Desidera?” chiede il barista da dietro al banco. “Un cappuccino e una brioches alla crema” rispondo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mi sorride cortese, inevitabilmente leggo nei suoi lineamenti il desiderio e, infastidito, abbasso lo sguardo sull’invitante pietanza. Affondo i denti nella sfoglia dolce fino a raggiungere il cuore morbido di crema. La mia bocca assapora il gusto delicato delle uova intrecciate con lo zucchero e fuse nel latte. Le mie papille, solitamente inattive, sono solleticate dalla novità e frementi, catturano anche il più semplice dei sapori. Perso nella degustazione, non mi accorgo subito di essere oggetto di occhiate furtive, maliziose e seducenti, ma poi il suono di una voce mi riconduce alla realtà. Fingendo interesse per l’arredo, inizio a scrutare l’ambiente fino a posare i miei occhi sulla padrona di un simile suono. Lei solleva lo sguardo e per un lungo istante i nostri occhi si fissano, poi, stizzita, ammonisce le amiche che starnazzano al suo fianco. “Smettetela” le rimprovera sottovoce, gli occhi brillanti di irritazione. “Se fosse interessato a me ti assicuro che non mi arrabbierei” la canzona una delle sue amiche “gli salterei al collo” aggiunge divertita e la sua espressione gli salterei al collo, fa nascere un sorriso sincero sulle mie labbra. “Andiamo” brontola Martina alzandosi in piedi. “Aspetta” trillano in coro le altre “almeno presentacelo”.
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“Io me ne vado” dichiara senza rispondere alle provocazioni e, veloce, attraversa la lunga sala. Senza staccare gli occhi dal suo viso la vedo raggiungermi, la porta è a pochi centimetri da me, con un magistrale movimento afferro la lunga maniglia nera e, arrestandomi accanto alla porta, gliela tengo aperta accompagnando con un lieve inchino la sua uscita. “Grazie!” cinguettano le amiche che le sono dietro, ma lei è già svanita oltre l’angolo e per me non ha avuto né un sorriso, né una parola gentile. Richiudo la porta con un po’ di apprensione, trenta giorni non sono molti e, inevitabilmente, torno con la mente dalla piccola Marie. Il suo rossore pudico, la sua gentile timidezza, il suo ammirarmi senza remore, lei avrebbe fatto tutto per me. Era la mia certezza, mai, neanche per un solo istante avevo creduto che potesse fallire, ero convinto che avrebbe potuto amarmi. Eppure, le mie convinzioni sono andate perdute con i suoi sorrisi, la mia malia è stata troppo forte per lei. La mia paura oggi, è sapere come potrò riuscire questa volta che la scelta è caduta su una così ardua e disillusa ragazza.
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Capitolo 9
Martina “Dove stai andando?” chiede Anna afferrandomi per un polso. “A scuola” rispondo senza fermarmi. “Non è un po’ prestino” scherza aumentando la stretta. “Forse” sospiro guardando l’orologio al polso e automaticamente mi fermo “ma stavate diventando insopportabili” aggiungo con un mezzo sorriso. “Noi” ripete sorpresa “a dire il vero, sei tu a essere strana in questi ultimi giorni” mi fa notare seria. “Accidenti a te!” brontola Elisa appena ci raggiunge “ti ha anche aperto la porta” tace un istante per riprendere fiato “e tu, non lo hai neanche guardato”. “Non ne avevo voglia” replico stizzita “e comunque, potevi guardarlo tu”. “Ti assicuro che l’ho guardato” ride “e anche bene” precisa con un sorriso malizioso sulle labbra “e sai cosa ti dico?” chiede in modo retorico Elisa. Incapace di resistere rispondo ugualmente “No, illuminami”. “Che probabilmente tu devi avere qualche problemino” dice toccandomi la tempia “qua dentro” si lascia andare a una risata “santo cielo ragazza!” esclama scuotendo il capo “hai idea di quando ti potrà ricapitare una cosa del genere”. “Probabilmente mai” rispondo stizzita “il fatto è che non mi interessa”. “Stai scherzando?” domanda incredula. “No” ripeto brusca. “Inizio a preoccuparmi anche io Marti” si intromette Anna incredula “stiamo parlando di un figo da paura”. “Non mi piace” dichiaro, sperando con questa affermazione di farle tacere.
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“Come non ti piace?” chiedono all’unisono con la stessa espressione stupita sul volto. “Ragazze, siete sorde questa mattina” ironizzo, ricominciando a camminare “non mi piace, punto”. “Tu vorresti farci credere che, la copia in carne e ossa di Antoine, non è di tuo gradimento” dice Anna perplessa. “Non ho detto che è brutto” cerco di spiegare, facendo attenzione a non sembrare pazza. “Ci mancherebbe” mi interrompe Elisa affiancandoci. “Dico solo che non mi piace come persona” riprendo senza guardarle. “E quando avresti avuto modo di conoscere la sua persona” mi interroga Elisa piazzandosi davanti e costringendomi a fermarmi di nuovo. “Ho avuto modo di parlargli” dichiaro con un sospiro. “Quando?” inquisisce ancora “se lo abbiamo visto la prima volta in palestra”. “La smettete di farmi l’interrogatorio” impreco, dimostrando una rabbia che in realtà non provo “non devo rendervi partecipe di ogni attimo della mia vita” sbuffo nervosa, non voglio dire che ho paura che lui sia come Antoine, sarebbe la conferma della mia follia “voi mi dite sempre tutto?” chiedo invertendo il discorso “non c’è nessun segreto che vi siete tenute per voi”. “Siamo amiche” dice dopo poco Elisa “io non ne ho segreti” sospira con ironia “forse perché la mia vita è talmente monotona che non so cosa dire” sorride. “La tua vita non è monotona” replica Anna “hai Carlo, bei voti e una famiglia splendida”. “Detta così, sembro uscita da un romanzo” scherza dandomi una gomitata in modo amichevole. “Ridi, ridi” la rimprovera Anna con il broncio “pensa alla mia situazione” sospira sedendosi sul muretto davanti alla scuola “i miei genitori sono divorziati, la mia sorellastra mi odia, non riesco a trovare un ragazzo neanche a pagarlo e” si interrompe rimanendo in silenzio. “E?” domandiamo all’unisono. “Niente” si schernisce arrossendo leggermente. “Vedi che hai un segreto” l’incalzo rapidamente. “Non ho segreti” replica sollevando lo sguardo “è solo che sono stanca”.
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“Ci stai girando intorno” la rimprovero scrutandole il viso. “E’ una cosa strana” rivela piano e il viso diventa serio “sono un po’ di giorni che Debora non torna a casa”. “Tua sorella?” chiede Elisa, sorpresa dal suo interesse. “Sorellastra” specifica Anna “comunque sì, mio padre è preoccupato”. “Non hanno notizie” sospira “sono tutti tesi” spiega guardandosi le dita. “Visto la bella testolina che si ritrova, sarà scappata con uno sconosciuto, vedrai che tornerà” profetizza Elisa con leggerezza. Gli occhi di Anna si spalancano leggermente, ma il suo malessere non passa inosservato “Tutto bene?” chiedo accucciandomi davanti a lei. “Abbiamo litigato l’ultima volta che l’ho vista” spiega sottovoce, sento che è restia a parlare ma ne ignoro il motivo. “Litigare con lei è la normalità” le ricorda Elisa. “Lo so” risponde “ma sapere che potrebbe esserle successo qualcosa” tace coprendosi il viso con le mani “non potrei perdonarmelo”. “Dio Anna, non è mica colpa tua” impreco togliendole le mani dal viso. I suoi occhi sono colmi di lacrime, terrore e qualcosa di indefinito. “Non potete capire” sibila piano e, allontanandomi in malo modo da lei, corre in classe. Rimaste indietro ci fissiamo per alcuni istanti, incredule. “Cosa le è preso?” mi chiede indicando la sua schiena allontanarsi. “Non lo so” rispondo realmente preoccupata “di sicuro, c’è qualcosa che ci tiene nascosto” affermo “e la preoccupazione per la sorellastra è ingiustificata”. “Infatti” concorda con me “con tutte le volte che è scappata di casa”. “Ci conviene entrare in classe, ne parleremo all’uscita” propongo e silenziose entriamo in aula con la mente carica di strani e sconnessi pensieri.
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Capitolo 10
Stefan “Ciao Stefan” mi saluta un ragazzo dandomi una pacca sulla spalla. “Ciao” rispondo sorridendo mentre indosso il mio uwagi e, legando la cintura, mi metto in ascolto. Attraverso i muri e le persone riesco a riconoscere il suo respiro, breve e irregolare, come se stesse cercando di calmarsi. “Adesso possiamo parlare?” le chiede qualcuno che è al suo fianco. “No” risponde secca “non voglio parlarne”. “Vieni” mi invita Marco distraendomi. Annuisco e lentamente lo seguo, cercando disperatamente di ritrovare la sua voce. Eccola poco più di un sussurro mentre dice “Ho paura”. La palestra è ancora semi deserta quando entriamo e, subito, mi accorgo che il maestro mi sta guardando in modo strano. Non uno sguardo di venerazione e neanche ammaliato, bensì ostile e il che è molto strano. Nello stesso istante, il dolce profumo di muschio bianco mi annuncia il suo arrivo e, gentilmente, mi allontana dalla inusuale sensazione di disagio causata dall’uomo. Finalmente la vedo, il suo profilo delicato e la sua posizione autoritaria, è magnifica anche nel suo karategi. Seguo la lezione con poco interesse, ogni mio senso è stato rapito da lei e, solo alla fine, quando il maestro mi invita ad aspettare, ritorna il disagio. L’uomo aspetta che la palestra si svuoti e, solo quando è sicuro della nostra intimità si avvicina. “Perché sei qui?” domanda con voce tagliente. “Come?” replico disorientato. “Mi hai sentito” impreca sottovoce “perché sei nella mia palestra”. “Per imparare” rispondo semplicemente, mentre cerco di ammorbidirlo con il mio potere, ma sembra immune e la sua voce si fa più seria.
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“Non ti voglio qua” tuona sottovoce “non voglio che i miei allievi siano in pericolo”. “Che pericolo potrei mai essere” lo canzono con il mio migliore sorriso. “Non mi incanti, Maledetto” afferma con occhi gelidi “so chi sei” aggiunge senza paura. “E chi sono?” inquisisco curioso e scettico, come sempre. “Un Maledetto” ripete con convinzione e capisco che la sua prima, non era una semplice offesa “vampiro e succhia sangue” aggiunge acido. “Se così fosse, perché non temi per la tua di vita” sibilo a denti stretti e nello stesso istante, mi accorgo di non sentire pulsare il suo cuore. Un sorriso sbieco gli illumina il viso dai tratti orientali, sa che ho capito. “Anche tu” sussurro sconvolto, è la prima volta che incontro un Maledetto che è riuscito a rompere il Sigillo. “Non fare loro del male” sibila perentorio. “Non temere per i tuoi allievi” lo rassicuro “ho una vasta provvista a casa”. Lui sorride rilassato “Meglio” sospira trascinandomi alla finestra “comunque, perché sei qua?” chiede interessato. “Sono i miei trenta giorni” rivelo cupo e vedo i suoi lineamenti ammorbidirsi. “Chi è?” domanda ancora. “Martina” rispondo e lo vedo irrigidirsi. “Non lei” sbotta tornando serio “tutte, tranne lei” ripete sconvolto. “Perché no?” chiedo confuso “cosa cambia” protesto sottovoce. “Lei è speciale” sussurra “ha una lunga vita davanti”. “Con me ne avrebbe una ancora più lunga” preciso con sollecitudine. “Cambia” supplica quasi. “Non posso” rivelo piano “il Sigillo è stato fatto ieri, non posso più cambiare”. Lui sospira tristemente “La condannerai”. “Non ne sono sicuro” sospiro cupamente “lei mi odia” lo informo seriamente. “Non è succube dei tuoi poteri?” chiede sgranando gli occhi. “A quanto pare no” sorrido di scherno “ho scelto proprio bene”.
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“Perché l’hai scelta, sapendo che era restia?” chiede dosando i termini. “Forse follia” rispondo “o forse, è semplicemente una questione di sfida” mi stringo nelle spalle e lui ride. “Getti al vento altro tempo” mi rimprovera, ma dal suo tono in qualche modo ammira la mia scelta. “A cosa serve avere secoli da vivere, se in realtà mi sento morto ogni giorno” dichiaro candidamente “lei renderà questi giorni meno bui”. “Anche io ho sempre odiato essere assecondato e viziato da tutti” rivela sorridendo “una sfida mi sarebbe piaciuta”. “Però, hai trovato l’amore” gli faccio notare e la mia voce suona colma di tristezza. “Vero” concilia pensieroso “è riuscita, nonostante i miei poteri a innamorarsi realmente di me” sorride “è una brava donna” aggiunge privo di emozione. “Non la ami?” chiedo, incurante di apparire indiscreto, tra noi Maledetti si è sinceri. “No” risponde chiaramente “è simpatica, gentile ma nulla di più” sospira guardando fuori dalla finestra concludendo “le voglio bene”. “Capisco” “Per quelli come noi non esiste l’amore” mi avverte sicuro “come possiamo amare, se in realtà siamo dei mostri” aggiunge con disprezzo. Resto in silenzio, le sue parole, dette così schiettamente mi inducono a pensare. Ho sempre pensato che trovando la persona giusta avrei potuto vivere felice, ma in realtà ha ragione lui, siamo mostri. “Almeno sei libero” affermo un po’ demoralizzato. Sogghigna guardandomi da sopra una spalla “Presta attenzione” mi mette in guardia. “A cosa?” chiedo confuso. “Lei è diversa” si volta a guardarmi direttamente negli occhi “unica”. Annuisco, anche se non capisco quello che vuole dirmi e con passi rapidi raggiungo lo spogliatoio. Con una strana sensazione d’impotenza inizio a cercarla, ma non la sento, deve essere già andata via e, con tristezza, penso che il mio primo giorno è già volato via.
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Capitolo 11
Martina 2° giorno Il mento abbandonato nel palmo della mano, gli occhi fissi su un punto in lontananza e la mente oppressa da strani pensieri. “Mi ascolti?” chiede Elisa, irritata dalla mia mancanza di partecipazione “si può sapere che hai?” chiede dandomi una leggera spinta. “Scusa, non ti stavo ascoltando” mi mortifico guardandola negli occhi. “Me ne ero accorta” risponde brusca “allora, mi dici cos’hai?” ripete interessata. “Niente, ero soprappensiero” spiego un po’ intontita, le tempie pulsano in modo incessante e uno strano senso di oppressione ai polmoni mi rende difficile anche respirare. “Sei pallida” mi informa e sul suo viso vedo l’ombra della preoccupazione “sicura di sentirti bene?”. “Non proprio” rivelo e stancamente passo una mano sulla fronte madida di sudore “ho un brutto presentimento” sussurro piano. “Come un brutto presentimento?” replica incredula. “Chi ha un brutto presentimento?” chiede Anna voltandosi a guardarci, è il momento del cambio insegnanti e finalmente possiamo parlare. “Martina” risponde Elisa preoccupata. “Bene, allora dobbiamo preoccuparci” dichiara Anna lanciandomi uno sguardo d’allarme “di cosa si tratta?” chiede seria. “Non lo so” rispondo trattenendo il respiro, la stanza inizia a girare vorticosamente e la vista si sta annebbiando, sento che la visione è vicina. Chiudo gli occhi e tengo la testa fra le mani, le loro voci ansiose mi giungono ovattate mentre vedo un corpo femminile riverso in un antro oscuro. Un odore di terra e muffa mi inonda le narici e a
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fatica trattengo il vomito “non ce la faccio” sussurro incapace di parlare “ho bisogno di un po’ d’aria”. Senza neanche rendermene conto sono alla finestra dell’aula, apro le imposte e, appoggiando le palme sul davanzale inspiro l’aria primaverile. “Lenzi, tutto bene?” sento chiedere dalla professoressa, mentre posa la sua mano sulla mia schiena umida. Scuoto la testa incapace di parlare, lo stomaco è ancora stretto in una morsa ferrea e le tempie continuano a pulsare. “Andiamo a prendere un bicchiere d’acqua” propone gentile accompagnandomi con la mano, mentre ordina agli altri di fare silenzio. I miei passi sono sconnessi e deboli, non mi era mai capitato di sentirmi così per una visione e, al solo pensiero, l’odore nauseabondo di morte mi colpisce ancora. Barcollo spossata, ma le braccia dell’insegnante mi sostengono con premura “Siediti” mi consiglia e rapidamente si allontana. Nel breve tempo in cui resto da sola scruto la stanza e noto che è quella dei professori, piccola, luminosa e con un bel tavolo circolare a riempirne la parte centrale. “Bevi” dice la professoressa porgendomi un bicchiere colmo d’acqua. Lo afferro con mano tremante e lo ingurgito con una sola sorsata. “Vuoi andare a casa?” chiede dopo avermi lasciato il tempo di riprendermi. “No, grazie” sussurro piano, ho la gola arrossata e ne ignoro il motivo. “Sicura?” ripete preoccupata, sul suo viso gioviale noto una profonda ruga sulla fronte che di solito non c’era. “Certo” rispondo con un modesto sorriso, mi sento ancora debole, ma non posso uscire da scuola, devo rimanere per lei, non posso abbandonarla. Facendo appello alle poche forze che contengono i miei muscoli mi alzo “possiamo rientrare” la informo “grazie per la preoccupazione” aggiungo sincera. “Figurati” si schernisce allontanando la mia frase con la mano “sappi che potrai contare sempre su di me” aggiunge fissandomi intensamente negli occhi, come se lei sapesse qualcosa che a me non è ancora del tutto chiara. Entriamo in classe, siedo accanto a Elisa e non riesco a non incrociare lo sguardo di Anna e a farle capire il mio dispiacere.
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“Si tratta di me” sospira piano e silenziose ascoltiamo la lezione di storia, ultima, prima della fine delle lezioni. Un flebile raggio di sole mi colpisce il viso pallido, Elisa fugge sullo scooter con Carlo, lasciandoci sole a fissare il cortile. “Vuoi parlarne?” chiede piano la mia amica, timorosa della mia dolorosa risposta. “Non so da dove cominciare” spiego “posso dirti però, che non si tratta di te” taccio “in prima persona” riprendo doverosa. “Non sei di aiuto” borbotta piano e restando in silenzio ci incamminiamo verso l’uscita. Durante il tragitto percepisco due occhi magnetici sulla schiena, sposto soltanto lo sguardo nella sua direzione e, appoggiato disinvoltamente a un albero lo scorgo. Ci guardiamo un solo istante e un brivido mi corre lungo la schiena, perché continuo a trovarmelo intorno, penso con rabbia, mentre urto contro qualcosa di non propriamente solido. “Cos’hai visto?” chiedo ad Anna che si è fermata all’improvviso. Seguo la direzione del suo sguardo e vedo ferma davanti al cancello una macchina dei carabinieri. Due uomini in divisa sono appoggiati al cofano parlottando tra loro, poi uno dei due si volge verso di noi e lo vedo alzarsi e assumere un’espressione seria. “Sono qui per me” mi informa con un tremito nella voce “devono aver trovato Debora” aggiunge piano. “Direi di si” aggiungo e lei mi guarda sgranando gli occhi. “E’ morta, vero?” chiede, capendo cosa la mia visione aveva portato. Annuisco dispiaciuta, nonostante Debora fosse l’incarnazione del male era pur sempre la sua sorellastra. “Vieni con me” supplica con occhi persi. “Certo, se me lo consentiranno” aggiungo sospingendola verso di loro. “Anna” parla il più anziano come se la conoscesse “dobbiamo accompagnarti al cimitero” la informa senza tatto. “Perché?” chiede secca. “Ti portiamo da tuo padre” spiega. “Io vado da mia madre” puntualizza con una determinazione sconosciuta. “Tuo padre ha bisogno di te” risponde l’uomo leggermente spazientito “e comunque tua madre è con lui”.
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“Non ho nessuna intenzione di venire con voi” dichiara e stranamente irritata gira sui tacchi e si allontana. “Si tratta di tua sorella” la informa l’altro afferrandole un polso “l’abbiamo trovata”. Gli occhi della mia amica si spalancano sorpresi, proprio come se non lo sapesse già, un’attrice navigata e brava, penso con orgoglio. “E’ stato tuo padre a chiederci di portarti la” riprende con tono contrito il carabiniere “e visto la situazione è meglio se ti accompagniamo”. In un istante la vedo crollare sulle ginocchia e istintivamente mi appresto a sorreggerla. “Giornata di svenimenti” sussurra con voce rauca, non stava fingendo adesso. Guarda l’uomo e chiede con voce rotta “Può venire con noi?”. L’uomo mi guarda e sospira “Non può venire” “Per favore” supplica con gli occhi colmi di pianto e la sua reazione mi sembra incomprensibile. Il carabiniere guarda il collega in cerca di qualche segnale, il vecchio annuisce e con lei, salgo sulla vettura. Il viaggio procede silenzioso e solo i brevi singulti della mia amica mostrano la bruttezza della situazione. L’auto blu si ferma davanti al cancello aperto di Staglieno, il giovane scende e ci apre gli sportelli e con gentilezza si affianca alla mia amica. “Da questa parte” ci informa facendo strada. Camminiamo attraverso i lunghi sentieri silenziosi, le imponenti statue ci sovrastano, maestose e paurose allo stesso tempo. Li seguo a qualche passo di distanza, uno strano disagio mi sta cogliendo nuovamente, le gambe iniziano a tremare e un silenzioso sudore freddo, scende sottile sulle mie tempie. Mi fermo ansante e appoggiando una mano su un tronco cerco di riprendere fiato. La sensazione di essere osservata mi colpisce ancora, confusa e malconcia mi volto e tra i monumenti scorgo quel volto magnifico e inquietante, che ultimamente è troppo presente nella mia vita. Il gelo colpisce le mie vene e, in questo luogo sacro, il suo pallore mi sembra cadaverico. Chiudo gli occhi nella speranza di allontanarlo da me e nel riaprirli non lo vedo più. <<Sto impazzendo>> penso con angoscia sollevando il viso alla strada.
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Anna e il carabiniere voltano l’angolo sotto il mio sguardo e con un notevole sforzo cerco di raggiungerli. Subito dietro la curva li scorgo. Fermi, davanti a una tomba familiare, ci sono molteplici persone, carabinieri e R.I.S., sospiro avvicinandomi. “E’ lei” mi informa quando l’affianco. “Mi dispiace” sussurro guardando suo padre, è chiaro il suo dolore, ha la barba incolta e profonde occhiaie, il volto di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla mancanza di sonno. “Sono contento che tu stia vicino ad Anna” sospira con voce rotta, mentre posa una mano sulla testa della figlia. Annuisco non sapendo cosa dire, cosa si può dire a un uomo che ha perso una figlia. “Posso vederla?” chiede Anna con un impeto non suo. “Perché vuole vederla?” mi chiedo sgomenta, il suo interessamento mi sconvolge. “Non puoi entrare” risponde l’uomo, in parte sorpreso quanto me. “Come è morta?” chiede ancora. “Non si sa ancora” risponde l’uomo “ci sapranno dire dopo l’autopsia”. “L’hanno uccisa?” inquisisce ancora. “Anna, calmati” l’ammonisco con gentilezza “forse è il caso di allontanarci un po’” propongo sollecita, dopo aver notato lo sguardo trafitto e sperduto dell’uomo. “Voglio sapere” grida liberandosi il braccio con un gesto folle e facendo puntare tutti gli sguardi su di lei. “E’ morta” ripeto secca costringendola a guardarmi “cosa importa come?” Abbassa lo sguardo ferita e una lacrima le segna il viso “Scusami” supplica al padre e voltandosi intraprende la discesa. “Vuoi parlarne?” chiedo una volta uscite dal cancello principale. “Vieni a dormire da me?” chiede seria e supplichevole. “Devo chiedere ai miei” spiego pensierosa. “Ho bisogno di te” rivela piano. “Faccio del mio meglio” prometto e allontanandomi di un passo chiamo casa. Come immaginavo, sapendo la realtà dei fatti mia, madre non ha avuto problemi a lasciarmi andare a dormire da lei e a esonerarmi dalla scuola anche il giorno dopo per tenerle compagnia.
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“Grazie” sussurra sollevata quando glielo dico. “Ma mi racconti tutto” la minaccio “altrimenti me ne vado subito”. “Promesso” annuisce e, baciando la croce delle dita, ci facciamo accompagnare da sua madre a casa.
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Capitolo 12
Stefan - Secondo giorno Il portone si chiude alle mie spalle con un rumore sordo e immediatamente due occhi si puntano sul mio viso. “Ben tornato” mi accoglie Erik con un sorriso sincero. “Ciao” rispondo meno allegro di lui. “E’ andata male la giornata” suppone massaggiandosi il mento ispido “andrà meglio domani” e si appoggia allo schienale della poltrona. “Non credo” replico avvicinandomi alla vetrata e con un po’ di tristezza osservo il manto stellato. “Dai, non essere così enigmatico e racconta” mi invita interessato “la mia giornata chiuso in camera è stata noiosa” aggiunge con un ghigno. “Lo credo” concilio e lentamente mi volto a guardarlo “non sono riuscito a parlarle neanche un minuto” rivelo tristemente “un’altra giornata persa”. “Come mai non ci sei riuscito?” chiede, assumendo una posizione seduta, attenta. “E’ una ragazza strana” ammetto sedendogli di fronte “l’ho osservata per tutta la giornata e adesso mi è chiaro, non è normale” sorrido pacato. “Neanche tu lo sei” mi ricorda divertito. “Appunto” concordo guardandolo dritto negli occhi e per un lungo istante rimango in silenzio a riflettere. “Allora, vuoi raccontarmi cos’è successo” incalza sollecito. “Credo che questa mattina abbia avuto una visione” inizio pensieroso. “Una visione?” ripete incredulo. “Sì” confermo “quasi a fine lezione si è sentita male e dopo, ho sentito che ne parlava con un’amica” spiego. “Tu eri a scuola?” chiede interessato.
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“Sì” annuisco “ci siamo fissati per un po’ negli occhi” taccio per un istante “sembra percepire la mia presenza, anche se non attivo i miei poteri” chiarisco le mie idee. “Vuoi dire che è un’Eletta?” domanda, sorpreso. “Non lo so” scuoto la testa con vigore. “In fondo il maestro ti aveva avvisato che è speciale” mi ricorda Erik incrociando le dita. “Anche se lo fosse” ipotizzo “non lo sa ancora, non è consapevole di nulla” sospiro affranto e resto in silenzio. “Perché non vai da lei?” chiede all’improvviso “hai di sicuro più possibilità di conquistarla adesso, piuttosto che dopo”. “Ah già!” esclamo dandomi un colpo alla fronte “dimenticavo di dirti che insieme a quella amica sono state accompagnate da una macchina dei carabinieri al cimitero di Staglieno”. “Perché?” inquisisce sorpreso. “A quanto pare la sorella della ragazza è stata uccisa” rispondo conciso. “In un cimitero?” replica sollevando un sopracciglio. “Temo che sia stato un Maledetto” lo informo preoccupato. “Cominciamo a essere troppi” biascica meditabondo. “Anche nel cimitero lei è riuscita a scorgermi” dico soprassedendo alla sua affermazione “mi ha guardato con ribrezzo e paura” aggiungo provando ancora la fitta al cuore. “Vai da lei” consiglia con impeto “ti restano solo 28 giorni”. “Lo so” rispondo stancamente “ma lei adesso è a casa dell’amica e ci passerà la notte” sbuffo tristemente “un’impresa epica”. “Non puoi arrenderti” mi ammonisce. “Non ho intenzione di farlo” lo tranquillizzo “è che è già difficile normalmente fare innamorare qualcuno realmente di noi, figuriamoci con una possibile Eletta con la quale non riesco neanche a parlare” sospiro passandomi stancamente una mano tra i capelli neri. “Riproverai domani” mi consola “non buttare alle ortiche tutto”. “Riproverò domani” ripeto con poca convinzione “spero nel domani”, poi chiudo gli occhi e mi lascio andare a uno strano riposo.
