Leader - Giugno 2018

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Anno 1 N°5



sommario

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editoriale

WHIRLPOOL: LA CONNETTIVITÀ CON IL “SESTO SENSO” SANOFI: IL MATRIMONIO DEL SECOLO TRA TECNOLOGIA E SALUTE

LOEWE: L’ESERCIZIO DELLA QUALITÀ E DELLA COERENZA DI BRAND MEDIAWORLD: IL NUOVO FORMAT DI PUNTO VENDITA BASATO SUI SERVIZI ALCATEL: “DEMOCRATIZZIAMO” LA TECNOLOGIA DI NUOVA GENERAZIONE CECED/APPLIA: L’ECONOMIA CIRCOLARE NELL’ELETTRONICA DI CONSUMO

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TECH DATA: UNA NUOVA GAMMA DI SERVIZI DEDICATI AL CANALE FISICO ILIAD:LA RIVOLUZIONE PARTE DALLA LIBERTÀ DEL CONSUMATORE STATE OF THE NET: GLI ITALIANI SONO INNAMORATI DELL’INNOVAZIONE 5G E IOT: COME SI STA EVOLVENDO LA CONNETTIVITÀ FASHION: QUANTO INCIDE L’E-COMMERCE NELLA MODA E NEL LUXURY MUSEI ITALIANI: LA DIGITALIZZAZIONE PER CATTURARE PIÙ VISITATORI BRAND: LA CLASSIFICA A VALORE E PER AWARENESS DEI MARCHI RISORSA UOMO: LE PERSONE E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

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Si stanno affermando molti principi che, a furia di ripeterli, diventano realtà assolute. Una sorta di mantra che trae vigore dalla reiterazione. E su questi stilemi mentali nascono visioni di mercato spesso ottimistiche. Prendiamo il caso dei millennials: ma davvero è un segmento di mercato di riferimento? Certo, i nuovi ricchi in altri Paesi (soprattutto emergenti) sono rappresentati dalle generazioni più giovani, quindi hanno un elevato potere d’acquisto e una forte predisposizione alla tecnologie di ultima generazione. Ma in Italia i “nuovi” ricchi sono le vecchie generazioni, quelle che sono riuscite ad accantonare nel corso della vita lavorativa e ora si appassionano alle nuove tecnologie, che possono permettersi anche come premio e celebrazione di un traguardo personale. I millennials in Italia sono le generazioni del risparmio, di chi predilige l’utilizzo al possesso del prodotto, che stanno togliendo fiato a banche, assicurazioni e case automobilistiche, che acquistano i marchi di moda low cost o su canali online, che faticano a rendersi indipendenti dalle famiglie. Forse bisogna iniziare a comunicare in modo diverso a questi target, piuttosto che concentrarsi su un solo interlocutore spremendo fondi con operazioni di dubbia utilità, tralasciando bacini di consumatori ben più redditizi. Che poi, queste scelte sono conseguenza di un modus operandi più a monte. Ossia, pensare che ciò che avviene nelle città, in primis Milano e Roma, sia corrispondente a quanto avviene in Italia. Ma non è così. Le due grandi città del Paese sono un po’ più avanti rispetto al resto del territorio, per questo danno vita a logiche di commercio e dinamiche di consumo non replicabili altrove. Non a caso più del 90% degli acquisti italiani si perfezionano all’interno dei negozi fisici. E la dominanza dell’e-commerce e della new economy è limitata ai centri urbani più strutturati. Bisogna tornare a pensare al local, in senso puntuale e non in un contesto di benchmarking. Altrimenti si misura un consumatore esclusivamente locale, unico e irripetibile altrove. Irripetibile nel presente e nell’immediato futuro. Tornare in sintonia con la periferia, valorizzare le specificità geografiche del consumo sarebbe già un buon esercizio per scardinare alcuni assoluti. Perché ciò avvenga è necessario utilizzare la tecnologia come mezzo e non come fine. La filosofia della personalizzazione del servizio riassume un po’ tutto: «Il punto d’arrivo sarà la definizione di campagne promozionali non più massificate e universali, come accade oggi, ma segmentate per cluster di clienti. Manderemo l’offerta giusta al cliente giusto», dice Giancarlo Nicosanti Monterastelli, Ad di Unieuro. E per arrivarci bisogna capire cosa chiede il consumatore al punto vendita fisico. Secondo una ricerca di GfK, i clienti finali cercano: esperienza diretta del prodotto, attività collaterali, operazioni di marketing dedicate, maggiore velocità di servizio e comprensione delle specifiche esigenze. Pronti a cambiare?

anno 1 - numero 5

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di Luca Figini Direttore responsabile luca.figini@publiedim.com

giugno 2018 Testate del Gruppo Leader Dealer Mono by Ei dal 1960 EiMag.it - www.eimag.it - www.eimagpro.it iGizmo.it - www.igizmo.it Direttore Responsabile Luca Figini Direttore Editoriale Fiorenza Moradei fiorenza.moradei@publiedim.com Coordinamento Redazionale Roberto Bonin roberto.bonin@publiedim.com

Hanno collaborato Virginia Galli, Walter Ravizza Art Director Lucia Moradei Grafica e impaginazione Daniela Bascià danielabascia@gmail.com www.studiografico32.com Marketing & Adv adv@publiedim.com Stampa Ingraph S.r.l. Via Bologna 104/106, 20831 Seregno (MB)

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5 - giugno 2018


intervista a Marco Merolla di Roberto Bonin

La connettività di Whirlpool ha il “Sesto Senso” Con la campagna #SensingYourWorld il brand si riposiziona per confermare la sua natura di marchio premium al servizio del consumatore Whirlpool è l’intuitività», aggiunge Merolla. «La marca parla a un consumatore impegnato e che non vuole compromettere la qualità della propria quotidianità. Quindi è alla ricerca di un elettrodomestico intuitivo che apprenda dalle sue reali esigenze, oltre che dai suoi comportamenti, e li rifletta in caratteristiche e funzioni che si possano attivare in maniera semplice e veloce per arrivare senza sforzi a un risultato eccellente. Questo è tutto ciò che associamo a Whirlpool. Viceversa, nel caso di una persona che desidera avere più supervisione dell’ambito domestico e, magari, garantirsi la possibilità di un maggiore margine di controllo anche addentrandosi in modo più incisivo nelle dotazioni tecniche del prodotto, allora il marchio Hotpoint è più indicato». Il Gruppo può contare su un paniere di brand con «diversi orientamenti che partono da un ascolto molto attento del consumatore e non potrebbero svilupparsi in modo indipendente se non analizzassimo i desideri e le esigenze concrete delle persone», continua Merolla. «Vantiamo brand che si sfaccettano in differenti “unique selling proposition” proprio perché parlano a utenti diversi. Whirlpool, come detto, è importante per il suo concetto di intuitività, associata a prestazioni elevate, semplicità di utilizzo e design molto elegante e moderno. Tutto ciò è subordinato al “riconoscere” l’identikit del consumatore a cui ci rivolgiamo in modo da toccare con precisione le sue richieste esplicite e implicite». Insomma, un lungo e articolato lavoro di ascolto che, proprio come conferma lo stesso Merolla, è stato trasformato a livello comunicativo nell’immagine della Dea che, dall’alto del grattacielo di una città ideale, osserva, sente e ascolta i bisogni dei consumatori per poi raggrupparli e portarli all’interno del Sesto Senso di Whirlpool e, poi, concretizzarli in una funzione tecnologica da portare a casa degli stessi utenti.

di un insieme articolato di attività che prevedono investimenti in spot sul territorio ma, soprattutto, nuove forme di collaborazione con i partner del trade attraverso un concetto di promozione e incentivo nell’ottica di superare e rinnovare la solita logica del taglio prezzo. Per esempio, nel momento in cui si scrive l’azienda è attiva con una particolare operazione: a fronte dell’acquisto di un modello della gamma di lavatrici SupremeCare, è previsto un omaggio rappresentato da un pacchetto di esperienze (da un weekend a viaggi e idee per il tempo libero) fino a un valore commerciale di 500 euro. «Stiamo operando in un contesto descritto da un progetto più ampio di creazione di valore», precisa Marco Merolla. «Abbiamo costruito una strategia globale che si concentra sul concetto di valorizzare tutta la filiera, con il risultato ultimo di “alzare l’asticella” per il nostro marchio e per il comparto nella sua globalità, di fatto portando notevoli benefici indotti all’ecosistema di distribuzione nel suo complesso, dai retailer ai service di assistenza postvendita, fino a tutti coloro che partecipano alla filiera. Il creare valore passa necessariamente tramite l’innovazione e, quindi, attraverso nuovi prodotti in grado di stimolare la domanda. Questo deve avvenire anche sfruttando l’investimento pubblicitario, che per noi significa tornare al vero ruolo dell’industria: incentivare cultura e domanda di prodotto, intraprendendo un percorso che si deve orientare sempre più a una logica di sell-out piuttosto che di sell-in». Il tutto deve essere enfatizzato portando l’attenzione sui prodotti: «I consumatori vivono una forte emozione nel possesso e nell’utilizzo di un elettrodomestico, che a volte viene forse un po’ troppo banalizzato durante il processo di acquisto», continua Merolla. «È importante attivare nuove opportunità, soprattutto nel mondo della cucina, come per esempio legarsi agli chef o studiare soluzioni in-store che permettano di inserire il prodotto all’interno dell’ambiente dove sarà utilizzato, allo scopo di valorizzare sempre di più l’aspetto esperienza-emozione che si vive durante la customer journey. Grazie alla connettività, è possibile migliorare ulteriormente il livello del rapporto tra consumatore e dispositivo, perché, per esempio, un forno connesso può diventare un vero e proprio hub della cucina in quanto sarà in grado di interagire con gli altri elettrodomestici, di capire i comportamenti dell’utente, di suggerire ricette e, di conseguenza, di indirizzare la spesa quotidiana». Conclude Marco Merolla: «Stiamo vivendo un momento storico per il mondo dell’elettrodomestico, poiché la connettività sta riportando questi prodotti al centro della vita delle persone e sta offrendo nuove occasioni di business e di partnership».

L’INTUITIVITÀ È LA CARATTERISTICA DI WHIRLPOOL: RENDE SEMPLICE L’UTILIZZO AI CONSUMATORI

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a Dea di Whirlpool torna a far sentire il suo abbraccio innovatore sul mercato italiano. Dopo cinque anni di assenza dalle scene mediatiche il brand americano con Dna e linee produttive italiane è tornato a investire in modo importante nel nostro Paese, per ribadire non solo il suo ruolo di leader nel mondo dell’elettrodomestico, ma soprattutto la sua vocazione innovatrice attenta alle esigenze dei consumatori. «La campagna è un investimento importante di cui sentivamo il bisogno», spiega Marco Merolla, Marketing Director di Whirlpool Italia. «Al di là delle novità di prodotto, vogliamo in realtà parlare del brand in coerenza con la nostra strategia di posizionamento verso l’alto di gamma. Perché vi è un disallineamento tra l’intrinseco valore dell’offerta, ciò che i consumatori dicono dei prodotti e il prezzo medio di mercato». La nuova campagna di comunicazione ruota intorno al concept #SensingYourWorld, che nasce da un attento ascolto dei bisogni dei clienti finali e si focalizza sugli aspetti “connessi” degli elettrodomestici. «Uno dei valori più importanti di

CREARE VALORE

La campagna di comunicazione di Whirlpool non è un’iniziativa fine a se stessa, ma fa parte integrante

«Grazie alla connettività, è possibile migliorare il livello del rapporto tra consumatore e dispositivo, perché l’interazione tra i vari elettrodomestici permette di capire i comportamenti e di adattarne di conseguenza le funzioni offerte»

marco merolla

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6 - giugno 2018


intervista a Fabio Mazzotta di Roberto Bonin

Tecnologia e salute: il matrimonio del secolo Con la nuova piattaforma digitale Uwell, Sanofi entra a pieno diritto nel mondo della tecnologia consumer e inaugura una nuova era nel rapporto con il paziente na». L’applicazione di Sanofi, fruibile sia dal portale web sia in mobilità, si basa su tre diverse aree tematiche: semplificare il rapporto dell’utente con il pianeta salute; educare attraverso contenuti autorevoli e certificati (contrastando anche la cattiva informazione su Internet); motivare le persone a prendersi cura della propria salute. Al suo interno sono disponibili numerosi servizi, tra cui la geolocalizzazione delle farmacie, la possibilità di prendere appuntamento con i medici, la gestione della propria agenda con i vari appuntamenti scadenziati e il controllo del cosiddetto “armadietto dei medicinali”. «Uwell è una piattaforma aperta», fa notare Mazzotta. «Vogliamo proporci come incubatori e quindi offrire a start-up e app di terze parti, che siano pertinenti con i nostri valori, di essere facilmente integrati all’interno della nostra applicazione. Altro elemento di novità è rappresentato dalla possibilità di usufruire del multiprofilo, quindi rivolgersi non soltanto all’utente che si iscrive in prima persona ma anche ai famigliari». «In questa prima fase, della durata di circa tre anni, stiamo rilasciando diverse funzionalità che coprono i bisogni essenziali e primari. Prevediamo anche una fase pilota, che riguarda per ora solo alcune città italiane, per ciò che riguarda l’home delivery, ossia la consegna di un farmaco a casa propria entro 60 minuti. Non è escluso che nelle release successive Uwell offrirà anche la possibilità di interagire con operatori professionali, magari attraverso chatbot o consulti online», continua ancora Mazzotta. «Uwell nasce per ora come un’applicazione B2C, ma in cantiere stiamo già mettendo a punto una versione Pro in cui saranno coinvolti non solo gli attuali attori, ma anche nuovi interlocutori, come per esempio le assicurazioni, gli ospedali privati e il retail clinic. Sottolineo che si tratta di un progetto esclusivamente italiano, che nasce e si sviluppa interamente nel nostro Paese. Abbiamo creato questa applicazione nella speranza e convinzione che, anche grazie all’intensa roadmap di sviluppo prevista per i prossimi mesi, si possa generare una leva che ci permetta di estendere l’app ad altri Paesi».