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Capitolo 13
Martina - Terzo giorno Il sole filtra attraverso i leggeri tendaggi di cotone della sua cameretta. Sono sveglia dall’alba ormai e credo che sia arrivato il momento di parlare. Sedendomi sul bordo la scrollo con delicatezza nel tentativo di svegliarla senza essere troppo drastica “Svegliati” dico infatti sottovoce. “Lasciami ancora qualche minuto” supplica con voce impastata. “Hai dormito a sufficienza” le dico bruscamente e aggiungo perentoria “adesso devi raccontarmi la verità”. “Sei crudele a svegliarmi a quest’ora” brontola lanciando un’occhiata alla sveglia sul comodino che segna le otto e trenta. “Sono buona per non averti tenuta sveglia ieri sera” preciso senza allegria, mi sento ancora terribilmente spossata da ieri. “Potevi anche dirmi che non mi avresti lasciata quietare” borbotta mettendosi a sedere. Con un movimento assonnato si strofina gli occhi e, dopo alcuni minuti di silenzio, mi guarda negli occhi. “Promettimi che qualsiasi cosa ti dirò resterà un nostro segreto” inizia con voce grave. “Va bene” confermo stancamente. “Prometti” ribadisce senza remore. “Prometto” giuro baciando la croce delle mie dita. “Promettimi anche che mi crederai e non mi giudicherai” riprende seria. “Promesso” ripeto iniziando a preoccuparmi. Restiamo in silenzio per alcuni istanti, quindi, la incito a proseguire. “Non so da dove iniziare” rivela passandosi le mani tra i capelli scomposti. “Parti dall’inizio” propongo infilandomi nuovamente sotto le coperte.
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“Il fatto è che non so qual è l’inizio” replica sincera “non so neanche io cosa dire”. Osservo la ruga d’espressione che le solca la fronte e capisco che non sa davvero cosa dire. “Ok” inizio al posto suo “comincia a spiegarmi perché sei scoppiata in lacrime per la morte di Debora?” chiedo secca “capisco che era la tua sorellastra, ma dopo tutto quello che ha fatto, non credevo possibile che la piangessi”. “Vabbé” risponde titubante, ma non aggiunge altro. “Ricapitoliamo” riprendo cercando di scalfire il suo riserbo “tuo padre era sposato con tua madre, ma nel frattempo aveva una relazione con un’altra donna con la quale aveva un’altra figlia più grande di te di cinque anni, giusto?” chiedo cercando di renderla partecipe e la sua risposta è annuire. “La relazione di tuo padre continua anche dopo la tua nascita e per dodici anni fa il bigamo, ok”. Lei annuisce ancora. “Finalmente tua madre se ne accorge, divorziano e lui, va a vivere con quest’altra donna, rendendo lecita la loro relazione”. “Esatto” conferma con rabbia e aggiunge “dopo quasi due anni, mia madre trova un uomo con il quale essere felice” sospira irosa “ma dopo pochi mesi scopre l’uomo nel suo letto con una ragazzina vogliosa, Debora”. Il cuore le manca un colpo all’idea della sofferenza di sua madre. “E’ stata sempre crudele con me, con mia madre e l’ho sempre odiata” conferma una verità che già conoscevo “e non ho pianto per lei” aggiunge lasciandomi sgomenta. “Per chi allora?” chiedo incredula. Sospira andando alla finestra e scostando le tende osserva il cielo terso “L’ho vista la sera della sua scomparsa” rivela senza voltarsi. Vorrei dirle, mi avevi detto di no, ma a cosa servirebbe e allora resto in attesa della sua storia. “Era venuta al Lingotto, bella, provocante e stronza come al solito” tace appoggiando la fronte al vetro “aveva notato che c’era un ragazzo che mi piaceva e cosa ha fatto, lanciandomi uno sguardo di superiorità è uscita dal locale in sua compagnia” emise un respiro affranto e voltandosi ammette “la cosa che mi fa soffrire è pensare che sia stato lui a farle del male”. Con passi veloci si getta sul letto “sono un mostro a pensarla così, vero?” chiede con la voce incrinata dal pianto.
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“Non so cosa dire” rivelo sottovoce, incapace di formulare un pensiero sensato. “Ogni volta che lo vedo il mio cuore inizia a martellarmi nel petto, il respiro diventa affannoso e i miei occhi sono incollati al suo viso splendido, mi sento rapita dai suoi occhi” singhiozza in modo convulso “e nonostante i miei sorrisi e sguardi, lui mi ignora” tace straziandosi di una pena tutta sua “sono un mostro a pensare a questo, quando lui potrebbe averla uccisa” brontola infilando la testa sotto al cuscino. Le sue parole mi confondo e un senso di angoscia mi colpisce, l’odore di muffa mi raggiunge le narici e sgrano gli occhi. “Devi stare lontana da lui” le ordino con uno scatto isterico. “Tanto è lui che sta lontano da me” mugugna piano. “E’ pericoloso” grido senza sapere neanche il perché. “Non dire sciocchezze” s’irrita voltandosi e scostandomi da lei “è un angelo”. “Un angelo della morte” affermo brusca, mille immagini si accalcano nella mia mente, presente, passato, fantasia e realtà. Con un movimento stizzito comprimo le tempie doloranti e scuoto la testa in modo frenetico. “Cos’hai?” chiede in preda all’ansia “una visione?”. “Sto male” rispondo con la voce che è poco più che un sussurro “ed ho un’inspiegabile paura”. “Ti porto un po’ d’acqua” propone gentile, dimentica di quello che stavamo dicendo. “Non ti preoccupare, sta passando” la informo, mentre guardo oltre il suo viso e due occhi chiari, paralizzano i miei pensieri. “Promettimi che starai attenta” le chiedo con la voce spezzata da un brutto presentimento. “Promesso” giura e in uno stato di folle ansia concludo la giornata in sua compagnia.
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Capitolo 14
Stefan - Quarto giorno “Smettila di seguirmi”ordina fermandosi all’improvviso e girandosi mi fissa negli occhi. “Tu smettila di sfuggirmi” replico arrestandomi davanti a lei. Incapace di sostenere il mio sguardo, abbassa il suo e protesta “Io non fuggo, è solo che non mi piace essere pedinata” spiega indietreggiando di un passo. “A me sembra proprio che tu fugga” confermo con un mezzo sorriso e al suo suono solleva gli occhi. “Ascoltami bene” inizia dopo avermi fissato per alcuni istanti “io non ho niente contro di te”. “Neanche io” la interrompo con foga. “Immaginavo” replica scettica “comunque, non voglio più vederti in giro” sospira e la vedo stringere i pugni “ti voglio lontano da me”. “Di cosa hai paura?” chiedo amareggiato “non ti chiedo altro che di essere amici” affermo convinto e mi vergogno per la bugia. “Io non ho detto che tu” inizia imbarazzata. “Lascia stare” la blocco con rammarico “pensavo fossi diversa” accuso come se avesse qualche colpa “credevo” mi interrompo in modo studiato “sai cosa?” chiedo invece indignato e senza attendere la risposta continuo “non ho bisogno della tua amicizia, è vero, sono qui da poco, ma troverò qualcuno che abbia piacere a uscire con me” e le mie parole suonano minacciose. I suoi splendidi occhi verdi si sgranano mortificati “Non volevo”. “Non preoccuparti” la tranquillizzo calmo “anzi, scusami se ti sono sembrato insistente” e girando sui talloni mi allontano. “Aspetta” trilla afferrandomi per un braccio e il solo contatto mi fa vibrare il basso ventre. Con deliberata lentezza mi volto e inclinando leggermente il capo per guardarla negli occhi, rispondo con voce suadente “Dimmi”.
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“Avevo frainteso” sussurra dispiaciuta “è che, mettiti nei miei panni” spiega allargando le braccia. “Ci starei un po’ stretto” le faccio notare con un sorriso e, finalmente, si lascia andare a una sentita risata. “Forse” concorda leggermente ammorbidita e abbassa nuovamente lo sguardo. Con un sorriso sicuro mi allontano di alcuni passi e subito catturo la sua attenzione. “Dove vai?” chiede divertita dal mio indietreggiare appositamente goffo. Non le rispondo e lascio che i miei occhi continuino a guardare i suoi, mentre mi avvicino e le sorrido con allegria “Permettete che mi presenti” inizio portandomi una mano sul cuore “il mio nome è Stefan...” Ed esibisco un perfetto inchino “voi siete?” chiedo, inarcando un sopracciglio. “Il mio nome è Martina, monsieur” risponde divertita e improvvisa un’improbabile riverenza. “Temo di aver sbagliato nel non presentarmi subito” mi mortifico pentito. “In effetti” concorda e tornando seria mi guarda di sbieco. “Cos’ho detto adesso?” chiedo incapace di capirla. “Niente” risponde e senza darmi spiegazioni ricomincia a camminare. “Aspetta un attimo” la blocco con il mio corpo. Lei solleva gli occhi e sospira “E’ tardi, devo tornare a casa”. “Ti accompagno” mi offro con gentilezza. “Già” ghigna “dimenticavo che la mia casa la conosci bene”. “Noto del sarcasmo” la informo senza allegria. “Una constatazione” risponde stringendosi nelle esili spalle “tu sei entrato nella mia camera, credi che lo possa dimenticare”. “Ovviamente no” replico, capendo dove vuole arrivare. “Non è normale” afferma seria “non può una persona normale fare quello che fai tu”. Resto a guardarla in silenzio, mentre la mia mente cerca di elaborare una risposta valida. “Quante persone normali conosci che hanno le visioni che hai tu?” domando, lasciandola spiazzata. “Come fai a sapere” inizia confusa.
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“Lo so e basta” rispondo enigmatico “ci sono delle cose, a volte, che è meglio ignorare”. “Le mie visioni non hanno niente a che vedere con te” sibila furente. “Dimmi di cosa hai paura?” chiedo avvicinandomi pericolosamente a lei. “Tu sei il male” sussurra indietreggiando. “Guardami” imploro domandandole “davvero ti sembro il male?” “Il male si presenta sotto forma d’angelo” risponde sottovoce. “Non sono, il diavolo” sibilo irritato all’idea del paragone. “Allora cosa sei?” chiede di rimando, senza smettere di guardarmi. “Lo sai” digrigno amaramente. “Voglio sentirlo dalle tue labbra” supplica in modo combattuto “affinché la mia mente si plachi e inizi a credere di non essere impazzita” rivela sottovoce. “Se credi che questo ti aiuterà” inizio con voce grave “eccoti chi sono” taccio passandomi distrattamente una mano tra i capelli ancora umidi e infine dichiaro “sono un Maledetto”. “Cosa?” corruga la fronte e indietreggia arrabbiata “smettila di prenderti gioco di me” grida, spingendomi via “non ti faccio un po’ di pena, la conosci la pietà” urla completamente fuori controllo. “Volevi le verità e io te l’ho offerta” rispondo sconcertato, mentre con i miei poteri doso l’altezza del suo tono. “Tu sei un vampiro, dillo” ordina con la voce arrochita e, spaventata, si porta una mano alla gola. “Se mi prometti di non urlare” inizio, ma lei capisce cosa voglio dirle e annuisce interrompendomi. “Dimmi che lo sei” prega sottovoce “e giuro che non griderò, ma non continuare a mentirmi” una sottile lacrima le scivola da un occhio “solo un vampiro può fare le cose che fai tu” sussurra “anche se non lo credevo possibile” tace per un attimo e con un movimento stizzito si asciuga il viso “ma in fondo, anche io sono strana”. “Non ti dico che sono un vampiro, perché dirlo non corrisponderebbe alla verità” inizio calmo, lei tenta di allontanarsi e allora la blocco afferrandole le spalle “ascoltami” la supplico con voce dolce, anche se sto cercando di diminuire al massimo la mia influenza, voglio che la sua reazione sia vera. “Sono un Maledetto” ripeto costringendola a guardarmi negli occhi “una specie di vampiro, se vuoi, ma in alcune cose siamo diversi” aspetto che assapori le mie parole e continuo “se me lo consentirai, te le spiegherò”.
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Resto in silenzio e senza accorgermene faccio scorrere le mani sulle sue braccia e fremo dal desiderio di abbracciarla. “Mi racconterai tutto?” domanda, accertandosi della mia buona fede. “Tutto” confermo “sarò a tua completa disposizione” aggiungo con un sorriso. “Ok” annuisce e si volta per andare a casa, ma a metà viale si ferma e guardandomi da sopra una spalla chiede “vuoi bere il mio sangue?”. Sorrido alla sua disarmante tranquillità “No, non ho sete” rispondo divertito. “Meglio” dichiara e il viso le s’illumina con un mezzo sorriso mentre mi saluta “a domani”. Stupito, resto a fissare la sua ombra che svanisce dietro l’angolo del cortile e inevitabilmente mi viene da pensare che è davvero una ragazza strana. In parte, questa serata è stata un successo, perché anche senza i miei poteri sono riuscito a destare in qualche modo il suo interesse. Domani è un altro giorno, speriamo solo di non sbagliare.
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Capitolo 15
Martina - Quinto giorno Guardando la sveglia con rabbia sussurro “Quando arriva l’alba”. Ho trascorso una notte completamente insonne, mille pensieri e dubbi affollano la mia mente e, soprattutto, c’è questo desiderio insensato di rivederlo, qui, in camera mia, per poter ascoltare di nuovo il suono della sua voce e inebriarmi ancora del suo profumo. “Sciocca” impreco girandomi sotto le lenzuola e nascondendo la testa sotto il cuscino; muovo convulsamente le gambe come una bambina che fa i capricci. “Perché non sei venuto?” chiedo al lenzuolo con rammarico. “Accidentaccio” brontolo poi, con un movimento stizzito mi metto sulle ginocchia e con sguardo perso guardo la camera che mi sembra terribilmente vuota. La sveglia segna le quattro, troppo presto per alzarmi e troppo tardi per uscire, desolata mi avvicino alla finestra. Uno splendido quarto di luna brilla alto nel cielo terso, mentre un silenzio innaturale invade le strade. “Perché desidero rivederlo?” mi chiedo, incapace di dare una giusta spiegazione “solo fino agli allenamenti di ieri sera ne avevo paura” sospiro confusa, appoggiando la fronte sul vetro “e poi cosa sono i Maledetti” lentamente mi lascio scivolare lungo la parete e una volta raggiunto il pavimento mi siedo appoggiando la schiena “ho perso tutte le mie certezze in un paio di giorni e non riesco neanche a definire cosa provo” copro gli occhi con le mani con un gesto contrito “perché sembro l’unica a essersi accorta che qualcosa non va, perché è successo a me” domando alla mia mente in fiamme, troppi dubbi per un’adolescente impeccabile, che nelle profondità del suo cuore desidera l’avventura. “Prenderò quel che viene” decido alzandomi con un solo movimento “se davvero esistono i vampiri o come si chiamano, pazienza, non mi tirerò certo indietro” dichiaro convinta “al massimo mi uccidono” aggiungo con un brivido lungo la schiena “e comunque, lui non vuole farmi del male” mi consolo “almeno così
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dice” mi colpisco la fronte a causa del sovraccarico di idee “non posso restare qui” impreco “non resisto” e afferrando un paio di jeans e una maglietta, corro in bagno a vestirmi. Pronta per la mia fuga notturna scrivo due righe alla mamma, afferro la giacca nera e staccando dalla parete il crocefisso di legno scuro, esco cercando di non fare rumore. Le strade sono praticamente desolate, solo qualche barbone che riposa ai margini e alcuni uomini loschi che trafficano di mali affari. <<Era meglio se rimanevo in casa>> penso, maledicendomi <<e poi, sono uscita per andare dove>> critico furente la mia idiozia, mentre con passi veloci continuo a muovermi, sperando di passare inosservata. “Non dovresti andare in giro a quest’ora” mi rimprovera una voce profonda e sconosciuta. Con timore mi giro e davanti a me c’è un uomo affascinante, i lineamenti decisi e delicati allo stesso tempo, occhi azzurri e labbra carnose atteggiate a sorriso. La mia mente vacilla e per un istante non riesco a pensare e a muovermi, come se ogni mio muscolo fosse immobilizzato dalla sua figura. “Non voglio grane” riesco a sibilare. “Non è mia intenzione” risponde avvicinandosi di un passo “a dire il vero sto cercando di proteggerti” spiega con tranquillità. Indietreggio, la sua vicinanza mi rende debole e timorosa, ma lui con uno scatto fulmineo mi si para davanti dandomi la schiena. “Levati di mezzo” urla una voce baritonale, minacciosa aggiunge “l’ho vista prima io”. “Scordatelo” replica l’uomo deciso “la ragazza non si beve” lo informa come se non ci fossi. “Sentimi bene” ringhia l’altro “io ho sete e lei è giovane e invitante”. Un ruggito esce dalla bocca della mia barriera umana e carica di un coraggio sconosciuto, mi sporgo per osservare il mio aggressore. Un essere alto e dal fisico atletico, gli occhi sporgenti e rossi, il viso rugoso e due canini candidi sporgono dalle labbra di mostro <<Chissà qual è il suo aspetto da cacciatore?>> mi domando, notando la bruttezza dei suoi lineamenti. “Vattene” ordina il mio paladino “a lui ci penso io”.
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Neanche il tempo di voltarmi e un altro essere orrendo mi blocca la via di fuga “Ce n’è un altro” grido preoccupata, ma stranamente non impaurita. Con la coda dell’occhio vedo il mio salvatore scagliarsi sull’avversario, mentre un ringhio disumano mi costringe a guardare il mio nemico. “Loro combattono e io mi sazio” ghigna divertito avvicinandosi a me. “Porca vacca!” esclamo furiosa con me stessa “la prossima volta imparo a uscire a quest’ora” infilo la mano in tasca e speranzosa estraggo il crocefisso “speriamo funzioni” prego e glielo paro davanti. Il mostro indietreggia “Non ti serve a molto quello” e illuminando il viso con un ghigno avanza e con un colpo secco fa cadere lontano la croce. Un grido di dolore esce dalle sue orrende labbra, mentre si tiene la mano ferita dal colpo “quegli aggeggi non li sopporto” sputa con disprezzo sull’oggetto sacro “adesso, pensiamo alla sete”. Con un balzo mi si avventa contro, rapida fletto sulle ginocchia schivando il suo calcio dalla velocità soprannaturale e rotolandomi a terra, cerco di allontanarmi da lui. “Non puoi fuggire” sibila scagliandosi nuovamente su di me, non faccio neanche in tempo a vederlo che mi ritrovo bloccata contro la parete. La sua mano gelida è stretta intorno al mio collo e l’alito fetido mi sfiora la guancia e mi da la nausea. “Ma da dove diavolo siete usciti?” chiedo a fatica, l’aria nei polmoni inizia a scemare. “Dall’inferno” risponde diabolico “e ora fa la brava” supplica ironico, mentre allenta la presa “lo sai, hai davvero un bel collo” sussurra cambiando aspetto, i lineamenti si ammorbidiscono e la voce diventa terribilmente suadente. <<Usa i tuoi poteri e inibisci la mia mente>> spero con la mente offuscata <<almeno la morte arriverà con piacere>>. Riesco a percepire la freschezza del suo alito che mi sfiora il collo mentre si avvicina e il profumo dolce della sua pelle. Chiudo gli occhi, conscia di quello che sta per accadere, non posso fare altro che sperare di svegliarmi da questo brutto incubo. “Reagisci” una voce potente e melodiosa si intrufola nelle nebbie dei miei pensieri “sta per ucciderti” grida disperato “puoi difenderti”.
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Spalanco gli occhi, attenti si posano sui capelli ramati del mostro, la sua disattenzione è la mia fortuna. Prendendolo alla sprovvista gli tiro una ginocchiata al basso ventre, lui indietreggia di pochi passi, ma mi bastano per tentare di fuggire. Lui ferma la mia corsa afferrandomi per un polso, con un rapido movimento scivolo dalla presa e afferro il suo con entrambe le mani, facendo forza sulla gamba sinistra, calcio con la destra colpendo il suo addome, velocemente inverte la posizione delle mani e con una facilità sorprendente, ruota il polso e mi fa fare una capriola schiantandomi con la schiena al suolo. “Stupida mocciosa” insulta imbruttendosi “cosa credi di poter fare contro un vampiro?” domanda ghignando. “Speravo di vincere” rispondo, intrattenendolo di proposito, il mio salvatore è alle sue spalle e con un movimento invisibile, lo tramuta in cenere. Sconvolta dagli eventi balzo a sedere togliendomi di dosso quella polvere mortale. “Adesso mi sveglio, adesso mi sveglio” inizio a ripetere in preda all’isteria, la cenere sui vestiti e un odore nauseante di urina e feci mi da la nausea. “Maledizione” sibilo guardando dove mi aveva buttato il mostro. “Vieni con me” mi consiglia il mio salvatore. “Non ci pensare” ribatto accigliata. “Se avessi voluto farti del male, pensi che ti avrei salvata?” chiede con un mezzo sorriso che gli illumina i lineamenti. Mi guardo intorno, forse è l’ennesima follia, ma ha ragione mi ha salvato la vita, non posso non seguirlo. “D’accordo” rispondo con un sospiro affranto e diligentemente lo seguo tra i vicoli storici della città.
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Capitolo 16
Stefan - Quinto giorno “Vieni” sento la voce ansiosa di Erik irrompere nel silenzio dell’appartamento. “Ben tornato!” esclamo alzandomi dal divano e subito le mie narici vengono assalite da un nauseante odore di escrementi. “Per favore, ricordami perché sono tuo amico” supplica con occhi spalancati. “Perché ci conosciamo da duecento anni e perché ti ho salvato la vita” rispondo divertito e istintivamente allungo il collo per vedere con chi è venuto. “Allora siamo pari” afferma soddisfatto e guardando alla sua sinistra incita qualcuno a entrare nella sala. “Tu” sussurra la fonte del cattivo odore. “Che cosa è successo?” chiedo preoccupato “stai bene?” “A parte che mi fa male ogni osso del corpo e che puzzo come una fogna, sono viva” sospira a suo agio “questa è casa tua?” “E’ stata attaccata da due vampiri” m’informa Erik interrompendola “e li ho dovuti uccidere per salvarla” sospira “ questo può essere un problema” mi fa notare con preoccupazione. “Grazie” replico senza staccare gli occhi dalla ragazza e chiedo avvicinandomi leggermente “sei ferita?” “No” risponde affacciandosi dalla vetrata “ma forse dovete spiegarmi qualcosina”. “Io devo andare” si intromette Erik indicando la finestra “ci vediamo stasera” aggiunge, scomparendo dietro la porta della sua camera. “Dove va?” chiede seguendo i suoi movimenti. “E’ l’alba” le faccio notare tranquillamente, mentre lotto con i miei sensi sviluppati che mi costringono a indietreggiare. “In effetti, non ho un buon odorino” scherza annusandosi i capelli ”a volte le strade sono delle latrine, ma la colpa non è degli animali ma dei padroni” aggiunge con impeto.
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“Cosa ci facevi in giro a quest’ora?” domando arrabbiato, adesso che la so al sicuro non posso non lasciar trasparire la preoccupazione “è pericoloso”. “Me ne sono accorta” risponde brusca “e tra le altre cose, mi sono anche accorta che essere cintura nera con voi non serve”. “Vuoi farti una doccia e cambiarti?” le propongo, incapace di sopportare la puzza. “Ecco, non so se” inizia a balbettare preoccupata. “Tranquilla, non minerò la tua castità, non m’interessa” la tranquillizzo con voce gentile e subito si ammorbidisce lasciandosi condurre in bagno. “Vado a prenderti qualcosa di pulito” la informo e lasciandola da sola, mi allontano. Il tempo di pochi passi e il rumore della chiave nella serratura che ruota mi fa sorridere. Ritorno dopo pochi minuti davanti alla porta chiusa. Sento lo scrosciare dell’acqua e la sua dolce voce intonare una strana melodia. Il desiderio di vederla mi brucia la mente. Quasi inconsciamente la mano libera si posa avida sulla maniglia e facilmente, grazie ai miei poteri, apre la barriera di legno. So che non dovrei farlo, ma la curiosità preme sulla ragione e silenziosamente entro nel bagno. Invisibile mi accosto al lavandino mentre lancio una rapida occhiata al vetro brumoso. Un attimo e sono perduto, davanti ai miei occhi si presentano in modo invitante le sue morbide curve, acerbe e desiderabili. Un crescente desiderio mortale irrompe nel mio corpo e la lucidità che contraddistingue la nostra razza, vacilla. Imprecando con me stesso poso la roba sulla vasca e velocemente esco richiudendo silenziosamente la porta alla mie spalle. Con lunghe falcate raggiungo il salotto, confuso spalanco le finestre e lascio ai caldi raggi solari libero accesso. “Grazie per il vestito” mi giunge la sua voce dopo poco. Mi volto al suono della sua voce, i suoi occhi mi guardano con un misto di rimprovero e gratitudine, mentre immancabilmente i miei si posano impunemente sul suo giovane corpo fasciato dall’abito nero. <<Quando è diventata così bella?>> mi chiedo spossato, l’abito che le ho portato è aderente e l’avvolge come una seconda pelle mettendo in risalto le morbide curve dei fianchi e la generosità del seno lasciato anche scoperto dall’invitante scollatura <<maledizione, non
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potevo darle qualcos’altro>> impreco con me stesso, mentre lotto con l’impulso di prenderla tra le braccia. “Immagino non fosse tuo” parla nel tentativo di interrompere la tensione. Sorrido a denti stretti mentre la vedo avvicinarsi. I miei occhi si posano prima sui piedi nudi, poi sulle gambe tornite e infine ripercorrono nuovamente il suo corpo terribilmente seducente. “Smettila di guardarmi così” irrompe nei miei pensieri con voce incerta. “Scusa” replico tornando a guardare fuori, nella disperata ricerca di placare il desiderio che mi scuote dall’interno. “Devi dirmi cosa sono i Maledetti” mi ricorda affiancandomi. “Non dovresti andare a scuola?” domando lanciando uno sguardo all’orologio. “Non ho l’abbigliamento adatto” scherza indicandosi “e comunque, la scuola è quasi finita e io posso tranquillamente saltare un giorno” spiega sfiorandomi involontariamente il braccio con il suo. Il suo profumo mi colpisce in modo prepotentemente dolce mentre propone “parliamo” e lentamente si va a sedere. I miei occhi seguono i suoi movimenti quasi ipnotizzati dal suo incedere, anche solo vederla camminare è insostenibile. “Cosa vuoi sapere?” chiedo e la mia voce suona brusca. Lei non mi risponde e sono costretto a guardarla nuovamente, questa volta mi fisso sugli occhi, ma la loro intensità non allevia il mio tormento “Allora” ingiungo in tribolazione. Dovrei dirle di tornarsene a casa, magari allontanandola riuscirei a ritrovare un po’ di calma, ma l’idea viene cacciata con la stessa velocità con cui è venuta. “Perché sei così scontroso?” chiede incredula “pensavo volessi un’amica con cui parlare” mi fa notare con cipiglio. “E la voglio” confermo con fervore. Lei storce le labbra e stringendosi nelle spalle si alza e inizia a scrutare la casa “Sai cosa pensavo” inizia cambiando discorso “che la tua casa assomiglia molto a quella del vampiro Antoine “ sorride guardandomi da sopra una spalla “e anche tu, assomigli a lui” aggiunge fermandosi davanti a una porta chiusa “scommetto che questa è la cucina” ipotizza con curiosità. Io annuisco e lei apre la porta. “Perfetta nella descrizione” sussurra estasiata. Sono colpito dalla conoscenza che ha di quel libro.