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emplificare l’approccio dei consumatori alla gestione della propria salute. È questo il principale asset con cui Sanofi ha sviluppato Uwell, una moderna piattaforma digitale che permette il rapido accesso ai servizi per la il benessere e la salute quotidiana ed è in grado di offrire contenuti informativi e consigli utili da parte di esperti. «Il motivo principale che ci ha portato a sviluppare un’applicazione in ambito servizi è stata la necessità dei cittadini di trovare delle esperienze all’interno di un mercato ormai saturo di innovazione», spiega Fabio Mazzotta, General Manager BU Consumer Healthcare Sanofi Italia e Malta. «A questo si aggiunge la profonda distanza esistente tra la domanda e l’offerta di salute; una domanda che appare sempre più disintermediata e immediata, in cui il consumatore ha delle aspettative ‘fluide’, pretende un servizio H24 e risposte sempre disponibili e veloci. Il tutto a fronte di un’offerta ancora particolarmente rigida, strutturata, e intermediata da molti attori della filiera». «Proprio allo scopo di avvicinare la domanda e l’offerta di salute, abbiamo pensato a una soluzione che, grazie alla tecnologia, fosse in grado di valorizzare tutta la filiera, senza superarla, offrendo così la possibilità al cittadino di avere un accesso più facile al mondo della salute, nonché un’interazione più immediata e più semplice con tutti gli operatori. La piattaforma ha anche un ruolo socio-culturale per l’empowerment delle persone, perché la salute va considerata non solo un diritto ma un dovere del singolo», continua Mazzotta. «Uno dei concept alla base del progetto consiste nell’iniziare a prendersi cura della propria salute all’interno della routine quotidia-

LA ROBOTICA NON PUÒ E NON DEVE SOSTITUIRE L’INTERAZIONE CON L’OPERATORE SANITARIO

SALUTE IN EVOLUZIONE

Il concetto di salute e, soprattutto, la domanda di salute sono in qualche modo cambiati in questi ultimi anni? Mazzotta non ha dubbi: «La domanda di salute sta cambiando radicalmente, non solo nella forma in cui viene fruita ma anche perché i suoi requisiti sono assai diversi. Pensiamo ad esempio al rapporto con la cronicità che si è completamente trasformato

La tecnologia va abbracciata per le potenzialità che realmente offre. Nel senso che oggi sono realtà molte cose che fino a pochi anni fa sembravano futuristiche: abbiamo assistito a una accelerazione costante dello sviluppo tecnologico, che ha stravolto le regole del gioco e i paradigmi

fabio mazzotta

nel corso degli anni, in considerazione soprattutto dell’invecchiamento della popolazione. O anche agli effetti dei nuovi farmaci che hanno eradicato alcune malattie invalidanti o addirittura fatali. Tutto questo ha introdotto un nuovo concetto più ampio, che abbraccia un’idea di benessere, di stare meglio e di prevenzione. Meccanismi, questi, che impongono una nuova sfida a chi opera nel nostro mercato». «In più, bisogna ormai concepire il prodotto medicinale, funzionale alla sconfitta di uno squilibrio fisiopatologico, come una vera e propria commodity», continua Mazzotta. «Essendoci ormai uno spettro di molecole praticamente esaurito sotto il profilo dell’innovazione, l’abitudine con la quale gli utenti si avvicinano al medicinale è divenuta quasi una prassi consolidata. Il vero valore aggiunto è associato ad altri aspetti, tra cui l’interazione con altri farmaci, l’uso più appropriato, la gestione della cronicità, la possibilità di verificare se l’aderenza a una terapia sia rispettata». E in tutto ciò, quale può essere l’elemento innovativo per dare vita al connubio tra salute e tecnologia? Anche in questo caso, il punto di vista di Mazzotta non lascia spazio a dubbi: «La tecnologia va abbracciata per le potenzialità che realmente offre. Nel senso che oggi sono realtà molte cose che fino a pochi anni fa sembravano futuristiche: abbiamo assistito a una accelerazione costante dello sviluppo tecnologico, che ha stravolto le regole del gioco e i paradigmi a cui eravamo abituati. Tutto ciò ha generato tantissime opportunità. Si pensi all’uso dell’intelligenza artificiale, alle stampanti 3D, agli algoritmi predittivi capaci di filtrare in modo più efficiente e più adeguato le risposte degli utenti, ai software di osservazione per gli studi clinici in grado di analizzare plateau sempre più ampi e alla realtà aumentata con cui cambiare il futuro del retailing e l’esperienza in-store. Essendo però la salute un tema particolarmente sensibile e personale, si imporrà una tecnologia che mantenga sempre un tocco di umanità, poiché si ha comunque a che fare con l’esistenza delle persone. Per dire che la robotica non è destinata a sostituire del tutto e in modo asettico l’operatore sanitario; mi aspetto invece che concentri tutte le attività a bassissimo valore aggiunto. Quando la tecnologia permette di liberare risorse (tempo e costi) che possono essere reinvestiti in salute, ricerca e assistenza, allora è davvero rivoluzionaria. Ma quando essa vuole prendere il posto dell’uomo e offrire delle risposte semplicistiche a una domanda molto più complessa, allora diventa pericolosa».

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intervista a Giuseppe Pellegrino di Luca Figini

L’esercizio della qualità secondo Loewe Mantenere alto il valore dei prodotti e preservare nel tempo l’investimento del consumatore: i retroscena del brand che propone Tv top di gamma verità è che mantenendo elevato il nostro posizionamento andiamo a conferire valore a tutta la filiera, perché il mercato a volume è sempre più plafonato (circa 4 milioni di Tv venduti ogni anno). Anzi, mantenere invariato il prezzo dei prodotti nel corso del tempo è premiante per i clienti finali perché hanno rassicurazioni sull’investimento fatto». Il vostro è un esercizio complicato, perché puntate tutto sulla qualità. Come si sostiene? «La qualità è un asset di Loewe da sempre. È inoltre una caratteristica tangibile, nel senso che si può toccare con mano perché la ricerca di materiali nobili rientra nel nostro processo di sviluppo e design dei televisori. Anche la nostra interfaccia utente è improntata alla cura estrema di ogni dettaglio e alla semplicità. Per trasmettere tutti questi valori crediamo nel ruolo del punto vendita come canale di dialogo tra il brand e i consumatori. Il nostro personale sul territorio è coinvolto non solo per visitare i negozi ma soprattutto per sensibilizzare e informare gli addetti vendita sulle superfici delle peculiarità uniche che contraddistinguono i nostri prodotti. Spiegare le caratteristiche dei Tv è fondamentale per fare comprendere Loewe e per aiutare a trasmettere la qualità ai clienti finali. Qualità che significa mettere al centro le persone che hanno scelto i nostri televisori, compresi i servizi post-vendita volti a rispondere alle domande dei consumatori e a recarsi nelle case e mettere a punto la configurazione del Tv. Non si può sostenere di essere la fascia alta senza dimostrazione effettiva dei prodotti».

avere un occhio di riguardo per l’esposizione in-store che deve valorizzare nel modo migliore i nostri Tv e le loro caratteristiche estetiche e intrinseche. Il consumatore deve ricevere un messaggio coerente di brand così che giustifichi, anche nel lungo periodo, l’investimento sostenuto». Quanto incide la grammatica del design? «Molti elementi estetici dei nostri Tv sono rimasti sostanzialmente immutati nel corso del tempo. Rappresentano il family feeling dei prodotti, sono uno stilema che distingue l’offerta. Come nel caso del Loewe Eye, ossia del modulo rotondo centrale posto sotto al pannello che cavalca il vintage e crea un elemento di continuità con il passato. Aggiungo poi un altro aspetto fondamentale della nostra value proposition: corredare i Tv di una serie di accessori per configurarne l’aspetto e adattarlo a ogni utente. Ogni modello può essere di fatto composto a piacimento scegliendo la staffa da parete oppure il supporto a pavimento o da tavolo, o addirittura il mobile intero studiato appositamente per il televisore. E ancora, si può scegliere se aggiungere il motore per fare ruotare lateralmente lo schermo oppure finiture per la parte posteriore e soluzioni per nascondere i cavi. Alla resa dei conti ogni Tv è corredato da un’ampia scelta di accessori e opzioni che permette di configurarlo come vero e proprio elemento di design intonato all’arredamento. Vogliamo così creare un’offerta non standardizzata di prodotti ma fortemente personalizzabile per ciascun cliente finale. Questo permette al punto vendita di offrire un servizio innovativo per creare un’opportunità di vendita unica e differente, basata sul servizio e non replicabile online».

OGNI MODELLO PUÒ ESSERE PERSONALIZZATO PER ADATTARSI ALLA STANZA E ALLA CASA

10 - giugno 2018

Gli elementi di design dei nostri Tv sono rimasti immutati nel corso del tempo. Rappresentano il nostro family feeling e sono uno stilema unico, che distingue la nostra offerta

alcuni accessori per fare in modo che il tv sia intonato al design dell’arredamento

Quali valori sono associati al brand? «La nostra costruzione di marca verte sulla coerenza: Loewe ha un posizionamento d’eccellenza tecnica e costruttiva e continuerà ad avere questo atteggiamento. Non siamo un brand per tutti ma non abbiamo mai discriminato né la distribuzione né i consumatori. Semplicemente non scendiamo a patti in termini di prezzi e di proposizione. Anche per questo vogliamo

L

oewe ha fatto dell’eccellenza e dell’uniformità un elemento distintivo, coerente nel tempo. Basti pensare all’approccio: «I telai su cui si basano i nostri Tv sono denominati Sl3xx e Sl4xx; il primo ha pannelli Full HD, il secondo ospita display Super Uhd e Oled. Non abbiamo mai fatto mistero che ci approvvigioniamo dei pannelli migliori sul mercato ma prodotti da terzi. La nostra competenza risiede nella capacità di sviluppare una piattaforma tecnologica ai massimi livelli così da dare vita a un prodotto di altissima qualità. Questo è ciò che vogliono i nostri consumatori», spiega Giuseppe Pellegrino, Managing Director di Loewe in Italia. Il brand “made in Germany” vanta una serie di caratteristiche uniche. Come spiega Pellegrino: «Non siamo un altro brand di massa, bensì vogliamo distinguerci anche nel posizionamento mantenendo alto il valore dei nostri prodotti. I consumatori sono sempre più attenti alla fascia premium, come dimostrano i dati di vendita dei Tv nel nostro Paese. L’Oled, che oggi riassume il top di gamma del mercato, è in crescita costante. Come contraltare i modelli da 32” sono ancora molto cercati dai clienti finali. Dunque, i consumi stanno attraversando un momento di polarizzazione tra due estremi, lasciando sguarnite le fasce intermedie. Noi vogliamo operare nella parte alta del segmento». Il Managing Director è molto chiaro: «non siamo un marchio che mira alle operazioni promozionali. La

giuseppe pellegrino

Come vedete il futuro del Tv? «Il Tv rimane al centro dell’intrattenimento domestico. Nonostante la proliferazione dei dispositivi mobili, il pannello televisivo rimane quello su cui si guardano i contenuti preferiti insieme a familiari e amici, per questo deve garantire un’elevata resa visiva. Inoltre, il tut televisore deve essere in grado di sintonizzarsi su tutte le sorgenti possibili, siano esse televisive, satellitari o in streaming. Loewe sta lavorando per disegnare il Tv del futuro che introdurrà una serie di elementi originali di fruizione dei contenuti. L’idea in ottica con 2019 è valorizzare gli spunti provenienti dalla connettività e da Internet per mettere a disposizione dell’utente un palinsesto personalizzato»


intervista a Luca Bradaschia di Luca Figini

MediaWorld: il nuovo concetto di omnicanalità Nel punto vendita di Chivasso (circa mille metri quadri) l’insegna adotta una logica “customer-centrica” con servizi per supportare le oltre 60mila referenze quella offline. La somma di queste due piattaforme dà origine a un’esposizione completa agli occhi del consumatore. Quest’ultimo, qualora non trovasse il prodotto specifico o una personalizzazione particolare, può andare a selezionare il modello direttamente sui touch-point dislocati nel punto vendita. L’ordine è girato al sito di MediaWorld e la ricezione può avvenire nel negozio stesso oppure a casa del cliente finale», spiega il Coo di Mediaworl. «Per noi rappresenta un cambiamento importante di logica e di interazione nei confronti del consumatore perché mettiamo a disposizione un’ampissima gamma di prodotti. Come accennato siamo già oltre le 60mila referenze ma contiamo di superare i 100mila prodotti in un arco di breve periodo. Così facendo possiamo garantire un’estrema apertura di offerta per mettere le persone nella condizione di vivere un insieme di opportunità molto superiori a quelle del negozio fisico tradizionale».