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“Scommetto che non c’è niente per me, qui” sorride dolcemente e si ferma davanti al frigo. “Te lo sconsiglio” l’avverto preoccupato della possibile reazione. Mi lancia un’occhiata furbesca, mentre le sue mani si posano sulla maniglia e lentamente lo aprono. Per un istante rimane immobile a fissare le sacche disposte in modo ordinato. “Come mai lo tenete diviso per gruppo sanguigno?” chiede con una naturalezza devastante. “Un gruppo a pasto” rispondo, perplesso. “Hai già fatto colazione?” domanda con uno scintillio negli occhi. “Ancora no” rispondo “ti va di andare al bar?” domando, capendo cosa in realtà vuole sapere. “Non vuoi un po’ di zero RH+” scherza guardandomi negli occhi. “Ancora per venticinque giorni, no” rispondo con un sorriso “e comunque, per colazione preferisco una sorsata di A-“. Richiude il frigo e mi si piazza davanti “Voglio sapere tutto” dichiara con tono serio “dai giorni che ti mancano, chissà per cosa, a cosa sono i Maledetti, a come mai puoi andare in giro di giorno e a come puoi mangiare brioches” aggiunge toccandosi lo stomaco “ma tutto questo dopo colazione, sto morendo”. Sorrido al rumore del suo stomaco “Vieni, andiamo a fare colazione” la invito indicandole la strada. La colazione sarà il tempo necessario per riordinare le idee e per riprendermi dallo scombussolamento che ha causato questo inaspettato incontro.
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Capitolo 17
Gaetano - Sesto giorno Ho sentito il suo grido squarciare il silenzio sacro di questo luogo e a distanza di giorni, non lo riesco a dimenticare. Senza un motivo preciso decido di uscire, poche fermate d’autobus ed eccomi davanti al “il Lingotto”. Osservo la porta di vetro per alcuni istanti prima di fare il mio ingresso. La luce fioca del locale addolcisce il mio sguardo che avidamente cerca un tavolo per sedersi. “In quanti siete?” domanda la cameriera in modo brusco, lo sguardo è serio e per niente sognante. “Sono da solo” rispondo spiazzato, nonostante stia usando i miei poteri, questa sera sembra esserne immune. Scontrosa mi indica un tavolo e, poco dopo, con mala grazia sbatte il boccale di birra davanti a me, lasciando che la schiuma schizzi fuori e mi sporchi un braccio. Mi lancia delle occhiate furtive, ma non sono ammalianti, hanno qualcosa di diverso. Demoralizzato dalla sua poca accondiscendenza, decido di tornare a casa. Con rapide falcate mi allontano, cercando di lasciare indietro il disagio che la sua accoglienza mi ha lasciato addosso. “Aspetta!” la sua giovane voce irrompe nel silenzio del vicolo desolato. Lentamente mi giro a guardarla, è a pochi passi da me, ha il respiro affannoso e le guance sono arrossate per la sicura corsa. “Cosa c’è?” chiedo scontroso, senza mostrare il piacere che mi procura vederla così vicino. “Ho bisogno di parlarti” risponde dopo aver ripreso fiato. “Di cosa” replico serio “non mi sembravi molto loquace stasera”. Sospira come per prendere coraggio “Ti ricordi l’ultima ragazza che è venuta via con te” chiede in modo retorico e continua “è stata uccisa” tace un istante senza staccare gli occhi dai miei “la morte è stata
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definita misteriosa, dissanguata e neanche una goccia di sangue a contornare il corpo”. “E perché me lo dici” replico impassibile. “Perché credo che sia stato tu” risponde seria e senza titubanze. “Tu sei pazza!” esclamo sorridendo. Lei si porta le mani davanti al petto stringendole in modo convulso “Lo credevo anche io” risponde piano “ma ho fatto delle ricerche” aggiunge senza smettere di guardarmi. Il leggero sorriso abbandona le mie labbra e la tranquillità svanisce “Che tipo di ricerche?” domando con interesse. Abbassa gli occhi e la sua voce è poco più di un sussurro mentre risponde “Il tuo fascino surreale, la tua capacità di rendermi inebetita, le tue apparizioni mensili e la consueta uscita con una sconosciuta che immancabilmente sparisce” sospira piano e riprende “la morte misteriosa di Debora dopo essere uscita con te e il mio insensato desiderio di vederti nonostante tutto, mi hanno fatto capire cosa sei”. “E cosa sono?” inquisisco serrando la mascella e incredulo su quanto ha dedotto. “Un Maledetto” risponde contrita ma convinta. Con un rapido movimento le afferro con una mano il collo e con forza la spingo contro la parete alle sue spalle. Solleva gli occhi, ma stranamente non intravedo la paura che mi aspettavo. La trasformazione è iniziata e il mio viso da mostro le scruta i lineamenti delicati “Devo ucciderti” ruggisco truce. “Lo so” risponde tranquilla, anche se sento i battiti accelerati del suo cuore. Chiude gli occhi mentre mi avvicino alla sua giugulare, invitante e profumata. “Non posso” sibilo rassegnato riacquisendo il mio aspetto normale. Anna spalanca gli occhi sorpresa “Non vado bene neanche come pasto?” chiede quasi delusa. Non riesco a non sorridere davanti alla sua tristezza “Per i cieli ragazza, non immagini quanto io ti desideri” sussurro piano. Lei sgrana gli occhi compiaciuta, come se non desiderasse altro che essere uccisa da me. “Ma non come ti desidererebbe un vampiro, ma come un uomo” le spiego con candore.
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“E allora prendimi come una donna” propone con impeto e i suoi occhi scintillano nel buio. “Non sai cosa stai dicendo” la rimprovero, conscio che la sua tranquillità è dovuta ai miei poteri. “Invece si” conferma sicura. “Sono un assassino” le ricordo acido “e parli così solo perché sei sotto la mia influenza” spiego con angoscia crescente. “Liberami dai tuoi poteri e lasciami scegliere” propone desiderosa di mostrarmi la realtà delle sue ammissioni. Perplesso le concedo quanto chiesto, forse solo perché in fondo al mio cuore spero che lei sia convinta di ciò che prova. “Adesso lo capisci che sono un assassino” dico in un sussurro, mentre lascio scivolare la mano dal suo sottile collo. “Sei solo una vittima” inizia con dolcezza “non sei stato tu a chiedere di essere maledetto” sorride e mi sento morire alle sue parole “sei costretto a sacrificare una vita al mese per il dio Apopi, altrimenti, ne sono sicura, non uccideresti mai” conferma sfiorandomi il viso con la mano. Faccio un enorme sospiro, nella speranza di placare l’impeto dei miei sensi mortali risvegliati dal suo tocco. “Non fare così” l’avverto, insicuro sulla mia capacità di controllare il desiderio. “Perché” domanda teneramente “non ho paura di te” rivela “e ti desidero” aggiunge, scatenando dentro di me un uragano di emozioni. Il suo sguardo sensuale stordisce i miei sensi e avidamente poso le mie labbra sulle sue, assaporando con impazienza la sua calorosa risposta. “Prendimi” supplica sulle mie labbra socchiuse. Agile e in preda all’eccitazione la prendo tra le braccia e velocemente la porto nella mia dimora, dove insieme assaporiamo ansiosi il dolce sapore della passione.
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Capitolo 18
Martina - Sesto giorno Sono seduta sul letto ormai da ore, il libro aperto in grembo e la mente rivolta altrove. Ieri è stata una giornata estenuante e ricca di avvenimenti. Stefan è stato gentile e ha risposto a tutte le domande che gli ho fatto, ma adesso non riesco a dormire e vorrei tanto poterne parlare con qualcuno. Un sospiro tremulo esce dalle mie labbra mentre richiudo il libro e lo poso sul comodino. Con occhi spenti osservo il titolo “Sangue” e la mente torna a quanto mi ha raccontato. Ha trenta giorni di tempo per farmi innamorare di lui, aveva in realtà, credo che adesso gliene siano rimasti poco più di una ventina. Dice che se non dovesse succedere, ritornerà a vivere da Maledetto, che destino triste il suo. “E’ tutto così assurdo!” sussurrò scostando le lenzuola. Con un rapido movimento scivolo giù dal letto e lentamente mi avvicino alla finestra. Sono le due di notte e la strada è ancora in fermento, un venerdì sera di baldoria, come tutti i venerdì del resto. “Accidenti!” impreco voltandomi a guardare il letto, devo assolutamente cercare di dormire, oggi dovrò fare un sacco di cose e per giunta, devo uscire e se non riposo adesso, finirò per addormentarmi stasera al pub. Spazientita, torno a letto e, infilandomi sotto il lenzuolo, chiudo gli occhi nel tentativo di addormentarmi. “Come vorrei innamorarmi di te” sospiro con tristezza, l’idea che la sua felicità dipenda da me mi fa stare terribilmente male. Con questo peso sul cuore continuo a rigirarmi nel letto, finché un sottile sonno non mi coglie all’improvviso, conducendomi con delicatezza nel regno del riposo. “Papi, mi presti lo scooter?” chiedo irrompendo in sala. “Preferirei che non andassi al pub, visto quello che è successo” replica guardandomi seriamente.
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“Dai Papà non preoccuparti” lo tranquillizzo “sono cintura nera” aggiungo sorridendo. “Sei comunque una ragazzina” replica sollevando un sopracciglio. “Ciao Asia!” saluto mia sorella che era nascosta dalla sua figura e allegra le corro incontro. “Ciao tesoro” risponde dandomi un caloroso bacio sulla guancia. “Che bello vederti!” esclamo “non sapevo che venissi a cena” aggiungo mortificata, all’idea di dover uscire. “Veramente sono passata per vedere come stavi” m’informa scrutandomi gli occhi “non sei più venuta a trovarmi” aggiunge, facendomi capire il sottinteso. “Sto bene” rispondo con un sorriso “non ho più avuto incubi, ma” inizio per poi interrompermi di nuovo. “Asia, perché non esci con tua sorella” propone nostro padre, cogliendo al balzo l’occasione. “Papà, vorrà uscire con i suoi amici” gli fa notare lei perplessa. “No, anzi” mi intrometto allegra “sarebbe bello se venissi”. “Non ti do fastidio?” domanda incredula. “Assolutamente no” rispondo sconvolta all’idea “ci mancherebbe” aggiungo prendendole un polso “ci divertiremo e poi ho un sacco di cose da raccontarti” dico lanciandole un sorriso complice. “Ok” risponde al sorriso con uno radioso “sono mesi che non esco” aggiunge allegra e mi segue in camera, dove finisco di prepararmi e inizio a raccontarle tutte le novità. “Questo posto non cambierà mai” afferma entrando nel locale. “Non credo” confermo “se pensi che è stato aperto nel 1824” aggiungo mentre con gli occhi individuo Anna. “Eccola!” esclama Asia indicandola. I miei occhi si posano increduli su di lei, i capelli sembrano più lucidi, gli occhi più chiari, la pelle più liscia e luminosa e le labbra sono atteggiate in un sorriso radioso. “Ciao Marti, Asia” ci saluta con euforia “venite” ci invita a seguirla e di buonumore ci lascia al tavolo allontanandosi con passi eleganti. “Cosa diamine le è successo?” chiede Asia sottovoce “Sembra un’altra” aggiunge pensierosa. “Non lo so” rispondo sinceramente “è… più bella” inizio senza staccare gli occhi da lei “si muove in modo leggiadro, sembra quasi sfiorare il pavimento”.
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“Anche la sua voce è cambiata” aggiunge Asia “il timbro è più dolce e sicuro”. “Fino all’altro ieri era come al solito” la informo stranita. “Stanno succedendo cose strane a Genova” dichiara appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle nocche chiuse. Annuisco e lentamente mi appoggio allo schienale. Un nuovo ingresso cattura l’attenzione di Anna e quindi la mia. Un giovane, assolutamente divino fa il suo ingresso. Lei lo raggiunge raggiante e con gentilezza gli indica un tavolo poco lontano dal nostro. “Deve essere uno di loro” ipotizzo piano. “Chi?” replica mia sorella. “Quel ragazzo” spiego indicandole il giovane. “E’ meraviglioso” fa eco, completamente rapita. “Smettila e concentrati” la rimprovero senza allegria, mentre vedo la mia amica servirgli un boccale di birra e mi riesce difficile non notare lo sfiorarsi distratto delle loro dita. Torno a guardare lui con un po’ di preoccupazione e se Anna fosse la sua prossima vittima. Incapace di trattenermi all’idea mi alzo e con passo spedito mi dirigo dal giovane. “Dove vai?” chiede Asia, ma le sue parole muoiono sulle mie spalle. Decisa, mi fermo davanti a lui e con forza ancoro le mani sulla spalliera di una sedia. “Posso esserti utile?” mi chiede cortese, la voce è melodiosa e il suo profumo è inebriante. “Sì” rispondo facendo appello a tutte le mie forze “lascia stare la mia amica”. I suoi splendidi occhi si spalancano alla minaccia “Chi, scusa?” domanda divertito, probabilmente consapevole del mio sforzo. “Anna è una mia amica” chiarisco seria “e non voglio che tu le faccia del male” sibilo a denti stretti. “Marti, vai a sederti” consiglia la mia amica che ci ha raggiunti. “E’ pericoloso” la informo sgomenta. “Non per me” risponde tranquillamente, lanciando uno sguardo d’intesa a lui. Mi prende con delicatezza un braccio per accompagnarmi al tavolo e nello stesso istante arriva una visione. Lo stomaco si chiude in una morsa gelida e la mente si annebbia come prima di svenire. Una stanza buia e fredda, due corpi nudi e gemiti di piacere immagini e
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suoni confusi invadono la mia mente. La stanza smette di girare e la fisso negli occhi “Come?” chiedo confusa. Lei sorride, capendo che la visione riguarda lei e sussurrando promette “Ti racconterò tutto, ma adesso non preoccuparti” mi lascia sedere e, prendendo l’ordinazione si allontana nuovamente, bella come questo strano rapporto l’ha resa. “Cosa succede?” chiede mia sorella preoccupata. “Non lo so, ma lo saprò presto” prometto ed espirando profondamente annuncio “per questa sera non preoccupiamocene, domani è un altro giorno” e con un po’ di fatica, affronto la serata di uscita.
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Capitolo 19
Stefan - Decimo giorno La sua risata argentina suona potente nella stanza e la sua eco si propaga con irruenza in questa casa avvolta nel buio. Con un rapido movimento le poso l’indice sulle labbra ridenti e dalla sorpresa, cade all’indietro appoggiando la schiena al materasso, mentre il mio corpo sovrasta il suo in una sensuale carezza. “Shh, non vorrai svegliare tutta la casa” sussurro a pochi centimetri dal suo viso. “Non è mia intenzione” risponde Martina, mentre un tenero rossore le colora le guance. Sento il battito accelerato del suo cuore e intuisco la sua emozione. Con calma mi avvicino alle sue morbide labbra che lentamente iniziano a schiudersi, desiderose di accogliere un mio bacio. Il rumore prodotto dalla vibrazione del suo cellulare sul comodino distrugge l’incanto e rapidamente mi allontano da lei. “E’ successo qualcosa” profetizzo in allerta. Impiegandoci qualche secondo in più finalmente si decide “Pronto?” sussurra piano. E’ evidentemente scossa per quello che stava per succedere e non è successo. Urla concitate giungono dall’altro lato del telefono. “Non fatele del male” tuona una voce maschile che in un primo momento non sappiamo riconoscere… “Prima uccideremo te e poi, ceneremo con lei” ruggisce una voce orribile dal suono infernale.. “Non mi serve neanche urlare in un cimitero” ecco finalmente la voce di Anna, tremula e sottile. “Devo andare” urla Martina scendendo dal letto, è di nuovo vigile e sicura.
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“Vengo con te” propongo “con me arriverai prima” aggiungo mentre la vedo infilarsi le scarpe. Apre un cassetto e sotto gli indumenti estrae un paletto appuntito “E quello?” chiedo sorpreso. “Non è di frassino, ma sono sicura che fa male” risponde tranquilla e salendo sulla mia schiena, si lascia condurre al cimitero. Il tempo di un suo respiro ed eccoci fermi davanti alla cripta “E’ questa” affermo guardando la porta socchiusa. Senza riflettere è già dentro. “Lascia fare a me” le dico fermandola per un braccio. “E’ una mia amica” risponde con un lampo d’ira negli occhi “al massimo puoi venire con me”. “Testarda” accuso con rabbia e nonostante sappia che la sua è una scelta folle, mi appresto a seguirla. “Adesso morirai” ruggisce un mostro sul corpo legato del Maledetto. “Non è meglio cenare prima” esclama Martina facendo il suo ingresso e attirando completamente l’attenzione. “Ragazzina” ringhia il vampiro dai capelli corvini che era impegnato con il mio simile “sei venuta a sacrificarti” ghigna, divertito “allora forse farò prima un antipasto” e si scaglia su di lei. L’altro mi vede e gli occhi gli si illuminano di gioia “Non la salverai la tua amichetta” mi informa e con un ruggito si scaglia su di me. Le sue mani adunche si arpionano sulla mia camicia nel folle tentativo di stritolarmi il collo. Rapidamente infilo le mie mani nel triangolo delle sue braccia e con un colpo secco gliele sposto, per poi afferrargli con una mano il collo e spingerlo con un balzo contro la parete. I suoi occhi rossi bruciano di ira mentre ringhia la parola “Maledetto”. “Stefan” grida Martina lanciando il paletto, che come un proiettile si infilza nel petto del mio nemico tramutandolo in cenere. Atterro delicatamente al suolo e vado a liberare il mio simile, mentre la sento correre verso la sua amica, che era immobile e sanguinante nell’angolo più lontano. “Come stai?” le chiede con voce seccata dalla tensione. “Bene” risponde l’altra a stento. “Santo cielo ti hanno spaccato il naso” sibila a denti stretti e sento la rabbia nelle sue parole. “Tranquilla, passerà” cerca di tranquillizzarla Anna, ma un leggero gridolino la mette in allarme.
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“Ti devo portare al pronto soccorso” dichiara Martina alzandosi in piedi per aiutare l’amica. “Lei la porto io” si propone il Maledetto non appena l’ho liberato. “Sta lontano da lei” digrigna Martina con furia “non credi di aver già fatto abbastanza”. “Marti, ti prego” supplica l’amica faticando a restare in piedi. “La porto io” mi offro gentilmente e mi rivolge lo stesso sguardo furente. “Non vi voglio” grida “siete troppo pericolosi” aggiunge iraconda “stateci lontano”. “E’ pericoloso la fuori senza di noi” dico nella speranza di farla ragionare. “E’ pericoloso con voi” ripete e, sorreggendo l’amica si avventura verso l’uscita. “Devo andare con lei” sibila il Maledetto con impeto. “Lo so” dico comprensivo “ma le seguiremo a distanza” aggiungo preoccupato. “Come può una mortale comandarci” sputa uno schizzo di sangue. “Augurati che Anna non ti odi dopo questo” lo metto in guardia “se la furia di Martina passa a lei, per te è la fine”. “Se non dovesse più amarmi, uccidimi” dichiara con convinzione “la mia esistenza sarebbe nulla senza di lei”. Capisco le sue parole e le sento come se fossero mie. Un dolore straziante mi lacera il petto all’idea di non rivederla più. Il sentimento che mi lega a lei va oltre il Sigillo e oltre al mio desiderio di libertà. L’idea che possa odiarmi davvero è come la morte che si annuncia e che ancora non ti prende. Inspiro profondamente, come se servisse, e sento il mio compagno di sventura fare lo stesso. Rapidamente indossa una camicia pulita “Andiamo” annuncia subito dopo imboccando l’uscita. Li seguiamo a qualche metro di distanza, abbastanza lontani per non essere visti e per sentire. “Sta soffrendo moltissimo” mi informa Gaetano come se io non avessi il super udito “senti il suo respiro”. “Sento” confermo dispiaciuto per tutti “speriamo solo che l’ambulanza faccia presto”. “Avrei fatto prima io” mi interrompe con impeto “quella ragazzina cocciuta”.
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“E’ solo preoccupata per Anna” spiego. “Perché, io no” insiste furente “credi che non mi senta già abbastanza in colpa” aggiunge tacendo un istante “non dicono niente” sospira “possibile che non abbiano niente da dire” impreca battendo un pugno contro le mura del cimitero. “Questa rabbia non serve” lo ammonisco “aspetta che venga curata, vedrai che con un po’ di morfina le cose andranno meglio”. “Ce ne vorrebbe un po’ anche per la tua amica, anzi, un tranquillante, sembrava una furia la dentro”. “In effetti” concordo spostando lo sguardo alla nostra destra e con sollievo vediamo arrivare l’ambulanza. “Chi è?” chiede interessato “una cacciatrice?”. “No” rispondo senza staccare lo sguardo da lei “credo sia un’Eletta”. “Bene” rimbrotta furioso. “Cacciatrice o Eletta, cosa ti cambia?” chiedo confuso dalla sua risposta ostile. “E’ quasi l’alba” risponde indicando il cielo “devo andare” sospira “beato te che sei nel mese” aggiunge invidioso. “Mica tanto” ribatto senza allegria “se pensi che la donna del Sigillo non vuole più vedermi”. “Ognuno ha la sua croce” afferma ridendo delle sue stesse parole e rapidamente si dilegua nel luogo sacro, lasciandomi da solo a riflettere, sui restanti venti giorni.
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Capitolo 20
Martina - Dodicesimo giorno Percorro questa salita senza entusiasmo, ormai sono a pezzi, distrutta dalle mancate ore di sonno e dai troppi pensieri. Una leggera brezza mi scompiglia i capelli e un delicato profumo di viole avvolge i miei sensi. Entro lentamente, quasi come se sapessi di andare incontro a qualcosa di negativo. Varco la porta della sua stanza e facendo appello all’ottimismo la saluto. “Buona sera!” esclamo sorridendo e aspetto un’altra sua triste risposta. “Ciao” risponde con un sorriso sincero che frantuma all’istante il mio autocontrollo. “E’ stato qui” affermo senza bisogno di una risposta. Annuisce e io mi infervoro maggiormente “Come hai potuto lasciarlo entrare?”. “Volevo vederlo” risponde sottovoce. “Ti ha quasi uccisa” le ricordo acida. “Non è stato lui a spaccarmi il naso” tenta di farmi ragionare. “Accidenti Anna” impreco portandomi alla finestra “se non fosse il mostro che è, non sarebbe successo”. “Non voglio ascoltarti” ribatte lanciando un piccolo gemito. “Non agitarti” cerco di tranquillizzarla andandole vicino, ma lei scrolla il braccio liberandosi così della mia presa. “Tu non puoi capire” mi accusa con gli occhi lucidi “se provassi quello che provo io capiresti”. “Sono i suoi poteri ad averti influenzato” tento di farle ragionare. “Davvero non vuoi capire” singhiozza portandosi una mano alla fasciatura “il naso rotto non è niente, rispetto al dolore che avrei provato se lo avessi perso”. “Ti ha resa sua schiava” ringhio furiosa, incapace di capire le sue parole.
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“Mi ha resa libera” replica con impeto “di vivere, di amare e di essere me stessa”. “Bene” ribatto furiosa davanti alla sua cecità “se sei contenta di rischiare di morire ogni giorno, fa pure”. “Esatto” concilia “e adesso per favore vattene” supplica non riuscendo a trattenere i singhiozzi “lui mi rende felice e sarei disposta a morire, pur di vivere ancora qualche giorno con lui”. “E’ ridicolo” “Taci” mi interrompe arrabbiata forse più di me “il fatto che tu abbia degli strani poteri e che mi abbia salvato la vita non vuol dire niente” grida attirando l’attenzione degli infermieri “il giorno in cui incontrerai la tua metà, quella vera, capirai di cosa sto parlando adesso” sospira a denti stretti “vattene”. I miei occhi restano a fissarla sgomenti, la mia migliore amica mi sta voltando le spalle per un mostro, mi caccia via e annulla tutti gli anni trascorsi insieme per lui. “E’ meglio che se ne vada” ingiunge la voce dell’infermiere mentre mi afferra per un polso. Con un rapido movimento mi libero dalla presa e per un solo istante lo guardo come se fosse un vampiro. “Signorina?” chiama e la sua voce sembra spaventata dall’assenza di espressione nel mio volto. “Me ne vado” lo tranquillizzo, ma la mia voce suona rabbiosa e in fondo lo è. Ruoto su me stessa e senza guardarla mi allontano, con il cuore spezzato e un nodo di lacrime bloccate in gola. Il leggero venticello che mi colpisce il viso non smorza la mia rabbia e tantomeno la mia delusione. Guardo il cielo scuro e un pensiero affiora subito nella mia mente “E’ già tramontato il sole, presto sarà qui”. Mi siedo su una panchina poco lontana dall’ingresso con il desiderio di vederlo e, con la speranza che passi da questa parte aspetto. Un delicato profumo di gerani raggiunge le mie narici, sollevo lo sguardo e inizio a scrutare il fondo della salita, so che è lui, lo sento. Rapidamente mi alzo e senza staccare lo sguardo intravedo una figura muoversi nel buio. “Sei arrivato finalmente” sibilo avvicinandomi e tirando un bel gancio sul suo viso perfetto. Indietreggia di alcuni passi portandosi una mano al naso e dopo un secondo solleva gli occhi.