C

hivasso si trova a una ventina di chilometri a nord-est di Torino, in una splendida vallata solcata dal Po e vanta una storia che affonda le sue radici nell’Impero romano. In questa fortunata cittadina di circa 27mila abitanti, MediaWorld ha aperto un nuovo punto vendita definito “innovativo e pensato in logica omnicanale e customer-centrica”. L’insegna vanta oltre 100 negozi in Italia, ma da questo strategico centro urbano da cui si vedono le Alpi riparte con un nuovo formato per rispondere alle sfide dell’online che invita a un cambiamento ai punti vendita fisici. Non è solo l’e-commerce a imporre nuovi ragionamenti; è soprattutto il consumatore, abituato ad acquistare in modo diverso rispetto al passato. Così spazio ai servizi, erogati attraverso la Smart Bar. È un’area innovativa dedicata a supportare i clienti finali in varie fasi di vita del prodotto, quali primo avvio, backup, installazione di applicazioni accessorie e così via. Dietro alla Smart Bar opera un team di addetti formati per offrire supporto e consulenza di qualità, che risultino specifiche e personalizzate sulla base del cliente finale. Spiega Luca Bradaschia, Coo MediaWorld: «Questa nuova tipologia di format non perde le caratteristiche dello store di prossimità, sempre apprezzato dai clienti. La soluzione omnicanale che proponiamo a Chivasso arricchisce l’offerta del canale fisico, che rimane il riferimento fondamentale per provare i prodotti e diventa il luogo privilegiato per la consulenza agli acquisti e l’offerta di servizi mirati».

luca bradaschia

«La soluzione omnicanale che proponiamo a Chivasso (To) arricchisce l’offerta del canale fisico, che rimane il riferimento fondamentale per provare i prodotti e diventa il luogo privilegiato per la consulenza agli acquisti e l’offerta di servizi mirati»

NUOVO FORMAT

Il nuovo negozio di Chivasso sfoggia un format esteso rispetto a quello classico di MediaWorld. È il primo a proporre un nuovo tipo di integrazione: «Siamo riusciti a inserire una selezione di oltre 60mila prodotti su una superficie di circa mille metri quadri. Come? Abbiamo studiato una soluzione inedita che mette in connessione completa a 360 gradi l’offerta online con

12 - giugno 2018

il punto vendita di chivasso (torino) offre una nuova generazione di touch point da cui è possibile ordinare il prodotto sull’e-commerce di mediaworld

Perché siete partiti proprio dal punto vendita di Chivasso? «La città si trova sull’asse Milano-Torino e permette di raccogliere un bacino di circa 250mila potenziali acquirenti che spaziano nei paesi nord Torino e nei bacini di Ivrea, Vercelli e Biella. Questo negozio si inserisce in un contesto differente rispetto a quello classico di MediaWorld, associato alle grandi città perché permette a una vasta superficie di centri abitati anche di medie e piccole dimensioni di ottenere servizi senza essere costretti ad arrivare fino al capoluogo piemontese o dirottare verso Asti o Milano. L’area coperta è quindi interessante e in coerenza con il format che proponiamo in questo punto vendita. Infine, con Chivasso rafforziamo la nostra presenza sul territorio piemontese che ora può contare su otto punti vendita, 5 dei quali in provincia di Torino».

I SERVIZI DEVONO OFFRIRE VANTAGGI CONCRETI AI CONSUMATORI: QUESTO È IL VALORE AGGIUNTO

Un’altra novità del punto vendita di Chivasso va individuata nell’inedita offerta di servizi. «Ci siamo concentrati sulle esigenze del consumatore dal punto di vista del prodotto e del servizio. Abbiamo perseguito l’intento di mettere a disposizione dei clienti finali una panoramica completa e sinergica di soluzioni. Spaziamo in vari ambiti, dai servizi che permettono di avere il prodotto già pronto all’utilizzo fino alla tutela e alla protezione dell’investimento. Assistiamo anche chi non ha dimestichezza con le procedure di configurazione e installazione dei dispositivi, tra cui computer, televisori e smartphone (per il quale prevediamo anche il trasferimento dei dati dal vecchio al nuovo modello) e così via. Tutto ciò avviene nell’ottica di fornire servizi che siano davvero un valore aggiunto per il consumatore perché tolgono le eventuali complessità relative all’adozione e all’acquisto dei nuovi modelli. Qualsiasi nostra offerta deve trasformarsi in un vantaggio per il cliente finale», dice Bradaschia. I servizi che offre MediaWorld spaziano anche nel mondo degli elettrodomestici. «In questo segmento di mercato ci cimentiamo con prodotti di grandi dimensioni. La principale necessità dei clienti finali è ricevere il prodotto a casa, quindi il servizio è utile quando rende semplice e senza intoppi l’installazione del dispositivo all’interno dell’ambito domestico. Ecco perché la consegna al domicilio è la base da cui partire. MediaWorld si è spinta più in là garantendo la consegna entro la giornata dell’acquisto. Per esempio, un caso limite è quando il cliente finale si presenta alle 17 a ordinare una lavatrice: se il modello richiesto è a magazzino, ci impegniamo alla

SERVIZI CARDINE

consegna immediata. Ripeto, il servizio deve essere vantaggioso per il consumatore e quindi ci siamo attrezzati affinché la consegna o qualsiasi altra richiesta sia soddisfatta in tempi celeri».

Questa multicanalità in-store come si declinerà negli altri negozi dell’insegna? «I concetti proposti sulla superficie di Chivasso sono già presenti anche in altri nostri negozi e la multicanalità nel fisico è un progetto che sviluppiamo da tempo. Parlo per esempio dei servizi di pick-up e di pick-and-pay che sono già attivi in tutti i nostri punti vendita. Quindi è già possibile decidere di comperare online e di ritirare o anche pagare il prodotto nel punto vendita. Nel caso di Chivasso abbiamo fatto debuttare una nuova serie di touch point che permettono un’interattività superiore che porta a un ulteriore livello di semplificazione la scelta dei prodotti a parte dei consumatori. Ci tengo a dire che nel nostro modello di ominicanalità il negozio fisico ha un ruolo chiave perché permette alle persone di accedere a un’esperienza di acquisto unico, che passa dal contatto umano e dalla possibilità di essere consigliati e assistiti da addetti vendita preparati. Non ci sono piattaforme, algoritmi o tecnologie capaci di sopperire alla qualità dei rapporti tra le persone. Non a caso nella strategia di MediaWorld un ruolo di primaria importanza è attribuito agli investimenti sul capitale umano. Un altro investimento che abbiamo già stanziato (circa 8 milioni di euro) consiste nell’installare la connettività a fibra ottica in tutti i negozi della nostra rete vendita, per fare in modo che la omnicanalità e i servizi ai clienti finali facciano un ulteriore step evolutivo».


intervista a Flavio Ferraro di Luca Figini

L’anno della svolta di Alcatel: 18:9 e IoT all’orizzonte Per il brand del gruppo Tcl si dipana un’offerta di prodotto più forte e omogenea che si somma alla costante attenzione per il mercato. Ma si guarda già al futuro strategia, che passa anche da un’offerta di prodotto più calibrata e omogenea. Anche nell’ottica di rendere disponibile la tecnologia di ultima generazione a tutti i consumatori e con prezzi accessibili. Una strategia che si ritrova negli annunci del Mobile World Congress 2018 e in quelli futuri, tutti pensati e progettati per “democratizzare la grande tecnologia”. Ora dobbiamo “solo” concretizzare i nostri piani avendo sempre ben chiari i nostri target. Quando parlo di “svolta”, quindi mi riferisco a un concetto più ampio e non mi limito alle quote di mercato. Viene d’abitudine parlare solo di Alcatel, ma la nostra azienda ha ormai una proposta multi-brand. Vantiamo un ricco portafoglio di marche che comprende anche Blackberry, che si rivolge a una nicchia di valore. E poi facciamo parte del gruppo Tcl, con il quale si possono creare innumerevoli sinergie. Peraltro alcune già concretizzate. L’attuale offerta di smartphone si affida sulla capacità industriale del Gruppo di produrre display. I pannelli impiegati sugli smartphone 2018 di Alcatel sono realizzati in casa. Affidandoci alla forza di Tcl vogliamo concentrarci anche nel mondo dell’IoT, non solo con gli smartwatch ma anche con altri dispositivi. A dire che lo smartphone può giocare un ruolo nuovo, ancora tutto da scoprire».

Come sono oggi gli utenti di smartphone? «Li descriverei in una parola: volatili. L’identikit del consumatore tipo è difficile da comporre perché gli acquirenti sono caratterizzati da una variabilità ampissima, mai vista prima. Ci sono tantissime varianti che andrebbero prese in considerazione. A cui si aggiunge un atteggiamento quasi religioso, quantomeno di fedeltà, nei confronti di alcuni brand. Facendo la tara di queste “sette”, la stragrande maggioranza del mercato è fatta di utenti pronti a cambiare modello e marchio con una rapidità unica e propria di questa era di mercato. Questa mobilità va mitigata cercando di mantenere la fedeltà del consumatore ingaggiandolo sul concetto di ecosistema, che supera la logica delle caratteristiche tecniche. Il nostro compito di brand è rispondere alle esigenze di tutti i consumatori, adottando una strategia multiforme e flessibile per intercettare ogni tipo di domanda. Tutto vero, ma guardando al futuro».

VANTIAMO UN AMPIO PORTAFOGLIO DI PRODOTTI CHE SPAZIA SU PIÙ BRAND

14 - giugno 2018

«T

utto cambia. Dodici anni fa avevamo alcuni brand concorrenti, oggi ce ne sono altri. Il nostro compito è mantenere coerenza e impostare la rotta, impegnandoci a raggiungere i traguardi che ci siamo prefissati», così Flavio Ferraro, Country Manager di Tct Mobile Italy, l’azienda che gestisce il marchio Alcatel per il nostro mercato. «Quest’anno mi piace la filosofia dell’offerta di prodotto. Abbiamo in programma annunci in fasi diverse dell’anno, con il filo conduttore rappresentato dal display da 18:9. Al Mobile World Congress abbiamo fondato il nostro criterio per affrontare il mercato e continueremo con il “racconto” di prodottio e posizionamento anche nei prossimi mesi». Il 2018 che anno è per Alcatel? «Intanto ogni settimana, per non dire ogni giorno, ci cimentiamo in sfide nuove. Quindi dobbiamo esercitare la flessibilità mentale e operativa per affrontare il mercato italiano. L’obiettivo più ampio è fare in modo che quest’anno sia di “svolta” per il nostro brand. Che equivale a por-si con onestà intellettuale nel segmento degli smartphone: abbiamo innanzitutto compreso e analizzato alcune criticità degli anni passati. Questa consapevolezza ci ha permesso di affinare e re-impostare velocemente la nostra

«L’IoT è una forza dirompente che cambierà in modo profondo gli equilibri. L’ecosistema è la parola più utilizzata oggi per descrivere questo contesto: credo che concettualmente l’impatto sarà anche più grande di quanto si pensi»

flavio ferraro

Questo nuovo roulo può dare nuova linfa anche al mercato degli smartphone? «Sì, c’è una sorta di omologazione di alcuni aspetti degli smartphone: display, chipset e sistema operativo sono diventati tasselli standard. Però non basta limitarsi a “impacchettarli” in un dispositivo. Per supportare le crescite di mercato ci vuole un brand, che vuol dire avere una visione locale e periferica delle strategie di breve, medio e lungo periodo. Non è più sufficiente proporre prodotti fine a se stessi. Tcl è un colosso della consumer electronics che in Europa, finora, è conosciuto solo per i dispositivi mobili e i Tv. Abbiamo quindi la potenzialità di spaziare su segmenti ampi del mercato, anche se finora ci siamo limitati a qualche puntata tattica e sporadica. La nostra storia di marca, inoltre, ci ha finora supportati per traguardare i risultati attuali. Ma l’IoT è una forza dirompente che cambierà in modo profondo gli equilibri. L’ecosistema è la parola più utilizzata oggi per descrivere questo contesto: credo che concettualmente l’impatto sarà anche più grande di quanto si pensi. In questa evoluzione la nostra posizione è di fondarci sugli standard e sull’interoperabilità con tutti i prodotti, però è innegabile che dobbiamo muoverci di anticipo, non fosse altro che per ingaggiare i consumatori e mantenere la fedeltà degli attuali utenti».

Il prezzo sarà sempre così importante? «Lo è sempre stato e continuerà a giocare un ruolo di primaria importanza agli occhi dei clienti finali. Sfatiamo un mito. La sensibilità al prezzo c’è in qualsiasi fascia di mercato: dall’entry level alle categorie premium. Semmai aumenta, in modo esponenziale all’incremento di spesa, la richiesta di qualità, cura costruttiva e dotazione da parte del consumatore. Non basta quindi affidarsi al valore di brand, perché il moltiplicatore che ne consegue non può bastare a giustificare un posizionamento elevato. Aggiungo una considerazione. Forse ci concentriamo troppo nelle analisi di mercato sui grandi centri urbani, dove c’è una polarizzazione di servizi che non sono diffusi nelle aree e nelle cittadine più periferiche. L’errore che spesso si compie è di generalizzare una dinamica di mercato da grande centro urbano, dimenticandosi della periferia. Laddove, cioè, il potere di spesa è diverso e anche le modalità di scelta sono completamente differenti. L’e-commerce è molto presente nelle grandi città, mentre i negozi fisici hanno un ruolo sociale e culturale all’interno dei medi e piccoli centri urbani. Il nostro compito è metterli nelle condizioni ideali per vendere al meglio i nostri prodotti, attraverso un sistema di servizi e una sempre migliore conoscenza di prodotto». Che mercato hanno i feature phone? «Sono il classico prodotto dall’elevato potenziale ma lontani dall’occhio di bue. Stando ai dati di GfK, questo comparto ha un’incidenza stabile dell’11% sul mercato complessivo. Non a caso anche per quest’anno abbiamo in serbo alcuni annunci per la seconda parte dell’anno. Nel 2019 continueremo a estendere la gamma e stiamo già ragionando su modelli che supportano Whatsapp. Per noi i feature phone sono un tassello importante dell’offerta po perché ci permettono di rispondere a una poconsumato tente domanda di mercato fatta di consumatori ben individuabili. Quindi vogliamo continuacontinua re a mantenere il nostro focus anche su questo segmento tutt’altro che secondario».

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di Roberto Bonin

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Gli elettrodomestici nell’economia circolare

Benvenuta APPLiA. E’ questo il nuovo nome assunto da CECED Italia che, in occasione dell’Assemblea Generale del 6 giugno scorso, ha confermato nel ruolo di Presidente dell’Associazione Manuela Soffientini di Electrolux per il prossimo biennio. Ad affiancarla, in qualità di Vice Presidenti, vi saranno Vladimiro Carminati (De’Longhi Appliances), Antonella Ferrara (O.L.S), Beppe Fumagalli (Candy Hoover Group), Giorgio Marazzi (BSH Elettrodomestici) ed Evaldo Porro (Electrolux Professional). Novità anche nel Consiglio Generale che ha visto l’entrata di Massimo Bordin (Whirlpool Italia) e Mario Salari (Ariston Thermo Group). L’operazione di rebranding dell’Associazione che riunisce oltre 100 imprese operanti nell’industria degli apparecchi domestici e

la tavola rotonda organizzata dal ceced/applia in occasione dell’evento dedicato all’economia circolare. si riconosce al centro il presidente di applia italia manuela soffientini

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18 - giugno 2018

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professionali per food service e ospitalità (settore che nel 2017 ha generato un fatturato complessivo di oltre 15 miliardi di euro, di cui oltre 10 miliardi di export, e con bilancia commerciale positiva per oltre 6 miliardi, ndr), la riposizionerà ulteriormente sul mercato e supporterà il raggiungimento degli obiettivi preposti, e in particolar modo, quello di promuovere stili di vita sostenibili che consentano a cittadini e operatori di vivere nel “mondo connesso” accelerando la crescita e lo sviluppo economico, ambientale e sociale del sistema Paese Italia. Un programma che, come conferma la stessa Presidente Soffientini, sarà più focalizzato al mercato e, soprattutto, sull’utente finale: «In questo nuovo corso continueremo a focalizzarci sui temi per noi più strategici degli ultimi anni, come ad esempio i Raee, l’economia circolare, gli incentivi statali o l’etichetta energetica, e in generale su tutti quelli che richiedono da parte nostra un presidio e un supporto al fine sia di arrivare a dei regolamenti o dei decreti risolutivi, sia a posizionarsi sul mercato in modo coerente e uniformato. La nostra continuerà a essere un’attività tecnico-normativa molto approfondita, volta ovviamente anche a favorire la collaborazione tra le varie industrie che rappresentiamo. Cercheremo anche di focalizzarci su quelle che sono le prospettive per il futuro, ma sempre con una chiave di estremo rigore rispetto a quelli che sono i posizionamenti sia delle istituzioni sia dei vari stakeholder coinvolti, che vengono da noi gestiti con grande attenzione in favore di tutti gli associati. Il cambio del nome non significa solo un cambio di forma, ma anche una maggiore focalizzazione sull’elettrodomestico e sulla relazione con l’utente finale e con il mercato».

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Particolarmente acceso invece il dibattito sul post-vendita che ha visto contrapposte le posizioni di consumatori e industria: se da un lato si lamenta ancora una scarsa vicinanza alle reali esigenze del cliente finale, dall’altra si rivendica un’assistenza on-site a casa del consumatore e una presenza capillare su tutto il territorio nazionale. E a tal proposito, è bene ricordare che su circa 1 miliardo di elettrodomestici installati in Europa, il numero dei prodotti che nel 2016 ha avuto bisogno di un intervento rappresenta appena lo 0,2% del totale, di cui l’84% effettivamente riparati. A conclusione dell’incontro rimangono quindi ancora aperti i nodi legati alle dinamiche e alle modalità del ricondizionamento degli apparecchi, soprattutto in merito alla durata della vita dei prodotti e alla classificazione energetica, che si fa viceversa sempre più stringente sui nuovi apparecchi immessi sul mercato.

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di film con

Alcatel è un marchio registrato di Nokia e usato sotto licenza da TCL Communication.

È uno degli argomenti più d’attualità e più sensibili in questo momento di mercato ma il tema nasconde dei lati oscuri ancora difficili da evidenziare e risolvere ono molte le categorie merceologiche che possono essere inserite nel grande tema dell’economia circolare, ma quello degli elettrodomestici è forse quello che, per natura dei prodotti e per dinamiche di mercato, meglio di tutti può sicuramente essere preso ad esempio. Se ne è parlato in occasione dell’assemblea generale di Ceced Italia (Applia) del 6 giugno scorso all’interno di un’apposita tavola rotonda che ha affrontato proprio questo particolare aspetto e, in particolar modo, il tema dello smaltimento e della rigenerazione degli elettrodomestici. La tavola rotonda, moderata dalla giornalista de L’Economia del Corriere della Sera Francesca Gambarini. ha visto la partecipazione di Manuela Soffientini (Presidente APPLiA Italia), Massimiliano Dona (Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori), Paolo Falcioni (Direttore Generale APPLiA Europa), Enrico Finzi (Sociologo e Presidente di Sòno e AstraRicerche), Dario Tamburrano (Deputato del Parlamento Europeo) e Monica Tommasi (Presidente Amici della Terra). Proprio l’industria dell’elettrodomestico rappresenta uno dei settori più impegnati in questo senso, avendo dato vita a un’industria realmente circolare: se conferiti e trattati correttamente oggi è infatti possibile il recupero di circa il 90% dei materiali impiegati negli elettrodomestici. Il problema nasce invece per quanto riguarda i cosiddetti prodotti “rigenerati” che, in considerazione della vita media di un elettrodomestico e del suo particolare tipo di utilizzo, spesso e volentieri non rappresenta la strategia più favorevole sia a livello di impatto ambientale sia a livello di sicurezza dell’utente finale. Una delle principali criticità in questo senso è difatti la scarsa conoscenza del prodotto stesso da parte dei consumatori, spesso atratti solo e unicamente dal prezzo particolarmente conveniente; prodotti di seconda generazione su cui la casa costruttrice di origine non ha alcun controllo e nessuna possibilità di intervento. Da qui, due altre grandi questioni: i termini poco chiari sulle prestazioni e sulla garanzia del prodotto e, soprattutto, la totale mancanza di una precisa normativa - sia a livello nazionale sia comunitario - che tuteli sia i consumatori sia i produttori stessi. Un escamotage, così come emerso nel corso della tavola rotonda, potrebbe essere la creazione di marchi separati per i prodotti ricondizionati, al fine di rendere i consumatori più consapevoli della loro scelta e limitare in qualche modo le responsabilità del produttore. Altri importanti temi affrontati nel corso del dibattito, sono stati poi quello dell’obsolescenza programmata dei prodotti e, ovviamente, quello sempre attuale del post-vendita. Tutti d’accordo nel condannare la prima delle due problematiche, nociva sia per il consumatore finale sia per le aziende costruttrici, ma in generale per tutto il mercato e tutta la filiera.

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di Luca Figini

Come creare valore nei punti vendita fisici

La Convention 2018 di Tech Data Italia ha offerto una serie di spunti per rendere i negozi più interattivi, connessi e ricchi di servizi al consumatore

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osa può imparare l’offline dall’online? In che modo il negozio fisico può tornare a intercettare la domanda dei consumatori e trasformarla in sellout? Come il distributore può assistere il retail in questa fase di trasformazione? Sono alcune delle domande da cui è partita la Convetion 2018 di Tech Data, distributore a livello nazionale specializzato nell’elettronica di consumo, nel mobile e nell’It. L’idea di base, sviluppata anche nella tavola rotonda di cui Leader è stato partner editoriale, è analizzare, comprendere, condividere esperienze e ragionare su come i negozi fisici devono tornare a riconquistare il cuore dei consumatori. L’e-commerce è al contempo competitor e opportunità. In un momento in cui l’online pesa in italia per il 14% del mercato It, il mobile mantiene salda la propria prerogativa fisica perché incide solo per il 7% sul commercio elettronico ma le abitudini di acquisto dei consumatori si stanno rapidamente modificando. Per rinnovarsi, il punto vendita deve ripartire dall’interazione con il cliente finale. Ci sono ampi i margini di miglioramento del dialogo sulle superfici, dove la grammatica comunicativa con il cliente finale sembra ormai fossilizzata sulla strategia della promozione.

PIATTAFORMA INTEGRATA

Nella Convention 2018, che si è tenuta in una assolatissima Ibiza, Tech Data ha offerto una panoramica completa sul mercato e sulle soluzioni proposte per rendere più efficiente il processo di vendita. L’idea è sintetizzata con la dicitura “piattaforma di servizi a valore aggiunto” studiati, come si legge nella nota informativa dell’azienda, per “coadiuvare i vendor e le insegne a mantenere alto il valore del prodotto e ad aumentare la propensione all’acquisto dei clienti finali. Questa gestione as a service migliora la fedeltà del consumatore e offre nuove opportunità di upsell”. «Vogliamo essere il punto di riferimento del vendor di tecnologia, che operi in qualsiasi segmento di mercato e di prodotto. Il nostro impegno è profondere competenza, specializzazione e attenzione alle esigenze dei partner», spiega Vincenzo Baggio, Amministratore delegato di Tech Data Italia. «Siamo convinti che dobbiamo fare la differenza ogni giorno con le persone e la qualità dei servizi che proponiamo. Il mondo sta evolvendo in modo rapido, la questione è come mantenere alta la competitività per raccogliere le opportunità di business. La risposta è insita nella nostra struttura, nella nostra presenza omogenea nei Paesi in cui operiamo e nel modo con cui assistiamo il go-to-market dei vendor che si affidano a noi», conclude Baggio. Dietro alle spalle di Enrico Pappolla, Mobile Director di Tech Data Italia, compare la slide che descrive la struttura dell’azienda e le parole scelte dal manager hanno un peso: «Il ruolo del distributore sta cambiando. Non è più solo una questione di logistica, è difficile che

20 - giugno 2018

un prodotto oggi non si venda perché quantità e magazzino sono gestiti in modo efficiente e sono pilotati da previsioni accurate. Nei casi estremi si abbassa il prezzo oppure si migliora la comunicazione e la cultura intorno al modello che magari ha prestazioni al di sotto delle attese. Il retail deve riprendere e rafforzare il proprio ruolo: l’obiettivo del canale è valorizzare la tecnologia e mettere il consumatore nelle condizioni di apprezzarla. Il nostro compito si trasforma e si espande per coadiuvare e assistere i partner in questo percorso, mettendo a disposizione soluzioni, proposte ed esposizioni che possano mettere nel giusto risalto le nuove tecnologie e creare un nuovo livello di attenzione su quelle esistenti». Si entra nel vivo, con la nuova piattaforma online che prevede una serie di servizi denominati Affordability tra cui buy back, finanziamento e trade-in dei prodotti. Questa struttura integrata è messa a disposizione di tutti punti vendita del retail (con esecuzione del ritiro dell’usato, consegna del nuovo prodotto e rivendita del condizionato). Entrando nel dettaglio, ogni singolo servizio è controllato e qualificato da Tech Data, attraverso una procedura snella e con carattere dominante legato al sellout e alla gestione del cliente durante il periodo di adesione. I tre servizi di buy back, finanziamento e trade-in sono regolati in un approccio flessibile e multifornitore, per garantire la migliore offerta di mercato. Al retailer è altresì data la possibilità di determinare i margini che si pone come obiettivo di ottenere dallo schema Affordability. Concretamente; il flusso parte dal buyback del vecchio prodotto, prosegue nella scelta del nuovo modello, dei servizi a corredo, degli accessori e della stipula del contratto di acquisto. L’addetto ha pieno controllo delle condizioni di vendita, del valore residuo del prodotto e della valutazione dell’usato: su questi criteri si possono dare vita a percorsi virtuosi votati al coinvolgimento continuo del consumatore.

GLI AMBASSADOR

Altra importante novità che ha debuttato alla Convention 2018 è la figura del Tech Data Ambassador, un professionista dedicato a supportare il punto vendita a 360 gradi e che, nel suo ruolo di collettore, si occupa di una serie di ambiti relativi al negozio, dalle questioni amministrative, all’organizzazione della attività sulla superficie (merchandising e promoting), fino alla risoluzione di problematiche comuni. In sostanza il Tech Data Ambassador è la figura che rende ancora più efficace il collegamento tra il distributore e i punti vendita (Gdo, Gds, indipendenti e subdstributori). La squadra di Ambassador consentirà a Tech Data di avere una puntuale presenza territoriale in Italia e di creare valore con i partner: Amazon, eBay, ePrice, Auchan, Esselunga, Carrefour, Coop, Iper, Despar, MediaWorld, Euronics, Unieuro, Expert, Mondadori, Trony, HappyCar, Daicom, SG e Area2.

IL PROGETTO SMART HOME

Dulcis in fundo, la conferenza di Ibizia ha permesso al distributore che sta «cambiando mantello» di presentare un progetto interessante virato sul cross-selling. Il protagonista assoluto è l’IoT (80 miliardi di dollari entro il 2020), la sua declinazione nel punto vendita sarà afferente ai comparti della smart home e dell’intelligenza artificiale. Si tratta di arredare un’esposizione modulare in base alla superficie e permette di mostrare i prodotti connessi in un ambiente omogeneo. In più, tutti i modelli (lampadine, videocamere, router, sistemi di allarme e così via) sono funzionanti e collegati agli smart speaker. L’intento del progetto consiste nel permettere ai consumatori finali di testare l’ecosistema funzionante e capirne già dal negozio le effettive funzioni e potenzialità per l’ambito domestico. Il tutto fondato su un’estesa descrizione dei prodotti e su contenuti multimediali esplicativi, proprio per catturare l’attenzione.

i punti chiave in cui si snoda il progetto degli ambassador, studiato per avere una presenza capillare sul territorio italiano e operare soddisfando parametri misurabili e definiti in concerto con il partner

“Doro è molto semplice, è fantastico per imparare ad usare uno smartphone.”