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“Non ci sperare” dice togliendo la mano e storcendo il naso “non ho nessuna intenzione di difendermi”. “Hai paura che ti spacco il naso” replico ironica e irata allo stesso tempo. “Non reagirò” ripete serio “non ho nessuna intenzione di farti del male”. “Io sì” lo interrompo con impeto “e se non fosse per quella pazza che si dice innamorata di te, ti ucciderei in questo istante” spiego furiosa. “Lo so” conferma ridendo. “Cos’hai da ridere?” chiedo irritata dalla sua calma. “So che mi odi, lo percepisco” “Non ci vuole un gran potere per capirlo” replico senza farlo finire. “E allora fallo” mi istiga “io non ti fermerò, so che puoi farlo”. “Sentimi bene” inizio dopo un profondo respiro “Anna è mia amica e le voglio bene, non ho niente contro di te, ma sappi, che se dovesse succederle qualcosa, verrò nella tua bella cripta e ti pianterò un paletto nel cuore”. “Tengo a lei più della mia stessa vita” replica sincero “ti assicuro che ho sofferto di più nel vederla soffrire che alle mie stesse torture” tace un istante “se non fossi in grado di proteggerla, spero che tu mantenga la minaccia e venga a uccidermi, non esisterebbe niente dopo di lei”. “Stai usando i tuoi poteri su di me?” chiedo, emozionata dalle sue parole. “No” risponde candidamente “so che sei solo preoccupata perché le vuoi bene” aggiunge scalfendo la mia rabbia e facendomi lentamente sentire in colpa. “Prenditi cura di lei” supplico incapace di continuare a guardarlo negli occhi, ogni sua parola è la testimonianza di un vero amore, neanche nei romanzi esiste un simile trasporto. Chiudo i pugni e raccogliendo le forze necessarie per non crollare davanti a lui come una bimba in lacrime, inizio a correre, fuggo da lui, da lei e dal dolore che provo e che non so neanche spiegare. Corro lontano, per tornare a casa, forse, non lo so, sono confusa e tremendamente triste, voglio stare da sola, ecco, si ne ho bisogno.
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Capitolo 21
Stefan - Tredicesimo giorno La notte è il momento della giornata che preferisco. Adoro essere avvolto dal suo pacato silenzio e immergermi nel caldo suono dei respiri regolari del sonno. Anche questa notte mi beo della sua bellezza, stando seduto su questo bel divano a osservare il cielo stellato attraverso il vetro della finestra. <<Patetico>> penso sprezzante <<sono davvero patetico>>. “In effetti lo sei” concorda Erik spuntando silenziosamente alle mie spalle. “Potresti evitare di usare i tuoi poteri su di me” l’ammonisco guardandolo da sopra una spalla. “Scusa” si mortifica con un sorriso sornione “è che sono troppo curioso”. “La curiosità porta alla tomba” gli rammento senza sorriso. “I luoghi sacri mi rigettano come se fossi un fegato trapiantato male” replica divertito. “Faresti prima a chiedermele le cose che a leggere i miei pensieri, sai che non lo sopporto” ripeto seriamente. “Esci con me” propone sedendosi al mio fianco “la notte è ancora giovane e io ho fame” aggiunge allegro. “Apri il frigo” propongo con semplicità. “Si vede che sei nel tuo mese buono” ghigna “il frigo è vuoto, bisogna andare a fare la spesa”. “E ti serve compagnia” ironizzo scettico “non mi dirai che hai paura di andare in giro da solo”. “Non ho paura” replica con occhi fermi “solo che” tace un istante e continua “i vampiri sono in fermento, sanno cosa ho fatto e adesso mi danno la caccia” si alza di scatto “ho rotto il patto per la tua amichetta, che tra le altre cose non ti vuole più vedere e ogni notte rischio di essere impalettato”.
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“Tu che hai paura di essere ucciso, è ridicolo” dico senza trattenere il sorriso. “Ok, è una bugia, ma non posso vederti e sentirti, in questo modo” spiega disgustato. “Uno, esci e due, non leggermi” preciso “vedrai che sopporterai meglio la mia tristezza”. “Devi reagire, hai ancora sedici giorni” mi incita preoccupato “non puoi lasciar correre” si interrompe portandosi una mano allo stomaco “devo proprio andare”. “Salutami il dottore” dico seriamente “e digli di farti uno sconto extra”. Lui sorride e afferrando la giacca di pelle nera, esce veloce. Nell’appartamento cala di nuovo il silenzio, chiudo gli occhi e lentamente scivolo sullo schienale fino ad appoggiare la nuca. Parlare con Erik è complicato, a dire il vero lo è proprio parlare. Certe volte mi sembra di non dire niente e di ascoltare zero. Come vorrei che questo mese fosse già finito, in modo da tornare alla mia vecchia vita, triste e dolorosa, ma piena. Adesso sono un ibrido che soffre come un umano, ma con la mente di un maledetto e una sete da vampiro. Ancora sedici giorni di solitudine e non so qual è la pena più grande. Se sapere che c’è ancora tutto questo tempo oppure, capire che non ce ne sarà mai abbastanza. “Anche pensare sta diventando enigmatico da quando sono mortale”. Un respiro irregolare si sta facendo strada nel pianerottolo, accompagnato da passi leggeri e femminili che si fermano davanti alla porta di ingresso. Con un movimento fulmineo, dato dalla sorpresa, mi stacco dal divano e corro ad aprire. La porta lentamente si schiude e lascia entrare un delicato profumo di muschio, seguito dalla visione più bella e inaspettata che potessi avere. “Stai uscendo?” mi chiede con la sua voce sottile e lievemente imbarazzata. “No, ti ho sentita arrivare” rispondo sottovoce, senza staccare gli occhi dai lineamenti del suo viso. “Non posso certo farti una sorpresa” tenta di scherzare mentre si tortura le dita. “Non credevo che ti avrei più rivista” rivelo leggermente scosso, questa è la parte umana che mi da più su i nervi, le emozioni.
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“Io credevo che non volessi più vedermi” replica abbozzando un sorriso. Resto per un attimo in silenzio, insicuro su cosa dire, poi finalmente la invito a entrare. “Erik è in casa?” chiede entrando in sala. “No, è andato a fare la spesa” rispondo con un sorriso. Si volta a guardarmi e sollevando un delicato sopracciglio ripete “Spesa?”. “Dobbiamo pur mangiare” rispondo indicandole il divano “e se non vogliamo uccidere tutti i giorni qualcuno, bisogna che ci procuriamo il sangue in qualche altro modo” sorrido “c’è chi vende le sacche di sangue a noi”. “Sanno a cosa vi serve?” chiede scandalizzata. “Certo” rispondo sedendomi al suo fianco “a dire il vero inizia a esserci anche la concorrenza”. “Immagino il venditore di sacche come quello del cocco” sorride all’idea “piedi nudi, secchio in mano e cappello bianco mentre urla sulla spiaggia ‘sangue fresco, sangue’”. “Allora guadagnerà poco” replico ridendo “quanti clienti potrebbe mai avere sotto il sole, forse gli dovremmo dare due dritte”. “Beh, preferisco immaginarlo su una spiaggia al sole, che in una cantina buia e maleodorante, io non lo comprerei mai” nota la mia espressione e scoppia a ridere imbarazzata “andate in una cantina, vero?” si copre il viso con le mani “vengo per chiederti scusa e continuo a fare danni” si rimprovera “forse è meglio se sto zitta”. “Mi piace sentirti parlare” la tranquillizzo prendendole un polso e liberandole il viso “a proposito, perché sei venuta?” chiedo di proposito. Prende un profondo respiro e inizia “Mi dispiace averti trattato male, non ne avevo alcun diritto” si sposta leggermente sulla seduta per guardarmi meglio “è tutto così nuovo per me e quando sono entrata in quella tomba e ho visto Anna sanguinare in quel modo non ci ho visto più” tace un istante, forse solo per rimettere in ordine le idee e continua “è successo tutto troppo in fretta, so che tu non hai tempo, il Sigillo, i trenta giorni e così via, ma per me è difficile” si alza e rapida raggiunge la finestra “non riesco neanche a capire cosa provo e come mi sento”. “Non devi pensare al Sigillo” dico avvicinandomi a lei.
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“Sono i miei sentimenti a determinare il tuo futuro” dice disperata e una sottile lacrima le bagna il viso e aggiunge con dolore “credo tu abbia fatto una pessima scelta scegliendo me”. “Non credo” replico asciugandole la calda lacrima. “Non capisci, io sono incapace di un sentimento così forte” ammette lasciandomi cullare il suo viso “guarda Anna, lei morirebbe per lui e non ha certo avuto bisogno di trenta giorni per capirlo” singhiozza rumorosamente nella mia mano “io non ti posso amare”. “Non te lo sto chiedendo” replico continuando ad asciugarle il viso. “Non mentire” mi rimprovera spostandosi con stizza “e il tuo buonismo mi fa sentire un mostro, tutti mi fate sentire un mostro”. “Un mostro, ma sei impazzita?” quasi urlo dall’incredulità “per Dio, non sei tu il mostro, ma io”. “Ho litigato con Anna” mi interrompe “la mia migliore amica sai cosa mi ha detto, che non sono in grado di capirla perché non provo niente di simile e ha ragione, io non ti amo, ci ho provato in tutti i modi, ma non morirei per te” rivela tra un singhiozzo e l’altro. Possibile che si senta in colpa per questo. “Non ti chiedo neanche questo” riprendo dopo un attimo di silenzio e mi avvicino nuovamente a lei. “Mi dispiace non essere una persona buona” sussurra tra le lacrime. “Eri pronta a morire per salvare la tua amica, come la chiameresti una persona capace di un simile sacrificio” tento di farla ragionare. “Lo avrebbe fatto chiunque” si schernisce asciugandosi le lacrime “perdonami” aggiunge sospirando. “Certo, nei miei duecentoventi anni di vita ne ho viste molte di persone con il tuo altruismo, gettarsi in pasto a dei vampiri per sfida”. “Non mi ci sono gettata” replica arrossendo leggermente “e che non potevo restare a guardare”. “E’ questo il punto, hai seguito il cuore e non la ragione” le spiego “questo ti rende speciale e non un mostro”. “Speciale” replica massaggiandosi la fronte “le visioni sono” si interrompe, come se alla mente le fosse venuta una domanda antica e mi lancia uno sguardo nuovo “Cosa vuol dire Eletta?”. “Gli Eletti sono persone dotate di poteri speciali” rispondo tornando a sedermi. “Tipo cacciatore di vampiri?” domanda scettica. “Nooo” replico divertito all’idea.
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“Scusa, ma gli Eletti non hanno alcun obbligo verso gli indifesi”. “Direi di no” spiego “ognuno usa i propri poteri a sua discrezione, nessuno è obbligato a fare niente” preciso facendo schioccare le dita “i telefilm travisano sempre il reale stato delle cose”. “E secondo te, io posso far finta di niente, sapendo che sono in grado di uccidere i cattivi?” chiede sorpresa. “Dico solo che i buoni e i cattivi viaggiano su due strade parallele sulla stessa terra, non ci sono mai stati paladini della giustizia e tu non devi esserlo”. “E se volessi fare qualcosa in più, che fingere che non esistiate?” chiede con furore. “Ovviamente io spero che tu non mi dimentichi” replico sorridendo. “Hai capito a cosa mi riferisco” si schernisce. “Puoi fare ciò che vuoi dei tuoi poteri” le spiego “sei libera, tutto qui”. “Libera” ripete in modo pensoso. La porta d’ingresso si apre, lasciando entrare il profumo di pino e rugiada. “Che ore sono?” si chiede Martina guardando l’orologio e, sgranando gli occhi preoccupata, m’informa “devo andare, è tardi” strilla “se i miei non mi trovano in camera gli viene un infarto” e rapidamente esce di casa urlandoci un affrettato “ciao”.
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Capitolo 22
Martina - Quindicesimo giorno “Ciao Anna, come stai?” trilla Elisa allontanandosi da me. “Bene” risponde la mia ex migliore amica lanciandomi uno sguardo basso. “Sapessi com’eravamo preoccupate per te” esordisce Sabrina parandosi davanti a me e oscurando per un attimo la visuale. “Immagino” replica Anna con voce fredda “credo di averlo capito non vedendovi in ospedale”. “Dai, cerca di capire” si giustificano all’unisono e il loro imbarazzo è veramente triste. “Tranquille” le rasserena con un sorriso gelido “sono abituata alle vostre premure” la sua voce è tagliente e sconosciuta, completamente nuova. “Siamo amiche, non dovresti essere così dura” protesta Elisa con stizza “non è colpa nostra se ti hanno aggredita”. “Certo che no, come potrebbero aggredirvi, solo a vedervi avrebbero paura”. “Sei crudele e di cattivo gusto” si lagna Sabrina “per fortuna è l’ultimo giorno di scuola, dai Eli entriamo” ordina poi con autorevole boria e con il loro ancheggiare svaniscono nel portone. “Credi che sia stata dura?” domanda con mia sorpresa. “Sentirsi tradite dalle proprie amiche, fa male” rispondo seriamente. “Mi dispiace” sussurra sottovoce “non volevo …”. “Non importa” la interrompo con calma “non devi scusarti, a volte le esperienze ci cambiano” prendo un secondo e la guardo negli occhi “la colpa è stata mia e della mia presunzione, credevo che a causa dei miei poteri io dovessi e potessi dirti quello che dovevi fare, ma non era e non è così” sospiro affranta “io sono tua amica e lo sarò sempre anche se Gaetano è quello che è, ma anche io sono quella che sono”.
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“Cosa…?” cerca di interrompermi, ma le chiedo di fare silenzio e di ascoltarmi ancora un attimo portando il mio indice davanti alla sua bocca. “Ho avuto modo di pensare a tutta questa storia e ho deciso” i suoi occhi si spalancano davanti alla sicurezza della mia voce “sono una fortunata, mi piace chiamarmi così” sorrido per rassicurarla “ho dei poteri, bene, allora credo sia giusto utilizzarli per proteggere una mia amica, la mia migliore amica e lo farò, in modo che nessuno possa farti del male, quindi se vuoi stare con Tano fai pure, ci sarò io a guardarti le spalle”. “Grazie” sospira commossa “sono contenta che tu non sia arrabbiata per quello che ho detto”. “Non preoccupartene adesso” scherzo per sdrammatizzare “per quello, riceverai un pugno appena il naso sarà guarito”. Risponde al mio sorriso con uno ricoperto di lacrime “Mi sei mancata”. “Anche tu” rispondo abbracciandola “adesso però andiamo in classe e affrontiamo questo ultimo, felice giorno di scuola. “Accidenti, quanto tempo è che non dormi in camera tua?” chiedo con ironia. “Un po’” risponde sorridendo “tra l’ospedale e le fughe notturne, non ci sono praticamente mai”. “Non se n’è accorta?” domando stupita. “Per accorgersene dovrebbe venire in camera” considera tranquillamente. “Non te la prendere” la consolo con un sorriso. “Oh, ma io non me la prendo, anzi, sono contenta del suo disinteresse, così la notte posso andare da Gaetano” rivela ammiccando in modo malizioso. “Dov’è finita la mia Anna” sospiro alzando gli occhi al cielo. “E’ proprio davanti a te” risponde allegra “sono contenta che hai accettato di venire da me”. “Dovevo assicurarmi che arrivassi a casa” replico con ironia. “Certo” concorda mentre si toglie gli indumenti e indossa una tuta leggera “vado un attimo in bagno” mi informa poi, svanendo attraverso la porta di legno scuro. Nell’attesa, non mi resta altro da fare che osservare l’ordine della sua stanza, irriconoscibile. Con calma faccio scorrere lo sguardo sulla
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libreria che sovrasta il suo letto e magnetico, si sofferma in modo insistente su un libro in pelle scura con sul dorso una scritta dorata “Earth Mistery”. Incuriosita allungo la mano e con un tocco leggero lo estraggo dallo scaffale “Accidenti quanto pesi” sussurro al croce greca in rilievo che orna la copertina. Colpita dalla piacevole fattezza del testo, mi siedo sul bordo del letto e inizio a sfogliarlo. Le pagine sono ingiallite e un nauseante odore di muffa e di vecchio fuoriesce dalle spesse pagine. Le parole sui fogli sono scritte a mano e formano un delizioso ricamo dai tratti antichi. “E’ aramaico” mi informa Anna, facendomi sussultare. “Sai l’aramaico?” chiedo incredula e scettica allo stesso tempo. Sorride divertita “Certo che no, vedi è tradotto in inglese, io so l’inglese” spiega con ironia. “Che cos’è?” chiedo sollevando il testo. “Un libro un po’ antico, quindi prestaci un po’ di attenzione” risponde togliendomelo dalle mani. “Dove lo hai preso?” domando ancora, la curiosità è un pessimo difetto. “Da un collezionista” risponde riponendolo nello scaffale “mi serviva per capire”. “Per capire cosa?” inquisisco ancora. “Come credi che abbia fatto a capire questa storia dei Maledetti” inizia sedendosi sulla sedia di fronte a me. “Le prime volte che ho visto Gaetano al pub ho pensato solo che fosse figo, poi, ho iniziato a percepire il suo magnetismo e il mio completo abbandono. Tutte quelle ragazze che svenivano arrendevoli davanti a lui, era assurdo, per quanto le comprendessi sapevo che c’era qualcosa di strano”. “Non sapevo che esistessero testi del genere” rivelo “sapessi quanto ho cercato su internet ma non ho trovato niente e pensare che nei telefilm sembra così facile reperire informazioni”. “Basta solo sapere dove cercare” sorride stringendosi nelle spalle “e questo libro spiega tante cose, dovresti leggerlo” mi consiglia riprendendolo nuovamente. “Lo leggerò volentieri, Stefan mi ha spiegato tante cose, ma ho ancora molti dubbi”. “Vuoi parlarne” chiede massaggiandosi il naso fasciato. “Non so da dove iniziare” spiego con calma.
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“Inizia da un punto qualsiasi, vedrai che man mano farai luce sulle cose”. “Cosa sai sugli Eletti?” chiedo accarezzando la copertina scusa. “In che senso?” ribatte tornandosi a sedere di fronte a me. “Mi chiamano Eletta” spiego con un timido sorriso. Dopo un profondo respiro inizia “Gli Eletti sono esseri umani dotati di poteri particolari” tace un istante strofinandosi gli occhi e continua “persone speciali nella loro normalità”. “Cosa vuoi dire?” chiedo confusa dalle sue parole. “Per capirci, gli Eletti non sono per forza dei super eroi, a volte hanno anche solo il potere della veggenza, tipo te” mi sorride nel tentativo di consolarmi “ma tu non hai solo quello, tu hai anche una notevole forza” puntualizza guardandomi dritto negli occhi. “E’ questa mia forza il punto” irrompo nel suo discorso. “Cioè? Non ti seguo” m’informa scuotendo il capo. “Stefan mi ha detto che questi poteri non comportano alcun obbligo, niente supereroina, ma non credi anche tu che sia uno spreco far finta di non averli?” chiedo speranzosa. “Guarda che non siamo a Sunnydale, non servono le ronde notturne” ironizza dandomi una pacca sulla spalla. “Non voglio fare le ronde” replico fingendo il broncio “ma neanche far finta di non sapere cosa c’è in giro”. “E cosa c’è in giro?” mi obbliga a seguire il suo discorso “alcuni Maledetti, è vero, ma non sono un pericolo” sospira con un sorriso “non sono propensi a fare del male”. “Hai pensato, che per ognuno di loro deve esserci un’offerta mensile al Dio Apopi” le ricordo con dispiacere. “Sono sacrifici inevitabili” precisa lei. “Omicidi inesorabili vorrai dire”. “E necessari” continua lei “se non sacrificassero almeno una vita per il loro Dio la pena sarebbe talmente alta da fargli sfiorare la pazzia e, la loro immortalità, passerebbe facilmente da premio a punizione. Ardere vivi nel Magma incandescente pur rimanendo in vita solo per poter continuare a soffrire, sentire la pelle staccarsi dal corpo e le proprie grida riecheggiare nelle viscere della terra”. “Macabro” la interrompo non riuscendo a sopportare l’immagine di corpi arsi vivi. “Tremendamente reali” precisa sfiorandomi una mano “hai paura di questa realtà?” mi chiede con naturalezza.
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“Ammetto che non mi fa piacere sapere che siano costretti a uccidere per poter continuare a vivere” dico, cercando di trattenere un brivido “tu lo puoi sopportare?”. “Posso capire” risponde con fredda calma “nella vita bisogna scegliere le proprie priorità, io ho scelto Gaetano e con lui, tutte le sue inquietanti realtà”. “Ti rendi conto che” inizio tentando di fare un’altra domanda, ma la voce squillante della madre irrompe in camera. “E’ pronto da mangiare” ci informa senza aprire la porta. “Adesso capisco perché non sa che esci tutte le sere” dico ad alta voce. “Sembra quasi che abbia paura a entrare” ammette guardandosi intorno “a volte credo che lei sappia”. “Cosa?” domando con curiosità crescente. “Di tutta questa storia, vampiri, maledetti ed eccetera eccetera” dice muovendo la mano in modo circolare. “Impossibile” replico guardandola in modo pensoso. “Non so” borbotta, mentre il richiamo di sua madre ci sveglia dal torpore di queste parole e così, diligentemente andiamo in cucina, lasciando per il momento da parte questi discorsi profondi.
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Capitolo 23
Stefan - Quindicesimo giorno “Vuoi stare un po’ fermo, mi stai facendo venire la nausea” lo ammonisco in modo scherzoso. “A quelli come noi non viene la nausea” ribatte ricambiando il sorriso e per un solo attimo interrompe il suo andirivieni ansioso. “Si può sapere cos’hai?” chiedo interessato. “Sono preoccupato” risponde guardandomi serio. “Me ne sono accorto” replico divertito dalla sua espressione affranta. “Dico sul serio” riprende “so che oggi sono state tutto il giorno insieme, capisci, chissà cosa le avrà messo in testa”. “Martina non la allontanerà da te” cerco di tranquillizzarlo “non ne ha alcuna intenzione, lei vuole bene ad Anna”. “Allora perché non sono ancora arrivate?” chiede per ovviare il suo timore. “Arriveranno non ti preoccupare, dagli solo un po’ di tempo” dico con un sorriso luminoso, mentre le vedo arrivare alle sue spalle. “Sono dietro di me, vero?” chiede in modo retorico e lentamente si volta. Lo vedo quasi correrle incontro, il viso di Anna che si illumina di un sorriso sincero, mentre con gioia gli getta le braccia intorno al collo per poi baciargli teneramente le labbra. “Ti faccio male?” le chiede con premura, mentre con le fredde dita le sfiora la pelle del viso arrossata. “No” gli sussurra a fior di labbra posandole poi in un altro soffice bacio. Quasi imbarazzato dalla loro intimità sposto lo sguardo su Martina, che imbarazzata più di me, guarda in un punto lontano oltre le mie spalle. “Ciao” la saluto avvicinandomi di alcuni passi, mentre i miei occhi corrono rapidi sulla sua figura. Indossa un paio di jeans bianchi e una
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leggera canotta nera. I lunghi capelli sono legati in una coda alta e gli occhi sono truccati in modo perfetto. “Ciao” risponde al saluto e si avvicina di alcuni passi chiedendomi “come stai?” seguendo così un clichè formale. “Bene” rispondo e mi sento ridicolo nel farlo “tu?” domando, seguendo l’automatismo. “Entriamo” propone allegro Gaetano e la sua allegria la comprendo e la invidio. “Certo” rispondiamo in sincrono e, cedendo il passo a Martina li seguiamo all’interno del locale. Le luci soffuse del locale mi mettono subito a mio agio e l’odore di chiuso rievoca immagini nascoste nel passato della mia memoria. “Quanti siete?” chiede un ragazzo alla fine della lunga scalinata. “Quattro” risponde Anna con voce squillante. “Mi chiedo perché vi piaccia questo posto?” domanda Gaetano, mentre scruta l’ambiente privo di finestre. “Forse perché assomiglia alla tua cripta” scherza Anna. “Effettivamente ha lo stesso odore” aggiunge Martina con enfasi e si lascia andare a un sorriso. “Dovresti farlo più spesso” le consiglio all’orecchio. “Che cosa?”chiede con un’espressione radiosa. “Sorridere” rispondo spostandole la sedia “ti rende ancora più bella” aggiungo avvicinandogliela per farla sedere. “Esagerato” si schernisce arrossendo leggermente. “Dico solo la verità” preciso senza riuscire a staccare gli occhi dal suo viso perfetto e dagli occhi magnetici e terribilmente profondi. “Adoro questa canzone” esordisce Anna “andiamo a ballare?” chiede con fare speranzoso. “Sarebbe un onore” risponde Gaetano con eccessiva lusinga e felice l’accompagna al centro della pista. “Sono davvero belli, insieme” sussurra Martina mentre li segue con lo sguardo “e pensare che volevo separarli, sono stata davvero una stupida”. “Eri preoccupata per la tua amica, il tuo comportamento è assolutamente giustificato” la tranquillizzo con un sorriso. “Già” sospira staccando lo sguardo da loro e puntando gli occhi sul tavolo si adombra. “Cosa succede?” chiedo, non potendo nascondere la preoccupazione.
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“Niente, è una cosa sciocca” risponde stringendosi nelle spalle. “Sono tutto orecchie, spara” la invito con ironia. “Pensavo solo che …” “Sono già venuti a prendere l’ordinazione?” ci interrompe Anna riprendendo il suo posto. “Ancora no” rispondo un po’ contrariato, sembra che per noi non ci sia la possibilità di fare passi avanti. E’ assurdo, ma comincio realmente a pensare che non avremo mai modo di conoscerci meglio, ogni volta che tentiamo di parlare oppure di stare un po’ da soli, arriva sempre chi ci interrompe. “Come ve la cavate con i giochi di società?” domanda sempre Anna. “Dipende dal gioco” rispondiamo all’unisono noi Maledetti. “Che giochi conoscete?” inquisisce allegra, la sua euforia mi fa sentire ancora più morto. “Quilles de Neuf” rispondo con slancio. “E cosa sarebbe?” chiedono sgranando gli occhi. “E’ un gioco con i birilli, ma non credo si possa giocare qui dentro” sorrido all’idea. “Come si gioca?” chiede Martina con interesse. “E’ un gioco che si svolge all’aria aperta, possibilmente su un campo in terra battuta. I birilli sono disposti a circa due metri di distanza all'interno di un quadrato che delimita il campo di azione”. “Tipo bowling?” domanda Anna massaggiandosi la fasciatura. “Non proprio, questi birilli sono in legno di rovere e a differenza degli altri sono alti circa novanta centimetri, i pitets, mi piace chiamarli così” sorrido al ricordo “si usa una palla di legno di noce abbastanza grandina e pesantuccia”. “Scopo del gioco?” chiede Martina affascinata. “Bisogna lanciare un birillo con una palla per effettuare una delle 12 figure predefinite” spiego nella speranza che non mi chiedano maggiori dettagli. “Interessante!” esclama Martina proponendo “magari un giorno potresti insegnarcelo”. “Sarebbe meglio una sera” ingiunge Gaetano con un sorriso di scusa. “Lo credo anche io” gli vado in aiuto e mi gelo all’idea di non avere ancora molti giorni. “Cosa vi porto, ragazzi?” chiede la cameriera che magicamente mi riconduce alla realtà del luogo.
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Ordiniamo le bibite e davanti ai boccali di birra diventiamo tutti piĂš allegri, anche se non lo credevo possibile per Anna. Presi dallâ&#x20AC;&#x2122;euforia e dal divertimento raggiungiamo la triste ora del rientro.