Lo smartphone che connette le generazioni Quando un nuovo smartphone funziona in modo diverso da come siete abituati, questo può essere un problema, a prescindere dall’età. Ecco perché il nuovo Doro 8035 ha un’interfaccia Android arricchita con il menu Doro basato su azioni e facile da usare. In questo modo, potrete scegliere il menu semplice di Doro, ideale per i nuovi utenti oppure scegliere il tradizionale sistema Android, se siete utilizzatori esperti di smartphone. Ciò significa anche che parenti e amici che possiedono un telefono Android possono aiutarvi in caso di bisogno. Dotato di altre caratteristiche uniche di Doro, come il design pratico, il suono forte e chiaro e MyDoroManager, il nuovo Doro 8035 è uno smartphone semplice ed elegante che vi aiuta a rimanere connessi con familiari e amici.

Lasse Holm, 74 anni mi occupo di musica e spettacolo

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di Luca Figini

Iliad punta alla rivoluzione e invita alla libertà Debutta con una tariffa aggressiva il nuovo operatore italiano: scalpore per l’attivazione “fai da te” della Sim e l’assenza di vincoli contrattuali

L’esercizio della semplicità, per il momento, è svolto da Iliad nelle parole e nei fatti proposti da Levi. L’operatore crea un momento di discontinuità in Italia per almeno due ragioni. Da una parte a livello contrattuale: poche clausole, una mera fornitura di servizio, con postille standard. Dall’altro, la scelta di distribuire Sim telefoniche con il più classico “fai da te”. Sia l’attivazione di un nuovo numero, sia la portabilità da un altro gestore sono perfezionati dalla procedura on-line via browser oppure dai chioschi Simbox dislocati in vari esercizi commerciali. Un metodo che pone alcuni ragionamenti sul canale distributivo attuale basato sulla fisicità dei negozi di telefonia. E che può creare il pericoloso precedente, per lo status quo, di abituare i consumatori a diventare indipendenti e poco trac-

E GLI SMARTPHONE?

L’evento di lancio del primo piano tariffario di Iliad si è concentrato solo sulla tariffa, unica e vantaggiosa. Rimane tutto da scoprire cosa succederà una volta raggiunto l’obiettivo del milione di abbonati. Nel frattempo, c’è stato spazio anche per parlare di hardware. Nei punti vendita ufficiali di Iliad (sono sei nel momento in cui si scrive) oltre all’attivazione della scheda è possibile acquistare anche i prodotti di Apple, in virtù dell’accordo stretto con la società di Cupertino. «Abbiamo messo a scaffale i modelli più recenti di iPhone. Ma non è l’unico prodotto che si trova nei nostri punti vendita, perché distribuiremo anche gli smartphone di ultima generazione di brand quali Samsung, Huawei e così via», conclude Levi.

Ecco perché le Simbox di Iliad sono legali Che Iliad potesse scatenare qualche ripercussione in un mercato così statico come quello italiano, era ipotizzabile. Tuttavia sembra che stia per iniziare una stagione di caccia alle streghe, in parte già evidente, in parte ancora piuttosto sotto traccia. Al centro del mirino sono già finite le Simbox, i chioschi con touchscreen dove si segue la medesima procedura di attivazione prevista sul sito del gestore. Al termine, la Sim è erogata in automatico dal distributore. La domanda emersa è se queste Simbox, modificate rispetto a quelle in uso in Francia, siano congrue rispetto al Decreto Pisanu. Secondo il D. Lgs. 259/agosto 2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) gli obblighi in capo agli operatori sono due: identificare gli abbonati e gli acquirenti del traffico prepagato prima dell’attivazione del servizio, al momento della consegna o messa a disposizione della scheda Sim necessaria per la fruizione dello stesso; acquisire i dati anagrafici dei clienti, il tipo e il numero del documento d’identità sul quale essi sono riportati, nonché la riproduzione del documento presentato dai clienti stessi ai fini dell’identificazione. Nel caso delle Simbox italiane di Iliad, entrambi i criteri sono

soddisfatti perché è richiesta l’acquisizione del documento di riconoscimento valido (carta d’identità, passaporto o patente) in formato digitale utilizzando lo scanner integrato. In un passaggio successivo la telecamera chiede che venga registrato un video di presentazione che confermi la veridicità di quanto digitato e rappresentato dal documento. Infine, il contratto è perfezionato dalla firma digitale apportata sul touchscreen. Queste informazioni sono validate in remoto da un operatore. Nel caso della procedura online sul sito del gestore, infine, oltre alla verifica attraverso video, in alternativa è previsto che sia il corriere che spedisce la Sim a verificare e recuperare copia del documento d’identità del destinatario. La dichiarazione ufficiale del gestore non lascia spazio a dubbi: “L’attivazione della Sim viene effettuala da iliad solo in caso di conferma da parte dell’operatore del Servizio Utenti e successivamente a tale conferma. Questo processo è stato ideato e implementato per garantire la conformità con la normativa applicabile e la tutela della sicurezza delle comunicazioni elettroniche, e assicura un livello di controllo sulle identità degli utenti particolarmente elevato anche in considerazione della digitalizzazione della procedura”.

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22 - giugno 2018

All’evento di presentazione della super-tariffa l’Amministratore delegato richiama l’attenzione sulla semplificazione dei rapporti con il consumatore

ciabili nella scelta e nel cambiamento della tariffa e dell’operatore, ingenerando logiche e dinamiche del tutto nuove per l’Italia. Allo slogan “Comincia la rivoluzione Iliad” segue la presentazione della prima offerta che comprende minuti e Sms illimitati, 30 GB di traffico in Italia in 4G e 2 GB di dati in roaming: il tutto pari a 5,99 euro al mese. La rete su cui si appoggia Iliad è quella di Wind Tre e su alcune città può già contare su celle proprie in virtù delle frequenze lasciate libere dalla fusione proprio tra Wind e Tre. Non sono previsti vincoli di alcun tipo, nemmeno costi di recesso. L’obiettivo, spiega Levi, è «rendere libere le persone, fidelizzarle sul servizio non sulla base di impegni contrattuali». Continua l’Amministratore delegato: «Volevamo un’offerta davvero incredibile, quindi abbiamo posizionato la nostra offerta a 9,99 euro al mese. Ma poi abbiamo voluto fare la “rivoluzione”: 5,99 euro al mese, garantiti per sempre» per il primo milione di utenti. Come detto semplicità: una sola offerta, con un contratto di una pagina. Nella tariffa sono inclusi tutti i servizi standard (dalla segreteria telefonica all’hotspot, fino al servizio di richiamata) e sono già bloccati quelli premium. Tecnicamente la Sim è di tipo ricaricabile, quindi per tutte le spese extra che non sono previste nel canone mensile, ad esempio il roaming nei Paesi non coperti dal contratto, è necessario avere del credito per sostenere gli addebiti.

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a scritta che campeggia sul grande schermo nero è a dir poco promettente: Rivoluzione. Sul palco Benedetto Levi, Amministratore delegato di Iliad Italia, tiene a battesimo il nuovo operatore. «Sono entrato da poco tempo in questo settore e l’ho studiato per bene prima di muovermi. Devo ammettere che non avevo idea di quante fossero le persone stufe di tanti usi e costumi delle compagnie telefoniche - spiega Levi Migliaia di persone sfogano il loro risentimento sui social network sull’esperienza di utilizzo dei gestori. Partendo da ciò abbiamo fatto un sondaggio: le persone sono quasi rassegnate a questa situazione». L’Amministratore delegato non ha dubbi nel sottolineare i motivi di insoddisfazione degli utenti: dai prezzi al servizio, fino al customer care. «In realtà, nell’ultimo anno i prezzi dei gestori sono diminuiti. Tuttavia se andiamo ad analizzare i bilanci degli operatori, si noterà come il ricavo medio per utente è aumentato del 9,5% per Vodafone (da 13 a 15 euro), del 12% per Tim (da 11 a 13 euro) e dell’1,8% per Wind Tre (da 11 a 12 euro). Come è possibile? Per scoprire i motivi bisogna analizzare bene i costi implici implici-

benedetto levi

ti previsti all’atto della sottoscrizione dell’offerta. Per esempio, tutti i servizi aggiuntivi e accessori oppure gli adeguamenti tariffari in corsa. Insomma, alla fine del mese ci si trova a pagare più del previsto. Questo è anche frutto della poca chiarezza sui costi di alcune funzioni che in apparenza sono incluse nel contratto. Secondo una ricerca fatta da una terza parte, per confrontare le tariffe degli operatori un consumatore dovrebbe dedicare 25 ore prima di individuare quella più adeguata», continua Levi. La conferenza di Iliad, la prima da quando il gestore è operativo in Italia, offre numerosi spunti di riflessione su come si stia avvitando su se stesso il mercato della telefonia mobile. Troppi cavilli, troppi vincoli e addebiti incontrollati come quelli relativi alla segreteria telefonica oppure al servizio di segnalazione del chiamante quando il numero è occupato. Per non parlare degli “scatti” a gettone previsti da alcuni call center del gestore e dal roaming. I consumatori vivono questi balzelli come un male necessario, perché il telefonino e il numero personale sono diventati parte integrante del vissuto e delle relazioni interpersonali. Per questo ci vorrebbe un ritorno alla semplificazione», spiega Levi. Semplificazione utile per riconquistare la fedeltà di un consumatore troppo abituato a saltare da un operatore all’altro, speranzoso di ottenere facili risparmi.

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di Luca Figini

Gli italiani sono innamorati dell’innovazione L’avvento del digitale ha portato evidenti vantaggi in tutti gli ambiti della vita, esclusa la politica. Tutto pronto per l’interazione tra umani e IA

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80% degli italiani connessi a Internet ha una predilezione per l’innovazione ma per un terzo ha solo danneggiato la politica. Manco a dirlo, è la scarsa alfabetizzazione digitale è ciò che fa esplodere i timori negli italiani. E ancora: nove su 10 connazionali sono connessi al web e hanno una percezione positiva sia dei vantaggi indotti dal digitale, sia dell’impatto dell’intelligenza artificiale. Per il 58% degli intervistati la società ha principalmente tratto beneficio da queste innovazioni e associa al concetto di “innovazione” sensazioni positive: fiducia (46%), sorpresa (37%) e speranza (36%). Solo il 18% prova emozioni negative in merito a queste tematiche. Il sonno genera mostri. I dati finora citati sono stati raccolti nell’ambito dall’indagine intitolata “Conseguenze degli algoritmi: l’atteggiamento degli italiani verso l’innovazione digitale” e condotta da Swg per l’evento State of the Net, la conferenza di Trieste che si snoda su due giorni e dedicata alle conseguenze di Internet sulla vita delle persone. L’audit è stato svolto coinvolgendo un campione di mille soggetti rappresentativo della popolazione italiana online nell’arco di tempo tra il 30 maggio e il 4 giugno 2018. L’impatto negativo derivante da una non alfabetizzazione digitale di base è devastante. Da questa non conoscenza derivano fenomeni quali paura, invidia e indifferenza che fanno precipitare la percentuale della fiducia sull’innovazione di ben 14 punti: dal 46% al 32%. Diventa quindi urgente coinvolgere gli italiani online che presentano un limitato background digitale, culturale ed economico: si tratta del segmento di persone che mostra le maggiori difficoltà con le nuove tecnologie, che hanno ottenuto al massimo il diploma di scuola secondaria e quelli che si trovano in difficoltà economiche, se non in condizioni di povertà.

L’AFFAIRE POLITICO

Il valore aggiunto dell’innovazione è indubbio in contesti quali scienza medica (80% degli italiani), mobilità (77%), attività economiche e produttive (64%), sicurezza (57%) ed educazione (56%). Il contributo appare però controverso in altri campi, tra cui in quello del cibo forse a causa dei timori associati alle biotecnologie. In questo caso specifico il 46% è convinto degli effetti positivi, mentre il 54% ritiene che ci siano aspetti non del tutto positivi o negativi o addirittura solo negativi. La flessione di fiducia maggiore si registra nella politica. Secondo un terzo degli italiani, l’innovazione ha danneggiato la politica: per il 40% l’ha condizionata nel bene o nel male; solo uno su quattro ritiene che l’abbia migliorata.

SENSIBILI AL LAVORO

Il tema del digitale nell’ambito del lavoro sta spaccando a metà l’opinione pubblica: mentre il 42% (in particolare persone con red-

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tre persone su quattro affermano di essere personalmente pronte ad affrontare la svolta digitale. tuttavia la percentuale si abbassa drasticamente al 50% nel campione dei “digitali” poco alfabetizzati, tanto da mettere in evidenza come l’apprendimento dei principi afferenti alla tecnologia giochi un ruolo determinante. più in generale, solo il 45% del campione ritiene che gli italiani siano davvero pronti alla svolta innovativa

dito e livello di educazione elevati) ritiene che robot e algoritmi non stiano rubando opportunità d’impiego, il 47% del campione prevede che invece ciò avverrà. In particolare, rispetto al 2016 la percentuale di chi è convinto che i robot rimpiazzeranno i lavoratori in diverse mansioni passa dal 27% al 32%, mentre diminuisce dal 19% al 15% il segmento di campione che teme una diminuzione dei salari. Nella top 5 dei lavori ritenuti maggiormente a rischio figurano gli autisti e gli operatori alle macchine (per il 46% degli italiani online), gli artigiani e gli agricoltori (per il 32%), le professioni d’ufficio più di routine (26%), le professioni non qualificate (19%) e quelle tecniche (15%).