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Capitolo 24
Martina - Ventesimo giorno Mi sembra quasi impossibile crederlo, eppure, quello che vedo davanti a me non è frutto della mia fantasia, ma è assoluta verità. Non riesco a staccare gli occhi dalla sua perfezione, vorrei, ma sembrano quasi incollati al suo fisico marmoreo. La camicia di seta rigorosamente nera, aderisce al suo scultoreo torace, che magicamente si mostra attraverso i primi bottoni lasciati generosamente aperti. I jeans attillati fasciano come una seconda pelle le sue lunghe gambe, delineando audacemente la muscolatura pronunciata. Senza volerlo o forse volendolo troppo, faccio scorrere i miei occhi sul suo corpo terribilmente stuzzicante, dall’impeccabile muscolatura delle gambe, allo splendido torace, per poi finire sul suo inimitabile viso inclinato. Il profumo inebriante della sua pelle invade delicatamente i miei sensi stordendo la mia ragione, forse dovrei evitare di trascorrere tanto tempo con lui. “Uno” esulta attirando la mia attenzione e solleva lo sguardo fino a incrociare i miei occhi. “Probabilmente bari” dico ma la voce suona debole anche alle mie orecchie. “Tu ti distrai e io vinco” precisa, illuminandosi con un sorriso seducente e malizioso allo stesso tempo. “Sei tu che mi distrai” protesto debolmente e non posso evitare di arrossire lievemente. Sposto lo sguardo al mazzo traballante posato sul letto che fa da unico divisore ai nostri corpi. Gioco la mia carta, non in senso figurato e torno a guardarlo, ma questa volta non finge di non accorgersene e ricambia lo sguardo. “Non posso giocare se continui a guardarmi in questo modo” spiega completamente a suo agio. “Non posso farne a meno” rispondo d’impeto, nonostante la mia mente stia formulando una scusa.
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“Viva la sincerità!” esclama compiaciuto e allunga una mano per pescare una carta e io, con la mia mente completamente fuori uso eseguo il medesimo gesto, finendo per far scontrare le nostre dita. Una scossa mi colpisce in quel punto per poi propagarsi in tutto il resto del corpo come un vento caldo che sfiora la pelle nuda d’estate. In un istante i suoi occhi cambiano d’intensità diventando più scuri e profondi. Con un rapido movimento si siede accanto a me, sento i muscoli della sua coscia sfiorare la mia e un’altra ondata di calore m’invade. La sua mano circonda la mia vita con un tocco leggero, anche se preme su di me come una corda infuocata. Le sue meravigliose labbra si avvicinano alle mie e con deliberata lentezza le sfiorano dolcemente. Scintille, ecco il termine giusto per spiegare ciò che provo e un desiderio incessante che continui. Come se mi legga nella mente, preme con maggior pressione, sino a insinuare la sua lingua e a farla scontrare con la mia in una calda danza tribale. “Drrrrr, drrrrr, drrrrr” il suono insistente del campanello della porta interrompe l’idillio, costringendolo ad allontanarsi di scatto da me. “Chi diavolo è?” chiedo infastidita, questa è davvero un’interruzione indesiderata. “Martina tesoro“ chiama mia madre dalla porta. “Si mamma” rispondo, lanciando un’occhiata a Stefan che annuendo svanisce oltre la finestra aperta. “C’è una tua amica” mi informa e di corsa vado ad aprire. “E-li-sa” balbetto confusa, mentre la vedo entrare in camera. “Se avete bisogno di me, chiamate” propone mia madre lasciandoci sole. Guardando l’orologio sulla parete domando “Cosa ci fai qui a quest’ora?” “Non sapevo da chi altro andare” risponde scoppiando in un pianto irrefrenabile. “Cos’è successo?” chiedo ancora. “E’ stato terribile” rivela passandosi le mani tra i capelli “tu non puoi capire” singhiozza avvicinandosi alla finestra. “Siediti e racconta” consiglio con premura. Con un movimento stanco si siede sul bordo del letto e disperata si copre gli occhi “Non so da dove iniziare”. “Puoi dirmi qualsiasi cosa” la tranquillizzo “posso capire” aggiungo sedendole accanto.
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“Se solo ti dicessi quello che è accaduto mi prenderesti per pazza” geme sottovoce. “Smettila di frignare e parla” ordino autoritaria e al mio tono finalmente si decide a parlare. Sconvolta, si asciuga gli occhi e fissandoli nei miei inizia “Sono uscita con Carlo, siamo andati al Matik come ogni venerdì, ci siamo divertiti e tutto stava andando alla grande” tace un istante per tirare su con il naso “poi, mentre mi accompagnava a casa qualcosa è andato storto. Due ragazzi ci hanno bloccato il passaggio nel vicolo e Carlo è stato costretto a fermarsi Sai quant’è stretto” rimane in silenzio per sfogare il pianto “ci hanno attaccato, Dio è stato orribile!” esclama coprendosi gli occhi e scuotendo il capo “ci hanno fatto cadere”. “Poi cos’è successo?” domando colta da un brutto presentimento. “I loro volti si sono deformati e hanno iniziato a colpire Carlo, io sono riuscita a scappare, lui mi supplicava e io non sapevo cosa fare, loro erano fortissimi” spara a raffica senza neanche prendere il respiro. “Quindi è successo qui vicino?” chiedo. “Lei annuisce e si stropiccia gli occhi “Sono orribile, l’ho abbandonato” si mortifica con dolore. “Vedrai che andrà tutto bene” mento nel tentativo di consolarla “ma adesso è meglio che tu vada a casa, è tardi”. “E Carlo, non posso lasciarlo lì” singhiozza nuovamente. “A lui ci penso io” la rassicuro posandole una mano sulla spalla “tu devi tornare dai tuoi” le spiego “faccio chiamare i tuoi” l’avviso avvicinandomi alla porta. “No” grida afferrandomi per un polso e la sua stretta mi sembra più potente dei ricordi. Istintivamente la guardo in tralice e in simultanea lei ammorbidisce il tono “non posso abbandonarlo, devo assicurarmi che stia bene”. “Sarebbe meglio che ti venissero a prendere” sottolineo, incisiva. “Per favore” supplica disperata “ti prego”. “Va bene” mi rassegno davanti al suo dolore “speriamo che si possa fare” aggiungo dirigendomi da mia madre. “Ti senti meglio?” le chiede mia madre sfiorandole il viso “sei gelata” aggiunge in un sospiro. “Si, grazie” risponde Elisa “mi dispiace essere piombata in casa vostra in piena notte”.
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“Non preoccuparti tesoro, sarà anche finita la scuola ma sei pur sempre un’amica” la consola dolcemente, mia madre è proprio una donna splendida. “Mamma, posso accompagnarla fin sotto al portone?” le domando, approfittando di questa inclinazione al bene. “Martina è tardi” protesta debolmente. “Lo so, ma mi dispiace farla andare da sola poi, sono pochi metri” sorrido impacciata “non mi accadrà nulla” aggiungo stringendole il polso con affetto. “Vengo con voi” si offre “solo il tempo di mettere le scarpe”. “Mamma non serve” protesto, proteggere due persone sarebbe molto più complicato. “So che ti sai difendere benissimo da sola” mi tranquillizza “ma vengo ugualmente con te” mi sorride e rapidamente va a mettersi le scarpe. Usciamo in strada, c’è silenzio e non sento alcun rumore se non il rumore dei nostri passi che si affrettano sul pavè. Pochi metri percorsi in fila indiana ed eccoci davanti al portone. “Corri in casa e chiudi bene la porta” consiglio a Elisa con un sorriso, ma so che legge nei miei occhi il dispiacere come io leggo il dolore nei suoi. “Certo” annuisce e gettandomi addosso uno sguardo affranto, sale di corsa le scale lasciandoci sole. “Non c’era bisogno che venissi con me” dico a mia madre con frustrazione, l’idea di non poter controllare la zona mi rovina l’umore. “Non ti lascio girovagare da sola tipo cacciatrice, quindi, muoviti e torniamo a casa” ordina seria. Il paragone con la cacciatrice è quantomeno appropriato e divertente, quindi, non riesco a fare a meno di sorridere e contro al mio vero desiderio mi ritrovo chiusa in camera colma del disperato bisogno di dormire, visto che la serata è finita nel peggiore dei modi. “E pensare che stava andando così bene” sussurro civettuosamente alle coperte, mentre il caldo ricordo di quel bacio fugace infonde il mio corpo di una sensazione piacevole e nuova “Stefan” sospiro, poi, con un sorriso sulle labbra e in un battere di ciglia, inizio a godere di un beato riposo.
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Capitolo 25
Stefan - Ventiduesimo giorno La porta della camera di Erik si apre, non produce alcun rumore, ma lo spostamento d’aria mi avvisa del suo imminente arrivo. “Buongiorno!” saluta con ironia, avvicinandosi alla vetrata affacciata sulla notte. “Alla buon’ora” replico sorpreso “sono le quattro, non avevi voglia di alzarti?” domando interessato. “Stavo facendo una cosa” risponde pensieroso “e tu cosa ci fai a casa, pensavo che passassi tutte le notti a casa della giovane” dice finendo di abbottonarsi la camicia viola. “C’è stato un imprevisto” spiego stringendomi nelle spalle “mi ha telefonato per dirmi di non andare”. “L’avrai spaventata” ride passandosi distrattamente una mano tra i capelli. “Ti assicuro che ieri era tutto fuorché spaventata” replico con un sorriso compiaciuto e malizioso allo stesso tempo. “Cos’è successo, racconta?” mi incita sedendosi al mio fianco “su, rallegra la vita di un povero Maledetto”. “Non c’è molto da raccontare” inizio con calma “a parte il fatto che insieme facciamo scintille”. “In senso figurato, spero” mi interrompe allegro. “Figurato, ma assolutamente unico, non ho provato con nessuna quello che ho provato con lei” rivelo. “Avete, fatto sesso?” chiede eccitato all’idea. “Non direi” rispondo appoggiandomi allo schienale del divano. “E le scintille?” domanda ancora perplesso. “Un bacio” rispondo e inizio a credere che se fossi al suo posto mi prenderei per matto. “Adesso ti basta un semplice bacio” scherza con ironia “non pensavo ti accontentassi di così poco”.
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“Non ho detto che era semplice” preciso con calma “e credo che se non fossimo stati interrotti, avrei potuto sicuramente raccontarti di più” dico convinto. “Chi vi ha interrotti questa volta?” chiede scocciato quasi quanto me. “Una sua amica” rispondo rapidamente. “Un’altra” sospira con un sorriso “sembra che si siano messi d’accordo per non farvi concludere” afferma scherzoso. “Inizio a crederlo sul serio” rivelo senza sorriso “ogni volta che facciamo qualche passo avanti arriva un imprevisto”. “Non credo che siano in molti a non volervi vedere insieme” replica tranquillo “in fondo che motivo avrebbero le persone per farvi del male” aggiunge dandomi una pacca sulla spalla e si alza “vado a fare un giro, vieni con me?” chiede speranzoso. “Preferisco restare in casa, nel caso in cui mi chiami” rispondo guardandolo negli occhi. Infilandosi la giacca di pelle nera chiede ancora “Sai perché ti ha detto di non andare?” “Va a casa dell’amica di ieri sera” sospiro alzandomi dal divano. “Più che amica, direi nemica” ride di gusto “si mette sempre in mezzo”. “Non sempre” lo contraddico “l’altra volta la colpa era di Anna”. “Insomma, sempre qualcuno che guasta la festa, non è possibile” dice aprendo il portone “ci si vede” poi saluta e, strizzando l’occhio, esce tirandosi dietro la porta. In casa piomba un silenzio spettrale, uno di quelli che mette tristezza e vera e propria angoscia. Torno alla vetrata scura e lentamente apro le imposte, lasciando alla brezza primaverile libero accesso. Il manto del cielo notturno è imperlato di piccole e luminose gemme dorate, che con la loro luce rendono incantato il mio sguardo. Un sottile spicchio di luna fa capolino sul mare, irradiando con luce riflessa la distesa marina. “Toc, toc” due nocche dal tocco leggero si posano sul portone di casa. Acuisco l’udito nella speranza di sentire il suo insolito respiro oppure l’inconfondibile battito del suo cuore, che ha sempre un incedere ritmato e potente quando si ferma davanti alla porta. Oltre la barriera sento solo il silenzio e dispiaciuto, vado ad aprire. “Ciao tesoro” la voce melodiosa di Anya mi giunse dolce come il miele.
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“Anya, cosa ci fai qui?” domando privo di gentilezza. “Certo che entro” dribbla la domanda e con un sorriso malizioso irrompe in casa. Con un gesto rapido e aggraziato si toglie il soprabito nero, mostrandosi quindi in tutto il suo Maledetto splendore “Non mi offri qualcosa da bere?” chiede sedendosi sul divano e sensualmente accavalla le gambe. “Cosa vuoi?” domando irritato, la sua presenza è debilitante per i miei nervi. “Va bene un po’ di B+” sorride ironica. “Intendevo perché sei qui?” ripeto la domanda con acidità. “Non riuscivo a stare lontana dai miei uomini” cinguetta meschina. “Certo” sbuffo infastidito “dimenticavo che siamo di tua proprietà”. Agile e sinuosa si avventa su di me, fulminea mi blocca contro la parete fino a far aderire il suo corpo al mio “Non fingerti arrabbiato, lo sai che non puoi vivere senza di me” dice, facendo scorrere la punta della sua lingua gelida sul mio lobo “nessuna potrà mai prendere il mio posto” sussurra piano e lentamente accarezza il mio collo con le labbra, fino a darmi un piccolo morso sensuale. “Smettila” grido facendo appello a tutto il mio autocontrollo e con una forte spinta l’allontano da me. Il suo familiare sorriso gongolante mi dà ai nervi e allo stesso tempo una sorta di piacere. Per quanto adesso ci sia Martina nella mia vita, Anya è un piacere antico e carnale che va ben oltre all’umana comprensione. “Dov’è Erik?” chiede dirigendosi in cucina. “E’ fuori” rispondo con voce dura, anche se i miei occhi non riescono a staccarsi dalle sue curve invitanti. “Speravo di poter giocare un pochino con voi come ai vecchi tempi” spiega servendosi del sangue “ne ho proprio voglia”. “Non crederai che siamo ancora pronti a servire le tue voglie” rido con ironia “le cose cambiano”. “Vuoi dire che mi disdegni” trilla avvicinandosi maliziosamente a me “non mi desideri, Stefan?” aggiunge arpionandosi al mio collo. Rispondo con un secco “No” e con un movimento deciso l’allontano da me. “Siamo nervosetti vedo” ghigna divertita. “Furioso” rispondo appoggiandomi allo sgabello accanto alla penisola “ci stavi distruggendo”.
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“Esagerato!” replica ridendo “eravate consenzienti, io non vi ho mai obbligato a fare nulla”. “Vattene” le ordino, incapace di sostenere la sua presenza “sai che non parlo di quello”. “Sono venuta a prendere le mie ultime cose” dice risentita. “Bene e non dimenticarti il pugnale che ci hai piantato nella schiena” dico con sarcasmo. “Forse avrei dovuto piantarcelo sul serio” ribatte irritata “non vi ha neanche sfiorato l’idea che la colpa potesse essere vostra, vero?” chiede furiosa “sono proprio felice di essermene andata” grida attraverso le mura. “Già, lo stesso vale per noi” ribatto “forse, anche Antoine la penserebbe così”. “E’ morto” urla di rimando. “L’hai ucciso”. “Piantala Ste, ho fatto quello che dovevo, quella stupida ci stava per rovinare” ringhia affacciandosi dalla porta. “Lui l’amava” protesto afferrandole i polsi “poteva essere libero” le ricordo dandole una scrollata. “Recrimina quanto ti pare, tanto non mi pento” rapida sguscia dalla mia presa “mi manca un vestito” mi informa riacquisendo il controllo. “Lo avrai perso nel trasloco”. “Era uno dei miei preferiti Stefan” ripete con calma “a chi lo hai dato?”. “A una persona a cui dona più di te” rispondo tranquillo. “Un’altra cagna in calore per il Sigillo” suppone sprezzante. Uno schiaffo le colpisce il viso mentre la minaccio “Io non sono Antoine Anya, ricordalo ogni volta che pensi di farmi un torto, ho ucciso per molto meno”. “Sfuggire alla maledizione è una follia, perché non lo volete capire” disapprova con odio “siete solo stupidi”. “Viviamo nella speranza Anya” irrompe Erik afferrandola per un braccio e sbattendola contro il muro “non sei più la benvenuta qui” dice perentorio “hai ucciso Charlotte, la donna che avrebbe liberato Antoine, poi lo hai venduto al clan di Nerion e non contenta, lo hai ucciso per essere accettata dal loro gruppo” con violenza le colpisce l’addome “eravamo una famiglia” grida sul viso di pietra “come hai
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potuto?” domanda in modo retorico mentre continua a colpirla con foga. “Se fossimo stati davvero una famiglia, tu non saresti dovuto stare via così a lungo” recrimina lei, con la voce rotta dai colpi. Resto immobile a fissare quel corpo che si accascia al suolo fino a rannicchiarsi stremato sotto i violenti colpi. “Vattene Anya, porta la tua Maledetta carcassa lontano dalla mia vista” riprende Erik cessando i colpi e guardando quel fisico immobile e con disprezzo aggiunge “abbiamo vissuto per quasi un secolo insieme, non posso porre fine alla tua miserabile vita, quindi, vattene e non tornare mai più” supplica rabbioso e si rinchiude in camera. “E’ quasi l’alba” sussurra sollevando il viso tumefatto non appena i passi di Erik si affievoliscono. “Non è un problema mio” dichiaro sollevandola di peso e portandola all’uscita la saluto “addio!” richiudo la porta alle mie spalle e per un attimo mi appoggio stremato. Con passi lenti mi avvicino alla porta della camera di Erik mentre lancio uno sguardo alla cucina immersa in un caotico disordine. “Non dovevi farla entrare” mi rimprovera anticipando il mio bussare. “Hai ragione, ma mi ha preso in contropiede” tento di giustificarmi. “Lo so” concorda invitandomi a entrare. La camera è già avvolta nel buio e il letto è pronto per il giorno “non voglio che ti faccia del male” spiega cupo “non possiamo permetterle di intromettersi nella nostra vita, sei nel tuo mese, non puoi avere distrazioni” si siede sul bordo del letto e stancamente si passa una mano tra i capelli neri “fa attenzione” consiglia preoccupato “e se puoi, parla di Anya a Martina, in modo che sappia difendersi”. “Pensi che possa farle del male?” chiedo stupidamente. “Non so cosa pensare, forse non sa neanche della sua esistenza” sospira togliendosi la camicia “ciò non toglie che le ho fatto un po’ di lividi stasera e sicuramente Nerion non ne sarà contento. Lui e il suo stupido clan contro i ‘Maledetti fortunati’, insomma, fa’ attenzione” supplica infilandosi sotto le coperte “per favore, non posso perdere anche te” biascica sbadigliando “giorno”. “Notte” replico preoccupato e, uscendo dalla sua stanza, inizio a riordinare i cocci della lotta, mentre la mia mente si contorce in tristi e pesanti congetture.
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Capitolo 26
Martina – Ventunesimo e ventiduesimo giorno Ciao Stefan, scusami ma stasera non possiamo vederci, una mia amica ha bisogno di me. Ci sentiamo. Buona notte Martina 18/06/09 21:00
Messaggio Inviato
“A chi hai mandato il messaggio?” chiede Elisa con voce strana, direi quasi infastidita. “A un amico” rispondo secca. “Io non ce l’ho più un amico” si lagna con occhi lucidi “e a te non frega niente”. “Capisco il tuo dramma, ma non ti sembra di essere scorretta, io mi sono resa subito disponibile” le ricordo piccata. “Disponibile un corno” ribatte acida “avevo bisogno di te ieri sera”. “Certo che sei proprio un bel tipo” schizzo dal letto “credi che io possa fare tutto quello che voglio, ho la tua stessa età e i tuoi stessi
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obblighi, quindi piantala di trattarmi così, non è colpa mia se mia madre ci ha voluto accompagnare” dico d’un fiato. “Scusa” singhiozza affranta “sono così disperata” ammette asciugandosi il viso “non sento Carlo da ieri sera”. “Mi dispiace Eli” la consolo avvicinandomi a lei “a volte so essere antipatica, ma ti assicuro che non ho alcuna intenzione di fregarmene” la tranquillizzo “dobbiamo aspettare che i miei vadano a letto e usciamo” prometto incrociando le dita davanti alle labbra. Annuisce rincuorata e, per valorizzare il nostro piano, si dirige in bagno per cambiarsi. Nel tempo in cui resto da sola, non posso fare altro che pensare a quanto sia strana, non sembra quasi più la stessa, ma forse è normale, perdere il proprio ragazzo in un modo così misterioso deve dare alla testa. Il bip del cellulare mi desta dal torpore, lo afferro e sul display visualizzo una grande busta lampeggiante con su scritto 1 MESSAGGIO RICEVUTO. Con curiosità apro la busta e con interesse leggo il messaggio: Davvero un peccato, stare lontano da te mi costerà molta fatica. Spero non sia niente di grave, sappi cmq che io ci sono e se hai bisogno chiama. Ti auguro dolci sogni. Stefan 18/06/09 21:14 “Dolci sogni anche a te” sussurro all’aria, mentre un sorriso di beatitudine mi illumina il viso. “Stavi parlando con me?” domanda Elisa rientrando in camera. “No, parlavo da sola” rispondo sempre con il sorriso, <<ma che udito ha?>> chiede, con mia sorpresa, il mio inconscio al conscio. “Non metti il pigiama?” chiede infilandosi nel letto. “No, tanto tra un po’ usciamo” le ricordo pensierosa, adesso mi sembra fin troppo tranquilla.
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“Non credo che i tuoi si addormentino alle undici” mi fa notare con calma “fossi in te, farei un pisolino, bisogna essere riposati”. <<Ma, cosa cavolo sta dicendo, pisolino, riposati, ma è tutta scema>> penso sconvolta o forse ha ragione, così tra un pensiero e l’altro mi convinco. “Vado a cambiarmi” annuncio e rapidamente svanisco oltre la porta chiusa. Quando rientro in camera lei è già sotto le coperte e il suo respiro è soffuso, diverso da uno normale, ma abbastanza lento da farmi pensare che si sia addormentata. Seguendo il suo esempio entro nel mio letto e in pochi minuti cedo la veglia al sonno. “E’ ora di andare” mi sveglia Elisa spronandomi da una spalla. “Dammi un minuto” protesto con voce impastata. “Non ce l’abbiamo un minuto, dobbiamo sbrigarci, tua madre ce ne ha messo di tempo per andare a dormire” dice infastidita “sono quasi le quattro” aggiunge nervosamente alla protesta. “Ok andiamo ma rilassati” mugugno strofinandomi gli occhi assonnati e massaggiandomi il viso la intravedo attraverso le dita “è da tanto che sei sveglia?” domando sorpresa, i capelli in ordine, il viso perfettamente truccato e il corpo già pronto per l’uscita, impossibile da credere. “No” risponde seccata e in modo brusco mi getta addosso gli indumenti ordinandomi di vestirmi in fretta. “Capisco l’ansia ma stai calmina, altrimenti ci vai da sola” minaccio, infastidita dalla sua inconsueta prepotenza. “Scusami, ma sono agitata” si mortifica, ma qualcosa nella sua voce mi suona falso. <<C’è qualcosa che non va>> penso con preoccupazione, ma nonostante tutto, mi preparo per uscire. Le strade sono meravigliosamente silenziose, in aria si sente la frizzantezza primaverile e le luci dei lampioni illuminano leggermente il pavè, creando con le loro luci un gioco di ombre alquanto inquietante. “E’ successo qui” m’informa indicando un vicolo ingoiato nel buio. Entro nel baratro scuro e subito mi è chiaro dove mi trovo, una trappola, niente di più.
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“E’ un po’ buio qui” dico senza voltarmi “devi avere una super vista per riuscire a scorgere dei volti qui”. “Forse ce l’ho” replica con voce profonda. “Dovevo capirlo” mi biasimo a denti stretti, mentre vedo avvicinarsi due sagome scure. Nel buio mi è difficile distinguerne i lineamenti, ma i loro grugniti gutturali mi ricordano la morte. “Eccola, ve l’ho portata come avevate chiesto” si prostra la traditrice. “Ti sbagli Elisa” dico voltandomi a guardarla, il suo volto è poco illuminato da un lampione, ma su di esso riesco a scorgere la deformità di un mostro “sono io che sono voluta venire” sibilo ringraziando il mio sesto senso o forse la diffidenza che il suo strano atteggiamento mi aveva causato. Genuflettendomi sulla fredda pietra estraggo dallo stivale il paletto di cui era dotato e dandomi una spinta, salto rapidamente di fronte a lei “mi dispiace” sussurro dispiaciuta, ma senza darle il tempo di metabolizzare, affondo la mia arma nel suo petto facendo rimanere di lei solo un mucchietto di cenere. “Hai ucciso una tua amica” mi fa notare uno dei due esseri con voce infernale “dov’è la pietà in te”. “La mia amica l’avete uccisa voi” replico con voce tagliente “io ho ucciso il mostro che avete creato”. “Non inalberarti umana, per te è giunta l’ora” ringhia furioso. “Non mi inalbero, mi incazzo” replico e parto all’attacco. Le due figure mi si scagliano contro, con una capriola aerea gli salto alle spalle, rapida colpisco il primo con un calcio laterale all’addome e con lo slancio colpisco l’altro utilizzando il polpaccio. “Sei proprio sicura di essere l’Eletta?” domandano in coro i due mostri. Quello più alto si avventa su di me afferrando il collo e con una facilità inaudita, mi solleva da terra e mi schianta contro il muro, la mia schiena scricchiola all’impatto. “Lascia che sia io a ucciderla” supplica il basso, ma le sue parole suonano quasi come un ordine. La pressione delle sue gelide dita sulla mia gola sta diventando pressante e inevitabilmente l’aria inizia a scemare dai miei polmoni. Provo a scalciare, ma non riesco a dare ai movimenti la giusta forza. “Gliela stacco io la testa” ringhia l’alto, illuminando il suo viso con un sorriso grottesco.
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“Scordatelo, sarò io l’eroe per il capo” protesta l’altro strattonandolo, inevitabilmente si allenta la presa dal mio collo e io cado con le ginocchia al suolo. “Stupido idiota, facciamola scappare” ringhia il basso, mentre si avventa su di me. Velocemente rotolo su me stessa fino a fermarmi in ginocchio, la gamba sinistra a terra e la destra pronta per il salto. Dandomi una spinta sul piede destro, mi elevo abbastanza per calciare con il sinistro e colpire con un calcio dritto il petto del nanetto. Lo vedo indietreggiare di alcuni passi e ne approfitto, atterro sul piede sinistro e di slancio mi getto su di lui con quello destro che lo rende ancora più instabile. <<Non sono mai stata così agile nei salti>> penso impressionata, mentre entrambi i piedi atterrano, con un’altra spinta mi elevo all’altezza della sua testa, mentre ruoto con tutto il corpo e, a mezz’aria, la mia gamba falcia il suo capo di mostro, tramutandolo in cenere. “Bene, così sarò io a portare la tua testa” gongola quello alto sulla morte dell’amico, mentre i suoi artigli si allungano verso di me. “Non ci sperare vampiro” ringhio quasi quanto lui e con una forza sconosciuta ricambio l’attacco. Le mani si muovono in una danza diabolica, i polsi si scontrano con violenza e gli avambracci bruciano di dolore, incrocio le braccia davanti al viso per poi ripetere il movimento davanti all’addome. Un’imprevista ginocchiata colpisce il mio fianco sinistro e inevitabilmente barcollo. “Adesso non si gioca più” mi avverte colpendomi con il dorso della mano, un pugno così potente da scaraventarmi contro il muro più distante. Cado carponi sulla pietra e per un attimo mi si blocca il respiro “il mio padrone saprà ricompensarmi” gioisce, mentre mi da un calcio all’addome come se stesse giocando a calcio. Ogni mio organo stride all’urto e un bruciore infernale mi preme nei lombi. Quest’ultimo volo sembra eterno e l’atterraggio in scivolata sul terreno sconnesso mi fa bruciare la pelle, mi sento morire. Con la coda dell’occhio lo vedo avvicinarsi, tento di alzarmi, ma il mio corpo non ne vuole sapere di eseguire i miei voleri. Dal lungo soprabito gli vedo estrarre una lunga lama, strizzo gli occhi e sento il bruciore delle lacrime sulla pelle. <<Non voglio morire>> imploro con me stessa.