UOMINI E MACCHINE

Parlando di intelligenza artificiale, gli italiani si posizionano tra le due parti antitetiche rappresentate dai “dataist” (persone che affiderebbero la loro vita agli algoritmi) e dagli “humanist” (che rifiutano la sostituzione dell’intelligenza artificiale all’uomo). Queste figure estreme riguardano rispettivamente una minoranza del 10% e del 13% della popolazione, perché il 75% degli italiani favorisce soluzioni sinergiche a lungo termine tra uomo e intelligenza artificiale. Ci sono però alvei dove l’uomo non può delegare agli automi. Per gli italiani, questi contesti riguardano, con percentuali tra il superiori all’85%, la cura dei bambini e della persona, al divertimento, alla cucina e al raccontare storie. Gli algoritmi iniziano a giocare un ruolo importante nell’assistenza

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di attività specifiche, tra cui la composizione musicale, la gestione delle risorse umane e il giardinaggio: il 72% degli italiani è convinto che siano lavori eseguibili solo da umani. La quota scende ulteriormente per ambiti come il suggerimento di libri, musica e film, la guida e l’individuazione dell’anima gemella. Il campione fotografato da Swg descrive un contesto in cui c’è una spiccata propensione per la collaborazione ibrida tra persone e macchine per quanto concerne invece l’arbitraggio di una partita di calcio, la diagnosi clinica, le indagini per l’arresto di un criminale o le strategie per vincere una guerra. Vanno invece affidate totalmente agli algoritmi le situazioni di trading finanziario o navigazione in città.

ORIZZONTE FUTURO

Nel corso dei prossimi dieci anni lo scenario è destinato a cambiare. Secondo gli italiani ci saranno sempre più attività destinate a essere governate praticamente solo da algoritmi e intelligenza artificiale. Alla resa dei conti, «i numeri di Swg suggeriscono che la maggioranza degli italiani considera positivi gli effetti di Internet sulla società. È però fondamentale continuare a lavorare per portare sempre più cultura digitale tra i cittadini, per far nascere nuove imprese e migliorare quelle esistenti, avere consapevolezza del cambiamento e dunque togliere alibi allo sviluppo del Paese», conclude Beniamino Pagliaro, organizzatore di State of the Net.


di Roberto Bonin

di Luca Figini

Tutto pronto per il 5G ma la tecnologia regina è Lte Nell’Ericsson Mobility Report 2018 si conferma come imminente l’affermazione delle connessioni cellulari a banda larga e la diffusione in massa dell’IoT

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avvento del 5G è ormai alle porte. A confermarlo è la più recente edizione dell’Ericsson Mobility Report che preannuncia un futuro più che roseo per le connessioni cellulari IoT per i prossimi cinque anni. Secondo la ricerca, nel 2023 i dispositivi mobili in grado di connettersi tramite la nuova piattaforma dovrebbero raggiungere la considerevole cifra di 3,5 miliardi di unità in tutto il mondo. In tutto il mondo gli operatori mobili hanno già infatti lanciato oltre 60 reti IoT cellulari utilizzando questo tipo di tecnologie sulla stessa rete Lte sottostante per supportare una vasta gamma di casi d’uso, come ad esempio la logistica e la gestione delle flotte aziendali, o le smart city e l’agricoltura intelligente. Non solo. Già a partire da quest’anno si dovrebbero avere i primi lanci commerciali e, in base alle aspettative, a fare da autentico ‘apripista’ dovrebbe essere il Nord America, mercato in cui tutti i principali operatori prevedono il roll out del 5G tra la fine del 2018 e la metà del 2019. E dove, entro la fine del 2023, si prevede che quasi il 50% di tutti gli abbonamenti mobili sarà 5G; quota percentuale che sarà seguita dal 34% del Nord-Est asiatico e dal

il rapporto firmato da ericsson mette in evidenza lo stato e la diffusione della connettività a livello globale. si noti, qui di lato, come la tecnologia dominante sia lte, tanto che sono in corso valutazioni sull’effettiva utilità di mantenere accese le celle 3g per una questione di efficienza della rete. il 5g inizierà a diffondersi in modo significativo solo a partire dal 2025

I brand di moda e del luxury nell’epoca dell’e-commerce Anche il fashion si sta rapidamente trasformando per la diffusione dell’online, dei social e dell’omnicanalità. Ecco come il mercato sta cambiando per rilanciarsi

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nche nella moda si parla di digitale. Questo trend porta vantaggi anche nel fashion e nel luxury, con operazioni e iniziative che esprimono accenti spic‑ catamente italiani. Tant’è che quando si parla di in‑ novazione, Gucci è il brand che a livello internazio‑ nale conquista la leadership per l’innovazione secondo la Digital Competitive Map 2018 di ContactLab. Il brand fiorentino raggiun‑ ge così Burberry e supera Valentino, Louis Vuitton, Fendi e Cartier. Per dire che i brand italiani del lusso coronano con una classifica gloriosa una lungo percorso di profondo rinnovamento impronta‑ to alla digitalizzazione. Gli obiettivi perseguiti sono stati due: offri‑ re un’esperienza cliente sempre più personalizzata e recuperare, anzi ulteriormente potenziare, la competitività a livello mondiale.

UNA STORIA RECENTE 21% dell’Europa Occidentale. A livello globale, si stima invece che le principali implementazioni 5G avverranno a partire dal 2020. La stessa Ericsson prevede oltre 1 miliardo di abbonamenti 5G per una maggiore banda larga mobile entro la fine del 2023, pari a circa il 12% di tutti gli abbonamenti mobili. Gli abbonamenti Lte continuano infatti a crescere in modo esponenziale e si prevede che raggiungano i 5,5 miliardi entro la fine del 2023, quando rappresenteranno più del 60% di tutti gli abbonamenti mobili.

ESPLOSIONE DEL TRAFFICO DATI

Sempre secondo le previsioni, il traffico dati da dispositivi mobile aumenterà di otto voLte durante il periodo di riferimento per raggiungere quasi 107 exabyte al mese, cifra pari a tutti gli abbonati mobile nel mondo che vedono filmati Full HD in streaming per 10 ore. Entro il 2023 ci si aspetta che oltre 20% del traffico dati mobile a livello globale sarà su reti 5G, pari a 1,5 volte in più rispetto all’attuale traffico totale 4G/3G/ 2G. Anche il traffico video mobile è previsto in crescita di circa il 45% all’anno fino al 2023, fino a rappresentare il 73% del traffico di tutti i dati mobili. Così come anche il traffico proveniente dai social network che dovrebbe aumentare del 31% di anno in anno per i prossimi 6 anni. Anche se la sua quota relativa di traffico diminuirà dal 12% del 2017 a circa l’8% del 2023. I dispositivi basati su piattaforma 5G sono attesi dalla seconda metà del 2018. I primi smartphone commerciali che supportano il 5G nella banda media sono attesi invece per l’inizio del prossimo anno, mentre il supporto per bande ad alto spettro è previsto tra l’inizio e la metà del 2019. Come già avvenuto con l’introduzione delle precedenti tecnologie per l’accesso mobile, il 5G dovrebbe essere implementato prima nelle aree urbane densamente popolate con banda larga mobile

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potenziata e accesso wireless fisso come primo utilizzo commerciale. Altri casi d’uso verranno invece da settori industriali come l’automotive, il manufacturing, le utility e l’assistenza sanitaria.

LA SITUAZIONE NELLE REGIONI AD ALTA CONCENTRAZIONE TECNOLOGICA

In Europa occidentale, Lte è ormai diventata la tecnologia di accesso dominante già dalla fine dello scorso anno, pari a quasi il 50% di tutti gli abbonamenti attivi. Gli abbonamenti con tecnologia Wcdma/Hspa sono diminuiti progressivamente nella regione, anche se attualmente rappresentano ancora oltre il 40% di tutti gli abbonamenti mobili. I primi abbonamenti 5G sono previsti nel 2019, ed entro la fine del 2023; il 5G è previsto raggiunga il 21% di tutti i dispositivi mobili. In Europa centrale e orientale, la transizione da Wcdma/Hspa a Lte sta raccogliendo ulteriore slancio e Lte è prevista divenire la tecnologia dominante entro il 2019, fino a rappresentare circa l’83% di tutti gli abbonamenti mobili. I primi abbonamenti 5G sono invece previsti entro il periodo 2020-2021, per avvicinarsi a una quota del 5% di tutti gli abbonamenti totali nel 2023. La più alta quota di abbonamenti Lte, è attualmente presente in Nord America, dove la quota di penetrazione è vicina all’80%. Proprio questa regione sarà quella destinata a condurre l’uptake 5G, con tutti i principali operatori che hanno già dichiarato la loro intenzione di fornire servizi 5G in anticipo, già nella seconda metà del 2018. Entro la fine del 2023, si prevede che più del 48% di tutti gli abbonamenti mobili sia già con standard 5G. Assai diversa appare invece la realtà in America Latina, dove le tecnologie Wcdma/Hspa sono ancora le tecnologie dominanti. Lte dovrebbe diventare invece la tecnologia leader nel 2018 e, dal 2023, si prevede che rappresenti il 75% di tutti gli abbonamenti.

Nel Nord Est asiatico, la quota di abbonamenti Lte è pari al 73%. La recente implementazione a livello nazionale dell’Lte in Cina ha generato quasi 1 miliardo di connessioni con questo standard già alla fine del 2017.

NEL RESTO DEL MONDO

Il 5G dovrebbe essere diffuso inizialmente in Corea del Sud, Giappone e Cina e poi man mano in tutta la regione, fino a superare il 34% di quota di penetrazione in poco tempo. In India la tecnologia dominante nel 2017 rimane esclusivamente quella Gsm/Edge, dove rappresenta ancora oltre il 60% del totale degli abbonamenti per i dispositivi mobili. Alla fine del 2016 e all’inizio del 2017, il Paese ha sperimentato una forte crescita del numero degli abbonamenti Lte, e di conseguenza questa tecnologia ha raggiunto il 20% di tutti i dispositivi mobili alla fine del 2017. Nel 2023, si prevede che l’Lte possa arrivare a rappresentare il 78% di tutti gli abbonamenti per dispositivi mobili, mentre nel 2022 dovrebbero essere disponibili i primi abbonamenti 5G. Alla fine del 2017, nella maggior parte della regione Medio Oriente e Africa la quota di abbonamenti Lte era vicina al 20%, eccezione fatta per l’Africa sub-sahariana, dove l’Lte contava solo per circa il 5% degli abbonamenti. Si prevede che la regione si evolva anch’essa di pari passo col resto del mondo e che, entro il 2023, gli abbonamenti a banda larga possano raggiungere circa il 90% di penetrazione. Volumi significativi di abbonamenti 5G nella regione Medio Oriente e Nord Africa sono attesi solo nel 2022. Per quanto riguarda il Sud-est asiatico e l’Oceania, infine, si prevede che l’Lte possa raggiungere il 53% di penetrazione entro il 2023. I primi abbonamenti 5G dovrebbero invece essere disponibili nel 2021.

Già nel 2017 Gucci e Fendi si erano fatti vedere nel novero dei brand che si stavano distinguendo per una forte e artico‑ lata strategia di innovazione digitale. L’efficacia di questo metodo si è concretizzata con la classifica di quest’anno. E così nel 2018 altri quattro marchi nostrani hanno raggiun‑ to posizioni di prestigio nella top 10 stilata: Zegna, Bulgari, Bottega Veneta e Valentino. Rispetto al report dello scorso anno, si segnala l’ingresso di Chloè e Miu Miu. Questi sono i risultati della quarta edizione della Digital Competitive Map, realizzata da ContactLab insieme con Exane Bnp Paribas, ha permesso di misurare il livello di cross‑canalità e di digitaliz‑ zazione dell’offerta di 34 marchi internazionali che si cimen‑ tano nei mercati della moda e del lusso. Per compilare la gra‑ duatoria, sono stati tenuti in considerazione ben 19 criteri, uno in più rispetto al 2017 per la separazione tra “shopping online”, “attrattività e facilità d’uso” e “pagamenti”. La ricerca ha analizzato 178 parametri (erano 146 nel 2017) posizionati sugli assi dello “Strategic Reach” a livello globale. Con questo termine si intende il grado di localizzazione raggiunto dalle diverse aziende: Paesi in cui è presente il sito e‑commerce del brand, aggiunta di nuove lingue in cui è disponibile il sito, linguaggi e contenuti delle e‑mail e utilizzo dei social locali. Per stilare la Map si sono poi tenu‑ te in considerazione la “Customer Experience” con focus sugli Stati Uniti con la quale sono stati valutati i servizi per il cliente, come per esempio i metodi di pagamento online, consulenza di stile, servizi cross‑channel, e‑mail proficiency e condivisione social.