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“Combatti o muori” ghigna il mostro. Dove sono atterrata c’è un po’ di luce e a questo chiarore riesco a distinguere i lineamenti del suo volto e la lucentezza della sua lama. “E’ davvero la fine” sussurro in modo udibile e il mio sguardo rimane posato sul mio paletto abbandonato. <<ultimo tentativo>> penso mentre vedo calare la lama argentata sopra il mio collo, rotolo su me stessa sgusciando da lui, afferro il paletto e con un ultimo sforzo mi sollevo. “Meglio se lotti ancora un po’, le vittorie semplici mi annoiano” ghigna burlandosi di me. Si avvicina e con forza cala un fendente laterale all’altezza del mio collo, io cado sulle ginocchia schivando il colpo e, approfittando dell’instabilità data dall’attacco, lo impaletto dritto al cuore. Senza forze mi accascio al suolo, sento forte il sapore del sangue sulle mie labbra e il suo odore sopra il mio corpo. Dalla tasca dei jeans estraggo il cellulare, per fortuna è ancora acceso. Il tempo di spedire un messaggio e i miei occhi si chiudono privi di sensi.
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Capitolo 27
Stefan - Ventiduesimo giorno Dalla grande vetrata intravedo il manto del cielo colorarsi di rosa, la casa adesso è riordinata e il suo silenzio, è devastante. Raggiungo il comodo divano e lentamente mi siedo, non ho bisogno di dormire, ma nonostante tutto mi sento spossato e stanco, forse la colpa è di Anya e della sua maledettissima visita. Dalla mia postazione riesco a osservare la città che cambia, apaticamente lancio un’occhiata all’orologio, segna le 6.15 del mattino <<Accidenti è troppo presto>> penso scoraggiato <<però posso sempre mandarle un messaggio>> mi consolo allungandomi a prendere il cellulare. Con sorpresa leggo la scritta sul display 1 MESSAGGIO RICEVUTO, curiosamente lo apro. Aiutami sn mortaaa 19/06/09
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“Martina!” esclamo con ansia “cosa diavolo significa” chiedo, mentre tento di telefonarle. Afferrando la camicia dallo schienale della sedia, corro in strada. Le mie gambe si muovono con una velocità sorprendente, mentre seguono le indicazioni del mio intuito. Acuisco l’olfatto e lascio che il mio naso segua il suo odore, sembro un segugio, ma per noi Maledetti è fondamentale. Le strade iniziano ad affollarsi di persone, i primi lavoratori che escono dalle loro case oppure che rientrano dopo il turno. L’odore di pesce fresco proveniente dai pescherecci si mescola tenacemente a un odore più antico e combusto, cenere. “Deve essere da queste parti” sussurro piano, mentre seguo le tracce del suo pro-
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fumo. Un profumo così intenso e dolce da darmi i brividi. L’odore del sangue, così copioso e ferreo, ma assolutamente fresco. Inizio a seguire la scia come se fosse fatta di fumo e non solo di odore e tra un incrocio e un bivio finalmente la trovo. Il suo corpo è accasciato al suolo, prona con il volto abbandonato sulla pietra fredda. Lentamente mi avvicino, anche se sono nel mio mese e, anche se non sono un vampiro, il profumo del suo sangue mi fa bruciare la gola e la mia mente si è intorpidita all’idea di poterne assaggiare solo un goccio. Come se non potessi gestire i miei istinti, mi inginocchio al suo fianco, le narici si allargano dalla tensione mentre le mie mani corrono lungo le braccia escoriate. Il liquido rosso colora le mie dita gelide e con il suo calore infonde tutto il mio essere di una bramosia sconosciuta, o forse, celata a me stesso. “Devo portarti via di qua” dico ad alta voce, più per cercare di convincere me stesso che per altro. Le dita imbevute si avvicinano pericolosamente alle mie labbra, so che non devo perdere tempo, ma non riesco a gestirmi, il desiderio supera di gran lunga la ragione. <<Sono un mostro>> penso mentre bagno le labbra di un sottile strato rosso. La lingua segue l’istinto e leggera, assapora il dolce sapore, dicono che il sangue sappia di ferro, ma per noi ha un gusto più dolce e fruttato. “A– i – u - t - o ” sento la sua supplica e finalmente mi desto dal torpore. Rapidamente la prendo tra le braccia e la porto a casa. Delicatamente l’adagio sul divano e chiudendo per un istante gli occhi, riprendo il controllo dei miei istinti e delle mie azioni. Con tocco leggero le detergo la fronte, tamponandola e ripulendole il viso dal sangue secco. Eseguo la stessa operazione sulle braccia escoriate, terminando l’operazione con un asciugamano umido sul suo viso. “Dove sono?” la sua voce è poco più che un sussurro, ma mi provoca una gioia immensa. “Sei a casa mia” la tranquillizzo liberandole il viso “come ti senti?” “Da Dio!” risponde abbozzando un sorriso instabile che si trasforma in un ghigno dolorante “ahi”. “Hai il labbro spaccato” le spiego “e un bell’ematoma sulla guancia, per non parlare delle brutte escoriazioni che hai sulle braccia e di qualche organo interno esploso”. “Ti prego, non addolcire la pillola” sospira, non riuscendo a trattenere l’ironia, anche se è distrutta, non riesce ad abbattersi.
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“Hai ragione, a volte tendo a minimizzare” faccio eco alla sua ironia e inevitabilmente sorride, ma il sorriso in questo momento può essere un’arma letale, infatti si porta l’avambraccio davanti all’addome. “Che ore sono?” domanda dopo aver ripreso fiato. “Le dieci” rispondo, lei balza a sedere causandosi altre atroci fitte e stringe gli occhi. “Devo andare a casa da mia madre, sarà preoccupata” affanna a dire “e poi devo andare a trovare i genitori di Elisa, saranno in pensiero”. “Chi è Elisa?” “Quella amica che aveva bisogno di me” tace per respirare “amica che ho dovuto uccidere stanotte” aggiunge passandosi una mano sulla guancia violacea “era diventata una vampira e mi aveva venduta a due mostri” spiega piano, mentre il viso si riempie di lacrime “volevano uccidermi”. “Chi erano?” domando in apprensione. “Vampiri” risponde con stizza “volevano tagliarmi la testa e portarla non so a chi per festeggiare” singhiozza con un pianto isterico e non so se è per il dolore o per la rabbia. “Volevano proprio te” affermo stupito, mentre la mia mente inizia a farneticare una miriade di ipotesi. “Non lo so” risponde come se le avessi fatto una domanda “ridevano sul fatto che io fossi l’Eletta”. “Hanno detto l’Eletta o un’Eletta?” domando “so che sei stanca e dolorante, ma ho bisogno di capire se devo aiutarti”. “L’Eletta mi sembra” sospira asciugandosi il viso “mi hanno quasi uccisa” aggiunge dopo alcuni istanti di silenzio. “Si, ma sei stata più forte” la rincuoro “forse è per questo che ti danno la caccia”. “I vampiri cacciano chiunque” dice tornandosi a sdraiare. “Non quelli che cercano un trofeo da portare a casa” spiego sottovoce “ma ne parliamo più tardi, adesso devi riposare” consiglio e sulle mie parole lei è già ripiombata nel mondo dei sogni. “Erik, svegliati” chiamo l’amico scuotendolo piano. La sua mano si arpiona al mio collo e con un movimento fulmineo mi blocca contro la parete “Mai svegliare un Maledetto che dorme” ringhia con occhi iniettati di sangue “vuoi porre fine alla tua vita?” domanda riacquisendo lucidità.
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“Sai che non ti avrei svegliato se non fosse stato importante” mi giustifico passando lo sguardo dai suoi occhi alla sua mano di marmo. Liberandomi dalla stretta chiede “Cosa è successo?” “Martina è stata attaccata da tre vampiri, probabilmente facevano parte della Setta dei Degni, cercavano lei come l’Eletta” spiego d’un fiato, so che non posso rubare troppo tempo al suo sonno. “L’Eletta come la predestinata?” domanda facendosi attento. “Credo di si”. “Ok, tienila sotto controllo fino al mio risveglio, poi, dovrò fare due chiacchiere con la ragazzina, la situazione si sta facendo pericolosa”. “Lo so, è per questo che ti ho svegliato, la tua esperienza la potrà aiutare”. “Certo, la mia vecchiaia può fare miracoli” dice serio “però ora ho bisogno di dormire” aggiunge mentre si infila nel letto. Silenzioso richiudo la porta alle mie spalle e con sorpresa la trovo sveglia e intenta a telefonare. “Chi chiami?” domando, anche se conosco già la risposta. “Mia madre, non voglio che si preoccupi inutilmente” risponde a fatica. “Come le spiegherai questo?” chiedo, facendo scorrere la mano sul suo corpo ammaccato, anche per chi non ha un fiuto infallibile come il mio, su di lei si sente l’odore di morte. “Ci penserò al momento debito, non posso continuare a nascondermi qui” e conclude il discorso componendo il numero di telefono.
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Capitolo 28
Martina - Ventiduesimo giorno “Dimmi cosa c’è?” insiste mia madre dall’altro capo del telefono “sai che a me puoi dire tutto”. “Per favore mami, non insistere” la supplico con voce incrinata, magari se riuscissi ad avere una voce neutrale forse mi crederebbe. “Si tratta di Elisa” prova a indovinare. “Davvero, è una cosa importante e devo farla da sola” ripeto per l’ennesima volta. Tutti i muscoli mi fanno male e gli organi interni gridano a gran voce vendetta <<credo che me li abbia spappolati con quell’ultimo calcio>> penso cercando di non ascoltare le sue premure materne. “Scommetto che adesso non ti sono più così simpatici i vampiri” dice catturando completamente il mio interesse. “Mamma, cosa diavolo centrano i vampiri, adesso?” chiedo spalancando gli occhi e la mia domanda cattura anche l’attenzione di Stefan che subito si avvicina a me. “Lo sai bene” replica seria, pensavo stesse scherzando invece il suo tono si sta facendo man mano più preoccupato “volevo starne fuori, te lo giuro, ma vederti svanire nelle tenebre è una cosa che non posso accettare”. <<Crede che sia diventata una dark oppure una malata, fan dei mostri>> penso con sollievo, ma l’espressione di Stefan rimane di ghiaccio. Sorrido disinvoltamente alla cornetta “Mamma non vado in giro con i canini finti” scherzo, ricordando le raccomandazioni di un mese prima. “Smettila di prendermi in giro” ringhia alla cornetta e riesco a vedere la sua fronte aggrottarsi e la mascella irrigidirsi per la tensione. “Io... io” balbetto alla cornetta, completamente sconvolta dalla sua reazione.
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“Taci” mi interrompe furiosa “voglio che torni a casa” ordina senza darmi modo di spiegare o insistere “dieci minuti è tutto il tempo che ti do, altrimenti ti vengono a prendere per i capelli e ora sbrigati” ruggisce come mai prima d’ora. “Accidenti” sussurro al ricevitore, mentre stancamente lo rimetto sulla base. “E’ furiosa” mi fa notare Stefan. “Non mi dire” replico con ironia mentre tento di mettermi a sedere. “Intendo dire che è furiosa perché sa” tace mentre osserva la mia reazione “non so dirti cosa, ma di sicuro non è ignara dell’esistenza dei vampiri”. “Mi vuole subito a casa, cosa devo dirle?” chiedo consiglio, siccome la sua sicurezza mi ha sconcertata. “La verità” risponde semplicemente “è pur sempre tua madre, riuscirà a capire” delicatamente mi aiuta ad alzarmi e si offre per accompagnarmi fin sotto casa. Il viaggio lo trascorriamo in silenzio, io avvolta nelle preoccupazioni e lui desideroso di non interferire nelle mie decisioni, dovrei ringraziarlo, ma in questo momento avrei proprio bisogno di qualcuno che mi desse due dritte. “Arrivati” questa è l’unica cosa che mi dice dopo circa dieci minuti di silenzio, come se non me ne fossi accorta. “Grazie di tutto” dico aprendo lo sportello e, faticando non poco, lo richiudo e mi avvicino al portone. Fermandomi davanti al vetro mi giro a salutarlo, lui mi sorride con dolcezza e rapidamente si allontana lasciandomi sola. Con una fatica titanica e un dolore sconosciuto raggiungo l’appartamento, con un po’ di timore suono il campanello e aspetto che apra. La porta si apre lentamente, sembra quasi che tema di vedere chi ci sia oltre la soglia. I suoi occhi si spalancano stupiti mentre mi scruta con attenzione “Cosa ti è successo?” domanda senza spostarsi. “Una rissa” rispondo con il fiato corto. Con stizza si gira e va in cucina, perplessa dal suo atteggiamento la seguo “Non hai niente da dirmi?” chiedo appoggiandomi allo stipite della porta. “Per fortuna puoi entrare senza invito” sospira grata e con la sua dolcezza, mi aiuta a sedere “pensavo ti avesse uccisa oppure trasforma-
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ta, non immagini quanto sono stata in pena per te” rivela senza riuscire a trattenere le lacrime. “Sto bene” la tranquillizzo abbozzando un sorriso “non ti devi preoccupare”. “Come posso non preoccuparmi” sospira affranta “piuttosto, da quanto hai scoperto l’esistenza dei vampiri?” chiede con decisione. “Mamma, per favore” tento di sviare il discorso. “Per favore lo dico io” ribatte rapidamente “raccontami tutto, voglio sapere cosa è successo e come” ordina perentoria. Mi regalo qualche secondo per riflettere prima di raccontare “E’ iniziato tutto il giorno in cui sono andata a vedere il film Sangue con le mie amiche” dico, studiando la sua espressione “scusa, ma tu come fai a sapere della loro esistenza?” domando tutta a un tratto incuriosita. “Hai ragione, forse dovrei prima raccontarti la mia storia” sospira passandosi una mano tra i capelli neri “è passato talmente tanto tempo, che a volte credevo di aver sognato tutto” sorride in modo fanciullesco “ma solo quando ho unito tutti i pezzi scomposti della tua vita, mi è ritornato alla mente”. “Cosa?” domando confusa. “Il Barone” risponde e il suo volto diventa ancora più pallido. “E chi sarebbe?” “L’essere che voleva bere il mio sangue” risponde “avevo solo quattordici anni e vivevo ancora a Firenze, è stato orribile” scuote la testa al ricordo “diceva che sarei stata l’origine della sua sconfitta e quindi, doveva eliminarmi al più presto”. “Come hai fatto a fuggire?” la interrompo interessata. “Mi ha salvata un giovane, inimicandoselo, il Barone ha giurato vendetta, ricordo che disse, passeranno gli anni, ma io sarò ciò che sono, immortale e invincibile e se oggi la sconfitta scotta sulla mia pelle, domani sarà la forza per il mio trionfo”. “Cosa significa?” chiedo muovendomi sulla seduta. “Che non avrebbe mai dimenticato l’affronto” spiega appoggiando i gomiti sul tavolo “non ho mai pensato che potesse tornare”. “Non l’ha fatto” la tranquillizzo “io non ho mai conosciuto nessuno con questo nome”. “E allora come fai a sapere di loro?” domanda ansiosa. “Ho conosciuto un Maledetto, è stato lui a spiegarmi ogni cosa”.
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“Cos’è un Maledetto?” chiede sconvolta. “Prima rispondi alla mia domanda, chi era il ragazzo che ti ha salvata?” domando decisa. “Si chiamava Erik, non so altro” risponde, ora rispondi alla mia domanda. “Raccontami di lui” insisto avvicinandomi a lei con il busto “per favore”. “Martina, non c’è molto da raccontare, stavo per essere uccisa e lui mi ha salvata, non so cos’altro dire“ sospira affranta “perché insisti tanto?” “Perché è importante” rispondo senza dirle altro. “Io gli devo la vita e non solo” sussurra andando alla finestra. “Cos’altro?” inquisisco, tipo investigatore privato. “Lui è stato molto importante per me” rivela con una nostalgia che non comprendo “mi ha spiegato tutto sui vampiri e su cosa fare per proteggere sia me, sia le persone che mi stanno intorno e ci sono riuscita almeno fino a poco tempo fa” si volta a guardarmi, il suo viso è una maschera di sofferenza “adesso non so più come proteggerti, ti vedo lì, ferita e preda dei vampiri e non so neanche cosa dire per aiutarti”. “Mamma, non è certo colpa tua” cerco di rassicurarla “non mi hanno attaccata a causa tua, è successo a me, ma poteva succedere a chiunque” mento, in cuor mio so che non è esattamente così. “Non capisci Martina, tu e Asia siete la mia vita, è compito mio proteggervi” si avvicina con fare teatrale “voglio sapere la tua storia, la mia non importa, per favore” insiste quasi come una supplica e cedendo alla pena che mi causa la sua voce, inizio il mio strano racconto.
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Capitolo 29
Stefan - Ventiduesimo giorno Il lungo segnale nero è fermo sul numero cinque, mentre il fratello, basso e tarchiato, gozzoviglia sul sei con fare annoiato. Da quando ho accompagnato Martina a casa, non faccio altro che misurare le stanze con profonde falcate, mentre di tanto in tanto lancio uno sguardo all’orologio in sala. “Dov’è?” domanda Erik senza neanche entrare nella stanza. “L’ho dovuta accompagnare a casa” rispondo andandogli incontro. “Dovevi trattenerla qui” dice in modo burbero, fin troppo scontroso per essere il mio amico. “Voleva andare da sua madre, ha dei legami mortali” gli ricordo con trasparenza. “Devo parlare con lei” spiega infilandosi la maglietta “vieni con me?” chiede senza aspettare la risposta e rapido esce dall’appartamento. In meno di cinque minuti siamo davanti al portone di casa sua, a piedi ci mettiamo sempre meno tempo. “Con che faccia ci presentiamo qui?” domando perplesso, senza spostare lo sguardo dalla porta di ingresso. “Siamo suoi amici” risponde stringendosi nelle spalle “e poi, non possiamo perdere altro tempo” spiega suonando il campanello. Pochi secondi e la porta si apre lasciando uscire un delicato profumo di pollo arrosto “Ragazzi, che ci fate qua?” ci accoglie Anna con sorpresa. “Siamo venuti a trovare Martina” rispondo e lancio un’occhiata alle sue spalle. “Venite” ci invita e ci precede all’interno “chiudete la porta e seguitemi, siamo tutti in salotto”. Il suono dei loro cuori giunge nitido e agitato, sono in tre o forse quattro, visto la presenza di Anna.
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“Buona sera” diciamo all’unisono facendo il nostro ingresso “signora Lenzi, è un piacere fare la vostra conoscenza” aggiungo presentandomi “e lui è il mio amico Erik” aggiungo scostandomi. Gli occhi della donna si spalancano sorpresi mentre ritira indietro la mano e balbetta “Tu”. “Vi conoscete?” chiede Martina, aggiustandosi sui cuscini. “Credo di si” risponde la madre, senza riuscire a staccare gli occhi dal Maledetto. “E’ quell'Erik?” chiede la figlia sorpresa “Ci somiglia molto” risponde la donna confusa e aggiunge “ma adesso dovrebbe avere la mia età”. Martina sposta lo sguardo su Erik e domanda a bruciapelo “Sei tu che le hai salvato la vita quando era giovane?”. “Di cosa stai parlando?” le chiedo, ma vedo il mio amico sedersi e diventare estremamente serio e allora taccio. “Se lei è Carlotta, allora sono io” risponde fissando gli occhi della donna. La signora si lascia cadere sulla poltrona e balbetta un altro quesito confuso “com’è possibile?” “Sono un Maledetto” inizia, ma la donna lo blocca. “Sono loro?” chiede a Martina in modo flemmatico ma chiaro per un discorso sicuramente già affrontato. Lei annuisce e la donna si volge nuovamente verso Erik “l’hanno quasi uccisa, non dovrebbe frequentare gente come voi”. “Non è certo colpa nostra” risponde indignato “la cercano da molto prima che lei nascesse”. “Ho sempre protetto la mia famiglia” replica la donna furente “e ci sono riuscita fino a quando lei non vi ha incontrato”. “Chi credi l’abbia attaccata?” le domanda, dimentico di noi e di tutto il resto. “Mostri” grida “proprio come te”. “Ed è il mostro che sono che mi ha permesso di salvarti la vita” replica afferrandole i polsi “ricordi che ho rischiato di morire per te?” chiede furente. “Mi hai abbandonato” singhiozza come se fosse una bambina “a cosa mi è servito avere salva la vita, se non ho potuto viverla con te” protesta, rivelando qualcosa, che forse non era per noi lecito sapere. “Ho fatto quello che dovevo” replica lui con voce tetra “mi addolora il tuo odio, ma è stata la cosa giusta da fare”.
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“Non ti odio” dice lei sofferente “ed è questo che addolora me, avrei accettato qualunque cosa per te”. “Non eri destinata a me” sussurra piano “quando il Barone ti ha cercato, ho capito” lascia la presa ai polsi e le accarezza delicatamente il viso “saresti stata la madre dell’Eletta, colei che lo avrebbe ucciso, non potevo impedire che un simile miracolo accadesse”. “Ti ho perso per due figlie normalissime” dice con la voce spenta. “No” replica lui, voltandosi a guardare Martina “lei non lo è”. La donna si asciuga gli occhi lacrimosi “Martina”. “Si è lei” conferma lui “sono stati i suoi seguaci ad attaccarla ieri notte ed è per questo che sono qui, devo proteggerla”. “Certo, non sei qui per me”. “Non sapevo neanche che fossi venuta a vivere a Genova” spiega lui “pensavo che vivessi ancora a Firenze”. Lei singhiozza ancora in silenzio. “Carlotta” la chiama con voce dolce “tua figlia è in pericolo e qui non è al sicuro”. “Cosa vuoi che faccia?” domanda dopo alcuni attimi di silenzio. “Falla venire a casa nostra, ci occuperemo noi di lei” spiega indicandomi. “E lui è come te?” chiede, scrutandomi con ansia. “Lo è” risponde conciso. “Come posso fidarmi di uno sconosciuto?” domanda passandosi una mano tra i capelli. “Indossa il Sigillo” le dice e i suoi occhi si illuminano di comprensione. La donna fa un lungo respiro prima di dare il suo consenso “A tuo padre penserò io, ma ti prego fa attenzione” supplica la figlia in modo amorevole “e se lo ami, non continuare ad attendere” sussurra piano al suo orecchio, ma il mio udito percepisce ogni singola parola. Martina annuisce e ci avvisa che va a prendere alcune sue cose, seguita da una Anna preoccupata. “Prenditi cura di lei” ripete la donna guardandolo negli occhi “fa che il nostro sacrificio non sia andato perduto”. “Non lo sarà, la proteggerò e le insegnerò a difendersi, il Barone morirà presto e con questo, molte anime troveranno riposo”. “Buona fortuna” dice poi rivolgendosi a me “mia figlia è particolare”.
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“Speciale” modifico la sua frase e sentendola arrivare le vado incontro aiutandola a scendere le scale. “Intanto la porto a casa” dico a Erik. “Io porto lo zaino” replica, capendo che devo portarla in braccio. “Sono folle a farla venire da sola a casa vostra” si rimprovera la donna, ma la sua voce mi giunge solo come un’eco lontana.
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Capitolo 30
Martina - Ventitreesimo giorno “Finalmente!” sospiro tirandomi su a sedere e voltando il capo vedo Erik arrivare da sopra lo schienale “ciao” saluto un po’ imbarazzata, ho trascorso tutta la giornata a prepararmi il discorso e adesso che è arrivato il momento, non so da dove iniziare. “Non c’è stato nient’altro che un bacio con tua madre” inizia andandosi a sedere sulla poltrona “e comunque, è successo tanto tempo fa” precisa come se mi leggesse nella mente. “Lei sembrava ancora innamorata” dico sottovoce “mi ha fatto uno strano effetto vederla così”. “Capisco che tu sia turbata, ma te lo assicuro, non è come credi” si ostina a tranquillizzarmi. “E allora spiegamelo, per favore” insisto guardando i suoi bellissimi occhi chiari. “Stiamo parlando di circa trent’anni fa” dice pensieroso. “Per favore” supplico in modo penoso. “Sai così poco di noi” dice, inserendo nel discorso un noi che mi preoccupa. <<Allora c’è stato un noi, tra di loro>> penso affranta. “Potremmo approfittare di questa storia per parlarle anche di Anya” riferisce a Stefan, che era rimasto in silenzio dopo il suo arrivo. “Già” annuisce dando il suo assenso e con calma, prende posto al mio fianco. Non ho il coraggio di chiedere chi sia Anya, così saltando con lo sguardo da uno all’altro aspetto che inizino il racconto. “Devi sapere che fino a trent’anni fa, noi vivevamo insieme ad altri due Maledetti, Anya e Antoine” inizia il racconto e il viso assume un’espressione addolorata “eravamo una famiglia, il bene tuo al posto del mio, uniti fino alla morte, questo era il nostro modo di pensare” tace un istante e lo vedo passarsi una mano tra i capelli “sarei
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morto per chiunque di loro” dice alzando il tono e dirigendosi alla finestra, lancia uno sguardo supplice a Stefan, che magistralmente prosegue il racconto. “Erik ci amava e noi amavamo lui, funzionava tutto alla perfezione da oltre un secolo, finché non è arrivata Charlotte” tace un attimo per fissare le spalle di Erik, vedendo che non vuole proseguire, riprende “dolce e tenera Charlotte, una ragazza semplice che è entrata come un uragano nelle nostre vite e come il sole, ha iniziato a riscaldare due cuori”. “Due cuori per un’unica donna” suppongo ad alta voce, lui annuisce e prosegue. “E i cuori erano quello di Antoine e quello di Erik” tace grattandosi il naso per prendere tempo “lui si è fatto da parte, non poteva interferire nella loro storia, Antoine l’aveva scelta per infrangere il Sigillo” spiega e finalmente inizio a comprendere “così ci ha lasciati e per un po’ è andato a Firenze”. “Dove ha incontrato mia madre” sottolineo dispiaciuta per lui. “Già” finalmente Erik torna nella discussione “tua madre è stata una piacevole compagnia e una cara amica, ci siamo frequentati per due mesi, prima che succedesse” si siede coprendosi gli occhi. “Prima che tentassero di ucciderla?” chiedo con interesse. “Prima che Anya uccidesse Charlotte e facesse uccidere Antoine” risponde Stefan con rabbia. “E’ orribile” dico senza riuscire a trattenermi. “Si” conferma Erik “devi sapere che volevo davvero bene a tua madre, ma come un’amica, così quando ho capito che il Barone voleva ucciderla per impedire la tua nascita, sono partito e al mio rientro ho avuto la triste notizia. “Perché Anya l’ha fatto?” chiedo confusa. “Perché è una Maledetta nazista, crede che nella purezza dei Maledetti e nella nostra supremazia”. “Quindi odia chiunque tenti di rompere il Sigillo” dico incerta. “Esatto, devi stare molto attenta” mi mette in guardia Erik in apprensione. “Bene, mi vuole morta il Barone, che a quanto pare è il vampiro più cattivo che sia mai esistito e una Maledetta nazista” sospiro affranta “direi che posso dormire sonni tranquilli”.