SPAZI DI MIGLIORAMENTI

I brand del lusso hanno raggiunto buoni risultati per quanto ri‑ guarda l’architettura ed l’efficacia dei siti web, l’apertura di canali e‑commerce diretti e indiretti, il sistema di marketing via email e la localizzazione dei social nei Paesi. Per contro, emerge come

ci sia ancora necessità di migliorare le prestazioni in vari settori, tra cui le opzioni di consegna, i servizi di cross‑canalità, i metodi di pagamento online, l’estensione delle categorie di prodotto sul web, la consulenza di stile e la condivisione social sui nuovi canali di messaggistica evoluta come per esempio WeChat e WhatsApp. Prendendo in considerazione l’asse delle ordinate (Digital Strate‑ gic Reach) del grafico riprodotto in questa pagina, si nota come Burberry mantiene la sua posizione di leadership. Gucci quasi lo raggiunge anche grazie all’apertura in Cina e all’ampliamento dell’offerta online aggiungendo categorie di prodotto non core come gli accessori casa, mentre Dolce&Gabbana si attesta al terzo posto grazie a un efficace sviluppo della strategia social a livello globale, in particolare su Instagram e perfino sul portale russo VK. Sull’asse delle ascisse (Digital Customer Experience), Gucci e Louis Vuitton guidano la classifica dei brand che offrono la miglio‑ re esperienza utente, mentre Burberry e Cartier si posizionano

rispettivamente al secondo e terzo posto. A livello generale, tenen‑ do conto di entrambi i criteri, dal grafico è possibile notare come i brand italiani ricoprano le posizioni più alte della classifica rispetto alla Digital Competitive Map 2017: Gucci è passato dalla terza alla prima posizione, Valentino dalla 14a alla 3a, Ermenegildo Zegna dalla 14a alla 7a, Bottega Veneta dalla 21a alla 9a e Bulgari dalla 24a alla 10a. La posizione delle francesi Céline e Givenchy è influenzata dalla mancanza di una piattaforma di e‑commerce negli Stati Uni‑ ti. Passi da gigante anche per Prada grazie alla sua conversione al digitale, fatto che ha permesso di superare Hermès, Dior e Chanel e soprattutto di guidare la categoria dei servizi cross‑channel. Oltre a Prada, anche Zegna e Valentino si distinguono in questi ultimi, in quanto permettono non solo di verificare la disponibilità in nego‑ zio, il ritiro in store e la prenotazione tramite appuntamento, ma anche di utilizzare il “Reserve & Try In Store”, cioé della possibilità di prenotare un articolo e provarlo in negozio.

PROGETTO OMNICANALE

«Il passaggio all’omnicanalità, vale a dire la capacità di un brand di tenere il contatto col cliente nei suoi diversi percorsi e mezzi con cui si interfaccia, è uno degli aspetti su cui hanno maggiormente lavorato i brand che mostrano i migliori e più significativi avanza‑ menti nella classifica globale, perché mostrano di aver compiuto uno sforzo logistico non indifferente», spiega dichiara Marco Poz‑ zi, Senior Advisor di Contactlab. «Tuttavia l’approccio omnicanale deve coinvolgere tutti i livelli del business, ponendosi come moda‑ lità operativa anche nella relazione con il cliente attraverso le stra‑ tegie di marketing sino ad un livello individuale. Risultano sempre più indissolubili dai piani di business le logiche di acquisizione e di fidelizzazione del consumatore attraverso i mezzi digitali, insieme alla capacità di un brand di intercettare e interpretare i mutevoli e non‑lineari comportamenti del consumatore. Il “segreto” per far funzionare questa dinamica è la capacità di un’azienda di estrar‑ re valore dai dati per creare un rapporto di fiducia con il cliente finale e rendere fluido e sempre pertinente il suo rapporto con il brand», conclude Pozzi. Dunque, in merito alla strategia e‑commerce, nell’ultimo anno c’è stato un significativo aumento della presenza diretta delle piattaforme online in Cina (Gucci, Louis Vuitton, Prada, Bulgari, Zegna), Corea e Paesi del Golfo. La maggior parte dei brand presi in esame vendono sul Web anche tramite i maggiori Etailer occidentali (Far‑ fetch, Net‑a‑Porter, 24 Sèvres) e nei canali laddove il lusso va per la maggiore come Cina (un terzo dei marchi vende su WeChat Boutique e già il 10% sul nuovo Luxury Etailer TopLife, controllato dal colosso JD), Russia e Corea (circa il 25% dei marchi vende nei principali department store online). Gucci ed Hermès si distinguono per l’ampiezza di offerta di prodotti online, con articoli che vanno oltre la classica idea di lusso come articoli per la casa e arredamento.

VOCAZIONE SOCIAL

A Dolce&Gabbana va il primato come brand più social, grazie all’utilizzo in particolare di Instagram e del russo VK. Già 13 marchi hanno introdotto Instagram Shopping, mentre Gucci, Moncler e Ferragamo hanno adottato Facebook Shopping. Fendi si distingue per il numero maggiore di opzioni di condivisione di prodotti sui social, tra cui WhatsApp e WeChat. Ci sono però ampi spazi di miglioramento. La ricerca individua alcuni aspetti “semplici” per migliorare l’efficacia: alcuni non offrono il servizio clienti via tele‑ fono; la Web Live Chat di tre brand risulta sistematicamente non attiva; altri tre brand non forniscono informazioni sulle aperture del negozio; otto brand risultano ancora privi di Mobile Respon‑ sive Email Layout.

27 - giugno 2018


di Roberto Bonin

di Roberto Bonin

Nella brand competition prevale la tecnologia

Giunto alla sua 13esima edizione lo studio “BrandZ Top 100 Valuable Global Brands” celebra le migliori marche al mondo

Il digitale entra nei musei italiani

Pur con qualche ritardo rispetto a Paesi più virtuosi le istituzioni culturali del Belpaese continuano nella loro evoluzione in chiave tecnologica

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mpliare l’offerta di servizi e creare engagement per il proprio pubblico. Sono questi i due obiettivi primari del lungo processo di digitalizzazione intrapreso ormai da anni dai musei italiani; un processo che, seppur con qualche imperfezione e ancora in grande difetto rispetto ad altri Paesi, continua in modo serrato, iniziando a dare i suoi primi e timidi risultati. A confermarlo è innanzitutto il valore della valutazione media complessiva che ha toccato quota 5,14 su un massimo di 6 e, soprattutto, la constatazione dell’aumentata presenza in rete degli stessi siti culturali che risulta costantemente in crescita. Dai dati provenienti dalla seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano sulla presenza online di circa 500 musei italiani, si può infatti notare non solo una leggera crescita del numero di istituzioni culturali con un sito web proprietario, ma anche passi in avanti sul fronte dei servizi: la biglietteria online è presente nel 23% di questi (+3 punti percentuali rispetto allo scorso anno), il 67% ha in homepage icone per l’accesso facilitato alle pagine social dell’istituzione (+4 punti) e il 55% consente l’accesso alla collezione virtuale (+3 punti). A crescere con tasso più sostenuto è invece la presenza sui canali non proprietari: il 75% dei musei è presente su Tripadvisor (+20% rispetto a fine 2016) ed è in aumento il numero di account ufficiali dei musei su tutti i maggiori canali social, in particolare su Instagram (dal 15% all’attuale 23%), a cui seguono Facebook e Twitter.

LA COMUNICAZIONE PRIMA DI TUTTO

Sempre nell’ambito della presenza online dei musei, l’Osservatorio ha anche indagato come si configura la comunicazione nelle reti social costruite intorno alle diverse istituzioni culturali e quale sia il loro ruolo rispetto invece a quello di altri utenti che ruotano attorno ad esse: analizzando la comunicazione di 119 reti di musei con una presenza attiva su Twitter, sono stati identificati sei differenti modelli di comunicazione, che variano in funzione della dimensione della rete di relazioni virtuali. Per i musei con reti grandi si identificano tre modelli di comunicazione differenti: Network del Museo VIP (43%) dove l’account ufficiale dell’istituzione culturale è tra i meno attivi della rete ma, nonostante ciò, ha una posizione centrale nella rete in termini di connessione e interazione con gli altri utenti; Network Attivo e Diffuso (26%) dove sono presenti molti utenti attivi in maniera continuativa e anche l’account ufficiale dell’istituzione culturale mostra notevole vivacità ma il network è caratterizzato da un basso tasso di co-citazione tra i diversi account; Network Authority-centrico (26%) dove sono presenti numerose community di utenti colle-

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gate tra loro attraverso pochi account centrali che fungono da moderatori delle discussione e un account ufficiale dell’istituzione culturale poco attivo in termini di connessione e interazioni con gli altri utenti. Il gruppo dei musei con reti social piccole è quello più numeroso e si caratterizza anch’esso per tre differenti modelli di comunicazione: Network delle Community (38%), un account ufficiale dell’istituzione culturale poco attivo rispetto ad altri profili influenti (authority) attorno ai quali si concentrano delle community di utenti, che si caratterizzano da un alto tasso di co-citazione all’interno dei tweet; Network Egalitario (31%) con un’utenza non raccolta attorno ad authority o community ma all’attività vivace e costante nel tempo, indipendentemente dalla presenza di eventi particolari organizzati dall’istituzione culturale; Network Museo-centrico (13%): l’account ufficiale dell’istituzione culturale è tra i più attivi e spesso funge da moderatore delle discussioni, dato che i propri tweet vengono poi ripresi dagli altri utenti.

L’IMPORTANZA DI UN PIANO STRATEGICO

Dalla ricerca è emerso che solo il 39% delle istituzioni partecipanti alla community dell’Osservatorio ha un piano strategico formalizzato e il 19% un piano di innovazione digitale. Appunto per questo si rende quindi necessario stendere e formalizzare una roadmap condivisa da tutte le istituzioni afferenti, di formalizzare la strategia e in particolare la strategia digitale dell’istituzione. Gli obiettivi strategici possono essere ricondotti a differenti aree, tra loro correlate, e sui cui il digitale può avere davvero un forte impatto, come ad esempio il patrimonio, l’audience e la rete. Per

quanto riguarda il patrimonio, si individuano obiettivi per lo più legati alla conservazione, la gestione, la cura e la valorizzazione del proprio stato, mentre in merito all’audience si intende invece principalmente raggiungere e favorire un coinvolgimento più attivo e consapevole dei pubblici di riferimento. Importante, ovviamente, è anche il focus sulle relazioni e la creazione e rigenerazione delle reti fisiche o digitali con i singoli individui, le istituzioni e la comunità. Non a caso, ben il 72% del campione ha difatti un livello di digitalizzazione avanzata proprio sul fronte della comunicazione, con un sito web istituzionale e più di un profilo su social network. Segue poi la fruizione: il 64% delle Istituzioni ha più di un supporto digitale ad ausilio della fruizione. Complessivamente la soddisfazione del pubblico sulla visita, sui servizi online e in loco è elevata per tutte le istituzioni aderenti, in linea con i risultati positivi in termini di soddisfazione degli utenti ottenuti nella prima edizione dell’Osservatorio e confermati dall’analisi delle recensioni presenti su portali di recensioni. La Comunicazione e il customer care sono le attività su cui le istituzioni hanno manifestato il maggior interesse nello sviluppo di progetti digitali. Nello specifico, lo sviluppo di un sistema di CRM è risultato il progetto prioritario per il 43% delle Istituzioni, che lo hanno indicato come progetto di digitalizzazione futura per una migliore conoscenza del proprio bacino di utenti. Il rinnovo di sito web e i canali social è il secondo ambito più indicato tra le azioni future (38%), seguito dal completamento della catalogazione della collezione per poi procedere alla sua digitalizzazione (29%), a pari merito con l’adozione di un software per una conservazione programmata di beni mobili e immobili (29%).

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osa pensa la gente dei brand che acquista? A dare una risposta ci pensa WPP con la sua annuale ricerca “BrandZ Top 100 Most Valuable Global Brands”, condotta in collaborazione con l’agenzia di consulenza di marketing Kantar Milward Brown. Giunto ormai alla sua 13esima edizione, lo studio integra misure di brand equity, raccolte con analisi rigorose ascoltando più di 3 milioni di consumatori su migliaia di brand, con i risultati economici e finanziari di ogni azienda, al fine di identificare il contributo del brand al valore aziendale. Nonostante l’incertezza economica e politica in molte regioni del mondo, quest’anno il ranking evidenzia il maggior incremento mai registrato in termini di valore, quasi 750 miliardi di dollari. Questo ha portato il valore di brand di BrandZ Global Top 100 a 4.4 trilioni di dollari; una crescita di ben il 204% su 12 anni, il primo anno in cui tutte le categorie hanno segnato una crescita. Molti sono i trend emersi quest’anno dallo studio, primo tra tutti l’uso crescente di tecnologie data-driven, come intelligenza artificiale e realtà aumentata, accanto ad approcci di marketing creative, che hanno permesso a molti brand di acquisire una conoscenza più approfondita dei loro consumatori per offrire loro servizi, contenuti personalizzati e brand experience. Anche le partnership si sono dimostrate fondamentali poiché i brand hanno cercato nuove modalità per massimizzare l’efficienza. I brand leader hanno poi continuato ad alzare il livello della customer experience offerta al consumatore in ogni touchpoint, sia online che offline, dal trial alla spedizione, alla consegna, cercando partnership strategiche a lungo termine. In particolare, le strategie di brand building hanno integrato il digital, favorendo il coinvolgimento delle generazioni più giovani. Ad esempio, per la categoria Lusso il digital engagement è stato cruciale per attrarre, stupire e coinvolgere i millennials. I brand vincenti nell’era del marketing data-driven, come Amazon e Tencent, riescono invece a mettere il consumatore al centro di ogni loro iniziativa. Brand, questi, che riescono a utilizzare la tecnologia per comprendere i bisogni del consumatore e usare gli insights appresi per creare un ecosistema di servizi in grado di rispondere a bisogni diversi, abilitando consumer experience integrate fra piattaforme diverse.