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“Puoi finché starai con noi, non permetterò che ti facciano del male” si intromette Stefan con impeto “giuro che non ti accadrà nulla” aggiunge stringendomi la mano con calore. “Grazie” sussurro un po’ imbarazzata dalle sue premure. “Anch’io mi impegnerò affinché non ti accada nulla” promette Erik “sta per sorgere il sole” aggiunge poi con preoccupazione e aggiunge con un sorriso spento “promettetemi di non mettervi nei guai”. “Promesso” rispondiamo in coro e lo vediamo svanire dietro la porta della sua camera. “E’ così triste” dico dopo un po’ di silenzio. “Cosa?” chiede dalla cucina. “Tutta questa storia” rispondo raggiungendolo “l’ama ancora?” “Non so cosa dire, so solo che ha trascorso tre sigilli vuoti”. “Cosa vuoi dire?” chiedo, non capendo appieno le sue parole. “Che non si è più impegnato per sciogliere il Sigillo, nessuna l’ha mai attratto come Charlotte” risponde porgendomi la tazza con il latte. “Tra quanto potrà provarci?” chiedo sempre più curiosa. “Perché vuoi proporti?” chiede di rimando. “Ci sto pensando” rivelo con sguardo serio e alla sua espressione scoppio a ridere “scherzo, un Maledetto mi basta e mi avanza anche”. “Meglio così” dice sollevato e accarezzandomi il capo come fossi una bambina, esce dalla cucina. “Stefan” lo blocco sull’uscio. “Si” risponde guardandomi da sopra una spalla. “Quanti anni avete?” “Memoria corta” ride “io duecentoventi e Erik un po’ di più”. “Quanti in più?” insisto sorseggiando il latte. “Quattrocento circa” rivela con tranquillità. “Ha quattrocento anni” ripeto quasi strozzandomi con il latte. “Veramente ne ha circa quattrocento più di me” precisa divertito “ma non ha mai voluto dirmi l’età esatta, credi si vergogni?” scherza davanti al mio sgomento. “Potrebbe venirmi comodo per la scuola” dico euforica “stasera lo bracco e mi faccio raccontare com’era vivere nel 1500”. “Devo essere geloso?” chiede inarcando le perfette sopracciglia.
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“Nooo” rispondo divertita “ma dove stai andando così di fretta?” chiedo notando l’impazienza. “Devo andare in posta” risponde in modo enigmatico. “Cosa?” “Sono sotto inquisizione?” domanda storcendo il naso. “Certo che no” rispondo quasi balbettando. “Ci vediamo tra poco” mi saluta dandomi un bacio sulla fronte e rapidamente si dilegua oltre il portone. L’appartamento silenzioso mi mette un po’ di tristezza, ma non posso fare altro che aspettare il suo rientro, così nell’attesa prendo un libro dalla libreria e inizio a leggere.
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Capitolo 31
Stefan - Ventitreesimo giorno “Sul serio” confermo portandomi la mano al petto. “E perché non me lo hai detto, sapevi che adoro Sangue” chiede emozionata “quindi tu sei Illion Kery?” “Veramente è lui che è me” rispondo con ironia. “Antoine e Charlotte sono quei Antoine e Charlotte?” chiede confusa. “Sono loro” confermo tornando serio. “Ma la loro storia finisce bene” contesta con cipiglio. “L’ho scritta seguendo la fantasia e immaginando come sarebbe stata la loro storia” le spiego con calma. “E’ davvero un peccato che sia andata com’è andata” dice scuotendo il capo. “Un vero peccato” concordo, mentre sento aprirsi la porta della camera di Erik. “Ben svegliato” lo saluta con un sorriso radioso, quasi volesse alleviare il dolore causatogli dal ricordo. “Grazie” risponde al sorriso e le chiede interessato “come ti senti?” “Molto meglio” lo tranquillizza con convinzione “e tu, come stai?” chiede preoccupata. “Sto bene” risponde sedendosi di fronte a lei “adesso l’unica cosa che conta è prepararti per lo scontro con il Barone”. “Certo” annuisce accondiscendente “solo che non so se sarò all’altezza della missione”. “Sei nata per quello” replica Erik “non puoi fuggire al destino” l’ammonisce bonariamente. “Non ho mai creduto al destino” replica seriamente “credo che ognuno possa sceglierselo il futuro” e guarda me con un’espressione nuova.
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“Non tutti possono permettersi di sognare” replica lui “noi non possiamo e non puoi neanche tu, Martina non puoi tirarti indietro”. “Non ho nessuna intenzione di farlo, dico solo che non sarà facile e che ho paura” spiega torcendosi le dita. “La paura è una condizione umana che non puoi permetterti, il Barone è un mostro che va fermato” rivela con una nota di preoccupazione nella voce. “Sta arrivando qualcuno” li interrompo con ansia. “In quanti sono?” mi chiede Erik balzando in piedi. Sporgo l’orecchio per udire e dopo un po’ di silenzio rispondo “una”. “Una?” inquisisce lui con rabbia, pensando che sia Anya. “E’ viva” lo tranquillizzo “sento il suo cuore”. “Sei sicuro che stia venendo qualcuno, potrebbero andare ovunque?” chiede Martina, scettica. “Il mio udito è infallibile” dico e lentamente mi avvicino alla porta aprendola nel momento esatto in cui la donna ci si ferma davanti. “Salve” saluta evidentemente turbata. “Salve” rispondo sorridendo al suo imbarazzo. “Non so se sono nel posto giusto, sto cercando Martina” mi spiega arrossendo leggermente, a volte dimentico l’effetto che faccio, così annullo all’istante i miei poteri. “Forse l’hai trovata, chi sei?” domando e finalmente riacquista un po’ di lucidità. “Sono sua sorella Asia” risponde lanciando uno sguardo all’interno. Tranquillizzato dall’onestà delle sue parole, la invito a entrare. “Martina, c’è tua sorella” la informo cedendo il passo alla donna. “Ciao sorellina, come stai?” chiede sedendosi al suo fianco e abbracciandola sussurra tesa “è lui, vero?” Martina annuisce e capisco che stanno parlando di me. “La mamma mi ha detto cosa è successo, perché non mi hai telefonato, sarei venuta subito”. “Non volevo farti preoccupare, in fondo sono in buone mani” la tranquillizza con dolcezza. “Certo” conferma scettica e sposta lo sguardo per la camera, fino a fermarsi su Erik “la mamma ti sta lasciando a casa di due sconosciuti, ma è impazzita” protesta indignata “vieni a casa mia”. “Lei non si muove di qua” si intromette Erik con tono burbero. “Non sei mica suo padre” accusa con rabbia “non hai alcun diritto su di lei”.
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“Non sono suo padre, ma posso salvarla da attacchi nemici, tu cosa puoi fare?” la sfida con occhi fiammeggianti. <<Perché diavolo si arrabbia tanto?>> penso tra le loro, botta e risposta. “Ho i miei sistemi” replica Asia “chicca, andiamo da me” propone guardando la sorella. “Lei non va da nessuna parte” ripete lui autorevole, mentre le afferra il polso con forza. “Deiria bun” digrigna lei e un istante dopo lo vedo lasciare la presa. “Cosa diavolo hai fatto?” ruggisce lui furioso tenendosi la mano con l’altra. “Non mi piace essere toccata” risponde lei con un sorriso compiaciuto “forza, andiamo a casa” insiste poi guardando Martina. “Non posso” finalmente si decide a parlare “ho bisogno di restare qui, al momento sono sotto torchio, ho una setta Maledetto nazista e il vampiro più crudele al mondo che mi danno la caccia, ho bisogno di protezione” spiega con calma. “Io non basto?” chiede la sorella, dispiaciuta. “Non contro i nemici che ho, è tutto più grande di noi, fidati” sussurra tristemente “qui sono tra amici”. “Amici violenti” sottolinea guardando Erik in tralice. “Mi hai ustionato la mano, direi che ti difendi bene” ride soddisfatto. “Se resta lei, resto anch’io” dichiara senza titubanze “non ti lascio qui da sola” aggiunge tornando a guardare la sorella. Martina fa scorrere lo sguardo tra lui e me “Può?” “Per me non ci sono problemi, una strega fa sempre comodo” dico ridendo. “Fate come vi pare, io vado a farmi un giro” brontola Erik e rapidamente esce di casa. “Lo hai fatto davvero arrabbiare” rimprovero Asia divertito “non è abituato a una signora che gli tiene testa” spiego tornandomi a sedere sulla poltrona. “E io non sono abituata a un prepotente come lui” sorride divertita “in effetti forse ho esagerato”. “Tranquilla, la bruciatura svanirà dopo cena” sorrido aggiungendo “forse volete rimanere un po’ da sole, non ci ho pensato subito, scusatemi”.
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“Figurati, sei a casa tua” mi fa notare Martina “semmai siamo noi a dovercene andare”. “Sciocchina” dico senza riuscire a trattenermi “e poi chi lo sente papà se vi faccio allontanare” con una tenerezza naturale le sfioro il viso, lasciando che una carezza spontanea le sfiori la pelle leggermente arrossata “buona notte” le saluto con un sorriso e, bisognoso di un po’ di sonno vado in camera, cogliendo così l’occasione per lasciarle sole.
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Capitolo 32
Martina - Ventitreesimo giorno “Allora, come ti senti?” domanda con premura. “Bene” rispondo, ma il suo sguardo dubbioso lacera la mia precaria sicurezza. “Tesoro, dico sul serio come stai?” ripete la domanda con reale interesse. “Ho ancora qualche piccola ammaccatura, ma fisicamente sto bene” rispondo sottovoce. “E non fisicamente?” insiste prendendomi la mano. Prendo un lungo respiro prima di ammettere la verità “Uno schifo” singhiozzo e le prime lacrime iniziano a inondarmi il viso. “Chicca, cosa c’è?” chiede preoccupata e sento l’ansia nella sua voce. “Ho fatto una cosa orribile” rivelo scossa dai singulti “e non ho ancora avuto modo di realizzare, quello che è successo”. “Di cosa stai parlando?” domanda ancora “mi stai facendo preoccupare”. Asciugo gli occhi nel tentativo di recuperare la compostezza, ma la sua familiare presenza mi rende debole ed esattamente la giovane ragazzina che sono. “Ehi, ti prego racconta” supplica accarezzandomi dolcemente i capelli “sai che a me puoi dire tutto”. “Ho ucciso Elisa” dico con un filo di voce. “Cosa stai dicendo?” si scandalizza afferrandomi per le spalle “non è il modo di scherzare”. “Non sto scherzando” replico sollevando il viso per guardarla negli occhi “l’ho fatto sul serio”. “Com’è successo?” inquisisce sconvolta. “Lei era stata trasformata in un vampiro e voleva uccidermi, ho dovuto farlo” tento di giustificarmi tra le lacrime “lo capisci”.
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“Mi riesce ancora difficile capire questa storia dei vampiri” ammette costringendomi a guardarla nuovamente negli occhi “ma se è andata così ti sei solo difesa, non potevi fare diversamente” tenta di tranquillizzarmi. “Lo so che non avevo scelta, ma non posso fare a meno di pensare che è morta per colpa mia” spiego coprendomi il viso con le mani. “Era già morta” mi ricorda “tu non hai fatto altro che dare pace alla sua anima”. “Asia, per quanto io sappia di non aver avuta scelta, non posso non ascoltare il mio senso di colpa, i suoi genitori staranno in pensiero per una figlia che non tornerà mai, come posso convivere con questo?” domando disperata, sperando che davvero possa fare qualcosa per me. “Il modo migliore per affrontare il senso di colpa è parlare con i suoi genitori” dice comprensiva. “E cosa gli dico, di non soffrire per la sua scomparsa, perché era diventata una vampira e io sono stata costretta a ucciderla” tiro su con il naso “è tutto così orribile” brontolo affranta. “Lo so che è orribile” concorda “ma vedrai che parlando con loro, tutto si sembrerà meglio”. “Si, ma cosa gli dico” singhiozzo ancora completamente disperata. “Al momento giusto ti verranno in mente le parole giuste da dire” tenta di tranquillizzarmi “non è stata colpa tua, è successo perché doveva accadere”. “Io però mi sento un mostro” ammetto colpendomi il petto con il pugno chiuso “non ho problemi a uccidere un vampiro, a combattere e a difendermi, ma questa pena è devastante”. Con gentilezza mi induce a sdraiarmi sulle sue gambe “Forse questo dolore non ti abbandonerà mai, l’importante è che tu capisca che non potevi fare diversamente, i vampiri devono essere uccisi, chi fossero prima della trasformazione non conta, essa è la loro morte, dopo sono solo dei mostri”. “Domani mi accompagni?” chiedo, mentre cullata dalle sue premure inizia a calmarsi il respiro. “Verrò con te” promette e dolcemente mi aiuta a rilassarmi “adesso riposa, io resto qui accanto a te”. Lentamente e quasi senza accorgermene inizio a sentire gli occhi pesanti e i muscoli indolenziti << Mi avrà fatto un incantesimo>> e dal pensiero mi ritrovo subito nel mondo dei sogni.
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Capitolo 33
Stefan - Ventiquattresimo giorno La lunga scalinata in ardesia mi appare più lunga e maleodorante dell’ultima volta che l’ho attraversata. L’odore di muffa e sangue mi sale alle narici con prepotenza, schiaffeggiando e prendendo a calci i miei polmoni inattivi. Una strana sensazione di paura mi coglie, come se non sapessi a cosa stia andando incontro. L’atrio in pietra mi riceve con il suo tombale silenzio e inevitabilmente inizio a tremare. “Kernec” chiamo ad alta voce, ma soltanto la mia eco risponde al richiamo. <<Perché sono qui?>> penso in preda allo sgomento <<cosa sta succedendo?>> domando a me stesso senza proferire parola. “Ti chiedi ancora perché sei qui?” mi beffa Apopi con la sua voce tonante, che nel buio di questa stanza appare ancora più terrificante. “Mostrati” grido con tono sicuro, anche se internamente ho ancora qualche dubbio. “Vedermi allenta il tuo timore?” chiede con un ghigno folle e ironico. “Si” rispondo secco, senza vergogna ne altro. Due scie luminose color smeraldo si intrecciano in spire cangianti. Il tempo di un battito di ciglia ed ecco l’enorme Dio dinnanzi a me. La sua figura imponente mi blocca come se fossi vittima di un potente incantesimo e i suoi occhi di brace mi perforano l’anima. “Sai perché sei qui” afferma con calma “il tempo a tua disposizione è quasi scaduto”. “Ne sono consapevole” rispondo irritato, questo incontro è la prova tangibile che sta per finire. “Hai meno di sei giorni” insiste con la sua voce serpentina. “Posso ancora farcela” replico, ma la voce appare insicura anche alle mie orecchie.
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“Quanto sei patetico” mi offende con un ghigno diabolico “non ce la farai mai” profetizza “e lei sarà mia”. “Scordatelo” grido con rabbia “non sarà così”. “Puoi gridare quanto di pare, ma alla fine sai chi avrà la meglio” ghigna ancora “non puoi sfuggire al patto”. “Con lei non ci riuscirò” l’avverto con voce incrinata “è diversa dalle altre” tento di spiegare, ma mi zittisce con una risata tonante. “E perché credi che mi stia tanto a cuore il tuo mese” domanda in modo retorico e afferma con disprezzo “non lo hai ancora capito che voglio il suo sangue”. “Allora sappi sin da ora che non lo avrai” replico con foga “non la ucciderò per te”. “Non puoi esimerti da questo e lo sai anche tu” la sua lingua biforcuta frusta l’aria a pochi centimetri dal mio volto “sono le parole del Sigillo, se la giovane non ti amerà tu dovrai sacrificarla a me” grida con sfregio “e io sto già pregustando il momento, anche perché è impossibile che si innamori di te in così poco tempo” conclude contento. “Non importa, io non la ucciderò” insisto con caparbietà. “Sai cosa ti accadrà se verrai meno al tuo dovere?” chiede con un sibilo. “Si” rispondo conciso “io la mia vita l’ho vissuta”. “Stupido” offende con disprezzo “davvero credi che la sua vita valga un’eternità di atroci sofferenze. Non capisci che ti dimenticherà mentre tu starai ancora soffrendo”. “Non ho mai provato per nessuna niente di simile” sorrido sulle sue parole “non so neanche quando e come sia accaduto, ma è successo, io la amo e sacrificherò me stesso per lei”. “Io voglio il suo sangue” tuona con rabbia e tutta l’ironia che aveva svanisce con la mia risposta. “Non l’avrai per mano mia” affermo sicuro e nello stesso istante una nube verdognola mi circonda. Riapro gli occhi nell’intimità della mia camera, un leggero strato di sudore m’imperla la fronte mentre le narici lottano per allontanare lo stagnante odore di muffa. Sento le note della voce squillante di Martina e non posso fare a meno di sorridere, è un piacere per me poterla ascoltare di mattina presto. Nonostante il malumore lasciatomi dal
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sogno, mi alzo e vado a preparare la colazione, so che per lei sarĂ una brutta giornata, voglio che almeno inizi in modo piacevole.
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Capitolo 34
Martina - Ventiquattresimo giorno “Sei sicura di stare bene?” chiede Asia con un’espressione preoccupata. “Benissimo” sottolineo convincente “non mi fa male neanche un muscolo, guarda” la invito scavalcando il divano con un salto. “Non c’è bisogno di esagerare” mi rimprovera dandomi un buffetto sulla guancia. “Vuoi del caffé?” chiede Stefan ad Asia, raggiungendoci in salotto. “Si, grazie!” risponde impacciata “non pensavo che beveste il caffé”. Stefan le sorride senza dire niente poi, fermandosi a guardarmi con aria triste m’informa “Ti ho preparato la colazione” e ritorna in cucina. I suoi occhi doloranti mi riempiono di angoscia, ma con Asia non posso parlare, quindi devo cercare di rimandare tutte le domande a più tardi. In assoluto silenzio consumiamo la colazione e spiegandogli il mio bisogno, usciamo di casa. Il familiare pianerottolo al quinto piano dove abitava Elisa è occupato da alcune persone intente a discutere. “Martina” sento il mio nome pronunciato a fatica e tra la folla cerco l’interlocutore. Nascosto e seduto sul davanzale della finestra scorgo Carlo, il viso pallido, gli occhi gonfi e due profonde occhiaie mi palesano le sue notti insonni. “Stai bene?” chiedo in apprensione e avvicinandomi gli afferro un polso. Il suo cuore pulsa sotto il mio palmo. “Io si, ma ho paura per Elisa” risponde con voce piatta “stiamo aspettando i carabinieri”.
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“Per cosa?” domando con preoccupazione crescente, mentre scruto i volti delle altre persone, riconosco i loro vicini, e suo padre. “Hanno sentito delle urla l’altra sera” spiega il padre di Carlo con trasporto “non ci hanno fatto caso, ma quando oggi Maria ha saltato il gruppo di punto croce, hanno iniziato a preoccuparsi”. “Non ha mai saltato un incontro” si intromette la signora Peini in modo pettegolo e preoccupato allo stesso tempo. Sulle sue parole arrivano due carabinieri, uno sventola un foglio come se fosse una bandiera bianca, l’altro si fa largo con prepotenza e con impeto bussa alla porta. “Guardi che sono giorni che bussiamo” gli fa notare la signora Peini “non vi abbiamo mica chiamato per farvi perdere tempo” aggiunge infastidita. “Signora, non possiamo buttare giù la porta così, dobbiamo seguire una procedura” ribatte l’uomo a tono “e adesso per favore si sposti” ordina scostandola in malo modo. Rimaniamo ad aspettare per un tempo che pare interminabile e alla fine si decidono a entrare. Dall’interno giungono le loro voci “Che puzza, ma cos’è?” domanda uno, mentre l’altro risponde poco dopo “Sono tutti morti”. Le parole arrivano nitide e subito portano lo scompiglio sull’affollato pianerottolo. “Cos’è successo?” grida isterica la signora Peini, entrando come una furia nell’appartamento. “Signora non può stare qui” l’ammonisce l’uomo scortandola fuori “e adesso per favore andatevene, questa è diventata la scena di un crimine, dovete lasciarci lavorare” spiega accigliato. “Sono morti tutti?” domando con le lacrime agli occhi. “E’ una parente?” domanda in modo meno truce. “No” rispondo trattenendo il pianto angosciato “sono un’amica di famiglia”. “Sa dirmi quanti vivono in questa casa?” chiede con interesse. “Certo, sono in quattro, i genitori e due figli, un maschio e una femmina” rispondo con voce piatta. “Allora manca la femmina” pensa sottovoce “può rispondere a qualche mia domanda?” chiede in modo retorico, come se potessi esimermi dal suo interrogatorio e così, dopo avergli dato il consenso rispondo a tutti i loro quesiti.
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“Non mi hai ancora spiegato una cosa?” domanda Asia mentre torniamo all’appartamento di Stefan. “Cosa?” replico scostandomi una ciocca di capelli dal viso. “Perché continui a stare a casa loro, voglio dire, sono dei mostri succhia sangue e, non dimenticare che ho visto la tua morte” dice senza respirare. “Non sono dei mostri” li giustifico tranquillamente “te l’ho detto, i Maledetti sono un’altra storia, dovresti dargli la possibilità di farsi conoscere”. “Non credo che conoscendoli cambierei parere” dice seriamente “anche se” si prende un attimo per pensare “ho visto il modo in cui ti guarda e le premure che ha nei tuoi confronti, non riesco a credere che possa ucciderti”. “Perché dovrebbe?” insisto nel condurla in un altro discorso “lui dovrebbe volermi amare, non uccidere” sorrido timidamente “a meno che tu non ti riferisca al fatto che quando mi guarda e mi sfiora mi sento morire”. “Scema!” esclama dandomi una leggera spinta “capisco che siano carini, ma non esagerare”. “Siano?” inquisisco con ironia “guarda che io parlavo solo di Stefan” sottolineo con un sorriso malizioso. “Non farti strane idee ragazzina” replica esagerando con la serietà “non ci penso minimamente e poi non ho alcuna intenzione di fare da rimpiazzo” precisa con stizza. “Non capisco neanche di cosa stai parlando” dico fingendo un’ingenuità che non mi appartiene “e comunque adesso ho un problema più serio” dico fermandomi davanti alla vetrina di un negozio. L’immagine che torna indietro nel riflesso è di una giovane dal viso imbruttito dalle preoccupazioni e soprattutto da un ematoma che ricopre parte lo zigomo. “Il Barone” suppone lei comprensiva e aggiunge “la mamma mi ha raccontato tutto”. “Già, a quanto pare io sono l’unica in grado di fermarlo, strana la vita” sospiro staccandomi da quell’immagine che fa male “non riesco a capire perché sia tanto pericoloso, ma capisco che mi voglia morta”. Ricominciamo a camminare con la luce del sole che inizia a scemare. Ho trascorso l’intera giornata per acquietare i miei sensi di colpa, è
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stato difficile, ma quando ho scoperto che Elisa aveva cenato con la sua famiglia, tutti i miei rimorsi sono svaniti. “A che cosa stai pensando?” domanda Asia con interesse e spiega “sei diventata così silenziosa”. “Niente di particolare” mento, non voglio darle più preoccupazioni di quante già non ne abbia “pensavo a come la mamma abbia spiegato questa situazione a papà” dico, non è il pensiero dominante ma ammetto di averci pensato. “Gli ha raccontato la verità” m’informa con tranquillità “ce l’ha spiegata insieme, per lui non è stato facile, ma alla fine ci ha creduto”. “Non credevo che potesse credere a una simile follia” ammetto sottovoce “a volte fatico a crederci io stessa”. “Papà è più in gamba di quanto credevamo” rivela con orgoglio “credo che in fondo lui abbia sempre immaginato qualcosa, bisogna ammettere che siamo stranine noi due” conclude sorridendo e si ferma davanti al portone del palazzo di Stefan. “Mangiamo qualcosa insieme?” le chiedo ricambiando il sorriso. “No, vado a casa, sono sicura che starai bene” risponde aprendomi il portone e sorridendomi si allontana.
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Capitolo 35
Stefan - Venticinquesimo giorno “Grazie per la serata” dice Martina mentre si appresta a sparecchiare la tavola. “Figurati” mi schernisco “era soltanto una pizza”. “Vero” concorda aggiungendo “ma una pizza buonissima” e sorride contenta. “E’ bello vederti ridere di nuovo?” rivelo onestamente. “E’ merito tuo” replica mutando espressione “non riesco a essere triste a lungo se sono al tuo fianco” ammette portando lo sguardo al lavello. “E’ tardi, vai a riposare, finisco io qui” le consiglio prendendole la spugna dalle mani. Il leggero contatto con la sua pelle delicata accende il mio freddo corpo e rapidamente il pulsare del desiderio irrompe nei miei lombi. Nello stesso istante si volta a guardarmi e il suo splendido viso si trova a pochi centimetri dal mio. Il profumo della sua pelle inebria i miei sensi allenati e il soffio caldo del suo respiro mi sfiora come una lieve e sensuale carezza. Questa vicinanza mi stordisce e il suo sguardo ardente lede il mio autocontrollo. <<Vai in camera>> grida il mio pensiero, ma i miei occhi e le mie labbra non fanno altro che replicare il suo desiderio. Con dolce incertezza vedo le sue morbide labbra schiudersi mentre si avvicinano desiderose alle mie e impotente, cedo al desiderio. Le nostre labbra si sfiorano con delicatezza accendendo in un istante la mia bramosia. Con deliberata lentezza faccio scorrere la lingua sulle sue morbide labbra, contornandole e assaporandole con dovizia per poi insinuarla nella sua invitante bocca, innescando anche in lei un desiderio irrefrenabile. In un istante ha le mani libere, rapidamente fa scivolare le sue dita umide sulla mia nuca e mi attira a se, facendo così aderire perfettamente i nostri corpi.
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Il rumore secco di una porta scardinata ci costringe a separarci, impegnato come ero non avevo sentito alcun pericolo in arrivo. “Salta fuori, lo so che sei qui” grida Anya e la sua voce adesso ha perso qualsiasi melodia. “Chiuditi dentro e non uscire per nessun motivo” le ordino guardandola dritta negli occhi “capito?” “Non mi nasconderò qui” risponde senza tentennamenti “non sono una donzella da salvare” aggiunge uscendo dalla cucina. “E questa sarebbe la tua scelta?” domanda Anya bloccandoci nel piccolo disimpegno “magrina e insignificante” aggiunge con disprezzo “inizia a supplicare piccola, ho intenzione di ucciderti” minaccia rivolgendosi a lei, mentre altri due Maledetti le fanno da coda. “Questa sarebbe la tua intenzione, però bisogna vedere se ci riesci” le risponde a tono Martina e con una capriola aerea salta dietro di loro. “Che bello sai fare qualche giochetto” ghigna diabolica “tanto meglio, così sarà più bello ucciderti”. “Accidenti quanto parli” la rimbecca Martina con una tranquillità disarmante “vuoi farti sotto oppure aspetti un invito ufficiale” la beffeggia senza timore. “Sei una donna morta” ringhia crudele Anya e sulle sue parole i suoi due compari decidono di occuparsi di me. “Parole, parole, parole” ironizza Martina per nulla intimorita dalle minacce. Anche se impegnato con i miei avversari, non posso non preoccuparmi di lei, così con la coda dell’occhio osservo anche il suo combattimento. Con un movimento inaspettato, Anya le piomba sul ventre con un calcio laterale costringendola a piegarsi su se stessa. Il tempo di un breve respiro e già un altro colpo le colpisce la nuca. Martina è sulle ginocchia, annaspa e barcolla per recuperare il controllo. “E’ la tua fine bambina” sibila Anya mentre con un altro colpo la abbatte al suolo. La sua schiena scricchiola al contatto con il pavimento, leggo nei suoi occhi un attimo di confusione mentre la vede avvicinarsi senza pietà. “Di addio alla vita” le consiglia con occhi glaciali. “Già” bisbiglia lei e adesso c’è un lampo di furia nello sguardo.
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Agile, si rotola su di un fianco e in meno di un respiro è di nuovo in piedi, vigile e furiosa. Un sorriso diabolico le colora il viso pallido e parte all’attacco. I colpi sono rapidi, forti e precisi, non la credevo capace di tanta bravura. Anya è forte come sapevo, ma anche Martina lo è. Un pugno mi colpisce in pieno viso mentre schivo quello indirizzatomi dall’altro. Indietreggio di alcuni passi fino a raggiungere la dispensa, senza pensare apro e afferro la prima arma a portata di mano, con l’ascia bipenne mi do il giusto slancio, così la lama riesce a tranciare di netto la testa di uno dei due. L’altro indietreggia borbottando parole incomprensibili, sembra quasi come il guaito di un cane al qual è stata pestata una zampa. Continuo a fendere l’aria, mentre il mio sguardo torna preoccupato sulla mia Martina. La vedo roteare su se stessa abbassandosi e, con una gamba distesa fa cadere Anya al suolo con un rumore sordo. “Prendi” le grido lanciandole l’arma, lei l’afferra senza nessuna fatica e con lo slancio della presa la decapita, facendo rotolare la testa in un mare di cenere, mentre il sopravvissuto dei tre, scappa veloce. “Tutto bene?” le chiedo con ansia. “Altroché, sto una favola” risponde senza staccare lo sguardo dalla testa di Anya. “Vai in camera, non continuare a guardare” cerco di convincerla togliendole l’ascia dalle mani. “Perché è ancora li?” mi domanda indicando la testa. “Per noi Maledetti le cose funzionano un pochino diversamente, con la decapitazione il corpo si tramuta subito in cenere mentre la testa ci mette un pochino di più” con gentilezza le prendo la mano “sei ferita, vieni che ti medico” insisto per allontanarla da questi due macabri trofei e la porto in bagno. “Credi che ne verranno altri?” chiede stringendo i denti. “Non lo so, comunque di loro hai da temere ancora per sei giorni, poi in un modo o nell’altro non ti cercheranno più” tento di tranquillizzarla mentre spruzzo il taglio con l’acqua ossigenata. “Ahia” brontola sottovoce stringendo gli occhi. Con un asciugamano la detergo, poi delicatamente ci poso un bacio. “Bacino passa tutto” scherza riaprendo gli occhi. “Lo spero” ammetto chinando il capo e fissando la ferita sull’avambraccio “non avrei mai voluto farti soffrire così”. “Non è colpa tua” replica sollevandomi il viso con le dita tremanti, costringendomi a guardarla negli occhi.
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“Se non fosse stato per me e per il Sigillo, loro non avrebbero mai cercato di ucciderti” insisto carico di senso di colpa. “Non dirlo” dice e la sua voce è poco più di un sussurro “io sono “. “State bene?” domanda Erik irrompendo in bagno come una furia, interrompendo meravigliosamente il momento di intimità che si era creato, sembra proprio che non possiamo averla un po’ d’intimità. “Si stiamo bene” rispondo io per entrambi, poiché lei è visibilmente scossa. “Cosa è successo?” inquisisce guardando il sangue fuoriuscire dalla ferita. “Anya” rispondo sintetico e stanco. “Dov’è ora?” domanda ancora interessato. “Un mucchietto di cenere” risponde Martina “insieme a uno dei suoi amici” precisa alzandosi dal bordo della vasca “scusatemi, ma ho bisogno di dormire” e silenziosamente svanisce oltre la porta della sua camera. “Non dovevo uscire” si rimprovera Erik mentre ritorniamo sul luogo dello scontro. “Non dire cavolate” l’ammonisco “sono io che dovrei saperla proteggere” mi rimprovero in aggiunta. “Sei solo tremendamente stanco” precisa lui “da quando è stata attaccata dagli scagnozzi del Barone non hai più dormito”. “Non è proprio vero, ho dormito qualche oretta ieri notte e avrei preferito non farlo” rivelo preoccupato del ricordo. “Perché?” domanda subito. “Ho incontrato Apopi, ha pensato bene di ricordarmi che il tempo a mia disposizione è quasi scaduto” inizio tirando su i cocci rotti “precisando che se non si innamora di me, devo sacrificargliela”. “Stefan, lei è importante” mi ricorda con ansia. “Certo, è importante per la sconfitta del Barone lo so, ma anche se non lo fosse non potrei ucciderla comunque, io la amo sul serio” confido senza remore. “Per gli Dei, non c’è una soluzione, il patto è il patto” sparla concitato. “Ti sbagli una soluzione c’è” lo contraddico con un sorriso triste. “Non puoi sacrificarti” rimprovera “un’eternità di sofferenze atroci in cambio della sua vita, non …”.
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“Non dire altro” lo interrompo sfinito “farò quello che devo, adesso andiamo a dormire il sole sta per sorgere” consiglio incastrando una poltrona per bloccare il portone d’ingresso e senza dargli modo di parlare scompaio dietro la porta di camera mia.
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Capitolo 36
Martina - Venticinquesimo giorno La mano è ancora ferma su questa maniglia, dovrei allontanarmi e infilarmi nel letto senza pensare, ma quello che ho appena sentito … Facendomi forza apro la porta e silenziosamente sgattaiolo davanti alla sua. Ferma, con la mano a mezz’aria attendo che il coraggio arrivi a fare il lavoro più duro: bussare. Guardo il pugno chiuso e le nocche bianche date dalla pressione della stretta e automaticamente sento svanire anche quella piccola sicurezza che ho. Quasi disarmata lascio cadere il braccio lungo il fianco, mentre i miei occhi tristi osservano questa barriera di legno. <<Accidenti, ma da quando sono diventata così timida e fifona?>> penso innervosita dalla mia assurda indecisione. Con un movimento furtivo mi guardo intorno, risoluta apro la porta e, richiudendola mi ci appoggio contro tentando invano di rilassarmi. Affascinata, guardo il letto dalle lucide lenzuola color amaranto che con mia sorpresa è vuoto. “Tutto bene?” mi chiede una voce profonda e, nonostante non me l’aspettassi, non mi spavento. “Si” rispondo voltandomi a guardarlo. E’ a pochi centimetri da me, il suo personale odore di lavanda raggiunge i miei sensi con il suo soffio profumato e il mio autocontrollo vacilla quando lo metto a fuoco. <<E’ appena uscito dalla doccia>> penso arrossendo, ma non mi decido ad andarmene e inebetita e stregata resto a fissarlo. Con un asciugamano si strofina i capelli neri, per poi appoggiarlo sul collo e da lì, il mio sguardo scivola pericolosamente sulla sua figura. Estasiata osservo le sue ampie spalle, scendendo pericolosamente sul suo petto muscoloso e sul suo addome scolpito, la perfezione di un modello riproposta in un Dio. Sento il calore raggiungere la punta
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delle orecchie mentre osservo le linee sottili che convengono a “V” sul suo membro, che è coperto da un altro asciugamano. Un sospiro esce dalle mie labbra e non so dire se per sollievo o dispiacere, quindi lo lascio cadere al suolo. “Tutto bene?” chiede di nuovo con una nota divertita nella voce. Sollevo lo sguardo e lo appunto sul suo viso compiaciuto, un meraviglioso sorriso gli illumina gli occhi, dandogli colore. “Ero venuta per parlarti” riesco a dire dopo molti imbranati silenzi. “Dimmi?” dice avvicinandosi e m’indica il letto per sedermi. <<Stupida, vuoi riprendere il controllo della tua lingua e dirgli perché sei venuta>> mi rimprovero nella mente. Lui sorridendo viene a sedersi al mio fianco. <<Così nudo non potresti andare dall’altra parte della camera così mi concentro>> lo rimprovero sempre con il pensiero. “Allora, cosa c’è che ti tiene sveglia?” mi chiede osservando il leggero raggio di sole che filtra dalle tende socchiuse. Ingoiando il nodo di imbarazzo che mi attanaglia la gola mi decido a parlare. “Ho sentito quello che hai detto a Erik” inizio senza respirare. I suoi meravigliosi occhi chiari si spalancano preoccupati e con dolcezza mi prende le mani con le sue. “Non devi preoccuparti” replica con trasporto “non posso rispettare il Sigillo, non con te” si inginocchia davanti a me senza lasciare la presa “non ti farei e farò mai del male, ti prego credimi” dice realmente angosciato. “Lo so” dico e obbietto sbigottita “parlavo di quello che hai detto su di te”. Lui si alza in piedi confuso sillabando “Ah”. Seguo il suo esempio e, sollevando il capo per guardare i suoi occhi rivelo “Non voglio che tu ti sacrifichi per me”. “Non ho alternative, io la mia vita l’ho vissuta, è giusto che tu viva la tua” mi interrompe aumentando la stretta sulle mie mani. “Non voglio” ribadisco con occhi lucidi. “Ti prego, cerca di capire, io devo farlo” supplica provato. “Guardami negli occhi” ordino scossa. “Se ti guardassi per me sarebbe finita” ammette, dimostrando una vulnerabilità che credevo non gli appartenesse. “Per favore” chiedo con voce appassionata, la sua reazione inattesa mi confonde.
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Lentamente riabbassa lo sguardo e i suoi begli occhi azzurri si tuffano nei miei, profondi, magnetici e unici come sempre. “Uccidimi, se devi” sussurro senza spostare lo sguardo “oppure liberami da questo dolore” aggiungo, portandomi una mano sul cuore “non posso pensare di perderti” riconosco tristemente. L’ultima frase lo paralizza per alcuni istanti, prima di dire “Moriresti per salvarmi” non so bene se sia una domanda oppure un’affermazione, ma non posso fare a meno di annuire. Giuro che non lo credevo possibile eppure, morirei per lui. Sulle sue parole un leggero fascio luminoso color sangue viene sprigionato dal suo strano anello. “Hai rotto il Sigillo” dice con un sorriso commosso “mi ami davvero” aggiunge e con una passione che credevo impossibile si impossessa delle mie labbra. La sua lingua assapora la mia risposta e per un lungo istante resto debole davanti a tanto desiderio. Le sue delicate e sapienti mani iniziano a sfiorare il mio corpo febbricitante, lasciando al loro passaggio la fiamma della smania. Il mio stomaco formicola, non so se sono le così dette farfalle, ma sento un miscuglio nel basso ventre e fatico a respirare sotto l’impeto della sua bocca. Sollevandomi con facilità, adagia la mia schiena sul liscio tessuto che ricopre il suo letto. <<Sono sul suo letto>> ho il tempo di pensare, ma poi tutti i pensieri svaniscono all’istante. Si ferma un istante sulle ginocchia a fissarmi. Lo vedo attraverso la “V” dei miei jeans e spero tanto che non mi chieda se sono sicura. Con magica efficienza infila le mani sotto la maglietta e facendola scivolare sopra la mia testa sembra che sospiri. Con un movimento che non vedo, mi toglie il reggiseno e subito, ritrovo una mia parte intima sotto il suo sapiente tocco, che mi blocca il respiro. DLIN DON, DLIN DON, DLIN DON, il suono pessimo del campanello irrompe in questo magico momento. “Maledizione!” impreca sollevandosi da me e solo in questo istante mi accorgo che l’asciugamano gli era scivolato. Scossa mi metto a sedere e cerco, con mani tremanti di allacciarmi il reggiseno. “Aspetta, tesoro” sussurra al mio orecchio mentre completa la mia opera. Mi volto a guardarlo ed è già vestito e pronto per andare ad aprire.
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“Ma come hai fatto?” chiedo incredula, io non ho avuto neanche il tempo di indossare la maglia. “Sono speciale, non dimenticarlo” mi ricorda sorridendo. Lo vedo svanire oltre la porta. Ancora un po’ scossa per quello che stava per accadere finisco di vestirmi e diligentemente vado a vedere chi è che ci ha interrotti.
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Capitolo 37
Martina - Venticinquesimo giorno “Sei proprio sicura?” domanda ancora mia madre con apprensione “è un passo che cambierà la tua vita per sempre” precisa posando le mani sulle mie spalle, da quando è entrata come una furia e gliel’ho detto, non fa altro che ripeterlo. I suoi occhi sono colmi di apprensione, mentre mi pone un’altra domanda “Lo hai capito che non potrai più avere la tua vita?” “Certo che potrò” replico con un sorriso rassicurante “sarò sempre la tua bambina”. “Non scherzare” obbietta seriamente “non posso permetterti di venire a vivere qui, lo capisci, come posso giustificare che la mia figlia sedicenne convive con un ragazzo?” chiede tutto a un tratto innervosita “è una cosa che non posso permetterti”. “Se Erik ti avesse scelta, tu saresti fuggita con lui” le ricordo a tono “preferisci forse che io sparisca?” inquisisco irritata. “Non dire cavolate” mi rimbecca “vuoi fare la cerimonia per salvare il tuo Maledetto, fa pure, ma poi te ne torni a casa. Non ti permetterò di gettare la vergogna sulla nostra famiglia, tuo padre ne soffrirebbe troppo e con la sua candidatura alla presidenza del Consiglio non si può permette colpi di testa” sottolinea con un tono che non ammette repliche “ti voglio a casa per mezzanotte, non un minuto più tardi” ringhia furiosa, con una rabbia che non credevo le appartenesse e rapidamente lascia la camera e l’appartamento. “E’ proprio arrabbiata” dice Stefan entrando nella sua stanza. “Già” confermo e torno a guardare le piastrelle di marmo. “Ehi, piccola, non è così grave” tenta di consolarmi. “L’hai sentita, vuole che torni a casa per salvare le apparenze” gli ricordo con il broncio. “Non ha tutti i torti, dal suo punto di vista, ciò non toglie che potremo stare insieme” sorride maliziosamente e aggiunge “sono un mago
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nell’intrufolarmi in camera tua” sussurra mentre mi sfiora il naso con il suo dito ancora gelido. “Vero” concordo con un sorriso compiaciuto e lentamente mi sporgo per sfiorare le sue labbra con le mie. “Piuttosto, sei convinta di volerlo fare?” domanda a fior di labbra e il suo respiro mi scalda il cuore. “Adesso che ho capito di amarti, non ho paura di nient’altro se non di stare lontana da te” dico e mi vergogno della mia sdolcinatezza. “Adesso che ti ho trovato non ho alcuna intenzione di perderti, vorrà dire che faremo i fidanzatini per un po’” scherza sfiorandomi il viso con una dolce carezza “adesso però smettiamola di parlare” sussurra e sensualmente sulle mie labbra, per poi baciarmi con una passione travolgente che all’istante lascia cadere tutte le mie ansie. <<Sono ridicola!>> penso facendo aria al lungo vestito viola. “Incantevole è il termine adatto” dice Erik entrando di soppiatto nella stanza. “Come?” inizio a chiedere e lui sorride. “Sono speciale anch’io, ricordi?” inquisisce allegro. “Non smettete mai di ricordarmelo” replico abbozzando un sorriso. “Si, sono molto felice per Stefan” risponde al mio pensiero “è come un figlio per me e poi mi sono affezionato anche a te” sorride illuminando i suoi bei lineamenti “in fondo ti salvo la vita da prima che nascessi”. “Già, sei un po’ il mio eroe” dico andandogli incontro. “Andrà tutto bene” tranquillizza il mio pensiero “non ti accadrà mai nulla, promesso” e porgendomi il braccio, mi accompagna nella lunga scalinata nera. Nauseata dalla forte puzza di sangue, giro leggermente il capo verso il mio accompagnatore, inspirando a pieni polmoni il suo profumo di pino e rugiada. “Nel tempio l’odore peggiora, ma per fortuna la cerimonia non dura tanto” mi consola con la sua consueta gentilezza e leggermente rincuorata, raggiungo Stefan. <<Dio quanto sei bello>> penso con trasporto ed Erik ride al mio pensiero. Stefan sembra un egiziano, indossa indumenti che mi ricordano le antiche immagini faraoniche.
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Un vecchio rattrappito interrompe la mia visione uscendo dal buio e con esso arriva una cantilena incomprensibile. “Vieni” chiama allungando una mano verso di me. Facendomi coraggio l’afferro e mi porto al suo fianco, ho il cuore in gola e una paura tremenda. <<Mi sa che muoio prima della fine della cerimonia>> penso con strazio, mentre la presa sulla mano aumenta d’intensità. “Stai tranquilla” dice cercando di tranquillizzarmi “non hai da temere, ci sono io con te”. “Prendo in custodia l’Hekat” inizia a dire il vecchio con voce gracchiante mentre prende lo scettro dalle mani di Stefan “e il copricapo dei faraoni” continua, posandoli su un altare alle sue spalle. Torna a guardarci con i suoi occhi inespressivi “Stefan Leion, per merito di un amore vero, io sacerdote Kernec, per nome del mio Dio Apopi, ti libero dalla maledizione, donandoti la vita immortale, priva di sacrifici di sangue” dice il vecchio mentre afferrando un coltello sacrificale si incide il palmo, lasciando che il suo sangue cancelli il nome di Stefan dal pesante libro. “Giuri davanti al Sacro Tomo di accettare il destino che ti si prospetta, fatto di una morte in cambio di una vita?” chiede rivolgendosi a me. “Giuro” rispondo con la voce arsa. Il vecchio si avvicina a me e intingendo l’indice della mano destra nel palmo insanguinato, disegna un simbolo sulla mia fronte. “Dieci anni trascorreranno prima che l’immortalità e la potenza in te nasceranno” sibila con voce roca “di sangue mai ti nutrirai e di giorno in giorno più forte diverrai, unita al tuo Maledetto da questo momento sarai e se al patto uno di voi mancherà, la maledizione eterna vi ucciderà” minaccia e il suo alito fetido mi fa venire voglia di vomitare. “Tutto chiaro?” domanda il mostro. “Chiaro” sillabo innervosita, credo di non aver capito a pieno le sue parole, ma non importa, perché appena sento il braccio di Stefan stringersi intorno alla mia vita, dimentico tutto e quando mi attira a sé per baciarmi, non posso fare altro che pensare di aver fatto la cosa giusta. “Che dici, ce ne andiamo?” domanda sulle labbra e il suo alito è caldo e profumato.
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Quasi correndo usciamo dalla casa, l’aria fresca della notte ci scompiglia i capelli e muove con il suo soffio il mio abito e la sua gonnellina egizia. “Si chiama shenti” mi corregge Erik divertito “io vado a farmi un giro, ci vediamo dopo, tu se puoi corri a casa, sei un po’ ridicolo così” aggiunge rivolgendosi a Stefan e, rapido, si allontana lasciandoci soli. “In effetti, se ci vedesse qualcuno non ci faremmo una bella figura” sorride divertito poi, avvicinandosi mi prende le mani mentre le labbra si posano in un sensuale bacio. Un battito di ciglia ed eccoci nel loro appartamento. “Cos’hai fatto?” domando, guardando la perfezione della sua stanza. “Magia” risponde con dolcezza. L’ambiente è illuminato interamente da candele profumate, un misto di vaniglia e fragola si mescola alla sua piacevole lavanda. Il tappeto bianco è ricoperto di petali di rosa rossa, una scia colorata che seguendola mi conduce sull’elegante letto dalle lenzuola di seta nere. “E’ tutto magnifico” esclamo affascinata, mentre le sue dita mi sfiorano la nuca lasciata scoperta dal vestito. Lentamente scivolano verso le spalline e con un tocco delicato le sposta. Dolci e teneri baci sfiorano la mia pelle nuda, percepisco la sua carezza leggera mentre raggiunge la cerniera e la tira giù. Sento le sue mani scorrere lungo la mia spina dorsale, dal basso fino alle mie scapole, dove con un leggero spostamento d’aria fa cadere il vestito. “Sei incantevole” sussurra piano sulla mia pelle, mentre mi rigira tra le sue braccia. Il seno nudo, premuto contro il suo petto mi fa perdere la ragione. Colma di desiderio faccio scorrere le mani lungo le sue braccia fino a incontrarsi sulla sua nuca, avidamente lo attiro a me e lo bacio. Non so come ci ritroviamo sul morbido letto. Con studiata lentezza, fa scivolare le sue mani su mio corpo ansioso. Sembra una gentile carezza, ma il mio corpo si muove subito bramoso al ritmo della passione. Non basta un attimo per placare questo disperato bisogno. Lui è forte e dolce, sento i suoi muscoli guizzare sotto le mie mani tremanti. Con movimenti lenti lascia scorrere le mani su di lei. Delicate ed esperte raggiungono i miei piccoli seni, che sembrano essere nati per le sue mani. Seguo la sua testa corvina,
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mentre scivola piano dal mio collo alla loro turgidità rosa. Le sue mani adesso viaggiano con una loro indipendenza, sfiorano ogni parte del mio corpo come se fosse un bisogno mentale, come se volesse raccogliere ogni particolare di questa notte. E’ passionale e delicato, dolce e gentile mentre conquista il mio dono più grande. Un leggero bruciore iniziale mi costringe a emettere un gridolino. “Vuoi che mi fermi?” chiede preoccupato, bloccando all’istante il suo meraviglioso tocco. “Dovevi proprio chiedermelo?” ironizzo ansante “sono sicura che passerà” insisto e attirandolo a me lo convinco che è necessario continuare. Adesso, ondate di piacere m’invadono a ogni spinta, più forte è la spinta e più forte è il piacere che provo e, in questa danza di corpi a me sconosciuta, provo l’estasiante piacere del stare insieme. Rotolando su un fianco mi chiede “Come ti senti?” “Meravigliosamente bene” rispondo sincera e chiedo con un po’ d’apprensione “e tu?” “Molto più che meravigliosamente bene” risponde e sorridendo mi posa un altro bacio sulle labbra. “Adesso sei mia moglie, anche se non per la legge umana” dice dopo il lungo bacio. “Sì, una moglie che abbandona il marito la prima notte di nozze” aggiungo con tristezza. L’idea di dove andare via mi fa pizzicare gli occhi. “Ma figurati” ride mettendosi a sedere “tu non dormirai mai più senza di me”. “E come lo dico alla mamma?” chiedo accarezzandogli il petto. “Non glielo dici, mi teletrasporterò da te ogni sera e all’alba svanirò con la luna” spiega dolcemente “adesso vestiti che ti porto a casa” aggiunge, sfiorandomi il naso con le dita. “Mi teletrasporti?” chiedo interessata. “Pensavo di fare due passi” risponde tranquillamente. “Ma se mi teletrasportassi, potremmo uscire più tardi” propongo mordendomi il labbro inferiore un po’ imbarazzata dal pensiero che mi è venuto. “Direi di si” risponde e, cogliendo la provocazione, ricomincia a baciarmi, portandomi in modo meraviglioso dove voglio essere, tra le sue braccia.
Introduzione al Sequel
“Grazie per il passaggio” dico guardando la porta dell’appartamento davanti a me. “Dovere, mia signora” risponde con un inchino e dandomi un fugace bacio, svanisce come siamo arrivati. Felice come non mai busso alla porta e diligentemente aspetto che vengano ad aprire, con tutto quello che è successo in questi giorni, non ho pensato di prendere le chiavi quando sono andata via. “Meno male, speravo che arrivassi un po’ prima” dice abbracciandomi “come stai?”. “Bene, mamma” rispondo varcando la soglia “papà?” chiedo non vedendolo alla scrivania, di solito resta alzato fino a tardi per scrivere i suoi discorsi. “E’ a Roma” risponde appoggiandosi allo stipite della porta “per caso hai…” inizia a chiedere, ma appena osserva il mio volto si ferma. La vista inizia ad annebbiarsi, mentre l’odore rancido di cibo avariato mi colpisce in pieno viso. Spossata, cado sulle ginocchia e dolorante premo le mani sulle tempie. “Piccola, una visione?” sento che mi chiede preoccupata, ma la sua voce mi giunge come al solito ovattata. Un uomo dai lunghi capelli bianchi mi guarda dall’alto “Finalmente sei mia” ghigna con il suo viso deformato dalla trasformazione “la tua bella testolina mi ridarà la giovinezza” sibila, mentre vedo la sua mano adunca scendere verso il mio volto terrorizzato. “Tesoro” la voce dolce e vellutata di Stefan mi riporta alla realtà “cosa è successo?” chiede preoccupato. “Solo una visione” rispondo minimizzando “ma tu cosa ci fai qui?” “Mi ha telefonato tua madre, era preoccupata per te, sei rimasta in trans per un bel po’” spiega accarezzandomi il viso.
“Adesso sto bene” mento per mia madre, non voglio darle altre pene “che ne dici se andassimo a dormire” le propongo con un sorriso tranquillo. “Sì, forse è meglio” conviene e mi chiede con ansia “ma sei sicura di stare bene?” “Benissimo” rispondo guardandola negli occhi. “Stefan se vuoi puoi rimanere, preferisco che non resti da sola” dice mia madre che, spossata, va a dormire. “Che cosa hai visto?” mi chiede non appena mia madre è svanita oltre la porta. “Credo il Barone” rispondo stringendomi nelle spalle. “Cosa, Amore, è importante?” insiste con ansia. “No, non lo è se ci sei tu al mio fianco, senza contare Erik” dico tranquilla “andiamo a dormire” lo invito e afferrandogli la mano lo conduco in camera mia, dove con dolci carezze, mi fa dimenticare il mio peggiore nemico.
Prossimamente… Genova non è più la stessa a 5 anni dalla rottura del Sigillo di Stefan. Una serie di crudi omicidi sta agitando le notti della Superba. Il barone è uscito allo scoperto con i suoi seguaci per completare la sua opera, uccidere l’Eletta. In “Curse’s Blood - il Barone e l’Eletta” si incroceranno odio, amore, passione, magia, viaggi e scoperte sconvolgenti, che animeranno la vita dei protagonisti della Saga del Sangue.
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