CHI SALE E CHI SCENDE

A farla da padrone, come succede da qualche anno a questa parte, è la categoria dei brand tecnologici che continua a dominare il ranking con Google e Apple che mantengono il primo e il secondo posto, con un aumento rispettivamente del +23% con 302,1 miliardi di dollari e del +28% con 300,6 miliardi di dollari. Amazon è risalita invece al terzo posto davanti a Microsoft, con un aumento del +49% con 207,6 miliardi di dollari, mentre Tencent è salito al 5° posto, davanti a Facebook, con un aumento del +65% con 179 miliardi di dollari, recuperando tre posizioni rispetto alla classifica dello scorso anno. Il retail si è rivelata invece la categoria in più rapida crescita, con un aumento del +35% del valore negli ultimi 12 mesi, trainata soprattutto dai brand dell’e-commerce. È stato anche il primo anno in cui i brand non americani sono cresciuti più di quelli americani. Ben 14 brand cinesi sono presenti infatti nella Top 100, rispetto a uno solo presente nel 2006. Il valore totale dei Top 10 brand cinesi è cresciuto del 47% rispetto all’anno

Le strategie di brand building hanno integrato il digital, coinvolgendo le generazioni più giovani. I marchi vincenti nell’era del marketing datadriven riescono invece a mettere il consumatore al centro di ogni loro iniziativa

scorso ed è più del doppio rispetto a quello dei brand a stelle e strisce. Anche altre Regioni del mondo come India e Indonesia, mostrano forti crescite. La classifica mondiale vede sette brand asiatici che sono cresciuti del 14% raggiungendo un valore di 146 miliardi di dollari. La banca regionale BCA è diventata il primo brand indonesiano che è entrato nella classifica e la new entry Maruti Suzuki entra quest’anno per la prima volta nella Top 10 della categoria Auto. Brand cinesi all’avanguardia dominano la classifica dei Top 10 Brand in maggior crescita quest’anno, come JD.com, in testa con il +94% di crescita del brand value. Alibaba secondo in questa classifica, è entrato per la prima volta quest’anno con un 92% di incremento, grazie alla sua espansione globale e al successo del Singles Day. Il terzo è stato Moutai con un 89% di crescita. Da segnalare anche il posizionamento del gigante telecom americano Spectrum, che guida il gruppo delle New entries, insieme a Uber e a Instagram, mentre il brand maggiormente in crescita lo scorso anno, Adidas, si va a posizionare al 100simo posto. Ottima performance anche per Amazon che è risalita al terzo posto davanti a Microsoft, con un aumento del +49% con 207,6 miliardi di dollari. Tencent è salito al 5° posto, sopra a Facebook, con un aumento del +65% con 179 miliardi di dollari. Fra i brand dell’entertainment, Netflix emerge come una vera celebrità con un aumento del 73% del brand e un valore pari a 20,8 miliardi di dollari, che gli permette di risalire la classifica TOP 100 di ben 31 posti. YouTube risulta invece cresciuto del 37% per quanto

riguarda il brand value e attrae più di un miliardo e mezzo di utenti che guardano i loro contenuti preferiti sul popolare canale online. Per quanto riguarda il settore del Luxury, è Gucci al centro della scena quest’anno come brand a crescita più elevata, con un valore che aumenta del 66%, raggiungendo i 22.4 miliardi di dollari. Louis Vuitton mantiene la posizione, come brand di maggior valore del settore e risulta inoltre la terza marca in termini di crescita, con un incremento del 41% del suo valore, che raggiunge i 41.1.miliardi di dollari. Dior è invece la seconda per crescita, con un +54% e un valore di 3.6 miliardi di dollari. L’ultimo ingresso, Yves Saint Laurent ha fatto salire a sei il numero di brand francesi presenti nella classifica, grazie al grande coinvolgimento attivato con le audience più giovani con tecnologie di virtual e augmented reality per promuovere i nuovi profumi. Gucci e Louis Vuitton hanno ottenuto successo grazie a Instagram: entrambi con più di 23.4 milioni di follower, i due brand hanno avuto particolare fortuna tra i millennials. Burberry ha visto invece crescere il valore del suo brand, che ha raggiunto un valore di 4.48 miliardi di dollari e ha stretto una partnership con Farfetch, per avvicinare i segmenti del target più giovane più vicini alla moda e aumentare la diffusione dei suoi prodotti in più di 150 Paesi. Anche Hermes ha visto crescere il valore del brand del 20%, arrivando a 28.1 miliardi di dollari grazie agli investimenti online in Europa e al lancio in Cina del suo primo pop-up store su WeChat.

29 - giugno 2018


C O A C H I N G

di Alessandro Frè e Federico Ott

L’Intelligenza artificiale non fa paura. Del resto, siamo umani La tecnologia non può prendere il posto delle persone: può assistere, integrarsi e andare a coadiuvare nei lavori a bassa specializzazione ma non è una alternativa

L

a nascita e la sempre più pervasiva diffusione dell’intelligenza artificiale è una di quelle conquiste che lascia intravedere la bellezza pura dell’innovazione tecnologica. E come ogni bellezza pura che si rispetti, anche questa presenta alcune tinte più fosche, capaci di toccare note ancestrali della nostra anima, connesse a moti di dubbio, sospetto e, in una certa misura, paura. Ma l’intelligenza artificiale non è più qualcosa che può passare inosservata o essere considerata mero orpello tecnologico, ulteriore corredo alle nostre vite già invase da device, schermi e notifiche. La IA è semmai destinata a toccare nel profondo le nostre esistenze, a mutarne traiettorie e stilemi, a modificare il noto a favore di un affascinante ignoto.

DOVE VAI SE LA CASA NON È SMART?

È già presente un alto livello di pervasività in sistemi al servizio del pubblico mainstream, come gli assistenti per la smart home. Alexa, per esempio: è l’assistente virtuale di Amazon pensato per integrare ogni aspetto della vita domestica, per comprendere le nostre richieste attraverso specifiche domande e soddisfarle restituendo, idealmente, il risultato desiderato. Oltre a leggere le news, informare sullo stato del traffico, riprodurre la canzone preferita e riferire le condizioni meteo, Alexa può essere utilizzato anche per l’automazione domestica, poiché capace di dialogare con gli elettrodomestici intelligenti, soprattutto quelli di ultima generazione ad alta concentrazione di connettività. Stiamo parlando di un livello d’inferenza nella quotidianità che potremmo dichiarare viscerale, a volerla buttare sulla poesia. Attenendoci ai fatti, la presenza dell’intelligenza artificiale nella routine di tutti i giorni implica una trasformazione del modo stesso di vivere. Una trasformazione delle modalità di rapportarci ad azioni finora scontate - come quella apparentemente banale di regolare la temperatura del termostato - e che ora si ammantano di un nuovo alone di originalità.

L’AZIENDA ALLE PRESE CON IL CONCETTO DI QI ARTIFICIALE

Estendendo queste riflessioni al guscio del mondo lavorativo, è innegabile che l’intelligenza artificiale ci ponga di fronte l’ennesima sfida: sviluppare nuove capacità. Se ormai si staglia con chiarezza all’orizzonte una dimensione in cui i lavori che potranno essere automatizzati saranno di fatto “persi” dagli esseri umani, non bisogna comunque indugiare troppo su beceri allarmismi. Infatti, è altrettanto certo che si accentuerà sempre più il peso delle competenze che spostano il fulcro dall’azione al pensiero. Se da un lato la presenza di macchine dalle facoltà stupefacenti pone quasi nero su bianco senza possibilità di controbattere che, con buona pace di tutti, alcuni lavori sono più produttivi ed efficienti se lasciati in mano ad algoritmi, sistemi e calcoli, va anche detto che dall’altro peccheremmo di scarsa lungimiranza se non utilizzassimo le potenzialità messe in campo dall’intelligenza artificiale per valutare un nuovo percorso formativo. L’attività di crescita e formazione continua a rimanere una colonna portante del mondo del lavoro, ma può avere senso incanalare le proprie energie laddove il valore aggiunto dell’ingegno umano sia ancora scarsamente eguagliabile dagli automatismi propri di una macchina. La raccolta di dati, la loro analisi e il loro collegamento è forse un’attività che passerà via via nelle mani poco umane delle macchine del futuro (molto prossimo). Ma l’interpretazione e l’analisi degli stessi dati costituisce già un confine entro il quale la mente umana ha ancora molto da dare.

L’UMANITÀ CHE NON PERDE DI VALORE

Che dire di tutte quelle facoltà che ci permettono di interagire con i nostri simili? Non parliamo solo di quelle semplici interazioni che oggi fanno sempre più riferimento all’accettazione e all’approvazione sociale. Bensì di tutto quel ribollire prettamente umano

30 - giugno 2018

capace di spronare un altro individuo a migliorare, a superare sé stesso e i propri limiti, a mettere in campo azioni in grado di sconvolgere la sua vita tanto da infondergli la capacità di sviluppare un mindset che prima mai aveva neppure sognato. In una parola: motivare. Una macchina ben congegnata può analizzare perfettamente le crepe di un business difettoso. Ma, per quanto ben congegnata, difficilmente riuscirà a motivare i dipendenti di un’azienda al raggiungimento degli obiettivi annuali. Ecco che quindi all’uomo continua a essere richiesta a gran voce la capacità di entrare in contatto con altre persone, di intessere una rete reale e produttiva e, soprattutto, di creare relazioni: un automa, per quanto incredibilmente intelligente, non può - e forse potrà mai - sostituire l’empatia, il sentimento, e la vicinanza emotiva, patrimonio umano incedibile. Tutti elementi che sembrano rimanere imprescindibili nella lettura dei comportamenti umani, nell’interpretazione di possibili inefficienze o nello sviluppo di dinamiche di crescita e motivazione. Ma sono “l’unica salvezza” per sopravvivere all’avvento dell’intelligenza artificiale? Niente affatto. Sono piuttosto da inquadrare come quell’elemento distintivo capace continuare a valorizzare il pensiero unico, creativo e innovatore dell’essere umano rispetto alla rigidità dell’automazione, per quanto ci si stia spostando verso linguaggi sempre più in grado di assomigliare - ancora da lontano - alla natura umana.

RIMANERE UMANI E ARRENDERSI ALLA PERVASIVITÀ DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, DUNQUE?

Una frase, quella riportata qui sopra che rappresenta l’approccio più lontano da quello che rende realtà l’innovazione. Subire passi-

vamente gli output di una macchina non può essere la strada per il futuro. Piuttosto, una mentalità davvero disruptive è quella che permette all’uomo di guidare lo strumento, di interrogarlo e capire i processi che hanno portato a un determinato risultato, senza lasciarsi governare a testa china. A questa riflessione fa eco un rapporto di Accenture Strategy intitolato “Reworking the Revolution”, secondo il quale grazie all’intelligenza artificiale i ricavi delle imprese potrebbero crescere del 38% entro il 2020. Ma la tecnologia da sola non basta: affinché questi dati siano confermati, le aziende devono investire in un’efficace cooperazione uomo-macchina, almeno quanto già fanno le aziende leader di mercato. Rispettando questi precetti, anche l’occupazione potrebbe subire un boost, registrando un aumento del 10%. Per l’economia mondiale globale significherebbe una crescita dei profitti pari a 4,8 trilioni di dollari. La continua specializzazione della tecnologia richiede quindi una rivisitazione del ruolo del lavoratore, che parta dal radicale abbandono di quella mentalità che pensa in termini di mansioni prestabilite per ciascuna professionalità. È fondamentale infatti valutare il livello di competenza delle persone e la loro proattività nonché disponibilità a imparare a lavorare con sistemi di intelligenza artificiale. E il digitale viene in aiuto ancora una volta: le piattaforme di learning permettono di progettare programmi di formazione personalizzati per ciascun utente, favorendo l’acquisizione di competenze nuove. In poche parole, far sì che quell’insieme di frammenti che ci rende umani e irripetibili sia anche ciò che ci rende indispensabili affinché le macchine ci conducano verso quel futuro che ci stanno promettendo: una vita in qualche modo più semplice, lavorativa e non.

Risorsa Uomo nasce a Milano nel 1985 dall’idea imprenditoriale di un gruppo di consulenti specializzati nelle aree della formazione commerciale e manageriale. Oggi Risorsa Uomo conta circa 50 consulenti e offre al cliente progetti personalizzati nell’ambito della consulenza, della formazione e della comunicazione integrata. “Vicini alle vostre esigenze per il miglioramento delle performance e della competitività”

federico ott

alessandro frè

Managing Partner di Risorsa Uomo. Dal 2012 al 2017 è stato Global HR Director del Gruppo Landi Renzo. Percorso professionale iniziato in IVECO come responsabile sindacale dei plant torinesi. Negli anni successivi, dopo una esperienza di due anni in area sviluppo Iveco worldwide, ricopre il ruolo di HR manager in stabilimenti strategici in Italia ed all’estero. Nel 2010 entra in Comau come HR Business Partner e Global HR Industrial Operations. Nel 2012 oltre ad una commedia, ha pubblicato “E’ tutto oro che cola”, il suo primo libro legato ad un progetto benefico.

Consulente e formatore esperto nelle riorganizzazioni commerciali, negoziazione, strategie di marketing, coaching e processi decisionali. Dagli anni ‘90 agli anni 2000 ha occupato la posizione di formatore e Management Consultant. Da 15 anni CEO & Partner di Risorsa Uomo Srl. Ha progettato e condotto più di 600 interventi di formazione e consulenza con metodologie innovative e lavorando con più di 80 primarie aziende italiane. Ha seguito e segue numerosi progetti in area commerciale, trade, manageriale e formazione formatori.


Perfect Black creates Perfect Colors Lo stato dell’arte della tecnologia è rappresentato ancora una volta da LG OLED TV, il TV OLED più venduto al mondo. Grazie ai suoi pixel autoilluminanti LG OLED TV raggiunge il Nero Perfetto, l’unico che può donare profondità ai colori.

* LG OLED TV dal 2013 è il TV OLED più venduto al mondo. Fonte dati IHS Markit, Technology Group, TV Sets Market Tracker, Q4 2017. Il posizionamento non è un endorsement di LG. Eventuali rischi derivanti dall’uso di questi dati ricadono sulle terze parti fruitrici. Per maggiori dettagli www.technology.ihs.com


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